Aprile 2007, volume IX, numero 1
1942: Theo Obrig scrive il primo libro
sulle lenti a contatto
Luigi Lupelli
Occhio alle allergie
Renata Rosa
La buona igiene
è nelle nostre mani
Disinfezione con soluzioni
al perossido di idrogeno
* Sulley A., Compliance in contact lens wear Part 2 Improving compliance
in Optician 229/6000/2005, 42-49
Poste Italiane. Spedizione in a. p. - 70% - DC/DCI/VC nr 1- 2007
Susan J. Gromacki
Studi condotti sul comportamento degli
utilizzatori lenti a contatto mettono in
evidenza che circa il 16-50%* dei portatori
non si lava le mani prima di manipolare le
lenti, aumentando così il fattore di rischio di
contaminazione microbica.
Dobbiamo aiutare i nostri pazienti a non
sottovalutare l’importanza dell’igiene, inclusa
quella del portalenti; vedere il proprio
specialista lavarsi sempre le mani, all’inizio e
alla fine di ogni visita, rassicura il portatore e
rinforza il concetto.
sommario
aprile 2007 vol. IX, n. 1
Articoli
1942: Theo Obrig scrive il primo libro
sulle lenti a contatto
Luigi Lupelli
pag. 4
Occhio alle allergie
Renata Rosa
pag. 11
Disinfezione con soluzioni
al perossido di idrogeno
Susan J. Gromacki
pag. 24
Rubriche
Immagini di lac Fabrizio Zeri
pag. 26
Tips & tricks
Laura Boccardo
pag. 28
In libreria
Laura Boccardo
pag. 29
lenti a contatto
contact lenses
Codirettori scientifici L. Lupelli (Roma), N. Pescosolido (Roma)
Comitato scientifico L. Boccardo (Certaldo), M. Bovey (Palermo),
R. Fletcher (London), A. Fossetti (Firenze),
P. Gheller (Bologna), M. Lava (Roma), S. Lorè (Roma),
A. Madesani (Forte dei Marmi), S. Maffioletti (Bergamo),
L. Mannucci (Padova), U. Merlin (Rovigo),
M. Pastorelli (Novi Ligure), M. Rolando (Genova),
A. Rossetti (Cividale del Friuli), C. Saona (Barcelona),
L. Sorbara (Toronto), M. Zuppardo (Roma)
Ringraziamenti
Si ringraziano A.I.LAC e S.Opt.I. per la collaborazione scientifica
Comitato editoriale
A. Calossi (Certaldo), O. De Bona (Marcon),
M. Lava (Roma), C. Masci (Roma), F. Zeri (Roma)
O. De Bona
via E. Mattei, 11 - 30020 Marcon (VE)
tel. 041.5939411
e-mail: [email protected]
Nome della rivista LAC
Direttore responsabile
Marco Perini
Proprietario testata
BieBi Editrice
BieBi Editrice
di Mauro Lampo
Via Losana, 4 - 13900 Biella
Quadrimestrale, 32 pagine
Tipografia
TrueColor
via Pio X, 2/g - 28021 Borgomanero (NO)
Registrazione Tribunale
Biella, in data 6/5/99 al n. 487
Sped. gratuita
Presso la segreteria
Segreteria
Editore
Tiratura
Numeri arretrati
2007, vol. IX, n. 1
a r t i c o l o
1942: Theo Obrig scrive il primo libro
sulle lenti a contatto
Luigi Lupelli
Istituto Superiore di Stato “E. De Amicis”
Scuola di Ottica e Dipartimento di Scienze Optometriche
[email protected]
Sommario
Il primo libro sulle lenti a contatto viene alla luce
65 anni fa per opera di un ottico di New York, Theo
Obrig. L’autore, avendo avuto in dono dal Professor
Robert Fletcher di Londra, una copia della prima edizione e una copia della terza edizione di tale libro, ne
analizza i contenuti sia paragonando quelli delle due
edizioni che ponendoli in relazione con la storia degli
autori e della contattologia in generale. Nonostante
larga parte del libro sia dedicata alle lenti a contatto rigide sclerali, oggi usate in maniera marginale,
l’opera, per certi versi, appare avere ancora un forte
impatto informativo oltre che emotivo, più scontato,
per il ruolo che ha rappresentato nella storia delle lenti a contatto.
Introduzione
in dono alcuni libri di contattologia sicuramente preziosi per contenuti e per storia. L’autore
di tali doni è stato, nella maggior parte dei casi,
il mio Maestro: il professor Robert Fletcher, un
pioniere nel campo delle lenti a contatto ed un
gigante nell’educazione optometrica in generale. Il professor Fletcher per circa mezzo secolo
è stato docente e, in parte, direttore di quello
che da alcuni anni è denominato Dipartimento
di Optometria e Scienza della Visione della City
University di Londra.
La prima edizione
Come poi è confermato nel volumetto “Overseas Contact Lens Pioners” edito nel 2006 dalla British Contact Lens Association, l’edizione
del 1942 di Theo Obrig, per i tipi della Chilton
Company di Phyladelphia (Fig. 1), è certamente
il primo libro sulle lenti a contatto che sia mai
stato scritto.
È abbastanza comune avere una velata emozione accompagnata da un certo senso di rispettoso riguardo quando si entra in possesso di un
libro che tratta qualcosa che
fa parte dei nostri interessi.
Questo è quello che mi accade quando ho la fortuna
e la ventura di venire in
possesso di un nuovo libro
che tratta della scienza della visione ed in particolare
di lenti a contatto. Talvolta
accade che queste sensazioni si possano moltiplicare se questi libri hanno già
una storia vissuta o perché
rappresentano delle pietre miliari della letteratura
contattologica o anche perché appartenuti, nel tempo,
a persone che hanno trattato quel libro come qualcosa
di prezioso.
In vari momenti ho Fig. 1: Copie di “Contact Lenses”. La prima edizione del 1942, scritta da Obrig, è aperta sul
avuto il privilegio di avere frontespizio. L’altro volume, con autori Obrig e Salvatori, è la terza edizione del 1957.
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1942: Theo Obrig scrive il primo libro
sulle lenti a contatto
azienda o presso istituzioni ospitanti. Nei ringraziamenti fa riferimento soltanto a due colleghi ed
entrambi di chiare origini italiane: Philip Salvatori ed Americo Oriani. La frequentazione “italica”
di Obrig è rafforzata dalle intuibili origini della
moglie che si chiamava Delia Costello.
Il libro consta di 470 pagine suddivise in dieci
capitoli:
Fig. 2: Nota del Prof. Robert Fletcher allegata al libro al
momento della donazione. “Questa prima edizione rappresenta probabilmente il primo libro che mai sia stato scritto
sulle lenti a contatto che mi è pervenuto tramite la vedova
del mio collega John Spooner. Vi sono delle differenze significative con la terza edizione in particolare per la parte che
riguarda i brevetti! Bob Fletcher.”
Cap I: Dati anatomici
Cap II: Dati biochimici e fisiologici
Cap III: Oftalmologia delle lenti a contatto
Cap IV: Ottica delle lenti a contatto
Cap V: Storia, sviluppo e moderne geometrie
della lenti a contatto
Cap VI: Lente a contatto di plastica di Obrig
Cap VII: Tecnica di esecuzione del calco oculare
dell’occhio vivente
Cap VIII: Applicazione delle lenti a contatto in
plastica derivate da calco oculare
Cap IX: Soluzioni usate per la lente liquida
Cap X: Brevetti di lenti a contatto. Theodore Obrig (1896-1967)
Fig. 3: La firma di “possesso” John D. Spooner in una delle
prime pagine del volume.
La copia del volume che ora è in mio possesso ha avuto almeno due “tutori illustri” prima
di arrivare nelle mie mani. Infatti il prof. Fletcher
(Fig. 2) è stato il secondo proprietario mentre il
primo è stato John D. Spooner (Fig. 3) un optometrista con interesse nella ricerca e la didattica
dell’anatomia oculare. Il suo volume “Ocular
Anatomy” è stato anche tradotto in italiano nel
1972 (edito dalla Société d’Optométrie d’Europe
e tradotto da Ugo Frescura) ed ha rappresentato
un libro di testo per numerosi studenti di optometria della precedente generazione.
È curioso notare che l’autore si firma con il diminutivo (Theo) piuttosto che col suo nome intero (Theodore). Nella prefazione Obrig menziona
la sua attività di docente di applicazione di lenti
a contatto ad oftalmologi, optometristi ed ottici.
Non avendo egli mai avuto un posto di docente
in alcuna Istituzione probabilmente si riferisce
a corsi di aggiornamento tenuti presso la sua
2007, vol. IX, n. 1
A 18 anni iniziò a lavorare per l’azienda ottica
“Gall e Lemke” negli USA mentre si iscrisse
come studente in Medicina presso la Columbia University. Dovette probabilmente interrompere gli studi per arruolarsi, durante la
prima guerra mondiale, come volontario nel
corpo della “French Army Ambulance”. Successivamente si trasferisce nei servizi militari
USA in qualità di “batteriologo e chimico”.
Quando tornò a lavorare per la Gall e Lemke
ebbe l’opportunità d’inventare una lente bifocale per occhiali denominata “Myodisc”.
Iniziò interessarsi di lenti a contatto negli anni
30 quando intraprese un rapporto di lavoro
per la Zeiss di Jena. Cominciò successivamente ad interessarsi dell’applicazione di lenti a
contatto ottenute tramite calco oculare. Nel
1935 pubblicò un libro sulle lenti per occhiali.
Nel 1938 scoprì accidentalmente le, ora ben
note, particolari proprietà della fluoresceina
quando irraggiata con luce blu-cobalto, come
ausilio per valutare lo spessore lacrimale sotto la lente a contatto. Dopo aver aperto e diretto la “Obrig Laboratories” prima a Boston
e poi a New York, nel 1942 pubblicò il primo
libro che fu mai stato scritto sulle lenti a contatto che fu seguito da altre due edizioni.
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1942: Theo Obrig scrive il primo libro
sulle lenti a contatto
Fig. 4: Immagini in cui si dimostra la preparazione del gesso dentale e il suo posizionamento sull’impronta dell’occhio
esterno.
Fig. 5: Pagina aggiunta successivamente alla stampa del
testo in cui si informa della disponibilità di portaimpronta
con fori multipli.
La parte dedicata all’anatomia è limitata all’occhio esterno, come è doveroso per un libro di
quel tempo sulle lenti a contatto, ma al contrario di altre monografie più recenti viene anche
sviluppato l’aspetto dei muscoli estrinseci dell’occhio. Ciò appare giustificato dal fatto che le
lenti a contatto del tempo erano soltanto del tipo
rigido-sclerale con il diametro totale che poteva
raggiungere anche 26 mm e quindi, quando applicate, potevano interessare anche le inserzioni
dei muscoli oculomotori.
Tra le indicazioni delle lenti a contatto largo
spazio è dedicato al trattamento delle patologie come la trichiasi, l’entropion e l’ectropion,
il pemfigo, la cheratocongiuntivite sicca, il lagoftalmo, l’albinismo e altro. Si deduce così
che nella prima metà del ‘900 l’uso terapeutico
delle lenti a contatto rappresentava una considerevole proporzione dell’intera attività contattologica. Ciò appare giustificato se si pensa
che oggi le lenti rigide sclerali vengono prese
in considerazione principalmente come coadiuvanti nel trattamento di alcune patologie oculari dell’occhio esterno.
Larga parte del testo è dedicata ai vari approcci per eseguire un calco dell’occhio e al modo di
ottenere il modello in gesso dall’impronta (Fig.
4). Alcune procedure sono molto simili a quelle
attuali che comunque oggi vengono utilizzate
raramente. Il portaimpronta descritto nel testo è
raffigurato senza fori che hanno la funzione di
far fuoriuscire l’alginato in eccesso. Comunque
nella terza di copertina di questa copia del testo
è incollata una pagina (Fig. 5) in cui è riportata
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1942: Theo Obrig scrive il primo libro
sulle lenti a contatto
Fig. 7: Immagine delle “Lacrilens”. I puntini stanno ad
indicare la lente destra e quella sinistra, mentre il cerchio
indica la posizione del foro.
