Gli italiani non si fidano delle cliniche dentali low-cost

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ANDI:
Gli italiani non si fidano delle cliniche dentali low-cost ma prediligono il rapporto di fiducia con il proprio dentista
Anche l’Istituto Tedesco di Qualità e Finanza (Itqf) certifica quanto già l’Istituto Ispo nel maggio 2012, per conto di ANDI, aveva
indicato: gli italiani non si fidano dei centri odontoiatrici ma preferiscono il dentista privato libero professionista, che per il 93% di loro
esprime piena fiducia.
Secondo quanto rilevato dall’Istituto tedesco, e riportato sull’inserto Corriere Economia del 27 maggio, tutte le catene di cliniche
odontoiatriche analizzate hanno ottenuto un gradimento insufficiente.
Il dato non ci stupisce -commenta il Presidente Nazionale ANDI (Associazione Nazionale Dentisti Italiani) Gianfranco Prada- in
quanto le cure in questi centri si basano principalmente su logiche commerciali, che non si possono applicare quando si tratta della
salute di una persona.
La ricerca dimostra anche che il prezzo non è l’unico aspetto che il paziente considera nella scelta del dentista al quale si affida e,
fattore molto importante, non lo è neppure in tempi di crisi. E’ infatti fondamentale il rapporto di fiducia che si instaura con il proprio
dentista ad essere considerato come prioritario ed il paziente non gradisce essere curato da professionisti diversi come spesso
avviene nei grossi centri odontoiatrici, negli ospedali oppure negli ambulatori pubblici territoriali. Inoltre, il giudizio negativo espresso
dai cittadini considerati dall’indagine è anche condizionato dalla tariffa pagata, che non sempre è "low-cost" come viene spesso
proposta dalla pubblicità dei grossi centri odontoiatrici e comunque, a conti fatti, non si discosta quasi mai dalle tariffe medie
praticate dai dentisti italiani liberi professionisti. Il motivo in fondo è semplice e vale per ogni campo: fare buona odontoiatria costa se
si effettuano cure di qualità”.
Commento Lessicom
Il canto delle sirene
di Franco Tosco
Un osservatorio che non si limita a considerare dei dati astratti e talvolta ipotetici, ma che scende direttamente sul
territorio e opera sul piano nazionale con i numeri veri delle produzioni acquisite, dei preventivi con valori proposti e
accettati, che non crede quindi alle impressioni ma osserva che cosa succede nella realtà degli studi e traccia magari
delle estrapolazioni omogenee per territori e realtà socio-economiche e le confronta con altre, poté sostenere, fin
dall’inizio, che il fenomeno non era una novità tale da preoccupare gli studi di qualità con l’obiettivo dell’eccellenza.
La convinzione era sostenuta dall’osservazione che non si sta trattando o vendendo dei beni materiali, ma si affronta un
bene immateriale –il dolore, a volte la paura, altre ancora “il piacersi” e più in generale la salute- che si porta dietro un
alone semantico, una componente di immaginario, un bisogno profondo ancorché talvolta indefinito che non può essere
messo, in primis, in relazione con il prezzo. Il prezzo è in relazione ai bisogni materiali. Quelli immateriali sono invece in
relazione con la qualità della vita, che assume importanza maggiore in relazione diretta con l’aumento delle difficoltà
finanziarie.
La minore disponibilità finanziaria non conduce, nel caso dei beni immateriali come la salute, verso l’accettazione del
low-cost. Modifica invece le priorità attribuite alla risposta ai bisogni materiali. Se in condizione pre-2008 una persona
riusciva a rispondere contemporaneamente all’acquisto di un televisore a grande schermo, al guardaroba dell’ultima
campagna di moda, all’acquisto della seconda o terza auto e a occuparsi anche della salute orale, adesso la tendenza è
quella di ridurre la quota di budget destinata ai beni materiali per continuare a mantenere, se non addirittura a
potenziare, quella rivolta al sostegno della qualità della vita, della quale i bisogni immateriali costituiscono una
componente determinante.
Certo, è vero: alcuni devono ridurre anche la quota destinata alla salute. Ma allora non si rivolgono al low-cost, ma alle
strutture
pubbliche
come
rilevato
dall’allegata
informazione
de
“il
Dentale”
(http://www.ildentale.it/notizia.aspx?id=3032&email=franco.tosco%40lessicom.it) e come affermato a Roma durante i
lavori del XX Congresso nazionale dei docenti di odontoiatria (http://www.dentalecm.it/Articoli-News/Crisi,-addio-aldentista-di-fiducia-si-torna-alle-strutture-pubbliche_402). O ancora alla relazione tenuta a Cernobbio dal prof. Renato
Mannheimer (http://www.obiettivosorriso.it/news/gli-italiani-si-fidano-dei-dentisti-libero-professionisti).
L’altra popolazione, la parte importante, che si rivolge al low-cost è quella che non considera le patologie orali come una
malattia importante. Si rivolge quindi al dentista per una esigenza immediata a cui deve necessariamente rispondere. E’
quindi sensibile all’aspetto del prezzo e sceglie l’operatore che fa l’offerta finanziariamente più conveniente.
L’operatore che sceglie la strada del low-cost, sulla base della realtà che vediamo, compie una scelta suicida.
Innanzittutto perché suggerisce ai pazienti di andare alla ricerca di colui che costa meno. Poi perché trasmette l’idea che
se si possono abbassare adesso i prezzi, c’è da chiedersi perché non lo si è fatto prima. Oppure perché è impossibile
che a costi inferiori si riesca ad utilizzare gli stessi materiali di qualità usati in precedenza.
Infine lo studio low-cost rischia di perdere i pazienti migliori, quelli che vogliono la qualità perché è ritenuta un bisogno
immateriale imprescindibile. Lascia trapelare il dubbio sulla fiducia che avevano posto sul loro dentista. E se ne vanno
alla ricerca di chi, sul territorio, ha l’immagine di praticare la qualità e l’eccellenza.
Controllando i preventivi e la caratteristica dei soggetti che li richiedono, si nota un afflusso costante di nuovi pazienti
verso gli studi non low-cost. E i nuovi pazienti quasi sempre lì rimangono, andando a incrementare il pacchetto clienti
della nuova realtà a scapito di chi, inseguendo tecniche di appeal fortemente sbagliate, ha ritenuto di attirare pazienti
con il miraggio di essere finanziariamente appetibile.
Poi ci sono anche i casi di dentisti che, pur non praticando il low-cost, vedono assottigliarsi il numero dei pazienti. Ma
questa è tutta un’altra storia.
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