HIV E AIDS SINDROME DA IMMUNODEFICIENZA ACQUISITA La sindrome fu descritta • nel 1981 in omosessuali maschi (relazioni con molteplici partner) Focolai di polmonite mortale da Pneumocystis carinii associata a segni evidenti di compromissione del sistema immunitario Sospetto: Immunodeficienza acquisita dovuta ad un agente infettante a trasmissione sessuale • fine 1981 casi di tossicodipendenti eterosessuali (droghe per via endovenosa) • 1982 primi casi in emofilici (trasfusioni del fattore VIII° umano) • 1983 isolamento del HIV indipendentemente in Francia e negli USA (premio Nobel Montagnier 2008) TRASMISSIONE 1.Trasmissione sessuale (rapporti eterosessuali, omosessuali, orali, ecc) 2.Trasmissione attraverso sangue o emoderivati 3.Trasmissione materna al feto Benchè il virus possa essere identificato, se non isolato, praticamente da ogni liquido corporeo, non esistono prove che l’infezione si possa trasmettere per mezzo di lacrime, sudore, saliva e urine. • Idonea via di trasmissione • Adeguata quantità di virus (carica virale) Una quantità di virus (carica virale) sufficiente a trasmettere l'infezione si può ritrovare solo in determinati liquidi biologici, quali sangue, liquido seminale, secreto vaginale e, in percentuale inferiore, nel latte materno Trasmissione sessuale Rappresenta la modalità di contagio prevalente nel mondo. Fattori che influenzano la possibilità di trasmissione per via sessuale: • fattori comportamentali: (uso del profilatto, numero di partners diversi, rapporti con persone a alto rischio, tipo di rapporto) • concomitante presenza di malattie a trasmissione sessuale • fattori legati al singolo individuo (infettività, resistenza all’infezione) • fattori legati al virus: carica virale, genotipo Trasmissione con il sangue • Tramite trasfusione di sangue infetto • Oggi obbligatorio screening dei donatori • Possibile falso negativo nel periodo finestra (1 caso ogni 1.200.000 trasfusioni). Trasmissione parenterale • La via parenterale è il modo più facile che ha il virus per poter essere trasmesso da un individuo all'altro; • L'efficienza della trasmissione parenterale può infatti arrivare fino al 90% • Ciò è dovuto al fatto che il virus, arrivando direttamente nel torrente circolatorio, trova subito moltissime cellule bersaglio, rappresentate essenzialmente dalle cellule mononucleate (linfociti e monociti) • fattori di rischio: tossicodipendenza, tatuaggi e body piercing (sterilizzazione aghi!) Trasmissione verticale L'HIV può essere trasmesso dalla madre al figlio. Questo può avvenire essenzialmente tramite tre modalità: durante la gravidanza attraverso la placenta (20-40%); durante il parto (40-70%); tramite l'allattamento (15-20%). Complessivamente il rischio che il neonato resti contagiato è di circa il 15-25%, ma questa percentuale è stata notevolmente ridotta (fino a meno del 5%) con l'utilizzo di profilassi farmacologica durante la gravidanza e dopo il parto. Esposizione accidentale L'HIV è un virus poco resistente all'ambiente esterno, anche se in condizioni favorevoli può sopravvivere anche per due o tre giorni. L'essiccamento provoca una riduzione della carica virale di oltre il 90% in poche ore. In caso di ferita accidentale con materiale contaminato, perchè avvenga effettivamente il contagio sono importanti vari fattori: • Carica virale nel sangue residuo; • Tipo di strumento con il quale avviene la contaminazione (per esempio una puntura con un ago cavo è più pericolosa della lesione con un ago pieno, in quanto il residuo di sangue è maggiore nel primo caso); • Durata del contatto e profondità della lesione; • Lesioni preesistenti dell'operatore e suo stato immunitario. Complessivamente, dopo una esposizione accidentale con sangue contaminato il rischio di contrarre l'infezione è di circa lo 0,2-0,3%. Trasmissione occupazionale dell’HIV operatori sanitari e personale di laboratorio DECRETO MINISTERIALE 28 SETTEMBRE 1990 (in Gazzetta Ufficiale 8 ottobre 1990 n. 235) Norme di protezione dal contagio professionale da HIV nelle strutture sanitarie ed assistenziali pubbliche e private Articolo 1 Precauzioni di carattere generale Articolo 2 Eliminazione di aghi e di altri oggetti taglienti Articolo 3 Precauzioni per i