Fig. 6: Disegni del primo brevetto di una lente sclerale registrato nel 1903 negli USA.
una “important notice” sulla disponibilità di portaimpronte con fori multipli, che sono gli unici
che oggi vengono ancora utilizzati.
Nel X capitolo sono descritti 19 brevetti
statunitensi ed uno francese. Fra quelli USA
numerosi sono quelli firmati dal geniale optometrista di New York William Feimbloom. È
interessante notare che il primo brevetto registrato nel 1903 negli USA si riferisce ad una
lente sclerale in vetro in cui la superficie interna ha pressoché una curvatura unica senza
differenziare tra la zona corneale, più curva,
e quella sclerale (Fig. 6). Il secondo brevetto
registrato nel 1923 si riferisce alla prima lente sclerale interamente di plastica (celluloide)
che però doveva essere coperta con della lacca
per prevenire il deterioramento della superficie che era eccessivamente morbida.
2007, vol. IX, n. 1
Fig. 8: Utensili per il ritocco delle lenti sclerali.
La terza edizione
Alla prima edizione di “Contact Lenses” ne
fecero seguito altre due. Una copia della terza
edizione che Obrig scrisse con Philiph Salvatori (Fig, 1) mi fu donata nel 1995 dal professor Fletcher durante uno dei tanti incontri che
avemmo a Tel Aviv per più serie di lezioni tenute
presso l’Institute of Ophthalmic Science.
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1942: Theo Obrig scrive il primo libro
sulle lenti a contatto
Fig. 9: Regolo per la determinazione del potere frontale posteriore della lente a contatto conoscendo il potere della lente per
occhiali e la distanza apice corneale-lente.
Nella prefazione Obrig e Salvatori sottolineano un’esigenza ancora presente nella contattologia contemporanea e cioè che “Il progresso nella
costruzione, nell’applicazione e nelle conoscenze delle
lenti a contatto è così rapido che una nuova edizione
è imperativa”.
Il volume, come spesso accade nelle edizioni successive, si arricchisce di altre 310 pagine
rispetto alla prima edizione, arrivando quindi a
780. I capitoli diventano 17. Quelli nuovi sono:
Cap VI: Plastiche
Cap XI: Lente a contatto “Lacrilens”
Cap XII: Come modificare la superficie centrale
posteriore di una lente a contatto sclerale
Cap XIV: Lenti a contatto corneali
Cap XV: Sommario del laboratorio di ricerca medica dell’esercito
Cap XVI: Un regolo ottico.
Philip Salvatori
Dopo aver servito nell’esercito come assistente di chirurgia ebbe una breve esperienza
come pugile professionista per poi trasferirsi
due anni a Roma per motivi di studio. Tornato a New York studiò prima altri due anni
nella New York Business School e poi come
“ophthalmic dispenser”. Per anni gestì un negozio di ottica in cui venivano anche applicate
lenti a contatto. Nel 1952 prese il posto di Theo
Obrig come presidente della “Obrig Laboratories”. Nel 1935 divenne presidente della “Society of Dispensing Opticians” (USA). Oltre ad
essere coautore, con Obrig, della III edizione
di “Contact Lenses”, scrisse anche altri due
volumetti: nel 1947 “Scientific Method of Fitting Contact Lenses” e nel 1960 “The Story of
Contact Lenses”.
Dalla prefazione si arguisce che Salvatori
ha curato principalmente i capitoli sulla lente a
contato “Lacrilens” e sulle “nuove” lenti a contatto corneali.
Le “Lacrilens” (Fig. 7) sono delle lenti sclerali
che non hanno bisogno di soluzioni aggiuntive
da porre tra cornea e lente ma sono “sufficienti le
lacrime del portatore”... praticamente come tutte le
lenti a contatto oggi utilizzate. La caratteristica di
questa lente è quella di avere una scanalatura a
forma di V con l’apice nei pressi del bordo inferiore della lente in modo da trovarsi in prossimità
del puntino lacrimale inferiore. La scanalatura si
estende dalla parte opposta fino alla zona di transizione fra la parte corneale e quella sclerale della
lente. Come le attuali lenti sclerali lo spazio lacrimale, nell’interfaccia tra cornea e lente, è minimo
in modo da favorire un aspetto estetico accettabile
(per evitare la sensazione “degli occhi in fuori”). La procedura di applicazione di questa lente è descritta in maniera molto dettagliata, passo dopo
passo, in 18 punti! Come per la maggior parte
delle lenti sclerali è necessario acquisire un’abilità
specifica nel modificare la lente “Lacrilens” con
punte, pietre e spazzole (Fig. 8), utensili utilizzati
solitamente nella pratica odontotecnica.
Il capitolo sulle lenti corneali sorprende per
le inattese informazioni che fornisce dal punto
di vista storico. Gli autori riportano testimonianze scritte del prof. H. Hartinger di Monaco, datata marzo 1950, e del prof. H.J.M. Weve
di Utrecht, datata gennaio 1951, in cui si afferma che la Zeiss di Jena aveva già prodotto lenti
corneali (senza la porzione sclerale) nel 1912 ed
aveva continuato a costruirle, per scopi clinici, anche negli anni successivi. Lo stesso Obrig
ordinò delle lenti corneali alla Zeiss prima del
1936. È interessante notare che tali lenti avevano
il raggio della superficie posteriore più lungo di
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1942: Theo Obrig scrive il primo libro
sulle lenti a contatto
na affermando categoricamente: “Tutti i pazienti
che portano lenti a contatto debbono essere periodicamente controllati anche se non è presente alcun sintomo di discomfort”. Ben sappiamo quanto ciò sia
vero anche oggi con tutti i tipi di lenti a contatto!
Il capitolo XVI è dedicato esclusivamente all’uso di un regolo (Fig. 9) per la determinare la
variazione del potere della lente a contatto conoscendo il potere della lente per gli occhiali e
la distanza apice corneale-lente. Regoli di questo
tipo non hanno avuto poi alcuno sviluppo vista
la praticità delle tabelle di conversione.
Il capitolo più voluminoso (305 pagine!) è
quello che tratta dei brevetti sulle lenti a contatto. Molti di questi hanno per oggetto ancora di
lenti sclerali. La parte iconografica di quello storico di Tuohy è riportata nella figura 10.
Conclusione
Fig. 10: Disegni del brevetto della lente corneale di K.
Tuohy, registrato nel 1950.
quello della cornea centrale (misurato con l’oftalmometro) come poi sarebbe stata la lente corneale brevettata nel 1950 da K. Tuohy. Si deduce
quindi da queste pagine che in definitiva Tuohy
non ha “inventato” la lente corneale ma l’ha per
primo brevettata per poi contribuire a renderla
popolare. Ulteriore curiosità è quella che Tuohy
ha iniziato ad interessarsi di lenti a contatto nel
1939 iniziando a lavorare come “tecnico” proprio nel laboratorio di Obrig.
Da pagina 402 inizia un paragrafo intitolato
”Una parola di cautela nell’uso delle lenti a contatto corneali” in cui si pone all’erta il lettore sulla
possibilità di 1. riduzione consistente della sensibilità corneale, 2. variazione di curvatura della
superficie corneale che può comportare una visione sfocata con gli occhiali, 3. erosione circolare
dell’epitelio corneale dovuto al movimento della
lente, 4. erosione puntata superficiale. La maggior
parte di tali reazioni corneali è, secondo gli autori,
causata da lenti troppo piatte. Il paragrafo termi
2007, vol. IX, n. 1
Meraviglia constatare che frugare tra le pagine di queste opere d’interesse museale continua
ancora ad insegnare! E allora ci si rende conto di
quanto prezioso strumento dovesse essere “Contact Lenses” per gli applicatori di lenti a contatto
di mezzo secolo fa, momento in cui da un lato
la contattologia iniziava a diventare popolare e
dall’altro lato la circolazione delle informazioni
era così limitata. Non ci si stupisce quindi che le
tre edizioni di questo testo, scritto da due ottici
che avevano come principio ispiratore di base di
riportare “fatti e non teorie” (prefazione della terza
edizione) siano sempre andate presto esaurite!
Summary
The first book about contact lenses was written
about 65 years ago by an optician from New York,
Theo Obrig. The author, who received a copy of the
first and a copy of the third edition as a gift from
Prof. Robert Fletcher analyses their contents. The
author compares the first edition with the third edition of the book, analyzing the history of the authors and of contact lenses in general. Although the
greater part of the book is dedicated to rigid scleral
lenses, which are today used only marginally, the
work appears to a have a strong educational impact
and an emotional impact as well due to the role it
has represented in history of contact lenses.
Keyword
Theo Obrig, history of contact lenses.
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2007, vol. IX, n. 1
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Occhio
alle allergie
Renata Rosa
Medico Chirurgo - Specialista Oculista
Sommario
Le allergie oculari sono molto frequenti e talora
così gravi da compromettere la funzione visiva. Si
manifestano nei soggetti atopici, geneticamente predisposti, dopo esposizione a stimoli comuni normalmente innocui per l’organismo, come pollini, acari,
peli di animali, etc. Le congiuntiviti allergiche sono
prevalentemente espressione di ipersensibilità IgE
mediata, quindi di tipo I. Tale termine è generico e
comprende entità cliniche diverse che vanno dalle
forme stagionali, alla cheratocongiuntivite atopica
e primaverile, che richiedono interventi terapeutici
diversi.
Key words: Congiuntivite allergica, immunologia, esami diagnostici, terapia, lenti a contatto.
Introduzione
Il termine allergia, dal greco “Allos” (cambiamento o alterazione dello stato) e “Ergon”
(reazione o reattività), fu coniato nel 1906 da un
pediatra austriaco, Clemens von Parquet, per
descrivere un’inusuale ed intensa reazione che
alcuni soggetti sviluppavano alla somministrazione della seconda dose di antitossina sierica di
cavallo.
Negli ultimi anni, specie nei paesi industrializzati, si è posta maggiore attenzione alle malattie allergiche, probabilmente per il significativo
incremento della loro incidenza e prevalenza.
Infatti, si calcola che nel 2015 circa il 50% della
popolazione europea manifesterà qualche forma
di allergia. Tale aumento è stato giustificato da
un’ipotesi igienica secondo la quale, la diversa
esposizione agli allergeni e patogeni che si verifica nel tempo, induce un alterato rapporto
Th1/Th2, in particolare una ridotta espressione
di Th1 ed aumento di Th2, responsabili della
manifestazione allergica.
La forma più frequente è la rinite allergica
primaverile, conosciuta anche come febbre da
fieno, che colpisce circa il 60% della popolazione
USA. Essa si manifesta con congestione nasale,
11
2007, vol. IX, n. 1
rinorrea e lacrimazione. Si associa anche a manifestazioni allergiche oculari sotto forma di congiuntivite allergica stagionale (SAC) nel 20% del
casi, di congiuntivite allergica perenne (APC)
nel 40% e di forme miste nell’altro 40% (ACP
con riacutizzazioni stagionali), talvolta difficili
da diagnosticare per la concomitante presenza
di sinusite, infezioni respiratorie e rinite vasomotoria.
La forma perenne è presente tutto l’anno, è
un disturbo cronico, stimato in almeno l’1% di
coloro che soffrono di allergia. Nella popolazione degli USA il 20-30% soffre di congiuntiviti di
cui circa la metà in forma di SAC.
Le congiuntiviti allergiche sono una causa
frequente di consultazione dell’oftalmologo. In
realtà il termine di “congiuntivite allergica” è
generico, poiché racchiude diverse entità distinte per manifestazioni cliniche, che vanno dalle
forme stagionali che possono essere associate a
rinite primaverile o febbre da fieno, a forme più
gravi come la congiuntivite primaverile e la cheratocongiuntivite atopica, patogenesi, prognosi
ed impostazione terapeutica. Nella maggior parte dei casi la diagnosi di patologia allergica oculare è solo presunta sia perché solo raramente
vengono eseguiti esami di laboratorio specifici,
sia perché i pazienti con allergie oculari vengono gestiti non soltanto dall’oculista ma anche dal
dermatologo, dal medico di famiglia, dal farmacista o, peggio ancora, si autogestiscono.
