Guerra in Afghanistan Contesto storico La vita politica afgana prima dell’invasione sovietica era in equilibrio tra società civile ed elemento religioso, personificato nelle figure dei mullah (capi religiosi). Nell’Aprile del 1978, però, venne messo in atto un colpo di stato da parte del Partito Democratico Popolare (PDPA) che mise fine a quegli equilibri che fino a quel momento avevano regolato la società. In questo colpo di stato il presidente Mohammed Daoud Khan, fautore di una politica progressista, venne ucciso, e il potere fu assunto da Mohammed Taraki, uomo poco gradito dalle gerarchie religiose. Con lui nasceva la Repubblica Democratica dell’Afghanistan. Il PDPA mise subito in atto un programma di stampo socialista, che prevedeva una grande riforma agraria e importanti innovazioni di stampo laico: tra le altre cose veniva riconosciuto il diritto di voto alle donne, si vietava l’uso del burqa afgano(l’abito che copre testa e corpo, con una retina all'altezza degli occhi) e si avviava un’importante campagna di scolarizzazione. Altre riforme compresero la riforma agraria, la legalizzazione dei sindacati, i rinnovamenti nell'area sanitaria e della salute pubblica, la lotta contro la coltivazione dell'oppio, l'emancipazione femminile. Alcune donne ebbero posti nel governo e sette di loro furono elette in Parlamento. Tutto questo portò lo scontento delle gerarchie ecclesiastiche che organizzarono un’opposizione armata, guida dai muhaheddin, i “combattenti per la fede”, contro il nuovo regime. Nel gennaio 1979 iniziarono gli scontri armati fra esercito e resistenza islamica, e in primavera, presso la città di Herat, scoppiò una rivolta in cui vennero assassinati alcuni consiglieri sovietici. La reazione del governo fu un feroce bombardamento che causò la morte di migliaia di persone, ma, ciò nonostante, in estate buona parte del paese era già sotto il controllo delle formazioni islamiche. A questo punto intervennero nella questione afgana anche gli Stati Uniti, ed il presidente Carter firmò una direttiva per la fornitura di aiuti bellici ed economici ai mujaheddin. L’obbiettivo era quello di appoggiare l’elemento religioso in funzione anti-sovietica. Il 14 settembre del 1979 un altro evento scosse la già tesa situazione: l’ex primo ministro Hafizullah Amin prese il potere e Taraki venne assassinato. Il nuovo governante, se da una parte fece concessioni all’opposizione politica islamica, dall’altra accentuò le forme di persecuzione, eliminando migliaia di persone. Amin cercò anche un ulteriore appoggio statunitense, rifiutando ogni proposta d’aiuto sovietico. A Mosca ciò non piacque, e qualcuno iniziò addirittura a sospettare di rapporti tra Amin e la CIA. Gli Usa Il governo federale degli Stati Uniti d'America era ostile alle riforme del governo Taraki, soprattutto alla riforma agraria che prevedeva la nazionalizzazione della terra. Per questo, già dalla metà 1979, iniziò a organizzare l'esercito dei mujaheddin. Il 3 luglio di quell'anno il presidente Carter firmò la prima direttiva, la cosiddetta Operazione Cyclone, per aiutare segretamente gli oppositori del regime filosovietico di Kabul. Quello stesso giorno, con una nota al presidente statunitense, il Consigliere per la Sicurezza Nazionale Zbigniew Brzezinski spiegava che quell'aiuto avrebbe determinato un intervento armato dell'Unione Sovietica in Afghanistan: «Non abbiamo spinto i russi ad intervenire - dirà poi in un'intervista lo stesso Brzezinski a Le Nouvel Observateur il 15 gennaio del 1998 - ma abbiamo consapevolmente aumentato le probabilità di un loro intervento». Con l'Operazione Cyclone la CIA avrebbe creato una rete internazionale coinvolgente tutti i Paesi arabi per rifornire i mujaheddin di soldi, armi e volontari per la guerra. USA, Arabia Saudita e altri Paesi sostenitori avrebbero speso oltre quaranta miliardi di dollari per imujaheddin, ai quali si unirono nel corso dei dieci anni di guerra centomila musulmani fondamentalisti provenienti da Pakistan, Arabia Saudita, Iran (i famosi pasdaran iraniani, ossia le "guardie della rivoluzione") e Algeria, armati e addestrati dalla CIA. E Osama bin Laden fu uno dei mujaheddin che affiancò la guerriglia locale dei Talebani armati. Base dell'operazione