reparti di malattie infettive Articolo 4 Norme per gli operatori odontoiatrici Articolo 5 Precauzioni per gli operatori addetti alle autopsie Articolo 6 Precauzioni specifiche per i laboratori Articolo 7 Precauzioni per il personale addetto alle operazioni di primo soccorso e trasporto degli infermi e degli infortunati Articolo 8 Obblighi degli organi preposti Articolo 9 Obblighi degli operatori Articolo 10 Raccomandazioni ed indicazioni tecniche RESISTENZA DELL’HIV Hiv non si trasmette attraverso veicoli non acuminati anche se sporchi da sangue infetto (es. superfici, maniglie) Hiv è poco resistente: non resiste ad essiccamento, ai raggi ultravioletti del sole, all’alcol e alla varichina. Esposto all’aria aperta muore in 20-30 minuti e viene disattivato in 30 minuti dal riscaldamento a 56°C. Hiv non è trasmissibile attraverso vettori (es. punture di zanzara) EPIDEMIOLOGIA Adulti e bambini che vivono con HIV nel 2007 Total: 33.2 (30.6 – 36.1) million Stima del numero di nuove infezioni da HIV in adulti e bambini nel 2007 Total: 2.5 (1.8-4.1) million HIV/AIDS in ITALIA 150.000 sieropositivi Prevalenza negli adulti 0.4% Adulti sieropositivi:150.000 Donne HIV+: 41.000 Morti per AIDS: 1.900 Conclusioni generali dell’analisi condotta nel 2008 (1) 1) La percentuale globale di adulti sieropositivi è diminuita dal 2000 2) Nel 2007 l’HIV ha causato 2.7 milioni di nuove infezioni e 2 milioni di morti 3) Il tasso di nuove infezioni da HIV è diminuito in diverse regioni ma, globalmente, il trend positivo è parzialmente compromesso dall’incremento di nuove infezioni in altri paesi. 4) In 14 dei 17 paesi Africani, per i quali si dispone di dati sufficienti, la percentuale di giovani donne incinta (15-24 anni) affette da HIV è diminuita dal 2000-2001. 5) Grazie alla maggiore accessibilità ai trattamenti il numero di morti per AIDS è diminuito negli ultimi 10 anni. Conclusioni generali dell’analisi condotta nel 2008 (2) 1) L’Africa Sub-sahariana rimane la regione più pesantemente colpita dall’HIV, rendendo conto del 67% di tutte le infezioni e del 75% di tutte le morti per AIDS nel 2007. Nonostante questo, alcuni dei più importanti incrementi di nuove infezioni si stanno verificando in altri paesi molto popolati come l’Indonesia, la Federazione Russa e in vari paesi dal reddito elevato. 2) Globalmente la percentuale di donne, tra tutte le persone sieropositive, è rimasta costante (50%) per diversi anni, sebbene la quota di infezioni femminili stia aumentando in parecchie regioni. 3) In virtualmente tutte le regioni fuori dall’Africa Sub-sahariana l’HIV colpisce in modo sproporzionato chi fa uso di droghe, uomini con rapporti omosessuali e chi si prostituisce. Infezione da HIV Aspetti clinici Sindrome da immunodeficienza acquisita Patogenesi Cellule prevalentemente colpite: linfociti T adiuvanti (CD4+) e altre cellule che esprimono il recettore CD4 (monociti, macrofagi, cellule gliali, cellule dendritiche). Progressiva riduzione dei linfociti T adiuvanti con conseguente immunodeficienza. Interessamento del sistema nervoso e di altri organi e apparati. • Il virus HIV è stato identificato nel 1983, appartiene alla famiglia dei Retrovirus, genere Lentivirus • Ne sono stati identificati 2 sierotipi. Il sierotipo 1 (HIV-1) è il principale responsabile dell'epidemia a livello mondiale, mentre il sierotipo 2 (HIV-2) ha una diffusione più circoscritta e limitata a Africa Occidentale, Caraibi e America meridionale. • Il virus misura 90-100 nm ed è costituito da un involucro esterno (envelope) lipoproteico e da una parte centrale (core). •A livello dell’envelope sono presenti alcune glicoproteine che hanno diverse funzioni (gp41 di fusione e gp120 di fusione) tra cui quella di permettere il legame con lo specifico recettore (CD4) della cellula ospite. • Il core contiene: l’acido nucleico (2 coppie di RNA a singola elica) ed alcuni enzimi (trascrittasi inversa, integrasi, proteasi) che sono necessari alla replicazione del virus. HIV/CD4 Cell Interaction Fotografia al microscopio elettronico di un linfocita CD4, il bersaglio principale del virus HIV, al quale sono attaccati molti virioni colorati di blu. L’attacco si realizza per interazione della glicoproteina gp120 del