Il sintomo principale ed importante per la
diagnosi è il prurito. Importante è correlare l’insorgenza dei sintomi al periodo dell’anno, all’esposizione a particolari allergeni come il pelo
di gatto. I segni clinici comuni sono: arrossamento della congiuntiva, lacrimazione, chemosi della congiuntiva, gonfiore delle palpebre.
I fenomeni di ipersensibilità di tipo I (anafilassi o ipersensibilità immediata) o di tipo IV
(ipersensibilità ritardata o cellulo mediata) secondo la classificazione di Gell e Coombs sono
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Occhio
alle allergie
entrambe chiamate in causa, eccetto per le forme
di SAC e PAC in cui è coinvolta solo la reazione
di tipo 1.
La congiuntivite allergica è quindi un esempio di reazione di ipersensibilità di tipo I. Quando i pollini sospesi nell’aria, la polvere o il pelo
di animali vengono a contatto con la superficie
dell’occhio, nelle persone che non soffrono di
allergia, l’ammiccamento automatico delle palpebre e le lacrime eliminano l’allergene. Nelle
persone che soffrono di allergie, gli allergeni
scatenano una serie di eventi che danno luogo a
bruciore e arrossamento oculare, gonfiore palpebrale e lacrimazione.
L’istamina è il maggior responsabile del prurito che caratterizza le reazioni allergiche. La congiuntiva contiene recettori H1 e H2: l’attivazione
H1 ha come effetto principale il prurito, l’attivazione H2 è responsabile invece dell’iperemia.
Etiologia
Gli allergeni si distinguono in:
1) allergeni da inalazioni: pollini, dermatofagoidi,
spore fungine e derivati epidermici di animali;
2) allergeni da ingestione: alimenti, sostanze chimiche e farmaci;
3) da iniezione: farmaci e veleni;
4) allergeni da contatto: sostanze chimiche, farmaci ad uso topico, cosmetici, sostanze di origine vegetale.
I pollini (Tab. 1) più frequentemente responsabili derivano da piante erbacee delle famiglie delle
Graminacee, delle Parietarie, delle Composite e di
alcune piante arboree, Oleacee, Betullacee, Salicale, Plantanacee, Fagacee, Cupressacee, Corylacee.
In linea di massima le graminacee: maggio,
giugno e settembre; le paritarie sono perenni
nell’italia con massima intensità in primaveraestate; le composite prevalgono nel periodo estivo-autunnale, mentre i pollini arborei intervengono nell’inverno-primavera precoce.
Il dematophagoide pteronyssinus o acaro domestico è la principale fonte di allergeni perenni
in ambito domestico, anche se il ciclo riproduttivo prevale in autunno.
Immunopatogenesi
Le reazioni allergiche si manifestano solo nei
soggetti con “terreno atopico” cioè geneticamente predisposti, nei quali il contatto con sostanze normalmente innocue come certi allergeni
(pollini, peli di animali, acari della polvere, etc)
si trasfoma in fenomeni di ipersensibilità. Studi
statistici hanno dimostrato che, se entrambi i genitori sono sani, la probabilità di allergia nel figlio è del 12.5%. Quando un genitore è allergico,
la probabilità passa al 19.8% e raggiunge quasi
il 43% se lo sono entrambi i genitori; infine, se il
padre e la madre hanno lo stesso tipo di allergia,
la probabilità nel bambino raggiunge il 72%.
Tab. 1: Eziologia delle congiuntiviti allergiche stagionali
Stagioni
Precoce, inizio primavera
Primavera, primavera estate
Estate autunno
Pollini
Piante arboree
Graminacee, paritarie, oleacee
Composite alternaria
Tab. 2: Classificazione delle reazioni allergiche di Gell e Coombs
Tipo I= ipersensibilità IgE-mediata
Degranulazione dei mastociti e liberazione di fattori
infiammatori come istamina, prostaglandine , PAF etc.
Tipo II= reazione citotossica
Attivazione del complemento da complessi antigene-anticorpi, danno delle membrane cellulari con necrosi delle cellule (es. anemia emolitica)
Tipo III= vasculite da
immunocomplessi
Attivazione del complemento da complessi antigene-anticorpi, innesco di un processo infiammatorio (es. vasculite)
Tipo IV= eczema da contatto
Contatto con allergene, attivazione dei linfociti e liberazione
di linfochine con conseguente reazione infiammatoria
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2007, vol. IX, n. 1
a r t i c o l o
Occhio
alle allergie
La reazione allergica è, inoltre, influenzata
dall’esistenza di precedenti esposizioni allo stesso o ad altri allergeni, dalla quantità e dalla durata dell’esposizione, ma anche dalla presenza
di fattori aspecifici concomitanti quali infezioni,
presenza di inquinanti atmosferici, fumo di sigaretta, variazioni ormonali e stimoli neuroendocrini.
Le reazioni allergiche si suddividono in
quattro tipi (classificazione di Gell e Coombs)
(Tab. 2).
Tipo 1 di ipersensibilità immediata: anticorpi specifici del tipo IgE si combinano tramite
i propri frammenti Fc con i recettori di superficie
dei mastociti inducendo il rilascio di istamina e
di altri mediatori. Le conseguenze sono: rilasciamento della muscolatura liscia vascolare, evidenziata localmente dalla vasodilatazione (ad esempio
congestione congiuntivale) ed a livello sistemico
dall’ipotensione (shock anafilattico), incremento
della permeabilità capillare con stravaso di liquidi
nei tessuti, edema della congiuntiva e della mucosa delle vie aeree superiori (raffreddore da fieno,
edema laringeo), irritazioni cutanee; contrazione della muscolatura liscia bronchiale con asma bronchiale, ipereccitabilità della muscolatura liscia intestinale
con diarrea profusa e conversione in metaboliti,
per azione della ciclossigenasi (prostaglandine e
trombossani) e della lipossigenasi (leucotrieni).
La caratteristica delle reazioni allergiche di tipo
I è che i sintomi compaiono rapidamente dopo
l’esposizione all’allergene e da ciò il nome.
Tipo 2, reazione citotossica. Sulla superficie
delle cellule ematiche sono presenti complessi antigene-anticorpi (IgG), che mediano l’attivazione del
complemento (una famiglia di proteine che interviene nella difesa per agenti infettivi) che danneggia la membrana cellulare causando la necrosi
della cellula; inoltre, promuove la fagocitosi,
attrae i granulociti neutrofili (chemiotassi) e scatena le reazioni infiammatorie. L’attivazione del
complemento sulle cellule ematiche ne provoca
la distruzione, con anemia emolitica, granulocitopenia e trombocitopenia.
Tipo 3, vasculite da immunocomplessi (malattia da siero, reazione di Arthus). I complessi
antigene-anticorpi precipitano a livello della parete vasale, il complemento viene attivato ed innesca un processo infiammatorio. I neutrofili liberano
enzimi lisosomiali che danneggiano la parete
vascolare (flogosi, vasculite). Tra i sintomi si annoverano febbre, esantemi, ingrossamento dei
linfonodi, artrite, nefrite, neuropatia.
Tipo 4, eczema da contatto. Un antigene applicato sulla cute si lega alla superficie dei linfociti T specificatamente diretti contro di esso. Questi liberano messaggeri, linfochine, nell’ambiente
circostante che attivano i macrofagi e scatenano
una reazione flogistica.
Da questa classificazione si evince che il termine allergia indica un meccanismo di ipersensibilità immediata e quindi di tipo I. Le congiuntiviti allergiche sono un esempio di tale tipo.
Infatti, i soggetti atopici presentano un’aumentata e persistente produzione di IgE, la cui sintesi è regolata da molteplici geni prevalentemente
legati al sistema maggiore di istocompatibilità
(HLA).
Il momento iniziale della sensibilizzazione
verso un immunogeno è la captazione degli antigeni (IgE-specifiche) da parte dei macrofagi,
delle cellule dentritiche (cellule di Langherans)
eosinofili, piastrine e di altre cellule appartenenti al sistema APC (Antigen Presenting Cells). Le
IgE inducono la degranulazione dei mastociti e
quindi la liberazione di diversi fattori solubili
preformati (Tab. 3), come istamina e prostaglandine, all’origine del danno tissutale.
Tab. 3: Mediatori della reazione allergica liberati dai mastociti attivati
Preoformati
Istamina
Proteasi neutre
Enzimi ossidativi
Fattori chemiotattici
Proteoglicani
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Neoformati
Prostaglandine
Leucotrieni
PAF
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alle allergie
Le cellule APC processano l’antigene al loro
interno, espongono i loro frammenti sulla superficie in forma di peptici associati a molecole
di istocompatibilità di classe II (restrizione genetica della risposta immune) che formano così
un complesso stabile che viene riconosciuto dai
recettori specifici presenti sui linfociti T, in particolare i T “helper”.
Si distinguono due sottotipi di linfociti T, Th1 e Th2, a seconda delle citochine
(interleuchine=IL) che producono e le cellule
che stimolano.
Le cellule Th1 producono IL-2, INF-γ (interferon gamma), TNF-β (tumor necrosis factor
beta); hanno un’azione inibitoria sulla produzione di IgE, ma stimolano la produzione di
IgA e IgG da parte dei macrofagi, intervenendo
quindi nella risposta cellulo mediata.
Le cellule Th2 producono IL-3, 4, 5, 10, 13 e
GM-CSF di queste le IL-4 e 13 inducono la produzione di IgE agendo sui linfociti B, dai quali
originano le plasmacellule, l’IL-3, Il-4 e l’IL-10
favoriscono la differenziazione e l’attivazione
delle mast-cellule, mentre l’IL-5 regola la proliferazione, l’attivazione e la degranulazione degli eosinofili, quindi sono le cellule fondamentali per la risposta immediata.
Più in dettaglio, la reazione allergica si sviluppa quindi in due fasi (Tab. 4): 1) sensibilizzazione dopo esposizione all’allergene; 2) attivazione della risposta linfocitaria:
La prima fase è precoce: dopo un tempo di
latenza di 30-45 secondi soltanto dalla esposizione all’allergene, con un picco massimo in
10 minuti si ha attivazione dei mastociti e dei
basofili, che liberano istamina, neuropeptidi e
proteoglicani (mediatori preformati) ed altri
mediatori chimici come leucotrieni, PAF e radicali liberi (mediatori neoformati), In pochi
minuti l’istamina si lega ai recettori H1 delle
cellule vasali inducendo vasodilatazione e aumento della permeabilità vasale, ciò si manifesta con edema della congiuntiva (chemosi).
L’istamina si lega anche ai recettori H1 non
nocicettivi dei nervi tipo V della mucosa provocando il rilascio di neuropeptidi come la
sostanza P che comporta prurito e lacrimazione. Il PAF aumenta l’aggregazione piastrinica,
la permeabilità vasale e la chemiotassi per gli
eosinofili e neutrofili, quindi aumento dell’iperemia e della chemosi e migrazione di cellule
infiammatorie nei tessuti (amplificazione della
risposta). La prima fase si manifesta con starnuti rinorrea edema (chemosi) ed iperemia
della congiuntiva e delle palpebre, ma il segno
predominante e specifico è il prurito. È quindi
la fase essudativa e vasomotoria della reazione
allergica che può essere prevenuta dall’uso degli stabilizzatori di membrana.
La seconda fase, tardiva, compare dopo 4-8
h dall’esposizione all’allergene si manifesta con
congestione, stanchezza, irritabilità. Durante
questa fase intervengono gli eosinofili, richiamati per chemiotassi dai mastociti, i quali libe-
Tab. 4: Fasi dell’allergia
Fase precoce
Dopo pochi minuti dall’esposizione all’allergene
Breve durata (1-2 ora)
Edema, iperemia, ipersecrezione
Ipersensibilità IgE-mediata
Fase tardiva
Dopo 3-6 ore dall’esposizione all’allergene
Lunga durata
Infiammazione tissutale
Cellulo-mediata
Tab. 5: Mediatori della reazione allergica liberati dagli eosinofili attivati
Preoformati
Proteina basica maggiore (MBP)
Proteina cationica (ECP)
per ossidasi (EPO)
Neutotossina X (EPX)
Istaminasi
Neoformati
Prostaglandine
Leucotrieni
PAF
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rano proteine basiche (ECP, EPX, MBP, EPO),
in particolare la ECP, tossiche per l’epitelio e
contribuiscono al danno corneale che si verifica nelle fasi gravi delle allergie croniche. Gli
eosinofili sono anche un’importante sorgente
di leucotrieni, prostaglandine, citochine e chemochine (Tab. 5). La fase tardiva gioca un ruolo importante nella fisiopatologia della VKC e
AKC. È corredata da infiammazione tissutale
ed è imprescindibile dalla attivazione primaria
dei mastociti; l’aspetto clinico è più variegato.
