HIV E AIDS
SINDROME DA IMMUNODEFICIENZA
ACQUISITA
La sindrome fu descritta
• nel 1981 in omosessuali maschi (relazioni con molteplici partner)
Focolai di polmonite mortale da Pneumocystis carinii associata a
segni evidenti di compromissione del sistema immunitario
Sospetto: Immunodeficienza acquisita dovuta ad un agente
infettante a trasmissione sessuale
• fine 1981 casi di tossicodipendenti eterosessuali (droghe per via
endovenosa)
• 1982 primi casi in emofilici (trasfusioni del fattore VIII° umano)
• 1983 isolamento del HIV indipendentemente in Francia e negli USA
(premio Nobel Montagnier 2008)
TRASMISSIONE
1.Trasmissione sessuale (rapporti eterosessuali,
omosessuali, orali, ecc)
2.Trasmissione attraverso sangue o emoderivati
3.Trasmissione materna al feto
Benchè il virus possa essere identificato, se non
isolato, praticamente da ogni liquido corporeo,
non esistono prove che l’infezione si possa
trasmettere per mezzo di lacrime, sudore, saliva
e urine.
• Idonea via di trasmissione
• Adeguata quantità di virus (carica virale)
Una quantità di virus (carica virale) sufficiente a
trasmettere l'infezione si può ritrovare solo in
determinati liquidi biologici, quali sangue, liquido
seminale, secreto vaginale e, in percentuale
inferiore, nel latte materno
Trasmissione sessuale
Rappresenta la modalità di contagio prevalente nel mondo.
Fattori che influenzano la possibilità di trasmissione per via
sessuale:
• fattori comportamentali: (uso del profilatto, numero di
partners diversi, rapporti con persone a alto rischio, tipo di
rapporto)
• concomitante presenza di malattie a trasmissione sessuale
• fattori legati al singolo individuo (infettività, resistenza
all’infezione)
• fattori legati al virus: carica virale, genotipo
Trasmissione con il sangue
• Tramite trasfusione di sangue infetto
• Oggi obbligatorio screening dei donatori
• Possibile falso negativo nel periodo finestra (1
caso ogni 1.200.000 trasfusioni).
Trasmissione parenterale
• La via parenterale è il modo più facile che ha il virus per poter
essere trasmesso da un individuo all'altro;
• L'efficienza della trasmissione parenterale può infatti arrivare fino
al 90%
• Ciò è dovuto al fatto che il virus, arrivando direttamente nel
torrente circolatorio, trova subito moltissime cellule bersaglio,
rappresentate essenzialmente dalle cellule mononucleate (linfociti
e monociti)
• fattori di rischio: tossicodipendenza, tatuaggi e body piercing
(sterilizzazione aghi!)
Trasmissione verticale
L'HIV può essere trasmesso dalla madre al figlio. Questo
può avvenire essenzialmente tramite tre modalità:
durante la gravidanza attraverso la placenta (20-40%);
durante il parto (40-70%);
tramite l'allattamento (15-20%).
Complessivamente il rischio che il neonato resti contagiato è di circa il
15-25%, ma questa percentuale è stata notevolmente ridotta (fino a
meno del 5%) con l'utilizzo di profilassi farmacologica durante la
gravidanza e dopo il parto.
Esposizione accidentale
L'HIV è un virus poco resistente all'ambiente esterno, anche se in condizioni
favorevoli può sopravvivere anche per due o tre giorni. L'essiccamento provoca
una riduzione della carica virale di oltre il 90% in poche ore. In caso di ferita
accidentale con materiale contaminato, perchè avvenga effettivamente il
contagio sono importanti vari fattori:
• Carica virale nel sangue residuo;
• Tipo di strumento con il quale avviene la contaminazione (per esempio una
puntura con un ago cavo è più pericolosa della lesione con un ago pieno, in
quanto il residuo di sangue è maggiore nel primo caso);
• Durata del contatto e profondità della lesione;
• Lesioni preesistenti dell'operatore e suo stato immunitario.
Complessivamente, dopo una esposizione accidentale con sangue contaminato il
rischio di contrarre l'infezione è di circa lo 0,2-0,3%.