sarebbe stato il Pakistan, dove vennero costruiti campi di addestramento e centri di reclutamento. I mujaheddin afghani diventarono rapidamente una potente forza militare, rendendo dura la vita dell'esercito sovietico. L’URSS Il Cremlino trovava nell'Afghanistan la soluzione alla stagnazione del modello di crescita estensiva dell'economia programmata sovietica e, soprattutto, la sua invasione avrebbe rappresentato la prima mossa di quella teoria geopolitica che gli americani chiamavano "effetto domino", ossia "se uno Stato chiave in una determinata area fosse stato preso dai comunisti, gli Stati vicini sarebbero caduti come pezzi di un domino, diventando anch'essi socialisti uno dopo l'altro". Tutto questo per anticipare gli americani già attivi in questa regione del mondo. L'invasione dell'Afghanistan fu la prima mossa sovietica. A questa, secondo le intenzioni di Mosca, avrebbe dovuto seguire la "conversione" del Pakistan al socialismo sovietico, anche in chiave anti-indiana. L'Iraq, la Giordania e l'Egitto, dove già erano presenti commissari politici sovietici, sarebbero entrati successivamente e completamente nella sfera d'influenza russa intravvedendo la via al nazionalismo panarabo, mentre l'Arabia Saudita avrebbe approfittato della situazione per svincolarsi dalle compagnie petrolifere occidentali trovando nei Paesi del blocco comunista un ottimo cliente. Gli altri Stati del Golfo (Kuwait, Oman, Qatar, Emirati Arabi) seppur filo-americani, sotto la nuova pressione geo-strategica si sarebbero rinchiusi in una equidistante neutralità, senza più fornire petrolio agli Stati Uniti e ad Israele. Questi piani di Mosca prevedevano di mettere alle strette tutti i Paesi europei sotto l'influenza statunitense, poiché totalmente dipendenti dal petrolio del Medio Oriente. Mentre gli USA avrebbero iniziato ad attingere alle proprie riserve. In questo modo si sarebbero aperti nuovi scenari geopolitici a vantaggio dell'URSS. Mosca aveva anche previsto le reazioni del mondo all'invasione militare dell'Afghanistan. Il Cremlino non era assolutamente preoccupato di una ritorsione militare da parte dell'Occidente, poiché riteneva che non vi era il rischio di un confronto diretto con gli Stati Uniti. Con l'invasione del Paese i Sovietici avevano sicuramente messo in conto che si sarebbe verificata una forte protesta sia da parte del Terzo Mondo sia da parte dell'Occidente, tuttavia ritennero che la condanna sarebbe stata solo verbale e di breve durata a causa degli interessi contrapposti e delle differenze di opinione tra le altre potenze. Infatti, non ci furono ritorsioni clamorose da parte degli USA e dei Paesi occidentali, solo una condanna formale da parte dell'ONU (Risoluzione numero 35), un embargo su tutte le forniture di grano e di tecnologie, e il boicottaggio delle Olimpiadi che si celebrarono nel 1980 a Mosca. Le olimpiadi di quell'anno saranno ricordate per aver subito il più imponente boicottaggio della storia dei Giochi. Gli Stati Uniti e altri 67 paesi alleati (eccetto Francia, Italia e Svezia) decisero di boicottare le Olimpiadi. Il governo britannico boicottò i giochi, ma gli atleti andarono lo stesso a Mosca, anche senza la benedizione del primo ministro, Margaret Thatcher. Saranno le Olimpiadi di Seul del 1988 a veder gareggiare per la prima volta, dopo il 1976, Stati Uniti e Unione Sovietica nei stessi giochi. L'Unione Sovietica e gli altri stati del Patto di Varsavia insieme ad altri stati comunisti boicottarono le Olimpiadi a Los Angeles del 1984. Solo tre paesi socialisti non aderirono al boicottaggio: la Jugoslavia, la Repubblica Popolare Cinese e la Repubblica Socialista di Romania. L’invasione Fu in questo quadro che Leonid Breznev decise che l’URSS sarebbe intervenuta in Afghanistan. Dopo aver firmato un trattato di alleanza con il governo di Muhammad Taraki, l'URSS, che non si fidava di Amin sospettato di legami con la CIA - e che temeva un'espansione della ribellione islamica, decise di invadere il Paese. Il 25 dicembre 1979, l'Armata rossa entrava a Kabul. Due giorni dopo, venticinque componenti del "Gruppo Alfa", l'élite degli Spetsnaz, i reparti speciali sovietici, assaltavano il palazzo presidenziale uccidendo il presidente Hafizullah Amin. Al suo