INTERVENTO PRESENTAZIONE DEL SAGGIO DI AMEDEO SPAGNUOLO PHILIP DICK FILOSOFO Quando qualche settimana fa Amedeo mi ha proposto di intervenire alla presentazione del suo saggio, per fornire, come disse, una consulenza scientifica sull’opera di Philip Dick, oltre a sentirmi onorato per poter manifestare, con la mia umile presenza, la sua pregevole opera, ho immediatamente colto la bellezza della sfida e il fascino di tale compito. E lo ringrazio coram populo, con l’affetto di un amico, per avermi dato l’opportunità di riflettere e disquisire con Voi, sui temi di natura scientifica che Philip Dick ha trattato nella sua opera. La mia preparazione è proprio di quel tipo che si definirebbe scientifica dato che sono un ingegnere strutturista e ho la fortuna di insegnare o almeno di provarci…, nella scuola superiore. Certo! Non è proprio facile il compito che il buon Amedeo mi ha assegnato, ma per uno come me che ha sempre visto con grande attenzione e interesse tutte le questioni di natura scientifica e tecnica, comunità, connesse o meno alla propria azione nell’ambito della è parso come una gustosa occasione per divertere, come dicevano gli antichi, cioè deviare dal consueto, dall’ordinario per sconfinare nell’extra-ordinario. Cioè per divertirmi. Uno dei miei divertimenti preferiti è, per l’appunto, cercare nella letteratura che mi capita di leggere con piacere, soprattutto in quella non scientifica (sarebbe troppo facile altrimenti!), … cercare e annotare quelle gemme di scienza incastonate in ambientazioni letterarie che nessuna attinenza con esse paiono avere. Ad esempio mi piace citarvi alcuni mirabili brani, anche per solleticare la vostra curiosità. Ognuno di noi ha un suo testo preferito, che legge e rilegge, sottolinea, brandisce come un arma o protende come scudo o porta sempre con se per avere compagnia, sostegno, rifugio… conforto. Per capirci… quello che in maniera assai riduttiva e superficiale è spesso chiamato libro sul comodino. Uno dei miei preferiti è Moby Dick di Herman Melville. Quello con la traduzione di Cesare Pavese. Un capolavoro assoluto della letteratura di tutti i tempi. In un passo del capitolo n. 96 intitolato “La raffineria”, proprio della traduzione del grande poeta, si legge: Created with novaPDF Printer (www.novaPDF.com). Please register to remove this message. <<Sollevando il quartiere si scoprono le grandi marmitte, due in tutto, e ciascuna della capacità di parecchie botti. Quando si è dietro a strofinarle il … luogo si presta per le profonde meditazioni matematiche. Fu nella marmitta sinistra del Pequod, che per la prima volta mi colpì il fatto notevole che , in geometria, tutti i corpi che scivolano giù per il cicloide, ad esempio la mia steatite, da qualunque punto discendano impiegano sempre lo stesso tempo.>> L’autore si riferisce cicloide che, grazie ad una particolare all’acume di curva Huyghens, la rivelò cosiddetta proprietà tautocrone che significa: di ugual durata. Sferette poste a varie altezza sui fianchi di un recipiente con tale forma, lasciate libere contemporaneamente raggiungeranno il fondo nello stesso istante. Ismaele, il narratore della storia, lasciava cadere la steatite, una varietà del talco, invece delle palline, per ottenere il medesimo risultato. Trattasi di una mirabile applicazione del moto armonico, quello del pendolo isocrono. In un'altra bellissima opera di un altrettanto illustre scrittore, Carlo Emilio Gadda (ingegnere elettrotecnico prestato alla letteratura con immenso vantaggio della letteratura stessa, ma senza discredito alcuno della pristina attività), La cognizione del dolore, c’è un passo mirabile che recita: << Avendogli un dottore ebreo, nel legger matematiche a Pastrufazio e col sussidio del calcolo, dimostrato che il gatto (di qualunque doccia cadendo) ad arrivar sanissimo al suolo in sulle quattro zampe, che è una meravigliosa applicazione ginnica del teorema dell’impulso, egli precipitò più volte un bel gatto dal secondo piano della villa, fatto curioso di sperimentare il teorema. E la povera bestiola, atterrando gli diè di fatti la desiderata conferma, ogni volta, ogni volta!... come un pensiero che, traverso fortune, non intermetta dall’essere eterno; ma, in quanto gatto, poco dopo morì, con occhi velati di una irrevocabile tristezza, immalinconito da quell’oltraggio. Poiché ogni oltraggio è morte.>> Gadda che di scienza sapeva, si riferisce a quel teorema della dinamica chiamato per l’appunto dell’impulso, che spiega come l’ammortizzamento prolungato che il gatto è in grado di compiere Created with novaPDF Printer (www.novaPDF.com). Please register to remove this message. sulle sue zampe non appena tocca il suolo, fermando così la sua caduta, sia capace di ridurre notevolmente la forza d’impatto proprio sulle zampe. Lo stesso Carlo Emilio Gadda nel suo racconto L’Adalgisa, incluso in L’Adalgisa – Racconti milanesi, Einaudi 1940 riporta un interessante nota riguardante i cosiddetti problemi di minimo. << Problemi isoperimetrici: una ragguardevole classe di questioni di minimo (o massimo) trattate nel cosiddetto “calcolo delle variazioni”, arduo e periglioso capitolo dell’analisi. Isoperimetro è detto il problema, da molti invece la risoluzione (algebrica) del problema: indipendentemente dal contenuto dello stesso: (geometrico, meccanico o altro). Un siffatto nome deriva per estensione (antonomasia o sinéddoche) da ciò che il “problema della brachistocrona”1 o “problema della minima discesa”, cioè discesa in un tempo minimo, (proposto da Giovanni Bernouilli in Acta erudito rum, giugno 1696, risoluto dal detto e, altrimenti, dal si lui fratello Giacomo in Id. Id., maggio 1697), è affine ai problemi di dato perimetro e massima area, di uguale ossia pari perimetro, di “iso-perimetro”, già considerati dai Greci. Analiticamente il problema generale del calcolo delle variazioni dà luogo alla ricerco di un algoritmo ossia forma algebrica y, funzione incognita (in partenza) della variabile x, tale che renda massimo (o minimo) l’integrale definito, tra limiti assegnati, di una funzione nota F contenente la y, le sue derivate, e la x. Un isoperimetro classico, al quale il Nostro aveva forse il pensiero, è il problema di Newton (Principia Mathematica ecc., Londra 1686, libro II, sezione VII, proposizione 34, scolio): formulabile in questi termini: “Cercare la curva passante per due punti dati, rotante intorno ad un asse dato, generante il solido che incontra la minima resistenza all’immersione in un liquido, nella direzione dell’asse”. Cioè qual sagoma deve avere un proietto, per esempio un siluro, per incontrare a prora la minima resistenza da parte del mezzo liquido attraversato. È questo il primo problema delle variazioni. I ditidischi non gli hai a ritenere e’ siano solidi di rotazione, come accade al pezzo tornito di Isacco Newton; ma insomma le curvature principali, (il “garbo” delle costruzioni navali […nelle costruzioni 1 Curioso che sia Herman Melville sia Carlo Emilio Gadda si occupino delle medesima curva, anche se per differenti applicazioni Created with novaPDF Printer (www.novaPDF.com). Please register to remove this message. navali, la curvatura dello scafo, oppure la sesta di legno che serve a rilevarla. N.d.r.], come quello di un po’ tutti i natanti, e i volanti, tendono in essi a risolvere per evoluzione (costruzione biologica della specie) problemi di minima resistenza. Altro problema naturale di minimo, da noi umani risolubile per procedimento derivatorio, (calcolo differenziale), è il problema di “superficie minima” del della chiusura di fondo nelle cellette a prisma esagonale dell’arnia. Vi accenna Maurizio Maeterlink nel suo libro Les vies des abeilles. La chiusura del fondo di ogni celletta prismatico-esagonale è costituita da tre facce rombiche inclinate rispetto all’asse della cella. [Si pensi a una matita e se ne faccia la punta con tre tagli netti poco inclinati: la forma che ne scaturisce risulta assai simile a quella del fondo delle celle. N.d.r]. L’inclinazione dei tre rombi è tale da risultarne minima la totale superficie e però minimo l’impiego della cera, a parità di volume racchiuso (capienza della cella). L’operaia ape ha risolto il problema biologicamente e d’istinto, se pur d’istinto si tratti, o non invece di ragione. Il fisico entomologo Renato Antonio Ferchault de Réaumur (1683-1757) propose la questione al matematico Koenig; il quale, col sussidio del calcolo, reperì che l’angolo acuto dei rombi doveva resultare di 70°34’ affinchè la superficie di ogni cella risultasse minima (gli angoli dei rombi dipendono dalla inclinazione di essi sul loro asse). Colin Mac Laurin calcolò 70°32’, Cramer 70°31’. Le api avevano adottato e ritengo seguano a usare 70 e 32, maclaurizzando ne’ secoli. Il riscontro sulle celle dell’arnia, voglio dire del favo, mediante misura fisica di precisione, è dovuto a Maraldi: (Giacomo Enrico, 1665-1729, astronomo: nipote di Cassini). I problemi isoperimetrici, radunati e poi sistemati nel calcolo delle variazioni, occuparono via via l’assiduità indagatrice degli analisti, e degli eminenti dall’origine Eulero, dell’analisi Legendre, Ostrogradski, tra essi: da Newton infinitesimale, l’Hospital, Weierstrass, ecc.; ai e dai dì Bernouilli, nostri: Borda, Jacobi, autore principe Mac Gauss, sommo cioè Laurin, Delaunay, Lagrange (Giuseppe Luigi, Torino 1736 – Parigi 1813) e per vent’anni a Berlino, Created with novaPDF Printer (www.novaPDF.com). Please register to remove this message. presidente di quell’Accademia dopo Eulero: da ultimo senatore napoleonico.