Utopía y Praxis Latinoamericana
ISSN: 1315-5216
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Universidad del Zulia
Venezuela
ZAVATTA, Laura
Il Profetismo di Nietzsche
Utopía y Praxis Latinoamericana, vol. 14, núm. 47, octubre-diciembre, 2009, pp. 93-113
Universidad del Zulia
Maracaibo, Venezuela
Disponibile in: http://www.redalyc.org/articulo.oa?id=27911868007
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ARTÍCULOS
Utopía y Praxis Latinoamericana / Año 14. Nº 47 (Octubre-Diciembre, 2009) Pp. 93 - 113
Revista Internacional de Filosofía Iberoamericana y Teoría Social / ISSN 1315-5216
CESA – FACES – Universidad del Zulia. Maracaibo-Venezuela
Il Profetismo di Nietzsche
The Prophetism of Nietzsche
Laura ZAVATTA
Università degli Studi del Sannio. Facoltà di Economia - Via Calandra - 82100
Benevento (BN), Italia. E-mail: izavatta@unisannio
RESUMEN
ABSTRACT
Il profetismo di Nietzsche rivela la décadence della civiltà occidentale e sprona gli
uomini, coi messaggi di Zarathustra, ad appigliarsi ad una filosofia nuova posta al di là del
bene e del male: la ‘Morte di Dio’ e l’Umwertung, la ‘Volontà di potenza’ e l’Übermensch,
l’‘Eterno ritorno dell’uguale’. Secondo Heidegger, il nichilismo nietzscheano non è solo
“il processo di svalutazione dei valori supremi” ma è lo “stadio preliminare di una ‘nuova’
posizione di valori”; non è “totale declino
(Niedergang)”, ma “trapasso (Übergang) a
nuove condizioni di esistenza”, in cui gli uomini saranno capaci di amare in toto la vita (amor
fati) e se stessi.
Pa ro le c hi a v e : Dé c a d e n c e, n i c h i l i smo,Umwertung, Übermensch.
Nietzsche’s prophetic vision reveals the
décadence of Western civilization and encourages men, with Zarathustra’s messages, to
cling to a new philosophy positioned ‘beyond
g o o d an d e vil’: ‘G od’s D e a th’ a nd
‘Umwertung,’ the ‘Will to Power’ and the
‘Übermensch,’ the ‘Eternal return.’ According
to Heidegger, Nietzsche’s nihilism is not only
“the process of devaluating supreme values,”
but it is the “preliminary stage of a ‘new’ set of
values”; therefore it is not a “total decline
(Niedergang),” but a “transfer (Übergang) to
‘new’ conditions of existence,” in which men
will be capable of loving life (amor fati) and
themselves totally.
K e y w o r d s: D é c a d e nc e , n i h i l i s m,
Umwertung, Übermensch.
Recibido: 14-04-2008 · Aceptado: 18-08-2009
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Laura ZAVATTA
Il Profetismo di Nietzsche
1. UNO SPETTACOLO IN CENTO ATTI: IL CROLLO DELLA MORALE
Si può dire, quasi certamente, che l’annuncio di Nietzsche all’umanità sia il messaggio
del suo Zarathustra1, vale a dire la profezia di un moralista laico, divenuto consapevole della
decadenza dei grandi valori ritenuti per secoli il fondamento della vita e della civiltà europea2.
Il pensiero del grande filosofo tedesco anticipa esperienze cruciali del ’900 probabilmente incalzando, con la sua appassionata denuncia, uno stato di crisi già palpabile nel suo
secolo, e lambendo luoghi e tempi della coscienza e del sentire ‘postumani’ con l’analisi
della decadenza e del nichilismo europeo. Il dissolversi degli ideali tradizionali, lo smarrimento di ogni baricentro, la contaminazione di arcaiche appartenenze, mostrano l’impossibilità di dare un nome al tutto e fanno percepire “l’ingombrante presenza di una forza che
– comunque la si chiami e la si esorcizzi: ‘volontà di potenza’, con il termine da lui prescelto, oppure élan vital (Bergson), Leben (Rimmel, Klages), ‘Inconscio’ (Freud), ‘Archetipo’
(Jung), ‘Demoniaco’ (T. Mann) – non appare più governabile dalla ragione, anzi, sembra
asservirla alle proprie cieche finalità”3. L’antagonismo tra Apollo e Dioniso, messo in rilievo da Nietzsche, eccitando dicotomie insuperabili (ordine/caos, logica/mistero, anima/corpo, spirito/materia, cultura/ natura), finisce col dilatare dubbi sulla linearità della ragione
accrescendo lo spessore ‘irrazionale’ della vita4. Apollineo e dionisiaco, volontà cosciente
e incoscio, scienza dotta e istinto, gioia e terrore, percezione di luce e presagio di ombre,
muoiono e si rigenerano in uno disfarsi e rifarsi senza fine5 caratterizzando anche il linguaggio di frammenti, pluralità, separazione6.
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FERRANTE, F (1996). Come parlò Zarathustra? Un retore per tutti e per nessuno (Nietzsche-Stirner), La
Città del Sole, Napoli 1996.
Cfr. sull’argomento: MILLI, M (2004). Nietzsche e il messaggio politico di Zarathustra, Giappichelli, Torino 2004; ZAVATTA, L (2007). Colpa, pena e presagi d’amore nell’Umwertung di Nietzsche, ESI, Napoli,
in cui sono da me approfondite le tematiche qui trattate.
Cfr. Sito Web Italiano per la Filosofia, Nietzsche. Un secolo di superuomini. Cent’anni fa moriva il grande
filosofo, editoriale, “La Repubblica”, 1º Agosto 2000. Per un interessante approfondimento di questo tema
alla luce della filosofia del “fare”, o praxeologismo, cfr. CAPOZZI, G (2003). I sistemi del fare dal nulla all’essere. Economica. Etica. Politica, Jovene, Napoli, pp. 50-52. Nel paragrafo La vitalità come fare primordiale dell’individuo, è scritto: «Vitalità e individuo si immedesimano pur nella loro differenza per la proprietà della loro appartenenza al fare primordiale. Di ciò vi è consapevolezza in importanti indirizzi del pensiero […]. Si pensi al primo momento della “Società civile” di Hegel dove “individualità” e “vitalità” sono
correlate nel “Sistema dei bisogni” con la propaggine dell’“egoismo” che il filosofo tedesco deriva dal filosofo inglese che è il fondatore dell’Economia, vale a dire Adam Smith. Si ricordi la “vitalità” come impulso
dall’individualità nella Praxis di Marx o la “vitalità come Praxis dell’individuo” nel secondo Croce o la
Praxis nella filosofia di Gentile e di Gramsci. Si osservi che la “Volontà di potenza” di Nietzsche o la libido
di Freud o la “Sorge” più col “Besorgen” che col “Füsorge” di Heidegger o l’ “élan vitale” di Bergson”».
Cfr. ANZALONE, L & MINICHIELLO, G (1984). Lo specchio di Dioniso. Saggi su Giorgio Colli, Dedalo,
Bari; ALFIERI, L (1984). Apollo tra gli schiavi. La filosofia sociale e politica di Nietzsche (1869-1876),
Franco Angeli, Milano; SEMERARI, F (1994). Il gioco dei limiti. L’idea di esistenza in Nietzsche, I cap.,
Dimenticanza e radicamento, Dedalo, Bari; ROSS, W (2001). Nietzsche selvaggio, ovvero il ritorno di Dioniso, Il Mulino, Bologna; CHERUBINI, F (2004). Apollineo e dionisiaco alle origini della tragedia greca
nella suggestiva interpretazione di Friedrich Wilhelm Nietzsche, Universum, Trento; BARILE, N (2005).
Adescamenti. Nietzsche e la parola di Dioniso, Il Nuovo Melangolo, Genova.
Cfr. PENZO, G (1993). Nietzsche allo specchio, Laterza, Roma-Bari; KLOSSOWSKI, P (1981). Nietzsche
e il circolo vizioso, tr. it. di E. Turolla, Adelphi, Milano.
BLANCHOT, M (1977). L’infinito intrattenimento. Scritti sull’insensato gioco di scrivere, tr. it. di R. Ferrari, Einaudi, Torino, p. 207. Cfr. su questo punto VOLPI, F (2000). I lumi e l’ombra lunga di Nietzsche,
pubblicato su “Repubblica”, 8 dicembre. Gottfried BENN, scrive Volpi, pensava di poter dare una spiega-
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Incombe, dice Nietzsche, la percezione della morte di Dio e la caduta del cristianesimo e dei suoi valori, che riversa sul destino della civiltà occidentale un grave smarrimento
nel quale ogni certezza metafisica sembra perdersi e il significato della vita svanire. Per
colmare lo spaventoso senso di vuoto, l’umanità cercherà a lungo di inseguire valori assoluti sostituendo al vecchio Dio altri idoli7. Ma il filosofo ammonisce che occorre porre fine
alla volontà di autoingannarsi con la ‘verità’, quella sorta di errore senza cui, pure, l’homo
communis sembra non riesca a sopravvivere divenendo preda del nichilismo più minaccioso. Tuttavia l’illusione deve cessare: non si può più guardare la natura e il mondo come
“prova della bontà e della protezione di un Dio”, né interpretare le vicende della propria
vita così come è stato fatto per tanto tempo, «come se tutto fosse voluto, tutto fosse cenno,
tutto fosse escogitato e inviato all’uomo per la salvezza della sua anima»8. Leggere la storia
alla luce di una presunta ragione divina in grado di conferire al mondo un ordine etico e sicure finalità morali, per Nietzsche, è solo indice di ‘bugiarderia’, ‘debolezza’, ‘viltà’; è un
volersi trincerare dietro credenze del passato percepite ormai, da tutte le coscienze argute,
come qualcosa di ‘indecoroso’ e ‘disonesto’.
Il cristianesimo, divenuto una sorta di “cura del sonno”, è un vecchiume cadente e
ipocrita che, secondo il filosofo tedesco, non può reggere e spiegare più nulla. Esso «come
dogma è crollato, per la sua stessa morale»9. Dopo aver tratto una deduzione dopo l’altra, la
verità cristiana deve trarre alla fine «la sua conclusione più drastica, la sua conclusione
contro se stessa». Siamo sulla soglia di questo avvenimento. «Crolla d’ora in poi – su ciò
non sussiste dubbio – la morale: quel grande spettacolo in cento atti che rimane riservato ai
prossimi due secoli dell’Europa, il più pauroso, più problematico, e forse anche più ricco di
speranza di tutti gli spettacoli…»10.
