2 IL PROCESSO COGNITIVO 2.2 Il metodo del criticismo cartesiano Ricollegandoci a quanto spiegato nel §2.1, uno dei contributi principali di Cartesio riguarda l’importanza del metodo nello studio dell’epistemologia. Prima di Cartesio l'attenzione era centrata sull’oggetto e sulla relazione causale che questo esercitava nei confronti dell'agente cognitivo; con il sorgere del nuovo metodo, al contrario, siffatta attenzione è tutta rivolta al soggetto quale pietra miliare dell'atto gnoseologico. La connotazione del criticismo viene appunto dall’aspetto critico della “nuova filosofia”. Nel Discorso sul metodo Cartesio giustifica la necessità del nuovo metodo ricordando che, fino ai suoi tempi, non esisteva, purtroppo, accordo universale nella risoluzione dei problemi posti dai filosofi, i quali erano considerati le menti più colte della storia del pensiero. Scriveva Cartesio: «Non dirò nulla della filosofia, se non che, vedendola coltivata per molti secoli dagli ingegni più alti senza tuttavia che vi si trovi qualcosa che non sia oggetto di dispute e di cui perciò non si dubiti, non avevo tanta presunzione da sperare qui un successo migliore di quello ottenuto da altri; considerando poi quante diverse opinioni su uno stesso oggetto possono essere sostenute dai dotti, senza che ce ne possa essere mai più di una soltanto che sia vera, ritenevo quasi falso tutto ciò che era solo verosimile» 1. La stessa filosofia diventa per Cartesio oggetto di studio, di uno studio “critico”, e quindi messa essa stessa in discussione. Il filosofo francese riteneva, appunto, falso tutto ciò veniva affermato senza l'utilizzo del suo metodo critico di indagine cognitiva. L’incapacità dei modi tradizionali di fare filosofia, di produrre risposte consistenti e universalmente condivise al fine di fare progredire il pensiero verso la verità, condusse Cartesio alla ricerca di una nuova metodologia che in un certo qual modo poteva attribuire alla filosofia il carattere epistemico tipico delle scienze naturali. Invero, se la filosofia voleva avere la pretesa di essere “scienza”, allora doveva essere in grado di porsi problemi e risolverli con un metodo adeguato. Scriveva Cartesio: «[voglio dedicarmi] a cercare il vero metodo per arrivare a conoscere tutte le cose di cui la mia intelligenza fosse capace» 2. 1 René DESCARTES, Discorso sul metodo, prima parte, “Considerazioni sulle scienze”. 2 Ivi., seconda parte, “Le principali regole del metodo”. 1 È curioso che molti filosofi post-cartesiani impiegheranno lo stesso ragionamento nell'elaborazione del relativo (ed innovativo) metodo gnoseologico, al punto che lo stesso metodo cartesiano divenne oggetto di critica non molti anni dopo il suo ingresso nel mondo speculativo dell'occidentale filosofico. «Ma avevo appreso, fin dal collegio, che non si può immaginare nulla di così strano e poco credibile che non sia stato detto da qualche filosofo» 3. Con Descartes conveniamo nell'idea che è vero che molte asserzioni filosofiche vanno al di là del credibile, avvicinandosi alla superstizione, l’astrologia o la magia; ma non conveniamo con esso che, in ultima analisi, il metodo del criticismo da lui promosso possa dare una risposta epistemicamente consistente del reale. Difatti, l’unico metodo veramente non sottoponibile alla critica del metodo è quello che ha dei presupposti incontrovertibili, cioè dei presupposti la cui negazione conduce alla contraddittorietà dell'essere (reale o logico che sia). Laddove si applica un criticismo radicale, grazie alla stessa applicazione e processo di critica, si scopre la fondatezza del metodo che si presenta, che appare, quindi, criticante e criticato allo stesso tempo (il metodo che critica se stesso). Il metodo cartesiano inizia con l'assiomatizzazione di quattro regole fondamentali, le quali sono elencate dal filosofo francese riprendendo