Dal punto di vista istologico è caratteristica la
presenza di un infiltrato cellulare misto costituito da macrofagi, neutrofili, basofili, eosinofili e
linfociti. Il danno epiteliale, la vasodilatazione,
il subedema tissutale, l’iperplasia delle ghiandole mucipare e la fibrosi sottocongiuntivale
sono altre caratteristiche presenti, a seconda
della durata e della gravità del quadro clinico.
Recentemente è stato scoperto che anche le
cellule epiteliali congiuntivali interevengono
nelle reazioni allergiche. Queste cellule stimolante dall’istamina rilasciano Il6 e Il8, due citochine infiammatorie che promuovono la fase
tardiva della risposta allergica.
Classificazione delle allergie (Tab. 6)
1. Blefarocongiuntivite allergica acuta
2. Congiuntivite allergica
a. Stagionale (SAC)
b. Perenne (CAP)
3. Cheratocongiuntivite primaverile (VKC)
a. Tarsale
b. Limbare
c. Mista
4. Cheratocongiuntivite atopica (AKC)
5. Congiuntivite gigantopapillare (GPC)
a. Da lenti a contatto
b. Da suture
c. Da protesi
6. Cheratocongiuntivite microbioallergica
a. Blefarocongiuntivite eczematosa
b. Cheratocongiuntivite flittenulare
7. Blefarocongiuntivite eczematosa da contatto
a. Blefarite eczematosa
b. Blefarocongiuntivite da contatto
8. Congiuntivite lignea
1) Blefarocongiuntivite acuta
È conosciuta anche come edema acuto delle
palpebre. Si manifesta improvvisamente, senza
Tab. 6: Classificazione clinica delle allergie oculari
Blefarocongiuntivite allergica acuta
Congiuntivite allergica
Cheratocongiuntivite primaverile (VKC)
a. Stagionale (SAC)
b. Perenne (CAP)
c. Tarsale
d. Limbare
e. Mista
Cheratocongiuntivite atopica (AKC)
Congiuntivite gigantopapillare (GPC)
Cheratocongiuntivite microbioallergica
Blefarocongiuntivite eczematosa da contatto
Congiuntivite lignea
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f. Da lenti a contatto
g. Da suture
h. Da protesi
i. Blefarocongiuntivite eczematosa
j. Cheratocongiuntivite flittenulare
a) Blefarite eczematosa
b) Blefarocongiuntivite da contatto
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un’apparente esposizione agli allergeni, con un
importante edema della palpebra e della congiuntiva. Può essere mono o bilaterale e non
sempre è accompagnata da prurito.
Può essere espressione sia di ipersensibilità
IgE mediata, che cellulo-mediata scatenata da
fattori diversi come la puntura di insetti, la fotosensibilizzazione a cosmetici o pomate, o farmaci quali aspirina o altri FANS.
2) Congiuntivite allergica
a) La forma stagionale (SAC), detta anche
acuta, ha una prevalenza di circa il 20% della
popolazolazione e rappresenta circa il 90% di
tutte le allergie oculari. La congiuntivite allergica è la manifestazione a livello oculare della febbre da fieno (rinite allergica) e di tale patologia
rappresenta spesso il sintomo predominante.
Ha un andamento stagionale (primavera e autunno) ed è causata prevalentemente dall’esposizione ai pollini di erbe e piante o a frammenti
vegetali. La congiuntivite allergica stagionale è
una riposta di ipersensibilità di tipo I, che si manifesta ogni volta che l’organismo viene a contatto con un antigene nei confronti del quale si
è già sensibilizzato. Di conseguenza, i sintomi
associati sono quelli tipici di una risposta immediata di tipo I. I cambiamenti che avvengono in
molte reazioni immediate tipo I sono transitori
e si risolvono con la rimozione dell’allergene.
Se queste reazioni si ripetono più volte, ne può
conseguire un’infiammazione acuta recidivante
o persistente e quindi una risposta tardiva che a
livello tissutale dopo 6-12 ore si manifesta con
infiltrazione della mucosa congiuntivale da parte di cellule infiammatorie e può essere l’inizio
della cronicizzazione dei sintomi (congiuntivite allergica cronica). La sintomatologia è caratterizzata da prurito oculare e perioculare; e, in
associazione possono essere presenti rossore,
bruciore lacrimazione eccessiva, una notevole
secrezione mucosa filamentosa e rinite. Nella
maggior parte dei casì è bilaterale.
b) Le congiuntiviti allergiche croniche o
perenni (CAP), così chiamate perché persistono durante il corso dell’anno, hanno una prevalenza del 3% nella popolazione totale. L’87%
di tali pazienti va poi incontro ad esacerbazioni
stagionali. Gli allergeni maggiormente in causa
sono quelli presenti costantemente nell’ambiente domestico come pelo o escrementi di animali, acari della polvere, muffe. Le riacutizzazioni
stagionali possono avvenire in primavera o in
autunno, come risultato di una maggiore esposizione a piante erbacee o a muffe, ma sono
più comuni in autunno, quando la presenza di
polveri di allergeni fungini è maggiore. Come
quella acuta, è una reazione di ipersensibilità
di tipo I. A causa della sua natura cronica, coinvolge sia i meccanismi di risposta immediata
che tardiva (IgE- mediata). I segni e i sintomi
associati alle congiuntiviti allergiche croniche
sono simili a quelli che caratterizzano le forme stagionali ma più costanti nel tempo. Nella
maggioranza dei casi sono bilaterali, anche se
è possibile osservare una risposta monolaterale
soprattutto se l’antigene, ad esempio di origine
animale, viene introdotto nell’occhio dal contatto delle mani.
Molti di questi pazienti presentano una storia clinica con episodi di asma, eczema, etc.
3) La cheratocongiuntivite primaverile (VKC)
È una rara e potenzialmente grave patologia
oculare che, se sottovalutata, può portare ad un
quadro clinico che vede compromessa gravemente la funzione visiva. Insorge in primavera è
più frequente nei paesi caldi e coinvolge un’ipersensibilità di tipo I e IV. Colpisce prevalentemente i maschi fino alla pubertà, poi il rapporto M/F
diventa 1:1. La VKC può essere asimmetrica. Le
cararatteristiche distintive di questa patologia
sono la presenza di papille giganti (più grandi di
1 mm), di forma poligonale ad “acciottolato romano” sulla congiuntiva palpebrale superiore, i
punti di Trantas cioè infiltrati di neutrofili ed eosinofili, presenti a livello limbare, specie nella fase
avanzata della malattia. Ciò indica la presenza
di due espressioni cliniche, la forma con papille
congiuntivali e la forma limbare. D’altra parte
sono presenti anche situazioni in cui entrambe
le caratteristiche cliniche coesistono (forme miste). Oltre ai segni sopra descritti la malattia è
caratterizzata da: iperproduzione di muco, edema, gonfiore palpebrale e pseudoptosi, prurito,
fotofobia e sensazione di corpo estraneo. Con il
progredire della patologia, si può avere un coinvolgimento corneale caratterizzato da erosioni
puntate superficiali fino alla formazione ulcere
corneali sterili a scudo, non tanto per l’azione
meccanica di sfregamento da parte delle papille
giganti al tarso superiore, quanto come risultato
della degranulazione dei mastociti e degli eosinofili e conseguente rilascio di proteine basiche
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epitelio-tossiche (MBP, ECP, EPX, EPO). Nei casi
gravi si possono creare danni importanti e permanti della cornea, come neovascolarizzazione
profusa, tali da indurre una perdita irreversibile
della visione. Probabilmente diverse forme leggere o atipiche non vengono diagnosticate perché non si sono ancora trovati criteri diagnostici
precisi per questa malattia.
4) La cheratocongiuntivite atopica (AKC)
Come la forma VKC è un forma di allergia
oculare potenzialmente severa per il frequente
coinvolgimento corneale, con successive alterazioni tissutali, in mancanza di un trattamento adeguato. La AKC colpisce i bambini di età
inferiore ai 4 anni e gli adulti fra i 30-50 anni.
Non si escludono esacerbazioni stagionali specialmente nei mesi invernali, sia negli adulti che
nei bambini che hanno sofferto di tale patologia,
con manifestazioni quali febbre da fieno, allergia, eczema, atopia, asma. La sintomatologia
è caratterizzata da prurito costante, bruciore,
secrezione acquosa, fotofobia. La congiuntiva
che riveste i bordi palpebrali si presenta di solito arrossata e gonfia; sono spesso presenti anche delle manifestazioni eczematose della rima
papebrale, come anche una marcata ipertrofia
papillare della congiuntiva tarsale superiore e
inferiore. Il coinvolgimento corneale è direttamente proporzionale alla gravità della malattia.
Nei casi più severi, per il rilascio di proteine
basiche epitelio-tossiche da parte degli eosinofili, si evidenziano notevoli alterazioni della
superficie corneale con disidratazione, erosioni
superficiali, neovascolarizzazione corneale, ulcera sterile corneale. Quest’ultima suscettibile
però di infezioni batteriche secondarie come da
Hemophilus influenziae. Nelle forme più severe
e croniche si può osservare la comparsa di cataratta atopica, che affligge dall’8% al 10% dei
pazienti con dermatite atopica, un aumento di
recidive erpetiche (cheratite virale da Herpes
simplex) e l’insorgenza di glaucoma.
Circa il 3% della popolazione soffre di dermatite atopica e di questi il 25% presenta un
coinvolgimento oculare come ACK. La dermatite atopica si manifesta con desquamazioni e
lesioni cutanee, spesso rotte dal continuo sfregamento dei pazienti: può indurre cheratite puntata superficiale, neovascolarizzazione corneale.
Le infezioni a lungo termine possono portare a
perdita della visione.
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5) La congiuntivite gigantopapillare (GPC)
È più frequente nei pazienti portatori di lenti a contatto (soprattutto nei portatori di lenti
convenzionali) ed è stata identificata per la prima volta da Spring nel 1974. Si può riscontrare
anche in soggetti con protesi oculari e suture
corneali post-chirurgiche. La prima teoria patogenetica proposta supponeva che l’accumulo di
muco, proteine e altre sostanze sulla superficie
della lente causavano un’ipersensibilità mista
IgE e cellulo-mediata. La teoria più moderna
suggerisce che lo sfregamento cronico del bordo della lente comporta una degranulazione
dei mastociti e lo sviluppo di GPC. La presenza
di CD4 suggerisce che si tratti di una reazione
di tipo IV I primi sintomi sono caratterizzati
dal discomfort del bordo palpebrale o dolore
derivante dalla rimozione delle lenti stesse, annebbiamento visivo e lieve secrezione mucosa.
Con il passare del tempo, il paziente lamenta
la sensazione di corpo estraneo, bruciore, lacrimazione, aumentata secrezione, iperemia congiuntivale ed intolleranza alle lenti a contatto.
Il classico reperto della GPC è la presenza di
papille giganti (non più grandi di 0.3 mm nella
fase I e maggiori di 1 mm nella fase III e IV) sulla congiuntiva tarsale superiore. Queste papille
hanno delle caratteristiche distintive che le diversificano nettamente da quelle presenti nelle
forme più gravi di VKC: sono più piccole nella
fase iniziale, più piatte, distribuite in modo più
uniforme e non hanno l’aspetto tipico ad “acciottolato”. I segni corneali più frequentemente riportati sono cheratiti puntate o erosioni
dell’epitelio corneale. La quantità di eosinofili
e basofili riscontrabili nell’epitelio e nello stroma è notevolmente inferiore rispetto alla VKC,
mentre le mast-cellule ed i neutrofili sono rilevabili in numero maggiore nella GPC. Può essere bilaterale, monolaterale, o asimmetrica.