1.1. IL SENSO DIONISIACO DELL’ESISTERE
Per sollevarsi dal decadimento, occorre dunque rivalutare il senso mistico della vita
che appartiene agli artisti e guardare con coraggio le cose in faccia11 accettando la tragicità
zione alla coerente frammentarietà dell’opera nietzscheana: «Adesso capisco perché Nietzsche scriveva per
aforismi. Chi non vede più connessioni, più alcuna traccia di un sistema, può ancora procedere solo per episodi». La grandezza tragica di Nietzsche è proprio questa. Tuttavia, al contrario di Benn, «possiamo pensare
che i suoi aforismi non siano frammenti sconnessi, ma tocchi cromatici di una composizione puntillista che
fa vedere un intero […]. Ci troviamo oggi in una “crisi antropologica”. Ebbene, con la sua lapidaria affermazione che l’uomo è “l’animale non ancora definito”, Nietzsche l’ha anticipata tutta: l’essere umano - ci ha
fatto capire - è esposto ed aperto a due estremi ugualmente rischiosi per il suo comportamento, la spaventosa
naturalezza delle sue pulsioni e la sconfinatezza del suo ragionare».
7
Cfr. DIDIER, F (2002). Nietzsche e l’ombra di Dio, a cura di D’Oriano P., tr. da N. Cantatore, Lithos, Roma.
8
NIETZSCHE, F (2003). Genealogia della morale, da Opere filosofiche di F.W. Nietzsche, Classici della filosofia, collezione fondata da N. Abbagnano, diretta da T. Gregory, Prefazione, a cura di S. Giametta, vol.
secondo, Utet Torino, Terza dissertazione, 27, p. 380. Cfr. sull’argomento PENZO, G (1975). Friedrich
Nietzsche. Il divino come polarità, Patron, Bologna.
9
Ibíd., 27, p. 381.
10 Ibidem.
11 GIAMETTA, S (s/f). Lo “Zarathustra” di Nietzsche, della Red.Emsf-Rai (2ª parte), Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche, www.emsf.rai.it; GIAMETTA, S (1997). Erminio o della fede. Dialogo con
Nietzsche di un suo interprete, Spirali/Vel, Milano; GIAMETTA, S (2006). I pazzi di Dio. Croce, Heidegger, Schopenhauer, Nietzsche e altri, La Città del Sole, Napoli.
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e la dimensione dionisiaca dell’esistere12. Dividere il mondo in un mondo “vero” e in un
mondo “apparente”, alla maniera del cristianesimo come alla maniera di Kant, è solo una
“suggestione della décadence”, un presagio di “vita declinante”. L’artista tiene l’apparenza in maggior pregio della realtà, dacché “l’apparenza” significa solo e ancora una volta
“realtà”. «L’artista tragico non è pessimista, - dice precisamente sì anche a tutto ciò che è
problematico e spaventoso, è dionisiaco…»13. Il grande istinto ellenico si esprime soltanto
nei misteri dionisiaci, nello stato d’animo del dio Dioniso. In esso si manifesta prepotentemente la “volontà di vivere”.
Si può, dunque, godere di tutta l’attrattiva e la meraviglia della vita, accettandone le
conseguenze tragiche e i limiti14. L’uomo non deve mai rinunciare a vivere, ma sentirsi totalmente vivo, accogliere la sfida, soffrire per cercare la bellezza, la felicità, l’amore, la conoscenza, ben sapendo di dover affrontare anche la tragedia, perché tutte queste cose la
comportano. Amare la vita non è facile, perché essa nasconde «tanti orrori, riserva […] tanti dolori, tante cose brutte»15. L’amore per la vita, allora, deve essere un amore leale, senza
finzioni, simile a quello di un figlio verso la madre: un amore senza riserve, un amore fedele, che non discute, che non giudica. La madre può essere e fare tutto, e suo figlio, semplicemente perché è suo figlio, la ama. Questo amore porta Nietzsche a combattere la battaglia
‘moraleggiante’ contro quelli che, dicendo di amare la vita, in realtà, come accade ai filosofi, la vogliono bloccare16.
1.2. IL NICHILISMO NIETZSCHEANO
Se è dunque vero che, per il pensatore tedesco, la vita umana, la terra, l’universo, non
hanno scopo né significato, e che la sua opera inizia con la negazione dell’etica e della religione, il nichilismo nietzscheano, tuttavia, come dice Heidegger,
«non è solo il processo di svalutazione dei valori supremi, e neppure soltanto l’estrazione di questi valori. […] La svalutazione dei valori non finisce con una progressiva perdita di valore da parte dei valori, al modo di un rigagnolo che si perde
nella sabbia; il nichilismo si compie nella estrazione dei valori, nella eliminazione
attiva dei valori. Questa ricchezza essenziale interna del nichilismo è ciò che
Nietzsche ci vuole rendere chiaro»17.
12 Cfr. ALFIERE, L & CORRADINI, D (1992). Abissi. Meditazioni su Nietzsche, Giuffrè. Cfr. anche
ALFIEREI, L (1984). Nel labirinto. Quattro saggi su Nietzsche, Giuffrè, Milano 1984.
13 NIETZSCHE, F (2003). Crepuscolo degli idoli, da Opere filosofiche di F.W. Nietzsche, Classici della filosofia, collezione fondata da N. Abbagnano, diretta da T. Gregory, Prefazione, a cura di S. Giametta, vol. secondo, Utet Torino, La ragione nella filosofia, 6, p. 430.
14 Cfr. su questo argomento SEMERARI, F (1994). Il gioco dei limiti. L’idea di esistenza in Nietzsche, Dedalo,
Bari.
15 GIAMETTA, S (s/f). Op. cit.
16 Ibíd., Cfr. sul tema, CASINI, L (1990). La riscoperta del corpo. Schopenhauer, Feuerbach, Nietzsche, Studium, Roma.
17 HEIDEGGER, M (1994). Nietzsche. Adelphi Edizioni, Milano, pp. 603-604.
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Dunque il nichilismo è da intendersi, nel senso di Nietzsche, «come storia, cioè al
tempo stesso positivamente come stadio preliminare di una ‘nuova’ posizione di valori, e in
modo così deciso da esperire proprio il nichilismo più estremo non come totale declino
(Niedergang), ma come trapasso (Übergang) a nuove condizioni di esistenza»18. I nuovi
valori devono essere valori di conservazione e di rafforzamento dell’uomo, risultati da determinate ‘prospettive’ di utilità per il mantenimento e il potenziamento della vita.
Il motivo della negazione dei valori e del loro rovesciamento (Umwertung) è motivato, dunque, da un ardente amore per la vita, da un profondo trasporto per tutto ciò che esiste,
per tutta l’esperienza, sia buona che cattiva, fatta di dolore e di piacere. «Hai mai detto sì al
piacere? Oh amico mio, allora tu hai detto anche sì al dolore. Tutte le cose sono connesse,
gemellate, innamorate l’una dell’altra»19.
I nuovi filosofi, i filosofi dell’avvenire, saranno spiriti liberi e potranno essere chiamati tentatori. Saranno, anch’essi, amanti della “verità”? «Molto probabilmente sì, giacché tutti
i filosofi hanno amato finora le loro verità. Ma certamente non saranno dei dogmatici»20, non
vorranno che la loro verità debba essere una verità per tutti; questo andrà contro il loro orgoglio e contro il loro gusto, benché ciò, finora, sia stato «il desiderio segreto e il senso recondito di tutte le aspirazioni dogmatiche»21. I filosofi dell’avvenire, saranno spiriti liberi,
«pieni di cattiveria contro gli allettamenti della dipendenza che si celano negli
onori o nel denaro o nelle cariche o nelle esaltazioni dei sensi; riconoscenti verso
il dio, il diavolo, la pecora e il verme […], curiosi fino al vizio, indagatori fino alla
crudeltà, con dita senza scrupoli per cose inafferrabili»22.
Saranno “amanti nati, giurati e gelosi della solitudine”, della solitudine “più profonda, più notturna, più meridiana”. E il più grande fra tutti sarà «colui che saprà essere il più
solo, il più nascosto, il più divergente, l’uomo che sarà al di là del bene e del male, il signore
delle sue virtù, l’uomo stracarico di volontà»23.
Se è vero, dunque, che la mancanza di un senso metafisico della vita rischia di gettare
l’uomo in un nichilismo passivo e rinunciatario, nondimeno egli può superarlo riconoscendosi fonte di tutti i valori e di tutte le virtù. L’uomo, con la sua volontà di potenza, in un
“eterno ritorno dell’uguale”, in un nichilismo attivo, può imporre i propri significati e la
propria volontà alla vita24.
18 Ibíd., p. 609.
19 NIETZSCHE, F (1969). Così parlò Zarathustra, 4.11, Traduzioni di Paul Harrison, ediz. Karl Schlechta,
Ullstein, Frankfurt.
20 NIETZSCHE, F (2003). Al di là del bene e del male, da Opere filosofiche di F.W. Nietzsche, Classici della filosofia, collezione fondata da N. Abbagnano, diretta da T. Gregory, Prefazione, a cura di S. Giametta, vol.
secondo, Utet Torino, Lo spirito libero, 42-43, p. 64.
21 Ibidem.
22 Ibíd., 44, p. 67.
23 Ibíd., Noi dotti, 212, p. 137.
24 Su queste tematiche cfr. le argomentazioni di HEIDEGGER, M (1994) Op. cit., pp. 21-391. «La dottrina
dell’eterno ritorno dell’uguale è intimamente connessa con la dottrina della volontà di potenza. Questa dottrina, nella sua unitarietà, si autocomprende storicamente come trasvalutazione di tutti i valori finora in vigo-
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1.3. LA ‘TRASVALUTAZIONE’ DEI VALORI
Per valore, dice Heidegger, Nietzsche intende
«ciò che è condizione della vita, cioè del potenziamento della vita. Trasvalutazione
di tutti i valori significa porre per la vita, per l’ente nel suo insieme, una nuova condizione mediante la quale la vita viene spinta fino a se stessa, cioè oltre se stessa, e
solo così diventa possibile nella sua vera essenza. Trasvalutazione altro non è se
non quello che il peso più grande, il pensiero dell’eterno ritorno, deve operare»25.
