La volpe La volpe è stata da sempre considerata un animale nocivo e per questo cacciata dall’uomo. Fino ad alcuni decenni fa essa veniva catturata anche per la sua pelle abbastanza pregiata con la quale si abbellivano i colli dei cappotti o si facevano pellicce per le signore benestanti. Per avere una pelle di buona qualità bisogna scuoiare la volpe nel periodo invernale, preferibilmente da Novembre a Febbraio, perché nei restanti mesi dell’anno essa perde i peli, ossia “spela”, come si dice in dialetto. Inoltre, secondo gli insegnamenti delle persone anziane, è opportuno catturare l’animale nei giorni di Luna calante. In caso contrario la pelle risulta di qualità inferiore. Infine, una particolare attenzione va riservata al sistema della sua cattura. La miglior pelle è quella proveniente da animali presi con il laccio perché essa si presenta omogenea e intatta. Nelle pelli ricavate, invece, da animali uccisi con il fucile spesso compaiono buchi e strappi causati dal piombo che le rendono meno pregiate. Tutto ciò non sfuggiva all’occhio esperto dei pellicciai che giravano per le campagne alla ricerca della preziosa materia prima. Un’operazione delicata era poi quella della scuoiatura, ossia il distacco della pelle dalla carne dell’animale morto. Ci volevano persone molto esperte e strumenti adeguati altrimenti si rischiava di danneggiare il prodotto. La pelle doveva essere distaccata integralmente e senza difetti, conservando la testa, le orecchie, la bocca, il naso, le zampe fino alle singole unghie. I migliori “spellatori” di animali nelle nostre zone erano Natalino Loffredi e Luigi Malandruccolo che, per la verità, erano anche abili cacciatori. La richiesta di pelli di volpe è stata fiorente fino alla metà del XX secolo. Poi tutto è cambiato e le pelli di importazione hanno preso il sopravvento, cancellando un’attività da sempre praticata dai nostri antenati. La caccia alla volpe avveniva, però, anche e soprattutto per altre ragioni. Lo scopo principale era quello di eliminare un pericoloso predatore di galline. Una volta non c’era famiglia contadina che non allevasse pollame da utilizzare in minima parte per il consumo di casa, ma per lo più da destinare alla vendita nei mercati di Sezze e di Roma. In altri termini, galline, pollastri, capponi, uova erano una risorsa insostituibile nell’economia di ogni famiglia contadina, una risorsa che poteva essere messa in pericolo dagli attacchi delle volpi. Di qui l’intervento dei cacciatori. Alla caccia della volpe si dedicavano uomini che avevano una perfetta conoscenza del territorio e sapevano individuare sia le tane che gli abituali percorsi e rifugi delle volpi. Essi confezionavano con le proprie mani le cartucce con le dovute dosi di polvere e piombo a lungo sperimentate. La stessa cosa avveniva per caricare i fucili a bacchetta che sono rimasti in uso fino agli anni quaranta. Non si dovevano sprecare o sbagliare colpi anche perché il materiale da sparo aveva ed ha i suoi costi, senza contare le spese per il rilascio del porto d’armi e per la licenza da caccia. La mancanza di denaro spingeva alcuni a fare i cacciatori abusivi con tutti i rischi che questo comportava. A parte i lacci e le tagliole, le strategie per uccidere le volpi erano di due tipi: l’appostamento contro vento nei paraggi delle tane e la battuta di caccia o cacciarella. Nel primo caso un solo cacciatore si posizionava a ridosso delle tane e attendeva pazientemente che essa uscisse o rientrasse ( si diceva fare la posta alla volpe). Nel secondo caso un gruppo di cacciatori con cani addestrati perlustrava una determinata area e spingeva le volpi verso passaggi obbligati dove altri cacciatori si erano in precedenza appostati. Nella Conca di Suso le aree infestate da volpi erano, tra gli altri, Monte Pilorci, Monte Forcino, Monte Nero, la Valle Grande lungo il confine tra i comuni di Sezze e Roccagorga. Una volta scelta l’area da battere, i cacciatori si dividevano i compiti: un paio di essi, tiratori scelti, andavano a posizionarsi per tempo nei luoghi strategici individuati in precedenza come vie di fuga delle volpi; una mezz’ora dopo altre 4-5 persone, partendo dal lato opposto a quello in cui si erano posizionati i tiratori, lasciavano liberi i cani fino ad allora tenuti al guinzaglio, e cominciavano a battere palmo a palmo l’area per mettere in fuga la volpe e indirizzarla verso i fucili dei tiratori. A Suso tra i battitori ricordiamo i nomi di Ersilio e Umberto Masilio (quest’ultimo morto in un incidente di caccia), Arcangelo Di Cosimo e lo scrivente. Tra i tiratori