Dal lavoro all’economia, dall’organizzazione all’instituzione: percorsi sociologici. LAVILLE Jean-Louis (2005). « Dal lavoro all’economia, dall’organizzazione all’instituzione: percorsi sociologici », Sociologia del lavoro, n. 100, pp. 141-157. http://www.jeanlouislaville.net Copyright © Jean-Louis Laville 2009. All rights reserved. Dal lavoro all'economia, dal1'organizzazione all'istituzione: percorsi sociologici di Jean-Louis Laville Questo contributo vuole sottolineare il cambiamento rispetto ad alcune problematiche realizzatosi in seno a certe componenti della sociologia contemporanea francese in riferimento alle strutture produttive, in una prospettiva di dialogo, da approfondire, con la sociologia italiana. L'ipotesi sottostante è quella di una prossimità culturale tra i paesi latini che incita a diversificare gli scambi tra questi affinché le specificità comuni siano più visibili nel dibattito scientifico internazionale. Nella prima parte, si tratta di ricordare quanto le metamorfosi del lavoro salariato hanno portato a rinnovare l'approccio al lavoro. La loro ampiezza è sufficiente ad incitare a riprendere nel contesto attuale delle domande fondatrici della sociologia sulle relazioni tra economia e società: questo argomento è presentato nella seconda parte. La ricomposizione dei rapporti tra economia e società, richiamandoci a una riflessione sulla definizione di questi due termini, ci porta dunque a riesaminare, nella terza parte, il passaggio da una analisi delle organizzazioni ad un approccio delle istituzioni che si rifà a E. Durkheim e M. Mauss. Prendendo le distanze dalla analisi strategica di Crozier, R. Sainsaulieu è stato uno dei sociologi economici che si è caratterizzato per aver posto una maggiore attenzione all'embeddedness istituzionale piuttosto che a quello reticolare (La Rosa, Laville, 2004). Come affermato nelle conclusioni, sembra dunque possibile seguire la strada tracciata da Sainsaulieu, e inscritta nella discendenza della scuola francese della sociologia per l'importanza data ai temi della socializzazione e della legittimità, senza tuttavia intraprendere lo stesso percorso, nella nostra analisi, per quanto riguarda lo statuto delle imprese. 1. La metamorfosi del salariato Come ha dimostrato Castel, il lavoro salariato quale costruzione storica di una articolazione tra lavoro e protezioni sociali ha costituito "il grande integratore" (Barel, 1982) durante i trenta anni gloriosi dal 1945 al 1975; a tal punto che si è potuto parlare di società salariali nazionali. In seno a queste il lavoro è consacrato in un immaginario collettivo dove è importante in primo luogo sviluppare la produzione. L'importanza centrale dell'occupazione stabile fornita dal settore produttivo consacra la gerarchizzazione e la separazione dei tempi sociali; nei differenti momenti della vita, il tempo della produzione è privilegiato a scapito del tempo della formazione e della inattività che lo procedono e lo seguono; durante la giornata, il tempo del lavoro è distinto dal tempo del divertimento e dal tempo dei compiti domestici e familiari. Comogeneizzazione dei modi di vita attorno al lavoro salariato segna quindi il posto essenziale occupato dal lavoro nella società industriale. 2. L'identità al lavoro: lavoro salariato e integrazione sociale Un lavoro che presenta dette caratteristiche esercitandosi nel quadro di una cooperazione produttiva genera un processo di riconoscimento da parte degli altri, inscritto in un gioco di forze sociali. Il lavoro genera una socializzazione secondaria (Dubar, 1991) degli individui, immergendoli in un gruppo che si confronta d'interno di uno stesso campo di pratiche e di obblighi. L'identità al lavoro è quindi situata in un contesto storico di sviluppo del lavoro salariato, al tempo stesso vettore di sfruttamento e di emancipazione. I1 lavoro dà luogo all'appropriazione del plus-valore da parte dei detentori dei mezzi di produzione che lo considerano come un semplice fattore di produzione; appartiene in tal modo alla sfera dell'eteronomia, "insieme di attività specializzate che gli individui devono svolgere quali funzioni coordinate dall'esterno da una organizzazione prestabilita" così come ricorda Gorz (1988, p. 49). Ciò detto, a dispetto dell'assenza di possesso che induce, il lavoro, tipico del periodo dell'espansione, permette l'accesso alla sfera pubblica. Innanzitutto, la mediazione monetaria tra il datore di lavoro e il lavoratore, propria al lavoro realizzato in vista di uno scambio monetario, implica un terzo, il destinatario dei beni e dei servizi prodotti. I1 lavoro si allontana dalla sfera domestica, acquista una portata universale in quanto il suo prodotto è scambiabile e il lavoratore manifesta lo status di membro della società nel suo insieme. In seguito, testimonia la partecipazione ad un collettivo detentore di diritti. Concorre poi alla socializzazione secondaria con l'affermazione della appartenenza alla comunità politica, dalla quale il lavoratore trae un potere di negoziazione grazie ad un sistema di rappresentanza dei lavoratori salariati. La