L’uomo deve dunque spingere la vita fino a se stessa, oltre se stessa, nella consapevolezza dell’eterno ritorno dell’uguale. Dopo la scoperta della morte di Dio, egli è
capace di reggere il pensiero che l’universo non ha un senso, consapevole di dare, da sé,
dopo aver operato la trasvalutazione di tutti i valori, con nuovi valori, significato alla
vita26. Attraverso le tre metamorfosi dello spirito, di cui Nietzsche scrive in Cosi parlò
re». Ma in che senso, chiede Heidegger, la dottrina dell’eterno ritorno dell’uguale e quella della volontà di
potenza sono connesse essenzialmente? «Nietzsche pensa il “pensiero più grave”, pensa e contempla l’essere, cioè la volontà di potenza, come eterno ritorno. Che cosa significa questo – preso in senso molto lato ed
essenziale? Significa l’eternità non come un “ora” che resta fermo, né come una successione che si sviluppa
all’infinito, ma come l’“ora” che si ripercuote su se stesso: ma che cosa mai è questo se non l’essenza occulta
del tempo? Pensare l’essere, la volontà di potenza, come eterno ritorno, pensare il pensiero più grave della filosofia, significa pensare l’essere come tempo. Nietzsche pensò questo pensiero, ma non lo pensò ancora
come la questione di essere e tempo. Anche Platone e Aristotele pensarono questo pensiero quando concepirono l’essere come ïõóßá (presenza), ma, al pari di Nietzsche, non lo pensarono affatto come questione». Ivi,
p. 35. Baeumler, osserva Heidegger, ritiene che possa valere solo una delle due dottrine: «o la dottrina dell’eterno ritorno o la dottrina della volontà di potenza». BAEUMLER, A (1931). Nietzsche. Der Philosoph und
Politiker, Reclam, Leipzig, p. 80. Questa sua affermazione è spiegata dalla seguente motivazione: «la volontà di potenza è divenire, l’essere viene concepito come divenire; è la vecchia dottrina di Eraclito del fluire
delle cose, ed è anche l’autentica dottrina di Nietzsche. Il suo pensiero dell’eterno ritorno non può non negare l’illimitato flusso del divenire. Questo pensiero introduce nella metafisica di Nietzsche una contraddizione. Dunque, o soltanto la dottrina della volontà di potenza o soltanto quella dell’eterno ritorno può determinare la filosofia di Nietzsche». Ma il concetto del divenire nel senso “dello scorrere via” «è talmente superficiale che non può essere attribuito senz’altro a Nietzsche. […] le riflessioni di Baeumler sul rapporto tra le
due dottrine non riescono a penetrare, da nessuna parte, nell’ambito dell’effettivo domandare, e invece la
dottrina dell’eterno ritorno, in cui egli paventa un “egittismo”, va contro la sua interpretazione della volontà
di potenza, che, nonostante parli di metafisica, egli non comprende in senso metafisico ma interpreta in senso politico. […] [Invero] se Nietzsche fu il pensatore che è, l’esibizione della volontà di potenza doveva ruotare costantemente entro il pensiero dell’essere dell’ente, cioè, per lui, dell’eterno ritorno dell’uguale».
HEIDEGGER, M (1994). Op. cit., pp. 35-38.
25 HEIDEGGER, M (1994). Op. cit., pp. 348-349.
26 Cfr. l’opera giovanile che preannuncia il tema della “volontà di potenza”: NIETZSCHE, F: La teologia a
partire da Kant, a cura di M.B. Guerri, Mimesis, 1999; MANNO, A (1996). La volontà di potenza in
Nietzsche e la storia dell’Europa negli ultimi tempi, Japadre, LAquila-Roma; NOLTE, E (1991). Nietzsche
e il nietzscheanesimo, tr. di M. Nardi - S. Brunelli - N. Paoli, Sansoni, Firenze. Su questo argomento B.
ROMANO scrive: «La costruzione dell’uomo-signore è presentata come un “‘umanizzare’ il mondo [che]
significa sentircene sempre più padroni (NIETZSCHE, F (1996). La volontà di potenza, Milano, p. 336) mediante la certitudo dell’idea matematica, che alimenta la tecnica come essenza della scienza moderna. Heidegger commenta questa affermazione di Nietzsche considerando che ‘umanizzare’ vuol dire qui configurare il mondo secondo il modello del super-uomo e pertanto comporta non tanto la sostituzione di Dio con
l’uomo (nichilismo imperfetto), ma la costruzione del mondo secondo l’inversione dei valori, ovvero secondo l’abbandonarsi alla volontà di potenza che pone i valori solo come punti di vista del suo stesso accrescimento (nichilismo perfetto), senza né alcun perché, né alcuno scopo. Tragicamente, questo specifico diventare padroni del mondo vuol dire per l’uomo il suo consumarsi come un nulla (nihil), divenendo post-uomo,
luogo vuoto e servile della potenza di Nessuno; l’immagine del super-uomo svela dunque il suo compimento
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Zarathustra, la sentenza “Tu devi” viene ad essere mutata in “Io voglio”, ed infine in un
“Dire di sì” quasi sacro, rappresentato dalla figura del bambino gioioso. Il nichilismo di
Nietzsche si trasforma, così, nel suo opposto: diventa l’affermazione che tutto esiste,
benché in nu lla esista causa o scopo27.
Le classiche opposizioni del pensiero, compresa la dicotomia Essere/Divenire, sono
solo il riflesso di un gioco di specchi. La rottura con Hegel verte sul rifiuto dello schema che
lega l’essere e il divenire nel senso che il primo fornisce il fondamento e la garanzia definitiva dei processi dinamici, prerogativa invece del secondo. Il pensiero «abissale» che sconvolge Nietzsche nell’agosto del 1881 a Silvaplana è allora la scoperta dell’assoluta dinamicità della realtà, la scoperta che non esistono l’essere e il divenire, ma esiste l’essere del divenire nel suo eterno ritornare. E “ritornare è precisamente l’essere del divenire, l’uno del
molteplice, la necessità del caso”»28. Dunque l’essere è esattamente “l’impossibilità di essere una prima volta”, secondo quanto sostiene lo stesso Freud il quale spiega i “complessi”
con un movimento per il quale quando essi insorgono si sono sempre-già prodotti, la loro
essenza è la ri-proposizione29.
Tentando di passare dal piano della negazione a quello dell’affermazione, «il senso
della filosofia di Nietzsche sta nel porre il molteplice, il divenire, il caso come oggetto di affermazione pura»30. La “nebulosa della differenza” sostituisce Hegel con Nietzsche e
Sade, ossia la “sofferenza del negativo con il godimento dell’affermazione”. La dimensione totalizzante del ‘negativo’ ha caratterizzato l’intero patrimonio della ragione classica e
tutti i suoi fondamenti concettuali - ovvero il soggetto, l’oggetto, l’identità, la contraddizione, i giudizi di valore, ecc. Il pensiero nietzscheano li sostituisce con un’affermazione
prepotente della vita che si manifesta nella differenza delle volontà di potenza, nella verità
di ogni fenomeno o attimo, nella ripetizione del loro puro ‘apparire’, nell’eterno ritorno.
Questa è la vera molla che sostituisce la negazione con l’affermazione e che smaschera
«il carattere mistificatorio e consolatorio dell’hegeliano e marxiano travaglio del
negativo, per illuminare invece i tratti del libertino sadiano. […] La potenza del “Sì”
scalza dunque il millenario potere del “No” minando il mondo dell’identità: non
esistono né Origine né Fine, né Fondamento né Superficie, né Fatti né Senso, ma
tutto è infinità di interpretazioni, maschere che nascondono altre maschere. E che
soprattutto non sono e/o divengono, ma ritornano. In altri termini l’‘eterno ritorno’,
nel rifiuto del binomio essere-divenire segna il discrimine tra l’universo solare e totalizzante della ragione classica e i percorsi accidentati della differenza»31.
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31
nel post-uomo, nella fine dell’uomo, comportando una radicale trasformazione del fenomeno della giuridicità». ROMANO, B (2006). Scienza giuridica senza giurista: il nichilismo ‘perfetto’, Giappichelli, Torino,
cap. II, ‘Essenza del nichilismo’ e diritto, p. 85.
Cfr. EVOLA, J (2000). Il nichilismo attivo di Federico Nietzsche, Settimo Sigillo, Roma; SORRENTINO, S
(2005). Nichilismo e questione del senso. Da Nietzsche a Derida, Aracne, Roma.
CAPPELLETTI, FA(1984). Differenza e potere. La politica nel pensiero post-moderno, Franco Angeli,
Milano, pp. 18-19; cfr. DELEUZE, G (1973). Nietzsche, tr. it. di F. Rella, Bertani, Verona, p. 39.
BLANCHOT, M (1967). Lo spazio letterario, tr. it. di G. Zanobetti, Einaudi, Torino, pp. 24-33.
DELEUZE, G (1978). Nietzsche e la filosofia, tr. it. G. Vattimo, Capolrtage, Firenze, p. 265.
CAPPELLETTI, FA (1984). Op. cit., p. 12.
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Verrà finalmente un giorno in cui l’uomo accetterà l’idea che il mondo “non è l’opera
ben meditata di un creatore, impostato sulla ragionevolezza e sulla finalità”, e che “non sale
all’infinito”, seguendo leggi interne, indirizzato a gradi di sviluppo sempre più elevati. Il
mondo è
«un enorme gioco di forze, di viventi volontà di potenza lottanti tra loro, i cui singoli raggruppamenti ritornano di eternità in eternità. L’intera natura organica,
aria, terra, acqua, monti e valli, sole e luna, tanto quanto le piante, l’animale e
l’uomo […]. L’uomo odierno non rappresenta affatto il punto più alto nella organizzazione di potenza della Natura, e si possono ben pensare, al disopra di lui, figure più alte, superuomini; ma tanto l’uomo quanto il superuomo nell’infinito circolare della girante ruota dei tempi sono esistiti già infinite volte e ritorneranno
ancora infinite volte»32.
