BIOS PSYCHÈ | Adolescenza 1 Cecilia Di Agostino Marzia Fabi Maria Sneider Autolesionismo Quando la pelle è colpevole © 2016 L’Asino d’oro edizioni s.r.l. Via Ludovico di Savoia 2b, 00185 Roma www.lasinodoroedizioni.it e-mail: [email protected] ISBN 978-88-6443-375-2 ISBN ePub 978-88-6443-376-9 ISBN pdf 978-88-6443-377-6 Indice Introduzione 11 Capitolo 1 | La pelle come palcoscenico della sofferenza 15 1.1 1.2 1.3 1.4 1.5 Cos’è l’autolesionismo Autolesionismo e automutilazione Il cutting Piercing e tatuaggi L’autolesionismo nella storia della psichiatria Capitolo 2 | L’autolesionismo socialmente accettato 2.1 2.2 2.3 2.4 2.5 La condanna del corpo nel cristianesimo Il fenomeno dei flagellanti Il fallimento della rivoluzione sessuale La Body Art Gli Emo: dalla musica all’autolesionismo Capitolo 3 | Psicopatologia dell’autolesionismo 3.1 3.2 3.3 3.4 Il ritratto dell’autolesionista Le cause dell’autolesionismo Quale diagnosi per l’autolesionismo? Casi clinici 15 19 20 23 29 37 37 41 42 46 49 53 53 61 64 71 Capitolo 4 | La pelle e lo sviluppo psicodinamico 4.1 4.2 4.3 4.4 L’immagine corporea La pelle nella teoria della nascita Il primo anno di vita La pelle e la sessualità Capitolo 5 | Terapia e prevenzione 5.1 Quale terapia per l’autolesionismo? 5.2 La prevenzione Capitolo 6 | Cinema e autolesionismo 6.1 Thirteen 6.2 Molto forte, incredibilmente vicino Bibliografia ragionata 89 89 93 97 98 103 103 107 113 114 118 123 Autolesionismo Quando la pelle è colpevole Introduzione Scrivere di autolesionismo non è un compito facile, innanzitutto perché ci troviamo di fronte a un fenomeno ancora non molto conosciuto ma in forte espansione soprattutto nella popolazione adolescenziale e poi per l’ampia gamma di significati che il termine può assumere. Abbiamo pensato di scrivere su questo tema perché, da alcuni anni, gli adolescenti più di tutti presentano spesso comportamenti autolesivi di vario genere. Autolesionismo è un termine molto ampio e in psichiatria può rientrare in tantissime patologie. Alcuni quadri psicopatologici, in particolare la patologia borderline ma anche la schizofrenia e, in maniera differente, alcune forme di depressione, presentano una sintomatologia autolesiva a volte compulsiva. La persona ricerca la situazione nella quale attacca il corpo, ferisce la pelle in vari modi, più o meno gravi a seconda del quadro clinico presente e del senso che il gesto assume. Possiamo parlare di autolesionismo in riferimento all’uso di droghe o di sostanze alcoliche, quando affrontiamo comportamenti alimentari abnormi come l’anoressia e la bulimia, o nell’ambito del gioco d’azzardo, nei casi di persone che si fanno del male sperperando tutto il loro patrimonio. Ma non sono queste le situazioni che tratteremo, sarebbe 12 | Autolesionismo troppo complesso e rischieremmo di andare fuori tema. Quello che ci interessa è l’autolesione intesa come ferita inferta alla pelle, sfregio, atto violentissimo contro il corpo. Un fenomeno scioccante, se si considera l’assoluta lucidità con la quale giovani sofferenti si infliggono ferite corporali con estrema facilità. Perché questi giovani si tagliano? Che senso ha la lesione e a cosa può servire? E inoltre: l’autolesionismo si può curare e guarire? Queste sono le principali domande cui abbiamo cercato di rispondere. Il pubblico al quale ci rivolgiamo è molto ampio e speriamo che il nostro saggio possa interessare non solo ai giovani ma anche ai colleghi o a persone che, seppure non del mestiere, vogliono comprendere e farsi un’idea di tale fenomeno. Siamo arrivate a sviluppare delle ipotesi, anche in base alle nostre esperienze cliniche, che cercheremo di raccontare in maniera approfondita. Il problema dell’autolesionismo coinvolge direttamente il modo con cui viene vissuto il corpo, che in questo caso si rivela essere il campo di battaglia di complesse dinamiche psicologiche. Una cosa fondamentale che ci teniamo subito a precisare è che l’autolesionismo non ha nulla a che vedere con il tentativo di suicidio, anzi è tutto il contrario. Nei gesti autolesivi dei pazienti si riscontra, paradossalmente, un forte attaccamento alla vita. Chi si