socializzazione attorno al lavoro possiede quindi una autonomia relativa perché essa è distanziata dal datore di lavoro attraverso la relazione monetaria che governa lo scambio di beni e servizi e dalla messa in opera di tecniche produttive all'intemo di un collettivo di produzione che gode di certi diritti. I1 lavoro remunerato nell'impresa o nella amministrazione contribuisce all'inserimento sociale perché libera da legami privati. I1 contratto di vendita del lavoro lo qualifica come lavoro in generale, gli obblighi del lavoratore sono l'oggetto delle regole del diritto e a lui non può essere chiesto altro rispetto a quanto specificato nel contratto. I1 lavoro, creatore di un valore d'uso socialmente riconosciuto e realizzato nella sfera pubblica, è dunque indissociabile rispetto alla cittadinanza. Incontestabilmente, lo sviluppo del lavoro salariato non è stato solo obbligato, ma è stato anche un mezzo per liberarsi dall'assoggettamento allo sfruttamento domestico rurale e dai rigidi ruoli sessuali all'interno della famiglia tradizionale. I1 lavoro salariato ha permesso di fuggire all'arbitrio dei rapporti interpersonali. "Come mostra semplicemente la contrapposizione tra lavoro artigianale e lavoro in fabbrica", la crescente oggettivazione della cultura moderna si traduce con l'importanza "degli elementi impersonali che assorbono sempre meno la totalità soggettiva dell'individuo" (Nisbet, 1984, p. 133). Ne è testimone la concezione del diritto sociale che ha dato la sua massima espressione in questo periodo con I'elaborazione del compromesso tra eguaglianza e competitività. L'attrazione verso questo modello nasce dalla "sua capacità di incarnare la stabilità dinamica di un ordine macro-sociale conflittuale" accreditando l'idea rassicurante di una "concordanza naturale tra crescita e solidarietà" (Perret, 1991, p. 123). La promozione del sindacato e il ricorso alla democrazia rappresentativa nella regolazione dei rapporti di produzione sono le forze istituzionali grazie alle quali la solidarietà è ancorata alla crescita. 3. La frammentazione del lavoro salariato T cambiamenti nelle forme e nei contenuti del rapporto salariato destabilizzano la nozione di occupazione nello stesso tempo in cui l'offerta di posti di lavoro non corrisponde più, in volume, alla domanda espressa. Le regole di assunzione sono modificate innanzitutto a causa della crescita di forme individuali o atipiche di lavoro, ammontanti al 30,5% del lavoro salariato nell'unione europea, a scapito del contratto a tempo indeterminato. I1 rafforzamento del controllo per l'accesso al lavoro permanente si rafforza con una intensificazione del lavoro sia in materia di obblighi di consegna o di rapide scadenze, e di una ricomposizione delle temporalità pro- fessionali così che la completa regolarità degli orari di lavoro non concerne più che il 47% dei salariati. Come afferma Nanteuil-Miribel (2002, p. l l), autore di una sintesi su questa tematica a cui è ispirata questa parte e da cui sono estratte le cifre e gli autori citati in questo paragrafo, la crisi del compromesso fordista è accompagnata "da un deterioramento globale delle condizione del lavoro (Merlié, Paoli, 2002), da un rafforzamento dei meccanismi di controllo (Courpasson, 2001) e da una frammentazione del legami di lavoro (Castel, 2000; Paugman, 2000), che priva quindi un numero crescente di lavoratori di prospettive durevoli di integrazione, facendo della flessibilità un obbligo subito più che una mobilità scelta". L'impresa flessibile contemporanea è fatta "di deinquadramento funzionale e di controllo laterale (Périlleux, 2001), di autonomia e di intensificazione del lavoro (Boisard e altri, 2002), di un richiamo costante alla mobilitazione e di crisi dell'individualità, senza risorse e sostegni (Sennett, 2000)". Se l'occupazione non sempre più fornisce status, socializzazione valorizzante e identità, è anche dovuto al fatto che la piena occupazione non è più assicurata, la disoccupazione si è insediata. Parallelamente, i disoccupati provano le più grandi difficoltà a sviluppare le capacità cooperative e relazionali che diventano determinanti per ottenere una occupazione, il pericolo è quello di passare dalla disoccupazione alla esclusione (Wuhl, 1991). Tra il lavoro stabile e la disoccupazione, si insinuano d'altra parte delle disparate situazioni di "dis-inserimento" (de Gaulejac, Taboada-Leonetti, 1994), o di dequalificazione sociale (Paugarn, 2000) per degli "individui in situazioni fluttuanti nella struttura sociale, che popolano i suoi interstizi senza trovarci un posto assegnato ' (Castel, 1995). La minaccia di "disaffiliazione"non può essere esclusa e per molti la precarietà, lontano dall'essere solo materiale diventa esistenziale. "L'obbligo di mostrare in ogni momento le proprie competenze genera" il rischio di "erosione della personalità" (Sennett, 2000). La soggettività può essere tanto più ferita quanto più la sofferenza rimane sola, senza una via d'uscita collettiva, senza poter essere attenuata attraverso meccanismi di identificazione. L'aggravarsi di ineguaglianze biografiche accentuate dalla divisione del lavoro tra i sessi ri-attualizza delle "incertezze nelle traiettorie" che non erano più presenti quando il lavoro salariato testimoniava un continumm di posizioni. Mentre in precedenza il lavoro era sinonimo di dignità, esistono oramai dei lavori indegni allo stesso tempo in cui i confini tra lavoro e non lavoro si confondono. È la capacità integratrice del lavoro salariato che è messa in discussione. 