i presupposti della logica classica. Cartesio era convinto che un buon metodo da perseguire nella filosofia doveva prendere dalla logica soltanto queste semplici regole, eliminando tutte le restanti, giacché, invece di fare chiarezza e distinzione, conducevano piuttosto alla confusione più totale. «La prima regola era di non accettare mai nulla per vero, senza conoscerlo evidentemente come tale: cioè di evitare scrupolosamente la precipitazione e la prevenzione; e di non comprendere nei miei giudizi niente più di quanto si fosse presentato alla mia ragione tanto chiaramente e distintamente da non lasciarmi nessuna occasione di dubitarne. La seconda, di dividere ogni problema preso in esame in tante parti quanto fosse possibile e richiesto per risolverlo più agevolmente. La terza, di condurre ordinatamente i miei pensieri cominciando dalle cose più semplici e più facili a conoscersi, per salire a poco a poco, come per gradi, sino alla conoscenza delle più complesse; supponendo altresì un ordine tra quelle che non si precedono naturalmente l'un l'altra. E l'ultima, di fare in tutti i casi enumerazioni tanto perfette e rassegne tanto complete, da essere sicuro di non omettere nulla»4. Tali regole così come proposte dal filosofo francese, nonché prendano avvio dalle regole della logica classica, sembrano però scaturire nel campo della psicologia in quanto suggeriscono atteggiamenti metodologici da perseguire al fine di una ricerca e/o speculazione filosofica di successo. 3 Ivi., seconda parte, “Le principali regole del metodo”. 4 Ibidem. 2 Cartesio, infatti, definisce le regole metodologiche che considera più adatte per risolvere problemi ed per eliminare ogni forma di dubbio (potremmo ulteriormente dire che queste sono indicazioni sul procedimento razionale sotto l’influsso della volontà). Di controparte, le regole logiche di Aristotele sono, de facto, leggi della struttura ontologica del processo cognitivo (così come la mente ragiona). Tale differenza si evidenzia quando Cartesio parla di “accettare” e di “esser-sicuro” prima di procedere avanti. Queste condizioni sono “intensionali”, sono atteggiamenti proposizionali, in quanto dipendono dallo stato soggettivo di chi conosce, e non dalle condizioni oggettive dell’oggetto conosciuto. Già si intravede come Cartesio, introducendo condizioni attitudinali nel suo metodo cognitivo, si allontana dalla tradizione scolastica del filosofare. Il seguente punto tratta il modo dell'utilizzo del metodo, ponendo l'attenzione sul discernimento che può essere fatto da un uso corretto e un uso scorretto del medesimo. Cartesio parla quindi di una regola molto interessante che dà maggiore rilievo all'aspetto pratico piuttosto che linguistico del filosofare: «mi sembrava inoltre che per conoscere le loro vere opinioni [opinioni dei grandi pensatori] dovessi badare a quel che facevano, piuttosto che a quel che dicevano; non solo perché, nella corruzione dei nostri costumi, pochi son disposti a dire tutto quel che credono, ma anche perché molti l'ignorano essi stessi; essendo infatti l'atto del pensiero con il quale si crede una cosa diverso da quello per cui conosciamo di crederla, accade spesso che l'uno si dia senza l'altro»5. Tale approccio conferma l’intuizione classica che afferma che è più importante guardare ciò che la gente fa che ciò che la gente dice di sapere. Questo passaggio è importante per Cartesio in quanto la certezza più forte resta sempre quella necessaria per agire nella vita (queste certezze sono certezze del senso comune)6. La certezza fisica, logica, matematica, o psicologica sono pur sempre certezze, ma secondarie rispetto alla certezza ordinaria che si ha nel compiere un’azione. Ciò che fa sembrare la certezza “esistenziale” la certezza più debole (quando in realtà non lo è) è che tale certezza si trova alla base delle azioni