virus con il recettore CD4 espresso sulla cellula bersaglio. Cellule CD4+ – Linfociti T helper – Monociti/macrofagi – Microglia – Cellule di Langehrans – Cellule di Kuppfer – Cellule dendritiche REPLICAZIONE DEL VIRUS 1. INGRESSO 2. RETROTRASCRIZIONE 3. INTEGRAZIONE E TRASCRIZIONE 4. INCAPSIDAZIONE 5. RILASCIO PER GEMMAZIONE • E’ oggi noto che per l’ingresso del virus nella cellula non è sufficiente l’interazione gp120/CD4 ma è necessario il contatto con altre molecole (co-recettori) presenti sulla superficie della cellula CD4+ • Questi co-recettori sono recettori per chemochine: CXCR4 e CCR5. Probabilmente il loro contatto con la gp120 smaschera la gp41, necessaria per l’attacco della membrana dell’HIV alla cellula e la transfezione (passaggio del materiale nucleico e enzimi necessari per la replicazione) della cellula. • I virioni che utilizzano CXCR4 sono linfotropi • I virioni che utilizzano CCR5 sono monocitotropi • In vitro le molecole che fisiologicamente si legano a questi corecettori (Stromal-Derived Factor-1, RANTES, MIP-1a e -1b) impediscono l’ingresso di HIV nella cellula. • Soggetti con mutazioni dei co-recettori possono essere naturalmente resistenti all’infezione. INGRESSO DEL VIRUS Ciclo biologico di HIV GLICOPROTEINE DI SUPERFICIE gp120 gp 41 Transcriptasi inversa INTEGRASI RNA RT PROTEASI Proteasi Integrasi RNA TAPPE DEL CICLO REPLICATIVO Legame gp120 virale - recettore CD4 del linfocita T e corecettore CCR5 (difetto genetico di CCR5 conferisce resistenza all’infezione) Penetrazione, denudamento e ingresso del genoma virale nel nucleo della cellula ospite Trascrizione inversa: RNA – DNA (transcriptasi inversa) Integrazione nel DNA dell’ospite (integrasi) Trascrizione del DNA del provirus a mRNA (DNA polimerasi della cellula ospite) Passaggio nel citoplasma e sintesi di proteine virali (ribosomi della cellula ospite) Intervento della proteasi virale proteine (virali) funzionanti Assemblaggio e Gemmazione Effetti dell’infezione da HIV sul sistema immunitario L’HIV sfugge al controllo del sistema immunitario mutando continuamente In particolare dà origine a "mutanti invisibili", ossia varianti capaci di eludere in una certa misura il riconoscimento immunitario. In questa sequenza schematica, una popolazione virale che reca un solo epitopo riconoscibile (in verde in 1 e 2) subisce mutazioni ripetute in quell' epitopo (3-5). Il sistema immunitario rappresentato qui da linfociti B che producono anticorpi - può mantenere il passo di queste variazioni per un certo tempo, ma la comparsa di eccessive varianti virali evidentemente vanifica la capacità dell'organismo di far fronte al virus. FASI PRINCIPALI DELL’INFEZIONE DA HIV 1. Infezione primaria: può essere asintomatica o più frequentemente dare una sindrome retrovirale acuta (febbre, faringite, ingrossamento linfonodi, eruzioni cutanee, cefalee). Compare dopo 3-6 settimane dall’infezione. Accompagnata da alta viremia. 2. Latenza clinica: fase asintomatica che può durare diversi anni nella quale si ha comparsa di anticorpi anti-HIV (sieropositività) e progressivo calo del numero di linfociti CD4 positivi. Il soggetto è infetto e infettante. 3. Stadi LAS (Lymphoadenopatic Syndrome) e ARC (AIDS-Related Complex): i linfociti scendono al di sotto della soglia critica di 500 cell/mm3 e compaiono i primi sintomi (linfoadenopatia generalizzata persistente, calo ponderale, diarrea e astenia, anemia. In questa fase sono frequenti infezioni multidermatomeriche (varicella-zoster), infezioni da candida, herpes labiale e genitale. 4. Fase di AIDS conclamata: numero CD4 <200 cell/mm3, alta viremia. Quadro clinico grave con infezioni opportunistiche che evolvono con inconsueta gravità accompagnate spesso da insorgenza neoplasie (sarcoma Kaposi, linfoma primitivo del SNC). Storia naturale dell’infezione da HIV INFEZIONE ASINTOMATICA: fase di latenza clinica Fase caratterizzata dall’assenza di sintomi o segni clinici. Il numero di CD4 è >500 cell/mm3. Una serie di esami di laboratorio possono risultare alterati (anemia, neutropenia, trombocitopenia e test sulla funzionalità epatica alterati). Il numero di CD4 generalmente scende di circa 40-80 cell/mm3 per anno negli individui non trattati. Sebbene questa