Kasparhauser ■ Rivista di cultura filosofica
ISSN 2282-1031 | Febbraio 2017
Merleau-Ponty
La spazio-temporalità dell’essere carnale*
di Emmanuel de Saint Aubert
In occasione dell’omaggio radiofonico pronunciato qualche giorno dopo la morte di MerleauPonty, Jean Wahl si esprimeva in questi termini:
«mi sembra che il suo pensiero si apprestasse a
definire un nuovo spazio e un nuovo tempo, un
nuovo spazio-tempo»1. Da sempre attento ai lavori di Merleau-Ponty, uditore regolare ai corsi
al Collège de France, in Wahl era ancora persistente il ricordo delle ultime lezioni sulla simultaneità ontologica e l’ubiquità carnale (1961).
Egli aveva indovinato quanto esse rappresentassero un coronamento del complesso
dell’evoluzione del filosofo, a partire dalle sue
prime analisi della spazialità del corpo proprio.
In realtà, tale orizzonte tardo si preparava da
sempre: la ricerca di un nuovo spazio, di un
nuovo tempo e di una concezione dei loro le* “Espaço-temporalidade do ser carnal”, trad. Terezinha
Petrucia da Nóbrega, in Compêndio Merleau-Ponty, éd.
Iraquitan de Oliveira Caminha et Terezinha Petrucia da
Nóbrega, São Paulo, Brésil, Liber Ars, 2016, pp. 235-25.
1 J. Wahl, Hommage à Maurice Merleau-Ponty, 17 mai
1961, archives INA
Emmanuel de Saint Aubert
gami, attraversa da un capo all’altro l’itinerario
intellettuale di Merleau-Ponty, fin dai fondamenti critici, anti-cartesiani, del suo pensiero. Vorrei
qui proporre uno sguardo d’insieme trasversale
dell’evoluzione delle sue concezioni in merito a
tale aspetto. A fronte di numerose esitazioni e
mediazioni, Merleau-Ponty poco a poco
s’incammina verso l’identità carnale di una spazio-temporalità originaria, i cui orizzonti sono
irriducibilmente antropologici e ontologici.
1. IL PERIODO DELLE TESI (1933-1945)
I primi progetti di tesi del filosofo (1933-1934)
introducono già come temi privilegiati le questioni della profondità e del movimento, i quali
implicano un’articolazione serrata dello spazio e
del tempo. La structure du comportement, conclusa nel 1938, affronta discretamente la spazialità e la temporalità del comportamento2, annunciando che è nello stesso tempo impossibile
darne un trattamento separato ed uno unico. «Il
corpo vivente non organizza in modo indifferente lo spazio e il tempo, non dispone dell’uno
2
SC, p. 136. Il comportamento, dal momento che ha una
struttura, non si sviluppa nello spazio e nel tempo obiettivi, come una serie di eventi fisici.
2
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come dell’altro»3, pur integrandoli l’uno all’altro,
tale integrazione sarebbe in misura con l’unità
del comportamento normale4. L’impossibilità di
affrontare in modo conveniente il comportamento in una spazio-temporalità risolta secondo due
ordini separati e oggettivi sarebbe legata
all’impossibilità di attribuire al comportamento
una collocazione [emplacement] spaziale o temporale unica: se il corpo vivente non è reperibile
secondo la sua integrità nell’hic et nunc, se il suo
momento e il suo spazio propri vi si sottraggono
per estendersi al di là di tale riferimento puntuale, ciò accade perché lo spazio e il tempo sono
intimamente legati.
La Phénoménologie de la perception (1945)
oltrepassa tali intuizioni iniziali affrontando per
se stesse le questioni della profondità, del movimento, dello schema corporeo e della temporalità. Merleau-Ponty intravede il posto architettonico dello schema corporeo nel capitolo in cui
egli descrive a lungo la «spazialità primordiale»
del corpo proprio che «si confonde con l’essere
3
SC, p. 122.
Ibid. Le dimensioni del tempo e dello spazio interferiscono […]. Le relazioni temporali che giocano un ruolo
nel comportamento animale manifestano delle aderenze,
come delle viscosità che per noi è difficile concepire come
a partire da concetti puri e maneggiabili dello spazio e del
tempo.
4
3
Emmanuel de Saint Aubert
stesso del corpo»5; una «esperienza originaria
dello spazio»6 che egli finisce d’altronde nelle sue
analisi fenomenologiche della «spazialità
d’implicazione»7 dispiegata dalla visione in profondità e dal gesto. Ma l’opera non arriva ancora
ad articolare tali sviluppi in una coerenza complessiva. Tale assenza di coesione è evidente
nell’assenza di connessione tra il trattamento dello schema corporeo e quello della profondità e
del movimento. Alcuni passaggi attribuiscono
tutto allo schema corporeo, altri tutto ad una intenzionalità formulata diversamente (intenzionalità motrice, arco intenzionale, intenzionalità
operante...) o ancora a una esistenza mai del tutto definita, prima che tale ricerca incerta del
principio non scompaia in maniera brutale, alla
fine della tesi, dietro la questione della temporalità.
In queste prime due parti, La phénoménologie de la perception introduce sempre il tempo
immediatamente dopo aver trattato dello spazio,
PhP, p. 173. L’esperienza rivela, al di sotto dello spazio
oggettivo, nel quale il corpo infine prende posto, una spazialità primordiale, di cui la prima è solo l’involucro e che
si confonde con l’essere stesso del corpo. PhP, p. 334. Noi
cerchiamo di fondare lo spazio geometrico con le sue relazioni
intra-mondane
sulla
spazialità
originaria
dell’esistenza.
6 PhP, p. 287.
7
PhP, p. 318-319.
5
4
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attribuendogli in maniera massiccia le stesse analisi e le stesse strutture (precisamente spaziali)
senza una vera giustificazione. Tale procedimento è certo strano, come se Merleau-Ponty cominciasse col dimenticare il tempo, per introdurlo poi quasi scusandosi di non averlo fatto prima, pur affermando che in fin dei conti ciò non
cambia le cose e di fatto non c’è nulla di nuovo8.
Il capitolo accordato alla temporalità nella terza
parte della tesi segnala una rottura netta e come
una inversione di prospettiva: la trasposizione
delle strutture dello spazio e del tempo lascia
immediatamente il posto all’affermazione di una
precedenza della temporalità, pur continuando
Merleau-Ponty a descriverla con l’ausilio di nozioni e figure forgiate nel corso delle analisi precedenti sullo spazio percepito9 e sullo spazio motore.10
8
PhP, p. 83. Ciò che abbiamo appena detto della prospettiva spaziale potremmo anche dirlo della prospettiva temporale. PhP, p. 119. Si vede meglio, considerando il corpo
in movimento, come esso abiti lo spazio (e d’altronde il
tempo). PhP, p. 162. Non bisogna dire che il nostro corpo
è nello spazio, né d’altronde che esso sia nel tempo. PhP,
p. 379. La coesistenza, che definisce lo spazio, non è
estranea al tempo. PhP, p. 379. PhP, p. 469. Noi possiamo
fin da ora dire della temporalità ciò che noi abbiamo detto
poco sopra, per esempio, della sessualità e della spazialità.
9 PhP, p. 281-344.
10
PhP, p. 114-172.
5
Emmanuel de Saint Aubert
Formalmente la questione del tempo giunge
infine a segnalare l’unità mancante dell’opera,
pur attirando tramite essa gli elementi stabili che
Merleau-Ponty aveva fatto germinare a partire da
un altro terreno d’indagine. Nel suo contenuto il
capitolo sulla temporalità mostra una regressione
inattesa del corpo verso la soggettività, la quale si
trova presa al centro di una incredibile tensione
con la volontà d’integrare il pensiero di Heidegger. Merleau-Ponty invita «a farci del soggetto e
del tempo una concezione tale che essi comunichino dall’interno»: «bisogna comprendere il
tempo come soggetto e il soggetto come tempo»11. Per il realista il soggetto è nel tempo, per
l’idealista il soggetto è fuori dal tempo; MerleauPonty risponde: «io stesso sono il tempo»12, con
una formula che egli non sente la necessità di
articolare sulla base dell’eredità di Gabriel Marcel, che egli sussumeva fino a «io sono il mio
corpo». Merleau-Ponty vuole ancora trovare una
via di mezzo tra Marcel, Husserl e Heidegger,
senza assumere una frattura tra questi, cercando
una soluzione per formulare l’unità dell’uomo
operando un connubio tra il corpo e
l’intenzionalità, la presenza del soggetto a sé e la
sua trascendenza verso il mondo. Congiunta11
12
PhP, p. 483.
PhP, p. 481.
6
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mente a tale sviluppo volontaristico, MerleauPonty non giunge quindi ancora, come sarebbe
necessario, a un trattamento stabile dello spazio
e del tempo, dal momento che sembra esitare
tra due vie di precedenza inconciliabili, regredendo così in relazione all’esigenza formulata
con La structure du comportament.
2. UNA LUNGA RISTRUTTURAZIONE
L’indomani della guerra è segnato in MerleauPonty dalla nascita di un umanesimo esistenzialista attraversato dal non-senso: il filosofo rinuncia
non all’unità dell’uomo e del suo rapporto al
mondo, ma alla possibilità di formularla in maniera puramente concettuale. La sua filosofia
dell’espressione è accompagnata da una mutazione della sua scrittura verso l’uso di figure che
parlano meno dello spazio e del tempo, pur lasciandoli agire nel cuore stesso del suo verbo,
conservando quest’ultimo vicinissimo alla sua
identità sensori-motrice prima quale condizione
necessaria per pervenire a quella verità del corpo
7
Emmanuel de Saint Aubert
dove si giocano congiuntamente la testimonianza
del sé e quella del mondo13.