6) Blefarocongiuntiviti eczematose da contatto
Sono una ulteriore espressione della reattività oculare a più agenti locali o sistemici. Queste
forme sono dovute ad una ipersensibilità cellulomediata e non IgE-mediata verso apteni, cioè sostanze che per diventare antigeniche richiedono il
legame con proteine dell’organismo. La reazione
è del tutto sovrapponibile dal punto di vista patogenetico a quella della dermatite da contatto.
Pertanto, la diagnosi richiede l’esecuzione di test
allergici diversi, cioè test cutanei o Patch test.
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alle allergie
a) La blefarite eczematosa colpisce più frequentemente donne giovani adulte. È associata all’uso
di cosmetici, lozioni coloranti, profumi, montature
metalliche, bigiotteria. Ha un’insorgenza acuta o
subacuta con eczema bilaterale delle palpebre che
si presenta con diversi livelli di eritema, edema e
vescicole, con prurito intenso. Il bordo palpebrale
non presenta caratteristiche particolari.
d) La blefarocongiuntivite da contatto colpisce persone adulte senza predilezione di sesso ed
è legata al contatto diretto con la mucosa congiuntivale, fino alla formazione di pseudopemfigoidi,
farmaci e conservanti come neomicina, amine
simpaticomimetiche, beta-bloccanti, antistaminici, pilocarpina, benzalconio cloruro e timerosal,
nichel e cosmetici. Si manifesta con cheratite puntata superficiale, iperemia congiuntivale intensa,
ipertrofia follicolare e papillare. Bruciore e prurito. Può essere utile in queste forme ricorrere al
Patch test, per una diagnosi precisa.
7) Cheratocongiuntivite microbioallergica
Termine coniato da Theodore e indica una reazione immunologica verso proteine batteriche di
per sé non tossiche, che può scatenare intense reazioni infiammatorie sulla superficie oculare. Comprende l’eczema palpebrale, la cheratocongiuntivite flittenulare, gli infiltrati e le ulcere corneali
catarrali, la cheratite interstiziale, la cheratite disciforme, la cheratite da adenovirus e da clamida.
a) La blefarocongiuntivite eczematosa è caratterizzata da dermatite umida, acuta o subacuta, con diversi gradi di eritema, blefarite squamosa con ulcerazioni del margine palpebrale,
cheratite puntata superficiale specie della metà
inferiore della cornea. Si manifesta con bruciore,
senso di corpo estraneo, scarso prurito e lacrimazione. La persistenza di una blefarite stafilococcica causa la formazione di infiltrati periferici
giallastri puntiformi e/o la comparsa di ulcere
corneali periferiche accompagnate da neovascolarizzazioni superficiali.
b) La cheratocongiuntivite fittenulare, più
tipica dei bambini, è un’ipersensibilità ritardata
verso il bacillo tubercolare o lo stafilococco, ma
può associarsi anche ad infezioni da candida
coccidiodi e nematodi. L’aspetto nodulare delle
lesioni e l’assenza di prurito associata alla citologia (linfociti e neutrofili) permette la diagnosi
differenziale con la forma primaverile limbare.
Non sempre la storia familiare e personale è positiva per atopia o altre malattie immunitarie.
8) Congiuntivite lignea
È rara e colpisce specialmente i bambini,
spesso è asimmetrica. Si presenta come neoformazione membranosa bianco-giallastra aderente
con la sua base al tarso superiore e con i margini
liberi netti. Il termine deriva dall’indurimento
della congiuntiva e della palpebra e dalla consistenza fibrosa della neoformazione.
Diagnosi
Al fine di non fare diagnosi eccessive di congiuntivite allergica, è necessario ricercare sistematicamente i segni generali di atopia (rinite
allergica, eczema dei condotti uditivi, asma e
dermatite atopica) ed i segni locali quali papille
più o meno voluminose associate o meno a fibrosi congiuntivale. Il coinvolgimento corneale,
come già detto, è di norma limitato alle cheratocongiuntiviti primaverili e atopiche. Il fattore
stagionale assume un ruolo importante sia per la
diagnosi che per la profilassi dal momento che le
congiuntiviti tendono a ricorrere ciclicamente.
Quindi oltre all’anamnesi, all’esame clinico
generale e locale, bisogna ricorrere a test in vivo
e di laboratorio sia sistemici che locali.
Test sistemici
A) I test cutanei sono importanti per saggiare la
reattività cutanea verso allergeni ambientali
e alimentari e la reattività all’istamina. Nelle
forme da contatto è utile il patch test ciò l’applicazione di dischetti di cellulosa contenenti
apteni sul dorso per 48 h. Nelle forme microbioallergiche si può ricorrere alla intradermoreazione con antigeni quali tubercolina, candidino, istoplasmina, estratti di stafilococco,
streptococco.
B) Dosaggio delle IgE specifiche totali e sieriche
(RAST, ELISA), emocromo con conta degli eosinofili.
C) Dosaggio plasmatico di istamina: tra i 3300 ed
i 5500 pg/ ml.
Test locali
A) Dosaggio di IgE nel film lacrimale.
B) Dosaggio di istamina nel film lacrimale. Valori
lacrimali fino a 5 ng/ml vengono riscontrati
nei soggetti sani in fase di quiete, valori superiori a 15 ng/ml si riscontrano nelle allergie
stagionali, specie primaverili. Valori tra 5-15 si
trovano nelle forme pseudoallergiche per effetto di un’attivazione specifica dei mastociti.
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a r t i c o l o
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alle allergie
C) Dosaggio della triptasi nelle lacrime. È un
marker eccellente della degranulazione mastocitaria in quanto è unicamente presente nei
granuli secreti da queste cellule (val. n < 40
ng/ml) valori elevati si riscontrano nelle congiuntiviti allergiche in fase acuta.
D) Stimolazione congiuntivale con estratto allergenico in concentrazione nota: costituisce
il test di provocazione congiuntivale specifica
(CPT). La risposta è segnata dalla comparsa
di iperemia e prurito. È particolarmente utile
nei casi di storia di ipersensibilità IgE mediata
ma con risposta negativa ai test sistemici. Può
essere anche usato per monitorare una terapia
specifica.
E) I test di eliminazione sono rappresentati dalla
sospensione all’esposizione all’allergene, per
esempio colliri.
Diagnosi differenziale
È importate fare la diagnosi differenziale con
il la sindrome dell’occhio secco, le congiuntiviti
infettive ed altre sindromi. Segni differenziali importani sono il dolore e l’assenza di prurito.
1) Congiuntivite sicca
Circa il 20% della popolazione soffre di sindrome dell’occhio secco. I sintomi sono simili a
quelli della congiuntivite allergica cronica, pertanto la diagnosi differenziale non è sempre facile. Inoltre, l’allergia e la sindrome dell’occhio
secco rappresentano i due lati di un triangolo
formato da allergia, sindrome dell’occhio secco
e meibomite, tre patologie che portano alla produzione di mediatori dell’infiammazione tossici
per i diversi costituenti del film lacrimale che
perpetuano la malattia.
La mucosa congiuntivale è costantemente lubrificata dal film lacrimale il quale protegge in maniera aspecifica l’integrità della superficie oculare
(cornea e congiuntiva), allontanando meccanicamente gli allergeni e gli irritanti e agisce chimicamente su certi patogeni per la presenza di fattori
quali la lactoferrina, il lisonzima e l’interferone.
Il tessuto linfatico associato alla mucosa congiuntivale e alle ghiandole lacrimali svolge invece un’azione protettiva specifica rilasciando
immunoglobuline specifiche.
2) Cheratite ulcerativa periferica
Presenta complessi problemi di gestione.
Può essere espressione di malattie sistemiche e
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talvolta ne rappresenta la manifestazione iniziale. È necessario ricorrere a test diagnostici per
escludere disordini del tessuto connettivo. L’artrite reumatoide (AR) è spesso associata a questo
disordine. La AR è associata a cheratocongiuntivite sicca, opacità stromali del cristallino per
aumento di depositi lipidici, episclerite, sclerite,
ulcera corneale centrale e periferica e sclerocheratite. Quest’ultima è un’infiammazione infiltrativa associata ad aumentata vascolarizzazione
della periferia corneale.
3) Sindrome di Cogan
Poco comune ad etiologia autoimmune. Include infiammazioni dell’occhio, dell’orecchio
e dei vasi che rispondono al trattamento immunosoppressivo. Colpisce gli adulti dei quali circa la metà esordisce proprio con interessamento
oculare. Si associano malattie audiovestibolari,
congiuntiviti, iriti, scleriti, ulcere corneali e infiammazioni del segmento posteriore.
Si associa anche ad altre malattie del connettivo come la granulomatosi di Wegner, la poliartrite nodosa, la sclerodermia, il lupus eritematoso sistemico (LES), l’arterite a cellule giganti e le
malattie cutanee come la psoriasi.
L’infiammazione limbare comporta la formazione di ulcere corneali da parte degli enzimi distruttivi come le metalloproteasi rilasciati dai granulociti. Si osservano quindi deficit epiteliale del
limbus, ispessimento dello stroma, iperemia e chemosi della congiuntiva circostante. Questi possono
portare a descemetocele con rischio di perforazione. L’iperemia al limbus indica attività della malattia. La vascolarizzazione dell’area ulcerata è rara.
4) Ulcera di Morens
Non è associata a malattie sistemiche. È simile alla cheratite ulcerativa periferica ma è una
condizione idiopatica. Interessa il centro e l’area
paracentrale della cornea. Si sviluppano aree infiltrative che alterano l’anatomia della cornea. Si
manifesta con iperemia ed edema della congiuntiva circostante.
Trattamento terapeutico (Tab. 7)
1) Blocco dei recettori istaminici, blocco dell’attivazione delle cellule infiammatorie e rilascio di mediatori.
Gli antistaminici topici sono di tipo anti H1:
alchilamina (feniramide maleato) e etilendiamine (antazolina fosfato e pirilamina maleato) Gli
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Occhio
alle allergie
H1- antistaminici sono sommiTab. 7: Terapia
nistrati in genere per via orale
Antiistaminici
o locale. Per quanto riguarda
Stabilizzatori di membrana
gli antistamini topici facciamo
riferimento a quelli di seconda
Combinazioni di antistamimici e stabilizzatori
generazione: azelastina, ketotidi membrana
fene, emedastina, levocabastiSteroidi
na, olopatadina, epinastitina.
Fans
L’azelastica cloridrato blocca i reImmunosoppressivi
cettori H1, previene l’attivazioTerapia chirurgica
ne delle cellule infiammatorie
(basofili, neutrofili, eosinofili
e macrofagi), inibisce la sintesi
brana” (cromoglicato (cromolyin) e nedocromil) consie/o il rilascio di mediatori quali
leucotrieni, anione superossido, PAF ed inibisce ste nell’impedire la degranulazione dei mastociti
la sintesi, antigene-dipendente, di leucotrieni, e delle cellule infiammatorie e quindi di bloccare
agendo sulla via metabolica della 5-lipoossi- la liberazione di istamina. Quelli di nuova genegenasi, mantenendo integra la clicloossigenasi. razione hanno anche effetto antinfiammatorio
È disponibile in collirio allo 0.005% da sommi- e sintomatico (acido spaglumico, nedocroministrare da 2 a 4 volte al dì. Consigliata nelle le, lodoxamide). La liberazione dei messaggeri
forme stagionali nei bambini dai 4 anni in su e dai mastoci può anche essere inibita da alcuni
nelle forme perenni dai 12 anni in su. L’emeda- H1-antistaminici, ad esempio pioxatomomide e
stinadifumarato 0.05% è utilizzata alla posologia ketotifene, che vengono somministrati per via sidi 1 goccia due volte al dì e l’effetto è riscon- stemica o topica. Il cromoglicato impedisce la libetrabile dopo 5 minuti dalla somministrazione. razione di mediatori, solo con una terapia cronica.