completamente date per scontate, supposte senza problematiche, e non frutto della riflessione intellettuale. Ciononostante, sono le certezze del senso comune ad essere fondamento di ogni ulteriore certezza (anche quella matematica), essendo questa il princeps analogatum del concetto stesso di certezza. Così, è curioso notare, che quando Cartesio colloca la certezza delle idee “chiare e distinte” al di sopra della certezza esistenziale, in qualche modo si muove contraddicendo il suo stesso metodo, perlomeno con rispetto di quanto detto nella terza parte del suo Discorso. 5 Ivi, terza parte, “Qualche regola della morale tratta dal metodo”. 6 Cfr: Donald DAVIDSON, “Azioni, ragioni, cause” in Azioni e eventi, Il Mulino, Bologna, 1992, 41. «In questo lavoro intendo difendere l’antica tesi – peraltro di senso comune – secondo cui tale razionalizzazione è una specie della spiegazione causale». 3 dice: La certezza è l’esito del metodo proposto da Cartesio. Il filosofo francese «Non imitavo, per questo, gli scettici, che dubitano solo per dubitare e ostentano una perenne incertezza: al contrario, ogni mio proposito tendeva soltanto a raggiungere qualcosa di certo, e a scartare il terreno mobile e la sabbia, per trovare la roccia e l'argilla»7. Qui si vede come la certezza è frutto della mancanza del dubbio e dell’impossibilità del errore: la certezza è per Descartes “priva di ogni falsità”. Soltanto la certezza può garantire la fondatezza della conoscenza. Ma bisogna precisare che la certezza in realtà è il frutto della conoscenza, non il suo fondamento, e la conoscenza del senso comune conduce alla certezza più fondamentale. Secondo W. V. Quine, «la scienza non è un sostituto del senso comune, ma un’estensione di esso. La ricerca della conoscenza è propriamente uno sforzo per ampliare ed approfondire la conoscenza di cui l’uomo della strada già gode, in moderazione, con rispetto di tutte le cose quotidiane che lo circondano . L’atto di negare lo stesso nucleo del senso comune, l’atto di richiedere evidenza per quello che, tanto il fisico [scienziato] che l’uomo della strada accettano come palese, non è un lodevole perfezionismo; è di fatto una pomposa confusione» 8. Nel momento in cui Cartesio cerca di migliorare il senso comune con nuovi fondamenti per la certezza e per la nozione di “evidenza”, inizia a percorrere una strada che conduce alla separazione netta tra la conoscenza ordinaria dell’esperienza comune e la conoscenza “fondata” che porta alla scienza (nella sua connotazione moderna). Ciò che tradizionalmente si considerava una continuità fra questi due tipi di conoscenza adesso diventa una rottura tra la conoscenza certa e la conoscenza non certa (che finisce poi per essere non-conoscenza). Nella quarta parte del Discorso, Cartesio ci presenta un sommario dell’intero metodo: «Così, poiché i nostri sensi a volte ci ingannano, volli supporre che non ci fosse cosa quale essi ce la fanno immaginare. E dal momento che ci sono uomini che sbagliano ragionando, anche quando considerano gli oggetti più semplici della geometria, e cadono in paralogismi, rifiutai come false, pensando di essere al pari di chiunque altro esposto all'errore, tutte le ragioni che un tempo avevo preso per dimostrazioni. Infine, considerando che tutti gli stessi pensieri che abbiamo da svegli possono venirci anche quando dormiamo senza che ce ne sia uno solo, allora, che sia vero, presi la decisione di fingere che tutte le cose che da sempre si erano introdotte nel mio animo non fossero più vere delle illusioni dei miei sogni. Ma subito dopo mi accorsi che mentre volevo pensare, così, che tutto è falso, bisognava necessariamente che io, che lo pensavo, fossi qualcosa. E osservando che questa verità: penso, dunque sono, era così ferma e sicura, che tutte le 7 Ivi, terza parte. 