Diversità s enza l ibertà: u n o stacolo a llo s viluppo di Sebastiano Bavetta e Pietro Navarra Diversità senza libertà: un ostacoloallosviluppo di Sebastiano Bavetta e Pietro Navarra SEBASTIANO BAVETTA È PROFESSORE STRAORDINARIO DI ECONOMIA POLITICA ALL’UNIVERSITÀ DI PALERMO E CONDIRETTORE DEL PROGRAMMA DI RICERCA SU DEMOCRACY, BUSINESS AND HUMAN WELL-BEING PRESSO LA LONDON SCHOOL OF ECONOMICS. HA CONSEGUITO UN MASTER IN ECONOMIA PRESSO LA UNIVERSITY OF PENNSYLVANIA E UN DOTTORATO IN FILOSOFIA DELL’ECONOMIA PRESSO LA LONDON SCHOOL OF ECONOMICS. È STATO INOLTRE VISITING SCHOLAR PRESSO LE UNIVERSITÀ DI CAEN E CERGY-PONTOISE, IN FRANCIA, E GEORGE MASON, NEGLI STATI UNITI. È STATO ANCHE “ADAM SMITH GUEST PROFESSOR” PRESSO L’UNIVERSITÀ DI BAYREUTH, IN GERMANIA E PRESSO LA FUDAN UNIVERSITY DI SHANGHAI, IN CINA. HA SCRITTO SU RIVISTE NAZIONALI ED INTERNAZIONALI SULLA MISURA DELLA LIBERTÀ, SULLA FILOSOFIA DELL’ECONOMIA E SUL RUOLO DELL’AUTONOMIA NEI MECCANISMI DI SICUREZZA SOCIALE. STA SCRIVENDO UN LIBRO SUL RUOLO DELLO STATO. PIETRO NAVARRA È PROFESSORE STRAORDINARIO DI ECONOMIA PUBBLICA PRESSO L’UNIVERSITÀ DI MESSINA DOVE RICOPRE L’INCARICO DI PRO-RETTORE CON DELEGA AL BILANCIO. DAL 2000 È RESEARCH ASSOCIATE PRESSO IL CPNSS DELLA LONDON SCHOOL OF ECONOMICS DOVE CO-DIRIGE IL PROGRAMMA DI RICERCA DEMOCRACY, BUSINESS AND HUMAN WELL-BEING. HA RICEVUTO MSC E PH.D. IN ECONOMIA DALL’UNIVERSITY OF BUCKINGHAM E M.PHIL. IN ECONOMIA SANITARIA DALL’UNIVERSITY OF YORK. È STATO FULBRIGHT RESEARCH FELLOW PRESSO LA CARNEGIE MELLON UNIVERSITY (PITTSBURGH, USA) E VISITING SCHOLAR IN NUMEROSE UNIVERSITÀ ED ISTITUZIONI DI RICERCA INTERNAZIONALI: COLUMBIA UNIVERSITY, UNIVERSITY OF PENNSYLVANIA, UNIVERSITY OF CALIFORNIA, GEORGE MASON UNIVERSITY, CASE WESTERN RESERVE UNIVERSITY, TEMPLE UNIVERSITY, UNIVERSITY OF READING, INSTUTE FOR ADVANCED STUDIES OF BERLIN. I SUOI INTERESSI DI RICERCA SONO PRINCIPALMENTE RIVOLTI ALLO STUDIO DEL FUNZIONAMENTO DELLE ISTITUZIONI POLITICHE E SOCIALI ED AL LORO IMPATTO SULL’ECONOMIA. HA PUBBLICATO NUMEROSI LIBRI E SAGGI SU PRESTIGIOSE RIVISTE NAZIONALI ED INTERNAZIONALI. Diversità s enza l ibertà: u n o stacolo a llo s viluppo di Sebastiano Bavetta e Pietro Navarra I Il marketing territoriale, le istituzioni sociali, la circolazione monetaria, sono esempi di fertilizzazione culturale da una sponda all’altra del Mediterraneo; esempi del valore economico della diversità e della sua capacità di arricchire, per contagio - e non solo in senso economico - popolazioni diverse che coabitano fianco a fianco o che sono in regolare contatto attraverso il viaggiare dei mercanti. 1. Circa otto secoli fa, nel 1288, il governo dei Mamelucchi cercava di attrarre in Siria ed in Egitto mercanti dai Paesi dell’oriente: India, Cina, Yemen. E lo faceva con uno strumento incredibilmente moderno: il marketing territoriale. Un decreto governativo si esprimeva così: «Noi rivolgiamo un invito agli illustri personaggi, grandi negozianti desiderosi di guadagno o piccoli dettaglianti… Chiunque arriverà nella nostra patria, potrà farvi soggiorno, andare e venire a piacer suo… È davvero un giardino del Paradiso per coloro che vi risiedono…». Sono documenti come questo che convinsero Fernand Braudel ad avanzare una tesi ardita e certamente poco gradita in Europa, ma sostenuta da fermi punti d’appoggio: il commercio di lunga distanza che caratterizza il primo capitalismo europeo e che vede in prima linea le città italiane non nasce dalle spoglie dell’Impero romano, ma dagli splendori dell’Islam dove prevale un fiorente settore industriale di beni da esportazione e dove sono già sviluppate, nell’XI e nel XII secolo, molte delle istituzioni sociali (per esempio le corporazioni