Il ketotifene idrogenatofumarato è disponibile Inoltre, interferendo con l’azione dei mediatori
allo 0.025% e 0.05%, ha effetto stabilizzante di delle cellule infiammatorie, determina un’inibimembrana, inibisce gli eosinofili e i mediato- zione più generale dell’infiammazione allergica.
ri liofili come il PAF, inoltre blocca i recettori Viene somministrato localmente nella congiunH1. È somministrato alla posologia di 1 goccia tiva, nella mucosa nasale o bronchiale (inalaziodue volte al dì. La levocabastina è disponibile in ne) e per somministrazione orale nella mucosa
collirio allo 0.05%. Il suo profilo farmacologico intestinale. Il trattamento può protrarsi per setè caratterizzato da una spiccata selettività nei timane. Inibendo la degranulazione sarebbe più
confronti dei recettori H1 e da una azione rapi- indicata una loro instillazione preventiva cioè
prima della manifestazione allergica. Nuovi stada (pochi minuti).
L’olopatadina cloridrato è disponibile allo bilizzatori sono la rapamicina, dimetil solforico,
0.1% è dotata di triplice attività d’azione come pemirolast fosfato.
il ketotifene, l’epinastastina cloridrato allo 0.5% e
3) Combinazioni di aniistaminici e stabilizla azelastatina cloridrato.
Il più grande difetto degli antistaminici è la zatori di membrana
Alopatadine 0,1%, epinestine 0,05%, azelabassa emivita che richiede quindi frequenti instillazioni ogni 4-6 ore e la loro incapacità di pre- stine 0,05% e ketotifene. All’effetto sul prurito
degli antistaminici si associa la proprietà di stavenire l’ulteriore degranulazione dei mastociti.
Nelle forme associate a manifestazioni siste- bilizzatori di membrana dei secondi, per ridurre
miche può essere utile l’impiego degli antistami- gli effetti a lungo termine delle allergie.
nici sistemici: terfezolina, astemizolo, oxatomi4) Steroidi
de, loratadina e cetirizina.
Interferiscono con la sintesi proteica riducenI vasocostrittori topici hanno solo effetto sindo molti dei sintomi delle allergie. Hanno potente
tomatico.
azione antiinfiammatoria ed immunosoppressiva,
ma per il loro assorbimento locale, specie attraver2) Farmaci stabilizzatori di membrana
Uno degli effetti degli “stabilizzatori di mem- so la cornea, hanno numerosi effetti collaterali che
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alle allergie
non permettono l’uso a lungo termine: aumentano la IOP, inducono cataratta, riducono la risposta
immune a patogeni, aumentando l’incidenza di
infezioni da Herpes simplex. Steroidi come desametazone alcool o fosfato, betametazone, prednisolone acetato e sodio fosfato sono a maggior penetrabilità oculare e quindi hanno maggiori effetti
collaterali rispetto a desonide, medrisone, idrocortisone, formoortal, fluorometolone.
5) FANS antinfiammatori non steroidei
In realtà l’impiego di inibitori della ciclossigenasi (acido acetilsalicilico, indometacina e
piroxicam) e della lipossigenasi (N-idrossi-arachidonamide, phenidone) nelle congiuntiviti
allergiche è ancora limitato. Diclofenac, piroxicam, aspirina, chetotifene, chetorolac inibiscono
la sintesi delle prostaglandine, l’attivazione dei
neutrofili e la liberazione di enzimi lisosomiali e
di radicali liberi.
6) Immunomodulatori
La ciclosporina A in collirio al 2% agisce
inibendo in maniera reversibile i linfociti Th1
e quindi la produzione di IL-2, agisce quindi
sulla componente cellulo-mediata. È utile nel
trattamento a lungo termine delle forme gravi
di cheratocongiuntiviti primaverili, atopiche e
flittenulari, che rispondono poco al trattamento convenzionale, e della forma lignea. L’esatto
meccanismo d’azione non è conosciuto, sembra
avere un effetto stabilizzante sui mastociti e sugli eosinofili inibendo il rilascio di ECP.
7) Trattamento chirurgico
In forme gravi di cheratocongiuntiviti, in cui
le papille giganti possono causare pseudoptosi,
si può ricorrere all’escissione delle papille associata al criotrattamento della mucosa tarsale. Si
ricorre alla cheratoplastica quando la cornea è
drammaticamente danneggiata.
È in corso di sperimentazione la desensibilizzazione congiuntivale con estratti allergenici
somministrati localmente.
Terapie specifiche
1) Nelle Congiuntiviti allergiche e primaverili
gli stabilizzatori di membrana sono il primo trattamento nelle forme IgE mediate, instillati 4 volte
al dì per tutto il periodo delle allergie. Nelle forme
stagionali è necessario iniziare due settimane prima
del periodo di impollinazione, mentre nella fase
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acuta si può associare un trattamento sintomatico.
Antistaminici e vasocostrittori sono utili nelle
forme lievi; nelle forme più gravi si deve ricorrere agli steroidi. Nelle forme di rinocongiuntivite
si deve associare l’antiistaminico sistemico. Nelle forme gravi primaverili si può ricorrere anche
alla ciclosporina.
Allontanare o ridurre il contatto con l’allergene non sempre è facile. Nelle congiuntiviti stagionali e perenni la combinazione di antistaminici e
stabilizzatori di membrana, l’uso di garze sterili
e l’instillazione frequente di soluzioni umettanti
per allontanare l’allergene, risultano sufficienti.
Gli antistaminici orali non sono indicati perché,
avendo un effetto di disidratazione sugli occhi
aumentano la concentrazione dell’allergene nel
film lacrimale esacerbando i sintomi. Inoltre inducono sonnolenza, disidratazione e alterazione
della diuresi.
Nelle forme di SAC e PAC associate a rinite allergica (SAC e PAC) non sempre i portatori
devono sospendere l’uso delle lenti a contatto.
A tal proposito ci sono pareri discordanti. Alcuni raccomandano gocce, compresse fredde,
sospensione o ridotto tempo d’uso delle lenti.
Altri suggeriscono un aumento della frequenza
di sostituzione delle lenti e molti autori, visto
che gli allergeni si legano alla superficie delle lac
morbide e che agiscono da barriera per ridurre
l’esposizione all’allergene, suggeriscono l’uso
di materiali non ionici e lenti giornaliere. Lemp
consiglia l’uso di antiallergici durante il porto
delle Lac, altri prima dell’applicazione e dopo la
sospensione delle Lac. Nelle forme medie può
essere utile la sospensione temporanea e la terapia steroidea.
Nei casi gravi sospendere le lac, steroidi locali, cambiare il tipo di lenti (dimensioni e materiale). Le lenti a contatto giornaliere e quelle in
silicone idrogel sono oggi le migliori possibiltà
offerte al soggetto allergico che ha diffetti di refrazione importanti o anisometropie.
Tali lenti potrebbero reagire da “spazzini”,
stimolando la secrezione lacrimale e permettendo un lavaggio della superficie oculare, “chelare” le interleuchine responsabili del rimodellamento congiuntivale con produzione di VEGF
che impedisce la formazione delle papille giganti o riduce la formazione di depositi.
Le AKC e VKC sono le forme più difficili da
trattare, poiché l’alto rischio di perdita di visione impone un immediato intervento. Gli steroidi
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Occhio
alle allergie
sono indicati, come la combinazione di antistaminici e stabilizzatori di membrana. La nuova terapia è la immunosoppressione con ciclosporina
A in collirio (reastasi, una goccia 2 volte al dì). I
pazienti con coinvolgimento palpebrale trovano
sollievo con il tracolimus topico pomata, un immunomodulatore più efficace della ciclosporina
ma usato solo per uso dermatologico. Nelle forme giganto-papillari la sospensione delle LAC
per una settimana riduce le papille. Se i pazienti
usano LAC convenzionali si può consigliare il
passaggio a LAC disposable.
Solo il 5% dei portatori riferisce intolleranza
alle lenti. La reazione di ipersensibilità è legata ai
liquidi utilizzati per la conservazione delle LAC.
È importante conoscerli per indirizzare i pazienti verso soluzioni a base di perossido o l’uso di
LAC disposable. Una storia di atopia aumenta
di 5 volte il rischio di sviluppare questa forma
di intolleranza.
2) Per le cheratocongiuntivite atopiche si
consiglia l’igiene palpebrale con saponi neutri e
applicazioni di pomate a base di cortisone, antibiotici. Il coinvolgimento corneale richiede l’uso
di ciclosporina A topica.
3) Nelle blefarocongiuntivite microbioallergica alla terapia antibiotica locale si deve associare la terapia con Tetracicline per os a basso
dosaggio per un mese.
4) Infine, nella congiuntivite lignea, si può
ricorrere alla Ciclosporina topica.
Summary
Ocular allergies are very frequent and sometimes
so severe to compromise vision. They manifest
themselves in atopic subjects who have a genetic
proneness, after exposure to common stimulus
which are normally harmless for the organism
such as pollen, mites, fur. Allergic conjutivitis are
mainly expression of IgE-mediated hypersensitivity, therefore type I.
This term is generic and includes various clinical
entities that go from seasonal forms to atopic keratoconjunctivitis, which require other therapeutic
intervention.
Key words: allergic conjunctivitis, immunology,
diagnostic exams, therapy, contact lenses.
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2007, vol. IX, n. 1
a r t i c o l o
Disinfezione con soluzioni
al perossido di idrogeno
Susan J. Gromacki
OD, MS, FAAO
Questa è la traduzione della versione originale in inglese dell’articolo: “Hydrogene Peroxide Disinfection”
apparso su Contact Lens Spectrum December 2006, pubblicato da Lippincott Williams & Wilkins.
Si ringraziano l’editore e l’autore per la gentile concessione a tradurre e pubblicare l’articolo.
È interessante notare che nessuno dei
portatori di lenti a contatto coinvolti
nell’esplosione del caso di cheratite
da Fusarium è risultato essere un utilizzatore di sistemi di disinfezione a
base di perossido di idrogeno. Allora
rivediamo questo sistema di manutenzione e le sue caratteristiche.
Il perossido di idrogeno ha un’eccellente efficacia antimicrobica. Agisce penetrando il materiale idrogel e pulendo a fondo la lente allargandone la matrice e ossidando i microbi. Grazie alla
sua natura ipotonica e al suo pH 4.00. è anche in
grado di rompere i legami con proteine e lipidi
e di rimuovere i detriti. Può altresì penetrare il
biofilm microbico. La maggior parte delle soluzioni uniche non possiede questa caratteristica, e
ciò può aver contributo alla sopravvvivenza del
Fusarium.
Il perossido di idrogeno non contiene conservanti, ideale, quindi, per pazienti che soffrono di
occhio secco o ipersensibilità. Due dei sistemi in
commercio, inoltre contengono agenti umettanti
addizionali.
I pazienti che utilizzano soltanto il perossido
abbinato al risciacquo della lente per 10 secondi,
adottano una buona soluzione per lenti a contatto che hanno una durata di tre mesi o inferiore;
mentre se combinato con un pulente, il perossido di idrogeno è il sistema di pulizia da scegliere
in caso di lenti prescritte per un periodo di tre
mesi o più.
Lippincott Williams e Wilkins non è responsabile
per eventuali errori di traduzione.
Lippincott Williams e Wilkins non consiglia o
pubblicizza prodotti, servizi o dispositivi.
Storia
Il primo sistema al perossido monofase AOSept (CIBA Vision) è apparso nel 1982. È immediatamente risultato più pratico della disinfezione termica. Nondimeno, la quota di mercato
delle soluzioni al perossido è diminuita dal 20
percento del 1993 all’8 percento di oggi. Ciò è
sicuramente dovuto ai continui miglioramenti delle soluzioni uniche. Ma potrebbe essere
anche dovuto ad effetti di azioni di marketing;
infatti pochi sono i campioni di sistemi di disinfezione H2O2 che vengono ormai prodotti. Si è
inoltre creata la convinzione che i nostri pazienti
non siano in grado di seguire una manutenzione
che richieda lo strofinamento della lente e l’uso
di una soluzione con il beccuccio di avvertenza
rosso. Qui risiede lo svantaggio del sistema: una
cheratite di origine chimica per quei sfortunati
pazienti che accidentalmente mettono nei loro
occhi una goccia di H2O2.
