INCONTRO DEL 16/12/2011 con il vescovo MARINI INTRODUZIONE DI DON NICOLA Il Vescovo è stato per tantissimi anni maestro delle celebrazioni liturgiche con il papa Giovanni Paolo II ed i primi anni del pontificato di papa Benedetto XVI. Attualmente presidente del “Pontificio Consiglio per i Congressi Eucaristici”. Questa sera gli ho chiesto se poteva parlare dell’”Ecclesia de Eucharistia” che è l’enciclica sull’Eucaristia di Giovanni Paolo II e poi più in generale della liturgia di Giovanni Paolo II essendo stato per tanti anni maestro delle celebrazioni liturgiche. MARINI Ho pensato di vedere questo rapporto tra l’enciclica “Ecclesia de Eucharistia” e le celebrazioni che ha presieduto il Papa Giovanni Paolo II sotto l’aspetto della comunione, cioè quella Chiesa della comunione di cui ci ha parlato il Concilio. Tale enciclica è stata pubblicata anche per correggere alcune esagerazioni, deviazioni che c’erano nella Chiesa. Il Papa ha presentato, in tale enciclica, quella che era la teologia della tradizione della Chiesa. Lui ha richiamato l’attenzione della Chiesa sull’Eucaristia, soprattutto negli ultimi anni, attraverso vari documenti. L’enciclica è stata pubblicata nel Giovedì Santo del 2003, poi la Lettera Apostolica “Mane nobiscum Domine” il 7 ottobre del 2004, tutta basata sull’incontro di Gesù con i discepoli di Emmaus, per l’anno dell’Eucaristia e poi c’è la lettera “Dies Domini” sulla domenica del 1998, poi ci sono da aggiungere tutte le lettere scritte ai sacerdoti al Giovedì Santo e sono tante. In particolare i papa ha insistito sulla celebrazione dell’Eucaristia quale fonte originaria per costruire la Comunione Ecclesiale. Come dice nell’”Ecclesia de Eucharistia” al n° 1: la Chiesa vive dell’Eucaristia. Questa verità non esprime solo un’esperienza quotidiana di fede, ma racchiude in sintesi il nucleo del mistero della Chiesa. Difatti al momento di congedarsi dai suoi Gesù aveva detto che sarebbe rimasto per sempre nella sua Chiesa. Il papa continua nella medesime enciclica: “ con gioia Essa, cioè la Chiesa, sperimenta in molteplici forme il continuo avverarsi della promessa -ecco io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo-. 1 Questa promessa del Signore si realizza nella comunità cristiana quando questa, ubbidiente al comando di Gesù – fate questo in memoria di me- si riunisce per celebrare i santi misteri. Dice il Papa: La Chiesa è il Corpo di Cristo. Si cammina con Cristo nella misura in cui si è in rapporto con il suo Corpo. Ha creare e fomentare questa unità, Cristo provvede con l’effusione dello Spirito Santo. Lui stesso non cessa di promuoverla attraverso la sua presenza Eucaristica. In effetti è proprio l’unico pane Eucaristico che ci rende un corpo solo. Lo afferma L’Apostolo Paolo (I Corinti 10): poiché c’è un solo pane, noi pur essendo molti siamo un corpo solo. Tutti infatti partecipiamo dell’unico pane, continua il papa, nel mistero Eucaristico Gesù edifica la Chiesa come comunione. Secondo il supremo modello evocato nella preghiera sacerdotale, “come tu Padre se i in me ed io in Te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato. Se l’Eucaristia è sorgente dell’unità ecclesiale essa ne è anche la massima manifestazione. L’Eucaristia è epifania di comunione”. Questi concetti teologici non sono troppo alti e campati in aria, ma li dobbiamo realizzare quando celebriamo. Soprattutto la domenica, dice il papa, nell’assemblea dei discepoli di Cristo, quando noi partecipiamo alla Messa domenicale, si perpetua nel tempo l’immagine della prima comunità cristiana, disegnata con intento esemplare da Luca negli Atti degni Apostoli, quando riferisce che i primi battezzati erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli Apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione fraterna e nelle preghiere. Questa realtà nella vita ecclesiale ha nell’Eucaristia, non solo una particolare intensità espressiva, ma in un certo senso il suo luogo sorgivo. Cioè l’Eucaristia è la fonte della comunione. L’Eucaristia nutre e plasma la Chiesa, poiché c’è un solo pane, vedete come ritorna sempre la I° ai Corinti, noi pur essendo molti siamo un corpo solo, infatti tutti partecipiamo dell’unico pane, per tale rapporto vitale con il Sacramento del Corpo e Sangue del Signore il mistero della Chiesa è in modo supremo annunciato, gustato e vissuto nell’Eucaristia. Vedete che dalla semplice citazione di questi testi si vede un rapporto inscindibile tra quello che è Cristo, la comunità cristiana, cioè la Chiesa, e la celebrazione della liturgia. Si tratta, però, di un rapporto non intellettuale, ma dinamico che è così forte, perché sono realtà che dipendono una dall’altra. In qualche modo si può parlare di una certa identificazione tra Cristo, la Chiesa e la liturgia. Il concetto viene comunemente espresso dal termine “comunione”. Queste realtà sono in comunione tra loro; che tuttavia va inteso come comunione che esige interdipendenza e che tende ad identificare i vari soggetti. Quando celebriamo non facciamo qualcosa che è 2 fuori dalla nostra vita, dalla nostra attività, qualche cosa, per un Dio lontano, ma c’è una identificazione. Quando noi celebriamo è il Signore Gesù che ci identifica a se. Basta pensare al corpo di Cristo, alla Chiesa sposa, corpo di Cristo, al Corpo Sacramentale del Signore. Quando si Battezza è Cristo che battezza e quando vengono lette le scritture è Cristo che parla ecc. Questo la “Sacrosanctum Concilium” al n° 7: Solo nella comunione con Cristo al centro della comunità celebrante si costruisce la comunione ecclesiale. Come dice la “Lumen Gentium” : l’Eucaristia comunione con Cristo e tra di noi. E’ il tema del prossimo congresso