o la circolazione monetaria) che diventeranno tessuto connettivo e marchio di fabbrica del primo capitalismo europeo. Il marketing territoriale, le istituzioni sociali, la circolazione monetaria, sono esempi di fertilizzazione culturale da una sponda all’altra del Mediterraneo; esempi del valore economico della diversità e della sua capacità di arricchire, per contagio - e non solo in senso economico - popolazioni diverse che coabitano fianco a fianco o che sono in regolare contatto attraverso il viaggiare dei mercanti. Esempi che hanno portato molti - chissà, forse sin dai tempi dei Mamelucchi - a ritenere che la diversità potesse essere motore di sviluppo. Ma le cose non stanno così; o forse sarebbe meglio dire, non stanno esattamente così nel senso che, come hanno dimostrato recenti studi condotti da economisti e studiosi di scienze politiche, la diversità etnica e culturale favorisce lo sviluppo solo in presenza di alcune precise condizioni. Sta proprio in queste condizioni il punto del nostro articolo. 50 Tangeri, Marocco 2. L’idea che diversità etnica e culturale siano correlate allo sviluppo economico è solo da poco una domanda ricorrente nelle scienze sociali. Lo è diventata probabilmente sotto la spinta di osservazioni contrastanti, alcune compatibili (Botswana) altre incompatibili (Somalia) con una relazione positiva tra i due fenomeni. Le osservazioni, per quanto interessanti, se episodiche e non sostanziate da un’interpretazione teorica, difficilmente possono dirimere una questione tanto complessa. A dispetto di alcune recenti analisi sulle realtà urbane degli Stati Uniti che sembrerebbero suggerire che la diversità sia utile allo sviluppo, negli ultimi anni, la ricerca sembra avere preso una linea sfavorevole: diversità e sviluppo quando va bene non sono correlati tra loro; più spesso sono in contrasto. La convinzione che si è affermata parte dall’ipotesi che un elevato grado di diversità etnica e culturale conduca più facilmente verso episodi di conflitto sociale con ricadute negative in termini di crescita economica che non verso processi virtuosi di fertilizzazione incrociata, quale quello descritto da Braudel nel Mediterraneo del XII secolo. Questo perché società in cui esiste una variegata frammentazione culturale sono caratterizzate dalla presenza di gruppi etnici e religiosi in concorrenza tra loro che, perseguendo interessi spesso contrapposti, favoriscono l’emergere di un sistema politico 51 Diversità s enza l ibertà: u n o stacolo a llo s viluppo di Sebastiano Bavetta e Pietro Navarra instabile le cui scelte pubbliche alimentano la creazione di rendite di posizione con conseguenze inefficienti dal punto di vista distributivo e nocive ai fini dello sviluppo economico. Un’indicazione significativa della consapevolezza del potenziale devastante per la crescita contenuto in un’eccessiva frammentazione etnica e culturale ( L’area d el M editerraneo p uò essere d ivisa i n d ue. S ulla sponda N ord p revale u na sostanziale omogeneità etnica e c ulturale n el s enso c he t utti i Paesi dell’Europa meridionale sono caratterizzati d alla n etta prevalenza d i u n g ruppo s u tutti g li a ltri. S ulla s ponda Sud i l q uadro c ambia emerge dalle parole del Primo Ministro etiope, Meles Zenawi, pronunciate durante una conferenza svoltasi all’Università di Harvard nell’autunno del 2000: «Diversità etniche, religiose e culturali rappresentano uno dei caratteri salienti delle società africane, così come i fenomeni di conflitto di interessi e di appropriazione di rendita che da esse derivano». L’affermazione di Meles Zenawi conferma la relazione negativa tra diversità e sviluppo ma dimentica che tutte le volte che i due fenomeni