fase sia chiamata asintomatica, la replicazione del virus continua costantemente e il sistema immunitario si indebolisce lentamente. L’HIV può essere trasmesso anche in questa fase. La figura sottostante rappresenta il numero di cellule infette durante la fase di latenza clinica della sindrome da HIV. 10 miliardi di virus vengono prodotti ogni giorno e il sistema immunitario perde la sua integrità. Storia naturale dell’infezione da HIV Storia naturale dell’infezione da HIV Relazione tra carica virale e sviluppo di AIDS Forte relazione predittiva tra la carica virale e la probabilità di sviluppare l’AIDS Studio prospettico dell’andamento clinico a lungo termine di pazienti HIV positivi seguiti per più di 10 anni. Entro cinque anni dall’infezione il 62% dei pazienti con livelli virali plasmatici nel più alto quartile hanno sviluppato AIDS, contro l’8% dei pazienti nel quartile più basso. Questi dati hanno permesso di stabilire come la carica virale sia altamente predittiva della progressione della patologia indipendentemente dal numero di CD4. MANIFESTAZIONI CLINICHE • Periodo di latenza tra il contagio e la comparsa delle manifestazioni cliniche della malattia conclamata: può avere una durata molto lunga (fino a 15 anni) ed essere completamente asintomatico. • Entro 6-8 mesi dal contagio compaiono anticorpi rivolti contro il virus (sieropositività). MANIFESTAZIONI CLINICHE Durante il periodo di latenza possono comparire alcuni quadri clinici: • Infezione acuta (febbre, diarrea, linfoadenopatia): compare da 3 a 6 settimane dopo il contagio ed ha la durata massima di 2 settimane; • Linfoadenopatia generalized generalizzata persistente (persistent lymphadenopathy, PGL): tumefazioni linfoghiandolari diffuse persistenti; • Complesso correlato all’AIDS (AIDS related complex, ARC) (malattia costituzionale): febbre, diarrea, PGL, riduzione dei linfociti CD4+, anemia, leucopenia (linfopenia), piastrinopenia. MANIFESTAZIONI CLINICHE Principali manifestazioni della malattia conclamata: • infezioni secondarie: - da virus (corioretinite da Citomegalovirus), da batteri (micobatteri tubercolari e non tubercolari), da miceti (candidosi orale ed esofagea, polmonite da Pneumocystis, meningite da Cryptococcus neoformans), - da protozoi (toxoplasmosi cerebrale, enterite da Cryptosporidium) MANIFESTAZIONI CLINICHE • Principali manifestazioni della malattia conclamata: • neoplasie: linfomi, sarcoma di Kaposi; • malattia neurologica (neuroAIDS) • cachessia (wasting syndrome). Patologie indicative di AIDS - leucoencefalopatia multifocale; encefalopatia da HIV progressiva - wasting syndrome da HIV - polmonite interstiziale linfoide - sarcoma di Kaposi - linfoma di Burkitt (o equivalente) - linfoma cerebrale primitivo - candidiosi bronchiale, tracheale o polmonare, esofagea - M. tubercolosis polmonare, disseminata o extrapolmonare - Mycobatterium di altre specie (M.avium o M.kansasii ) - infezioni batteriche ricorrenti (sespi sa Salmonella ecc..) - polmonite da Pneumocystis carinii - malattia da CMV; retinite da CMV - herpes simplex: ulcere croniche o bronchite, polmonite, esofagite - criptococcosi extrapolmonare; criptosporidiosi intestinale cronica; coccidioidomicosi disseminata; toxoplasmosi cerebrale; isosporidiosi cronica intestinale; istoplasmosi disseminata "AIDS dementia complex" si presenta come manifestazione tardiva dell’infezione da HIV, ed è caratterizzata da memoria scarsa, incapacità di concentrazione, apatia, e ritardi psicomotori; si possono verificare anche anormalità motorie locali ed alterazioni comportamentali. Solitamente i sintomi progrediscono rapidamente, ma l’analisi del liquor e gli esami radiografici rivelano alterazioni non specifiche. Esami di laboratorio e Diagnosi La diagnosi di un infezione richiede esami di laboratorio che permettono la dimostrazione diretta o indiretta del virus. Una diagnosi eziologica specifica può essere ottenuta mediante dimostrazione diretta del virus, o di antigeni virali nel campione con i seguenti metodi: ricerca di antigeni virali immunoenzimatiche (ELISA); mediante immunofluorescenza, e prove rilevamento di sequenze genomiche virali specifiche (DNA e/o RNA), mediante amplificazione genica (PCR). L’isolamento