Eucaristico di Dublino del prossimo anno 2012. Tema scelto dalla “Lumen Gentium”, quindi da un testo del Concilio Vaticano II, perché il prossimo anno si celebrano i 50 anni dall’apertura del Concilio Vaticano II. Allora anche noi dobbiamo essere impegnati a riscoprire il grande valore di questo Concilio della Chiesa forse uno dei più grandi. La Chiesa in pace, ha potuto studiare. Al tempo del Concilio di Trento non c’erano i libri stampati come ora. Quando il Concilio di Trento ha parlato di liturgia, ha poi lasciato la cosa al Papa, il quale ha fatto portare alcuni libri dalla biblioteca vaticana. Erano tutti mano scritti, quindi se se ne fosse perso uno ci sarebbe stato un grande danno, non c’erano l’edizione dei Padri. Mentre con l’ultimo Concilio si è potuto usufruire di tutta questa ricchezza, di tutti gli studi dall’inizio della Chiesa fino ad oggi. Abbiamo potuto essere aiutati da tutti gli studi che i protestanti hanno fatto sulla parola di Dio, dal 1500 in poi. Ecco perché si tratta di un Concilio che ha radunato in se stesso tutta la tradizione della Chiesa arricchendola attraverso i mezzi della comunicazione. Dice ancora il Papa: “ c’è un influsso dell’Eucaristia alle origini stesse della Chiesa. Gli evangelisti precisano che sono stati i dodici, gli Apostoli a riunirsi con Gesù nell’ultima cena. Ed in particolare di notevole rilevanza, perché gli Apostoli furono ad un tempo il seme del nuovo Israele e l’origine della Santa gerarchia. Offrendo loro, come cibo il suo Corpo ed il suo Sangue, Cristo li coinvolgeva, misteriosamente nel sacrificio che si sarebbe consumato di li a poche ore sul Calvario. Vedete che questa ecclesiologia di comunione è inseparabile dalla celebrazione dei santi misteri ed in particolare dalla celebrazione dell’Eucaristia. Io non posso, come sacerdote, come vescovo, tollerare la situazione che si crea oggi nella Chiesa quando il “Sacramentum Unitatis” diventa motivo di contesa o di litigi nella Chiesa. Viste queste indicazioni che il Papa ci ha dato sul rapporto tra liturgia, celebrazione, Cristo; su questa comunione, su questa relazione che c’è tra queste realtà e la Chiesa, vediamo che cos’è questa ecclesiologia di comunione. 3 ECCLESIOLOGIA DI COMUNIONE E’ stato un concetto recuperato solo negli ultimi decenni dalla teologia OCCIDENTALE. Quando si parla di Eucaristia il discorso si concentra spesso sulle parole della transustanziazione. Sulla presenza reale di Cristo e sul carattere sacrificale della Messa. Se invece si aprono le Sacre Scritture, si consultano i Padri della Chiesa ed i grandi teologi della scolastica, si ottiene un’immagine assai più ampia della celebrazione. La presenza reale di Cristo nell’Eucaristia così come il carattere sacrificale della Messa appartengono, naturalmente, all’immagine della Chiesa, ma si colloca nel contesto della Chiesa riunita, per celebrare il banchetto del Signore. Tutte queste realtà sono contenute tutte dentro l’assemblea che si riunisce. La radice biblica delle ecclesiologie di comunione sta nell’ammonimento che San Paolo rivolge ai Corinti. Bisogna avere una visione larga ed ampia dell’Eucaristia. Dice San Paolo ai Corinti:”il calice della benedizione che noi benediciamo non è forse comunione con il sangue di Cristo? Ed il pane che noi spezziamo non è forse comunione con il Corpo di Cristo? Poiché vi è un solo pane, noi siamo benché molti, un solo corpo. Il termine del papa Giovanni Paolo: l’Eucaristia è sorgente della comunione Segue San Paolo: tutti infatti partecipiamo dell’unico pane. Sapete che questa argomentazione di San Paolo è stata confermata dagli scavi archeologici che si fanno oggi. Si sa che le case costruite allora a Corinto, erano sul tipo della casa romana dove vi era una parte più interna, riservata ai padroni a quelli che avevano responsabilità, e poi c’era un atrio un po’ più grande dove si raccoglieva la servitù. Allora San Paolo, in quella situazione, vede una divisione della Chiesa. Cioè alcuni prendevano il pasto nella parte riservata ai benestanti ecc, gli altri li lasciavano fuori. Allora San Paolo dice questo:” noi mangiamo un solo pane e per questo siamo un solo corpo. Se voi dividete la comunità non celebrate più l’Eucaristia del Signore. Proprio perché il rapporto tra queste due realtà è talmente stretto, questo è il discorso che San Paolo fa agli abitanti di Corinto, per cui riflettiamo anche noi sulla comunione ecclesiale quando ci nutriamo dell’unico pane. La Comunione Eucaristica, non è vista come un’unione personale con Gesù Cristo in senso individualistico, ma nel senso di Comunione Ecclesiale. E’ ben più difficile. La partecipazione al Corpo Eucaristico del Signore è il fondamento della partecipazione al Corpo Ecclesiale di Cristo. 4 Se facciamo la comunione al Corpo di Gesù Cristo è poi siamo divisi tra di noi è una contraddizione. Come diceva Sant’Agostino: tu quando vai a ricevere l’Eucaristia, il sacerdote di dice il Corpo di Cristo, tu cosa rispondi? AMEN, significa si, la stessa risposta di Maria all’Angelo. Cosa vuol dire? Che tu credi che quello è il Corpo di Cristo. Dice Sant’Agostino: non è quella una domanda ad una risposta di fede, quando tu dici Amen, dici che tu sei il Corpo di Cristo. Perché il Corpo di Cristo che ricevi, non viene per nutrire te, ma viene per trasformarti in Lui. Allora dicendo questo Amen, vuol dire che tu vuoi mettere la tua vita in una relazione dinamica con il Cristo, perché tu diventi il Corpo di Cristo. I cristiani sono questi, un’orazione di Santa Teresa dice: Cristo non ha più un Corpo se non il tuo. Cristo non ha più una voce, se non la tua. Il problema della evangelizzazione. Cristo non ha più piedi, ma sono tuoi i piedi