confliggono non è per un’irrimediabile idiosincrasia ma per la mancanza delle appropriate condizioni. Proprio quanto ci insegna la nascita, da origini arabe, del primo capitalismo europeo. E quali sono queste condizioni, questi elementi utili a rendere la diversità culturale motore di sviluppo economico? William Easterly, un economista della Banca Mondiale, ha suggerito che gli effetti perversi della diversità culturale sulla crescita possono essere mitigati in quei Paesi che sono dotati di un sistema istituzionale fondato su uno Stato di diritto che protegga la proprietà privata, salvaguardi il rispetto delle libertà individuali, garantisca la concorrenza ed il libero scambio e assicuri meccanismi efficienti di scelte collettive. Ma perché, secondo Easterly, un sistema istituzionale fondato sulle libertà politiche ed economiche interagisce con il grado di diversità culturale esistente limitandone gli effetti nocivi per lo sviluppo economico di un dato Paese? Perché società omogenee culturalmente si differenziano da quelle eterogenee poiché nelle prime i processi di formazione e produzione di capitale sociale - un miscuglio di valori, fiducia, tradizioni e stili di comportamento sociale oggi ritenuto determinante per lo sviluppo econo- 52 Diversità s enza l ibertà: u n o stacolo a llo s viluppo di Sebastiano Bavetta e Pietro Navarra mico e la stabilità del sistema politico - sono favoriti dall’assenza di conflitti di interesse tra gruppi etnici concorrenti, che invece sono molto presenti nelle seconde. Mentre in società culturalmente omogenee il capitale sociale emerge spontaneamente dalla libera interazione tra gli individui, in quelle in cui esiste un elevato grado di diversità culturale il suo affermarsi deve essere stimolato artificialmente da un sistema istituzionale permeato dalla difesa delle identità culturali dei singoli gruppi ed al tempo stesso dalla promozione del confronto costruttivo tra essi. In questo contesto, l’affermazione della propria identità culturale si trasforma da fonte di contrasto che ostacola i processi produttivi in elemento di ricchezza che favorisce il dinamismo all’interno di una società e ne alimenta lo sviluppo economico. 3. Se il ragionamento di Easterly è corretto, quali sono le sue conseguenze per il successo economico dei Paesi dell’area del Mediterraneo? Prima di rispondere proviamo a misurare il grado di diversità culturale che vi si osserva. La misura della diversità etnica e culturale non è problema di facile soluzione per l’intrinseca difficoltà di tracciare linee di demarcazione tra etnie e culture. Le categorie stabilite nella rilevazione dei dati dei censimenti negli Stati Uniti, per esempio, distinguono tre “razze”: bianchi, afro-americani ed asiatici mentre un quarto gruppo, l’ispanico, agli occhi dell’amministrazione non è una “razza”. La distinzione è forse utile ma non necessariamente convincente né, certamente, l’unica possibile: perché fermarsi qui? Perché non ammettere distinzioni tra americani di origine araba, irlandese, italiana, tedesca e così via? Similmente per i Berberi che compongono una grossa fetta degli abitanti del Nord Africa alcuni dei quali preferiscono però identificarsi come arabi; o per le popolazioni dell’America Latina dove la distinzione tra indigeni e meticci e tra meticci e bianchi sembra in molti casi impercettibile o determinata da circostanze specifiche che niente hanno a che fare con l’identificazione di criteri oggettivi. Il problema non è da poco: se le linee oggettive di demarcazione non sono univoche, il rischio è che si finisca per utilizzare quella che meglio permetta di sostenere le tesi che si desidera portare avanti. Così, se per qualche ragione si volesse collegare l’esplosione di violenza in un dato territorio alla diversità etnica e culturale, sarà sempre possibile trovare una definizione ed una misura che consentano di rivestire col manto della scientificità affermazioni che di scientifico hanno davvero ben poco. Una via d’uscita è stata recentemente avanzata da James Fearon: invece di cercare improbabili demarcazioni oggettive, si possono costruire definizioni e misure soggettive chiedendo alle persone di identificare da sé i gruppi etnici e culturali rilevanti in una società. 