Nel novembre 1946, presentando La
phénoménologie de la perception dinanzi alla
Società filosofica e rispondendo alle domande
postegli, Merleau-Ponty fa un’affermazione strana, incompatibile sia con quest’opera che con il
reso conto che egli ne ha appena fatto: «rimane
certa solo una cosa: io non ho in effetti detto tutto, ma tant’è. Per esempio, io non ho parlato del
tempo come base e fondamento»14. In linea con
questa ritrattazione, i corsi al Collège de France
su Le monde sensible et le monde de la sensibilité (1953) e su Le problème de la passivité
(1955), compiono una ripresa critica de La
phénoménologie de la perception. MerleauPonty tiene conto delle osservazioni di Beaufret
sull’evoluzione incompiuta della terminologia
della sua tesi, la quale non si affrancava abbastanza dalla soggettività. Non si tratta però di
guadagnare un approdo heideggeriano ma di ricentrarsi sulla corporeità come entrelacs di percezione e movimento, di passività e di fatticità, di
spazialità e di temporalità.
Per un’analisi di questo periodo cfr il nostro testo Du
lien des êtres aux éléments de l’être. Merleau-Ponty au
tournant des années 1945-1951, Saint Aubert, 2004.
14
PPCP, p. 98.
13
8
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Merleau-Ponty allora mette in campo una notevole progressione che va nel senso di un approfondimento della corporeità, della sua logica
propria e delle sue infrastrutture: dalla profondità al movimento e allo schema corporeo, poi
all’immaginario, al sogno e all’inconscio. Altrimenti detto: dalla profondità del mondo a quella
del mio corpo, poi alla profondità della carne
nella sua apertura all’essere15. La conseguenza di
questa nuova architettura è lo spostamento della
questione del tempo, che perde definitivamente
il suo legame con la soggettività per diventare
tempo del corpo e, da qui, sotto l’effetto della
potenza di generalizzazione dello schema corporeo, tempo delle cose e «spinta naturale»16.
Ne Le monde sensible et le monde de
l’expression lo studio del movimento e
l’approfondimento delle teorie motrici della percezione eliminano ogni trattamento separato dello spazio (del corpo) e del tempo (della coscienza). La forma non è una figura proiettata e fissata
nell’istante, essa è animata da una forza di cui
essa è l’espressione, che si legge in essa e si iscrive nella durata. «Dalla più semplice percezione
del movimento all’esperienza della pittura, tro15
Être et chair I, Saint Aubert, 2013.
NPVIf [159]. Il tempo, così compreso, non è coscienza
di […], è spinta naturale.
16
9
Emmanuel de Saint Aubert
viamo sempre lo stesso paradosso di una forza
leggibile in una forma, di una traccia o di una
firma del tempo nello spazio»17. C’è un tempo
del corpo e un tempo della Gestalt, «uno spazio
e un tempo delle cose»18. Il corso del 1953 riprende quindi a lungo la teoria dello schema
corporeo, mettendo in evidenza la sua capacità
di rinnovare la nostra concezione dello spazio,
del tempo e della loro intricazione19. Tale corso
corregge così le nostre lacune strutturali de La
phénoménologie de la perception mediante una
progressione più coerente che affronta successivamente profondità, movimento e schema corporeo, passando dallo sconfinamento spaziale a
quello temporale per convergere verso lo sconfinamento reciproco dello spazio e del tempo.
Nel 1955 il corso su Le problème de la passivité passa alle infrastrutture inconsce della corporeità, studia lo schema corporeo come una
«memoria del corpo»20, e tenta un’analisi della
«promiscuità temporale» dell’inconscio. Merleau-Ponty ricerca l’infanzia del tempo nel tempo dell’infanzia, trova la carne del tempo in un
tempo onirico in cui la struttura temporale del
17 RC53,
p. 20.
MSME, p. 90/[59](VI2).
19 Cfr Saint Aubert, 2013.
20
PbPassiv 176/[125], 254/[196](60),
273/[239](2), [235]/NP, [237]/NP.
18
10
261/[248],
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nostro corpo21 manifesta una logica analoga a
quella che i primi teorici dello schema corporeo
(Bonnier, Head, Schilder) avevano individuato
nella
nostra
spazialità
primordiale.
L’iperschematismo riconosciuto al livello dello
spazio possiederebbe quindi un equivalente
temporale, nel contrasto permanente con uno
spessore di tempo in cui la reversibilità del passato e dell’avvenire stimola [aiguise] la carne così
come quella dell’interno e dell’esterno: la promiscuità del passato (regressione) e dell’avvenire
(anticipazione) tramano l’inconscio come un
mondo di familiarità e di ignoranza attiva.22
21
Cfr. Saint Aubert, 2013, Capitolo IV.
PbPassiv, p. 261/[248]. Ricordarsi è ricordarsi della
corporeità antica e avere un corpo è anche avere un passato di corporeità, c’è un tempo del corpo, una struttura temporale della corporeità. Intreccio di corpo e dell’implesso:
da qui ciò che Proust dice della memoria del corpo.
PbPassiv, pp. 254-256/[196](59)-[197](61). La presenza
del tempo è carnale come quella dello spazio [...], il corpo
apparato [appareil] non solo per percepire lo spazio, ma
anche il tempo [...]. Il tempo si legge nello schema corporeo trasformato in una certa ripetizione delle forze […]. Il
corpo non è strumento, ma organo, il tempo è in esso incorporato […], non è orologio e non misura simultaneità
oggettive: misura la coesistenza?
22
11
Emmanuel de Saint Aubert
3. IL PERIODO ONTOLOGICO.
Nel 1957 il primo anno di corso al Collège de
France sul concetto di Natura inaugura una nuova tappa affrontando congiuntamente due direzioni inedite: un’analisi diretta della spaziotemporalità strettamente legata agli apporti della
scienza contemporanea; una rilettura ontologica
delle strutture così messe in luce23, sotto le insegne di una «ontologia della Natura». Le questioni
dello schema corporeo e della spaziotemporalità del corpo sono momentaneamente
messe da parte, dal momento che MerleauPonty sente il bisogno di tematizzare in maniera
più diretta ciò che egli chiama «l’ontologia
dell’oggetto». Il filosofo ritorna così al suo dibattito fondatore con Descartes24, iniziato negli anni
23
PbPassiv, p. 218/[178](44). La promiscuità spaziale diventa promiscuità temporale, ovvero familiarità e ignoranza. La teoria dell’inconscio, della memoria, deve essere
rinnovata da questo riferimento all’ordine percettivo,
all’ordine della coesistenza col mondo e con gli altri.
24 RC57, pp. 119-120. È secondo questo spirito che noi
abbiamo cercato di mostrare che [la scienza] si allontana
sempre di più dalla ontologia definita da Laplace in un
testo celebre la critica scientifica delle forme dello spazio
e del tempo nelle metriche non euclidee; la fisica della relatività ci insegna a rompere con la nozione comune di uno
spazio comune e di un tempo senza riferiemento alla situazione dell’osservatore e ci prepara a dare tutto il loro
senso ontologico a certe descizioni dello spazio e del tempo percepito.
12
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’30, integrando però nella sua nascente ontologia
le linee messe in luce in vent’anni di riflessioni
sulla fenomenalità del corpo vivo.
A. Dalla critica a Bergson alla mediazione di
Whitehead
Questo nuovo ricentramento, dal forte impegno critico, passa attraverso due grandi autori:
Bergson e Whitehead. Merleau-Ponty rimprovera a Bergson la sua separazione radicale dello
spazio e del tempo, il suo modo di consegnare il
secondo alla filosofia e all’interiorità, abbandonando il primo alla scienza e all’esteriorità.
L’errore di Bergson consisterebbe nel fatto di
aver rinnegato in blocco lo spazio senza giungere
a tematizzare in se stessa una spazialità preoggettiva, che egli tuttavia utilizza in maniera costante nelle sue descrizioni. Come La phénoménologie de la perception afferma in qualche
nota isolata25, Bergson rifugge a ragione lo schematismo proiettivo della scienza classica (giustapposizione, partes extra partes), per pervenire
però a una molteplicità di fusioni e interpenetrazioni che lo conduce verso quei rischi di cui parla Descartes, un anti-intellettualismo tanto ricco
25
Cfr il nostro Le scénario cartésien. Recherches sur la
formation et la cohérence de l’intention philosophique de
Merleau-Ponty, Saint Aubert, 2005.
13
Emmanuel de Saint Aubert
e sterile quanto ineffabile. Dal 1945 MerleauPonty cerca uno sviluppo tra queste posizioni
estreme (separazione e fusione) mediante la figura originale dello «sconfinamento». Bergson impiega tale figura per parlare dello spazio, del
tempo e dei loro rapporti26, ma egli rinuncia infi26
PhP, p. 474, nota 1. Non è né necessario, né sufficiente,
per risalire al tempo autentico, smascherare la spazializzazione del tempo come fa Bergson. Non è necessario perché il tempo esclude lo spazio solo se lo si considera come
spazio preliminarmente oggettivo, e non come questa spazialità primordiale che noi abbiamo cercato di descrivere
[…]; una volta denunciata la traduzione sistematica del
tempo nei termini di uno spazio, si può restare molto lontani da un’intuizione autentica del tempo. Cosa che accade
a Bergson. PhP, p. 319, nota 1. Bergson oppone alla
molteplicità della giustapposizione delle cose esteriori la
molteplicità di fusione e di interpenetrazione della coscienza. Egli procede per diluizione. Parla della coscienza
come di un liquido in cui gli istanti e le posizioni si fondono. Egli cerca in essa un elemento in cui la loro dispersione sia realmente abolita. Non si rende più chiaro lo spazio, il movimento e il tempo scoprendo uno strato interiore
dell’esperienza in cui la loro molteplicità si cancelli e si
abolisca realmente. Poiché se essa lo fa, non resta né spazio, né movimento, né tempo. La coscienza del moi gesto,
ammettendo che essa sia davvero uno stato di coscienza
indivisa, non è più affatto coscienza di un movimento, ma
una qualità ineffabile che non può istruirci sul movimento.