attraverso i quali egli cammina ancora nel mondo oggi. Cristo non ha più gli occhi, ma sono tuoi. O meglio attraverso i tuoi occhi Lui può ancora guardare con compassione gli uomini e le donne del nostro tempo. Il Cristo non ha più il cuore, è tuo il cuore attraverso il quale Cristo, se tu ti commuovi, per i poveri ecc., ama ancora i poveri oggi. Vedete la funzione dell’Eucaristia. Questa posizione dei Padri, cioè di relazione del Corpo di Cristo con i nostro corpo, aveva portato alla dottrina dei tre corpi di Cristo: 1. Il corpo temporale o storico, quello che Santa Teresa Davila ci diceva non lo abbiamo più 2. Il corpo Eucaristico di Cristo, quello chiamato mistico che non significa spirituale. Secondo i Padri mistico deriva da misterium che tradotta dal latino significa Sacramentum. E’ il corpo Sacramentale di Cristo. Allora Cristo nell’Eucaristia,il suo corpo, quello dei discepoli di Emmaus, quello dell’ultima cena: questo è il mio corpo. Quindi il corpo mistico è il corpo della celebrazione 3. Il corpo ecclesiale che siamo noi, perché il Cristo non ha istituito l’Eucaristia al di fuori della comunità, ma nella comunità. Subito dopo il 1000, vi è quel famoso Berengario di Tour che era un professore del tempo e parlava di Corpo Mistico di Cristo. Allora ci fu una sollevazione di scudi contro questo maestro. Come corpo mistico? Il Corpo di Cristo, nell’Eucaristia è reale, e questo parla di Corpo Mistico. Non capivano più il termine mistico in relazione al misterio. Berengario diceva le cose che dicevano i Padri ed alloro hanno iniziato a dire il corpo reale e da li è venuta la presenza reale. La presenza reale significa che Cristo è realmente presente, ma la stessa cosa la dicevano i padri, quando parlavano di corpo mistico, il corpo nel Sacramento. Allora il corpo mistico hanno iniziato ad applicarlo 5 alla Chiesa. Allora si intromise “vero Corpo di Cristo”, l’appellativo di corpo mistico poteva, così, essere attribuito liberamente alla Chiesa. Tale patrimonio non è andato perso nel tempo, anche nel secondo millennio San Tommaso D’Aquino diceva: Gesù Cristo non ha istituito l’Eucaristia, per essere presente, né per unirci a Lui. Questa è solo una realtà intermedia, mentre la vera finalità del Sacramento, il senso ultimo della ragione di essere è l’unità della Chiesa. Nei secoli moderni, dopo Berengario si è sviluppata tutta la devozione verso la presenza reale, nel 1300 è stata istituita la festa del Corpus Domini e poi soprattutto nel 1800 sono nati i Congressi Eucaristici nei quali i cattolici, attraverso l’Eucarestia prendevano possesso delle città contro questi poteri massonici del tempo. Sono serviti per risvegliare la presenza dei cattolici che erano esclusi dalla politica. Quello che ha fatto riscoprire, nei tempi moderni, questo valore della comunione è stato Henry de Lubac che per primo ha detto: “La Chiesa fa l’Eucaristia e l’Eucaristia fa la Chiesa”. Ha riproposto lo sviluppo dei Padri in un suo libro: “ Il corpus misticum” pubblicato nel 1993. Tutto questo insieme: con l’azione del rinnovamento liturgico, biblico e patristici attivi nel secolo scorso, ha preparato il terreno favorevole; per cui nel contesto del ritorno alle fonti ed alla tradizione sancita dal Vaticano II, l’ecclesiologia di comunione o Eucaristica è tornata a rifiorire. Il Concilio Vaticano II ci ha riproposto questa dimensione comunionale della Chiesa basata sull’Eucaristia, soprattutto nella “Lumen Gentium”: con il Sacramento del pane Eucaristico viene rappresentato ed effettuata l’unità dei fedeli che costituiscono un solo Corpo in Cristo. L’Eucaristia ci edifica come Chiesa, se vogliamo far parte della Chiesa, dobbiamo partecipare all’Eucaristia, perché è il Signore che ci assimila a se. Fa di noi un corpo solo. Partecipando realmente del corpo del Signore nella frazione del pane Eucaristico, è sempre la Lumen Gentium, siamo elevati alla comunione con Lui e tra di noi, perché c’è un solo pane. Vedete come torna sempre questa citazione della 1° Lettera ai Corinti di San Paolo, perché c’è un solo pane, noi tutti non formiamo che un solo corpo, partecipando noi tutti ad uno stesso pane. Così noi tutti diventiamo membri di quel corpo e siamo membri gli uni degli altri. Cibandosi del Corpo di Cristo nella Santa Comunione, i fedeli mostrano concretamente l’unità del popolo di Dio che da questa augustissimo Sacramento è adeguatamente espressa e mirabilmente effettuata. 6 Parliamo della Chiesa locale o se volete la Chiesa particolare e quando il Concilio parla di Chiesa particolare, non parla della parrocchia, ma parla sempre della diocesi, perché la presenza del vescovo è essenziale per il concetto di Chiesa. Dice la Lumen Gentium al n° 26: In ogni comunità che partecipa all’altare, sotto la Sacra presidenza del Vescovo, viene offerto il simbolo di quella carità e “unità del corpo mistico, senza la quale non può esserci salvezza”. In queste comunità, sebbene spesso piccole e povere e disperse, è presente Cristo, per virtù del quale si costituisce la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica. Infatti “la partecipazione del corpo e del sangue di Cristo altro no fa, se non che ci mutiamo in ciò che riceviamo”. Questa è la teologia che ci ha dato il Concilio sulla relazione tra Eucaristia, corpo della Chiesa e corpo di Cristo. Il Concilio non ha sviluppato una vera teologia sistematica su questo aspetto della Chiesa comunionale, ci ha lasciato questi documenti. Il documento più importante, dopo il Concilio, è il sinodo dei Vescovi del 1985 e dice questo: L’ecclesiologia di comunione è l’idea centrale fondamentale dei documenti del Concilio. Che cosa significa la complessa parole comunione? Si tratta