>> Questa nota, manifesto dell’erudizione, ma anche della provenienza scientifica di Carlo Emilio Gadda è formidabile almeno quanto il gustoso passo da cui è tratta. <<“Il povero Carlo”, defunto marito dell’Adalgisa, si dilettava di entomologia e approfittava di gite in campagna per dar la caccia agli ambiti coleotteri. L’Adalgisa racconta appunto di una scampagnata a San Colombano al Lambro. Il dolce piano, quel pomeriggio, nel sole fulgidissimo, brusiva d’amori e di voli. S’era cavata la giacca, s’era sporto avido con il retino, per una preda di larve: anche di ditidischi adulti, magari: così almeno conferiscono i testimoni. Ma quei vigorosi nuotatori, subodorate le intenzioni del retino, (lo lumarono subito, dal sotto in su), via! s’erano s’erano spiccati come altrettante spole dall’erbe e dagli steli subacquei, dove pareva invece che ci dormicchiassero: lui dietro col suo retino, bravo! come ci fosse probabilità di raggiungerli! In maniche di camicia com’era, teso fino all’ultimo il braccio, Dio com’era peloso!, perché aveva rimboccato la manica. Attaccandosi con la sinistra a un ramo, sì! finché il ramo si scerpò netto: e lui patapùmfete!: dentro come un salame fino al collo. Una nuvola di fango lo aveva subito circondato. Quelli intanto bucarono via l’acqua come siluretti felici, scampati nei roridi e verdi regni, tra i capegli dell’erbe, e l’alghe: salvi dal loro profilo ellittico o paraellittico [a forma di cicloide ad es. N.d.r], che offre, credo, in minimum di resistenza, che segna un optimum della forma natante. E devono aver raggiunto quest’ottimo nella pertinace evoluzione della discendenza, in un loro amore del meglio e poi del perfetto, educendo dalla grossolanità primigenia il garbo del capo, del corsaletto e dell’èlitre, sforzandosi di tendere, tendendo all’ellisse, entro paludi, o gore morte nelle golene dei fiumi: ogni acqua ferma un bacino di esperimenti , ogni specchio livido un mondo da perforare col pensiero: traverso generazioni raggiungendo il loro laborioso integrale isoperimetrico.>> Created with novaPDF Printer (www.novaPDF.com). Please register to remove this message. e millenni Dei ditidischi chimico di scrive formazione, anche Primo un altro Levi: grande “Quei scrittore scarabei, italiano per ragioni idrodinamiche, hanno raggiunto una compattezza e una semplicità di forme che credo unica nel regno animale: visti dal dorso sono ellissi perfette, da cui sporgono zampe mutate in remi.” Da Gli scarabei, incluso in L’altrui mestiere, Einaudi, 1998, pag. 178. E così via, in tal guisa può capitare che leggendo molte opere di un medesimo autore non si possa trovare alcun riferimento di natura scientifica oppure come nel caso di Philip Dick, trovarne tanti al punto di doverli elencare. Philip Dick non aveva una solida preparazione, tutt’altro. Non poteva in alcun modo rivaleggiare con colleghi come Asimov o Clarke, scienziati prima ancora di essere scrittore di fantascienza. Ad ogni modo la sua narrativa può essere messa in relazione con la Scienza a un livello meramente generale, più di metodo che di contenuti, Infatti i personaggi dickiani costruiscono teorie e le sottopongono al vaglio dell’esperienza in un modo che almeno in parte pare influenzato dal metodo scientifico. A tal proposito uno studioso di Philip Dick, Domenico Gallo, sostiene: << I personaggi di Dick dispongono di una teoria della realtà. Essa, nello svolgimento della trama, è falsificata. La vecchia teoria è accantonata e sostituita con la nuova che è in grado di spiegare, all’interno di relazioni tra le proprie proposizioni, l’avvenimento falsificante>>. Per fare ciò non è necessario avere una laurea in fisica come Isaac Asimov. La conoscenza e la competenza possono attestarsi a un livello superficiale, che tuttavia a volte sconfina nell’ingenuità. Del resto lo stesso Dick fa dire al personaggio autobiografico Nichols Brady in Radio libera Albemuth: << Per me le teorie sono come gli aeroplani all’aeroporto internazionale di Los Angeles: ce n’è uno ogni minuto>>. Tale affermazione conferma che la Scienza non fu mai al centro degli interessi primari di Dick, ma incidentalmente irruppe nelle sue onnivore letture che, come si sa, comprendevano numerose enciclopedie e la Encyiclopedia Britannica in testa. E divennero Created with novaPDF Printer (www.novaPDF.com). Please register to remove this message. strumentali per condire la sua produzione letteraria e al contempo offrirgli spunti di meditazione su questioni più alte, come il senso della vita e le questioni ontologiche. In effetto le incursioni che Dick compie nella Scienza hanno un obbiettivo immediato che si può definire tecnico: costruire lo scheletro portante della storia. E uno mediato che si può definire meditativo: sottoporre il costrutto fondante alla prova del suo immaginifico sviluppo futuro facendone intravvedere il possibile progredire, ma legandolo indissolubilmente alle questioni alte. Val la pena quindi passare in rassegna le principali tracce di natura scientifica che nei suoi scritti egli ha disseminato. Tra esse viaggiando, ho trovato innumerevoli approdi per la mia curiosità e tra tutti ne maggiormente ho annotato interessanti alcuni… individuando quelli in che essi un ho giudicato denominatore comune. Vale a dire: ognuno ha una connotazione scientifica, talvolta forte altre meno, ma in ogni caso ha un carattere che travalica la sua mera essenza fisica per irrompere naturalmente nella metafisica. In quell’ambito, cioè dove le domande si liberano si tutti gli orpelli e accessori, diventando sostanziali per costituire un ponte verso la filosofia. La filosofia di Philip Dick. Ecco i temi ordinati per disciplina: o BIOLOGIA: la geometria delle api o CIBERNETICA: androidi o FISICA: entropia (kipple), l’omeòstasi e la retroazione – negentropia, quanti e principio di indeterminazione di Heisenberg o MATEMATICA: il segmento aureo o TEMPO Di essi in maniera sintetica ho riportato le coordinate letterarie e annotato le mie riflessioni. BIOLOGIA: la geometria delle api Nel capitolo XII di Radio libera Albemuth si trova un riferimento sull’intelligenza delle api. Le cellette delle api sono prismi cavi di cera aventi il perimetro esagonale regolare. Si affiancano le une alle altre per modo di condividere le superficie laterali e si contrappongono a formare Created with novaPDF Printer (www.novaPDF.com). Please register to remove this message. due strati con le aperture sulle facce opposte, condividendo anche le basi. Così è formato il cosiddetto favo. Un architettura in apparenza assai semplice, nasconde in verità un impostazione rigorosa e di una tale efficienza da lasciare stupefatti al punto da indurre questioni metafisiche! La sola scelta della sezione retta trasversale di forma esagonale ha dell’incredibile: perché proprio questa forma? Il fondo poi poteva essere piano invece, come detto, ha la forma di una piramide regolare a tre facce condiviso da altrettante cellette contrapposte e opportunamente disassate. Perché tale conformazione? Tutto deriva dal tentativo di rendere minimo il consumo di cera e quindi il dispendio di energia che la sua produzione comporta. Infatti tra tutte le forme di poligoni regolari possibili capaci di alloggiare le larve di forma cilindrica senza creare inutili vani, quella esagonale è la più economica. Viepiù tra le possibili è quella che a parità di superficie ha il perimetro più piccolo. Se si considerasse la possibilità di realizzare le cellette con le seguenti forme: triangolare, quadrata, circolare ed esagonale e si calcolasse il perimetro di ognuna di esse a parità di superficie, si scoprirebbe che il cerchio ha il valore minimo seguito dall’esagono. L’ape però ha scartato il cerchio perché crea vani inutili e ha scelto l’esagono che oltre a soddisfare il problema di isosuperficie permette la condivisione dei lati delle cellette: doppio risparmio di cera verrebbe da dire. In definitiva l’ape con il minimo consumo di cera per la superficie laterale delle cellette ottiene la massima capienza. Ma ove la capacità costruttiva delle api assurge alla meraviglia è, come detto, nella forma del fondo la cui architettura, essa pure, risponde al criterio guida dell’economia nell’uso della cera. Ma di questo si è già detto. Certo qualcuno qualunque cosa areazione della potrebbe come obbiettare: trovare piramide di con i numeri l’allineamento Cheope con dei alcune si può fare condotti stelle di della costellazione del Canis Maior 4000 anni or sono, attribuendo ai costruttori facoltà suggestione, ma non divinatorie. è L’idea dimostrabile con è ricca lo stesso di fascino rigore che e è possibile applicare, ad esempio, alla geometria delle api. Rimane del Created with novaPDF Printer (www.novaPDF.com). Please register to remove this