Trasmissione occupazionale dell’HIV operatori
sanitari e personale di laboratorio
DECRETO MINISTERIALE 28 SETTEMBRE 1990 (in Gazzetta Ufficiale 8 ottobre 1990
n. 235)
Norme di protezione dal contagio professionale da HIV nelle strutture sanitarie ed
assistenziali pubbliche e private
Articolo 1 Precauzioni di carattere generale
Articolo 2 Eliminazione di aghi e di altri oggetti taglienti
Articolo 3 Precauzioni per i reparti di malattie infettive
Articolo 4 Norme per gli operatori odontoiatrici
Articolo 5 Precauzioni per gli operatori addetti alle autopsie
Articolo 6 Precauzioni specifiche per i laboratori
Articolo 7 Precauzioni per il personale addetto alle operazioni di primo soccorso e
trasporto degli infermi e degli infortunati
Articolo 8 Obblighi degli organi preposti
Articolo 9 Obblighi degli operatori
Articolo 10 Raccomandazioni ed indicazioni tecniche
RESISTENZA DELL’HIV
Hiv non si trasmette attraverso veicoli non acuminati anche se
sporchi da sangue infetto (es. superfici, maniglie)
Hiv è poco resistente: non resiste ad essiccamento, ai raggi
ultravioletti del sole, all’alcol e alla varichina. Esposto all’aria
aperta muore in 20-30 minuti e viene disattivato in 30 minuti dal
riscaldamento a 56°C.
Hiv non è trasmissibile attraverso vettori (es. punture di zanzara)
EPIDEMIOLOGIA
Adulti e bambini che vivono con HIV nel
2007
Total: 33.2 (30.6 – 36.1) million
Stima del numero di nuove infezioni da HIV
in adulti e bambini nel 2007
Total: 2.5 (1.8-4.1) million
HIV/AIDS in ITALIA
150.000 sieropositivi
Prevalenza negli adulti 0.4%
Adulti sieropositivi:150.000
Donne HIV+: 41.000
Morti per AIDS: 1.900
Conclusioni generali dell’analisi
condotta nel 2008 (1)
1) La percentuale globale di adulti sieropositivi è diminuita dal 2000
2) Nel 2007 l’HIV ha causato 2.7 milioni di nuove infezioni e 2 milioni
di morti
3) Il tasso di nuove infezioni da HIV è diminuito in diverse regioni
ma, globalmente, il trend positivo è parzialmente compromesso
dall’incremento di nuove infezioni in altri paesi.
4) In 14 dei 17 paesi Africani, per i quali si dispone di dati sufficienti,
la percentuale di giovani donne incinta (15-24 anni) affette da HIV
è diminuita dal 2000-2001.
5) Grazie alla maggiore accessibilità ai trattamenti il numero di morti
per AIDS è diminuito negli ultimi 10 anni.
Conclusioni generali dell’analisi
condotta nel 2008 (2)
1) L’Africa Sub-sahariana rimane la regione più pesantemente colpita
dall’HIV, rendendo conto del 67% di tutte le infezioni e del 75% di
tutte le morti per AIDS nel 2007. Nonostante questo, alcuni dei
più importanti incrementi di nuove infezioni si stanno verificando
in altri paesi molto popolati come l’Indonesia, la Federazione
Russa e in vari paesi dal reddito elevato.
2) Globalmente la percentuale di donne, tra tutte le persone
sieropositive, è rimasta costante (50%) per diversi anni, sebbene
la quota di infezioni femminili stia aumentando in parecchie
regioni.
3) In virtualmente tutte le regioni fuori dall’Africa Sub-sahariana
l’HIV colpisce in modo sproporzionato chi fa uso di droghe, uomini
con rapporti omosessuali e chi si prostituisce.
Infezione da HIV
Aspetti clinici
Sindrome da immunodeficienza acquisita
Patogenesi
Cellule prevalentemente colpite: linfociti T adiuvanti
(CD4+) e altre cellule che esprimono il recettore CD4
(monociti, macrofagi, cellule gliali, cellule
dendritiche). Progressiva riduzione dei linfociti T
adiuvanti con conseguente immunodeficienza.
Interessamento del sistema nervoso e di altri organi
e apparati.
• Il virus HIV è stato identificato nel 1983, appartiene alla famiglia dei Retrovirus,
genere Lentivirus
• Ne sono stati identificati 2 sierotipi. Il sierotipo 1 (HIV-1) è il principale
responsabile dell'epidemia a livello mondiale, mentre il sierotipo 2 (HIV-2) ha
una diffusione più circoscritta e limitata a Africa Occidentale, Caraibi e America
meridionale.
• Il virus misura 90-100 nm ed è costituito da un involucro esterno (envelope)
lipoproteico e da una parte centrale (core).
•A livello dell’envelope sono presenti alcune
glicoproteine che hanno diverse funzioni (gp41 di fusione
e gp120 di fusione) tra cui quella di permettere il legame
con lo specifico recettore (CD4) della cellula ospite.
• Il core contiene: l’acido nucleico (2 coppie di RNA a
singola elica) ed alcuni enzimi (trascrittasi inversa,
integrasi, proteasi) che sono necessari alla replicazione
del virus.