fondamentalmente della comunione con Dio per mezzo di Gesù cristo nello Spirito Santo, questa comunione si ha nella parola di Dio e nei Sacramenti. Il Battesimo è la porta e il fondamento della comunione nella Chiesa, l’Eucaristia è la fonte ed il culmine di tutta la vita cristiana. La comunione bel Corpo Eucaristico di Cristo significa e produce cioè edifica l’intima comunione di tutti i fedeli nel Corpo di Cristo che è la Chiesa. Si dovrebbe studiare la relazione tra il Battesimo e l’Eucaristia, in quanto San Paolo dice che il Battesimo è quello che ci immette nella Chiesa, in questa comunità ecclesiale. Allora la comunione del Battesimo ci immette in una grande comunità ecclesiale, parliamo della Chiesa Universale. L’Eucaristia, invece, realizza questa comunione ecclesiale nella Chiesa locale. Quindi c’è un aspetto di Chiesa Universale nel Battesimo , c’è un aspetto di Chiesa locale nell’Eucaristia. Vi cito anche un passo di Giovanni Paolo II sulla comunione ecclesiale,: la comnonia, termine greco, è una dimensione che investe la costituzione stessa della Chiesa e riveste ogni sua espressione. Lo ha detto il papa nel 1991. Dalla confessione della fede alla testimonianza della prassi, dalla trasmissione della dottrina all’articolazione delle strutture a ragione perciò, su di essa insiste l’insegnamento del Concilio Vaticano II, facendo l’idea ispiratrice e l’asse portante dei suoi documenti. Tutti i documenti del Concilio hanno questa idea comunionale della Chiesa. 7 Si tratta di una comunione teologale e trinitaria di ogni fedele con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo che si rivela effusivamente nella comunione dei credenti tra di loro raccogliendoli in un popolo con un’essenziale dimensione visibile e sociale. La Chiesa appare, così, come l’universale comunione della carità fondata nella fede, nei Sacramenti nell’ordine gerarchico, nella quale pastori e fedeli si alimentano personalmente e comunitariamente alle sorgenti della grazia, obbedendo allo Spirito del Signore che è Spirito di verità e di amore. Nell’altro documento che abbiamo citato il papa dice: La Chiesa vive dell’Eucaristia, questa verità non esprime soltanto un’esperienza quotidiana di fede, ma racchiude in sintesi il nucleo del mistero della Chiesa. Di fronte a tutte queste citazioni noi dovremmo chiederci un po’ qual è la testimonianza che noi, come Chiesa, oggi, diamo al mondo. Siamo in un periodo di difficoltà, ci sono poche vocazioni, ma qual’è la testimonianza di questa comunione di fronte al mondo che noi diamo? Il Concilio, parlando dell’unità di tutti i cristiani, ha detto che, per essere credibili, noi dovremmo essere uniti di fronte al mondo. Anche nelle nostre comunità parrocchiali, nei quartieri di Roma, se vogliamo essere credibili, dobbiamo dare il segno di una comunità in comunione con Cristo in comunione con i fratelli. Le celebrazioni presiedute da Giovanni Paolo II momento di comunione nella Chiesa Come concretamente il Papa, durante i suoi 27 anni di pontificato ha attuato questo senso di comunione nella Chiesa. Tenendo conte che il papa, il successore di Pietro, ha come uno dei suoi scopi fondamentali proprio l’unità della Chiesa. Il ministero Pietrino è un ministero di unità. La Chiesa di Roma deve presiedere tutte le altre chiese nella carità, essere la prima nella carità e noi siamo orgogliosi di vivere a Roma, di partecipare a questa Chiesa così gloriosa che deve dare il primato nella carità. Tutto questo ci spinge a farci delle domande sulla nostra vita concreta sulla nostra esemplarità. Vediamo come Giovanni Paolo II ha attuato questa idea di comunione attraverso le sue celebrazioni. Quando è stata fatta la beatificazione del Papa si sono scritti tanti libri su di Lui, sulla relazione con la politica, la caduta dei regimi ecc. Quasi niente si è scritto sul suo “celebrare”. Il fatto che il papa quando è andato in Cile, in altri paesi, non è andato per incontrare i politici, ma per celebrare l’Eucaristia con la comunità locale. E’ andata a fare che cosa? Ha creare la comunione. 8 Ricordate le parole che ha detto il papa Benedetto, all’inizio del suo pontificato, ha parlato della rete di Pietro, “fa che questa rete non si rompa”, ha chiesto al Signore la capacità di tenere questa rete, questa Chiesa unita. E’ l’immagine che c’è nell’anello del pescatore. Quest’anello tradizionale della Chiesa di Roma che, per la prima volta, è stato consegnato al nuovo papa, un anello che nell’antichità era un po’ il sigillo, ma si è talmente trasformato che da anello è diventato poi un timbro. Ancora ai tempi di Pio IX aveva la forma di un anello grande e poi è diventato un timbro e questo anello del pescatore veniva distrutto nelle riunioni de cardinali. Anche l’ultima volta lo hanno portato, ci hanno fatto un segno sopra. Adesso è ritornato, l’anello del Papa, prima, anche dopo l’elezione a papa, portavano l’anello che avevano da cardinali. Proprio in quell’anello ci è disegnato San Pietro nello sforzo di tirare la rete e quindi il segno dell’unità è il primo scopo dell’apostolo. Per capire, dato che noi apparteniamo ad un ordine: l’ordine sacerdotale, ci sono i diaconio, i vescovi ecc., dobbiamo pensare che l’ecclesiologia messa in evidenza dal Concilio trova il suo fondamento nel Battesimo, cioè nel sacerdozio universale che è necessario per comprendere anche il sacerdozio istituito. Nella Chiesa abbiamo un unico sacerdozio. Nel 1500, quando c’è stata la rottura tra la Chiesa di Roma e le chiese riformate del nord dì Europa, i protestanti hanno iniziato a leggere la Bibbia e Lutero ha prodotto la Bibbia. E’ stato considerato uno dei padri della lingua tedesca. Hanno trovato questa