Se, in virtù del principio di continuità, il passato è ancora
presente e il presente già passato, non v’è più né passato
né presente: se la coscienza diventa una valanga di neve
con se stessa, essa si situa, come la valanga di neve e come
tutte le cose, interamente nel presente. Se le fasi del movimento si identificano sempre di più, nulla più si muove
da nessuna parte. Se la coscienza è molteplicità, che rac14
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ne allo sconfinamento dello spazio e del tempo,
relega lo spazio alla misura e attribuisce la durata
a un tipo di sconfinamento il quale, a forza
d’essere affrancato da ogni spazialità, si riassorbe
presto o tardi in fusione. Tale pensiero
dell’intuizione e della durata pura trascura
l’intelligenza e la materia destinandole di concerto all’inferno del geometrismo.27
Il corso del 1957 passa da questa critica a
Bergson ad un’analisi positiva della spaziotemporalità, attraverso la mediazione di Whitehead. Quest’ultimo è posto immediatamente sotto il segno dell’impossibile separazione tra tempo e spazio, la quale è associata a un nuovo concetto di Natura. Merleau-Ponty rimprovera a
Whitehead la critica dell’idea di collocazione
[emplacement] unica, «idea secondo la quale
ogni essere occupa il suo posto, senza partecipazione rispetto alle altre esistenze spaziotemporali»28. Egli non sostiene pertanto l’idea di
coglierà questa molteplicità per viverla esattamente come
molteplicità, e se la coscienza è fusione, in che modo essa
arriverà a sapere della molteplicità dei momenti che essa
porta a fondere?
27 Cfr Durée et simultanéité.
28 Bergson, 1941, pp. 190 e 211. Lo stesso movimento che
conduce lo spirito a determinarsi come intelligenza, ovvero come concetti distinti, porta la materia a frantumarsi in
oggetti nettamente esterni gli uni agli altri. Più la coscienza si intellettualizza, più la materia si spazializza [...]. Tut15
Emmanuel de Saint Aubert
una collocazione [emplacement] multipla, ma
invita a un’altra concezioni della località, la quale
riconosca che «non si dà spazialità ripulita da
ogni spessore temporale»29. Ciò implica una logica della differenziazione nella quale la differenza
non è più esteriore, contorno o guaina
dell’oggetto, ma affiora dall’interno. Si tratta di
evitare la distinzione proiettiva in cui ogni cosa è
definita essendo circoscritta dall’esterno su un
fondo generico e ove lo spazio è lo sfondo di tutti gli sfondi, per pervenire a una differenziazione
dinamica intrinseca che partecipa alla generazione dello spazio e del tempo stessi. Secondo questo nuovo approccio, ogni cosa naturale è forte
di un dispiegamento spazio-temporale che include sempre già un mondo in cui vivono le altre
cose, ognuna essendo da sola una parte totale
dell’essere da cui emergono analogicamente delle differenze che non la lacerano.30
B. La scoperta della topologia
Al di là della sua critica di Bergson e della
sua ripresa di Whitehead, Merleau-Ponty si dirige verso il riconoscimento di una spazialità prete le operazioni della nostra intelligenza tendono alla
geormetria, come al temine al quale trovano il loro perfetto compimento.
29 Natu1, p. 154.
30
Natu1, p. 153.
16
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proiettiva e pre-metrica, ereditata dalla scienza
contemporanea e capace di sostenere la sua
nuova ontologia nella sua opposizione
all’ontologia cartesiana dell’oggetto: lo spazio topologico dei matematici, scoperto nei lavori di
Piaget sulla rappresentazione dello spazio del
bambino31. Bergson aveva decisamente torto
nell’assimilare spazio e misura, scienza e geometrismo32. Con queste riflessioni Merleau-Ponty
amplia le strutture topologiche al tempo stesso
per ritrovare una spazio-temporalità naturale
«topologica» e «ontogenetica», affrancata dagli
schemi che sostengono l’estensione cartesiana.
Con Piaget egli comprende anche che la topologia matematica è in grado di descrivere la specificità della nostra prima apertura al mondo e agli
altri, in particolare quella misteriosa intelligenza
sensori-motrice che vive al di qua della reversibilità logica (l’accesso a questa esige una liberazione dell’irreversibilità del tempo così come essa è
vissuta nel corso dell’esperienza motrice, implica
31
Natu1, pp. 161, 163, 156. La natura è dispiegamento
spazio-temporale [...]. La natura è un inarcamento di tempo e spazio […], una nuova classe di oggetti è determinata
non da una frontiera esterna, ma da un punto centrale
all’interno, non da ciò che essa esclude strettamente, ma
da ciò che essa include in modo eminente.
32
J. Piaget et B. Inhelder, 1948.
17
Emmanuel de Saint Aubert
una capacità di separare lo spazio e il tempo del
mondo percepito).33
L’intricazione pre-oggettiva dello spazio e del
tempo è una caratteristica delle infrastrutture più
profonde dello schema corporeo. Non è quindi
strano vedere Merleau-Ponty concentrare il suo
lavoro sulla Natura sul corpo umano (mutazione
caratteristica nel 1960 del terzo anno di corso sul
concetto di Natura, ma anche del volume più
tardo sul progetto Être et Monde), ritornando
per l’ultima volta sullo studio dello schema corporeo (via Paul Schilder) e della sensazione sensori-motrice (via Piaget e qualche altro pensatore, nello specifico Buytendijk). Le implicazioni
della topologia così come Merleau-Ponty la
comprende, diventano allora vertiginosi: tali
strutture chiariscono la logica della percezione34,
33
Natu1, p. 151. Bergson sbaglia quando parla di
un’esperienza interna del tempo senza ammettere che lo
spazio possa essere l’oggetto di considerazioni identiche.
In Durée et simultanéité egli infatti non dichiara che la
misura [dello spazio] esaurisce la sua essenza? La scienza
raggiunge l’assoluto in ciò che concerne lo spazio. Non
bisogna quindi ritrovare lo spazio polimorfo che è quello
del nostro mondo vissuto, che è frequentato prima delle
metriche, che esse siano euclidee o non-euclidee.
34 Per un’analisi della nozione di reversibilità logica in
Piaget, della critica che le rivolge Merleau-Ponty e di ciò
che quest’ultimo le oppone in merito alla sua concezione
di una reversibilità carnale, cfr Saint Aubert 2013, capitolo
VI.
18
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quella dello schema corporeo nel suo complesso
e, al centro di questo, la logica del desiderio e
dell’inconscio35 (in una prospettiva fortemente
influenzata da Schilder, ma che richiama un confronto con l’uso lacaniano della topologia)36. Attraverso e oltre tali implicazioni antropologiche,
Merleau-Ponty raggiunge le strutture topologiche
dell’essere stesso, fino ad evocare in qualche
luogo una «topologia dell’essere».37
35
Sarebbe interessante confrontare il pensiero di MerleauPonty con la filosofia delle emergenze e delle pregnanze
sviluppata da René Thom, secondo un’eco ulteriore della
topologia matematica, ma anche della Prägnanz gestaltista.
L’interesse dell’ultimo Merleau-Pony per la topologia e la
morfogenesi degli esseri viventi, la sua lettura della pregnanza come apertura di nuove dimensioni nelle singolarità della carne, presentano qualche analogia con
l’ispirazione filosofica che Thom trae dalla sua lettura matematica delle catastrofi. Tali similitudini non devono tuttavia nascondere una differenza essenziale: il geometrismo
insistente di Thom lo allontana dalla filosofia della carne
di Merleau-Ponty e lo avvicina ad un’impresa leibniziana
d’assiomatizzazione che rifiuta precisamente quella posizione. Riletta secondo un’ottica merleau-pontiana, la topologia non potrebbe dare luogo a una nuova mathesis, le cui
illusioni e i cui tranelli non farebbero altro che nutrire
quelli dell’ontologia dell’oggetto.
36 Cfr. La conception merleau-pontienne de l’inconscient
dans les manuscrits tardifs, Saint Aubert, 20151.
37 Per un’analisi più ampia delle fonti, del significato e
delle implicazioni della nozione di /topologia/ in MerleauPonty, cfr la nostra opera Vers une ontologie indirecte.
Sources et enjeux critiques de l’appel à l’ontologie chez
Merleau-Ponty, Saint Aubert, 2006, capitolo VI.
19
Emmanuel de Saint Aubert
C. Una lettura di Buytendijk
Nello stesso periodo e strettamente legato
con tali direzioni tematiche, la mediazione di
Buytendijk occupa un posto significativo38. Merleau-Ponty lavora ad Attitudes et mouvements39,
in particolare ai passaggi sul movimento proprio
in cui l’autore, facendo riferimento a Michotte,
Weizsäcker, Straus, Uexküll, Auersperg e Ehrenfels, mostra che l’esistenza animale trova la
sua specificità nella struttura fenomenale del
movimento come otrepassamento o trasgressione dei limiti, là dove la crescita vegetale non
opera che per spostamento [déplacement].