HIV/CD4 Cell Interaction
Fotografia al microscopio elettronico di un linfocita CD4, il bersaglio principale del
virus HIV, al quale sono attaccati molti virioni colorati di blu. L’attacco si realizza per
interazione della glicoproteina gp120 del virus con il recettore CD4 espresso sulla
cellula bersaglio.
Cellule CD4+
– Linfociti T helper
– Monociti/macrofagi
– Microglia
– Cellule di Langehrans
– Cellule di Kuppfer
– Cellule dendritiche
REPLICAZIONE DEL VIRUS
1. INGRESSO
2. RETROTRASCRIZIONE
3. INTEGRAZIONE E TRASCRIZIONE
4. INCAPSIDAZIONE
5. RILASCIO PER GEMMAZIONE
• E’ oggi noto che per l’ingresso del virus nella cellula non è sufficiente
l’interazione gp120/CD4 ma è necessario il contatto con altre molecole
(co-recettori) presenti sulla superficie della cellula CD4+
• Questi co-recettori sono recettori per chemochine: CXCR4 e CCR5.
Probabilmente il loro contatto con la gp120 smaschera la gp41,
necessaria per l’attacco della membrana dell’HIV alla cellula e la
transfezione (passaggio del materiale nucleico e enzimi necessari per la
replicazione) della cellula.
• I virioni che utilizzano CXCR4 sono linfotropi
• I virioni che utilizzano CCR5 sono monocitotropi
• In vitro le molecole che fisiologicamente si legano a questi corecettori (Stromal-Derived Factor-1, RANTES, MIP-1a e -1b)
impediscono l’ingresso di HIV nella cellula.
• Soggetti con mutazioni dei co-recettori possono essere naturalmente
resistenti all’infezione.
INGRESSO DEL VIRUS
Ciclo biologico di HIV
GLICOPROTEINE DI
SUPERFICIE
gp120
gp 41
Transcriptasi inversa
INTEGRASI
RNA
RT
PROTEASI
Proteasi
Integrasi
RNA
TAPPE DEL CICLO REPLICATIVO
Legame gp120 virale - recettore CD4 del linfocita T e corecettore CCR5 (difetto
genetico di CCR5 conferisce resistenza all’infezione)
Penetrazione, denudamento e ingresso del genoma virale nel nucleo della cellula
ospite
Trascrizione inversa: RNA – DNA (transcriptasi inversa)
Integrazione nel DNA dell’ospite (integrasi)
Trascrizione del DNA del provirus a mRNA (DNA polimerasi della cellula ospite)
Passaggio nel citoplasma e sintesi di proteine virali (ribosomi della cellula ospite)
Intervento della proteasi virale
proteine (virali) funzionanti
Assemblaggio e Gemmazione
Effetti dell’infezione da HIV
sul sistema immunitario
L’HIV sfugge al controllo del sistema immunitario
mutando continuamente
In particolare dà origine a "mutanti invisibili", ossia varianti capaci di eludere in
una certa misura il riconoscimento immunitario. In questa sequenza schematica,
una popolazione virale che reca un solo epitopo riconoscibile (in verde in 1 e 2)
subisce mutazioni ripetute in quell' epitopo (3-5). Il sistema immunitario rappresentato qui da linfociti B che producono anticorpi - può mantenere il passo
di queste variazioni per un certo tempo, ma la comparsa di eccessive varianti virali
evidentemente vanifica la capacità dell'organismo di far fronte al virus.
FASI PRINCIPALI DELL’INFEZIONE DA HIV
1. Infezione primaria: può essere asintomatica o più frequentemente dare una sindrome
retrovirale acuta (febbre, faringite, ingrossamento linfonodi, eruzioni cutanee, cefalee).
Compare dopo 3-6 settimane dall’infezione. Accompagnata da alta viremia.
2. Latenza clinica: fase asintomatica che può durare diversi anni nella quale si ha comparsa
di anticorpi anti-HIV (sieropositività) e progressivo calo del numero di linfociti CD4
positivi. Il soggetto è infetto e infettante.
3. Stadi LAS (Lymphoadenopatic Syndrome) e ARC (AIDS-Related Complex): i linfociti
scendono al di sotto della soglia critica di 500 cell/mm3 e compaiono i primi sintomi
(linfoadenopatia generalizzata persistente, calo ponderale, diarrea e astenia, anemia. In
questa fase sono frequenti infezioni multidermatomeriche (varicella-zoster), infezioni da
candida, herpes labiale e genitale.
4. Fase di AIDS conclamata: numero CD4 <200 cell/mm3, alta viremia. Quadro clinico
grave con infezioni opportunistiche che evolvono con inconsueta gravità accompagnate
spesso da insorgenza neoplasie (sarcoma Kaposi, linfoma primitivo del SNC).