virale è stato considerato il test di riferimento, in quanto consente, teoricamente, di propagare in coltura anche un singolo virione infettivo, presente in un campione, e di espanderlo. Le cellule devono essere stimolate con un mitogeno (es. La fitoemoagglutinina), e addizzionate con IL-2; l’effetto dell’infezione virale sulla coltura cellulare viene rilevato, usualmente, mediante vari metodi: l’osservazione di un effetto citopatico (CPE); la ricerca di antigeni virali (p24); il dosaggio della trascrittasi inversa (RT). La crescita virale viene rilevata dalla comparsa della RT, circa 7-14 giorni dopo l’infezione, contemporaneamente ad un massivo effetto citopatico. Poiché, nella maggior parte di cellule in vivo, l’espressione virale è ristretta, le cellule T di individui infetti devono essere coltivate in vitro prima che risultino positive ad antigeni virali. Una antigenemia persistente si associa ad una prognosi non buona. La diagnosi precoce di infezione da HIV, in neonati da madri infette, è difficile: la presenza di anticorpi materni infatti rende i test sierologici non informativi; i test per l’antigene p24 effettuati alla nascita rivelano solo una piccola percentuale (<10%) di neonati infettati, in quanto la presenza di titoli elevati di anticorpi anti p24 mascherano l’antigene. Colture virali di sangue periferico possono dare informazioni utili su circa la metà dei neonati HIV positivi; La tecnica della PCR su campioni di sangue periferico raccolti al 1°, o al 2° mese, consentono di fare diagnosi di infezione quasi nel 100% dei casi. Trattando al calore i campioni di plasma, il test dell’antigene p24 è positivo nel 100% dei casi, con una sensibilità simile a quella della DNA PCR. Un’infezione virale induce una risposta immune diretta verso uno o più antigeni virali. Le diagnosi di un’infezione virale vengono comunemente eseguite utilizzando prove sierologiche per dimostrare la presenza di risposte anticorpali specifiche. Le metodiche per la dimostrazione di anticorpi specifici sono basate sulle classiche reazioni antigene-anticorpo; attualmente il test di maggior impiego è il dosaggio immuno-enzimatico (ELISA). Quando i test anticorpali basati sul sistema ELISA sono usati per analizzare una popolazione con una bassa percentuale di contagio da HIV: un test positivo su un siero campione deve essere confermato da una ripetizione del test, prima che il donatore del siero sia informato; nei casi dubbi o sospetti la ripetizione dell’esame conferisce attendibilità al risultato. Se la ripetizione del test è negativa, il campione deve essere testato con altro metodo. Antigeni ricombinanti, o sintetici sono utilizzati sia in ELISA, sia in altre metodiche, per ananlizzare l’immunoreattività. La specificità anticorpale può essere dimostrata con la tecnica Western blot, in cui gli anticorpi possono essere identificati per la loro reattività individuale per le proteine virali. Anticorpi più frequentemente individuati sono diretti verso p24, gp41, gp120, e gp160. È stato riportato che una minoranza di individui (sierorevertiti) risulta nuovamente negativa due mesi dopo l’esposizione al virus. Un’infezione da HIV, che non presenti una risposta anticorpale per più di 6 mesi, è molto improbabile. DIAGNOSI L’infezione da HIV in individui giovani - adulti viene abitualmente dimostrata mediante la ricerca degli anticorpi diretti verso alcuni componenti (antigeni) del virus HIV 1 e 2, tramite ELISA (Enzyme Linked Immuno Sorbent Assay) che ha una sensibilità del 99.9% e specificità 99.9%; è il metodo standard per la diagnosi e per lo screening negli adulti. Un risultato positivo del test ELISA necessita di un test di conferma WESTERN BLOT Un test ELISA negativo, dopo 6 mesi dall'ultimo evento a rischio, indica definitivamente che non è avvenuto il contagio- un test ELISA positivo, confermato successivamente da un test Western Blot positivo, indica definitivamente che è avvenuto il contagio. TERAPIA La terapia antiretrovirale ha oggi modificato in modo sostanziale la storia naturale dell’infezione da HIV anche in età pediatrica: - La mortalità è ridotta significativamente - Le infezioni batteriche ricorrenti, la polmonite da Pneumocystis carinii, l’encefalopatia