La storia dei vescovi pavesi sepolti in Cattedrale

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Informazione Religiosa
Venerdì, 24 febbraio 2012
Una nuova iniziativa del settimanale “il Ticino”,
in collaborazione con l’Ufficio Beni Culturali
della Diocesi di Pavia
La storia
dei vescovi pavesi
sepolti
in Cattedrale
Parte una nuova iniziativa
del settimanale “il Ticino”. In
collaborazione con l’Ufficio
Beni Culturali della Diocesi
di Pavia, diretto da don Siro
Cobianchi, a partire dalle
prossime settimane vi proporremo una serie di servizi
per conoscere meglio le figure dei vescovi sepolti nella
Cattedrale. Sarà un “viaggio
ideale” nella storia della Curia pavese: un percorso che
vogliamo compiere insieme
ai nostri lettori, in un anno
che ci porterà alla riapertura
definitiva del Duomo dopo
quella temporanea dello scorso Natale. Per prepararci,
tutti insieme, alla lettura di
questi servizi che ci faranno
conoscere meglio le storie e
il magistero dei vescovi che
riposano nella Cattedrale, vi
proponiamo su questo numero un’intervista a don Siro
Cobianchi ed un articolo di
don Michele Mosa.
Don Siro, per quale motivo i vescovi vengono sepolti in Cattedrale?
“La ragione è profonda. Dobbiamo ritornare alle parole di
San Pietro, il quale ci ricorda
che “noi siamo pietre vive di
un tempio spirituale”. Di
conseguenza il battezzato, e
cristiano, fa parte di questa
grande comunità e di questo
edificio spirituale, la cui pietra angolare è Cristo stesso:
e il vescovo, nella comunità,
rappresenta la stessa pietra
angolare per edificare la
Chiesa di Cristo, per gover-
narla, per santificarla, per
amarla. Il vescovo, all’interno della comunità cristiana,
è il pastore e lo sposo della
Chiesa. Ogni vescovo che il
Papa manda a Pavia, è lo
sposo della Chiesa pavese.
La Cattedrale è il simbolo di
questa comunione, formata
da pietre spirituali”.
La presenza dei vescovi
nella nostra comunità
continua, quindi, anche
dopo la loro morte.
“La chiesa pavese ha la gioia
di conoscere e conservare l’elenco, quasi completo, della
successione apostolica dei nostri vescovi: da San Siro fino
a monsignor Giovanni Giudici. Sono poche le Diocesi in
Italia che possono vantare l’identica memoria apostolica.
E’ una storia che evidenzia
la fede che Siro ci ha trasmesso per primo nella nostra terra. Il magistero di
San Siro che ci tramanda la
fede cattolica è passato attraverso il magistero dei vari
vescovi che si sono succeduti
dopo di lui. E’ un magistero
che non può essere dimenticato dopo la morte del vescovo, perché interromperebbe
la successione apostolica. La
fede degli Apostoli, attraverso Siro, giunge fino a noi. Il
vescovo ha il compito prioritario di amare la sua sposa,
nel nostro caso la Chiesa pavese, con la stessa intensità
dell’amore di Cristo: la ama
a tal punto, da dare se stesso
per lei, come ha fatto il Cri-
Neppure la morte
potrà separarli
L’immagine della bara di mons. Giovanni
Volta che lascia la chiesa del Carmine verso
il cimitero è ancora davanti ai nostri occhi:
nulla di più “reale” e nulla di più “falso”.
Nulla di più reale: l’abbiamo visto con i nostri occhi.
Nulla di più falso: la morte non rompe i vincoli che lo sposo ha stretto con la sua sposa.
Il legame “sacramentale” che ha unito per diciassette anni Giovanni Volta, mantovano,
alla Chiesa di Pavia è “indissolubile”: prenderei volentieri vie traverse per qualche riflessione sul senso “teologico” ed “esistenziale” del trasferimento dei vescovi da una sede
all’altra o sul significato dei vescovi ausiliari
sto. L’attività pastorale che
ogni vescovo realizza, non si
conclude con la sua morte
ma fa parte di un patrimonio
che viene completato nel passaggio da un magistero vescovile all’altro”.
Il Duomo di Pavia ospita
le tombe dei vescovi in
vari punti, nel pavimento:
in altre Cattedrali invece
sono riunite in un unico
lato della chiesa.