posto si insediava Babrak Karmal. Con l'invasione, l'obiettivo primario fu quello di occupare i centri nodali del Paese e stabilizzare il governo attraverso la lotta senza quartiere alla guerriglia fondamentalista. Tuttavia la situazione divenne subito più complessa: la debolezza delle Forze armate regolari afghane portò l'URSS a impegnarsi direttamente nelle operazioni di controguerriglia con un esercito certamente poco preparato a tali operazioni e, soprattutto, poco adatto a un teatro di guerra montuoso. Occupati Kabul e gli altri principali centri del Paese, l'Armata Rossa si diresse verso Passo Khyber, il valico montuoso strategico fra Pakistan e Afghanistan, con l'intento di rendere impenetrabile la frontiera. La Resistenza afghana, pur formata da sette partiti politici tra loro divisi in tradizionalisti e fondamentalisti, era tuttavia saldamente unita dall'odio per l'URSS e nella fede in Allah. La guerra contro i sovietici fu combattuta da formazioni molto variegate: dai bambini di dodici anni fino ai veterani della terza guerra d'indipendenza afghana, gli ultraottantenni che avevano affrontato e battuto gli inglesi nel lontano 1919. I mujaheddin, armati di fede e dotati di Ak-47 e di missili terra-aria Stinger forniti dagli americani, utilizzarono le tecniche di guerriglia già attuate dai Vietcong contro gli americani. Guidati da Ahmed Shad Massoud, uno dei più popolari capi dei guerriglieri fondamentalisti, detto il Leone di Panishir, i mujaheddin erano ovunque: oltre che nelle zone più interne, anche al Passo di Salang, al confine con l'URSS e nella Provincia di Herat, zona di frontiera con il Turkmenistan. In questo modo potevano sbarrare la strada alle truppe inviate da Mosca. Anche per l'Unione Sovietica, come già per gli USA in Vietnam, la guerra in Afghanistan si trasformò ben presto in un lungo, estenuante stillicidio. Gli eventi militari furono caratterizzati dalla disfatta nella battaglia di Paghman del 1981, venti chilometri a sud di Kabul, dal fallimento di due offensive lanciate dai russi a giugno e a settembre dello stesso anno, e dalle disastrose azioni militari fra i picchi dell'Hindu Kush. Piuttosto che un conflitto convenzionale, fu quindi una guerra asimmetrica contro un nemico numericamente e tecnologicamente inferiore, che combatteva in formazioni piccole e asserragliato in posizioni ben difese. All'Armata Rossa non restò che copiare la strategia americana nel Vietnam: bombardamenti aerei e interi villaggi rasi al suolo. L'artefice del conflitto, Leonid Breznev, morì il 10 novembre 1982. Il suo successore Yuri Andropov, ex capo del KGB, confermò la linea del predecessore. Nel 1985 Michail Gorbacëv, divenuto Segretario Generale del Comitato Centrale del PCUS, decise di dare il via a una riforma radicale dello Stato attraverso la Perestrojka ("ristrutturazione") e l'Uskorenie ("accelerazione" dello sviluppo economico), assieme alla Glasnost("trasparenza") dei rapporti tra Stato e cittadino, dei comportamenti dei pubblici funzionari, della distribuzione dei posti di responsabilità. Con Gorbacëv perse vigore anche la dottrina Breznev che aveva reso possibile l'ingerenza sovietica nelle questioni interne dei "Paesi fratelli". In quest'ottica fu deciso il ritiro unilaterale dei soldati sovietici dall'Afghanistan, che iniziò il 25 maggio del 1986 e si concluse il 15 febbraio del 1989. La guerra d'invasione sovietica ha nel suo bilancio quasi due milioni di morti afghani e oltre cinque milioni di profughi, mentre tra i sovietici i morti furono circa quindicimila. Il dopoguerra Con la ritirata sovietica, varie forze militari dei mujaheddin lasciarono l'Afghanistan andando a lottare in Algeria, Cecenia, Kosovo e Cachemire: iniziò così la storia della rete armata in difesa del fondamentalismo islamico, primo nucleo di al-Qaeda. Un'altra parte di questi mujaheddin, i Talebani, restarono nel Paese e continuarono la lotta armata in una sanguinosa guerra civile, sino ad impossessarsi del potere e proclamare la nascita, il 17 aprile del 1992, della Repubblica Islamica dell'Afghanistan. Video: https://www.youtube.com/watch?v=5HVt5pCPkXA Fonti http://www.instoria.it/home/invasione_sovietica_afghanistan.htm http://win.storiain.net/arret/num167/artic3.asp