7 4. Gli effetti della terziarizzazione Nello stesso modo, la capacità integratrice del lavoro e dell'occupazione non può più essere pensata negli stessi termini con il passaggio alla so- cietà dei servizi. La "terziarizzazione" delle economie, che può essere definita come la crescente importanza delle relazioni di servizio, costituisce un cambiamento fondamentale. Il lavoro diventa più intellettuale; anche nelle attività più industrializzate non è più sufficiente svolgere sempre gli stessi gesti definiti dall'ufficio tempi e metodi, ma bisogna comprendere i meccanismi della produzione per scambiarsi informazioni, reagire rapidamente, adattarsi a dei processi di evoluzione. La qualificazione professionale individuale attestata da un diploma tende ad essere soppiantata dalla qualificazione sociale (la capacità di essere a proprio agio in una equipe, ad analizzare situazioni, ...) che si dimostra nei rapporti con gli altri. Queste esigenze interne al lavoro si rafforzano con una riconfigurazione dell'occupazione che si accompagna ad una precarizzazione. Coccupazione ieri concentrata nell'industria e nei grandi servizi standardizzabili (banche, assicurazioni, telecomunicazioni, .. .) oggi si limita sempre di più in queste attività a causa dell'internazionalizzazione dei mercati e delle innovazioni tecnologiche. Da qui la crescita dei servizi relazionali, altrimenti detti servizi basati sulle relazioni dirette tra soggetto erogatore e utente nell'educazione, nella salute, nelle cure, nei servizi alla persona.. . Così come mostrano diversi ricercatori (Donzelot, 1984, 1991; Paugam 1991, 2000; Caste], 1995), passeremo da una disuguaglianza nella integrazione, legata alle differenze osservate sulla scala delle posizioni gerarchiche e professionali all'interno di una società industriale stabile in cui nel lavoro dimora il vettore centrale per la costruzione del sé, a una disuguaglianza di fronte alla integrazione, nella quale l'accesso al mercato del lavoro diventa un problema sociale e genera delle ulteriori differenze nel lavoro salariato, frammentando i sostegni giuridici ed identitari. Qualunque cosa sia, la frammentazione del lavoro così come può essere osservata a livello macro economico rimette in prospettiva le costatazioni fatte a livello micro-economico. Rilevante fenomeno quest'ultimo in quanto scalza i fondamenti del precedente compromesso tra ordine economico e ordine politico, e che richiede una riflessione sulla contemporanea articolazione tra economia e democrazia al di là delle imprese. 5. Economia e società: questioni inedite In contrasto con l'epoca della piena occupazione e del lavoro parcellizzato, il lavoro oggi guadagna in qualificazione ed autonomia simultaneamente al crescere della precarietà. Questo sconvolgimento risiede nella flessione della dinamica economica. 11 compromesso fordista aveva la sua coerenza; il miglioramento dei diritti sociali e del potere di acquisto, il consumo di massa reso possibi- le dallo sviluppo delle attività industriali a forte crescita di produttività andava a compensare il peso delle gerarchie e della dequalificazione dei compiti. La disgregazione di questa coerenza coincide con la rivoluzione informatica (Passet, 1996, pp. 141-148) e con la globalizzazione che le è associata. La diffusione del progresso tecnico concomitante con una internazionalizzazione degli scambi e con I'industrializzazione dei paesi in via di sviluppo comporta una intensificazione della concorrenza commerciale, particolarmente evidente per i beni di consumo durevoli. La soddisfazione del cliente balza al primo posto e governa la produzione. Su dei mercati internazionali e tenuto conto del progresso tecnico i servizi commerciali fanno la differenza tra le imprese. Condizioni di vendita, consegna, post vendita, controllo di qualità, informazioni al consumatore, sono incorporate nella merce e ne fanno di questa un oggetto a supporto del servizio. La distinzione tra bene e servizio sfuma. Da qui l'emergenza secondo Gadrey dei "rapporti sociali di servizio" (Gadrey, 1990), modalità tecniche, sociali ed istituzionali di avvicinamento e a volte di integrazione dei rapporti e degli attori dell'offerta e della domanda. Questa evoluzione provoca mutamenti nella ripartizione degli impieghi nel settore industriale: una parte crescente dei lavoratori riveste funzioni di carattere terziario. Più in generale, la parte informazionale e relazionale delle attività produttive registra un aumento; la produzione rimette in questione l'autonomia operaia basata su una forza lavoro e un ~avoir~faire esterni all'impresa. Le nuove tecnologie provocano cambiamenti organizzativi, mettono