L’unità dello spazio-tempo vitale è così manifestata dal salto40. Per Buytendijk il «muoversi»
inaugura un modo di presenza originale che la
filosofia ha non pochi problemi a formulare e
che sembra anche inintellegibile e che è possibile prendere in esame solo tramite la percezione.
In questo modo di presenza, è impossibile situare il soggetto e la nozione stessa di soggetto si
L’unité de l’espace-temps vital. Merleau-Ponty lecteur
d’Attitudes et mouvements de Buytendijk, Saint Aubert,
20152.
39 Attitudes et mouvements. Étude fonctionnelle du mouvement humain, trad. L. van Haecht, préface de
E. Minkowski, Buytendijk, 1957.
40
Buytendijk, 1957, p. 90.
38
20
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trova ad essere messa in crisi. Tale modo è estatico, ma senza abolizione dell’individuale; esso è
caratterizzato dall’oltrepassamento dei limiti,
senza per questo ridurre la consistenza di questi
ultimi che sono «posseduti simultaneamente
come ostacolo e come appoggio e slancio»41.
Merleau-Ponty ritrova qui il suo approccio personale all’avversità, ereditato da Bachelard e lavorato fin dagli inediti della fine degli anni ‘40:
idea essenziale alla sua filosofia della carne e
rinnovata dal suo lavoro sulla Natura.42
Ispirandosi alla conferenza di Weizsäcker su
Gestalt und Zeit (1942), Buytendijk spiega in che
cosa la genesi del movimento non potrebbe essere presa in considerazione come iscritta in un
tempo fisico omogeneo, ma complica sempre,
l’uno per mezzo dell’altro, forma, forza e tempo.
Ugualmente, lo spazio vitale, «campo di relazioni
reciproche realizzate dalla percezione e
l’azione»43, differisce dallo spazio fisico. Buytendijk rigetta l’approccio kantiano dello spazio,
spazio tridimensionale euclideo forma a priori
della sensibilità; tale «spazio puro della rappresentazione pura» implica «l’indifferenza verso il
dato [e] non esiste che per il soggetto conoscente
41
Ivi, p. 58.
Cfr Saint Aubert, p. 2004.
43
Buytendijk, 1957, p. 80.
42
21
Emmanuel de Saint Aubert
e in quanto condizione della conoscenza»44. Esso
sottomette la vita percettiva alla localizzazione
geometrica e riduce il mondo percepito a quello
della scienza classica dove «non è questione di
una relazione a un osservatore vivente e vitalmente interessato»45. Lungi dall’essere un puro
prodotto dell’attitudine razionale, lo spazio vitale
è strutturato da un corpo di percezioni e di movimenti et resta così solidale rispetto «al tempo e
al movimento». Simmetricamente Buytendijk
pensa che «la distinzione netta tra il tempo e lo
spazio caratterizzi l’attitudine razionale o
l’attitudine non vitale in generale»46. MerleauPonty si orienta verso queste stesse idee pur rivestendo la mediazione di Buytendijk con le lumeggiature psicoanalitiche che Paul Schilder apporta alla teoria dello schema corporeo47: egli assimila attitudine vitale e desiderio, col rischio di
interpretare la postura che presiede all’ontologia
dell’oggetto come una devitalizzazione sostenuta
da una rimozione della vita desiderante.
Merleau-Ponty ritrova quindi in Buytendijk la
tesi dell’intricazione irriducibile dello spazio e
del tempo nell’essenza della vita animale, nel
44
Ivi, p. 81.
Ibid.
46 Buytendijk, 1957, p. 89.
47
Saint Aubert, 2013, sezione A.
45
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circuito del wahrnehmen – sich bewegen in cui
l’impressione sensibile delinea la forma del movimento, mentre nello stesso tempo il movimento delinea la forma della percezione. «Die
Bewegung des Organismus bewegt sich nicht in
Raum und Zeit, sondern der Organismus bewegt
den Raum mit der Zeit» . Tale proposizione,
48
che Buytendijk riprendeva parola per parola da
Weizsäcker e che Merleau-Ponty recupera a sua
volta, rischiara da sola la concezione della spazio-temporalità verso la quale quest’ultimo si dirige da sempre e che culmina negli ultimi volumi
inediti del progetto Être et Monde.
D. Verso un’ontologia della Natura
Questa nuova spazio-temporalità è chiamata
a sostenere un’ontologia della Natura che Merleau-Ponty vuole sostituire allo sterile faccia a
faccia della pura coscienza e della pura estensione.
Whitehead parla di relazioni di sconfinamento (overlapping) da comprendere prima di ogni specificazione
spazio-temporale, come fondamento del tempo e dello spazio così come della loro relazione. Le unità spazio-temporali si accavallano. Il compito imposto alla
filosofia della Natura sarebbe quello di approfondire
Buytendijk, 1957, p. 94. Il movimento dell’organismo
non si sviluppa nello spazio e nel tempo, è l’organismo
che muove lo spazio e il tempo.
48
23
Emmanuel de Saint Aubert
la relazione che esiste tra queste unità. Non si tratta
dell’interiorità spirituale invocata da Brunschvicg e
compatibile con un’esteriorità di un puro meccanismo.
49
Si tratta al contrario di infrangere tale ambivalenza dell’interiorità e dell’esteriorità, dello spiritualismo e del materialismo, per coltivare la potenza analogica della carne così come essa fu introdotta nel 1951 con L’homme et l’adversité,
fino ad associarla strettamente ad una nuova
concezione della Natura. Questa non è più riducibile all’inumano di cui l’uomo si rende signore,
all’altro della mia libertà o della mia soggettività:
è centrale il fatto di ritrovarla come sfondo stesso
dell’essere umano, pre-umanità che ci porta e ci
sostiene fino alle nostre opposizioni più esplicite
riguardo ad essa. È come se Merleau-Ponty,
giunto nel 1953 e nel 1955 a ristrutturare i suoi
primi lavori progredendo dal corpo delle percezioni e dei movimenti fino al cuore stesso delle
infrastrutture inconsce e passive della corporeità,
mirasse a partire dal 1957, mediante il concetto
di Natura, al segreto ontologico d tali infrastrutture. La Natura «assicura l’interiorità degli eventi
gli uni in relazione agli altri, la nostra inerenza al
49
Natu1, p. 157.
24
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Tutto, lega gli osservatori gli uni agli altri […] e fa
l’unità del nostro corpo».50
Nell’arco del suo primo anno di corso sul
concetto di Natura, Merleau-Ponty redige un
primo manoscritto esplicitamente ontologico, la
Natura ou le monde du silence, contro Descartes e Sartre51. La sua ontologia della Natura intende rompere con ciò che conduce al lucido
accecamento dell’umanismo sartriano, a quella
saggezza disperata52 che, ignorando la Natura,
manca inesorabilmente la questione dell’uomo,
poiché essa lo pensa come esso non fosse affatto
nato. La filosofia stessa vive del confronto con
un fuori che dall’inizio neutralizzato se noi cominciamo con il cogito o la libertà. Questi due
inizi filosofici sembravano tuttavia offrirci i mezzi
più radicali per restituire il fuori dell’uomo, le
condizioni necessarie per rispettarlo infine come
tale, spogliandolo metodicamente delle proiezioni dell’umano che ci impediscono in seconda
battuta di pensare l’uomo. Ma tale purificazione
è giustamente, per Merleau-Ponty la grande illusione della filosofia. Poiché questo puro fuori è
più che mai tramato di noi stessi, essendo la mi50
Ivi, p. 159.
Cfr la nostra introduzione a questo manoscritto, Saint
Aubert, 2008.
52
NMS [50](3).
51
25
Emmanuel de Saint Aubert
sura del più massiccio dei disconoscimenti [dénégations], innalzato come uno schermo non oltrepassabile tra noi e gli altri, tra noi e l’essere
stesso. Il vero fuori che cerca l’endo-ontologia di
Merleau-Ponty non è posta come un vis-à-vis, di
cui l’esito sarebbe l’annullamento di uno dei
termini, e poi quella inesorabile dell’altro:
l’istituzione del puro oggetto, i cui ruoli si sostituiscono a l’infinito, in un’alternanza in cui nulla
mai sarà scambiato. Il vero fuori non è
l’estensione come esteriorità senza mistero, ma
un’esteriorità con sconfinamento, una profondità
in cui noi siamo già53. Sebbene questa esteriorità
non è di costruzione (gli ostacoli che noi erigiamo non ci sono)54, essa è naturale e ci ricopre
53
NMS [114]v(2). Rapporto del problema della Natura e
del problema dell’uomo: scoperta di Descartes, di Kant,
dell’uomo come contatto con la Natura, non come solo
intelletto. Ma l’uno e l’altro subordinano tale uomo alla
fine, lo dimenticano. Descartes fa dell’uomo l’essere che
dispone, distingue senza confondere – Kant, grazie al suo
umanesimo del concetto della libertà, che infine deriva
dalla libertà dell’uomo {compreso} tutto ciò che esso ha di
apparenza di finalità e di teleologia naturale. Il mio lavoro:
rimettere a nudo la loro scoperta, che è quella della Natura
come dinamismo cieco, della Natura che noi siamo e che è
noi. Insistere sul carattere di tale umanesimo che lo separa
assolutamente dell’umanesimo kantiano-sartriano: non è
un’affermazione della Natura più di quanto non sia
un’affermazione dell’uomo.