message. campo delle congetture pur avendo una certa connotazione scientifica. La geometria delle api non è così. Perché il favo è sempre lì, millennio dopo millennio, con il suo straordinario bagaglio matematico che chiunque può sottoporre a verifica. Non è mirabolante tutto ciò? E come è possibile che quella che F.G. Lorca definiva con grande rispetto << la carne minima del mondo >>, le api, siano capaci di costruire un così mirabile organismo architettonico? CIBERNETICA: androidi, Nel capitolo XV della Trasmigrazione di Timothy Archer, Philip Dick cita alcuni passi della teoria matematica dell’informazione di Claude Shannon e mostra di avere sufficienti conoscenze sulla ricerca cibernetica degli anni 50. Conoscenze che gli hanno consentito di fantasticare sulla figura degli androidi, gli automi di forma umana, che a più riprese egli ha collocato nella sua produzione romanzesca. Tra tutte le opere di Dick che hanno come protagonisti gli androidi non si può fare a meno di citare “Ma gli androidi sognano pecore elettriche?” del 1968. L’opera è diventata celebre grazie al film di Ridley Scott Blade Runner del quale Dick poté vedere soltanto la prima stesura, incompleta per giunta, dato che il film uscì nelle sale solo dopo la morte dello scrittore. Il romanzo si differenzia dalla pellicola per molti aspetti. Ad esempio il cacciatore di androidi Rick Deckard nel romanzo è una brava persona, sposato e votato al suo dovere con grande scrupolo. Nel film, il personaggio interpretato da Harrison Ford, è un duro di chandleriana memoria e oltretutto si sospetta essere anch’egli un androide (Director’s Cut). Anche la caratterizzazione degli androidi tipo Nexus 6 sfuggiti alle colonie extramondo che Deckard deve “ritirare”, fatta dal regista Ridley Scott e dai suoi sceneggiatori, non appare fedele al testo. Infatti Roy Baty, il capo della banda degli androidi fuggiaschi, quello che nel film è interpretato da Rutger Hauer, nel testo è assai meno atletico, ma soprattutto è infame cioè totalmente privo di sentimenti e crudelmente indifferente alla sofferenza altrui Lontano quindi dalla figura dell’androide agonizzante che in un clamoroso Created with novaPDF Printer (www.novaPDF.com). Please register to remove this message. slancio empatico pronuncia il famoso epitaffio: << Io ne ho visto cose che voi umani…>>. In “Lotteria dello spazio” del 1955 Keith Pelliga è un androide che porta ben visibili i segni della diversità con gli umani: <<…aveva un aspetto pulito, quasi asettico. Non aveva odore, né colore o sapore. Era uno zero, Non […] aveva vita né forza>> (capitolo n. 6). Nell’”Impostore” del 1957 Spence Olham contiene già in embrione tutti i temi legati alla figura dell’androide cari a Philip Dick e che svilupperà nel corso della sua attività di scrittore: la questione dell’identità, quella dei falsi ricordi e il carattere distruttivo dell’autocoscienza. E così via sino ad arrivare a “La formica elettrica” del 1969 che introduce in maniera più articolata e complessa il tema anticipato nell’”Impostore” dell’androide che scopre di essere tale dopo aver creduto di essere umano. Inoltre esso pone le basi per rispondere alle domande fondamentali che, a detta dello stesso Dick, costituiscono la base della sua narrativa: che cosa è reale? e che cosa è umano? Lo stesso Philip Dick stabilisce la connessione così esprimendola: << Realtà false generano esseri umani falsi. Oppure falsi esseri umani produrranno false realtà e le venderanno ad altri esseri umani, trasformandoli infine in contraffazioni di se stessi>>. Tale discorso è accettabile a patto che si abbiano criteri certi per stabilire se una realtà è falsa oppure no e se un essere è autenticamente umano oppure no. Ne “Ma gli androidi sognano pecore elettriche?” la questione sembra risolta dal test Voight-Kampff, ma lo stesso Deckard, il cacciatore di simulacri, si rende conto della sua non completa affidabilità dato che rischia di classificare come androidi umani << con doti empatiche sottosviluppate>>. Tesi perfettamente in linea con l’oscillante visione dickiana dell’androide come essere totalmente meccanico ed etero determinato e come soggetto potenzialmente umano. Lo stesso Dick afferma; << Nell’Universo esistono cose gelidi e crudeli a cui ho dato il nome di “macchine”. Il loro comportamento Created with novaPDF Printer (www.novaPDF.com). Please register to remove this message. mi spaventa, soprattutto quando imita così bene quello umano da produrre in me la sgradevole sensazione che stiano cercando di farsi passare per umane, pur non essendolo. In tal caso le chiamo “androidi”. Per androide non intendo il risultato di un onesto tentativo di ricreare in laboratorio un essere umano. […] Mi riferisco invece a una cosa prodotta per ingannarci in modo crudele, spacciandosi con successo per una nostra simile,>> (Dick 1976) <<Diventare quello che io chiamo – in mancanza di un termine più appropriato – un androide, significa acconsentire a trasformarsi in un mezzo, oppure essere oppressi, manipolati e ridotti a un mezzo, inconsapevolmente o contro la propria volontà: il risultato non cambia.>> (Dick 1972) <<Forse, siamo noi umani – teneri e buoni d’aspetto, con i nostri occhi pensierosi – le vere macchine. E quelle costruzioni oggettuali, gli oggetti naturali che ci circondano – in particolare, i macchinari elettronici da ritrasmissione noi a costruiti, microonde, i i trasmettitori satelliti – e le stazioni potrebbero essere di il travestimento di realtà viventi, nella misura in cui possono far parte più pienamente e in modo a noi oscuro della Mente ultima.>> (Dick 1976) Argomentazioni che in qualche modo prefigurano il modello ideale dell’uomo tecnologico, quello che sempre più si configura come l’uomo-macchina nella duale compenetrazione tra le facoltà proprie delle macchine e le caratteristiche proprie degli umani. In effetto Philip Dick con geniale lungimiranza e sorprendente fantasia configura uno stato di cose talmente avanzato allora, come strettamente attuale ora. E lo connota in maniera negativa ponendo in guardia sul pericolo incombente e prevaricante che, in un mondo sempre più paventato tecnologico, è quello che la gli macchine umani portano seco. costruiscano Il rischio macchine più intelligenti degli stessi creatori e, come avviene in “Ma gli androidi sognano pecore elettriche?”, si entri in una fase di coesistenza. Da monopolisti del pianeta ci si dovrà accontentare di un duopolio con replicanti fatti di silicio e metallo. Ed è pur vero che sinora il procedere vorticoso della tecnologia ha portato ad avere nel mondo circa 6.5 milioni di automi, tra cui 1 Created with novaPDF Printer (www.novaPDF.com). Please register to remove this message. milione per uso industriale e 5.5 per uso privato, dotati di sistemi informatici sempre più autonomi Non senza qualche problema. Basti pensare al malfunzionamento semiautonoma che due anni fa ha ucciso di una mitragliatrice 9 soldati in Sud Africa. Agli errori di droni in Pakistan che hanno provocato la morte di decine di civili. Ai difetti dei sistemi informatici che hanno recentemente provocato un incidente ferroviario a Washington e l’incidente dell’aereo francese precipitato alcuni mesi fa nell’Oceano. Parrebbe insomma che in alcuni casi si verifichino malfunzionamenti tali negli automi da indurre gravi conseguenze per gli umani al punto che in uno degli ultimi incontri che la A..A.I. Advancement for the Artificial Intelligence, uno dei massimi organismi mondiali che si occupa di intelligenza artificiale, ha compiuto in California si è discusso sulla possibilità che il genere umano ha di perdere il controllo di creature computerizzare e sui modi di intervento in tempo utile. L’idea al centro della discussione è presto detta: i sistemi informatici sono sempre più autonomi e inclini alla catastrofe. Urge quindi un intervento di regolazione che sia capace di introdurre in essi alcuni correttivi “morali”. Niente che abbia a che vedere con le famose tre leggi della robotica di Isaac Asimov, ma più prosaicamente… un codice informatico che li istruisca su quando è il caso di fermarsi. Va da sé l’importanza di sensibilizzare tutti gli operatori del settore a valutare con rigore tutte le implicazioni di natura tecnica ed etica che la creazione di sistemi robotizzati sempre più efficienti ed autonomi comporta. Ed è proprio in quest’ordine di idee che si colloca la neonata roboetica (invenzione di un dei massimi esperti italiani di robotica: l’ingegner Gianmarco Veruggio della scuola di robotica di Genova) per i cui dettami la scelta, ad esempio, degli Stati Uniti di dotare entro il 2015 l’esercito di una consistente quota di combattenti non umani, rende palesi gli enormi rischi cui si potrebbe andare incontro. Si pensi solo all’eventualità di un attacco da parte di hackers e all’impazzimento conseguente di macchine progettate per uccidere! I replicanti Nexus-6 di Philip Dick potrebbero essere al confronto docili agnellini! Created with novaPDF Printer (www.novaPDF.com). Please register to remove this message. FISICA: entropia (kipple) e neg-entropia (non-kipple), quanti e principio di indeterminazione di Heisenberg Il