parola “sacerdote” che era riservato solo a due categorie di persone: 1. a Cristo, sommo sacerdote 2. non a Pietro, non ha Paolo, non a Giacomo, ma al Popolo Santo di Dio. Popolo Sacerdotale Questa parole quindi, sacerdote, li ha un po’ sorpresi e meravigliati, naturalmente nella loro visione parziale sono andati fuori strada, perché hanno eliminato il sacerdozio ordinato ed hanno detto allora che è la comunità che è tutta sacerdotale. D’altra parte noi cattolici, eravamo nel periodo della frantumazione della Chiesa, non esisteva ancora l’America Latina, la Chiesa era ridotta a poche nazioni dell’Europa: la Spagna, una parte della Francia , perché l’altra era passata al protestantesimo, c’era l’Itali, un po’ dell’Austria, un po’ della Dalmazia, praticamente eravamo ridotti a pochi. Allora la Chiesa è ricorsa ai ripari creando una “Liturgia dell’Unità”. Unica lingua il latino, non si può usare altra lingua, così siamo tutti riconoscibili. Le rubriche sono ferree in modo che tutti facciamo allo stesso modo e siamo riconoscibili. Il popolo di Dio. I protestanti avevano scoperto il sacerdozio universale. No sottolineiamo il sacerdozio ordinato. Allora è solo il prete che dice Messa. I nostri 9 fedeli al di là delle balaustre possono fare quello che vogliono. Pio XII nel 1947, al n° 90 della “Mediator Dei” dice che i sacerdoti celebrano la Messa, i fedeli possono partecipare come credono meglio: con il Rosario meditando i misteri dolorosi, con la Via Crucis, cioè possono fare degli atti di pietà. Ma vedete il concetto di “liturgia” era determinato da questa scoperta dei protestanti. Pensate alla cappella Sistina, tre quarti sono riservati al clero, l’ultima parte ai fedeli. Proprio in questa contrapposizione. Solo con Il Concilio Vaticano II abbiamo riacquistato quella serenità che ci ha fatto riscoprire questo sacerdozio comune che ci ha fatto capire il sacerdozio ministeriale. Perché il sacerdozio ministeriale che viene esercitato da me, don Nicola, voi anche per vostra parte, si capisce solo in relazione al sacerdozio universale. Noi non avremmo ragione di essere se non per due cose: 1. Metterci al servizio del sacerdozio comune 2. “Impersona Cristi”, cioè rappresentare Cristo nella comunità Ogni volta che io entro, per celebrare al Messa, mi sento un povero mezzo, una povera persona della presenza di Cristo, pensando che entro dalla porta ed io devo rappresentare Cristo per la gente e mi prende un po’ di timore. Guardandoci dentro e vedendo che io con il mio corpo devo rappresentare il Cristo che di nuovo entra in mezzo ai suoi come è entrato in mezzo ai suoi 2000 anni fa, stiamo per celebrare il Natale, attraverso la sua nascita, il suo corpo, quando passava in mezzo alla gente beneficando tutti. E’ l’ingresso del sacerdote, la porta, per gli orientale ed anche un po’ per noi, è l’incarnazione. Difatti vicino alla porta c’è sempre l’annunciazione alla Madonna proprio, perché la porta è considerata l’incarnazione di Cristo, allora il prete che entra in Chiesa, dalla porta e va verso il calvario, verso l’altare, verso il luogo della morte, della resurrezione, poi ascoltiamo la parola di Dio ecc., ecc. Vedete che il nostro servizio sacerdotale ha questi due aspetti: 1. Una parte essere al servizio del popolo di Dio 2. Essere il segno della presenza del Signore 1. Il sacerdozio dei fedeli e quello ministeriale sono entrambi necessari. Essi non sono contrapposti, ma vanno armonizzati ed equilibrati tra di loro. Il sacerdozio dei fedeli è partecipazione al sacerdozio di Cristo ed in base ad esso tutti i battezzati hanno la possibilità ed il diritto di esercitare il culto gradito a Dio. Essi cioè sono pietre vive, per costruire l’edificio spirituale, per un sacerdozio santo per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo. Il sacerdozio dei fedeli abilita pertanto i fedeli ad esercitare il culto liturgico. Cosa significa un popolo sacerdotale? Nell’Antico Testamento c’era solo una tribù, ricordate Zaccaria quando gli toccava il turno ad andare dentro, andava all’altare ad offrire l’incenso. Tutti gli altri stavano fuori. 10 Nel Nuovo Testamento, siamo tutti sacerdoti, perché abbiamo tutti il Battesimo ed il Battesimo ci dà il dovere/diritto di esercitare il culto. Ecco perché il Concilio ci ha detto l’attiva partecipazione. Che cosa è? E’ l’esercizio di questo Sacerdozio Universale. Naturalmente la Chiesa è costituita da vari ordini e ministeri, ciascuno deve fare la sua parte, ma noi nella Chiesa non siamo degli spettatori come in una certa liturgia precedente, noi siamo degli attori, perché c’è questo sacerdozio. 2. Il sacerdozio ministeriale mediante il Sacramento dell’Ordine, configura Cristo nella sua qualità specifica di capo e pastore del suo popolo. Abbiamo già detto che il Vescovo, il sacerdote rappresenta la persona di Cristo. In questo senso non si dovrebbe mai dimenticare questa duplice prospettiva. Cioè il sacerdote rappresenta sacramentalmente il Cristo pastore, l’unico mediatore tra Dio e gli uomini. Il Cristo che raduna e conduce il suo popolo, ma rappresenta anche la Chiesa al servizio della quale egli realizza la sua azione, il servizio. Perché quando il sacerdote celebra la Messa e si rivolge al Signore usa il “noi”. Il sacerdote non è l’uomo della preghiera, intendetemi bene, tutti, ogni cristiano è l’uomo di preghiera. Il sacerdote o il diacono o il vescovo è l’uomo che deve insegnare agli altri a pregare, ma non è lui l’uomo di preghiera al di sopra di quello che sono i fedeli. Dobbiamo avere la capacità di insegnare agli altri a pregare. Ricordo questo testo di Sant’Agostino che è soprattutto diretto ai Vescovi, ma potete tenerlo presente anche voi quando dovete