1.4. UN TERRENO PIÚ ‘PURO’ E LA VOLUNTÀ DI POTENZA COME UNICA
MORALE POSSIBILE
Opinione diffusa è che il rapporto di Nietzsche con la religione sia quello di “un’ostilità e di un’avversione amarissima”, giacché egli dichiara una spietata “guerra a coltello” al
cristianesimo e intitola L’Anticristo uno dei suoi libri più famosi. Ma, si è anche detto, chi
sa scrutare l’essenza delle religioni e penetrare il senso delle opere nietzscheane, non da
“ospite fugace”, forse non prova difficoltà a riconoscere che la sua filosofia è la preparazione teorica di un terreno “più puro” per la religione. Nietzsche, la cui personalità, paradossalmente, secondo questa interpretazione, è eminentemente religiosa33, ovvero propria di
chi sa di essere in occulto e messianico contatto con la verità, tenta di materializzare con ostinazione, affidando all’inchiostro la forza delle sue rivelazioni, il suo più intimo credo.
Questo intimo contenuto non consiste nel riconoscere l’insindacabile verità di un certo numero di dogmi, e tanto meno nel sentirsi membri di una comunità mistica. Piuttosto è
«quell’intimo stato d’animo in cui le forze del nostro spirito arrivano agli estremi confini di
se stesse»34; è la posizione di un uomo la cui volontà e il cui sentimento desidera penetrare
“il complesso di tutto ciò che è”, “la totalità della vicenda del mondo”35.
L’umanità, nella sua evoluzione, dovrebbe proiettarsi, secondo Nietzsche, verso
tutto ciò che eleva il senso della potenza. La volontà di potenza, la potenza stessa dell’uomo, è l’unica morale possibile, ed essa dovrebbe porsi come obiettivo il raggiungimento di
qualcosa di migliore, di più forte, di più elevato. E questo qualcosa di migliore, di forte, di
elevato, è un tipo umano di valore superiore; qualcosa che in rapporto con l’umanità nel suo
insieme è una sorta di superuomo, più degno di vivere, più certo dell’avvenire. Tipi umani
32 FÖRSTER, E & NIETZSCHE, F (1927). Introduzione a Trasmutazione di tutti i valori, da Opere complete
di Federico Nietzsche, tr. it. di A. Treves, Prefazione di R. Oehler, Monanni, Milano, X, p. 25. Elisabetta
Förster richiama in queste pagine una lezione su Nietzsche tenuta dal professor Raoul Richter.
33 Nietzsche da ragazzo, come racconta sua sorella, sembra che abbia scritto: “A dodici anni io ho veduto Dio
nel suo splendore”. Forse «fu precisamente la sua profonda pietà e religiosità, la quale non poteva trovare
soddisfazione nel cristianesimo odierno, il motivo per cui sin dalla sua adolescenza [egli] si allontanò sempre più da questo. Cfr. FÖRSTER, E & NIETZSCHE, F (1927). Op. cit., p. 18.
34 Ibidem.
35 Ibidem.
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di superiore valore sono già esistiti, anche abbastanza spesso, ma come caso fortunato,
come eccezione; mai come qualcosa di voluto. L’umanità infatti non mira ad allevarli, anzi
li teme, «e prendendo le mosse dal timore è stato voluto, allevato, raggiunto il tipo opposto:
l’animale domestico, l’animale d’armento, l’uomo come animale malato - il cristiano…»36.
2. L’ HOMO COMMUNIS
L’invocata uguaglianza delle anime non è altro, per Nietzsche, che una bieca falsità,
un pretesto per le “rancunes” di tutte le anime ignobili, principio di decadenza dell’intero
ordine sociale. Il fine dell’altruismo, anche in quella forma massimamente istituzionalizzata che è lo Stato moderno, è solo un ostacolo a riconoscere l’individuo nella sua differenza e
uno strumento occulto che mira, per sua convenienza, a rendere tutti uguali. Nietzsche
scorge nelle politiche statali e sociali “un ostacolo per l’individuazione”, e “una elaborazione dell’homo communis”37, la quale altro non è che una trasmutazione forzata della natura umana, volta a un fine specifico e pericoloso. «L’uomo comune ed uguale viene desiderato solo perché gli uomini deboli temono il forte individuo e preferiscono, in luogo dello
sviluppo verso l’individuo, l’indebolimento generale»38. La morale odierna, dunque, giustifica l’indebolimento generale sulla stessa linea del cristianesimo che ha voluto indebolire
e rendere uguali uomini forti e spirituali per assecondare gli interessi degli uomini deboli,
calibrando, a loro esclusivo vantaggio, le relazioni sociali. Le “verità assolute”, difatti,
«sono strumento di livellamento, esse corrodono e distruggono le forme caratteristiche»39.
La società europea, sulla scia della morale dominante, produce «la pappa molle, la
sabbia malleabile dell’umanità. La tendenza dei giudizi universali è la comunanza dei sentimenti, cioè la loro povertà e fiacchezza. È la tendenza verso la fine dell’umanità»40. L’homo communis, l’uomo uguale all’altro uomo, dotato di identici sentimenti e giudizi, non
esiste in realtà, ma solo come forzatura della realtà. E l’umanità, ridotta all’homo communis, a “sabbia malleabile”, si consumerà per irrealtà, logorandosi nella miserabilità e nella
fiacchezza dell’animo, dei sensi, dei pensieri, dei costumi.
Nietzsche ha ragione nel costatare i gravi problemi dell’individuo e della collettività,
i quali, col trascorrere dei secoli, si sono allontanati lungo cammini divergenti, e continuano ad allontanarsi.
«Ciò che la collettività si attende dall’individuo, presuppone in lui, è sempre diverso da quello che egli scopre in se stesso come autentico, sorgivo. E chi è qualcosa di più che una formica, chi vuol lasciare dietro di sé una traccia durevole tra
le apparenze, il suo strascico, di cometa o di lumaca, viene frantumato dal mondo
36 NIETZSCHE, F (1970). L’Anticristo, tr. it. di F. Masini - R. Calasso, Milano, Adelphi, 3. Per un approfondimento delle tematiche trattate cfr. ALFIERE, L & CORRADINI, D (1992). Op. cit., cap. IV, Cristianesimo e
“grande politica”, pp. 183-232.
37 NIETZSCHE, F (1964). Frammenti postumi 1880 -1881, tr. it. di F. Masini, M. Montinari, Adelphi, Milano,
3[59].
38 Ibidem.
39 Ibidem.
40 Ibidem.
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Il Profetismo di Nietzsche
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umano, non dalla sua ostilità, ma semplicemente dalla sua estraneità, dalle sue regole, dai suoi comportamenti, dalle sue consuetudini»41.
L’armonia del mondo antico effettivamente è perduta, e forse questo spiega la nostalgia di Nietzsche e l’elogio così spesso rivolto all’antichità, nella quale l’individuo, con le
sue doti personali, poteva ancora rifulgere42. Invece avviene che l’apparizione nel mondo
di una grande personalità generalmente si accompagni «al quadro di un’esistenza tragica,
quando non intervenga un temperamento accomodante o vile a preservare l’individuo»43.
Ma quale importanza può avere, per gli uomini cosiddetti postmoderni, se proprio
Nietzsche non riuscì a realizzare la vita integra che tanto proclamava?
«E certo la curiosità pettegola dei nostri contemporanei, che si è gettata avidamente sulla disgregazione dell’uomo, non è riuscita a sminuire per nulla l’espressione di questo individuo, ciò che lui mise fuori di sé, sopra di sé. Poiché, in un
mondo che stritola l’individuo, Nietzsche è stato capace di farci vedere l’individuo non piegato dal mondo. Questo risultato lo raggiunse in un’epoca che si è
compiaciuta - e il compiacimento oggi è anche più forte - di mostrare la vita spezzata, l’individuo fallito»44.
È vero, la persona di Nietzsche è stata frantumata, ma ciò “non dimostra nulla contro
di lui. In cambio egli ci ha lasciato un’immagine diversa dell’uomo”, e c’è d’augurarsi che
con questa, onestamente, possiamo misurarci noi ‘postmoderni’.
3. IL PARERE DI JASPERS SU NIETZSCHE
Nietzsche, per Jaspers, diventa un educatore; ma solo nella misura in cui sapremo
«dominare quelle illusioni a cui egli ci conduce in modo cosi seducente»45. Spesso, invece,
i nichilisti utilizzano a loro piacere le espressioni, le affermazioni e le posizioni estreme di
Nietzsche allontanandosi dal suo pensiero. «La profondità di ciò che è possibile, insita nella tendenza nietzscheana alla negazione, può portare nel nichilismo a mascherare il nulla
nell’entusiasmo per il nulla; e, per velare appunto ciò che vi è di insopportabile, bisogna
41 COLLI, G (1978). Dopo Nietzsche. Come si diventa un filosofo, Bompiani, Milano, p. 174.
42 Nietzsche in Sull’avvenire delle nostre scuole, trasporta la contrapposizione burckhardtiana tra cultura e
Stato nel suo presente, mostrando come, ai suoi giorni, la cultura sia soccombente di fronte allo Stato, e
«come l’estendersi dell’istruzione da un lato, e il suo indebolirsi e specializzarsi dall’altro, portino fatalmente a una totale subordinazione della cultura allo Stato. Nietzsche sembra proporre la speranza di poter invertire questa tendenza. Forse pensava a gruppi di resistenza, all’unione di individui in nome dell’inattualità,
alla restaurazione di un classicismo non universitario». COLLI, G (2006). Nota introduttiva di G. Colli,
Adelphi, Milano, pp. X-XI.
43 COLLI, G (1978). Op. cit., p. 174. La lista sarebbe lunga, aggiunge Colli, «Nietzsche è un esempio clamoroso, emblematico, di questo destino. Ed eccezionale è il suo pudore, la lotta temeraria, disperata, di chi si sente
destinato a soccombere, eppure tenta di mascherare la sua sorte».
44 Ibíd., p. 175.
45 JASPERS, K (1996). Nietzsche. Einführung in das Verständnis seines Philosophierens, tr. it. Nietzsche.
Introduzione alla comprensione del suo filosofare, a cura di L. Rustichelli, Mursia, Milano, p. 405.