kipple, neologismo coniato da Philip Dick, si presenta per la prima volta nel romanzo Ma gli androidi sognano pecore elettriche? A proposito del palazzo di Jhon R. Isidore: << Abitava da solo, in un palazzo cieco e sempre più fatiscente, tra mille appartamenti disabitati. Un edificio che, come tutti quelli simili, cadeva di giorno in giorno, in uno stato sempre maggiore di rovinosa entropia [ into a grater entropic ruin ]. Con il tempo tutto ciò che c’era nel palazzo di sarebbe fuso -una cosa nell’altraavrebbe perso individualità, sarebbe diventato identico a ogni altra cosa, un mero pasticcio di palta [ mere pudding-like kipple ] ammonticchiato dal pavimento al soffitto si ogni appartamento. E dopo di ciò lo stesso palazzo, senza che nessuno ne curasse la manutenzione, avrebbe raggiunto uno stadio di equilibrio informe, sepolto nell’ubiquità della polvere. >> Lo stesso Isidore da la definizione di kipple e ne enuncia le leggi: << La palta è fatta di oggetti inutili, inservibili, come la pubblicità che arriva per posta, o le scatole di fiammiferi dopo che hai usato l’ultimo, o gli involucri delle caramelle o l’omeogiornale del giorno prima. Quando non c’è nessuno a controllarla la palta si riproduce. Per esempio, quando si va a letto si lascia un po’ di palta in giro per l’appartamento quando ci si alza al mattino dopo se ne ritrova il doppio. Cresce, continua a crescere, non smette mai. […] c’è la prima legge della palta: “la palta scaccia la non-palta” [ kipple drives out non-kipple ] >> (capitolo n. 6) Per inciso: la precedente traduzione in italiano riportava il termine inglese kipple, mentre recentemente si è scelto il termine palta che però mal si addice alla bisogna. Infatti se il primo è un neologismo il secondo è una parola esistente e se kipple sta a significare una consistenza di oggetti solidi sminuzzati, la palta richiama una consistenza melmosa, propria della fanghiglia. Il concetto scientifico di entropia aveva precocemente colpito l’autore al punto da evocarlo semplicemente, ma confusamente in Scorrete lacrime, disse il poliziotto. Infatti Jason Taverner all’inizio del capitolo n. 6 dice: << Non c’è una legge della termodinamica che Created with novaPDF Printer (www.novaPDF.com). Please register to remove this message. dice che il calore non si può distruggere, ma solo trasmettere? Però c’è anche l’entropia. >> La notevole suggestione che la grandezza fisica entropia suscitò in Philip Dick, ne fece l’antesignano di un uso metaforico del concetto di entropia che si diffuse negli anni Sessanta e Settanta sia nel campo della fantascienza sia in altri ambiti. Soprattutto per le notevoli implicazioni ch’esso porta seco sull’evoluzione di tutti gli eventi naturali e sull’ineluttabile esito nefasto e livellatore: << È un principio universale valido in tutto l’Universo; l’intero Universo è diretto verso uno stato finale di paltizzazione [ kippleization ] totale e assoluta >> … così Philip Dick afferma infine nel capitolo n. 6 del romanzo anzi citato. Lo stesso Albert Einstein intervistato su quale fosse la legge più importante della Fisica rispose senza esitare: il II principio della Termodinamica. Quel principio enunciato da Clausius che lo condusse poi a introdurre la grandezza fisica entropia. Ma cos’è l’entropia? Segue un breve excursus sulla questione. ENTROPIA Voce dotta dal greco entropie= conversione …a sua volta da en + trepo= rivolgo dentro << Ho voluto intenzionalmente adottare il termine entropia per rimanere più vicino alla parola energia, in quanto le due grandezze… sono così affini in senso fisico che anche nella definizione questo accostamento pare opportuno>> Rudolf Julius Emmanuel Clausius. Clausius scegliendo la parola entropia = rivolgo dentro intendeva indicare dove va a finire l’energia fornita a un sistema. Propriamente egli voleva riferirsi alla grande intuizione del secolo dei Lumi secondo la quale il calore è una forma di energia intimamente legata al moto delle particelle meccaniche interne al corpo. Perciò, distinguendo le due grandezze fisiche calore e temperatura, egli la definì come il rapporto tra la somma dei piccoli incrementi di calore che a livello microscopico subiscono le particelle di cui è composta la materia e che si traduce in un aumento della loro energia cinetica, divisa per la temperatura assoluta durante l’assorbimento di calore. I principio della Termodinamica << la variazione di DU di energia interna di un sistema è uguale alla quantità totale di calore Qtot assorbita all’esterno meno il lavoro totale Wtot compiuto dal sistema: DU= Qtot - Wtot U. Amaldi (relatore) II principio della Termodinamica 1) << In ogni processo spontaneo (cioè senza interventi dall’esterno), il calore passa sempre dal corpo più caldo a quello più freddo >> Created with novaPDF Printer (www.novaPDF.com). Please register to remove this message. Clausius 2) << È impossibile realizzare una trasformazione il cui UNICO risultato sia quello di assorbire calore da un serbatoio caldo e di convertirlo COMPLETAMENTE in lavoro meccanico>> Lord Kelvin (William Thomson) 3) << È impossibile progettare una macchina termica che abbia rendimento uguale a 1>> U. Amaldi (relatore) 4) << Un sistema isolato, che è stato perturbato, giunge a una nuova condizione di equilibrio che è quella cui corrisponde il massimo aumento dell’entropia compatibile con il rispetto del primo principio della termodinamica>> S(A)-S(B)= Si (dQi/Ti)A B > 0 U. Amaldi (relatore) 5) << Entropia ed esco bagassa >> C.F. Kane 6) << Se una cosa può andare male stai sicuro che lo farà>> Legge di Murphy ENTROPIA (definizione matematica) L’entropia è considerata come funzione di stato della sola temperatura, cioè una funzione che dipende solo dallo stato iniziale e da quello finale del sistema e non dal particolare cammino seguito (idem per l’energia interna). In quanto funzione continua monotona e crescente della sola temperatura essa ammette un minimo e un massimo assoluti (teorema di Weierstrass) cui l’universo converge con continuità. L’aumento di temperatura è un fattore strutturale dell’Universo. È impossibile quantificare la temperatura massima a cui tenderà l’Universo dato che non è noto il legame analitico tra le variabili entropia e temperatura, che nell’intera Termodinamica si rappresentano come variabili indipendenti. In definitiva dell’ Universo si conosce lo stato iniziale a entropia nulla, ma non lo stato finale a cui converge: si sa soltanto che entropia e temperatura saranno massime. La funzione entropia non da informazioni sul cammino seguito per arrivare allo stato attuale e tanto meno su quello che seguirà per arrivare allo stato finale. Tuttavia in base a considerazioni di natura termodinamica è possibile fare un ipotesi sul destino dell’Universo. Se l’Universo è un sistema isolato - ossia un sistema che non scambia materia ed energia con l’esterno – il primo e il secondo principio della Termodinamica possono essere così riassunti: << l’energia totale dell’Universo è costante e l’entropia è in continuo aumento>> Ciò equivale ad affermare che non si può ne creare ne distruggere l’energia, ma non la si può trasformare completamente da una forma in un'altra senza che una sua parte sia dissipata sotto forma di calore. Infatti ogni volta che una qualsiasi forma di energia è convertita in un’altra, una sua parte si degrada sotto forma di calore, energia anch’essa ma che non è possibile reimpiegare per produrre lavoro a meno di impiegare un’altra forma di energia pregiata. Infine quando l’entropia raggiungerà il massimo livello e non ci sarà più Created with novaPDF Printer (www.novaPDF.com). Please register to remove this message. energia disponibile per compiere ulteriore lavoro, sarà raggiunto uno stato di equilibrio. Allora l’Universo concepito come sistema isolato, raggiungerà uno stato di temperatura uniforme: la cosiddetta morte termica. L’entropia caratterizza il verso di ogni trasformazione reale inchiodandolo all’irreversibilità: infatti anche ritornando con le grandezze fisiche: temperatura, volume, pressione etc., allo stato iniziale una di esse, l’entropia, non assumerà più il valore di partenza, ma un altro certamente maggiore. L’entropia è una misura del grado con cui l’energia disponibile in un qualsiasi sottosistema dell’Universo è trasformata in una forma non più disponibile per ulteriori trasformazioni. La quantità totale di energia dell’Universo è costante mentre l’entropia totale è in continuo aumento. Infatti l’energia si trasforma continuamente attraverso passaggi ciclici il cui prezzo da pagare è ogni volta la sua degradazione. Ognuno di questi passaggi è più difficile e impegnativo del precedente e rende necessario l’impiego di sempre maggiori quantità di lavoro per supplire all’inefficienza delle trasformazioni. Ogni miglioramento dell’efficienza determinato dall’uso di nuove tecnologie agisce sulla accelerazione del flusso energetico affrettando il processo complessivo di dissipazione del lavoro e di aumento del disordine. Il calore è una forma di energia e quando la sua temperatura è tale da rendere impossibile il suo passaggio per assenza di un serbatoio a temperatura