progressiva, la polmonite interstiziale linfoide e le altre manifestazioni opportunistiche sono divenute oggi rare. HAART = terapia antiretrovirale altamente attiva • Dal 1996 l’uso della terapia antiretrovirale combinata con due farmaci si è diffuso in Italia ed è stata introdotta la potente terapia combinata con 3 o più farmaci nella cura dei bambini HIV-1 positivi • ciò ha coinciso con un aumento significativo della sopravvivenza de Martino M. JAMA 2000;284:190-7 Probabilità di sopravvivenza 1.00 0.75 0.50 <1990 >1995 1990-1995 0.25 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 1112 13 14 Età (anni) L’ente americano FDA (Food and Drug Administration) ha suddiviso i farmaci antiretrovirali in tre categorie: Inibitori nucleosidici della transcrittasi inversa (NRTI) Per i primi 10 anni dalla scoperta dell’AIDS, questa classe di farmaci è stata la più usata in terapia. Vengono detti nucleosidici in virtù della loro somiglianza strutturale con i nucleosidi trifosfati. Questi farmaci bloccano la transcrittasi inversa sostituendosi alle basi naturali nel processo di sintesi di DNA della retrotrascrizione e venendo quindi incorporati nel genoma virale arrestandone la replicazione. Inibitori non nucleosidici della transcrittasi inversa (NNRTI) Individuati e caratterizzati negli ultimi anni, questi nuovi inibitori della transcrittasi inversa vengono detti non-nucleosidici in quanto non imitano i nucleotidi naturali. Il meccanismo con cui riescono a bloccare la transcrittasi è di tipo allosterico. La struttura cristallografica dei complessi RT-NNRTI ha mostrato che inibitori strutturalmente molto differenti quali Nevirapina e HEPT, si legano allo stesso sito: una tasca fortemente idrofobica adiacente al sito catalitico, ma strutturalmente distinta da esso. Il confronto delle strutture dell’apoenzima e dell’enzima legato agli inibitori, ha evidenziato che questa tasca non è presente nell’enzima libero, ma si forma a seguito dell’interazione tra enzima e inibitore. Questo riarrangiamento comporta uno spostamento significativo di alcuni elementi strutturali inclusi alcuni residui catalitici. Questo riposizionamento del sito attivo della RT sta alla base del meccanismo d’azione degli NNRTI, i quali inducono una conformazione dell’enzima fortemente sfavorita dal punto di vista catalitico, senza alterarne la capacità di legame ai substrati DNA/RNA e nucleotidi. L’ente americano FDA (Food and Drug Administration) ha suddiviso i farmaci antiretrovirali in tre categorie: Inibitori della proteasi (PI) I farmaci anti-proteasi sono stati disegnati in modo tale da interagire stericamente con il sito attivo dell’enzima, situato all’interfaccia delle due subunità identiche e arrangiate in modo altamente simmetrico. Non a caso tutti questi inibitori hanno in comune una elevata idrofobicità, necessaria per l’interazione con il sito catalitico. Dal momento che l’azione enzimatica della proteasi si esplica attraverso il processamento dei precursori della RT, della INTEGRASI e della proteina GAG, e che solo le forme processate di queste proteine possono venire utilizzate per la costruzione di particelle virali infettanti, ne consegue che l’inibizione della proteasi risulta invariabilmente nella produzione di particelle virali immature e non infettanti. Azioni dei farmaci antiretrovirali LIMITI: possono tenere sottocontrollo l’HIV ma non eliminarlo del tutto! Nuove Prospettive Terapeutiche ostacoli per il vaccino Variabilità Non ben definita ancora quale l’immunità protettiva Latenza Trasmissione Mancanza di modello sperimentale animale adeguato Big company non interessate Ostacoli per il vaccino Variazioni di sequenza L’ampia variazione di sequenza negli HIV isolati rappresenta un forte ostacolo per lo sviluppo di un vaccino. La variabilità dell’HIV dipende sia da mutazioni introdotte per errore dalla trascrittasi inversa che dalla ricombinazione tra differenti componenti virali. Anche la rapida replicazione di HIV-1 in vivo, che produce più di 1000 nuovi virioni al giorno, facilita la generazione di nuove variazioni di sequenza. In base all’analisi filogenetica delle sequenze nucleotidiche e aminoacidiche di HIV-1, sono stati identificati 3 gruppi di HIV-1: gruppo M (maggiore, con 9 sottotipi), gruppo O (outlier o solitario) e gruppo N. la variazione nelle sequenze aminoacidiche dell’envelope tra i diversi gruppi può raggiungere il 30%. Siccome una proporzione significativa di anticorpi neutralizzanti l’HIV e di CTL sono specifici per il tipo di HIV, gli studi si sono concentrati nella ricerca di risposte immuni reattive più generiche e nell’utilizzo di vaccini multivalenti per l’AIDS. Ostacoli per il vaccino Immunità protettiva? Disponiamo di poche informazioni sul tipo di risposta immunitaria che protegge dall’infezione da HIV. Nonostante gli intensi studi, non ci sono informazioni definitive sul tipo di immunità protettiva. Conseguentemente la maggior parte degli studiosi crede che un vaccino per l’AIDS soddisfacente dovrebbe essere in grado di indurre sia una CTL HIVspecifica che una risposta anticorpale neutralizzante. Ostacoli per il vaccino Latenza L’HIV si integra nel genoma dell’ospite dove può rimanere in una forma latente che non esprime proteine virali strutturali ed è quindi meno probabile che venga eliminato dalle cellule dell’ospite e dalla risposta umorale. Sebbene virus attivamente replicanti e particelle virali difettose siano in maggioranza nelle persone infette, una piccola percentuale (<1%) di cellule infettate sono latenti e possono essere riattivate, anche dopo una prolungata soppressione attraverso una potente terapia antiretrovirale. Ostacoli per il vaccino Trasmissione. HIV-1 è trasmesso prevalentemente attraverso le vie mucosali, ed ancora le nostre conoscenze sugli eventi che si verificano durante le infezioni mucosali e sulle risposte immuni responsabili nella difesa contro queste sono piuttosto limitate. Caratteristiche ideali di un vaccino per l’AIDS Efficacia nel prevenire la trasmissione attraverso le vie mucosali e parenterali Un profilo di sicurezza eccellente, con minimi rischi di reazioni avverse per tutta la popolazione Una somministrazione singola Una protezione di lunga durata Bassi costi, permettendo la diffusione del vaccino anche nei paesi in via di sviluppo Stabilità e facilità nella somministrazione, facilitando campagne di immunizzazione di massa nei paesi in via di sviluppo con necessità infrastrutture minime Capacità di indurre protezione verso tutti i tipi di virus isolati, senza la necessità di più vaccini specifici. Tipi di vaccino • vaccini a subunità ricombinanti vaccini vivi ricombinanti (Poxviruses , Adenoviruses, Poliovirus, Salmonella, Mycobacteria, altri vettori virali) HIV-1 intero inattivato pseudovirioni o particelle virus-like vaccini basati su peptidi Vaccino vivo attenuato HIV vaccini a DNA Vaccini a subunità ricombinanti Gli sforzi iniziali per stimolare una risposta immune nei pazienti HIV-1 sieronegativi si sono concentrati sulle glicoproteine dell’envelope. Proteine immunogene ricombinanti (vaccini a subunità) sono state ottenute sia dalla gp120 che dalla gp160. Un importante vantaggio di questi vaccini è la loro sicurezza; ad ogni modo, ci sono molte limitazioni al loro impiego. L’antigenicità delle subunità proteiche è influenzata sia dalla loro conformazione che dal tipo di cellule usato per la loro produzione. Vaccini vivi ricombinanti I vaccini ricombinanti vivi mimano la presentazione antigenica che si realizza durante un’infezione naturale e questo presenterebbe vantaggi che includono la presentazione degli antigeni nella loro forma naturale (con la corretta conformazione, glicosilazioe, oligomerizzazione), una prolungata risposta anticorpale (che potrebbe aumentare la longevità del sistema immunitario), e la capacità di indurre una risposta CD8 citotossica. Potenziali svantaggi dei vettori vivi ricombinanti includono la capacità di causare malattia nei vaccinati, specialmente in ospiti immunocompromessi, e la possibilità che la risposta immune verso i vettori possa rendere il vaccino inefficace, come è stato dimostrato in soggetti a cui è stato iniettato un vaccino basato sul virus vaccinia che erano precedentemente stati immunizzati con il vaccinia. Pox virus Molti membri della famiglia poxvirus, come vaccinia e canarypox, sono stati ampiamente candidati come vaccini per l’AIDS, in parte grazie alla loro capacità di