54 NMS [119](11). Descartes non ha avuto torto
nell’esteriorità un fenomeno cruciale e bisogna corregger26
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dall’interno ancora prima che noi siamo in grado
di riconoscerla come inumana. Il vero fuori è già
un dentro che ci infesta [hante]. Ed è per questo
che noi siamo tentati di esorcizzarla edificando il
mito dell’oggetto. Più vecchio dei nostri primi
pensieri, il fuori di cui noi viviamo e di cui vive
la filosofia deborda sul nostro dentro e trasforma
tutte le nostre interrogazioni in mistero.
Il complesso delle potenzialità critiche del
pensiero di Merleau-Ponty si cristallizza così nella denuncia di una «ontologia dell’oggetto» sostenuta dalle abitudini intellettuali ereditate dalle
matematiche di Descartes. Merleau-Ponty è da
sempre contrario alle pretese dell’esigenza del
partes extra partes e alla tesi ad esso correlativa:
quella della stretta correlazione, tanto spaziale
quanto epistemologica e ontologica. Ogni cosa è
al suo posto, nel suo luogo proprio, un luogo
strappato ad ogni spessore temporale, protetto
da ogni forma di sconfinamento e di desiderio:
lo non ritornando al di qua, ma andandone al di là, facendo
dello spazio un mistero: ora, esso non lo è che a condizione di non essere semplice esteriorità, in quanto esteriorità
con sconfinamento, senza collocazione [emplacement]
unica. NMS [103](2)(A). Io non ammetto la risoluzione
cartesiana dell’esteriorità tramite richiamo a una intellettualizzazione dello spazio. Ora, tale risoluzione è già implicata nella posizione partes extra partes. Io pongo un mistero dell’estensione come estensione di sconfinamento
senza collocazione [emplacement] unica.
27
Emmanuel de Saint Aubert
sconfinamento di un altro luogo, di scivolamento
del suo senso verso un altro senso e un altro essere. Un luogo infine mitologico, affrancato da
ogni contingenza e da ogni vita, al riparo dalla
Natura e dalle sue potenze transizionali. Uno
spazio anti-topologico e un tempo anti-genetico,
perfettamente simbolizzato dal volo immobile di
una coscienza non situata. L’estensione è disposta di fronte alla coscienza unicamente per rifletterla e le sue proprietà di univocità rassicurante
sono date come certe solo per garantire la mia
salvaguardia: per edificare la coscienza come bastione
del
non-sconfinamento,
quello
55
dell’impossibilità dell’incontro di altri.
E. Simultaneità e obliquità
È sempre in questo orizzonti critico che
l’ontologia di Merleau-Ponty lavora infine in
un’ultima tappa (1960-1961) il senso positivo
dell’ubiquità e della simultaneità. Tali nozioni
conoscono nei suoi ultimi scritti una vera mutazione, se non un rovesciamento. Essi appartenevano da molto tempo al lessico filosofico, ma facevano riferimento allora alla dismisura dello
sguardo cartesiano-sartriano: l’ambizione di veder tutto, l’onnipotenza del survol e delle sue arti
55
RC55, p. 66.
28
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proiettive. Come fa per altre nozioni (per esempio la reversibilità o anche la riflessione), Merleau-Ponty finisce per riprendere a sua volta
l’ubiquità e la simultaneità donando loro un significato carnale, positivo e una dimensione originaria. Tale significato si dispiega da solo fino ai
suoi orizzonti più ontologici, come «la riflessione
carnale» è chiamata a fondare perfino la riflessione «astratta». Conformemente al suo metodo
costante,
Merleau-Ponty vuole
ritrovare
l’ubiquità e la simultaneità che sono all’opera già
al momento della vita percettiva – in particolare
nella visione in profondità – prima di estenderle
all’insieme delle vita analogica dello schema
corporeo, una vita carnale animata dal desiderio
e aperta all’essere. È in questa direzione che si
muovono L’œil et l’esprit (1960) e l’ultimo corso
al Collège de France sull’ontologia cartesiana
(1961).56
Sulla linea di queste tappe e mediazioni
complesse, il trattamento merleau-pontiano dello spazio e del tempo tende a far convergere il
suo quadro antropologico iniziali in un quadro
ontologico, prendendo coscienza della necessità
di pensare l’essere umano a partire dalla Natura.
Ritornando un’ultima volta al corpo umano nel
Du lien des êtres aux éléments de l’être et Le scénario
cartésien, Saint Aubert, 2004 et 2005.
56
29
Emmanuel de Saint Aubert
corso degli inediti tardi, Merleau-Ponty non abbandona la Natura, ma tiene insieme corpo e
Natura nello strano concetto di carne del mondo
(1960-1961). La Natura mi insegna che io sono
carne nella carne del mondo e che è impossibile
comprenderle
indipendentemente
l’una
dall’altra.57
Alcuni passaggi più tardi sullo spazio e il
tempo rivelano allora una sorta di difficoltà descrittiva che può giustamente lasciarci perplessi.
Essi presentano il punto più arduo della lotta
merleau-pontiana
contro
«l’ontologia
dell’oggetto», contro il suo approccio seriale allo
spazio come al tempo, di fronte ai quali la coscienza è nell’impossibile postura del survol absolu di Ruyer, radicalmente affrancata dalla carne. Merleau-Ponty stigmatizza tale ontologia in
quanto essa riduce gli esseri a «puri individui, a
dei ghiacciai d’essere che non sono passibili di
57
OE, pp. 83-85. È necessario che ciò che è senza luogo
sia connesso ad un corpo, meglio: sia iniziato da lui a tutti
gli altri e alla natura. Bisogna prendere alla lettera ciò che
ci insegna la visione: tramite essa noi tocchiamo il sole, le
stelle, noi siamo nello stesso tempo ovunque, tanto prossimi alle cose lontane quanto alle vicine. Essa sola ci insegna che degli esseri differenti, esteriori, estranei l’uno
all’altro, sono tuttavia assolutamente insieme, la simultaneità, la concrezione di un unico Spazio che separa e riunisce, che sostiene ogni coesione (ed anche quella del passato e dell’avvenire, poiché essa non sarebbe, se essi non
fossero parti rispetto al medesimo Spazio).
30
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sezionamento»58, i quali possono comunicare solo dall’alto della coscienza e dei loro legami di
natura ideale. Al contrario, la sua descrizione
dello spazio e del tempo traduce l’esito di una
filosofia della carne generalizzata, in cui «la generalità del corpo» vuole offrire un contro-modello
rispetto all’astrazione intellettualista59. Essa designa la vittoria di una logica dello sconfinamento
che ha messo fine al partes extra partes
dell’estensione cartesiana, fino a riassorbire ogni
separazione. Essa disegna infine il quadro onirico di una carne materiale in cui l’essere è assimilato a una materia d’essere della carne, allo stile
che la caratterizza. Guardando questo quadro,
tutto sembra essere null’altro che pregnanza,
Ineinander e promiscuità, nel seno di
58
Natu3, p. 280/[43]v. La carne del corpo ci fa comprendere la carne del mondo. NT, p. 103, maggio 1960. Proprio tramite la carne del mondo si può comprendere infine
il corpo proprio. EM3 [247](31). La carne del corpo è una
parte della carne del mondo e tuttavia condizione di questa
carne. NLVIàf3 [181], novembre 1960. La mia carne è un
caso particolare del[la] carne del mondo. NTi [359]. La
carne del mondo come uno dei fogli della mia carne.
59 Ibid. Dal momento che l’essere non è più dinanzi a me,
ma mi circonda e, in un senso, mi attraversa, e poiché la
mia visione dell’Essere non si fa da altrove, ma dal centro
dell’Essere, i pretesi fatti, gli individui spazio-temporali
non sono d’improvviso montati sugli assi, i cardini, le dimensioni, la generalità del mio corpo e le idee quindi già
incrostate all’altezza delle sue giunture.
31
Emmanuel de Saint Aubert
un’ontologia che avrebbe dissolto ogni dimensione corpuscolare nel movimento unitario e di
fusione di una dinamica ondulatoria, in una sola
ed unica «vibrazione ontologica»:
ormai gli individui dello spazio e del tempo non sono
più gli uni fuori degli altri e la generalità nella quale
essi comunicano non li sovrasta: non vi sono che
sconfinamenti di individui, tempo e spazio sono proliferazione, generatività, deiscenza, pregnanza, parto,
apertura di sé a sé, auto-costituzione, il senso al quale
partecipano gli individui non è al di sopra di essi, esso
è tra di loro, carne della loro carne, carne assottigliata,
estenuata, sublimata [...]. L’interrogazione filosofica
ha come oggetto in principio questa essenza bruta e
questa esistenza bruta, che non sono alternative e la
giunzione delle quali non costituisce un’aporia, poiché
esse sono i nodi e i ventri della stessa vibrazione ontologica.
60
Merleau-Ponty rischia quindi infine di sostituire
il Grande Oggetto con un Grande Corpo («la
Natura è la carne, la madre»), generalizzazione
ultima dello schema corporeo e del desiderio
che l’anima, nel cerchio di una «carne del mondo» che è la proiezione massiccia della nostra
carne là dove questa non è altro che
l’introiezione di quella. Tale filosofia della carne,
saturata di un onirismo in fusione, indicherebbe
il ritorno decisivo del mito dell’unificazione totale che aleggiava su La phénoménologie de la
60
Minuta [112](129)/NP, ottobre 1960.
32
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perception, quello di una «struttura unica» che
rimanda in una maniera magica ad un problema
non risolto61. La Natura, archè originaria, Boden
garantito contro ogni forma di non senso e di
separazione radicale, finirebbe per mascherare
l’essere esplosivo e dialettico che Merleau-Ponty
pur rivendicava.