inferiore, ogni trasformazione è inibita e perciò quell’energia degradata. Quando l’Universo avrà una temperatura costante vorrà dire che tutta l’energia è degradata sotto forma di calore e subirà la cosiddetta morte termica. In definitiva il secondo principio della termodinamica sancisce un’ineluttabile asimmetria nella trasformazione dell’energia cioè nel motore dell’Universo: tutta l’energia meccanica può essere interamente trasformata in calore, ma il calore, che pure è una forma di energia, non può essere totalmente trasformato in calore senza intervenire con l’impiego di altra energia pregiata. E ciò si traduce come detto in un evitabile aumento di entropia vale a dire… di disordine… degradazione. Created with novaPDF Printer (www.novaPDF.com). Please register to remove this message. Avevano voglia gli antichi studiosi di cercare la macchina per il moto perpetuo: non esiste perche il II principio lo vieta. E che dire delle automobili che ogni giorno usiamo allegramente: un motore a ciclo termico tipo Otto o Diesel, anche il più moderno e sofisticato, non supera un rendimento pari a 0.4, vale a dire: 40 %! Cosa vuol dire? Significa che su cento parti di energia pregiata, la benzina o il gasolio, che immettiamo nel ciclo a malapena 40 sono destinate a produrre il lavoro utile per il quale l’auto è costruita, cioè il moto. La restante parte, 60, è trasformata sotto forma di calore che non si può più reimpiegare per compiere il lavoro utile. Al massimo si può impiegarla per riscaldare. In effetto l’automobile è ottima come stufa: se così si considera, rinunciando all’accessoria prerogativa del trasporto di persone e oggetti, potrà raggiungere un rendimento pari a 1. Cioè 100%! Cento parti di energia pregiata = cento parti energia sotto forma di calore! Per riscaldare i nostri freddi inverni. A rigore Amedeo potrebbe mettere la sua bella macchina nel suo salotto, collegare scaldare la casa lo scappamento producendo all’esterno così meno con entropia un di tubo, per quella che solitamente produce. Anzi sai cosa ti dico Amedè: è una cosa che dovresti fare dato che scrivendo questo libro ne hai già prodotto oltremisura! A questo punto l’allievo bravo o l’uditore attento potrebbe obbiettare: ma se usassimo motori elettrici per muoverci potremmo arrivare a un rendimento pari a 0.99 cioè 99%! Su cento parti di energia pregiata, quella elettrica, novantanove si possono trasformare in lavoro utile per il movimento e solo una in calore! Vero? Il sistema auto-ambiente ove la trasformazione avviene è a bassa entropia, ma siamo sicuri che il sistema centrale di produzione dell’energia elettrica-ambiente lo sia altrettanto? Che dire poi del sistema preposto al trasporto dell’energia elettrica? Il vero sistema in cui avvengono le trasformazioni è il coniugio dei tre: la II legge condanna questo sistema ad avere un differenziale entropico positivo. Non c’è niente da fare. Questa legge permea talmente il mondo fisico come lo conosciamo da condizionarne profondamente ogni sua manifestazione. Created with novaPDF Printer (www.novaPDF.com). Please register to remove this message. Basti pensare al principio di indeterminazione di Heisenberg: non può essere visto come una ulteriore zampata della tigre entropica? Una specie di II principio per la fisica quantistica? E il principio di indecidibilità di Godel non può forse assimilato come un colpo di coda del tirannosauro entropico? Una specie di II principio per la matematica? Si pensi alla Medicina poi. Si potrà un giorno trovare un vaccino per il cancro o la malattia è una beffarda propaggine del secondo principio? In effetto la cellula tumorale, con quelle sue propaggini che la fanno assomigliare a un granchio, ben rappresenta o no la tendenza al un disordine metastatico unidirezionale? E dell’economia cosa si vuol dire? O se gli economisti e i governanti conoscessero il II principio della termodinamica! Non ci troveremmo in un sistema fondato sulla sperequazione ove lo spartiacque entropico è scientificamente posto tra il crinale della ricchezza e quello della povertà: peccato che le rovinose frane entropiche cui è inevitabilmente sottoposta l’economia avvengono sempre dalla stessa parte. La nostra stessa vita quotidiana riporta gli echi di una condizione a forte connotazione entropica: si pensi ai detti che la saggezza popolare ha creato e tramandato ai posteri! Ne cito alcuni di cui faccio collezione: << A su thoppu s’ispina >> trad.= allo zoppo la spina. << La felicità di ognuno è fondato sull’infelicità di un altro >> << A pensare male non si sbaglia >>… et coetera Qualche burlone aggiunge: << Una volta che hai tolto i vermi da una scatola, per contenerli hai bisogno di una scatola più grande >> << Se una cosa può andar male, lo farà >> la famosa legge di Murphy << Murphy era un ottimista >> corollario di O’toole della legge di Murphy << Se sei di buon umore, non ti preoccupare. Ti passerà >> postulato di Boling << 1) non puoi vincere 2) non puoi pareggiare 3) non puoi nemmeno abbandonare >> teorema di Ginsberg… et coetera, et coetera. Created with novaPDF Printer (www.novaPDF.com). Please register to remove this message. C’è un ambito ove però la legge sembra non essere valida: quello degli organismi viventi. Philip Dick rimase talmente affascinato da una tale possibilità da indagare e sviluppare i concetti di omeòstasi e retroazione dinamica. NEG-ENTROPIA Nel capitolo IX di L’androide Abramo Lincoln, Maury cita le “tartarughe” del ricercatore inglese W. Grey Walter definendole un sistema omeostatico cioè secondo le parole dell’autore: << un sistema che … separato dall’ambiente circostante, produce risposte proprie . È come una fabbrica completamente automatizzata che si ripara da sola>>. Nel medesimo capitolo Dick tenta di definire il termine “retroazione”. Anche in L’androide e l’umano è riproposto un riferimento a W. Grey Walter e in ogni caso l’omeostasi rappresenta uno dei concetti chiave a partire dal quale Dick sviluppa le sue storie e uno dei termini più usati nella sua opera. OMEOSTASI ~ In biologia, la condizione interna di equilibrio degli organismi animali, che assicura una normale attività biologica delle cellule e dei tessuti. [Comp. di omeo- e del gr. stásis 'stabilità']. RETROAZIONE o FEEDBACK ~ In biologia, meccanismo che permette all'organismo di autoregolare la concentrazione di varie sostanze e funzioni grazie alla presenza di un regolatore che avverte le variazioni dalla normalità e invia segnali che attivano processi compensatori. [Comp. di (to) feed 'alimentare, nutrire' e back 'indietro']. L’omeòstasi perpetua la vita tramite la retroazione dinamica: impossibile non considerare i due concetti come fondanti di una qualsiasi indagine che riguardi il motore ultimo della vita come la conosciamo nel tentativo di comprenderla intimamente e di riprodurla artificialmente. Chissà se Philip Dick ebbe modo di leggere i ragionamenti del grande fisico Erwin Schrödinger parimenti impegnato nel medesimo immane tentativo di codificare dal punto di vista fisico la vita, al punto da introdurre una nuova grandezza fisica, la neg-entropia, capace a suo dire di misurarla la vita. Ecco una sua riflessione: Created with novaPDF Printer (www.novaPDF.com). Please register to remove this message. << Qual è l’aspetto caratteristico della vita? Quando è che diciamo che un pezzo di materia è vivente? Quando esso va facendo qualcosa, si muove scambia materiali con l’ambiente e così via e ciò per un periodo di tempo molto più lungo di quanto ci aspetteremmo in circostanze analoghe da un pezzo di materia inanimata. Quando un sistema che non è vivente è isolato e posto in un ambiente uniforme, tutti i movimenti generalmente si estinguono molto rapidamente in conseguenza delle varie specie di attrito… Si raggiunge uno stato permanente in cui non avviene più nessun fenomeno osservabile. Il fisico chiama questo stato lo stato di equilibrio termodinamico o stato di entropia massima. È proprio questo suo evitare il rapido decadimento in uno stato inerte di equilibrio, che un organismo appare così misterioso. Come fa un organismo vivente a evitare questo decadimento? La risposta è ovvia: mangiando, respirando e, nel caso delle piante, assimilando. Il termine tecnico è metabolismo. Il verbo greco corrispondente (metaballein) significa cambiare o scambiare. Qual è allora quel prezioso elemento contenuto nel nostro cibo che ci preserva dalla morte? Tutto ciò che avviene in natura, significa un aumento dell’entropia di quella parte del mondo ove il fatto si verifica. Così un organismo vivente aumenta continuamente la sua entropia di quella parte del mondo ove il fatto si verifica. Così un organismo vivente aumenta continuamente la sua entropia, o, si può anche dire, produce entropia positiva e tende così ad avvicinarsi allo stato più pericoloso di entropia massima che è la morte. Esso può tenersi lontano da tale stato, cioè in vita, solo traendo dal suo ambiente continuamente entropia negativa. >> Questo concetto è così formalizzato: << Se D è una misura del disordine il suo reciproco può considerarsi una misura diretta dell’ordine. Siccome il logaritmo di 1/D è proprio uguale al