8 W .V. QUINE, “The Scope and Language of Science” in The Ways of Paradox and Other Essays, Harvard University Press, Boston 19762, pp. 229-230. Traduzione dall’inglese nostra. 4 supposizioni più stravaganti degli scettici non avrebbero potuto smuoverla, giudicai che potevo accoglierla senza timore come il primo principio della filosofia che cercavo» 9. Il movimento è molto chiaro: (1) constatare che i sensi a volte ci ingannano (come nel classico esempio del remo nell’acqua che sembra essere spezzato), concludendo che i dati appresi dai sensi non sono affidabili. Di più, (2) potremmo essere in uno stato di sonno in cui i sogni ci sembrano trattare della realtà come essa è, quando in verità è tutto soltanto immaginato e quindi non rappresentativo del vero stato di cose. Tutti i contenuti della mente potrebbero essere di fatto un’illusione, ed abbiamo un altro motivo per dubitare di tutto. (3) L’unico modo di cominciare a ragionare su qualche cosa di certo è la presa di coscienza del soggetto che pensa (dubita), riconoscendo il cogito quale fondamento del pensiero (principio della conoscenza). Tutto il resto dipenderà in qualche modo da questa convinzione, che renderà Cartesio sempre più sicuro e certo della consistenza suo metodo epistemologico. Il passo seguente è quello circa la considerazione su Dio, l’essere perfettissimo, privo di ogni caratterizzazione negativa e insufficiente. Sulla scia di Sant’Anselmo l’esistenza di Dio viene provata dalla contemplazione dell’idea di un essere così perfetto di cui non si può pensare nulla di maggiore, e che, quindi, deve esistere non soltanto nel pensiero ma anche nella realtà. Dio è il garante della conoscenza perché tutte le idee chiare e distinte provengono da Lui, anche se è solo per mezzo del corretto utilizzo della ragione (ossia applicando correttamente il criticismo) che se ne può prendere atto. Cartesio esemplifica: «Perché insomma, sia che vegliamo, sia che dormiamo, non dobbiamo lasciarci convincere che dall'evidenza della nostra ragione. E si badi che dico: della nostra ragione, e non della nostra immaginazione, o dei nostri sensi. Così il sole, sebbene lo vediamo molto chiaramente, non dobbiamo perciò giudicarlo piccolo come lo vediamo; e possiamo ben immaginare distintamente una testa di leone innestata sul corpo di una capra, senza dover concludere perciò che ci sia al mondo una chimera: perché la ragione non ci dice affatto che quel che così vediamo o immaginiamo è anche vero» 10. La radice della non affidabilità della conoscenza sensibile si trova nella natura degli oggetti che trascendono i parametri dell’esperienza ordinaria. Gli oggetti estremamente grandi o estremamente piccoli (come il sole o la luna, e gli atomi) non sono facilmente percepibili dai nostri sensi, cioè, non sono oggetti propri per l’apparato sensoriale umano. Non per questo però sono inconoscibili. Necessitano infatti di un passaggio ulteriore che completa la consapevolezza della natura di tali oggetti. In tutto questo, i nostri sensi non ci ingannano affatto, perché al contrario ci presentano gli oggetti esattamente come sono percepiti da noi, anche se poi la ragione lavora sulla percezione e rende gli oggetti conformi alla loro 9 René DESCARTES, cit., quarta parte, “Le prove dell'esistenza di Dio e dell'anima umana, ossia i fondamenti della metafisica”. 10 Ibidem. 