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che sorga questo rumoroso vociferare, che è nello stesso tempo un modo illusorio di vagheggiare, e che sembra ispirato dai testi di Nietzsche»46.
Ma proprio il momento storico della svolta della nostra civiltà occidentale deve indicare il modo in cui Nietzsche può diventare il nostro educatore, non con “insegnamenti dottrinari” o “asserzioni perentorie”, ma grazie al fatto che con lui “sperimentiamo le possibilità dell’esserci umano”, “tentiamo possibili valutazioni, aumentiamo la nostra sensibilità
ai valori”. Con Nietzsche, infine, “veniamo condotti ai limiti” e dunque “all’origine della
nostra coscienza”. «Nel fuoco del suo pensiero, il nostro esserci, messo alla prova dalla sua
illimitata sincerità e dal pericolo insito nel suo metter tutto in discussione, può infine purificarsi e rendersi intimamente conto del proprio autentico essere-sé»47.
4. IL DELITTO CONTRO L’ UMANITÀ
Nel fuoco del pensiero nietzscheano, secondo l’espressione usata da Jaspers, brucia la
denuncia dell’allarmante stato di degrado e di infiacchimento della civiltà occidentale, imputabile innanzitutto al cristianesimo con il suo apparato ecclesiastico arroccato in istituzioni e ordinamenti secolari che del messaggio evangelico presumono farsi portavoce. L’intera umanità ha
subìto un grave crimine: essa è stata immiserita, resa incapace di vivere e di amare in modo autentico. Ma responsabile di questo delitto contro l’umanità non è solo il cristianesimo e ogni
morale dell’altruismo che ad esso si ispira. Colpevoli sono anche le istituzioni e le strutture politiche, sociali e giuridiche di cui si è andata, via via, sovraccaricando la nostra civiltà. Da un
lato, religione e morale, hanno cercato di svalutare la vita terrena e carnale condannando, nel
contempo, tutte le qualità degli uomini superiori a favore dei deboli e della loro debolezza; dall’altro, i modelli uniformi di comportamento delle società, sottoposti a istituzioni giuridiche autorevoli - ad esempio lo Stato, la famiglia, la scuola, il partito - hanno impedito all’individuo di
sviluppare e fortificare le sue risorse specifiche come invece avrebbe potuto. Nietzsche si oppone anche alla metafisica e ai filosofi48, alle cui costruzioni articolate e laboriose non crede,
sebbene per tutto il percorso della sua fervente vita intellettuale egli abbia probabilmente cercato di elaborare una filosofia sistematica - sulla cui inattuabilità Jaspers ha scritto pagine mirabili49. Anche la scienza moderna, con i suoi fautori, si rivela spesso un porto fuorviante per la natura dell’uomo. Essa è solo il calco più recente dell’ideale ascetico, con la sua fede nella verità
come valore in sé, superiore ad ogni altro valore50.
46 Ibíd., p. 407.
47 Ibíd., pp. 408-414.
48 Cfr. sull’argomento, LÖWITH, K (2000). Da Hegel a Nietzsche, Einaudi, Torino; LÖWITH, K (2000). Dio,
uomo e mondo nella metafisica da Cartesio a Nietzsche, Donzelli, Roma.
49 JASPERS, K (1946). La mia filosofia, Einaudi, Torino, pp. 60-72. Per Jaspers, in Nietzsche «c’è un nuovo
modo di filosofare, che non diventa sistema di pensiero perfettamente elaborato. Quello che egli volle e fece,
rimane sempre aperto e indeciso. Egli è come un eterno ricominciare da capo […] l’uomo nel suo divenire».
Ivi, p. 72. Giametta osserva, invece, che Nietzsche per tutta la vita sogna «l’Hautptwerk, l’opera fondamentale, sogna cioè di essere, di diventare filosofo sistematico, pur disprezzando la filosofia sistematica e pur
contestando ai filosofi sistematici di scrivere solo delle memorie personali quando scrivono i loro sistemi.».
GIAMETTA, S (2003). Introduzione a L’Anticristo, in Opere filosofiche di F.W. Nietzsche, Classici della filosofia, collezione fondata da N. Abbagnano, diretta da T. Gregory, vol. secondo, Utet Torino, p. 504.
50 Cfr. PENZO, G (1999) (a cura di). Nietzsche. Atlante della sua vita e del suo pensiero, Rusconi, Santarcangelo, voce Scienza di Vereno Brugiatelli, p. 320 ss.
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5. L’UMWERTUNG
Ma una gaia scienza si interroga sul vero significato dei cosiddetti valori morali e diviene consapevole che essi sono un pericoloso segno di impoverimento anziché di pienezza della vita. E si indirizza ai figli dell’avvenire, ai senzapatria, a coloro che vivono con disagio il proprio tempo, agli spiriti liberi amanti dell’avventura e del pericolo, ma ostili ad
ogni ideale. Gli spiriti liberi non vogliono tornare indietro verso nessun passato, ma neppure si adoperano per il progresso e per l’affermarsi dell’uguaglianza e della pace tra gli uomini. Essi sanno vivere uno stato di gaiezza che si può provare solo abbandonando la morale corrente, ponendosi al di là del bene e del male, slegandosi da molti ormeggi vischiosi,
conquistando una condizione di leggerezza paragonabile alla danza.
Già in Umano, troppo umano, Nietzsche, dopo aver colto l’esigenza di capovolgere
tutti i valori per salvare l’umanità, si pone una serie di domande inquietanti: se non sia forse
bene il male; se Dio non sia solo un’invenzione e una finezza del diavolo; se tutto non sia, in
ultima istanza, falso; se, essendo noi ingannati, non siamo per ciò stesso ingannatori, anzi,
se non dobbiamo essere per forza ingannatori. Proprio la morale, visti gli errori da cui trae
la sua origine, rappresenta il maggior pericolo per la vita dell’uomo. Ma l’Umwertung, il
capovolgimento radicale, lo svilimento dei valori morali, può compiersi solo approfondendo fino alle sue ultime conseguenze l’inclinazione dell’uomo teoretico alla verità, quell’incendio che, a partire da Platone e dalla fede cristiana, è divampato fino a noi: l’amore per la
verità. Proprio questo tipo di amore, che ha preso sentieri fuorvianti, può consentire di levare la maschera alle presunte verità che fondano la morale tradizionale e che invece inducono l’umanità in esiziali errori. Occorre liberarsi dalla credenza che esistano la giustizia,
l’amore per il prossimo, Dio, la “Verità”. Il processo di liberazione inizia con l’abbattere
l’errore che è andato avanti per millenni: la fede in Dio. Il declino inarrestabile della fede in
Dio, libererà l’umanità dalla coscienza della colpa. Si dischiuderà una breccia per il nichilismo attivo, capace di conseguire il ribaltamento di tutti i valori.
Ma a chi, gli uomini postmoderni, dovranno appigliarsi con le loro speranze? Questa
la risposta che Nietzsche dà ai posteri:
«A filosofi nuovi, non resta altra scelta; a spiriti abbastanza forti e originali per
dare impulso a valutazioni opposte e per trasvalutare, rovesciare i “valori eterni”;
a precursori, a uomini dell’avvenire, i quali stringano nel presente il vincolo e il
nodo che costringerà la volontà di millenni a prendere nuove strade. Per insegnare
all’uomo che l’avvenire dell’uomo è la sua volontà»51.
6. LO SPIRITO ORIGINALE E I MESSAGGI DI ZARATHUSTRA
Zarathustra è lo spirito forte e originale che viene tra gli uomini per dare impulso a
valutazioni nuove, per insegnar loro a rovesciare e trasmutare i “valori eterni”. Zarathustra
è il Gesù Cristo di Nietzsche, il suo Messia, un mito della modernità che si serve del linguaggio simbolico per riuscire ad annunciare agli uomini messaggi essenziali, di vitalità
primordiale e salvarli dalla loro condizione infelice.
51 NIETZSCHE, F (2003). Op. cit., Per la storia naturale della morale, 203, pp. 120-121.
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A Zarathustra venuto nel mondo per vincere la svalutazione della realtà, per sollecitare la capacità degli uomini di ‘superarsi’, per prospettare futuri alitanti che eternamente
ritornano, a questo Zarathustra, secondo Nietzsche, l’uomo deve prestar fede.
6.1. L’ETERNO RITORNO
Zarathustra si fa portavoce sulla terra di tre solenni messaggi: la morte di Dio, l’autosuperamento vitale che l’uomo può fare di se stesso, la dottrina dell’eterno ritorno.
Ecco in cosa si traduce l’eterno ritorno. “Tutto quello che è rettilineo mente”, dice il
nano a Zarathustra. “Tutte le verità sono ricurve, il tempo stesso è un circolo”. E Zarathustra risponde al nano: «Guarda […] questo attimo! Da questa porta maestra detta Attimo si
diparte all’indietro una via lunga ed eterna: dietro di noi si stende un’eternità. Quelle che
fra le cose possono camminare non devono per forza aver percorso una volta questa via?
Non deve ogni cosa che può accadere essere già accaduta, compiuta, passata oltre?»52. Ciò
che ritorna non è qualcosa in particolare, ma il carattere conflittuale delle antinomie, che
contrappongono ininterrottamente elementi propri dell’esperienza empirica, ma anche valori, scopi, verità.
«[…] tutte le cose eternamente ritornano e noi con loro, […] noi siamo già esistiti
un numero eterno di volte, e tutte le cose con noi. […] Ora muoio e dileguo, diresti, e in un attimo sarò un nulla. Le anime sono mortali come i corpi. Ma il groviglio
di cause in cui sono implicato ritornerà, - e mi riprodurrà! Io stesso sono una delle
cause dell’eterno ritorno»53.
Nel mondo nato dalle rovine dell’identità, secondo l’interpretazione nietzscheana di
Deleuze, non torna l’essere né tanto meno l’uno; ma lo stesso ritornare è istitutivo dell’essere che si afferma nel divenire e dell’uno che si afferma nel molteplice.