a disposizione i dati necessari a decisioni decentrate, facilitano l'appiattimento delle gerarchie intermedie e la riduzione degli effettivi. I lavoratori poco qualificati si ritrovano più degli altri a rischio di licenziamento, di fronte-ad una selezione basata sull'attitudine a comunicare, e al tempo stesso sottomessi alla concorrenza proveniente dai paesi in cui il costo del lavoro è decisamente minore. I1 lavoro, che era protetto dalle incertezze economiche dai dispositivi istituzionali tipici del fordismo, d'ora in avanti è sempre più dipendente dal mercato. È l'indizio di un profondo movimento di deregolazione; detto in altri termini, le politiche neo-liberali emblematiche della fine del XX secolo si affidano al mercato per sostituire quelle regolazioni fordiste considerate ormai solo come portatrici di rigidità e di ostacoli alla crescita. Questa tendenza di fondo è percepibile da più punti di vista: finanziarizzazione dell'economia, privatizzazione dei servizi pubblici, adozione di regole tipiche del mercato in settori che in precedenza ne erano esclusi. L'insieme di queste trasformazioni delinea i nuovi contorni dell'attività economica. 6. La finanziarizzazione Sotto l'impulso degli Stati Uniti che negli anni '70 hanno trasformato il dollaro in moneta mondiale, dandosi in tal modo ampia libertà nella loro politica economica, la globalizzazione finanziaria è progredita, alimentata dall'innovazione rappresentata dai fondi di investimento istituzionale. Essa definisce le esigenze di rendimento dei capitali imposte alle imprese internazionalizzate, divenute imprese a rete in cui la dimensione sociale del lavoro si compone non a livello della fabbrica, bensì del centro finanziario. Le norme di redditività generano arbitrati che influenzano l'allocazione di risorse tra le varie sedi e le presentazioni dei bilanci delle società. Sul piano macroeconomico, la liberalizzazione dei movimenti di capitali spinge ad attenuare le specificità istituzionali proprie degli spazi nazionali per rendere i capitali stessi attraenti dal punto di vista del tasso di rendimento finanziario delle azioni. La corsa al valore è ulteriormente accresciuta dalle fusioni e dalle acquisizioni con scambi di azioni, e si nutre anche del risparmio sui salari e dell'influsso dei fondi pensione. In mancanza di una strategia sindacale esplicita, come in Québec, questa integrazione patrimoniale del lavoro salariato rende i lavoratori meno azionisti e più depositanti, e su di essi trasferisce il rischio di chi investe. I1 crescente ricorso ai mercati azionari per finanziare gli investimenti esacerba la concorrenza. La quotazione in borsa, più che un valore intrinseco derivante da dati oggettivi, è un valore di scambio di un titolo di proprietà stimato dall'insieme dei potenziali acquirenti, da cui l'importanza delle anticipazioni degli agenti e dei comportamenti mimetici che accentuano la sensibilità alle variazioni di corso nelle spirali speculative (Aglietta, 1997; Orléan, 1999). In effetti, il ruolo della Borsa non è più solo di quotare le imprese, ma anche di rendere liquida e disponibile una ricchezza che, senza un mercato organizzato, rimarrebbe immobilizzata (Gauron, 2002). 7. La privatizzazione dei servizi pubblici Soggiacente alla finanziarizzazione, la superiorità dei meccanismi di mercato si riafferma anche allorché servizi pubblici come le telecomunicazioni, i trasporti, l'energia, sono privatizzati in nome dell'efficienza economica. La stessa protezione sociale non sfugge ad una parziale conversione, con l'estensione di un mercato dell'assistenza e della sicurezza, in cui lo stato trova una sua ricollocazione tramite trasferimenti compensativi a monte (con la formazione) e a valle (con la fiscalità) per salvaguardare l'uguaglianza delle opportunità senza tuttavia interferire con la competizione economica. 8. La mercificazione di nuove attività Nei paesi sviluppati, ove il processo di accumulazione è frenato dal livello di equipaggiamento delle famiglie in beni di consumo durevoli, nuovi settori diventano oggetto di mercificazione. Se solleva obiezioni quando si spinge a brevettare il vivente, il corpo umano e la sua riproduzione, questa mercificazione progredisce ampiamente in numerose altre attività: cultura, sport e divertimenti, salute, intervento sociale, servizi alla persona. Come si è fatto per il lavoro, è possibile anche qui contrapporre l'organizzazione di tali servizi nel periodo fordista e quella oggi prevalente. Riprendendo le analisi di Bélanger e Levesque (1991), il fordismo era anche un assistenzialismo in cui la "de-familiarizzazione" di queste attività si è avuta attraverso la loro presa in carico da parte dello stato, garante dell'interesse generale ed esercitante un rapporto tutelare nei confronti dell'utente; quest'ultimo si vedeva garantito l'accesso ai servizi grazie alla gratuità o alla modicità dei prezzi praticati, restando parallelamente escluso dalla creazione di questi servizi a lui comunque destinati. Vi era un consenso per far derivare questi servizi dalla responsabilità pubblica, il che