autolesiona non ipotizza mai di morire, se si taglia è perché vuole sentirsi vivo, è per cercare di restare ancorato a un corpo che non sente più suo, è un disperato tentativo di rimanere legato alla vita. Infatti i pazienti che ci raccontano di gesti autolesivi dicono tutti di sapere perfettamente quando è il momento di fermarsi e quanto il taglio può essere profondo prima di andare incontro a un rischio suicidario. Introduzione | 13 L’individuo si infligge un dolore che lui stesso può controllare e in tal modo gestisce il suo corpo e lotta contro una sofferenza di gran lunga più intensa. A questo punto ci chiediamo quale sia il significato profondo delle lesioni. A volte l’angoscia, il senso di estraneità, il vuoto sono talmente grandi che non lasciano alcuna scelta, se non quella di tentare la ricerca di un rifugio provvisorio, una pausa da tanta sofferenza, che alcune persone trovano nella ferita. Negli ultimi anni è molto frequente incontrare nei reparti psichiatrici o nei Servizi di diagnosi e cura adolescenti che presentano lesioni ripetute della pelle, cicatrici che non riescono mai a rimarginarsi e comportamenti autolesivi di vario genere (incisioni, scorticature, bruciature, scarificazioni, escoriazioni, lacerazioni, marchi a fuoco ecc.). La parte più colpita del corpo sono le braccia ma a volte anche il ventre e le gambe; se a essere oggetto di lesioni è il viso, la prognosi è più grave. Infatti il volto è l’espressione della propria immagine interiore e se si colpisce significa che si è persa la propria identità. Nel primo capitolo affronteremo la difficoltà di inquadrare il sintomo, per dare un senso a queste manifestazioni cliniche così violente contro il proprio corpo. Nel secondo capitolo parleremo di alcune forme di autolesionismo culturalmente accettate e che non vengono considerate patologiche, come nel caso dei flagellanti, degli artisti della Body Art e degli Emo. Cercheremo, nel capitolo successivo, di addentrarci nel mondo misterioso di colui che si procura il taglio, per poi arrivare allo studio della diagnosi e delle dinamiche psichiche che sottendono il fenomeno, anche attraverso il racconto di alcuni casi clinici. Ci chiederemo inoltre quale ruolo possa giocare la pelle nel rapporto con il proprio corpo e con gli altri esseri umani, in particolare nella sessualità. Nel penultimo capitolo parleremo 14 | Autolesionismo della terapia che secondo noi è la più adatta a curare una patologia di questo tipo e delle forme di prevenzione che è possibile attuare. Infine proporremo la lettura e l’analisi di due film inerenti il tema trattato affinché, attraverso le immagini, si possa comprendere meglio e di più il fenomeno. Chiude il nostro libro una bibliografia che vuole aiutare il lettore nella scelta di testi di approfondimento degli argomenti svolti. Capitolo 1 | La pelle come palcoscenico della sofferenza Entriamo nel vivo del tema andando subito a definire il fenomeno dell’autolesionismo e a distinguere le sue varie forme che, come vedremo, sono legate a diverse patologie mentali. Abbiamo scelto di concentrarci, in questa sede, sul fenomeno del cutting, purtroppo molto in crescita negli ultimi decenni, soprattutto nella popolazione giovanile. È un fenomeno, come racconteremo meglio nel terzo capitolo, frequentemente legato a una patologia mentale definita dai manuali psichiatrici come ‘disturbo borderline di personalità’. Ci è sembrato il caso, inoltre, di accennare alla storia clinica di questo sintomo e anche a forme autolesive condivise dalla cultura e dalla società. Ci riferiamo all’uso, sempre più massiccio, di piercing e tatuaggi che riempiono la pelle di giovani e meno giovani. 