«Torna il ritornare, nelle innumerevoli possibilità offerte dal gioco. Se il “lancio
di dadi” sta dalla parte del caso e la combinazione che ne deriva dalla parte della
necessità, l’eterno ritorno è il risultato del tiro e la sua riproposizione. È così conferito un nuovo statuto alla forma del pensiero, in grado di cogliere la necessità del
caso, l’uno del molteplice, l’essere del divenire. In altri termini, in grado di cogliere che “ritornare è l’essere di ciò che diviene”»54.
52 NIETZSCHE, F (1986). Così parlò Zarathustra, tr. it. A.M. Carpi, Bompiani, Milano, p. 167. Fissando l’interesse sul capitolo Il convalescente, Deleuze evidenzia la tecnica «di teatralizzazione che lo sottende e di
cui Nietzsche si serve per mettere in scena due nozioni diverse di eterno ritorno. Soltanto la seconda è autenticamente antimetaforica e si “esprime” attraverso il silenzio e la presa di distanza nei confronti della prima.
Astuzia stilistica per evitare la banalità del tutto torna, in un’ennesima riproposizione del pensiero ciclico,
quindi della logica dell’identità e della negazione». Questo recitano gli animali di Zarathustra: «Tutto s’allontana, tutto ritorna; eterna gira la ruota dell’essere. Tutto muore, tutto rifiorisce, eterno fluisce l’anno dell’essere. Tutto si spezza, tutto viene riconnesso; eternamente si edifica la casa dell’essere, sempre la stessa.
Tutto si separa, tutto s’incontra di nuovo; eternamente fedele a se stesso è l’anello dell’essere. In ogni istante
ha principio l’essere; attorno ad ogni “qui” ruota la sfera “là”. Dappertutto è il centro. Curvo è il sentiero
dell’eternità». NIETZSCHE, F (1986). Op. cit., p. 232.
53 Ibíd., p. 235.
54 DELEUZE, G (1978). Op. cit., p. 82.
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Eterno ritorno significa, allora, divenire senza inizio e senza fine. L’eterno ritorno
dell’uguale (ewige Weiderkehr des Gleichen) è incessante divenire della conflittualità, da
cui scaturisce la necessità di cogliere e vivere l’innocenza di ogni attimo. Infatti, non solo le
cose da valutare “divengono” senza sosta, ma anche i criteri di valutazione “divengono”
incessantemente. Su nulla, dunque, è possibile dare un giudizio definitivo ed assoluto. Il divenire “è giustificato in ogni attimo”55. La sua ‘innocenza’ induce a svincolarsi da ogni finalismo, e, di conseguenza, dalla falsa certezza che le condotte siano intenzionali, dalla
presunzione che la storia umana abbia uno scopo, dall’ipotesi che l’universo si evolva in
qualche direzione precisa, dall’illusione di poter capire e dare una definizione inequivocabile ad ogni azione umana. L’eterno ritorno, non può essere recitato nemmeno nella prospettiva del ciclo, che causa il «disgusto» e lo «schifo» di Zarathustra, perché con esso sarebbe ripetuto il nichilismo delle forze reattive contro le forze attive, e immortalato il trionfo della logica negativa delle opposizioni sulla logica positiva della creazione. L’eterno ritorno di Zarathustra, invece, è un’ontologia selettiva che annuncia la fine della «degenerazione» della storia e si gioca sul piano totalmente positivo di un’affermazione che afferma
se stessa: il divenire del mondo lieve e copioso delle volontà, rappresentato da Dioniso.
Questa è la differenza tra il «sì» dell’asino e il «sì» di Zarathustra: il primo assume pesi che
mortificano la vita, il secondo crea valori che la esaltano. Sfuggendo alla presa della dialettica, affermare significa alleggerire la vita. Il ritorno della differenza come affermazione,
si inscrive in un processo di ripetizione che libera dal nichilismo eliminando le «mezze volontà» e liberando le forme superiori di esistenza condensate nella figura del superuomo.
Grazie all’annuncio dell’eterno ritorno, il risentimento e la volontà di vendetta, malattie tipiche del genere umano inferiore, potranno guarire, e si finirà di considerare il passato come uno stato di cose delle cui colpe si cercano ossessivamente i responsabili, progettando il futuro come rivalsa e occasione di vendette. Rivalse e vendette si sono sempre
dimostrati espedienti inutili e crudeli, poiché veri responsabili non ce ne sono.
6.2. “DIO È MORTO”
Zarathustra é venuto per trascinare molti seguaci dell’ortodossia lontano dal gregge e
dai pastori, spezzando le tavole dei valori. Un’altra grande verità di cui egli si fa messaggero è
che “Dio è morto”. Dio è una supposizione dell’uomo, che, crollata, non dà più spazio a speranze ultraterrene. Si può tornare ad essere fedeli alla vita e alla terra, non c’è più diavolo né
inferno. Dio era una limitazione artistica per l’uomo, che si imbatteva in valori già belli e fatti,
e ad essi doveva solo uniformarsi. È l’uomo, invece, che deve creare valori. Del resto, cosa gli
rimarrebbe da inventare se esistessero gli dèi? La ‘morte di Dio’ provoca la fine dei valori che
consacravano il “no” inequivocabile alla vita terrena, la disistima di essa nella convinzione
che vi fosse un mondo dietro il mondo, ovvero che vi fosse un’altra vita. Ha fine anche la presunzione che tutti gli uomini siano uguali davanti a Dio e a se stessi. Il messaggio che Zarathustra porta tra gli uomini “Dio è morto”, indica, secondo Klossowski, «la liquidazione defi-
55 Sull’interessante tematica del divenire cfr. SCARDAONI, F (1945). Nietzsche e lo spirito dell’avvenire,
Milano; DELEUZE, G (1999). Divenire molteplice. Nietzsche, Foucault ed altri intercessori, Ombre Corte,
Verona; VATTIMO, G (2005). Introduzione a Nietzsche, Laterza, Bari; CECCHINI, A (2003). Il divenire
innocente in Friedrich Nietzsche, Glossa, Milano.
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nitiva del garante supremo del principio dell’identità»56. La correlazione tra “morte di Dio”
ed “eterno ritorno” rende esplicita la scoperta che ogni identità è simulazione. «Le opposizioni lungo le quali si era soffermato il pensiero dialettico lasciano ora intravedere una stratificazione di livelli che ne esclude la netta contrapposizione e ne sfuma la fisionomia»57.
Se tutto è apparenza, lo Stesso e l’Altro non si ergono quali contrari irriducibili; lo stesso è
sempre un altro, e mai lo stesso altro si dissimula sotto la stessa maschera, dunque nemmeno
colui che crede di essere “lo stesso è lo stesso” in un processo imperituro di universalizzazione-disindividualizzazione58 che richiama la monotonia sadiana. Nel rifiuto assoluto di ogni
referente, il carattere di “parodia” lascia emergere le dinamiche del travestimento quale attributo necessario dell’esistenza. Dunque, la possibilità di una dimensione che sia immune dalla simulazione svanisce: tutte le cose sono “fantasmi” e “simulacri”.
La “morte di Dio” significa, ad un tempo, la fine di un approccio consolatorio al mondo e la rivelazione che la realtà si modella sulla legge originaria ed eterna della natura, la
legge cioè dell’incessante aumento di potenza.
6.2.1. LA DANZA E IL CANTO
Dio é morto. Zarathustra é il “senzadio”, che perciò consegue una nuova leggerezza,
può danzare in catene liberamente e con leggiadria; è lo spirito libero tout court. «Può danzare, ridere e rovesciare le vecchie tavole dei valori, in opposizione ai dispregiatori del corpo, ai rassegnati, allo spirito di gravità (che impedisce agli uomini superiori di spiccare il
volo)»59. È il trionfo del gioco, dell’infinita apertura sul possibile, cui rimanda la nozione di
chance. Se Gesù e Budda erano “saggi”, “salvatori”, «Zarathustra è qualcosa di più: un seduttore, che rideva dei compiti che si era assegnato»60. Zarathustra non ha bisogno di fissare compiti, per sé o per i discepoli, così diviene il maestro di un’emancipazione totale che
non desidera inserirsi in un movimento politico limitato ma rivolgere l’attenzione alle infinite possibilità della vita61. Zarathustra dice che potrebbe credere solo in un Dio che sappia
danzare e «completa il suo annuncio profetico in questi termini: Morti sono tutti gli dèi: ora
vogliamo che il superuomo viva»62.
6.3. L’ ÜBERMENSCH COME SUPERUOMO
Nietzsche, per bocca del suo Zarathustra, annuncia che finalmente non c’è più un Dio
che dica all’uomo che cosa deve fare, e l’uomo, che sinora è stato una fune sospesa tra la
bestia e il superuomo, può giungere a un suo “superamento”, a un “oltre” da sé, con un balzo, più che con una graduale evoluzione.
56 CAPPELLETTI, FA (1984). Op. cit., p. 15. Cfr. KLOSSOWSKI, P (1981). Op. cit., p. 201; DELEUZE, G
(1979). Logica del senso, tr. it. di M. de Stefanis, Feltrinelli, Milano, pp. 223 e ss.
57 Ibidem.
58 DESCOMBES, V (1979). Le méme et l’autre. 45 ans de philosophie française (1933-1978), Minuit, Paris,
p. 213.
59 Cfr. FUSARO, D (s/f). La Filosofia e i suoi eroi. Federico Nietzsche, sito web (a cura di); FUSARO, D
(2007). La farmacia di Epicureo. La filosofia come terapia dell’anima, Il Prato, Padova.