La verità è che i pazienti che usano il perossido sono tra quelli che seguono di più le istruzioni e tra i più fedeli alla soluzione consigliata, lo
abbiamo potuto constatare quest’anno durante
la temporanea sospensione della produzione di
AOSEPT e AOSEPT PLUS (CIBA Vision).
Educazione del paziente
La concentrazione al 3% trovata in queste
soluzioni provvede ad un’ottimale disinfezione
delle lenti. Nella maggioranza dei casi ci vogliono circa 10 minuti di esposizione per eliminare
la maggior parte dei batteri e dai 45 ai 60 minuti
per i funghi. È necessario informare i pazienti
che questa soluzione è microfiltrata e non è sostituibile con l’acqua ossigenata che si può trovare
in farmacia.
Siccome l‘H2O2 può essere tossico per l’epitelio, è necessario inoltre educare i pazienti sull’importanza di effettuare una completa neutralizzazione del perossido, ed enfatizzare che ciò può
essere ottenuto solo con il portalenti del sistema.
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Disinfezione con soluzioni
al perossido di idrogeno
Ciò che rimane nel contenitore al termine del processo è soluzione salina senza conservanti; i pazienti dovrebbero mettersi le lenti prendendole
direttamente dal contenitore. Risciacquarle con
l’H2O2 è controindicato, mentre è accettabile il risciaquo con soluzione salina sterile.
Neutralizzazione
La neutralizzazione avviene tramite una tavoletta enziamatica catalitica oppure tramite un
disco di platino catalitico, a seconda della marca
utilizzata.
La maggioranza dei sistemi indica un tempo
di neutralizzazione di sei ore, anche se i dischi
più nuovi neutralizzano più velocemente di
quelli più vecchi. I produttori raccomadano di
sostituire il disco/contenitore ogni tre mesi.
Una neutralizzazione inadeguata può portare ad iperemia, lacrimazione, epifora, chemosi
bruciore, fitte acute, fotofobia e cheratite puntata
superficiale. Con misure palliative, la superficie
anteriore guarisce solitamente in 24 ore.
Cosa è disponibile
Nel mio prossimo intervento, discuterò le
caratteristiche delle varie marche di perossido
d’idrogeno disponibili oggi.
La Dott.ssa Gromacki fa parte di un gruppo di
studio di Burke, Virginia, ed è stata membro di Facoltà del Dipartimento di Oftalmologia e Scienza Visiva
dell’Università del Michigan.
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r u b r i c a
immagini di lac
Fabrizio Zeri
La lente sale... la lente è
piatta!
Di fronte ad una condizione
clinica può accadere di esprimere un giudizio o trarre una
conclusione considerando solo
quei segni che risaltano evidenti
ai nostri occhi, senza esaminare
più approfonditamente la situazione. Ecco perché guardando
il caso riportato in Fig. 1 può
nascere spontanea l’equazione:
“la lente sale, allora la lente è
piatta”. Se però si considera che
questa immediata spiegazione
potrebbe non essere l’unica, allora si potrebbero effettuare quelle
azioni necessarie alla “diagnosi
differenziale contattologica”. In
questo caso ciò che dirime i dubbi del caso, è l’eversione palpebrale (Fig. 2 e 3) che, per inciso,
non andrebbe considerata come
controllo opzionale ma bensì
controllo di routine durante ogni
esame contattologico. L’eversione palpebrale evidenzia una
reazione ipertrofica palpebrale
piuttosto severa responsabile
del decentramento della lac.
Ma riassumiamo il caso in
questione: SP, 38 anni, è un‘impiegata che usa lac convenzionali ad alta idratazione di sf -18.00
D sull’od e sf-19.00 D sull’os. È
portatrice di lac dall’età di 13 anni in modalità giornaliera
con uso in media di 12/14 ore al
giorno. Effettua manutenzione
con perossido d’idrogeno con
catalasi in pasticca. Si presenta
all’esame lamentando i seguenti
sintomi: leggero arrossamento
congiuntivale, secrezione, leggera fotofobia e soprattutto visione
fluttuante all’ammiccamento!!
L’esame evidenzia iperemia bulbare e limbare stadio 1,5, consi-
stente secrezione mucosa e soprattutto una
ipertrofia palpebrale di
stadio 4 evidente nelle
zone 2 e 3 (Fig. 4) sia
in luce bianca che con
fluoresceina (CCLRU
grading scales).
La condizione in
questione fu descritta
per la prima volta da Fig. 1
Spring nel 1974 e ampiamente studiata negli
anni successivi da molti
autori, tra i quali, spicca
il contributo della Allansmith e dei suoi collaboratori che nel 1977
la battezzarono congiuntivite papillare gigante
per via del formidabile
aumento di grandezza
delle papille della con- Fig. 2
giuntiva
palpebrale
superiore. Oggi si preferisce chiamarla congiuntivite
papillare indotta da lenti a contatto
(l’acronimo più usato è quello
inglese: CLPC) perché la definizione consente di descrivere
anche casi meno gravi che lungo
un continuum vanno dalla normalità alla condizione gigante
che del continuum rappresenta
la manifestazione più severa. I
segni oggettivi della CLPC, oltre
all’aumento della presenza di
muco, vanno ricercati esclusivamente sulla congiuntiva tarsale
della palpebra superiore e sono
l’edema, l’iperemia, la rugosità della superficie e l’ipertrofia
papillare con possibile presenza
d’infiltrati e lacerazioni alla sommità delle papille che gli conferiscono un tipico colore bianco
cremoso (Fig. 2). La CLPC può
essere graduata grazie alle scale
di quantificazione della risposta
oculare, ma si dovrebbe far riferimento nella valutazione dei
segni solo alle zone 1, 2 e 3 di
Fig. 4 (l’aspetto ipertrofico della
congiuntiva nelle zone laterali
4 e 5 e quello lungo la linea di
piegatura dell’eversione non andrebbe invece considerato).
I segni soggetti della CLPC,
la cui intensità correla positivamente con quella dei segni oggettivi (Efron, 1999), sono: prurito,
presenza di secrezione mucosa
fin dal risveglio, discomfort progressivo con l’uso delle lac, sfocatura intermittente e eccessivo
movimento e/o decentramento
della lac. Quest’ultimo sintomo
è chiaramente anche il segno
evidente del caso riportato in
Fig. 1 e dipende dalla maggiore
frizione tra le papille ingigantite
e la superficie della lac il tutto
amplificato dall’effetto “adesivo” del muco (Efron, 1999).
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r u b r i c a
immagini di lac
Fabrizio Zeri
Fig. 3
Fig. 4
Molti sono i fattori in grado d’influenzare l’insorgenza e
la severità della CLPC: tipo di
lac, modalità di sostituzione,
modalità d’uso, manutenzione usata, stagione dell’anno
(Larke, 1985; Efron, 1999). L’incidenza della CLPC è maggiore
nell’uso di lac morbide convenzionali rispetto alle lac morbide a rimpiazzo frequente o alle
RGP. In genere l’uso continuo
alza l’incidenza per tutti i tipi
di lac. L’aspetto della CLPC è
inoltre diverso per tipologia di
lac usate: nei portatori di RGP
è caratterizzata dall’ipertrofia
di poche papille isolate, nei
portatori di morbide invece
l’ipertrofia interessa più diffusamente l’intero tappeto congiuntivale come in Fig. 2. Per
interpretare questi dati è necessario valutare le ipotesi sulla
causa scatenante la CLPC che
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2007, vol. IX, n. 1
sembrerebbero principalmente 2:
- frizione meccanica tra
lac e congiuntiva tarsale;
- reazione allergica ai
depositi presenti sulla
superficie della lac.
La causa meccanica
è stata ipotizzata perché una reazione molto simile alla CLPC si
riscontra anche quando intervengono sulla
congiuntiva altri tipi di
trauma indotti ad esempio da protesi o punti di
sutura esterni. Reazione
che si risolve completamente rimuovendo la
causa del traumatismo.
Per causa allergica
s’intende l’instaurarsi
del meccanismo di reazione di ipersensibilità
immediata
(mediata
dalle IgE) o ritardata (mediata
dai linfociti T) ad uno specifico
antigene che nel caso della CLPC
sarebbero le proteine (soprattutto denaturate) accumulate sulla
superficie delle lac (in realtà non
si può escludere un azione scatenante anche da parte di lipidi,
calcio o muco cosi come un’azione di innesco da parte di batteri
e/o tossine). La causa allergica
spiega perché con le lac morbide
a ricambio frequente (soprattutto giornaliere), con cui si riesce a
limitare l’accumulo di depositi,
l’incidenza di CLPC è più bassa.
Limitare l’accumulo di depositi sembra essere quindi il must
nel trattamento contattologico
della CLPC anche se può anche
essere rilevante unire una strategia di riduzione del traumatismo agendo sulla geometria
della lac. Si può limitare l’accu-
mulo di depositi aumentando la
frequenza di sostituzione delle
lac (ad esempio giornaliere), migliorando la pulizia della superficie della lac (ad esempio attraverso l’uso di enzimi e l’azione
giornaliera di rubbing), usando
materiali in grado di accumulare meno depositi proteici (materiali del I gruppo: non ionici
a bassa idratazione; e/o siliconi
idrogel) o anche materiali che
pur attraendo molto proteine
consentono una aderenza che
non porta ad una denaturazione
delle stesse (materiali IV gruppo:
ionici ad alta idratazione).
Nel caso riportato qui
l’elevata miopia costringe necessariamente all’uso di lac
convenzionali. Le strade per intervenire sulla CLPC si limitano
quindi ad una scelta di materiali che riducono l’aderenza o la
denaturazione delle proteine,
ad una maggiore pulizia e ad
un eventuale azione sulla geometria della lac. Comunque in
casi così severi può essere necessario, prima di intervenire
con le strategie contattologiche,
un iniziale periodo di sospensione o di forte riduzione d’uso
durante il quale si può anche
richiedere l’intervento medico
per ridurre farmacologicamente la sintomatologia.
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r u b r i c a
tips & tricks
Laura Boccardo
Una buona occasione
per proporre le lenti a
contatto
Immaginate come ci si sente a provare un vestito nuovo
senza uno specchio! Per i miopi elevati, i presbiti, soprattutto ipermetropi, provarsi le
montature da vista può essere
un’esperienza molto frustrante,
perché non riescono a vedersi
bene nello specchio e si devono
fidare del giudizio degli altri.
A volte poi, capita che abbiano
davvero delle sgradevoli sorprese, quando si vedono nitidi alla consegna dell’occhiale.
Proponete un paio di lenti usa
e getta a tutti i pazienti che devono scegliere la montatura e
che non utilizzano già lenti a
contatto: non importa che la
correzione sia proprio precisa.
Non tutti si sentiranno di farsi
mettere da voi un paio di lenti, ma chi accetterà vi sarà poi
grato di avergli offerto una soluzione a cui non aveva ancora
pensato. Inoltre, alcuni di questi saranno talmente entusiasti
della possibilità di vedersi senza occhiali, che decideranno di
portare le lenti a contatto anche
in altre occasioni. (L.B.)
Lenti RGP di colore
diverso
Quando vi fate costruire un
paio di lenti a contatto RGP dal
vostro laboratorio di ricettazione, se possibile, chiedete che la
lente destra e la sinistra siano
costruite di due colori diversi,
in modo che il paziente non
confonda le due lenti. Spesso,
bottoni dello stesso materiale
sono disponibili in tinte differenti. Tranquillizzate i pazienti che queste lievi colorazioni
non fanno vedere di due colori
diversi, né hanno alcun effetto
estetico sul colore degli occhi.
(L.B.)
era eccessiva e la paziente è rimasta molto soddisfatta della
ingegnosa soluzione.