Storia naturale dell’infezione da HIV
INFEZIONE ASINTOMATICA: fase di latenza clinica
Fase caratterizzata dall’assenza di sintomi o segni clinici. Il numero di CD4 è >500
cell/mm3. Una serie di esami di laboratorio possono risultare alterati (anemia,
neutropenia, trombocitopenia e test sulla funzionalità epatica alterati). Il numero di
CD4 generalmente scende di circa 40-80 cell/mm3 per anno negli individui non
trattati.
Sebbene questa fase sia chiamata asintomatica, la replicazione del virus continua
costantemente e il sistema immunitario si indebolisce lentamente. L’HIV può essere
trasmesso anche in questa fase.
La figura sottostante rappresenta il numero di cellule infette durante la fase di
latenza clinica della sindrome da HIV. 10 miliardi di virus vengono prodotti ogni
giorno e il sistema immunitario perde la sua integrità.
Storia naturale dell’infezione da HIV
Storia naturale dell’infezione da HIV
Relazione tra carica virale e sviluppo di AIDS
Forte relazione
predittiva tra la
carica virale e la
probabilità di
sviluppare l’AIDS
Studio prospettico dell’andamento clinico a lungo termine di pazienti HIV positivi seguiti per più di 10 anni.
Entro cinque anni dall’infezione il 62% dei pazienti con livelli virali plasmatici nel più alto quartile hanno
sviluppato AIDS, contro l’8% dei pazienti nel quartile più basso. Questi dati hanno permesso di stabilire come
la carica virale sia altamente predittiva della progressione della patologia indipendentemente dal numero di
CD4.
MANIFESTAZIONI CLINICHE
• Periodo di latenza tra il contagio e la comparsa delle
manifestazioni cliniche della malattia conclamata:
può avere una durata molto lunga (fino a 15 anni) ed
essere completamente asintomatico.
• Entro 6-8 mesi dal contagio compaiono anticorpi
rivolti contro il virus (sieropositività).
MANIFESTAZIONI CLINICHE
Durante il periodo di latenza possono comparire alcuni quadri
clinici:
• Infezione acuta (febbre, diarrea, linfoadenopatia): compare da
3 a 6 settimane dopo il contagio ed ha la durata massima di 2
settimane;
• Linfoadenopatia
generalized
generalizzata
persistente
(persistent
lymphadenopathy,
PGL):
tumefazioni
linfoghiandolari diffuse persistenti;
• Complesso correlato all’AIDS (AIDS related complex, ARC)
(malattia costituzionale): febbre, diarrea, PGL, riduzione dei
linfociti CD4+, anemia, leucopenia (linfopenia), piastrinopenia.
MANIFESTAZIONI CLINICHE
Principali manifestazioni della malattia conclamata:
• infezioni secondarie:
- da virus (corioretinite da Citomegalovirus), da batteri
(micobatteri tubercolari e non tubercolari), da miceti
(candidosi orale ed esofagea, polmonite da Pneumocystis,
meningite da Cryptococcus neoformans),
- da protozoi (toxoplasmosi cerebrale, enterite da
Cryptosporidium)
MANIFESTAZIONI CLINICHE
• Principali manifestazioni della malattia conclamata:
• neoplasie: linfomi, sarcoma di Kaposi;
• malattia neurologica (neuroAIDS)
• cachessia (wasting syndrome).
Patologie indicative di AIDS
- leucoencefalopatia multifocale; encefalopatia da HIV progressiva
- wasting syndrome da HIV
- polmonite interstiziale linfoide
- sarcoma di Kaposi
- linfoma di Burkitt (o equivalente)
- linfoma cerebrale primitivo
- candidiosi bronchiale, tracheale o polmonare, esofagea
- M. tubercolosis polmonare, disseminata o extrapolmonare
- Mycobatterium di altre specie (M.avium o M.kansasii )
- infezioni batteriche ricorrenti (sespi sa Salmonella ecc..)
- polmonite da Pneumocystis carinii
- malattia da CMV; retinite da CMV
- herpes simplex: ulcere croniche o bronchite, polmonite, esofagite
- criptococcosi extrapolmonare; criptosporidiosi intestinale cronica;
coccidioidomicosi disseminata; toxoplasmosi cerebrale; isosporidiosi cronica
intestinale; istoplasmosi disseminata
"AIDS dementia complex"
si presenta come manifestazione tardiva dell’infezione da HIV, ed è
caratterizzata da memoria scarsa, incapacità di concentrazione,
apatia, e ritardi psicomotori; si possono verificare anche anormalità
motorie locali ed alterazioni comportamentali.
Solitamente i sintomi progrediscono rapidamente, ma l’analisi del
liquor e gli esami radiografici rivelano alterazioni non specifiche.