ospitare grandi segmenti di DNA estraneo. A causa dei problemi riguardanti la sicurezza di vaccinia, che può determinare gravi malattie in individui con eczema o con sistema immunitario compromesso, studi recenti si sono concentrati su forme fortemente attenuate di vaccinia e di canarypox. Adenovirus Vaccini adenovirus ricombinanti hanno il vantaggio di indurre un’immunità sia mucosale che sistemica dopo la somministrazione orale; nonostante questo la diffusa immunità esistente nei confronti degli adenovirus ne riduce l’efficacia. Salmonella Forme attenuate di Salmonella typhimurium sono state utilizzate per esprimere antigeni estranei e hanno risposte influenzali citotossiche nei topi. Forme attenuate di Salmonella (CVD 908 vaccine strain, o aroA mutant strain) hanno anche stimolato una risposta CTL salmonella-specifica nell’uomo. Salmonelle ricombinanti esprimenti gp120 erano in grado di indurre la risposta anticorpale nei topi ma non quella CTL. Poliovirus Vaccini vivi con poliovirus attenuato hanno la capacità di indurre risposte immunitarie mucosali e sistemiche. Un approccio recente consiste nel sostituire il gene per il capside del polio con il gene gag dell’HIV con il risultato di rilasciare proteine HIV1 gag capaci di formare particelle virus-like. Esperimenti iniziali hanno dimostrato che i vettori di poliovirus ricombinanti possono indurre risposta mucosale umorale in topi e scimmie. Altri vettori vivi Altri vettori vivi che esprimano antigeni di HIV che sono in studio includono il virus dell’influenza, virus Semliki Forest virus, e Listeria. Intero inattivato HIV-1 La formula del virus intero inattivato è usata per esempio nel vaccino della polio (Salk vaccine) o dell’influenza. In ogni caso, i potenziali rischi che si sono associati alla incompleta inattivazione del virus stock hanno fatto sorgere dubbi sull’impiego di questo approccio per l’HIV. Inoltre I metodi di inattivazione possono distruggere le strutture e neutralizzare gli epitopi. Un vaccino intero inattivato (privo dell’envelope) di HIV-1 è attualmente in fase III di sperimentazione in individui infetti con HIV-1 e ci sono prove del fatto che riesca a aumentare la risposta dei T helper. Pseudovirioni e Particelle Virus-Like Gli pseudovirioni sono virus replicazioneincompetenti prodotti in cellule di mammifero che contengono tutte le proteine virali necessarie all’assemblaggio del virione ma non contengono il genoma virale a RNA; perciò non sono infettivi. Vaccini che usano HIV vivo attenuato Storicamente, questo tipo di vaccino è quello in grado di stimolare la più completa e duratura risposta immunitaria. Il problema è che un virus inattivato, che potrebbe sempre ricominciare a replicarsi, causa ovvi problemi di sicurezza. In modelli di infezioni da HIV in primati la vaccinazione con forme attenuate SIV con il gene nef difettivo risulta l’approccio più efficace ad oggi. Vaccini a DNA I recenti successi dei vaccini a DNA che codificano per epitopi influenzali ha fatto sperare che costrutti simili per l’HIV potessero generare una lunga e specifica risposta immunitaria umorale e cellulomediata. Il tentativo di generare CTL verso un epitopo dell’envelope di HIV con un vaccino a DNA ha avuto successo in un modello murino. Più di recente l’induzione di una risposta sia umorale che cellulare, così come mucosale è stata ottenuta nei primati. Trials per i vaccini Ricerche di laboratori e su animali Clinical trials su popolazioni umane: tre fasi OK FASE 1 N minore di 100 Volontari sani, basso rischio Sicurezza Dosaggio ottimale Capacità di immunizzazione . OK FASE 2 FASE 3 N maggiore di 100 N = Migliaia Volontari sani Volontari sani ad alto rischio Riconfermare sicurezza Efficacia protettiva del vaccino Ridefinizione dosaggio ottimale Uso di placebo per controllo Verifica capacita immunizzazione LICENZA 78 • Negli ultimi 15 anni sono stati messi a punto numerosi vaccini per HIV ma sono stati abbandonati in fase 2 per mancanza di efficacia. • Luglio 2005: è stata completata la fase 3 di due vaccini di prima generazione (rgp120) MANCANZA DI EFFICACIA • Questi trials hanno dimostrato la necessità di condurre studi e trials sia nei Paesi industrializzati che nei Paesi in via di sviluppo.