Tuttavia è impossibile fermarsi qui sena dare
luogo a una lettura mutilata degli ultimi scritti di
Merleau-Ponty, ricchi di altri tentativi che rilanciano l’ontologia al di là del semplice riassorbimento dell’essere nella carne. Non è questo il
luogo per esporre queste diverse direzioni di
pensiero62. Ci soffermeremo solo su una di queste, particolarmente significativa, direttamente
legata alla tematica del presente scritto. Si tratta
della riflessione merleau-pontiana sulla fede percettiva e il pensiero interrogativo, la quale costituisce d’altronde il quadro stesso dei testi sulla
«vibrazione ontologica» che abbiamo appena citato. Questi sono in effetti aperti da
un’interrogazione la quale per Merleau-Ponty
riassume e fonda tutte le domande: «dove sono
io? Che ora è?». Un’interrogazione che ci rimanda un’ultima volta allo spazio e al tempo, la
cui analisi ci orienta verso una delle direzioni più
61
62
Cfr Saint Aubert, 2013, capitolo IX.
Être et chair I, Saint Aubert, 201, capitolo IX.
33
Emmanuel de Saint Aubert
feconde
dell’ontologia
dell’autore.
fenomenologica
4. EPILOGO: INTERROGARE QUESTO SPAZIO E QUESTO TEMPO CHE NOI SIAMO
A. Dove sono io e che ora è?
«Non ci si interroga sullo spazio e il tempo. Si
interroga questo spazio e questo tempo che noi
siamo», afferma Être et Monde nel 195963.
L’ultimo Merleau-Ponty si volge verso tale questione inesauribile «che noi siamo», una vita interrogativa che sostenga ogni conoscenza e accompagni già la percezione64. Egli fa per questo
motivo appello a un estratto celebre de L’art
poétique di Claudel o André Vachon hanno letto il Cogito del poeta65. Tale passaggio, cifra trasversale del complesso dei manoscritti preparatori o costituenti Le visible et l’invisible (vi ritorna non meno di tredici volte66) gravita attorno ad
63
EM2 [216].
VI, p. 140. Non è soltanto la filosofia, è all’inizio lo
sguardo che interroga le cose [e dà inizio]
all’interrogazione fondamentale che appare nuda nella filosofia.
65 A. Vachon, 1965, p. 244. Cf. aussi G. Poulet, 1977,
pp. 155-170.
66 Per i rimandi a questo passaggio di Paul Claudel nel
corpus merleau-pontien: PbPassiv 256/[197](61), RC55
64
34
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una interrogazione elementare sulla nostra iscrizione spazio-temporale: «dove sono io e che ore
sono?». Merleau-Ponty lo utilizza già in una nota
inedita risalente probabilmente al marzo 1959,
intitolata Foi percetpive et interrogation67.
All’altra estremità della redazione de Le visible
et l’invisible, un foglio inedito del novembre
72, NPVIf [162], VI2 140, Minuta 356/[97](103),
356/[97](104), [97](104)/NP, VI3 142, 161, 162, 171,
NPVI [188]v, [189], [190].
67 NPVIf [162]. In margine Définitif. Cfr anche VI2,
pp. 140-141. Un anno e mezzo dopo la composizione di
questo capitolo, Merleau-Ponty riprende la redazione
dell’opera. Noi siamo nel mese di ottobre 1960 e il filosofo ha appena ultimato ad agosto L’œil et l’esprit e a settembre la prefazione a Signes. Lo stato attuale del suo
progetto situa Être et Monde come prima parte de Le visible et l’invisible (Minute p. 355/[97](103)) e ricollega il
suo proposito del momento all’inizio di questa parte con
un primo paragrafo intitolato con sobrietà Ineinander. Tale
paragrafo inizia ritornando sulla domanda di Claudel che
aveva tuttavia già chiuso l’ultimo capitolo redatto nel marzo 1959. In novembre Merleau-Ponty rilegge il manoscritto di ottobre e si rende conto che esso anticipa troppo rispetto al seguito e redige una nuova versione, la quale diventerà il terzo capitolo de Le visible et l’invisible. Egli
annota in maniera preliminare qualcosa sulla minuta di
ottobre, ripetendo come un’ossessione la domanda claudeliana [...]. Frutto di questo nuovo mese di lavoro, il manoscritto Interrogation et intuition menziona da subito la
formula de l’Art poétique (VI3, p. 142), prima di ritornarvi
due volte in maniera più distesa e di concludere il capitolo
evocando ancora questa stessa domanda (VI3, pp. 161,
162, et 171).
35
Emmanuel de Saint Aubert
1960 afferma ancora: «il dove sono io e che ora
è di Claudel contiene già la filosofia».68
Per Claudel il poeta è colui che interroga
l’essere nella sua totalità, una totalità di cui esso
colui che interroga così come appartenenza
all’essere. La formula interrogativa ripresa da
Merleau-Ponty intende simboleggiare tale attitudine: essa è vicinissima alla «questione centrale
che è noi stessi»69, ma che anche e immediatamente «la domanda di colui su cui essa verte»70.
L’interrogazione è il dispiegamento naturale
dell’essenza dell’uomo nel suo Ineinander con
l’essere, ciò che gli dona immediatamente uno
statuto in cui antropologia e ontologia sono indissociabili.
L’interrogazione, più che un dubbio, è
l’épreuve dei nostri vincoli, nei due sensi del
verbo /éprouver/ – avvertire e mettere alla prova.
Questi due sensi convergono verso un significato
unitario per colui che concepisce la vita percettiva non come una pura ricettività, ma come una
esperienza passivo-attiva della resistenza e della
pressione delle cose. Il cogito sensibile di Claudel congiunge in tal modo il coglimento di sé alla
68
NPVI [190].
VI2, p. 141.
70
NPVI [190], [191], NLVIàf3 [180]v.
69
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percezione éprouvante71 della nascita del mondo.
Esso non si sviluppa in un’inferenza e non conclude in un io sono, ma lo mette in opera come
la carne, in una postura interrogativa. Essere è
iscriversi nei confronti del tempo e dello spazio
sentendosi iscritto in un corpo a corpo:
da un istante all’altro un uomo rialza la testa, annusa,
ascolta, considera, riconosce la sua posizione: pensa,
sospira e estraendo il suo orologio dalla tasca posta
contro il suo fianco, guarda l’ora. Dove sono? Che
ora è? Questa è la domanda che noi rivolgiamo al
mondo, la domanda inesauribile [Claudel, Art poétique, Mercure de France, 1907, p. 9] . Inesauribile
perché l’ora e il luogo cambiano, ma soprattutto perché la questione non consiste in fondo nel sapere in
quale luogo e in quale ora noi siamo, ma da principio
per quale vincolo indistruttibile noi siamo ancorati
nello spazio e nel tempo. L’indagine delle circostanze
non sarebbe così appassionata come è se noi non cercassimo il modo di cambiare senza dubbio, ma
dall’inizio di provare e di comprendere i nostri vincoli .
72
73
B. Il vincolo indistruttibile
La postura interrogativa fondamentale che ci
anima non è «l’assenza provvisoria di un enunLasciamo il lemma francese dal momento che l’autore
fa intervenire qui ancora una volta la duplicità di sensi già
esplicitati poco prima. In italiano possiamo rendere tale
sdoppiamento precisando che tale /percezione éprouvante/
è al tempo stesso testimoniale e sperimentante [NdT].
72 P. Claudel, 1967, p. 126.
73 Minute [97](104)-[98](105)/NP, ottobre 1960 e VI3,
pp. 160-162.
71
37
Emmanuel de Saint Aubert
ciato positivo»74, «la semplice attesa di un significato che verrebbe a colmarla»75, ma una maniera
«di cogliere l’Essere»76. La sfida non è quella di
ricevere dei dati, di essere informato, ma di testimoniare e sperimentare [éprouver] un vincolo,
un ancoraggio e di testimoniare e sperimentare
[éprouver] come indistruttibile tanto per la sua
solidità che per la sua durabilità.
L’interrogazione è pertanto profondamente
estranea al dubbio generalizzato, ove «un non
essere centrale minaccia ogni momento di revocare il suo assentimento all’essere»77. L’uomo
istallato in un tale dubbio non pone più domande, il suo corpo angosciato si pietrifica e finisce
con la cessazione della percezione stessa. Tale
dubbio è «un positivismo clandestino», secondo
l’analisi sottilissima di Merleau-Ponty, e noi
dobbiamo «oltrepassarlo» verso ciò che «esso
nega ed afferma ancora»78. L’interrogazione non
è «arretramento nel niente che è nulla», poiché
«colui che interroga non è niente, esso è — cosa
completamente diversa – un essere che si interroga; ciò che esso ha di negativo è portato da
74
Minute p. 356/[97](103).
VI3, p. 160.
76 Minute p. 356/[97](104).
77 VI2, p. 140.
78
VI3, p. 160.
75
38
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un’infrastruttura d’essere»79. E se si crede di poter rispondere alla nostra interrogazione fondamentale tramite «una sfera d’assoluta certezza»,
si ricade di nuovo in una cesura rispetto
all’essere, una negazione della nostra inerenza e
dei nostri vincoli80. Dubbio assoluto o certezza
assoluta, queste due impasses sono emblematiche degli scenari critici di Descartes e di Sartre.
L’uno come l’altro sono messi in scena nella tripla denegazione del nostro legame all’essere,
della consistenza dell’essere e di quella del nostro essere proprio.81
Tale mancanza di assentimento all’essere e di
assentimento ad essere mette fine a ogni vera interrogazione. Una simile postura è vana e mentitrice, poiché l’essere continua a portarci — le nostre domande lo provano, sebbene esse vogliano
affermare il contrario. «Nessuna domanda va
verso l’essere: non foss’altro che per il suo essere
domanda, essa lo ha già frequentato, essa proviene da quello»82. E la domanda posta da l’Art
79
Ibid.
