LINEE GUIDA SULLA TERAPIA DELLA PATOLOGIA DA DECOMPRESSIONE (P.D.D.) BRAUZZI M U.O.S. Medicina Subacquea ed Iperbarica ASL 9 Grosseto E’ ormai trascorso un secolo, più o meno, dagli studi di Haldane ed il lungo percorso scientifico per la ottimizzazione della terapia della PDD non è ancora concluso. Nel nostro bagaglio culturale sono passate, negli anni e con alterne fortune, le “gloriose” tabelle ad aria di Van der Aue, le “minimal recompression” di Workman e Goodman per arrivare alle tabelle con miscele iperossigenate. Lo sviluppo delle tecniche di immersione nonché l’ incremento del numero di praticanti dello sport subacqueo, ha reso sempre più attuale il problema che, come è capitato spesso negli anni, si ripropone alla luce delle casistiche che evidenziano una percentuale di insuccessi terapeutici, in alcuni casi decisamente alta. Questa situazione ha originato una tendenza al confronto delle esperienze professionali maturate nella realtà dei centri iperbarici mondiali, che si è concretizzata nelle Conferenze di consenso di Marsiglia e Palm Beach, tenutesi, curiosamente, nello stesso anno, il 1996. Le conclusioni di queste conferenze verranno esposte nel dettaglio durante la esposizione orale (disponibile su richiesta all’ indirizzo e-mail [email protected] ). L’orientamento e l’ accordo generale è sull’ impiego, nella grande maggioranza dei casi, delle tabelle US Navy ad ossigeno, sulle quali esistono corpose e consolidate casistiche. Minore consenso riscuotono invece le tabelle con somministrazione di miscele iperossigenate, sulle quali non esistono casistiche pubblicate ad eccezione di quella di JP IMBERT. Un aspetto poco considerato nelle casistiche è la isteresi temporale tra il momento di insorgenza della sintomatologia e l’ inizio del trattamento. Nell’ area di giurisdizione della camera iperbarica di Grosseto questo tempo è stato ridotto al minimo, al massimo 120’, con un significativo incremento della percentuale di risoluzione della sintomatologia dopo il primo trattamento (90% circa). E’ poi importantissimo il ruolo della fluidoterapia che deve essere iniziata nel tempo più breve possibile; con particolari precauzioni e seguendo precise indicazioni la stessa può essere anche intrapresa per via orale. La soluzione ideale da usare probabilmente non esiste, antica è la controversia colloidi vs. cristalloidi, quella che appare più logica è una soluzione di compromesso, ossia usare in prima battuta un cristalloide e poi, in camera iperbarica, passare al colloide, monitorando i parametri essenziali per ottenere una corretta espansione plasmatica. Non dimentichiamoci mai che l’ ossigeno, normobarico ed iperbarico, è un farmaco ed anche estremamente efficace, per cui un abbinamento fluidoterapia – ossigeno non ha bisogno di nessun altro sostegno. Al momento attuale, infatti, nessuno dei farmaci che sono stati proposti, anche da Autori autorevoli, per la terapia della PDD (steroidi, lidocaina, acido acetilsalicilico, FANS, trombolitici ed anticoagulanti) ha raggiunto, nella analisi della letteratura, un consenso sufficiente a consigliarne l’ uso. Non trova più spazio né consenso alcuno la ricompressione in acqua, anche nel solo caso della omessa decompressione. In conclusione, si può dire che gli unici punti che ottengono un unanime consenso sono l’ impiego dell’ ossigeno tanto normobarico quanto iperbarico e la fluidoterapia. Vi è una ampia maggioranza di centri che usano quasi esclusivamente tabelle US Navy ad ossigeno, ma resiste una minoranza che sostiene ancora la validità delle tabelle con impiego di miscele iperossigenate (tutti pensano che siano una novità, ma in realtà la prima formulazione risale al 1932!!). L’ opinione personale ? Ogni paziente fa storia a sé, è bene seguire le linee guida, ma, se necessario e ritenuto opportuno, le varianti sono consentite. Del resto, una lettura in chiave storica ci fa subito osservare come le stesse linee guida siano state più volte modificate, sulla base dei risultati terapeutici ottenuti.