1.1 | Cos’è l’autolesionismo L’autolesionismo è un fenomeno sempre più diffuso oggi, soprattutto tra gli adolescenti e i giovani adulti, ma nonostante ciò è ancora poco conosciuto. Negli ultimi anni la quantità di 16 | Autolesionismo ragazzi che popola i servizi territoriali arrivando con ferite di vario genere ha obbligato la psichiatria a interessarsene e a studiarlo. È una patologia che consiste nell’infliggere al proprio corpo ferite o lesioni di qualsiasi tipo: tagli, graffi, bruciature di sigaretta, lacerazioni ecc., tutto ciò scegliendo accuratamente gli strumenti da utilizzare, che vanno dai rasoi ai coltelli, alle lamette, pezzi di vetro, forbici, compassi e quant’altro. Stefania, un’adolescente di 15 anni, durante un ricovero in clinica psichiatrica utilizzava dei CD spezzati per procurarsi le ferite: «Era l’unica cosa che avevo a disposizione per farmi del male e non potevo farne a meno». Il gesto autolesivo può avvenire saltuariamente o abbastanza spesso, anche tutti i giorni. In questo caso assume le forme di un vero e proprio rituale compulsivo conseguente a un calcolo lucido e preciso. Si sceglierà il posto, il momento, lo strumento da utilizzare, che di solito è sempre lo stesso, e ci si assicurerà di non essere visti o disturbati da nessuno. «Il bagno è diventato il mio rifugio preferito dove tutti i giorni mi taglio per sentire di nuovo qualcosa». Esistono delle false credenze che ci sembra fondamentale sfatare per procedere successivamente alla descrizione e interpretazione del fenomeno. La prima riguarda l’associazione che viene fatta tra autolesionismo e tentativo di suicidio. C’è la tendenza a credere che chi si autolesiona lo fa perché cerca di morire, di mettere fine alle sue sofferenze, invece è esattamente il contrario: è il tentativo disperato di lottare contro la sofferenza psichica, contro l’angoscia insostenibile o la rabbia esplosiva e la sensazione di non esistenza. La persona si serve del dolore fisico per affrontare e gestire un’angoscia legata a cause profonde e Capitolo 1 | 17 tenta, con l’autolesione, di restare in vita. Sacrificando una parte di sé, lotta contro una sofferenza ben più grande del dolore che deriva dal taglio. Il dolore della ferita è controllato e circoscritto a una parte del corpo, di solito le braccia e le gambe, mentre il dolore psichico è immenso e impossibile da gestire. Il gesto violento contro la propria pelle ha la funzione di calmare, sedare, restituire un’integrità che, come vedremo in seguito, è perduta. Non è voler mettere fine alla propria esistenza, ma cercare di sopravvivere. Tante volte un paziente ci ha comunicato che il suo non era un tentativo di suicidio ma un gesto che gli avrebbe dato sollievo e che in qualche modo l’avrebbe preservato da un’angoscia insostenibile. La seconda credenza diffusa è che l’autolesionismo sia un modo per attirare l’attenzione e per manipolare le altre persone. Di solito il gesto autolesivo è accompagnato da imbarazzo, vergogna e reticenza a mostrare le ferite e le cicatrici, anche se in alcuni casi, come racconteremo più avanti, non mancano esempi di esibizionismo. Generalmente chi si autolesiona lo fa in privato, da solo, lontano da sguardi indiscreti e difficilmente esibisce il risultato dei suoi atti violenti. È frequente infatti vedere ragazzi che, in piena estate, si vestono con maglie a maniche lunghe proprio per nascondere i segni delle ferite di cui sono ricoperte le braccia. Spesso il comportamento autolesivo, proprio perché viene nascosto, può rimanere ignoto ai genitori anche per anni. I ragazzi riescono a nasconderlo perché le ferite sono superficiali o lievi e non richiedono, quasi mai, un intervento medico d’urgenza. In psichiatria e psicoterapia l’autolesionismo rimanda a vari quadri psicopatologici e a varie possibili forme. Se ci si 18 | Autolesionismo sofferma a interrogarsi su cosa significhi farsi del male, vengono alla mente tante immagini e situazioni di vita differenti. La malattia mentale è generalmente caratterizzata da autolesionismo e da comportamenti violenti, anche non direttamente indirizzati al corpo. Si pensi ad esempio ai tanti modi cui ricorre chi fa di tutto per rovinarsi e far fallire la propria vita: non fare esami all’università, intrappolarsi in rapporti con partner violenti, distruggere la possibilità di portare a compimento un obiettivo quasi realizzato, portare avanti amicizie deludenti e pericolose, abbandonare il partner nel momento di maggiore benessere del rapporto ecc. Altre volte ci troviamo di fronte a sintomi specifici e caratteristici di situazioni patologiche ben definite, come