presiedere qualche celebrazione. Dice Sant’Agostino: “Al Vescovo è allestito un seggio più elevato, perché tocca a Lui sorvegliare, cioè custodire il popolo. Difatti Vescovo, in termine greco che in latino si dovrebbe rendere con “sorvegliante”. Uno, cioè, che dal di sopra osserva e vede tutto dall’alto. Quando si sta in un posto elevato come questo, perché nelle celebrazioni il Vescovo ha sempre un posto elevato, la cattedra, il sacerdote ha sempre il primo posto, pericoloso comincia a diventare il rendiconto. E’ un pericolo per noi di fronte a Dio. Occorre una tale disposizione che se bene collocati quassù, in virtù dell’umiltà ci sentiamo sotto i vostri piedi ed insieme preghiamo per voi”. Cioè dice Sant’Agostino, quando sei seduto in alto ricordati che è un posto pericoloso, perché il posto in cui Dio ti può giudicare, se tu quando sei lassù non ti comporti come se fossi sotto i piedi dell’assemblea, cioè a servizio degli altri. Essendoci tanti diaconi vi dico qualcosa sul servizio del diaconato. Nella preghiera di ordinazione il Vescovo riferendosi ai diaconi dice: “siano immagine del tuo Figlio che non venne per essere servito, ma per servire”. La figura del diacono, come immagine di Cristo, risale all’inizio della Chiesa. C’è un testo, inerente al diaconato, nel quale si dice all’inizio della Chiesa, che i diaconi rappresentavano il Cristo. Perché sono colore che servono, proprio perché Cristo era 11 venuto, per servire e non per essere servito. Mentre i vescovi sono paragonati agli Apostoli, perché facevano una comunione intorno al Cristo. Volevano sottolineare proprio: diacono come immagine del Cristo, di colui che serve, ne parla più volte Sant’Ignazio di Antiochia nelle sue lettere. “Tutti rispettino i diaconi come Gesù Cristo” lettera ai Trullani. “ “I diaconi svolgono il servizio di Gesù Cristo” lettera ai cristiani di Magnesia. Mentre il Vescovo ed i presbiteri manifestano nella comunità, soprattutto il Cristo pastore, il diacono è immagine del Cristo che serve. Anche se è vero che tutti gli uffici affidati al diacono possono essere sostituiti, il diacono nel suo servizio rimane sempre un’icona insostituibile. Insostituibile del Cristo che è venuto per servire e non per essere servito. L’immagine del Cristo che serve deve essere evidenziata nella celebrazione. Per questo quanto più i presbiteri imparano a non uscire dall’ambito del loro ministero che è quello di presiedere la celebrazione, tanto più potrà emergere il servizio del diacono come icona del Cristo servitore. Qui entriamo nella problematica dei vari uffici e ministeri. Ieri ho celebrato una Messa in un ospedale ed ero assistito da tre sacerdoti, ma uno portava l’acqua, l’altro il vino ecc., ma non è compito dei sacerdoti fare questo. Cioè c’è ancora questa mentalità che il sacerdote fa tutto, soprattutto quando vi è l’ambone vicino all’altare. Il prete si piazza all’altare: io sono il padrone. Noi andiamo all’inizio a baciare l’altare, per dire che è il nostro punto di arrivo poi il sacerdote, colui che presiede, si deve ritirare, perché l’altare è di tutti. Tutta la comunità deve arrivare all’altre. Quando, poi, c’è l’ambone vicino il prete diventa anche padrone dell’ambone. Quando qualcuno non arriva lui si precipita a leggere la Sacra Scrittura. Dobbiamo ancora imparare, nello stile delle nostre celebrazioni, a rispettare la comunione. Perché la comunione significa rispettare gli altri, i vari ruoli ed ognuno deve fare, nella celebrazione, il suo compito. Torniamo al papa Giovanni Paolo II. Nel maggio 1973 io ho passato alcuni giorni a Cracovia, c’era ancora la cortina di ferro, perché i Vescovi polacchi avevano invitato, in Polonia, il prefetto della Congregazione per il Culto che allora era il Cardinal Tabera, uno spagnolo ed io gli facevo da segretario. Abbiamo fatto il giro della Polonia, siamo arrivati a Cracovia. Li ho conosciuto Wojtyla come arcivescovo di Cracovia. Era la solennità di San Stanislao, quindi siamo andati a celebrare all’aperto con una grande processione che non finiva mai. Ho imparato anche le litanie che si ripetevano sempre. Arrivati abbiamo fatto la celebrazione. Un’altra volta abbiamo celebrato a Nowa Huta, questa Chiesa che il papa aveva voluto ad ogni costo. Chiesa di cemento, ricordo, con le corde, le impalcature, non era ancora finita, ma si poteva celebrare. Ho notato che quest’uomo era un uomo vicino alla gente, era quell’idea di Vescovo che ci Aveva dato il Concilio. Non solo impersonava un Vescovo che era stato al Concilio, ma la figura del Vescovo che il Concilio aveva voluto. Ricordo, dopo la celebrazione, si fermava in mezzo alla gente, quando siamo andati nel suo arcivescovato, al primo piano vi è una 12 terrazza non molto grande, dove tutti questi contadini che venivano con le loro asce, si son messi a fare un ballo ed il papa era lì sorridente, forse gli dispiaceva di non poter partecipare ballando. Ho visto un pastore vicino alla sua gente. E’ lo stesso pastore che ho rivisto a Roma quando è stato fatto Papa. Ricordate la sua prima celebrazione, dopo la Messa quando salutava la gente con il suo Pastorale e poi è andato verso la gente ed il cerimoniere, il cardinale che è morto qualche mese fa, di fronte a questo gesto inaspettato, quasi lo tirava per la veste non voleva farlo andare ed i Papa è andato lo stesso verso la gente. E’ stato l’immagine simbolo del suo pontificato, quello di servire, quello di andare incontro all’assemblea. I pellegrini che si recavano a Roma prima del Concilio, si lamentavano sempre, perché non riuscivano mai a partecipare ad una Messa del Papa, anche se erano Messe come le ho descritte prima. Prima del Concilio nel regolamento dei