80 Ibid.
81
Ibid. Come il negativismo del dubbio, il positivismo
delle essenze dice segretamente il contrario di ciò che esso
dice apertamente. Il partito preso di accedere all’essere
assolutamente duro dell’essenza nasconde la pretesa menzognera di non essere niente.
82
VI3, p. 161.
39
Emmanuel de Saint Aubert
poètique implica proprio questa frequentazione.
Come viene affermato ancora ne Le visible et
l’invisible, «noi siamo delle esperienze, ovvero
dei pensieri che testimoniano e sperimentano il
pensiero dietro quelli dello spazio e del tempo,
dell’Essere stesso che essi pensano»83. Che testimoniano e sperimentano la portanza dell’essere.
Allora è escluso che la questione «sia senza
risposta, pura apertura verso un Essere trascendente», ma è anche escluso che «la risposta sia
immanente alla domanda»: nei due casi «la nostra situazione di partenza è ignorata»84. Ogni interrogazione che operi una rottura o una fusione
con l’essere si distrugge come interrogazione e
nega la nostra condizione. Noi non siamo né
«rescissi dall’Essere», né totalmente «presi in esso»85. Ma in una situazione d’inerenza e di sconfinamento che configura epistemologicamente le
nostre domande come misteri e non in problemi
perfettamente risolvibili o totalmente insolubili86.
Né separati dall’essere, né assorbiti in esso, noi
siamo affrancati dai due abissi, separazione e fu83
VI3, p. 155.
VI3, p. 161.
85 Ibid.
86 Minuta p. 358/[100](108). Per principio inestinguibile
[la nostra interrogazione] non attende risposta, essa non
formula problemi, indica un piccolo mistero (Minuta
p. 356/[97](104)).
84
40
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sione, che lavorano l’analitica dell’Essere e del
Nulla e costituiscono per Merleau-Ponty
«l’ambivalenza di Sartre». Le nostre domande
sono sorrette da un’infrastruttura d’essere e mobilitano in noi un vincolo indistruttibile – non un
legame subito, ma la semenza di una nascita alla
quale contribuisce la nostra interrogazione.
L’essere si esprime e ci esprime, si afferma e ci
afferma prima ancora che noi siamo nelle condizioni di interrogarlo: tale precessione ontologica
dà il quadro generativo dell’esperienza umana,
essa rende possibile e provoca la nostra interrogazione.
C. Fede e interrogazione. Éprouver la portanza
dell’essere
Tale riflessione tarda di Merleau-Ponty sul
pensiero interrogativo prosegue la sua ricerca di
sempre vertente su una concezione esistenziale
della conoscenza la quale sappia smarcarsi dalle
ingenuità e dalle pretese dell’idealismo come del
realismo87. L’avventura della conoscenza si radica
nella épreuve passivo-attiva di una coesistenza, di
un legame di connaturalità, per assentimento e
partecipazione alla nascita congiunta delle cose e
87
VI2, p. 140. Noi non abbiamo una coscienza costituente
delle cose, come crede l’idealismo e neppure una preordinazione delle cose alla coscienza, come crede il realismo.
41
Emmanuel de Saint Aubert
del sé. Essa è così «co-naissance», secondo la
nozione che Merleau-Ponty, dai suoi primi scritti, prende in prestito costantemente dalla stessa
Art poétique di Claudel.
Ogni domanda «fa parte della domanda centrale che è noi stessi»88, quella «di colui sul quale
essa verte»89 e che non potrebbe sfuggire a tale
inerenza
senza
falsare
o
rinnegare
l’interrogazione che l’anima. Dove sono io e che
ora è sono emblematiche di questo stupore interiore a mistero che costituisce il fondamento esistenziale di ogni conoscenza. Uno stupore che
scava lo scarto tra la carne e l’essere pur mettendo alla prova il loro legame. Agli antipodi del
dubbio nullificante come dell’essenzialismo
menzognero che potrebbe sfociare solo su una
separazione e una fusione egualmente distruttrici, tale stupore dinanzi alla sorpresa dell’essere,
che ci precede e ci sostiene, è il principio
d’animazione stessa della nostra intelligenza incarnata.
L’analisi merleau-pontiana della postura fondamentalmente interrogativa della nostra carne
mette in evidenza una collusione, sottile e paradossale, tra interrogazione e fede. È per un atto
di fede che noi ci manteniamo al di fuori degli
88
89
VI2, p. 141.
NPVI [190], [191], NLVIàf3 [180]v.
42
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abissi dei due positivismi nullificanti denunciati
da Merleau-Ponty, gravati da una mancanza di
assentimento all’essere e di un assentimento ad
essere. Come sempre il fenomenologo francese
concepisce l’articolazione tra fede e interrogazione a partire dalla sua comprensione della vita
percettiva. Noi non possiamo percepire senza
aprirci all’indeterminazione del mondo percepito, senza consentire ad adattare le nostre strutture sensori-motrici alla distanza e alla grana del
sensibile e senza aderire alla cristallizzazione
dell’inesauribile. Ma questa fede percettiva possiede nel suo fondo una dimensione interrogativa che prefigura e fonda tutte le nostre domande. Poiché essa non è un assentimento puramente passivo, se non servile, alla pressione e alla
tensione delle cose: essa stessa esercita una pressione sull’essere percepito, una messa alla prova
tanto più radicale quanto il suo assentire è forte.
La fede interroga e obbliga l’essere al quale essa
si affida e nel quale essa confida. Essa non è
adesione post hoc ad una identità preliminarmente delimitata — adesione al già determinato,
al
già
provato
— ma
assentimento
all’indeterminazione e adesione ad una determinazione in corso. E questo in parte grazie a ciò:
sordamente operante, la fede partecipa del processo di determinazione nella sua maniera di as43
Emmanuel de Saint Aubert
sentire all’indeterminazione e di interrogarla. La
fede va oltre la prova, testimoni e sperimenta
[éprouve] ed in tal modo partecipa alla prova.
Feconda e performativa, la sua determinazione
all’indeterminazione contribuisce a una determinazione dell’indeterminazione, come se il suo
modo di aprirsi all’inesauribile partecipasse alla
cristallizzazione di quest’ultimo. Come se essa
contribuisse alla realizzazione della promessa alla quale essa aderisce.90
Percezione, immaginazione e fede. È proprio
verso le loro strette connessioni e articolazioni
che si dirige la riflessione tarda di MerleauPonty, in relazione al suo lavoro su Le visible et
l’invisible e a partire dal dove sono io e che ora è
di Claudel. Il primo testo, evocando il Cogito
claudeliano, con una nota intitolata precisamente
Foi perceptive et interrogation, lancia due equa90
Tale operatività [opérance] segreta si trova al cuore della logica percettiva che Merleau-Ponty studia a partire fin
dai primi lavori, come noto nella visione in profondità. La
percezione si apre all’indeterminazione della profondità,
non aspetta d’aver osservato in modo pieno e perfetto per
cristallizzare conoscere, ma passa oltre la prova e partecipa nel colmare le lacune del mondo percepito, col determinare l’indeterminazione. Essa sperimenta uno scarto tra
delle cose o dimensioni che non sono preliminarmente definite e il fatto che questo stesso sperimentare contribuisce
all’identificazione differenziandole e collegandole.
44
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zioni per lo meno audaci: da una parte, tra interrogazione e fede, dall’altra tra percezione e interrogazione. «Quindi interrogazione che è la fede
(invece di annullare l’in sé) — Percepire è interrogare: definizione dell’adaequatio realista o
idealista rigettata, scarto che è rapporto. Tale interrogazione è dietro ogni ognuna delle nostre
domande: dove sono io e che ora è? (Claudel)».91
L’essere umano approfondisce la sua «implicazione inestricabile»92 con l’essere al cuore di
un’attesa inesauribile e in una confidenza indefettibile93 — compresa, se non tanto più,
nell’avversità, «nel momento in cui la vita è minacciata»94. Esso l’approfondisce in questa dimensione fondamentalmente interrogativa e
éprouvante [di testimonianza e di sperimentazione] che è quella della sua esistenza, del fatto
stesso della sua attesa e della sua fede. Sordamente esercitata dalla minima percezione,
l’interrogazione fondamentale che «porta già la
filosofia»95 è così la testimonianza e la sperimentazione [épreuve] vitale della nostra incarnazio91
NPVIf [162]. NPVIf [163].
VI2, p. 117.
93 VI3, p. 141 e VI2, p. 162.
94 VI2, p. 141. Un appello alla totalità a cui nessun essere
oggettivo dà risposta. L’essere oggettivo non fa che ingannare la nostra fame
95
Ibid.
92
45
Emmanuel de Saint Aubert
ne: il «vincolo indistruttibile» tramite il quale
«noi siamo ancorati nello spazio nel tempo»96, «il
profondo movimento mediante il quale noi ci
siamo installati nel mondo»97, tale movimento
che è la nostra nascita continuata. Esso va anche
al fondamento del nostro desiderio di conoscere, poiché l’avventura della conoscenza è il proseguimento senza fine di questo bisogno esistenziale che è il nostro, cioè quello «di testimoniare
e sperimentare [éprouver] e di comprendere i
nostri vincoli»98. In ultimo, tale épreuve esercitata
tramite questo «organo ontologico» che è la nostra fede interrogativa, inaugura e accompagna
fino in fondo il nostro rapporto all’essere.99
Noi siamo «una sola domanda continuata,
un’impresa perpetua di messa in rilievo di noi
stessi rispetto alle costellazioni del mondo e delle cose in relazione alle nostre dimensioni»100.