5 natura autentica. Anche gli antichi greci sapevano che la luna era molto più grande di quanto appariva agli occhi. Come ultimo punto, in questa sezione, Cartesio analizza il flusso del sangue, il cuore, le vene e arterie, per mostrare come il funzionamento del corpo umano assomigli ad vera e propria macchina, cui motore è l’anima creata direttamente da Dio e non derivata dalla materia. Su questo punto si può ben notare come le scoperte di William Harvey abbiamo esercitato una forte impressione in Cartesio. Harvey, infatti, pochi anni prima aveva descritto in forma assai completa la circolazione e produzione del sangue, superando la tesi quasi universalmente accettata di Galen. Ma in conclusione, ciò che sente Cartesio è il desiderio di comprendere fino in fondo la natura dell'anima umana: è questa immortale oppure è simile a quella degli animali? Scrive: «subito dopo l'errore di chi nega Dio, errore che ritengo di avere confutato a sufficienza, non c'è un altro che allontani maggiormente gli spiriti deboli dalla retta via della virtù, che l'immaginare che l'anima dei bruti abbia la stessa natura della nostra, e che pertanto non abbiamo nulla da temere né da sperare dopo questa vita, proprio come le mosche e le formiche; mentre quando si conosce quanta differenza ci sia si capiscono molto meglio le ragioni che provano che la nostra è di una natura indipendente dal corpo, e dunque non è destinata a morire con esso; e dal momento che non si vedono altre cause che possano distruggerla, si è portati naturalmente a giudicarla immortale» 11. Il ragionamento che conduce Cartesio all'affermazione dell’immortalità dell’anima umana è molto simile all'argomento tradizionalmente suggerito dalla “Scuola”. Dato che l’anima umana è capace di azioni che trascendono la corporeità (appunto il pensiero astratto e il libero arbitrio), essa riesce a sopravvivere la distruzione del corpo. La metafisica tomista in più chiarifica che nella composizione fra atto e potenza nell’essere umano, l’anima riceve l’esistenza in un livello più alto rispetto al corpo, e quindi continua ad sussistere indipendentemente dalla corporalità (dalla sua fine). Nella sesta ed ultima parte del Discorso sul metodo Cartesio sintetizza tutto il percorso fatto finora con un tono decisamente “apologetico”. Il matematico francese si rende conto delle apparenti difficoltà che il suo metodo mette in luce, e cerca di minimizzare il dramma filosofico della cosiddetta “svolta soggettivistica”. Difatti, seppur implicitamente, riconosce il ruolo cardine che il senso comune riveste nel processo gnoseologico. Dice Cartesio: «Giacché per le opinioni che sono proprio mie, non ho bisogno di giustificarle come se fossero nuove, perché son certo che, al considerarne bene le ragioni, risulteranno tanto semplici e conformi al senso comune da sembrare meno straordinarie e strane di 11 Ibidem. 6 qualunque altra che si possa avere sugli stessi argomenti. E neppure mi vanto di essere stato il primo inventore di qualcuna di esse, bensì di non averne mai accolta nessuna per il semplice fatto che fosse o anche che non fosse insegnata da altri, ma solo perché me ne aveva persuaso la ragione»12. Come è evidente, pochi filosofi osano allontanarsi dal fondamento del senso comune, anche se lo criticano e propongono principi che hanno poco a che fare con il pensiero dell’esperienza ordinaria. Il metodo cartesiano rimane suggestivo e influente nella filosofia occidentale, ma è difficile seguirlo fino in fondo nella costruzione di un edificio speculativo robusto. Lo stesso Cartesio ricorda un principio molto saggio che ci viene dal sapere del senso comune: è meglio zoppicare nella direzione giusta che correre nella direzione sbagliata. Scrive Descartes che «Le anime più grandi come sono capaci delle maggiori virtù, così lo sono dei più grandi vizi; e quelli che camminano assai lentamente possono progredire molto di più, se seguono sempre la via diritta, di quelli che correndo se ne allontanano»13. L’idea appare anche in Aristotele, citato da Tommaso nel De ente et essentia, il quale pone in evidenza come da un piccolo errore si possa giungere ad una catastrofe. Cerchiamo allora di progredire senza questi piccoli errori. Philip Larrey 12 Ivi., sesta parte, “Le cose richieste per andare più avanti nello studio della natura”. 13 Ivi., prima parte, “Considerazioni sulle scienze”. 7