manifestava la loro "de-mercificazione" secondo l'espressione di Esping-Andersen (1990). Ora, le evoluzioni nelle forme di controllo pubblico attestano una "rimercificazione". Questo non significa necessariamente un disimpegno da parte dello stato poiché i fondi pubblici destinati a tali servizi rimangono ingenti, quanto piuttosto l'adozione di regole di "quasi-mercato" (Le Grand e Bartlett, 1993) nella loro attribuzione: messa in concorrenza di partner diversi, apertura alle imprese, sgravi da oneri sociali e fiscali, aiuti accordati ai consumatori.. . Si parla così della creazione di un mercato dei servizi alla persona per far fronte alla crescita esponenziale dei bisogni dovuta alle tendenze socio-demografiche: invecchiamento della popolazione, professionalizzazione delle donne, aumento delle famiglie monoparentali.. . Nelle economie terziarizzate in cui il settore industriale non rappresenta più di un quarto dei posti di lavoro e dove i servizi occupano la grande maggioranza della popolazione attiva, questo cambiamento è tanto più notevole in quanto tutti i servizi relazionali, in cui l'attività si basa sull'interazione diretta tra prestatore e utente, occupano una parte crescente nell'insieme dell'economia. 9. Crescita e sviluppo Ci si può allora chiedere quale significato mantenga il riferimento alla crescita in una economia in cui due terzi degli impieghi si trovano nei servizi e in cui i servizi relazionali assumono un'importanza sempre maggiore. Come sostiene Gadrey (1998), le nozioni di produttività e di crescita sono legate a misurazioni di perjormance messe a punto nell'industria fordista: ci si può allora chiedere se i paesi occidentali non siano "alla ricerca di uno sviluppo dopo la crescita e di strumenti intellettuali per pensare questo sviluppo post-crescita". La subordinazione della politica all'economia fa parte di una concezione che assimila sviluppo della società e crescita del mercato, la cui insostenibilità è messa in evidenza dall'aggravamento dei problemi sociali ed ecologici. Resistere al tempo stesso sia alla condanna della crescita, sia alla sua sacralizzazione, appare pertanto come una condizione indispensabile per superare l'impotenza della politica. Dai tempi della rivoluzione industriale, la crescita è stata sinonimo di progresso poiché ha largamente contribuito a rendere la vita quotidiana meno faticosa e ha permesso di affrancarsi dalle dipendenze della tradizione. Ma la mercificazione sempre più spinta dell'esistenza umana rende ora la crescita ben più ambivalente. Se rimane sotto certi aspetti un fattore di emancipazione, essa può però presentare anche aspetti "patologici" in precedenza sconosciuti. Questo aspetto della realtà rischia a sua volta di essere messo in secondo piano da una lettura dei sistemi sociali rivolta esclusivamente all'impresa. 10. I1 trionfo culturale del mercato Lo scenario che scopriamo in questo periodo di cambiamenti è assai diverso da quello offerto dal precedente periodo di espansione: le protezioni sociali legate al lavoro sono rimesse in questione e le attività come l'informazione o la cultura sono cooptate dal mercato, portando certuni a parlare di capitalismo culturale o cognitivo. La stessa economia non di mercato che si era costituita per preservare almeno in parte la vita sociale dal mercato, comincia ad adottare referenziali quasi di mercato. La continua estensione degli scambi monetari limita la capacità di autorganizzazione delle popolazioni, in precedenza sperimentata per esempio nelle attività non monetarie di autoproduzione, e accresce la loro dipendenza da entrate dirette o indirette (Cérézuelle, 1996); infine, la concezione degli scambi monetari sul modello del mercato concorrenziale riduce l'autonomia del settore non di mercato. È dunque a un trionfo culturale del mercato che abbiamo assistito nell'ultimo quarto del XX secolo. "I1 regno del mercato è un regno senza padrone, ed è per questo che è così difficile sfidarlo sul piano politico" (Perret, 1999, p. 28). In tutto questo, la diffusione del mercato non si potrebbe imputare unicamente alle politiche neoliberali. Come già notava Simmel (1987), il mercato può fare corpo con la vita sociale solo confondendosi con la nostra concezione della libertà individuale. Nel momento in cui l'integrazione tramite il lavoro è perturbata, il consumo sostenuto dalla pubblicità realizza il movimento di emancipazione assai più dell'impegno nella vita cittadina. La partecipazione alle scelte collettive, con tutto quel che consegue in termini di mediazioni, deliberazioni e conflitti, soffre del confronto con l'estensione immediata delle libertà private che il consumo rappresenta. 