Antonio Calossi
Un allarme nel telefonino
Quando le informazioni
sono contrastanti
I vostri pazienti si dimenticano di sostituire le lenti a contatto
alla fine del mese? Molti telefoni
permettono di impostare facilmente una sveglia a cadenza
mensile. Suggeritegli di impostare un allarme nel loro cellulare,
la mattina presto, in un orario in
cui si stanno preparando per andare a scuola o a lavorare. Altri
pazienti troveranno comodo utilizzare il calendario elettronico
del loro PC. A questo punto non
avranno più scuse per allungare
la vita delle loro lenti a contatto.
Jay D. Petersma
Contact Lens Today 9 Aprile 2006
Due lenti in silicone
idrogel
Una serata importante e la
lente a contatto rotta o persa
proprio al momento sbagliato.
Se la correzione è elevata, non
è possibile trovare una lente disposable per tamponare l’emergenza, ma due sì! Come si possono fare i piggy-back con una
lente morbida e una RGP, ugualmente si possono mettere due
lenti morbide una sopra l’altra
nello stesso occhio. È capitato
ad una nostra paziente con una
miopia di -16.00 D: si è rivolta a
noi, molto dispiaciuta di doversi presentare ad una festa con
gli occhiali e abbiamo risolto il
problema con due lenti in silicone idrogel di -6.00 e -10.00 D.
Il Dk/t di questo piggy-back è
superiore a quello di una sola
lente tradizionale, la sensazione di presenza delle lenti non
Brian Chou, nel suo articolo
“Repairing Contact Lens Care”
pubblicato sul numero di Febbraio di Contact Lens Spectrum,
solleva un interessante problema: i professionisti sanitari in
generale non sono più le uniche
fonti per i pazienti che cercano
informazioni riguardo alla loro
salute. Oggi le informazioni arrivano da fonti molto varie: da
pubblicità rivolte direttamente
al consumatore, da Internet, dai
mass-media e anche dal passaparola di amici e parenti. A quale fonte presteranno maggior
credito i pazienti, nel caso due
informazioni siano contrastanti fra loro? Il problema si può
porre nel momento di scegliere
il tipo di lenti, o i tempi di sostituzione, o il sistema di manutenzione. Perché un paziente decida
in modo consapevole di aderire
alle prescrizioni, e quindi in definitiva qualsiasi trattamento
abbia successo, non ci si può più
limitare a dirgli cosa fare e aspettarsi che lo faccia, è necessario
educare il paziente in modo
proattivo circa i costi e benefici
delle indicazioni prescritte.
Avete un piccolo trucco o
qualsiasi suggerimento che
possa risolvere i problemi più
comuni che si incontrano nella
pratica contattologica di tutti i
giorni? Avete piacere di condividerlo con i colleghi?
Inviate i vostri Tips&Tricks
alla redazione di LAC.
28
2007, vol. IX, n. 1
r u b r i c a
in libreria
Laura Boccardo
Novità editoriali
Presentiamo una rassegna di
novità editoriali pubblicate negli ultimi mesi.
Contact Lenses
Anthony Phillips, Lynne Speedwell
5a edizione
Butterworth Heinemann Editore
ISBN 0750688181 / 9780750688185
Copertina rigida
680 pagine, 650 illustrazioni
Pubblicato a Settembre 2006
Con CD ROM
È appena uscita la quinta edizione di “Contact Lenses” di Anthony Phillips, in collaborazione
con Lynne Speedwell. Completamente aggiornato, questo libro si presenta ancora una volta
come un testo di riferimento per
tutti coloro che si occupano di
lenti a contatto. Dai concetti di
base fino ai più recenti sviluppi
nel campo dei materiali e delle
geometrie, tutto ciò che vi serve
è racchiuso in un solo volume.
http://intl.elsevierhealth.
com/optometry/
Optometry A-Z
Nathan Efron
Butterworth Heinemann editore
ISBN 0750649135 / 9780750649131
Copertina rigida
424 pagine, 371 illustrazioni a colori
Pubblicato a Dicembre 2006
Questo testo si presenta come
un dizionario enciclopedico dell’optometria: centinaia di termini e definizioni sono presentati
in ordine alfabetico per una più
rapida consultazione. Sono trattati tutti gli argomenti correlati
all’optometria: patologia, anatomia, ottica oftalmica, tecniche
optometriche, visione binoculare, lenti a contatto, ipovisione,
visione dei colori, campo visivo
e optometria occupazionale. È
completato da utili appendici,
incluse le grading scales.
http://intl.elsevierhealth.
com/optometry/
29
2007, vol. IX, n. 1
Eye Essentials: Soft Lens Fitting
Andrew Franklin e Ngaire Franklin
196 pagine, 32 illustrazioni
Pubblicato 2007
www.elsevier.com
Eye Essentials: Rigid GasPermeable Lens Fitting
Andrew Franklin e Ngaire
Franklin
212 pagine 28 illustrazioni
Pubblicato 2007
www.elsevier.com
I libri della serie Eye Essentials
sono testi di base, di rapida
consultazione, dove sono enfatizzati gli aspetti pratici, più che
teorici di ogni argomento. Qui
anche il contattologo più indaffarato può trovare facilmente le
informazioni essenziali riguardanti le lenti a contatto.
Dry Eye Disease
The Clinician’s Guide to Diagnosis and Treatment
Penny A. Asbell, Michael A. Lemp
Thieme editore
Pubblicato 2007
232 pagine, 68 tavole, 110 illustrazioni; Copertina rigida
ISBN: 9781588904126 /
9783131397713
La più recente guida per affrontare uno dei problemi che maggiormente assilla i portatori di
lenti a contatto ed i loro applicatori. Il testo, a cui hanno collaborato esperti a livello mondiale, anche italiani, illustra le
nuove tecniche diagnostiche, i
nuovi approcci per classificare
i pazienti, gli attuali trattamenti medici e chirurgici.
www.thieme.com
Nei prossimi numeri faremo
in modo di pubblicare una recensione più ampia di alcuni di
questi testi.
Note
per gli autori
Lenti a contatto (lac) è una rivista il cui obiettivo è fornire ai professionisti del settore, ricercatori e studenti, informazioni aggiornate sulle ricerche cliniche e scientifiche nell’ambito dell’area
contattologica, nella fisiologia e patologia dell’occhio esterno.
tati. Articoli di rassegna bibliografica, casi clinici, descrizioni
di nuovi strumenti o procedure dovrebbero essere costituiti
da: sommario, introduzione, testo e commenti.
Sono benvenuti tutti gli articoli originali a carattere clinico, di
ricerca, rassegne bibliografiche, casi clinici ed editoriali che
trattino argomenti legati alla contattologia. Possono anche
essere pubblicate lettere attinenti lo sviluppo professionale e
la sua evoluzione, l’educazione e gli eventi del settore.
Bibliografia
I riferimenti nel testo dovranno essere soltanto numerici e
riportati con un corpo più piccolo ad apice.
L’elenco dei riferimenti deve essere riportato in pagine separate del testo e dovrà essere redatto secondo le modalità sotto elencate, rispettando la punteggiatura e lo stile indicati:
Tutti gli articoli devono essere inviati all’attenzione di:
Marica Lava o Oscar De Bona
CIBA Vision s.r.l.
Via E. Mattei, 11, 30020 Marcon (VE)
Articoli di riviste
Cognome e iniziale del nome dell’autore/i, titolo dell’articolo, titolo della rivista abbreviato secondo le norme codificate,
anno, volume, prima e ultima pagina in cui appare l’articolo.
I lavori inviati non devono essere stati precedentemente pubblicati su altre riviste o presentati per la pubblicazione contemporaneamente ad altri giornali. Il testo dell’articolo, corredato da eventuali immagini, deve essere inviato in duplice
copia per essere esaminato. Il lavoro deve pervenire anche su
supporto magnetico. Dopo la revisione dei referees, l’autore
corrispondente sarà informato sull’esito della revisione. Nel
caso d’accettazione del lavoro presentato, farà seguito la documentazione necessaria per la cessione dei diritti.
Dattiloscritto, dischetto e immagini originali, anche se non
pubblicati, non saranno necessariamente restituiti.
Nel caso che la numerazione delle pagine della rivista non
segua un ordine annuale, accanto al numero del volume indicare, tra parentesi, anche il numero del fascicolo.
Preparazione del dattiloscritto e del supporto magnetico
I dattiloscritti devono pervenire su fogli A4.
Impostazione margine superiore 2,50 cm, inferiore e laterale,
destro e sinistro, 2 cm.
Per il frontespizio, il sommario, il testo, i ringraziamenti, la
bibliografia, le tabelle e le didascalie delle illustrazioni utilizzare il carattere Times New Roman corpo 12. Le pagine
devono essere numerate in modo progressivo iniziando dal
frontespizio. Tutti i lavori accettati per la pubblicazione debbono pervenire anche su supporto magnetico, nei formati
Macintosh e IBM compatibili elencati:
MacWrite, Microsoft Word, Solo testo, R.T.F.
Frontespizio
La prima pagina deve includere il titolo per esteso, ed eventualmente anche ridotto, il nome e cognome, per esteso, degli autori nella sequenza desiderata, eventuali istituti o enti
d’appartenenza, il nome, l’indirizzo ed il numero di telefono
dell’autore cui fare riferimento per la corrispondenza.
Sommario
Il sommario in lingua italiana, che non deve contenere più di
130 parole, deve essere riportato su una pagina separata. È
auspicabile che l’autore sottoponga anche un sommario più
esteso, massimo 230 parole, in lingua inglese. Entrambi devono contenere la parte centrale del tema trattato, il metodo
di lavoro, i risultati e le conclusioni.
Parole chiave
Per facilitare la schedatura degli articoli indicare da 3 a 7
parole chiave per ogni articolo. Tali parole chiave, in lingua
italiana ed inglese, debbono seguire i relativi sommari.
Testo
Gli articoli di ricerca dovranno essere comprensivi di: introduzione, descrizione del materiale, metodo di lavoro, risultati e discussione. L’introduzione deve riportare in modo
conciso gli obiettivi dello studio. Il materiale e i metodi utilizzati devono essere descritti in dettaglio, mentre i risultati
dovrebbero essere descritti in maniera succinta. La discussione deve essere limitata all’osservazione dei dati presen-
Esempio di articolo da rivista
Simmons PA, Tomlinson A e Seal DV. The role of Psedomonas aeruginosa biofilm in the attachment of Acanthamoeba
to four types of hydrogel contact lens materials. Optom Vis
Sci, 1998; 75: 860-866
Libri
Cognome e iniziale del nome dell’autore/i, titolo e sottotitolo dell’opera con iniziali maiuscole, luogo di edizione, editore, anno, n. pagine.
Esempio di libro
Fletcher R e Still DC. Eye Examination and Refraction.
Oxford, Blackwell Science, 1998, 58-60.
Nel caso che si faccia riferimento ad un capitolo di libro:
Woodward G. Clinical applications of contact lenses. In Edwards K. e Llewellyn R. Optometry. London, Butterworth,
1988, 486-500.
Tutte le citazioni devono essere organizzate sulla base della
numerazione del testo e non secondo l’ordine alfabetico.
Illustrazioni
Per illustrazioni si intende materiale come: fotografie, disegni,
grafici, tracciati, ecc. La qualità delle immagini deve essere
elevata, i disegni e i grafici professionali. Ogni illustrazione
deve essere numerata con lo stesso numero citato nel testo.
Sono accettate fotografie in bianco e nero e a colori in formato digitale JPG o TIF.
Le immagini devono essere tutte corredate di didascalia.
Ogni immagine deve riportare le seguenti informazioni:
- titolo del lavoro
- numero della figura
- nome del primo autore e una freccia indicante la parte alta
della fotografia.
Organizzazione e spedizione del supporto magnetico
È indispensabile che il file rispecchi le caratteristiche finali
dell’articolo.
L’etichetta del supporto deve riportare:
- il nome dell’autore corrispondente
- un titolo dell’articolo, eventualmente ridotto
- il sistema operativo
- il formato
- il processore word utilizzato, con versione e numero
Materiale aggiuntivo come tabelle, legende, bibliografia ecc. devono essere salvati su file individuali, uno per ogni categoria;
particolarmente gradita è la preparazione di un file legenda.
32
2007, vol. IX, n. 1