Esami di laboratorio e Diagnosi
La diagnosi di un infezione richiede esami di laboratorio che permettono la dimostrazione diretta o
indiretta del virus.
Una diagnosi eziologica specifica può essere ottenuta mediante dimostrazione diretta del virus, o di
antigeni virali nel campione con i seguenti metodi:
 ricerca di antigeni virali
immunoenzimatiche (ELISA);
mediante
immunofluorescenza,
e
prove
 rilevamento di sequenze genomiche virali specifiche (DNA e/o RNA), mediante
amplificazione genica (PCR).
L’isolamento virale è stato considerato il test di riferimento, in quanto consente, teoricamente, di
propagare in coltura anche un singolo virione infettivo, presente in un campione, e di espanderlo. Le
cellule devono essere stimolate con un mitogeno (es. La fitoemoagglutinina), e addizzionate con IL-2;
l’effetto dell’infezione virale sulla coltura cellulare viene rilevato, usualmente, mediante vari metodi:
l’osservazione di un effetto citopatico (CPE);
la ricerca di antigeni virali (p24);
il dosaggio della trascrittasi inversa (RT).
La crescita virale viene rilevata dalla comparsa della RT, circa 7-14 giorni dopo l’infezione,
contemporaneamente ad un massivo effetto citopatico. Poiché, nella maggior parte di cellule in vivo,
l’espressione virale è ristretta, le cellule T di individui infetti devono essere coltivate in vitro prima che
risultino positive ad antigeni virali. Una antigenemia persistente si associa ad una prognosi non
buona.
La diagnosi precoce di infezione da HIV, in neonati da madri infette, è difficile:
la presenza di anticorpi materni infatti rende i test sierologici non informativi;
i test per l’antigene p24 effettuati alla nascita rivelano solo una piccola percentuale (<10%) di neonati infettati, in
quanto la presenza di titoli elevati di anticorpi anti p24 mascherano l’antigene.
Colture virali di sangue periferico possono dare informazioni utili su circa la metà dei neonati HIV positivi;
La tecnica della PCR su campioni di sangue periferico raccolti al 1°, o al 2° mese, consentono di fare diagnosi di
infezione quasi nel 100% dei casi.
Trattando al calore i campioni di plasma, il test dell’antigene p24 è positivo nel 100% dei casi, con una sensibilità
simile a quella della DNA PCR.
Un’infezione virale induce una risposta immune diretta verso uno o più antigeni virali. Le diagnosi di un’infezione
virale vengono comunemente eseguite utilizzando prove sierologiche per dimostrare la presenza di risposte
anticorpali specifiche. Le metodiche per la dimostrazione di anticorpi specifici sono basate sulle classiche reazioni
antigene-anticorpo; attualmente il test di maggior impiego è il dosaggio immuno-enzimatico (ELISA).
Quando i test anticorpali basati sul sistema ELISA sono usati per analizzare una popolazione con una bassa
percentuale di contagio da HIV: un test positivo su un siero campione deve essere confermato da una ripetizione del
test, prima che il donatore del siero sia informato; nei casi dubbi o sospetti la ripetizione dell’esame conferisce
attendibilità al risultato. Se la ripetizione del test è negativa, il campione deve essere testato con altro metodo.
Antigeni ricombinanti, o sintetici sono utilizzati sia in ELISA, sia in altre metodiche, per ananlizzare
l’immunoreattività. La specificità anticorpale può essere dimostrata con la tecnica Western blot, in cui gli anticorpi
possono essere identificati per la loro reattività individuale per le proteine virali.
Anticorpi più frequentemente individuati sono diretti verso p24, gp41, gp120, e gp160. È stato riportato che una
minoranza di individui (sierorevertiti) risulta nuovamente negativa due mesi dopo l’esposizione al virus. Un’infezione
da HIV, che non presenti una risposta anticorpale per più di 6 mesi, è molto improbabile.
DIAGNOSI
L’infezione da HIV in individui giovani - adulti viene abitualmente
dimostrata mediante la ricerca degli anticorpi diretti verso alcuni
componenti (antigeni) del virus HIV 1 e 2, tramite ELISA
(Enzyme Linked Immuno Sorbent Assay) che ha una sensibilità
del 99.9% e specificità 99.9%; è il metodo standard per la
diagnosi e per lo screening negli adulti.
Un risultato positivo del test ELISA
necessita di un test di conferma
WESTERN BLOT
Un test ELISA negativo, dopo 6 mesi dall'ultimo evento a rischio, indica definitivamente
che non è avvenuto il contagio- un test ELISA positivo, confermato successivamente da un
test Western Blot positivo, indica definitivamente che è avvenuto il contagio.