11. Declino del capitale sociale e privatismo Come mai allora la dimostrazione di forza del mercato si accompagna ad un'inquietudine sorda, ma sempre più percepibile? La produzione culturale, proponendo un insieme di beni e di diversivi che si possono acquistare, elimina la dimensione dell'educazione, delle esperienze e dei valori condivisi che è propria della cultura; facendo questo, essa utilizza la cultura già costituita senza tuttavia essere in grado "di crearne di nuova: la cultura può svilupparsi solo in relazioni non di mercato" (Roustang, 2002, p. 34). La preoccupazione che scaturisce da questo comportamento "predatorio" è simile a quella indotta dal diffuso rifiuto di considerare i lavoratori "individui usa e getta" secondo i voleri degli azionisti: le forme assunte dal capitalismo non stanno di per sé minando le relazioni fiduciarie sulle quali il capitalismo stesso ha fatto affidamento? Questa prospettiva può rimanere funzionale se ci si accontenta di sottolineare come tali contrasti non saprebbero collegarsi tra loro senza che sussista nel tessuto sociale un legame civile, fatto di sincerità e di rispetto della parola data; ma può anche aprirsi a una questione più fondamentale qualora ci si chieda se non si assista piuttosto ad un assottigliamento del legame civico che potrebbe minacciare l'esistenza stessa della democrazia. È al tempo stesso la ricchezza e l'ambiguità dei dibattiti sul capitale sociale che permette di soffermarsi su questi due aspetti: in alcuni testi il capitale sociale rimanda ai reticoli sociali stabiliti tra le persone e la cooperazione da essi permessa; in altri, la stessa nozione designa invece l'impegno civico. Se si predilige con Evers (2001) questa seconda accezione del capitale sociale, definibile anche come capitale civico, gli indicatori a disposizione (impegno associativo, sindacale e politico) portano ad ipotizzare un declino (Putnam, 2000) che non si limita agli Stati Uniti. In definitiva, si è ben lontani dalla coincidenza tra democrazia e mercato postulata dall'ideologia liberale. Al contrario, sono problemi inediti ad essere sollevati dalla mercificazione senza precedenti della vita sociale. L'arretramento dei regimi totalitari non significa di per sé l'avvento definitivo della democrazia. Ora è la fragilità della democrazia a richiedere alcune riflessioni. Cindividualismo si è trasformato in "privatismo" (De Leonardis, 1997) tramite un procedimento che spinge alla defezione, al rifiuto degli impegni, all'arretramento del sentimento di appartenenza comune, all'oblio della riconoscenza reciproca e della solidarietà. "I1 privati- smo sottrae d'attore sociale la sua capacità di inscriversi nella comunicazione sociale e nelle interazioni collettive relative alla società: priva quest'ultima dello spazio pubblico d'azione, delle condizioni intersoggettive della riflessività, in breve della sua consistenza pubblica" (ivi, p. 177). Questo individualismo fatto di disimpegno, di assenza di legami, di ritiro nella sfera privata e di indifferenza nei confronti di ciò che è politico, è costantemente rafforzato dalla mercificazione. 12. Verso una sociologia delle istituzioni Questa diagnosi porta con sé iriiplicazioni di carattere metodologico. In particolare, porta a distanziarsi dalla posizione secondo la quale tra le situazioni della vita sociale, come la famiglia e la scuola, e quelle della vita politica, come governo e parlamento, sarebbe giunta l'ora di prendere in considerazione la capacità socializzatrice di quelle istituzioni intermedie che sono le strutture produttive. Se l'apporto di Sainsaulieu è stato decisivo per quanto riguarda l'identificazione della dimensione istituzionale delle imprese, la conclusione che si può trarre dalle precedenti constatazioni è che il periodo attuale porta piuttosto a una de-istituzionalizzazione dell'impresa. L'impresa vede indebolire la sua autonomia e la sua capacità di regolazione sociale, il che pone la questione della mobilitazione dei lavoratori e del rapporto con la società. La sua legittimità ben affermata nel compromesso fordista torna ad essere incerta. L'ipotesi secondo cui l'etica, indissociabilmente interna ed esterna, di cui si vanta ormai l'impresa, avrebbe l'intento di collocarla in una posizione sovrastante di fronte alla società e di fragilizzare la legittimità dell'intervento delle istanze politiche nel mondo economico (Salmon, 2002), non dovrebbe in ogni caso essere abbandonata. La flessibilità si tradurrebbe in una forte influenza culturale sul nucleo dei lavoratori rimasti nell'impresa, unita ad una nuova attenzione portata all7"ambiente umano" e alla collettività. Meno dispensatrice di impieghi, la grande impresa porrebbe quindi l'accento sulla sua responsabilità sociale o sul suo ruolo nella cittadinanza secondo modalità stabilite in base alla propria convenienza. In questo contesto, l'accento posto sull'impresa come istituzione intermedia (Sainsaulieu, 2001) può sfociare in una naturalizzazione dell'adattamento alle condizioni della concorrenza internazionalizzata. La sociologia dell'impresa (Sainsaulieu, 1997), se ha permesso di superare la sociologia dell'organizzazione e la sua focalizzazione sul tema del potere, è rimasta tuttavia centrata sugli stabilimenti produttivi. Corollario, l'insieme di quello che non riguarda direttamente l'impresa è assimilato a un dato ambientale. Ora, il centro finanziario non si potrebbe assumere come elemento dell'ambiente, poiché esso è il centro decisionale privilegiato del- l'impresa, in