60 BATAILLE, G (1980). Su Nietzsche, tr. it. di A. Zanotto, Cappelli, Bologna, p. 121.
61 Cfr. BATAILLE, G (1972). Nietzsche e i fascisti, “Il Verri”, n. 39/40, 1972, pp. 9-13.
62 Cfr. FUSARO, D (s/f). Op. cit.
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È opportuno aprire una digressione sull’enorme suggestione prodotta, nella cultura
letteraria del suo tempo e in quella nostra, dalla figura del “superuomo”. Gli amici del ‘superuomo’, dalla fine dell’800 fino ai nostri giorni, sono innumerevoli, per l’enorme influenza che hanno avuto le opere di Nietzsche, soprattutto il suo Zarathustra. Seguaci e avversari della filosofia nietzscheana spesso non si sono preoccupati di consultare le accurate
ricerche critiche e biografiche compiute sul filosofo più controverso del XIX secolo, ma
hanno preso spunto dal variopinto arsenale dei suoi scritti per ciò che poteva servire ai loro
scopi63. Ciò è avvenuto in particolar modo “per letterati, artisti, poeti e romanzieri, drammaturghi e filosofi dilettanti”. Spesso non sono neppure pensieri ciò che essi hanno selezionato per i loro intenti, «ma solo formule, più o meno bizzarramente adattate. Una scimmia che tiene innanzi al muso una maschera di leone fregia la copertina di un libro di Leo
Berg dedicato al “superuomo nella letteratura moderna”, uscito nel 1897»64. Gli amici del
‘superuomo’, da questo punto di vista, erano tutti, più o meno, «scimmie mascherate da
leoni. Così parlò Zarathustra era l’opera più letta: D’Annunzio e Knut Hamsun, Hermann
Sudermann e Frank Wedekind, Richard Dehmel e Gerhart Hauptmann - tutti credono di sapere che cosa sia il superuomo»65. Si può sostenere invece che, come sempre in casi del genere, probabilmente molti equivoci hanno preso a circolare dopo le interpretazioni di ciò
che ha detto Nietzsche da parte di autori suggestionati dal suo influsso. Nomi di autori importanti da ricordare sono quelli di Thomas Mann e Robert Musil, Heinrich Mann e Hermann Hesse; poi tutta la cerchia di Stefan George, e ancora Rainer Maria Rilke e Hugo von
Hofmannsthal, Stefan Zweig e Gottfried Benn66. Ma è anche opportuno sottolineare che gli
eventuali equivoci delle interpretazioni nietzscheane, hanno prodotto frutti importanti per
l’arricchimento del panorama culturale e letterario del pensiero europeo.
6.3.1. L’ ÜBERMENSCH COME OLTRE UOMO
Per quanto riguarda l’annuncio del superuomo fatto da Zarathustra, si deve evidenziare il ripetersi, in Also sprach Zarathustra, di parole con il prefisso Über-, rilevando
come nel prefisso Über- ci sia l’idea di potenziamento, ma con un rinvio costante al significato di rovesciamento che non può essere trascurato67. La caratteristica dell’Überwindung
(superamento), convalida l’ipotesi che sia maggiormente adeguato tradurre Über Mensch
come oltreuomo e non come superuomo68. Difatti, il protagonista di Also sprach Zarathustra, è un uomo che ha superato l’asservimento alla morale e ai costumi dominanti e che trova, di volta in volta, in se stesso, la forza di andare “oltre”.
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68
MONTINARI, M (1975). Che cosa ha veramente detto Nietzsche, Astrolabio-Ubaldini, Roma, p. 140.
Ibidem.
Ibidem.
Ibidem.
NAUMANN, G (1899-1901). Zarathustra-Commentar, Leipzig, I, pp. 52-53.
Cfr. VATTIMO, G (1974). Il soggetto e la maschera. Nietzsche e il problema della liberazione, Milano
1974, riediz. Bompiani, Milano 2003; VATTIMO, G (2001). Le avventure della differenza. Che cosa significa pensare dopo Nietzsche e Heidegger, Garzanti, Milano. VATTIMO, G (2003). Nichilismo ed emancipazione. Etica, politica, diritto, Garzanti, Milano; VATTIMO, G & SANTIAGO, Z (2005). Nichilismo e religione, Casini, Cesena. VATTIMO, G (2005). Introduzione a Nietzsche, Laterza, Bari-Roma. VATTIMO,
G (2007). Ecce comu. Come si ri-diventa ciò che si era, Fazi, Roma.
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L’Übermensch non è più il presunto soggetto forte del cristianesimo, provvisto di libero arbitrio, capace di distinguere il bene dal male, e di scegliere l’uno o l’altro con merito
o colpa intenzionali. In realtà, l’Übermensch, non è più l’uomo soggiogato alla morale e,
come tale, non potrà essere più giudicato e punito da Dio, cioè dal prete e dalle etiche dominanti. L’oltreuomo accetta il destino della sua esistenza come si accetta la sorte di un “lancio di dadi” - secondo un’immagine nietzscheana ricorrente - e la destinazione (Geschick)
di ciò che, generalmente, nella natura e nella storia, avviene, senza aver bisogno “di principi di fede estrema”, ammettendo, ma anche amando (l’amor fati) “una buona parte di caso,
di assurdità”69.
Così parla Zarathustra al popolo del mercato giunto per guardare il funambolo:
«Io vi insegno il superuomo. L’uomo è qualcosa che deve essere superato. Che
avete fatto per superarlo?
Finora tutti gli uomini hanno creato qualcosa al di sopra di loro stessi: e voi volete
essere il deflusso di questa grande marea e ritornare all’animale piuttosto che superare l’uomo?».
E ancora: «Ecco, io vi insegno il superuomo!
Il superuomo è il senso della terra. La vostra volontà dica: il superuomo sia il senso della terra!
Io vi scongiuro, fratelli miei, restate fedeli alla terra e non prestate fede a coloro
che vi parlano di speranze ultraterrene! Sono avvelenatori, lo sappiano o no».
Dopo queste parole, il popolo si mette a ridere di Zarathustra e chiede di vedere il funambolo. Allora Zarathustra si meraviglia e dice:
«L’uomo è una fune sospesa tra l’animale e il superuomo, - una fune sopra l’abisso.
Un pericoloso passare dall’altra parte, un pericoloso esser per via, un pericoloso
guardarsi indietro, un pericoloso inorridire e arrestarsi.
Quel che è grande nell’uomo è che egli è un ponte e non una meta: quel che si può
amare nell’uomo e che egli è transizione e tramonto (was geliebt werden kann am
Menschen, das ist, dass er ein ‘Übergang’ und ein ‘Üntergang’ ist).
69 Secondo Vattimo, Nietzsche, prima di Heidegger, (il quale lo porterà al compimento), procede all’indebolimento dell’essere, che poroso e continuamente decifrato e decifrabile, diventa una deriva destinale, lontana
anni luce dal solido monolite autoevidente dell’essere di Parmenide. Vattimo afferma il non senso del termine superuomo, il quale racchiuderebbe un significato dannunziano che non è confacente al pensiero di
Nietzsche, tanto è vero che l’oltreuomo nietzscheano «si manifesta come una forma di umanità collocata totalmente “oltre” l’uomo così com’è oggi». Cfr. VATTIMO, G (1974). Op. cit., p. 283. Oltre Vattimo, anche
Cacciari e Severino collegano alle teorie nietzscheane il loro pensiero debole, ritenendo che non sarebbe
possibile pensare la “postmodernità” senza Nietzsche. Per Cacciari l’Übermensch nietzscheano «Non è
l’uomo superiore all’ennesima potenza; è il totalmente altro rispetto a ogni determinata affermazione di forza o potenza». Cfr. CACCIARI, M (1994). Geofilosofia dell’Europa, Adelphi, Mlano, 4ª ed. Per
SEVERINO, E: «Il superuomo non è un individuo che per definizione è qualcosa rispetto a cui il mondo è esterno e indipendente; non è un io o una coscienza individuale, ma è il pensiero più potente, che è insieme la
volontà più potente; il dire sì alla vita che, come eterno piacere del divenire, è anche il piacere dell’annientamento di ogni individualità: la dimensione del dionisiaco che dice di sì a se stessa». SEVERINO, E (1993).
L’anello del ritorno. Adelphi, Milano, p. 393. Cfr. anche E. SEVERINO, E; PIERETTI, A & LOMBARDI
SATRIANI, LM (2006). Il problema del fondamento e la filosofia italiana del Novecento, Aracne, Roma;
SEVERINO, E (2006). La filosofia futura. Oltre il dominio del divenire, BUR Biblioteca Univ. Rizzoli, Milano. SEVERINO, E (2006). Il muro di pietra. Sul tramonto della tradizione filosofica, Rizzoli, Milano.
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Laura ZAVATTA
Il Profetismo di Nietzsche
Io amo coloro che non sanno vivere se non per tramontare, perché essi sono una
transizione (Ich liebe die, welche nicht zu leben wissen, es sei denn als Untergehende, denn es sond die Hinübergehenden)»70.
Se Übergang esprime l’andare oltre lo Zwischenwesen, che sarebbe una creatura non
ancora determinata, ovvero, una creatura ancora asservita all’etica dominante, la volontà di
tramonto (Untergang) diviene volontà di superamento (Übergang): un’idea di transizione,
resa dall’immagine di un andare al di là (oltre), che implica l’idea del tramonto, resa dall’immagine dell’andare in alto (il sole è alto significa il sole tramonta, e viceversa)71.
7. IL ‘SUPERUOMO’: L´UOMO TRASFORMATO COL MARTELLO
L’uomo, dunque, non è un punto di arrivo, ma un punto di partenza per giungere al
superuomo: l’uomo che va oltre se stesso, il quale gravita soltanto su di sé ed è pronto ad affrontare l’esperimento di nuove forme di vita, vincendo la paura del pericolo. «La nozione
di superuomo è andata soggetta a molti fraintendimenti nel corso della storia e con il Nazismo il concetto è stato indebitamente esteso, passando da superuomo a “super-razza”. Nella
sua autobiografia, Ecce homo, Nietzsche dà una definizione di superuomo come il “tipo
riuscito al massimo grado”, radicalmente differente dall’uomo moderno, buono, cristiano»72. Ma sarebbe un grave errore concepirlo come un eroe o una specie di mezzo santo e
mezzo genio. Egli non è neppure l’esemplare di una razza superiore di uomini (come invece è si è voluto interpretare dal Nazismo), quasi un altro anello della catena evolutiva della
razza umana. Altrettanto sbagliato sarebbe considerarlo come una sorta di modello dai
comportamenti e significati già definiti, da offrire al pubblico perché tutti possano copiare.
In Ecce homo, Nietzsche stesso rifugge dalla possibilità di essere preso come modello dai
suoi seguaci: “Non c’è nulla in me del fondatore di religioni: non voglio credenti, non parlo
alle masse; ho paura che un giorno mi facciano santo”. I timori di Nietzsche erano fondati,
visto che, dopo la sua morte, venne esaltato come un santo. Ma ciò che a lui stava veramente a cuore era di non soffocare la creatività della vita riducendo la formazione di individualità irripetibili e irriducibili a denominatori comuni73.