TERAPIA
La terapia antiretrovirale ha oggi modificato in modo sostanziale la
storia naturale dell’infezione da HIV anche in età pediatrica:
- La mortalità è ridotta significativamente
- Le infezioni batteriche ricorrenti, la polmonite da Pneumocystis
carinii, l’encefalopatia progressiva, la polmonite interstiziale
linfoide e le altre manifestazioni opportunistiche sono divenute
oggi rare.
HAART = terapia antiretrovirale altamente attiva
• Dal 1996 l’uso della terapia antiretrovirale combinata con due
farmaci si è diffuso in Italia ed è stata introdotta la potente terapia
combinata con 3 o più farmaci nella cura dei bambini HIV-1 positivi
• ciò ha coinciso con un aumento significativo della sopravvivenza
de Martino M. JAMA 2000;284:190-7
Probabilità di sopravvivenza
1.00
0.75
0.50
<1990
>1995
1990-1995
0.25
0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 1112 13 14
Età (anni)
L’ente americano FDA (Food and Drug Administration)
ha suddiviso i farmaci antiretrovirali in tre categorie:
Inibitori nucleosidici della transcrittasi inversa (NRTI)
Per i primi 10 anni dalla scoperta dell’AIDS, questa classe di farmaci è stata la più usata in terapia.
Vengono detti nucleosidici in virtù della loro somiglianza strutturale con i nucleosidi trifosfati. Questi
farmaci bloccano la transcrittasi inversa sostituendosi alle basi naturali nel processo di sintesi di
DNA della retrotrascrizione e venendo quindi incorporati nel genoma virale arrestandone la
replicazione.
Inibitori non nucleosidici della transcrittasi inversa (NNRTI)
Individuati e caratterizzati negli ultimi anni, questi nuovi inibitori della transcrittasi inversa vengono
detti non-nucleosidici in quanto non imitano i nucleotidi naturali. Il meccanismo con cui riescono a
bloccare la transcrittasi è di tipo allosterico. La struttura cristallografica dei complessi RT-NNRTI ha
mostrato che inibitori strutturalmente molto differenti quali Nevirapina e HEPT, si legano allo stesso
sito: una tasca fortemente idrofobica adiacente al sito catalitico, ma strutturalmente distinta da esso.
Il confronto delle strutture dell’apoenzima e dell’enzima legato agli inibitori, ha evidenziato che
questa tasca non è presente nell’enzima libero, ma si forma a seguito dell’interazione tra enzima e
inibitore. Questo riarrangiamento comporta uno spostamento significativo di alcuni elementi
strutturali inclusi alcuni residui catalitici. Questo riposizionamento del sito attivo della RT sta alla base
del meccanismo d’azione degli NNRTI, i quali inducono una conformazione dell’enzima fortemente
sfavorita dal punto di vista catalitico, senza alterarne la capacità di legame ai substrati DNA/RNA e
nucleotidi.
L’ente americano FDA (Food and Drug Administration)
ha suddiviso i farmaci antiretrovirali in tre categorie:
Inibitori della proteasi (PI)
I farmaci anti-proteasi sono stati disegnati in modo tale da interagire stericamente con
il sito attivo dell’enzima, situato all’interfaccia delle due subunità identiche e arrangiate
in modo altamente simmetrico. Non a caso tutti questi inibitori hanno in comune una
elevata idrofobicità, necessaria per l’interazione con il sito catalitico.
Dal momento che l’azione enzimatica della proteasi si esplica attraverso il
processamento dei precursori della RT, della INTEGRASI e della proteina GAG, e che solo
le forme processate di queste proteine possono venire utilizzate per la costruzione di
particelle virali infettanti, ne consegue che l’inibizione della proteasi risulta
invariabilmente nella produzione di particelle virali immature e non infettanti.
Azioni dei farmaci antiretrovirali
LIMITI: possono tenere sottocontrollo l’HIV ma non eliminarlo del
tutto!
Nuove Prospettive Terapeutiche
ostacoli per il vaccino
Variabilità
Non ben definita ancora quale l’immunità
protettiva
Latenza
Trasmissione
Mancanza di modello sperimentale animale
adeguato
Big company non interessate
Ostacoli per il vaccino
Variazioni di sequenza
L’ampia variazione di sequenza negli HIV isolati rappresenta un forte ostacolo
per lo sviluppo di un vaccino. La variabilità dell’HIV dipende sia da mutazioni
introdotte per errore dalla trascrittasi inversa che dalla ricombinazione tra
differenti componenti virali. Anche la rapida replicazione di HIV-1 in vivo, che
produce più di 1000 nuovi virioni al giorno, facilita la generazione di nuove
variazioni di sequenza.