logaritmo di D cambiato di segno ln (1/D)= ln1-lnD= 0-lnD, Created with novaPDF Printer (www.novaPDF.com). Please register to remove this message. possiamo scrivere l’equazione di Boltzmann nel modo seguente: -S= k·ln(P). Quindi l’espressione poco soddisfacente di entropia negativa può sostituirsi mediante una migliore: entropia presa col segno negativo. È essa stessa una misura dell’ordine. >> E. Schrödinger In definitiva il motore della vita negli esseri viventi è l’alta organizzazione funzionale di innumerevoli componenti capaci di trarre ordine dal disordine in un bilico continuum di neg-entropia che diventa entropia, reagendo agli stimoli ambientali, conservando e reintegrando la propria forma unitaria secondo un processo di retroazione dinamica che la Natura ha reso prodigiosamente automatica con due sole soluzioni di continuità: lo spunto e la fine, la creazione e la morte. QUANTI E PRINCIPIO DI INDETERMINAZIONE DI HEISENBERG La fisica quantistica è forse la branca della Fisica prediletta dallo scrittore e dalla quale trae spunto per tessere la trama delle sue straordinarie storie. Come in “L’uomo nell’alto castello” del 1962 ove si trova un riferimento alla cosiddetta teoria della sincronicità per la quale tutte le particelle sono collegate tra loro tramite un’interazione di tipo quantistico. O come in “L’uomo variabile” del 1958 Philip Dick interpreta in modo erroneo il principio di indeterminazione di Heisenberg al punto di affermare: <<la particella che si muove a caso>>. Anche in questo accidente, lo scrittore conferma una preparazione scientifica superficiale, a volte confusa per non dire completamente erronea. Affermare infatti come fa, che le particelle si muovono a caso può dare adito visione del a pericolosi mondo fraintendimenti e perciò indurre una attuale e della sua possibile evoluzione esclusivamente fantastica. Dick cerca sempre di muovere le fila delle sue storie a partire da basi scientifiche solide mettendo così a prova la sua capacità previsionale circa le verosimili evoluzioni in quell’ambito che è proprio della fantascienza. A volte ci riesce e straordinarie dimostrazioni, a volte no. Created with novaPDF Printer (www.novaPDF.com). Please register to remove this message. ne abbiamo Nel caso sbaglia del Dick? scrittore principio Vale di indeterminazione di Heisenberg, dove pena l’affermazione la riportando una di confutare brevissima epitome sulla dello materia del contendere, vale a dire la fisica quantistica e sul principio di indeterminazione di Heisenberg. All’inizio dell’Ottocento lo scienziato francese Pierre-Simon de Laplace sosteneva, sulla base soprattutto dei grandiosi studi di Isaac Newton, che l’Universo fosse completamente deterministico. Egli era convinto che doveva esserci un insieme di leggi fisiche capaci di fare predire qualsiasi accadimento futuro dell’Universo a partire dalla conoscenza di semplici condizioni iniziali. Tale visione ebbe forti resistenze, non tanto per l’arditezza quanto per la sua blasfemia di fronte al ruolo di un Dio che da creatore unico e immarcescibile fautore del destino del Mondo, diventava un semplice manutentore di ingranaggi. Era chiaro che in un modo o nell’altro tale teoria non sarebbe durata e il primo sentore della sua caduta si ebbe quando gli scienziati inglesi lord Rayleigh e sir James Jeans, studiando l’irraggiamento delle stelle, si resero conto, sulla base delle teorie deterministiche sino allora conosciute, i cosiddetti corpi caldi avrebbero dovuto emettere energia a un ritmo infinito. Secondo le teorie elettromagnetiche del con tempo una essi dovevano distribuzione emettere uguale in onde tutte le frequenze. Per capire meglio… un corpo caldissimo doveva irraggiare la stessa quantità di energia sotto forma di onde con frequenze comprese tra 1 e 2 Hertz come tra 1000 e 2000 Hertz o 1000000 e 2000000 Hertz. Poiché il numero di onde elettromagnetiche prodotto ogni secondo è illimitato, ciò equivaleva ad affermare che l’energia totale irradiata doveva essere infinita! Per evitare questo risultato palesemente inammissibile il fisico tedesco Max Planck teorizzò nel 1900 che la luce, i raggi X e tutte le onde elettromagnetiche non potessero essere emesse a un ritmo infinito, ma sotto forma di pacchetti di onde da lui stesso chiamati QUANTI. Ogni quanto possedeva una certa quantità di energia che era tanto maggiore quanto più elevata era la frequenza delle onde cosicché la quantità di onde emesse diventava Created with novaPDF Printer (www.novaPDF.com). Please register to remove this message. inversamente proporzionale alla frequenza in tema di garantire la finitezza dell’energia totale. La teoria dei quanti spiegava bene il ritmo di emissione dell’energia dei corpi caldi e proiettava la teoria deterministica dell’Universo in un bilico di incertezza e precarietà. Il colpo ferale alla teoria deterministica giunse nel 1926 ad opera del fisico tedesco Werner Heisenberg che proprio in quell’anno formulo di famoso principio di indeterminazione. Per potere predire la posizione e la velocità di una particella in uno stato futuro si doveva essere in grado di misurarne la posizione e la velocità in uno stato presente. Niente di nuovo e in accordo con la teoria deterministica! Ma come si fa a compiere materialmente le operazioni necessarie per la misurazione? Per conoscere la posizione delle particella si deve poterla inviarle vedere un e fascio per di poterla luce che vedere occorre secondo la illuminarla teoria cioè quantistica equivale a una scarica di proiettili quantici. Anche supponendo di illuminarla con un solo quanto, l’energia associata al quanto stesso perturberà la velocità e ne modificherà la celerità in un modo che non può essere predetto. Inoltre quanto più esattamente si misura la posizione tanto più piccola deve essere la lunghezza d’onda della luce usata e perciò tanto maggiore l’energia di un singolo quanto. La velocità della particella risulta perciò perturbata di una quantità notevole. In effetto tanto più la misurazione della posizione della particella vuole essere precisa, tanto meno precisamente se ne potrà misurare la velocità e viceversa. Questo notevole limite non dipende dal modo in cui si cerca di misurare la posizione le grandezze posizione e velocità della particella o dal tipo di particella stessa. Si può perciò affermare che il principio di indeterminazione di Heisenberg è una proprietà fondamentale e ineludibile del mondo. E si capisce come abbia sancito la fine dell’illusione di avere a che fare con un modello dell’Universo di tipo deterministico: non è possibile prevedere con esattezza gli eventi futuri perché non si può misurare neppure con precisione lo stato presente dell’Universo! Created with novaPDF Printer (www.novaPDF.com). Please register to remove this message. Sulla base del descritto principio Heisenberg insieme a Erwin Schrödinger e Paul Dirac riscrissero poi la meccanica quantistica eliminando da essa tutte quelle parti non verificabili per mezzo dell’osservazione e attribuendo alle particelle, non più posizioni e velocità separate e ben definite e al contempo inosservabili, ma un cosiddetto stato quantico combinazione di posizione e velocità. In altre parole la meccanica quantistica non predice uno stato ben determinato e definibile dall’osservazione, ma più stati possibili dei quali è possibile calcolare la probabilità che si verifichino. E introduce ineliminabile così nella elemento fisica di e nella causalità di scienza tale in generale, dirompenza da un far affermare a un suo illustre oppositore: Albert Einstein, che però aveva contribuito enormemente a crearla tanto da meritarsi per questo un premio Nobel: <<Dio non gioca a dadi con l’Universo>>. Quando Dick afferma che la particella si muove a caso è probabile voglia sottolineare quel carattere di causalità senza affrontare a fondo la teoria che lo sostiene, semplificando quindi tutta la questione. In ogni caso l’immagine di un Dio che in verità ammette l’aleatorietà del suo costrutto è così dissacrante da non poter non essere profondamente dickiana! MATEMATICA: il segmento aureo In Radio libera Albemuth, sempre nel capitolo XII, Nicholas parla di una porta “ le cui proporzioni corrispondevano alle misure che i greci definivano rettangolo aureo: la forma geometrica perfetta”. Questa porta è riproposta in Valis nel capitolo XI che riporta la discussione sull’argomento tra Fat, Mini, Erica e Linda. Attraverso tale porta si accede all’altro regno. Gli antichi greci conoscevano bene la sezione aurea al punto da impiegarla per mano di architetti e scultori, particolarmente per la costruzione del Partenone. Il matematico statunitense Mark Barr probabilmente pensava agli antichi fasti quando indicò il numero aureo con la lettera greca f, forse in onore dello scultore Fidia che pare lo abbia usato nella realizzazione delle sue opere.. Created with novaPDF Printer (www.novaPDF.com). Please register to remove this message. Il grande Keplero ebbe a dire a proposito: “la geometria ha due grandi tesori: uno è il teorema di Pitagora l’altro è la divisione di un segmento in rapporti di estremo medio”. Gli scrittori rinascimentali poi