96
NPVI [190].
Minute 98](105)/NP.
98 VI2, p. 141.
99 VI3, p. 162. Se noi potessimo scrutare il loro motivo
ultimo, noi troveremmo sotto le domande dove sono io e
che ore sono? una conoscenza segreta dello spazio e del
tempo come esseri da interrogare, dell’interrogazione come rapporto ultimo all’Essere e come organo ontologico.
100 VI2, p. 140 e VI3, p. 162. La questione che emerge qui
non è, in fondo, quella che verte sulla necessità di sapere
in quale luogo di uno spazio preso come dato e in quale
ore di un tempo dato noi siamo, ma da principio di sapere
qual è questo vincolo indistruttibile che ci lega alle ore e ai
97
46
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Una surrezione continuata nella quale noi ci innalziamo senza fine sulla portanza dell’essere e
facciamo sì che prendano rilievo a nostra volta
gli esseri sugli assi portanti del nostro schema
corporeo. Nel quale l’essere che noi siamo e
l’essere del mondo possono co-nascere, sorgere
insieme in un solo essere verticale. Questo è il
complesso irriducibilmente antropologico e ontologico — in cui fede, interrogazione e testimonianza e sperimentazione [épreuve] dei nostri
legami si unificano nell’essere percepente e desiderante — che Merleau-Ponty schizza a partire
dalla domanda claudeliana: dove sono io e che
ora è? rispondendo alle impasses del «complesso ontologico» cartesiano e sartriano tramite
l’articolazione intima dell’assentimento ad essere
e dell’assentimento all’essere.
(Traduzione di Giuseppe Crivella)
luoghi, tale presa di posizione [relèvement] rispetto alle
cose, tale istallazione continuata tra di esse, in base alla
quale è necessario dall’inizio che io sia in un tempo e in
un luogo qualsiasi.
47
Emmanuel de Saint Aubert
I. Abbreviazioni delle opere e degli inediti di Merleau-Ponty citati nel testo:
Minuta/e: manoscritto dell’ottobre 1960 la cui rielaborazione di novembre costituirà il terzo capitolo
dell’edizione postuma de Le visible et l’invisibile.
EM: Être et Monde (inedito, B.N.F., volume VI);
EM1 essenzialmente autunno1958, alcuni fogli di
marzo 1959; EM2 : diverse sequenze di lavoro
distribuite nel 1959; EM3: essenzialmente aprilemaggio 1960, riscritture ottobre 1960.
MSME: note di preparazione al corso al Collège de
France del 1953 su Le monde sensible et le monde
de l’expression, B.N.F., volume X. Genève,
MétisPresses, 2011.
Natu: La Nature. Notes, cours du Collège de France,
Paris, Seuil, «Traces Écrites», 1995; Natu1: note di
studenti del corso de 1957 su Le concept de Nature
(gennaio-maggio 1957); Natu2: note di studenti al
corso del 1958 sur Le su de Nature. L’animalité, le
corps humain, passage à la culture (gennaio-maggio
195
8); Natu3: note di preparazione al corso del 1960 sul
concetto di natura, Nature et Logos: le corps humain
(gennaio-maggio 1960). B.N.F., volume XVII.
Note de preparazione inedite a Le Visible et
l’invisible (B.N.F., volume VII): NLVIàf1: Notes de
lecture pour Le visible et linvisible, «Pour choses à
faire» (marzo 1959); NLVIàf2: idem (marzo-aprile
1959); NLVIàf3: idem (auunno 1960); NPVI: Notes
relatives à la préparation du Visible et l’invisible
(aurunno 1960); NPVIf: Notes pour choses faites
(marzo-aprile 1959).
NMS: La Nature ou le monde du silence (e altri
inediti): sequenza di lavoro datante probabilmente
1957, poi collocato nel volume Être et Monde.
48
Kasparhauser ■ Rivista di cultura filosofica
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B.N.F., volume VI.
NT: note di lavoro (da gennaio 1959 a marzo 1961)
ed Claude Lefort in appendice a Le Visible et
l’invisible, Paris, Gallimard, 1964.
NTi: note di lavoro inedite 1955-1961, B.N.F.,
volume VIII.
OE: L’Œil et l’Esprit, Paris, Gallimard, 1964, 1985.
PbPassiv: note di preparazione al corso al Collège de
France del 1955 su Le problème de la passivité: le
sommeil, l’inconscient, la mémoire, B.N.F.,
volume XIII. Trascrizione ne L’institution. La
passivité. Notes de cours au Collège de France (19541955), Paris, Belin, 2003.
PhP: Phénoménologie de la perception, Paris,
Gallimard, 1945.
PPCP: «Le primat de la perception et ses
conséquences philosophiques», Bulletin de la Société
française de Philosophie, 41e année, juillet-septembre
1947, pp. 119-135, discussion pp. 135-153 (seduta del
23 novembre 1946); poi ne Le primat de la
perception et ses conséquences philosophiques,
Grenoble, Cynara, 1989, pp. 41-72, discussion
pp. 72-104.
RCxx: Résumés de cours. Collège de France, 19521960, Paris, Gallimard, 1968; RC53: Le monde
sensible et le monde de l’expression / Recherches sur
l’usage littéraire du langage; RC55: L’«institution»
dans l’histoire personnelle et publique / Le problème
de la passivité : le sommeil, l’inconscient, la
mémoire ; RC57: Le concept de Nature.
SC: La structure du comportement, Paris, P.U.F.,
1942, 1990.
VI: Le visible et l’invisible, Paris, Gallimard, 1964;
VI1: Réflexion et interrogation (marzo-aprile 1959);
VI2: Interrogation et dialectique (marzo-aprile 1959);
49
Emmanuel de Saint Aubert
VI3: Interrogation et intuition (novembre 1960); VI4:
L’entrelacs – le chiasme (novembre 1960).
II. Altre opere correlate citate da Merleau-Ponty nel
testo:
BERGSON (Henri)
L’évolution créatrice, Paris, P.U.F., 1941.
Durée et simultanéité. A propos de la théorie
d’Einstein, Paris, Alcan, 1922; Paris, P.U.F. 7e éd.,
1968.
BUYTENDIJK (Frederik Jacobus)
Attitudes et mouvements. Étude fonctionnelle du
mouvement humain, trad. L. van Haecht, préface de
E. Minkowski, Paris, D.D.B., 1957.
CLAUDEL (Paul)
Œuvre poétique, Paris, Gallimard, «Bibliothèque de
la Pléiade», 1967.
PIAGET (Jean) et INHELDER (Bärbel)
La représentation de l’espace chez l’enfant, Paris,
P.U.F., 1948.
POULET (Georges)
Entre moi et moi. Essais critiques sur la conscience
de soi, Paris, Corti, 1977.
SAINT AUBERT (Emmanuel de)
Du lien des êtres aux éléments de l’être. MerleauPonty au tournant des années 1945-1951, Paris, Vrin,
«Bibliothèque d’histoire de la philosophie», 2004.
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Le scénario cartésien. Recherches sur la formation et
la cohérence de l’intention philosophique de Merleau-Ponty, Paris, Vrin, «Bibliothèque d’histoire de la
philosophie», 2005.
Vers une ontologie indirecte. Sources et enjeux critiques de l’appel à l’ontologie chez Merleau-Ponty, Paris, Vrin, «Bibliothèque d’histoire de la philosophie»,
2006.
Maurice Merleau-Ponty, direction d’ouvrage, introduction, présentation et édition scientifique des pages
d’ouverture de le inédit La Nature ou le monde du
silence, Paris, Hermann, 2008.
Être et chair I. Du corps au désir: l’habilitation ontologique de la chair, Paris, Vrin, «Bibliothèque
d’histoire de la philosophie», 2013.
«La conception merleau-pontienne de l’inconscient
dans les manuscrits tardifs», in Approches phénoménologiques de l’inconscient, éd. M. Gyemant et
D. Popa, Hildesheim - Zürich - New York, Olms,
2015 , pp. 187-209.
«L’unité de l’espace-temps vital. Merleau-Ponty lecteur d’Attitudes et mouvements de Buytendijk», in Le
phénomène du vivant. Buytendijk et l’anthropologie
philosophique, sous la direction de Florence Burgat
et Christian Sommer, Genève, MétisPresses, 2016,
pp. 49-77.
1
VACHON (André)
Le temps et l’espace dans l’œuvre de Paul Claudel,
Paris, Seuil, 1965.
WAHL (Jean)
Hommage à Maurice Merleau-Ponty, émission du
Service des émissions culturelles, radiodiffusée le 17
mai 1961, archives I.N.A.
51
Emmanuel de Saint Aubert
Emmanuel de Saint Aubert, già ancien élève de
l’École Normale Supérieure de rue d’Ulm, è Directeur de recherche CNRS e ricercatore presso gli
Husserl-Archives di Parigi. Tra le sue numerose pubblicazioni ricordiamo le opere principali dedicate al
pensiero di Maurice Merleau-Ponty:
– Du lien des êtres aux éléments de l'être. MerleauPonty au tournant des années 1945-1951, Vrin, Paris
2004.
– Le scénario cartesien. Recherches sur la formation
et la cohérence de l’intention philosophique de Merleau-Ponty, Vrin, Paris 2005.
– Vers une ontologie indirecte. Sources et enjeux critiques de l’appel à l’ontologie chez Merleau-Ponty,
Vrin, Paris 2006.
– Être et chair I. Du corps au désir : l’habilitation ontologique de la chair, Vrin, Paris 2013.
52