cui si elaborano le strategie riguardanti i vari siti. Mentre la sociologia dell'impresa è emersa per contrastare la mancanza "di istanze di mediazione teorica tra le tendenze globali della produzione industriale e l'analisi dei processi lavorativi concreti" (Dull, 1980, in Maurice, 1990, p. 307), essa soffre a sua volta di un deficit di mediazione teorica tra gli stabilimenti e le altre componenti dell'impresa a rete. L'assenza di un pensiero sul capitale può portare a strumentalizzare il sociale al servizio della performance economica: "Per raggiungere una ye$ormance economica, l'impresa, grande o piccola, deve potere sviluppare capacità di autonomia al proprio interno e per rispondere meglio alle incertezze di un mondo dalle evoluzioni imprevedibili" (Sainsaulieu, 2001, p. 43). È ciò che risulta da un "adattamento sociologico della teoria gestionale della contingenza" ad apparire inadeguato. I1 ricorso alla nozione di contingenza "rischia piuttosto di rinforzare nell'analisi l'opposizione tra l'interno e l'esterno dell'impresa, considerando la società come ciò che costituisce l'esterno dell'impresa, di fronte al quale quest'ultima dovrebbe avere strategie di adattamento o di controllo" (Maurice, 1990, p. 326). Considerare l'impresa come un'istituzione intermedia, significa allora rischiare di assolutizzare i limiti invocati dai detentori del potere economico, percependoli come contingenze. L'impresa pensata come luogo di costruzione identitaria e di invenzione di società (Sainsaulieu, 1992) fatica allora ad essere contenuta in una visione adattiva, a meno che non se ne vogliano eludere le difficoltii. Del resto, la scommessa di una presa di coscienza manageriale della complessità dei sistemi sociali tramite l'intervento sociologico, ed il conseguente rafforzamento della capacità di resistenza alle ingiunzioni finanziarie, appare arduo se si esaminano le tendenze macroeconomiche. L'apporto di Sainsaulieu si rivela insostituibile allorché egli affronta la questione della legittimità delle strutture sociali a vocazione economica, arguendo che queste ultime "non hanno come unico fondamento l'efficienza produttiva dell'organizzazione, ma altri obiettivi fondamentali: democrazia, socializzazione degli individui, parità dei sessi", cosa che lo porta a richiedere "una dinamica sociologica di creazione di istituzioni più democratiche e più rispettose degli individui e dei gruppi" (Sainsaulieu, 2001, p. 30). I limiti culturali incontrati dalla "democrazia in organizzazione" lo hanno convinto a spostare il progetto di cambiamento istituzionale sulle imprese nel loro insieme tramite l'instaurazione al loro interno di un dibattito tra logiche d'azione collettive. Ma non è precisamente in questo periodo che la logica finanziaria si è imposta come logica dominante, sottraendosi alla discussione? In ogni caso, questa è la ragione per cui, pur restando concordi con Sainsaulieu per il passaggio da lui operato dall'organizzazione all'istituzione, e pur avendo una valutazione convergente dei limiti delle sperimentazioni da parte di imprese con mire democratiche, può essere pertinente ricollegarsi qui alle tematiche proprie della sociologia economica. La concatenazione delle due sfere, economica e politica, non può essere compresa a partire dalle pratiche interne alle imprese. Sono i cambiamenti dei rapporti tra economia e società a costituire le sfide decisive. Mentre le istituzioni di socializzazione primaria non hanno più quella solidità di cui disponevano quando dominavano incontrastate i modi di vivere tradizionali, e le istituzioni di socializzazione secondaria vedono la loro legittimità contestata da quell'individualismo negativo (Gauchet, 1998, p. 173) che è il privatismo, affidarsi alla risorsa delle istituzioni intermedie (che sarebbero le istituzioni produttive) non sarebbe comunque sufficiente a dirimere le contraddizioni del tempo presente. I timori espressi da Simmel e Weber sulla estensione illimitata del denaro e del capitalismo assumono una connotazione profetica. Di qui la risonanza dello studio delle relazioni tra economia e società da essi proposto, articolato in termini attualizzati intorno alla questione del divenire della democrazia, tema peraltro già affrontato da questi autori. 13. Conclusioni Si profila quindi un programma di ricerca che prosegue quello di Sainsaulieu e al tempo stesso se ne discosta. Prosegue, nel senso di una attenzione rivolta alla "socializzazione degli adulti": la sfida è di discostarsi da una visione organizzativa della vita in società che rinchiude quest'ultima "nelle acque gelate del calcolo egoista", senza al tempo stesso avallare problematiche come quella di Gorz, centrate esclusivamente sull'emancipazione. Gorz combatte "l'ideologia della riproduzione della società tramite la socializzazione degli individui", cosa che "si incontra, tra gli altri, in Habermas e Parsons: l'attitudine all'autonomia e alla responsabilità sarebbe il risultato di una socializzazione riuscita" (Gorz, 1997, p. 113). Questa concezione si iscrive in un quadro filosofico ed epistemologico