cerimonieri c’erano scritte tre Messe che il Papa era obbligato a celebrare, all’anno, come tradizione: La Messa di Natale La Messa di San Pietro e Paolo La Messa di Pasqua Ricordo Paolo VI che celebrava la Messa di Natale, nella Cappella Sistina, per il corpo diplomatico. Era una fase di cambiamento e difficilmente la gente riusciva a vedere i papa che celebrava, era una cosa fuori della normalità. Ha iniziato papa Giovanni, poi Paolo VI, ma soprattutto Giovanni Paolo II ha celebrato più Messe in pubblico. Nessuno dei pellegrini che venivano a Roma andava via senza aver partecipato ad una Messa del papa. Il papa, Giovanni Palo II celebrava in pubblico più Mese in una settimana che non prima in tutto l’anno. Questo è un segno, se noi lo ricolleghiamo con l’Eucaristia che fa la Chiesa. Allora dobbiamo tenere conto di questo aspetto della celebrazione. Come ha detto papa Benedetto, ai parroci di Roma, qualche anno fa, che noi dobbiamo entrare nel “noi” della liturgia. Quando andiamo a celebrare dobbiamo uscire dall’”io” ed entrare nel “noi”. Papa Giovanni Paolo in tutti i suoi viaggi e suoi spostamenti ha celebrato ed è andato a visitare migliaia di comunità i tutto il mondo ed ha celebrato la liturgia favorendo la partecipazione. Quel famoso sacerdozio universale di cui ci ha parlato il Concilio. Lui ha partecipato al Concilio e si è reso conto che la partecipazione non è un’invenzione del Concilio, ma è un diritto di ogni battezzato che abbiamo riscoperto tornando alle fonti, ai 13 primi secoli della Chiesa, all’epoca patristica. Il Concilio ci ha dato alcuni principio fondamentali, ve ne cito solo due: Il ritorno alla Sacra Scrittura: noi nella liturgia celebriamo ciò che è descritto nella Sacra Scrittura. Gli interventi fatti allora, Dio li fa per noi oggi. E quindi solo leggendo la Sacra Scrittura riusciamo a capire ciò che Dio fa per noi oggi. Solo leggendo la Sacra Scrittura, non come un libro che ci può anche, a volte far dormire, ma come un libro che ci è fatto leggere dalla Chiesa. E’ la Chiesa che ci dà l’interpretazione della Sacra Scrittura. Quando la domenica leggiamo la prima lettura, il Vangelo, allora riusciamo a capire la presenza di Cristo anche nell’Antico Testamento. Riusciamo a vedere la presenza di Cristo anche nella nostra vita e cioè ciò che viene scritto nella Scrittura si compie nella liturgia, nella nostra vita. Il secondo grande principio è stata quella dei Santi Padri. Lo aveva già detto il Concilio di Trento, ma qui è stato ribadito. Significa che la Chiesa di ogni tempo che deve adattare la propria liturgia alle condizioni del presente, deve avere come esempio, come modello, la celebrazione liturgia ai tempi dei Padri della Chiesa: di Ambrogio, di Agostino. Dobbiamo andare a veder come partecipavano alla celebrazione a quei tempi, cosa facevano, per modellare la nostra celebrazione attuale. Sono i due grandi principi che ci ha lasciato il Concilio. Vedete come dunque tutto quello che il Concilio ci ha lasciato è qualcosa di fondamentale, per la nostra vita. Giovanni Paolo II ha voluto questa partecipazione, soprattutto a voluto, ad esempio, le culture. Giovanni Paolo II ha sempre voluto le culture locali. Ha rispettato le culture che noi chiamiamo di seconda classe, di terza classe, di quarta classe. Ogni volta che vedeva la partecipazione di questi popoli nei loro costumi, nei loro movimenti, nella loro musica, il papa gioiva. Gioiva, perché vedeva l’incarnazione del Vangelo in questa gente. Aveva capito che partecipazione ed inculturazione è la stessa cosa. Quando noi leggiamo in italiano, cosa facciamo? Una inculturazione, per capire. Quando gli africani fanno i loro movimenti che fanno sempre, per esprimere la loro partecipazione è un’inculturazione, una partecipazione nel loro modo ed il Papa, questo, lo ha sempre voluto. Facendo in questo modo il Papa, ha tradotto in pratica ciò che il Concilio aveva detto del Sacerdozio Universale: sono tutti sacerdoti. Il Concilio aveva fatto la teoria, il Papa lo ha attuato nella prassi, ha creato la COMUNIONE con Roma, o meglio con il Vescovo di Roma. Tutte queste comunità, non si sono sentite più isolate, si sentivano parte, accolte nella Chiesa Universale, sentivano vicino a loro quest’uomo, questo segno dell’unità della Chiesa che cementava la loro comunione. 14 Vedete che torniamo al principio della comunionalità nella Chiesa. Allora per me, è molto importante anche tenere presente, nella figura di quest’uomo, questo aspetto: “il Papa ha dato forma alla Chiesa secondo quello che il Concilio aveva stabilito” ecco perché vi ho parlato di sacerdozio ministeriale, perché il papa si è messo a servizio, ecco perché vi ho parlato di sacerdozio Universale, perché tutti hanno il diritto di partecipare secondo le loro modalità, la loro cultura. Potrei portarvi tanti esempi di questa inculturazione che il papa ha fatto, ma per concludere, dobbiamo imparare da tutta questa attività di Giovanni Paolo II. Abbiamo parlato di liturgia come comunione. Il Concilio si è posto quattro grandi prospettive, grandi finalità: 1. Rinnovare la spiritualità della Chiesa 2. Rinnovare la organizzazione della Chiesa, cioè l’aspetto amministrativo, concreto, pratico 3. Chiamare tutto all’unità, l’Ecumenismo 4. Il dialogo con il mondo, non dobbiamo pensare che siamo i migliori e fuori di noi c’è tutto il male, no, dobbiamo dialogare, perché troviamo del bene anche negli altri. Per fare tutto questo il Concilio cosa ha detto? Cominciamo dalla liturgia. Allora noi comprendiamo, perché la liturgia è una fonte di tutto questo. E’ la fonte della comunione. Una volta mi trovavo in India, siamo andate a presentare quel documento, l’esortazione post