“La tradizione più antica,
che da noi è rispettata, colloca le tombe dei vescovi in diversi luoghi di una Cattedrale: in angoli scelti dalla Chiesa o dagli stessi vescovi. E’ il
caso, ad esempio, di Monsignor Allorio che nel suo testamento chiese di essere sepolto davanti alla cappella
dell’Immacolata, in quanto in
vita fu molto devoto alla Madonna. A mio avviso, il fatto
di riunire le spoglie dei ve-
o “di curia”… non è questo il luogo. Vescovo e
Chiesa: fusione perfetta. Mutatis mutandis,
mi verrebbe da riprendere un’espressione
della Lettera a Diogneto (sec. II) e parlare di
un’unica realtà: anima e corpo. Il Vescovo è
l’anima. Il corpo, la diocesi, porterà per sempre nel suo dna l’impronta dei suoi vescovi:
pensate a Siro a Epifanio, da san Lanfranco
a Ippolito de’ Rossi, da Giuseppe Bertieri al
card. Riboldi, da Carlo Allorio a …: solo per
fare qualche nome. E il segno di questa unione è la Cattedrale. In essa si svolge la sua attività di Pastore che annuncia la Parola e celebra l’Eucaristia. In essa sarà sepolto.
E qui permettetemi una breve digressione-riflessione sul significato della morte nel cristianesimo. E del cadavere.
Innanzitutto rispetto al mondo ellenistico-romano nel quale nacque e si diffuse.
Forzando, di necessità, il ragionamento pos-
scovi in un’unica aula rischia
di sminuire la testimonianza
più autentica di quella che è
stata la loro presenza. Percorrendo a piedi l’interno del
Duomo di Pavia, si incontrano le tombe dei nostri vescovi, che nella loro diversità
hanno edificato l’unica comunità cristiana. I servizi che
verranno pubblicati da “il Ticino” ci consentiranno di far
conoscere meglio la figura ed
il magistero dei pastori della
nostra Diocesi qui sepolti”.
Un “viaggio ideale” che
percorreremo poche settimane dopo la riapertura
temporanea del Duomo,
avvenuta lo scorso Natale, ed a pochi giorni di distanza dalla morte di
Monsignor Giovanni Volta, il nostro vescovo emerito che è stato temporaneamente sepolto nella
cappella dei sacerdoti a
San Giovannino ma che,
dopo la riapertura definitiva, troverà la sua doverosa collocazione in Cattedrale.
“E’ giusto che sia così, perché
la Cattedrale è il luogo dove
il vescovo esercita il suo magistero: lì si trova la catte-
siamo dire che il cadavere è “sacro”, cioè come ha spiegato Rudolf Otto è “totalmente altro”, “del tutto separato” da ciò che vive anche se degno di rispetto, a volte di venerazione. È impuro: va imbalsamato o nascosto nelle tombe. La necropoli non è solo lontana dalla città: è un’altra città.
Lo stesso vale per il mondo giudaico: la necropoli è la “casa della vita”, e non per la fede
nella finale resurrezione dei corpi quanto
perché si vuole evitare a tutti i costi di nominare la morte. Se non vi è dubbio che alcuni
riti, almeno a livello di folklore, e di superstizioni legate al mondo della morte sono passati nel cristianesimo, d’altra parte non possiamo dimenticare che i cristiani sono i discepoli
del Risorto. Così al posto delle necropoli fanno la loro comparsa i cimiteri, i “dormitori”: i
luoghi nei quali si attende il risveglio della
vita eterna. Ma la camera da letto è una
dra, segno di unità nella comunità. Il Duomo riaperto
non rappresenta soltanto un
grande monumento storicoartistico; prima di tutto è
luogo santo dove Dio, attraverso il vescovo, continua a
proclamare e ad annunciare
il Vangelo. In Cattedrale abbiamo, dal IX secolo, il corpo
di Siro venerato: attorno al
corpo santo di Siro troviamo
anche le tombe di alcuni vescovi, suoi successori, che
hanno continuato questo annuncio evangelico”.
Alessandro Repossi
([email protected])
stanza della casa: si dorme accanto a chi è
sveglio. Anzi se chi dorme è un Santo, tutti
vogliono un posto accanto a lui.
Così se le reliquiae sanctorum sono custodite
in chiesa si cerca di farsi seppellire in chiesa
o almeno lì vicino: nella Comunione dei Santi
la Gerusalemme celeste non si contrappone a
quella terrestre. E questo soprattutto dal sec.
IV. Se poi pensiamo alle Cattedrali: le chiese
che custodiscono le spoglie mortali, meglio le
reliquie del santo patrono, molto spesso il
primo vescovo della diocesi, il posto d’onore
spetta di diritto ai vescovi suoi successori.
Mons. Volta lascia la chiesa di S. Maria del
Carmine al termine del rito funebre: non
c’è dubbio. Ma non per andare al cimitero
di S. Giovannino.
Il suo posto è accanto a Siro e agli altri vescovi pavesi, in Cattedrale.
Michele Mosa
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