53 Diversità s enza l ibertà: u n o stacolo a llo s viluppo di Sebastiano Bavetta e Pietro Navarra Questa soluzione è, in un certo senso, naturale perché chi meglio degli stessi componenti di una società è in grado di distinguere il “diverso” da sé e di affermare quali siano in un Paese i gruppi etnici e culturali più rilevanti? Sulla base del criterio proposto da James Fearon l’area del Mediterraneo può essere divisa in due. Sulla sponda Nord prevale una sostanziale omogeneità etnica e culturale nel senso che tutti i Paesi dell’Europa meridionale sono caratterizzati dalla netta prevalenza di un gruppo su tutti gli altri. Sulla sponda Sud il quadro cambia: con l’eccezione della Tunisia che mette in mostra un pattern stile Paese europeo, tutti gli altri hanno al loro interno un gruppo dominante ma non troppo e, d’altra parte, una serie di gruppi piccoli o molto piccoli. La tabella 1 dà un’indicazione più precisa di come stiano di fatto le cose. 4. Qual è la lezione che possiamo quindi trarre da queste considerazioni? Sostanzialmente che esiste un modello di sviluppo efficace basato sulle libertà economiche e politiche che stimolano un confronto costruttivo tra persone appartenenti ad identità diverse. In quei Paesi in cui questo modello dispiega i suoi effetti lo sviluppo si afferma e si avvantaggia delle diversità etniche e culturali che, con la loro portata di dinamismo ed innovazione, giovano al funzionamento del sistema economico. Al contrario, dove questo modello manca, la diversità si trasforma in condizione potenziale di conflitto, spesso violento e sanguinoso, che ostacola il funzionamento del sistema economico impedendone la crescita. Tradotta in termini compatibili con la realtà dei singoli Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, la lezione è chiara: il Mare Nostrum, incrocio geografico di un’incredibile diversità, non ha da dolersene ma neppure da goderne a meno che i popoli che si affacciano sulle sue sponde non sappiano riprendere la lezione medievale enucleata da Braudel e tradotta da Easterly nel linguaggio moderno delle scienze sociali: diversità si, ma con istituzioni che favorendo il dialogo tra culture diverse ne permettano l’affermazione nel rispetto delle identità di ciascuno e della libertà personale favorendo, in ultima analisi, lo sviluppo economico. 54 Mercato ambulante al Cairo accanto alla moschea di Barkouk Diversità s enza l ibertà: u n o stacolo a llo s viluppo di Sebastiano Bavetta e Pietro Navarra Tabella 1. Diversità culturale nei Paesi dell’area del Mediterraneo Paesi del Mediterraneo Indice di Diversità Culturale Europa Spagna 0,263 Francia 0,251 Grecia 0,05 Portogallo 0,04 Italia 0,04 Iugoslavia 0,385 Croazia 0,375 Nord Africa Marocco 0,36 Cipro 0,359 Algeria 0,237 Egitto 0,299 Libia 0,127 Tunisia 0,033 Medio Oriente Libano 0,195 Siria 0,235 Israele 0,246 Giordania 0,049 Turchia 0,299 Nota: Bassi valori dell’indice indicano un ridotto grado di frammentazione culturale, mentre alti valori dell’indice indicano un elevato grado di frammentazione culturale. Fonte: J. D. Fearon (2003). Ethnic and cultural diversity by country. Journal of Economic Growth, 8: 195-222. 55