parlavano del numero aureo come di una divina proporzione. Ma in definitiva cos’è la sezione aurea? Si supponga di considerare un segmento e di dividerlo in due parti di cui una sia medio proporzionale tra la lunghezza del segmento e la sua parte restante. La soluzione numerica di questo problema porta ad individuare f=0.6180 che tra l’altro possiede una caratteristica curiosa, unica nel suo genere: l’inverso di tale numero è uguale allo stesso numero più uno: 1/f= f+1. Ma la cosa più sorprendente di tale numero è la possibilità di realizzare, a partire da un rettangolo o da un triangolo avente i lati in proporzione aurea, la cosiddetta spirale logaritmica. L’unica tra tutte le spirali che, aumentando o diminuendo non cambia la sua forma. Fatto questo che spiega perché essa si trovi così spesso in natura. Per esempio… man mano che il mollusco contenuto nella conchiglia del Nautilus cresce, la conchiglia anch’essa cresce secondo una spirale logaritmica per modo da rimanere una casa sempre della medesima forma. microscopio Il centro apparirebbe della spirale esattamente in come questione la spirale vista al che si vedrebbe tracciando la curva sino a farla diventare grande quanto una galassia! Sorprendente! Siffatta spirale è poi ripresa da Philipo Dick per spiegare la sua originalissima visione del tempo. TEMPO La maggior parte dei numerosi riferimenti al tempo che Philip Dick fa nella sua opera hanno un carattere meramente metafisico. Ecco un brano che attesta tale tesi: << Dio spiegò molte cose a Fat, ma non gli spiegò mai questo, a parte per una enigmatica annotazione, che porta il numero 3 nel suo diario: “Lui fa sì che le cose sembrino differenti, per simulare il trascorrere del tempo”. Chi è “lui”? Dobbiamo dedurne che il tempo in effetti non sia passato? Ed è mai passato? È mai esistito un tempo vero, e quanto a questo un vero mondo? Oppure abbiamo un tempo Created with novaPDF Printer (www.novaPDF.com). Please register to remove this message. contraffatto e un mondo contraffatto, come una specie di bolla che si gonfia e sembra differente, ma in realtà è statica? >> Per Philip Dick millenovecento lo anni, scorrere illusorio del e tempo tale è è parso stato, il per circa mondo in cui l’umanità ha creduto di vivere. Perciò il tempo assurge a divenire uno degli strumenti di falsificazione della realtà. Questo è il senso del riferimento a Eliade, del “dominio sul tempo”, nel passaggio di VALIS sopra citato. L’affermazione: “Qui il tempo si tramuta in spazio” che Dick mutua dal Parsifal di Wagner e che cita più volte nel romanzo diventa una via per sfuggire alla tirannia del tempo. E ancora, in un altro brano: << Ci sono due tipi di tempo: quello che fonda la nostra esperienza o percezione o costruzione della matrice ontologica, estensione legata allo spazio, alla sua inseparabile estensione in un’altra sfera – che è reale; ma il flusso temporale esterno dell’universo si muove in una direzione diversa. Sono entrambi reali, ma della nostra esperienza del tempo – che si pone ortogonalmente rispetto alla reale direzione del suo flusso – ricaviamo un’idea completamente errata della sequenza degli eventi, della causalità, di che cosa è passato e che cosa futuro, di dov’è diretto l’universo. Il tempo in sé non muove dal nostro passato al nostro futuro. Il suo asse perpendicolare lo conduce lungo una traiettoria circolare che noi abbiamo percorso più volte nel freddo e interminabile inverno della nostra specie che è già durato circa duemila anni del nostro tempo lineare. Evidentemente, il tempo ortogonale, o tempo vero, scorre un po’ come il tempo ciclico primitivo, in cui ogni nuovo anno era lo stesso anno, ogni raccolto lo stesso raccolto, ogni primavera la stessa primavera.>> (Dick 1976, pp. 255, 256) Cercando di spiegare meglio la sua visione egli, nelle stesse pagine assimila quello che chiama tempo circolare, ai “solchi di un Lp, che contengono la musica già suonata e non scompaiono dopo che la puntina li ha percorsi” e a ulteriore sostegno evoca la figura della spirale. La combinazione infatti tra il reale fluire circolare del tempo (i solchi dell’LP che vorticano) e il progredire lineare della nostra esperienza (la punta della testina che scorre in linea retta Created with novaPDF Printer (www.novaPDF.com). Please register to remove this message. dall’esterno verso l’interno del disco), produce una spirale che, come ha fatto notare qualche studioso (Bollini 1998), dovrebbe avere però uno sviluppo tridimensionale ed essere perciò, come si dice, un’elica cilindrica. Solo così, mantenendo quella sua immutabilità di forma e proporzioni, dall’infinitamente piccolo all’infinitamente grande, l’elica cilindrica sintetizza la visione del tempo che Philip Dick ha maturato: statica e dinamica al contempo. Un tempo che solo apparentemente è dinamico, fluente ma in realtà è statico, sospeso. Ed è soltanto con la sua sospensione, egli pensa, che si può arrivare all’essenza del reale, a quelle ch’egli chiama le “nude ossa del mondo”. Tuttavia, alla fine dei conti, questo è un tentativo di esegesi del testo dickiano al quale, come al suo autore, non si può pretendere un rigore concettuale che del resto non potrebbe neanche avere per formazione e probabilmente anche per scopo. Infatti la concezione del tempo che Philip Dick propone è soltanto un’istanza di redenzione dell’uomo, una nemesi e catarsi nei confronti di una realtà giudicata avvilente e illusoria. È come accennato una questione più metafisica che fisica, ma senza dubbio la più significativa che riguarda il tempo. Peraltro non si può affermare che Philip Dick nella sua opera non indulga verso quelle interpretazioni tipiche della fantascienza, improbabili, ingenue e labilmente fondate secondo scienza, come i viaggi nel tempo ch’egli propone in Il dottor futuro, nel’Illusione del potere, nel’Il sognatore d’armi. Mentre più interessanti appaiono i riferimenti al rallentamento del fluire del tempo raccontato in Noi marziani, le regressioni temporali di Ubik e, in particolare, il paradossale rovesciamento del processo biologico della vita di In senso inverso. Nel romanzo Ubik i moderni videotelefoni diventano vecchi telefoni di bachelite, i razzi si trasformano in aerei a elica, le automobili assumono le antiche forme degli anni Venti ( un’auto moderna diventa una LaSalle del 1939 e poi una Ford T del 1929), i giornali recano la notizia che i francesi hanno sfondato la linea Sigfrido. Pensando all’entropia, sarebbe come se i cocci di una scodella rotta spontaneamente si ricomponessero a restituirle la pristina forma. Created with novaPDF Printer (www.novaPDF.com). Please register to remove this message. Al contrario del kipple che era l’effetto entropico di logoramento del tempo, la misteriosa essenza di nome Ubik è l’unico antidoto a un mondo in cui l’entropia fa inesorabilmente il suo corso. Nel romanzo In senso inverso un inspiegato fenomeno naturale, la Fase di Hobart, inverte la direzione del tempo dei fenomeni biologici per la qual cosa la gente invece di invecchiare ringiovanisce e i morti ritornano in vita e chiedono di essere dissotterrati. Questa surreale inversione del ciclo vitale ha come immediata conseguenza il ritorno dei defunti. Ovviamente ciò ha effetti piuttosto interessanti sulla società dato che nel normale incedere del tempo nessuno può sapere se un nuovo nato sarà uno scienziato, un poeta di successo, una persona ordinaria oppure un feroce assassino. Ma nel mondo della Fase di Hobart si può prevedere chi sta per tornare in vita e ovviamente si può sapere se le sue azione saranno votate al bene o al male. La possibilità di inversione è assai affascinante, ma pone questioni di natura fisica altrettanto interessanti. Sino all’inizio del ventesimo secolo si credeva che il tempo fosse assoluto: qualsiasi orologio posto in qualsiasi parte dell’universo avrebbe concordato con un altro sull’intervallo di tempo intercorrente tra due eventi. La scoperta che la velocità della luce appare la stessa a ogni osservatore, in qualsiasi modo si stia muovendo, condusse Albert Einstein a formulare la teoria della relatività e ad abbandonare definitivamente l’idea di un tempo assoluto. Orologi uguali portati da differenti osservatori non concorderebbero tra loro nel misurare ad esempio il lasso di tempo tra un evento e un altro. Il tempo allora divenne un concetto soggettivo, relativo cioè all’osservatore che lo sta misurando. I successivi sviluppi della Meccanica quantistica e il tentativo di unificazione con la teoria della gravitazione, portarono all’introduzione del tempo immaginario. Il tempo immaginario non fa distinzione tra la direzione in avanti e quella indietro al contrario del tempo reale per il quale, come ognuno di noi sa fin troppo bene, esiste una grandissima differenza tra il prima, l’ora e il dopo. Created with novaPDF Printer (www.novaPDF.com). Please register to remove this message. La domanda da porsi a questo punto è: da dove nasce la differenza tra passato e futuro? Le leggi della Fisica che governano il comportamento della materia non distinguono tra passato e futuro: la simmetria C attesta infatti la possibilità di scambiare particelle