sinudale “Ecclesia in Asia”. Il nunzio che era lì ci disse se avessimo voluto andare ad Agra, una città a duecento chilometri da Nuova Deli, dove ci sono tutti questi templi. Siamo andati. Arrivati ad Agra andiamo a mangiare, allora dissi all’autista di venire a mangiare con noi e lui mi disse che non poteva mangiare, perché era un devoto di Visnù. Siamo nel politeismo, “io devo fare la novena, per nove giorni posso bere solo latte e basta”, mi disse. Non è venuto a pranzo ed io mi sono domandato: noi che ci sentiamo superiori, il monoteismo, crediamo in Cristo. Come ci comportiamo quando c’è la quaresima, abbiamo la stessa fede di questa gente? Io parlo di prassi, perché, il recitare il Credo è molto facile, ma vivere la fede nella vita è più difficile. Il cristiano è sempre una pietra di inciampo per glia altri, perché la pensiamo in modo diverso dagli altri, siamo sempre un po’ contro corrente, difendiamo sempre i più deboli. Come ci comportiamo nella vita? Allora ho capito anche perché il Concilio ha voluto la “Gaudium et Spes”, perché Giovanni Paolo II ha voluto il dialogo con le altre religioni? Perché c’è del bene anche in queste altre 15 religioni. Io ne ho conosciute tante, ho visto tante gente buona, forse vorrei dire migliore di noi anche i queste altre religioni. Il nostro impegno, per la formazione alla liturgia, perché come da lì è partito il Concilio, così da lì dobbiamo partire nella nostra vita. Non è stato il primo documento la “Sacrosanctum Concilio”, solo perché c’erano quasi cento anni di movimento liturgico, ma perché è veramente la fonte dell’unità, della comunione nella Chiesa. Ecco perché il Papa si è messo sempre in contatto con gli ortodossi, con i protestanti. Facevamo le celebrazioni ecumeniche, perché l’ecumenismo, il pregare assieme, fa parte del comando di Cristo, al quale nessuno di noi si può tirare in dietro, non è un optional, come sembra essere diventato ora l’ecumenismo, l’ecumenismo di etichetta. Adesso siamo arrivati ai baci, agli abbracci, poi ognuno va a casa sua e tutto è come prima o peggio di prima. L’Ecumenismo è qualcosa di diverso, è la volontà del Signore che ci ha detto: “voglio che siano uno”, Allora dobbiamo cominciare da noi a convertirci un po’. Ecco perché le tante celebrazioni ecumeniche di Giovanni Paolo II. Leggo una sua frase: “La riforma liturgica voluta dal Concilio Vaticano II può considerarsi ormai posta in atto. La pastorale liturgia, invece, costituisce un impegno permanente, per attingere sempre più abbondantemente dalla ricchezza della liturgia quella forza vitale che da Cristo si diffonde alle membra del suo corpo che è la Chiesa”. Non abbiamo bisogno della riforma della riforma, abbiamo bisogno di attuare questa riforma, di capirla , di vivere questa comunione, di diventare testimoni di questo. Concludo con questo testo per i diaconi: “Il Concilio Vaticano II ci ha invitato a considerare la liturgia come sorgente del genuino spirito cristiano e fonte di santificazione. I diaconi, pertanto, per comprendere la loro identità e la loro missione nella Chiesa e nel mondo, devono partire dalla loro esperienza nella celebrazione della liturgia ed in particolare dalla liturgia della loro ordinazione e della liturgia della santa Messa. I testi e i riti di tali celebrazioni confermano che il compito fondamentale del diacono e la sua identità sono racchiuse nel suo stesso nome che significa servo. Mentre gli altri due gradi dell’ordine sacro sono soprattutto icona del Cristo pastore, il diacono è soprattutto icona del Cristo che serve. Il Vescovo ed i presbiteri hanno, infatti, il compito di mantenere l’assemblea in preghiera, di parlare a Dio in nome dell’assemblea ed all’assemblea in nome di Dio. Il diacono, invece, ha piuttosto il compito di creare le condizioni, perché i fedeli possano più facilmente partecipare alla preghiera. In questa prospettiva si comprendono, ad esempio, le varie indicazione dei diaconi che danno ai fedeli durante la celebrazione: In ginocchio, in piedi ed il loro intervento e la loro cura, per la preghiera dei fedeli. Il compito del diacono nella liturgia è essenzialmente servizio. Servizio alla comunità dei fratelli, servizio al Vescovo ed ai presbiteri, servizio al Vangelo, servizio all’altare. Il servizio del diacono trae la sua origine da Cristo presente nella celebrazione dei santi misteri: “Io sto in mezzo a voi come colui che serve. Il Figlio dell’uomo non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto, per noi”. Servire, per Cristo, significa dare la propria vita. La diaconia di Cristo si manifesta pienamente solo 16 nel mistero pasquale. Nel servizio svolto nella liturgia sta la fonte della spiritualità e della condotta di vita del diacono. Egli nella Chiesa e nel mondo è chiamato ad essere testimone privilegiato del mistero pasquale di Cristo. Egli tuttavia è testimone di un servizio senza poteri e perciò più credibile nel mondo di oggi. Più credibile al modo di oggi, ma più difficile da vivere nella interiorità personale e più difficile da esercitare nella Chiesa”. Siete chiamati a servire ed anche a soffrire. “Il servizio del diacono, legato al sacramento dell’ordine, rimane l’icona privilegiata del Cristo servo nella Chiesa”. Ho incontrato tanti diaconi ed ho visto una grande potenzialità nella Chiesa, tante gente di buon volontà e anche tanta gente preparata. Bisognerebbe che la Chiesa, i Vescovi valorizzassero di più questo ordine del diaconato. In fondo noi sacerdoti: presbiteri e vescovi, siamo separati dalla società , ma voi, avendo una famiglia, lavorando nel mondo siete quelli che potete fare da unione tra la vita reale e la vita ecclesiale, la vita della fede. AUGURI. 17