il cercare di lasciarsi morire nell’anoressia, il distruggere il proprio corpo ingrassando fino a deformarsi, l’uso di droghe o di alcol, il gioco d’azzardo ecc. Nelle forme autolesive che racconteremo in questa sede c’è una intenzionalità precisa di ledere il corpo direttamente e di provocare nell’immediato una ferita arrivando, in questo modo, a un fine che spesso è quello di non lasciarsi travolgere dall’angoscia e di restare ancorati alla vita attraverso il proprio corpo. Quindi non parleremo dei disturbi del comportamento alimentare o delle tossicodipendenze, o dell’autolesionismo dei depressi che arrivano al suicidio, ma ci concentreremo su quelle forme che coinvolgono da un lato la pelle e dall’altro lo strumento per ferirla. Capitolo 1 | 19 1.2 | Autolesionismo e automutilazione La dizione ‘comportamento autolesivo’ sembra essere vaga e generica in quanto, come abbiamo detto, può racchiudere un’ampia gamma di atti. La classificazione più utilizzata ed esauriente è quella messa a punto da Favazza, che individua tre categorie di atti autolesivi, i quali si differenziano tra loro per la gravità del gesto: superficiale/moderato, stereotipato e maggiore. L’autolesionismo superficiale/moderato è riscontrabile maggiormente negli adolescenti e nella patologia borderline ed è la forma più diffusa. Le sue manifestazioni comprendono lo strapparsi i capelli (tricotillomania), il mordersi le unghie fino a farle sanguinare, graffiarsi, bruciarsi con sigarette, stuzzicare vecchie ferite impedendo il processo di cicatrizzazione (scrostarsi), pizzicarsi, trafiggere con aghi la pelle, bucarsi con piercing e soprattutto procurarsi dei tagli controllati, cioè relativamente poco profondi, così da non mettere in pericolo la vita della persona. Questo gesto, o sintomo che dir si voglia, viene definito cutting e le persone che lo mettono in atto, cutters. L’autolesionismo stereotipato comprende comportamenti rigidi e ripetitivi, automatismi quali lo sbattere la testa contro un muro, comprimere i bulbi oculari, percuotersi, mordersi. Questa seconda categoria la troviamo di solito associata ad alcuni quadri psicotici e a disturbi cerebrali organici come il ritardo mentale, la sindrome di Tourette, l’autismo. L’autolesionismo maggiore o automutilazione è poco frequente ma è la forma più grave. Il danno fisico è spesso invalidante e permanente perché arriva a includere l’amputazione di organi o arti o parti di essi, l’enucleazione dei bulbi oculari, l’autocastrazione, il taglio di un orecchio o delle dita di una 20 | Autolesionismo mano ecc. Si manifesta nelle psicosi, in particolare nella schizofrenia o in intossicazioni acute da sostanze. La causa di tali atti violentissimi è molto spesso rintracciabile in deliri di natura religiosa o sessuale: bisogno di purificarsi spiritualmente espiando i propri peccati attraverso la mutilazione, strapparsi gli occhi o tagliarsi le mani che hanno commesso un peccato, oppure mutilarsi spinti dalla voce di dio, l’identificazione con Cristo attraverso la sofferenza. Come vedremo in seguito, questa forma autolesiva è frutto di una condizione patologica molto più deteriorata rispetto a quella del cutter, nel quale è presente una grave dissociazione mentale, cioè una scissione tra il mondo cosciente e non cosciente, ma non una frammentazione dell’Io, in cui invece la realtà mentale interna è totalmente disgregata, come accade nelle psicosi conclamate e nelle forme schizofreniche. In questa sede abbiamo pensato di raccontare cos’è il cutting e di tralasciare gli altri tipi di autolesionismo perché negli ultimi anni ci siamo trovate nella condizione di affrontare un numero sempre più crescente di pazienti con questa problematica. 1.3 | Il cutting Nel cutting la pelle assume un ruolo di fondamentale importanza, potremmo definirla la protagonista di una sofferenza inaudita. Essa racchiude il nostro corpo, lo protegge creando una barriera tra dentro e fuori, segnando dunque i limiti di sé. Con il colore, lo spessore, i nei, le cicatrici, la pelle caratterizza ogni individuo e lo distingue dagli altri conservando le tracce della sua storia individuale.