In base all’analisi filogenetica delle sequenze nucleotidiche e aminoacidiche di
HIV-1, sono stati identificati 3 gruppi di HIV-1: gruppo M (maggiore, con 9
sottotipi), gruppo O (outlier o solitario) e gruppo N.
la variazione nelle sequenze aminoacidiche dell’envelope tra i diversi gruppi
può raggiungere il 30%.
Siccome una proporzione significativa di anticorpi neutralizzanti l’HIV e di CTL
sono specifici per il tipo di HIV, gli studi si sono concentrati nella ricerca di
risposte immuni reattive più generiche e nell’utilizzo di vaccini multivalenti
per l’AIDS.
Ostacoli per il vaccino
Immunità protettiva? Disponiamo di poche
informazioni sul tipo di risposta immunitaria che
protegge dall’infezione da HIV.
Nonostante gli intensi studi, non ci sono informazioni
definitive sul tipo di immunità protettiva.
Conseguentemente la maggior parte degli studiosi
crede che un vaccino per l’AIDS soddisfacente
dovrebbe essere in grado di indurre sia una CTL HIVspecifica che una risposta anticorpale neutralizzante.
Ostacoli per il vaccino
Latenza
L’HIV si integra nel genoma dell’ospite dove può
rimanere in una forma latente che non esprime
proteine virali strutturali ed è quindi meno probabile
che venga eliminato dalle cellule dell’ospite e dalla
risposta umorale.
Sebbene virus attivamente replicanti e particelle
virali difettose siano in maggioranza nelle persone
infette, una piccola percentuale (<1%) di cellule
infettate sono latenti e possono essere riattivate,
anche dopo una prolungata soppressione attraverso
una potente terapia antiretrovirale.
Ostacoli per il vaccino
Trasmissione.
HIV-1 è trasmesso prevalentemente attraverso
le vie mucosali, ed ancora le nostre
conoscenze sugli eventi che si verificano
durante le infezioni mucosali e sulle risposte
immuni responsabili nella difesa contro queste
sono piuttosto limitate.
Caratteristiche ideali di un vaccino per l’AIDS
Efficacia nel prevenire la trasmissione attraverso le vie mucosali
e parenterali
Un profilo di sicurezza eccellente, con minimi rischi di reazioni
avverse per tutta la popolazione
Una somministrazione singola
Una protezione di lunga durata
Bassi costi, permettendo la diffusione del vaccino anche nei
paesi in via di sviluppo
Stabilità e facilità nella somministrazione, facilitando campagne
di immunizzazione di massa nei paesi in via di sviluppo con
necessità infrastrutture minime
Capacità di indurre protezione verso tutti i tipi di virus isolati,
senza la necessità di più vaccini specifici.
Tipi di vaccino
•
vaccini a subunità ricombinanti
vaccini vivi ricombinanti (Poxviruses ,
Adenoviruses, Poliovirus, Salmonella,
Mycobacteria, altri vettori virali)
HIV-1 intero inattivato
pseudovirioni o particelle virus-like
vaccini basati su peptidi
Vaccino vivo attenuato HIV
vaccini a DNA
Vaccini a subunità ricombinanti
Gli sforzi iniziali per stimolare una risposta immune
nei pazienti HIV-1 sieronegativi si sono concentrati
sulle
glicoproteine
dell’envelope.
Proteine
immunogene ricombinanti (vaccini a subunità) sono
state ottenute sia dalla gp120 che dalla gp160. Un
importante vantaggio di questi vaccini è la loro
sicurezza; ad ogni modo, ci sono molte limitazioni al
loro impiego. L’antigenicità delle subunità proteiche è
influenzata sia dalla loro conformazione che dal tipo
di cellule usato per la loro produzione.
Vaccini vivi ricombinanti
I vaccini ricombinanti vivi mimano la presentazione antigenica
che si realizza durante un’infezione naturale e questo
presenterebbe vantaggi che includono la presentazione degli
antigeni nella loro forma naturale (con la corretta
conformazione,
glicosilazioe,
oligomerizzazione),
una
prolungata risposta anticorpale (che potrebbe aumentare la
longevità del sistema immunitario), e la capacità di indurre una
risposta CD8 citotossica.
Potenziali svantaggi dei vettori vivi ricombinanti includono la
capacità di causare malattia nei vaccinati, specialmente in ospiti
immunocompromessi, e la possibilità che la risposta immune
verso i vettori possa rendere il vaccino inefficace, come è stato
dimostrato in soggetti a cui è stato iniettato un vaccino basato
sul virus vaccinia che erano precedentemente stati immunizzati
con il vaccinia.
Pox virus
Molti membri della famiglia poxvirus, come vaccinia e
canarypox, sono stati ampiamente candidati come
vaccini per l’AIDS, in parte grazie alla loro capacità di
ospitare grandi segmenti di DNA estraneo.