scelti segnaliamo: Luigi Malandruccolo, Enrico Orsini e Marino Galanti. I cani, ognuno dei quali aveva un nome come Fritz, Vespa, Diana, Spezzaferro, Tabacchino, Moretto, Reno etc… venivano aizzati o “azzolati” a cercare la volpe e ben presto fintavano la sua “passata”. Il primo che la individuava cominciava ad abbaiare in modo concitato (un gesto che esprime con il verbo dialettale “canizzare” o dare la “canizza”) ed a seguirla. Subito dopo anche gli altri cani davano la “canizza”. La volpe, che è molto veloce, avvertito il pericolo, si dava precipitosamente alla fuga, correndo verso il luogo dove, in genere, ci lasciava la pelle. Allora i battitori attendevano con ansia il colpo o i colpi di fucile, segnale certo del lavoro ben fatto, ma non altrettanto della buona riuscita della cacciarella. Acceleravano perciò il passo in direzione delle postazioni dei loro compagni tiratori. La prima domanda che rivolgevano loro era la seguente: “l’avete fatta?” Alla risposta, in genere positiva, esprimevano tutta la loro soddisfazione con grida di gioia. Ora poteva iniziare un altri tipo di caccia non meno importante. A volte la volpe, anziché darsi alla fuga, si rifugiava nella propria tana (si “attanava”). Allora veniva messa in atto la strategia dell’attesa che essa uscisse, se non erano i cani stessi a stanarla. Abbiamo detto che la volpe è nemica giurata dei polli soprattutto in primavera quando alleva i figli e ha bisogno di molta carne per produrre latte abbondante. Subito dopo sono i piccoli ad averne bisogno per integrare la loro alimentazione nella fase di avanzamento. In questo periodo se una volpe entra in un pollaio fa una strage. Ammazza più galline e polli che può e poi li porta via sotterrandoli in luoghi segreti per crearsi una sorta di dispensa a cui attingere nei giorni successivi. Bisogna considerare che i pollai erano generalmente modeste capanne, magari anche circondati da reti, ma la volpe è capace di scalarle o di scavare gallerie per mettere a segno il colpo grosso. Negli altri periodi dell’anno, invece, questo predatore si “accontentava” di prendere un solo capo alla volta e più spesso, preferisce cibarsi di cavallette, lucertole, grilli, piccole lepri, animali morti. Fortunatamente la volpe non ha il fiuto sensibile come il cane altrimenti i sui danni sarebbero anche maggiori. Da tutto ciò si capisce quanto i contadini allevatori temessero le visite delle volpi e con quanto sollievo accogliessero la notizia della loro uccisione che meritava sinceramente un premio (anche le autorità, invero, prendevano premi a favore dei cacciatori di volpi). Perciò questi ultimi spesso, dopo una cacciarella conclusasi positivamente, legavano la volpe uccisa per le zampe, la appendevano ad una pertica portata a spalla da due uomini e con questo trofeo avviavano una questua, si recavano, cioè, nelle case degli allevatori e chiedevano un obolo per il lavoro svolto a vantaggio di tutta la comunità. Ognuno offriva volentieri qualcosa: una gallina, un pollastro, delle uova, qualche lira… il ricavato della questua veniva equamente diviso tra i cacciatori e destinato all’acquisto di altro materiale da sparo; ma una parte di esso era immancabilmente riservato ad allestire lauti pranzi. Il menù era sempre lo stesso: pasta all’uovo con sugo di rigaglia, pollo al forno con patate, insalata e vino a volontà. E tra un bicchiere e l’altro si organizzava la cacciarella successiva. Resta, infine, da fare un’ultima considerazione. Tra tanta gente c’era qualcuno che si cibava volentieri di carne di volpe. La cosa oggi può suscitare impressione ma, posso assicurarvi che questa carne non è poi così male. Innanzi tutto va precisato che non tutte le volpi sono mangiabili. Noi facevamo una distinzione tra diversi tipi di volpe: la terragnola, la somarina e la canina. In genere solo la somarina veniva mangiata dopo una lunga e accurata preparazione. La ricetta è la seguente: la carne, liberata dalla pelle e tagliata in piccoli pezzi, viene lavata e lasciata in acqua per diverse ore. L’acqua va cambiata ripetutamente. In questo modo la carne perde quel caratteristico odore di selvatico che può risultare sgradevole. Al termine di questa operazione si prepara una salsa composta di vari ingredienti: olio, sale, pepe, peperoncino, aglio, rosmarino. Essa viene mescolata alla carne messa in una grande padella. Il tutto viene lasciato riposare per almeno un paio di ore. Finalmente si può passare alla cottura che è più o meno lunga a seconda dell’età della volpe. Il piatto va accompagnato da un buon fiasco di vino rosso.