neomarxista poiché, come ha notato Perret (2001, p. 14), "la questione del legame sociale rimane in Marx interamente subordinata a quella del superamento dell'alienazione e dei rapporti di dominio". Sembra quindi concepibile reclamare una presa in considerazione della questione del legame sociale e delle condizioni di riproduzione della società senza per questo cadere nel sociologismo o nella difesa dell'ordine prestabilito. Si può anche sostenere che la riflessione su questi punti diviene urgente quando la personalità contemporanea rivela un individuo che fa fatica a "rappresentarsi in generale la dimensione pubblica", dimenticando di essere "organizzato nel suo essere più profondo dalla precedenza del sociale e dall'inglobamento all'interno di una collettività" (Gauchet, 1998, p. 177). Su questo punto, è innegabile la pertinenza delle questioni di Sainsaulieu sulla costruzione dell'identità. Occorre pertanto pensare con Sainsaulieu le forme della socializzazione e identificare nel contesto attuale forme di socializzazione democratica che siano capaci di creare e sostenere istituzioni che siano testimonianza della vita comune e della ricerca del bene comune, così da evitare che la democrazia si dissolva nel mercato. Se ne discosta, nel senso in cui la "riabilitazione" dell'impresa non può condurre a privilegiare questo spazio di socializzazione come luogo di apprendimento democratico quando esso stesso manifesta la violenza della precarietà, o addirittura dell'esclusione, e condiziona il riconoscimento sociale a vincoli di mercato e a strategie di creazione di valore che sfuggono alla deliberazione pubblica. L'importanza assunta dall'economia nelle società contemporanee richiede una riflessione che supera il quadro dell'impresa, riflessione che sociologi come Simmel hanno iniziato cercando di specificare la consistenza dell'economia come categoria antropologica generale legata allo scambio di oggetti e al lavoro produttivo. I1 valore che fonda l'economia "risulta in primo luogo dal rapporto pratico che ci lega agli oggetti, e in particolare dalla resistenza che essi oppongono al nostro desiderio, in secondo luogo dal loro riconoscimento come valore da parte del desiderio di un altro" (Simmel, 1987, p. 47). I1 movimento di monetarizzazione degli scambi permette di legittimare il valore economico e di conferirgli una legittimità rendendolo capace di mediare efficacemente i rapporti interindividuali. I1 dualismo: rapporto al mondo materiale/rapporto nei confronti degli altri, ha avuto una funzione essenziale nella modernità poiché ha preso parte alla qualificazione sociale delle persone. Nel lavoro la resistenza del mondo fisico si sperimenta nella cooperazione produttiva, nello scambio il rapporto di opposizione sfocia in un accordo mediato dal denaro. Sono questi due momenti di socializzazione distinti e complementari che permettono di sfuggire all'arbitrarietà dei rapporti interpersonali. È importante dunque rimarcare il carattere emancipatore dell'economia monetaria per comprendere la dinamica delle società moderne. Ma come ha dimostrato anche Simmel, la congruenza tra sviluppo dell'economia monetaria e conquista dell'autonomia personale non può nascondere i pericoli di una estensione della monetarizzazione della vita sociale, soprattutto se abbinata a un indebolimento del lavoro salariato. L'incontro tra l'estensione della monetarizzazione e la crisi del lavoro diviene allora socialmente pericoloso. L'equilibrio tra lavoro e scambio, per come si era stabilito in precedenza, presupponeva due condizioni: "che il lavoro sia sempre monetizzabile in rapporto alla sua quantità e qualità"; "che il modo in cui la gerarchia sociale viene così prefissata sia riconosciuto come legittimo da parte degli interessati" (Perret e Roustang, 1993). Queste due condizioni sono oggi minacciate dalla disoccupazione di massa e dalla differenziazione, se non proprio atomizzazione, delle situazioni lavorative. Alla riflessione sul lavoro non possono bastare le analisi interne alle imprese, senza rimandare ai cambiamenti del ruolo del lavoro nella società. Del resto, l'economia monetaria può essere stata un fattore di liberazione dell'uomo quando si trattava di liberarsi dalle comunità ereditarie e dalle dipendenze domestiche, ma il discorso cambia in una società in cui il legame sociale si sfalda, con il rischio di un elitismo produttivo in cui alcuni lavoratori vivrebbero nel lavoro le relazioni sociali più ricche e coesive, mentre l'universo di cui essi stessi fanno parte sarebbe quello della frammentazione e della stratificazione sociale. Per tutte queste ragioni, la prospettiva della sociologia economica può portare elementi di riflessione che permettono di offrire un inquadramento alle osservazioni effettuate in impresa, non limitandosi ad esse e collocandole in una questione più ampia sulla ricomposizione dei rapporti tra economia, società, ambiente e politica. Riferimenti bibliografici Aglietta M. (1997), Régulation et crises du capitalisrne, Odile Jacob, Paris. Bare1 Y. 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