A causa dei problemi riguardanti la sicurezza di
vaccinia, che può determinare gravi malattie in
individui con eczema o con sistema immunitario
compromesso, studi recenti si sono concentrati su
forme fortemente attenuate di vaccinia e di
canarypox.
Adenovirus
Vaccini adenovirus ricombinanti hanno il
vantaggio di indurre un’immunità sia
mucosale
che
sistemica
dopo
la
somministrazione orale; nonostante questo la
diffusa immunità esistente nei confronti degli
adenovirus ne riduce l’efficacia.
Salmonella
Forme attenuate di Salmonella typhimurium sono
state utilizzate per esprimere antigeni estranei e
hanno risposte influenzali citotossiche nei topi.
Forme attenuate di Salmonella (CVD 908 vaccine
strain, o aroA mutant strain) hanno anche stimolato
una risposta CTL salmonella-specifica nell’uomo.
Salmonelle ricombinanti esprimenti gp120 erano in
grado di indurre la risposta anticorpale nei topi ma
non quella CTL.
Poliovirus
Vaccini vivi con poliovirus attenuato hanno la
capacità di indurre risposte immunitarie mucosali e
sistemiche. Un approccio recente consiste nel
sostituire il gene per il capside del polio con il gene
gag dell’HIV con il risultato di rilasciare proteine HIV1 gag capaci di formare particelle virus-like.
Esperimenti iniziali hanno dimostrato che i vettori di
poliovirus ricombinanti possono indurre risposta
mucosale umorale in topi e scimmie.
Altri vettori vivi
Altri vettori vivi che esprimano antigeni di HIV
che sono in studio includono il virus
dell’influenza, virus Semliki Forest virus, e
Listeria.
Intero inattivato HIV-1
La formula del virus intero inattivato è usata per
esempio nel vaccino della polio (Salk vaccine) o
dell’influenza. In ogni caso, i potenziali rischi che si
sono associati alla incompleta inattivazione del virus
stock hanno fatto sorgere dubbi sull’impiego di
questo approccio per l’HIV. Inoltre I metodi di
inattivazione possono distruggere le strutture e
neutralizzare gli epitopi. Un vaccino intero inattivato
(privo dell’envelope) di HIV-1 è attualmente in fase III
di sperimentazione in individui infetti con HIV-1 e ci
sono prove del fatto che riesca a aumentare la
risposta dei T helper.
Pseudovirioni e Particelle Virus-Like
Gli pseudovirioni sono virus replicazioneincompetenti
prodotti in cellule di
mammifero che contengono tutte le proteine
virali necessarie all’assemblaggio del virione
ma non contengono il genoma virale a RNA;
perciò non sono infettivi.
Vaccini che usano HIV vivo attenuato
Storicamente, questo tipo di vaccino è quello
in grado di stimolare la più completa e
duratura risposta immunitaria. Il problema è
che un virus inattivato, che potrebbe sempre
ricominciare a replicarsi, causa ovvi problemi
di sicurezza. In modelli di infezioni da HIV in
primati la vaccinazione con forme attenuate
SIV con il gene nef difettivo risulta l’approccio
più efficace ad oggi.
Vaccini a DNA
I recenti successi dei vaccini a DNA che codificano
per epitopi influenzali ha fatto sperare che costrutti
simili per l’HIV potessero generare una lunga e
specifica risposta immunitaria umorale e cellulomediata. Il tentativo di generare CTL verso un
epitopo dell’envelope di HIV con un vaccino a DNA
ha avuto successo in un modello murino. Più di
recente l’induzione di una risposta sia umorale che
cellulare, così come mucosale è stata ottenuta nei
primati.
Trials per i vaccini
Ricerche di laboratori e su animali
Clinical trials su popolazioni umane: tre fasi
OK
FASE 1
N minore di 100
Volontari sani, basso rischio
Sicurezza
Dosaggio ottimale
Capacità di immunizzazione
.
OK
FASE 2
FASE 3
N maggiore di 100
N = Migliaia
Volontari sani
Volontari sani ad alto rischio
Riconfermare sicurezza
Efficacia protettiva del vaccino
Ridefinizione dosaggio ottimale
Uso di placebo per controllo
Verifica capacita immunizzazione
LICENZA
78
• Negli ultimi 15 anni sono stati messi a punto numerosi
vaccini per HIV ma sono stati abbandonati in fase 2 per
mancanza di efficacia.
• Luglio 2005: è stata completata la fase 3 di due vaccini di
prima generazione (rgp120)
MANCANZA DI
EFFICACIA
• Questi trials hanno dimostrato la necessità di condurre
studi e trials sia nei Paesi industrializzati che nei Paesi in
via di sviluppo.