Zarathustra indica una nuova volontà, la volontà libera, abile a creare il nuovo. La
morte di Dio e la trasvalutazione dei valori lasciano all’uomo la possibilità di oltrepassare
se stesso e di protendersi in nuove direzioni, verso ciò che non è stato ancora svelato né verificato. Il superuomo, l’uomo che va oltre se stesso, con la sua volontà di potenza, sa che
ogni creazione prevede distruzione: il nuovo può innalzarsi solo mediante l’annientamento
del vecchio e, dunque, mediante la sofferenza.
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NIETZSCHE, F (1986). Così parlò Zarathustra, tr. it. A.M. Carpi, Bompiani, Milano, pp. 20-22.
NEGRI, A (1978). Nietzsche. Storia e cultura, Armando, Roma, pp. 94-95.
Cfr. FUSARO, D (s/f). Op. cit.
Ibidem.
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«Voi siete per me la pietra in cui dorme la più sublime delle immagini: non vi è altra pietra. E come il mio martello batte contro di voi, così voi dovete battere contro
voi stessi! Il grido del martello ha da risvegliare l’immagine addormentata!»74.
Si affaccia in questo brano il simbolo del martello come strumento operante metamorfosi esaltato da Nietzsche. Il martello racchiude in sé due significati, per i quali esso
simboleggia sia un prezioso mezzo di valutazione e di conoscenza, sia un mezzo di trasformazione; quindi, al tempo stesso, di creazione e distruzione.
«Il superuomo non è al di là dell’uomo, non è qualcosa che lo trascenda. Il superuomo è nell’uomo; e dall’uomo vien fuori se egli riesce a trasformarsi. Contro
ogni interpretazione che miri a riportare il superuomo entro un’impostazione metafisica tradizionale, quale idea platonica o imperativo kantiano, la metafora della
pietra e dell’immagine è decisiva. Il superuomo è opera dell’uomo, nasce dalla
sua capacità creativa. E non è un che di differente da lui, di non umano, ma è una
possibilità dell’uomo, è ciò che l’uomo può diventare. […] La differenza è di forma: il superuomo è un uomo diversamente formato, un uomo trasformato»75.
L’opera di Nietzsche si conclude con il richiamo ad un’altra immagine simbolica ricorrente: il grande meriggio, che prospetta all’uomo che saprà andare oltre se stesso, futuri
fruttuosi e seducenti.
«Orsù! […] Questo è il mio mattino, il mio giorno incomincia: alzati, alzati, grande meriggio!
Così parlò Zarathustra e abbandonò la sua spelonca, ardente e forte come un sole
mattutino che esce da scure montagne»76.
8. LA MORTE DELL’‘ULTIMO UOMO’
Con la morte di Dio morirà, per Nietzsche, anche “l’ultimo uomo”, “lo stadio finale
della storia dell’uomo”77, quell’uomo che non riesce più a superarsi, che non sa accogliere
la sfida tragica e innocente della vita. Morirà l’uomo smanioso di compensazione e di rivalse, l’uomo che vacilla di fronte all’insicurezza dell’esistenza; l’uomo che, in preda al senso
di colpa, sopravvive al prezzo di continue rassicurazioni di fronte alla paura del dolore e della morte. Morirà l’uomo incapace di trasformarsi, di essere aperto al divenire e al possibile,
di accettare la sofferenza, la quale, al contrario di ogni sforzo, non si può eliminare, nemmeno seguendo le morali edonistiche o utilitaristiche del benessere. «Il benessere, come lo
intendete voi - non è un fine, a noi sembra una fine! Uno stato che rende subito l’uomo ridicolo e spregevole - che fa desiderare la sua fine! La disciplina del dolore, del grande dolore
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NIETZSCHE, F (1973). Note al testo, p. 443.
ALFIERE, L & CORRADINI, D (1992). Op. cit., pp. 368-369.
NIETZSCHE, F (1986). Op. cit., p. 344.
ALFIERE, L & CORRADINI, D (1992). Op. cit., p. 375.
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Laura ZAVATTA
Il Profetismo di Nietzsche
- non sapete che solo questa disciplina ha creato finora ogni elevazione?»78. Essa è il dolore
del parto, l’angoscia delle trasfigurazioni, il passaggio obbligato perché si raggiungano le
più belle ed elevate opportunità dell’anima79.
Non sarà facile accettare la nuova realtà, perché si tratta di una realtà priva di un
Dio-protettore in cui credere. Ma, senza Dio, il “mare” davanti agli uomini sarà «aperto come
non mai, pronto a navigazioni artistiche e spericolate, forse non troppo sereno, ma comunque
di una vastezza incommensurabilmente maggiore a quando era sovrastato da Dio:
“noi filosofi e spiriti liberi, alla notizia che il vecchio Dio è morto, ci sentiamo
come illuminati dai raggi di una nuova aurora; il nostro cuore ne straripa di riconoscenza, di meraviglia, di presagio, d’attesa - finalmente l’orizzonte torna ad apparirci libero, anche ammettendo che non è sereno, finalmente possiamo di nuovo
sciogliere le vele alle nostre navi, muovere incontro a ogni pericolo; ogni rischio
dell’uomo della conoscenza è di nuovo permesso; il mare, il nostro mare, ci sta ancora aperto dinanzi, forse non vi è ancora mai stato un mare così aperto...”»80.
9. LE “MILLE SALVEZZE” POSSIBILI NER REGNO DELLA TERRA
L’Übermensch è dunque l’uomo che si supera. E per questo, solo per questo, egli «ha
una superiorità che gli altri uomini non hanno. Superamento, cioè Überwindung: è una parola chiave, e anche aspra, nel linguaggio di Nietzsche»81. Il termine Überwindung, rende
l’idea di una trasformazione che implica una ‘torsione’, una svolta. Oltre che “superamento”, dunque, significa “vittoria”, vittoria su di sé.
Il superuomo è un uomo che sa soffrire, che diviene capace delle sue qualità migliori,
che sa prendere cura di sé e della sua diversità, che sa amare gli uomini e ama se stesso.
«Chi vuole diventare leggero, diventare un uccello, deve amare se stesso: - così
v’insegno io», dice Zarathustra. «Ma non certo con l’amore dei malati e degli assetati: giacché in loro puzza anche l’amor proprio! Si deve imparare ad amare se
stessi - così v’insegno - d’un amore sano e integro: tanto da riuscire a rimanere con
noi stessi e non girovagare altrove. Questo girovagare altrove si chiama ‘amor del
prossimo’: meglio che con ogni altra si è mentito e simulato fino ad oggi con questa parola, e soprattutto da parte di quelli che a tutto il mondo riescono pesanti. E in
verità, non è un comandamento per oggi e domani: imparare ad amarsi. È piuttosto la più sottile, la più astuta, la più paziente, l’estrema di tutte le arti»82.
78 NIETZSCHE, F (2003). Op. cit., Le nostre virtù, 225, p. 149.
79 Cfr. sull’argomento: FORTUNATO, M (1994). Il soggetto e la necessità. Akronos, Leopardi, Nietzsche e il
problema del dolore, Guerini a Associati, Milano; REGINA, U (1988). L’uomo complementare. Potenza e
valore nella filosofia di Nietzsche, Morcelliana, Brescia; NEGRI, A (1994). Interminati spazi ed eterno ritorno. Nietzsche e Leopardi, Le Lettere, Firenze; PAJAK, F (2004). L’immensa solitudine con Friedrich
Nietzsche e Cesare Pavese, Graphot, Torino.
80 Cfr. FUSARO, D (s/f). Op. cit.
81 ALFIERE, L & CORRADINI, D (1992). Op. cit., pp. 372-373.
82 NIETZSCHE, F (1986). Op. cit., p. 204.
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L’amore è ciò che conduce oltre gli abissi.
«C’è sempre un po’ di follia nell’amore. Ma c’è sempre un po’ di ragione nella follia. E anche a me, che ho cara la vita, farfalle e bolle di sapone e quel che di simile
ad esse v’è tra gli uomini sembrano più di tutti intendersi di felicità. Vedere queste
animucce leggere, stolte, mobili, leggiadre svolazzare - seduce Zarathustra a lacrime e canti»83.
L’umanità deve imparare a essere felice, a volare con la stessa leggiadria delle farfalle; deve «tirare un frego sul suo passato, forse deve rivolgere a tutti gli individui
il nuovo canone: sii diverso da tutti gli altri, e rallegrati se ognuno è diverso dall’altro»84.
Per troppo tempo si è predicato l’«uno come tutti», l’«uno per tutti»85. L’uomo nuovo ha tante possibilità davanti a sé, dopo la “morte di Dio”86; “mille salvezze” sono ancora
possibili. Il futuro predice “eventi alitanti”.
«Mille sentieri vi sono, che nessuno ha ancora percorso; mille salvezze e isole nascoste di vita. Inesauribili e inesplorati sono tuttora l’uomo e la terra dell’uomo»87.
«Rinfrescate all’aperto la vostra accaldata petulanza», dice Zarathustra, «e placate
il rumore del cuore! Davvero: se non diverrete come i bambini, non entrerete nel
regno dei cieli.[…] Ma noi non vogliamo andare nel regno dei cieli: uomini siamo
diventati, - quindi vogliamo il regno della terra»88.
La terra dell’uomo deve diventare “un luogo di salute”, non più il suo esilio o il suo
deserto, ma la sua gioiosa dimora89.
E «già intorno a essa alita un profumo nuovo, che reca salute, - e una nuova speranza!»90.
Ibíd., p. 51.
NIETZSCHE, F (1964). Op. cit., p. 3[98].
Ibidem.
NIETZSCHE, F (1987). Op. cit., cit., p. 343.
NIETZSCHE, F (1986). Op. cit., p. 87. La traduzione, in questi versi, si allontana di poco da quella del testo.
Ibíd., p. 331.
Su questa interessante tematica cfr. LOMBARDI VALLAURI, L (1990). Terre. Terra del nulla, terra degli
uomini, terra dell’oltre, Vita e pensiero, Milano.
90 NIETZSCHE, F (1987). Op. cit., p. 343.
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