con antiparticelle, la simmetria P di scambiare la destra con la sinistra, assumendo cioè un l’immagine speculare e la simmetria T consente di invertire il moto delle particelle all’indietro. Secondo tale visione la vita in un ipotetico mondo composto di antimateria sarebbe identica alla nostra anche se speculare. Tuttavia la legge fondamentale della fisica, quella additata da Einstein per essere la più importante, rompe per così dire le uova nel paniere. Il secondo principio della termodinamica infatti vieta che i cocci si ricompongano spontaneamente a riformare la tazza rotta. In ogni sistema chiuso l’entropia (disordine) aumenta col tempo: DS>0. L’aumento dell’entropia e quindi del disordine col tempo è un esempio della cosiddetta freccia del tempo, qualcosa che consente di stabilire il prima e il dopo, di distinguere il passato dal futuro. In effetto esistono, come ha affermato il compianto Stephen Hawking, tre frecce del tempo: o La freccia termodinamica secondo la quale il tempo progredisce nella direzione in cui aumenta il disordine o l’entropia; o La freccia psicologica secondo la quale sentiamo che il tempo passa, in quella direzione in cui ricordiamo il passato e non il futuro; o La freccia cosmologica secondo la quale il tempo fluisce nella stessa direzione secondo la quale l’Universo si sta espandendo. La freccia del tempo termodinamica deriva dalla seconda legge della termodinamica che, come detto, stabilisce che gli stati disordinati sono maggiori di quelli ordinati. Basti pensare, come propone lo stesso Hawking, ad una scatola contenente i pezzi di un puzzle. Esiste soltanto una configurazione per la quale i pezzi formano una figura completa, per contro ne esistono innumerevoli in cui i pezzi sono disordinati e non compongono la figura. E immaginando che lo stato iniziale sia quello dei pezzi ordinatamente disposti a formare la figura, scuotendo poi la scatola i pezzi si disporranno in una nuova configurazione. Scuotendo ancora assumeranno un’altra configurazione in generale diversa dalla prima e così via col passare del tempo. Created with novaPDF Printer (www.novaPDF.com). Please register to remove this message. Potrà accadere che qualche porzione della figura si ricomponga o addirittura, se il numero di prove sarà sufficientemente grande, che l’intera figura riappaia alla vista aprendo la scatola,. In ogni caso la probabilità che, al trascorrere del tempo, si ottengano stati disordinati rispetto all’unico ordinato è infinitamente più grande. La freccia del tempo termodinamica sancisce quindi l’ineluttabilità del legame tra stabilisce il fluire banalmente del la tempo nostra e l’aumentare condanna di dell’entropia misurare il e tempo proprio nella direzione in cui aumenta il disordine. In tal senso la freccia termodinamica e psicologica del tempo sostanzialmente coincidono puntando nella stessa direzione. La questione complicata, della freccia può essere ma del tempo spiegata cosmologica impiegando appare il più cosiddetto principio antropico debole. Esso afferma che in un Universo infinito nello spazio e nel tempo, le condizioni necessarie per lo sviluppo della vita intelligente potranno trovarsi soltanto in certe regioni limitate nello spazio e nel tempo. In base a tale principio se accettiamo che l’Universo che conosciamo sia stato originato dal Big Bang dobbiamo ammettere che tale evento abbia avuto luogo da qualche parte circa dieci miliardi di anni fa perché pressappoco questo è il tempo necessario per l’evoluzione degli esseri intelligenti. A tale principio se ne contrappone una versione forte secondo la quale è data la possibilità di esistenza di molti universi differenti in una regione dello spazio, ciascuno con la propria configurazione iniziale e le proprie leggi fisiche. Solo in alcuni di questi universi le condizioni per lo sviluppo di una forma di vita capace di porsi la domanda: “perché l’Universo è così come lo vediamo?” sarebbero possibili. Semplicemente perché se l’universo fosse stato differente, noi non saremmo qui. La domanda da porsi è: perché la freccia termodinamica e quella cosmologica aumentano nella stessa direzione? Vale a dire: perché il disordine aumenta nella stessa direzione secondo cui l’Universo si espande? La risposta è che se si ipotizzasse il contrario, cioè la diminuzione dell’entropia col procedere dell’espansione, si dovrebbe anche negare la possibilità di sviluppo di una forma di vita Created with novaPDF Printer (www.novaPDF.com). Please register to remove this message. intelligente come la nostra capace di porsi le su scritte domande (principio antropico debole). Infatti per sopravvivere gli esseri umani devono consumare cibo, che è una forma ordinata di cibo e convertirlo degradata. in calore Perciò che se è una freccia forma di termodinamica energia e disordinata, cosmologica non avessero la medesima direzione la vita intelligente non potrebbe esistere. E non potrebbe neanche in un ipotetica fase di contrazione dell’Universo. Se si pensasse infatti all’eventualità di inversione della freccia del tempo per modo che riuscissimo a ricordare il futuro, ma non il passato, la si dovrebbe respingere per lo stesso principio antropico enunciato. Anche nella fase di contrazione l’esistenza di una forma di vita intelligente come la nostra potrebbe darsi solo se il secondo principio della termodinamica continuasse a valere obbligandoci a misurare il tempo nella direzione in cui l’entropia continuerebbe ad aumentare. In definitiva le tre frecce del tempo proposte da Stephen Hawking devono avere la medesima direzione fatto questo che attesta la totale infondatezza degli eventi descritti da Philip Dick nel suo romanzo In affascinante, senso ma inverso. da La possibilità ascriversi evocata completamente nel rimane certo campo della fantascienza. Conclusione <<Siediti da sultano tra le lune di Saturno e considera, con alta astrazione, l’uomo da solo: ti sembrerà qualcosa di grandioso, mirabile, dolente. Considera sembrerà quasi ora sempre dallo un’ stesso accozzaglia punto di l’umanità intera: inutili duplicati ti sia contemporanei che ereditari.>> Dal capitolo n. 107 intitolato “Il carpentiere” dal libro Moby Dick Herman Melville. Philip Dick per tutta la sua tormentata vita ha cercato di non essere un semplice duplicato, ma ha lottato con tutte le sue forze per raggiungere quei livelli di grandiosità e meraviglia, senza potersi sottrarre al dolore intimamente connesso al carattere e all'indole di ogni animo sensibile, che lo rendono unico e irripetibile nella storia della letteratura. Created with novaPDF Printer (www.novaPDF.com). Please register to remove this message. Inoltre l’opera di Philip Dick non è mai insignificante e raramente indulge alla felicità, è infatti dolente… di un dolore vero ma proficuo, capace sempre di stimolare la riflessione profonda e, in qualche modo, di prefigurare il nostro comune destino. Ben lo afferma Amedeo Spagnuolo spiegando perché spesso Philip Dick ritragga nei suoi romanzi, gli emarginati : << … perché sono i soli che grazie alle loro sofferenze sono in grado di percepire in maniera non superficiale quelle manifestazioni dell’essere che sugli altri individui scivolano via senza lasciare alcun segno.>> Curioso che lui e il Leviatano descritto da Melville abbiano lo stesso nome! Certo abbandonando per solo è un attimo una mera il nostro coincidenza, capace però, carattere illuminista, di rievocare quell’ancestrale omen nomen (destino nel nome) che almeno offre la stura per divagare, per fantasticare. Infatti… se si volesse forzare il paragone o trovare qualche attinenza tra la vita e le opere di Philip Dick e Moby Dick di Melville, si potrebbe scorgere in lui un moderno capitano Achab che lotta sino allo morte contro il Leviatano appunto. Che ora è quel gigantesco e voracissimo mostro acquatico della tradizione biblica, che è stato assunto dal filosofo Thomas Hobbes (1588-1679) a simbolo dell'onnipotenza dello Stato nei confronti dell'individuo o del potere in senso lato. l’inaridimento Che poi propri di è l’entropia una tragedia disgregante, il termodinamica, logorio, in cui l’universo non può sopravvivere dato che si avvia verso una lenta e inesorabile morte termica. Che ancora è il consumismo e l’alienazione che ne derivano. Che è il male metafisico. Che è il dolore dell’esistenza. In un orda di pessimismo cosmico lo stesso Achab di Melville pensava che … <<…anche le più sublimi felicità terrene portano in se una certa meschinità insignificante, mentre in fondo tutti i dolori veri hanno un significato e in alcuni uomini una grandezza da arcangeli>>. E pure Amedeo Spagnuolo fa notare: <<…la sofferenza consente all’uomo di cogliere la vera natura della realtà che si caratterizza, nel pensiero dickiano, come una dimensione Created with novaPDF Printer (www.novaPDF.com). Please register to remove this message. priva di qualsiasi logica nella quale l’uomo è gettato e abbandonato crudelmente al proprio destino >>. Da qui la cupezza e il senso di sconfitta che spesso caratterizza l’arte di Philip Dick, così pregna di dolore da costringere Amedeo Spagnuolo a dedicare un paragrafo del suo saggio alla ricerca di uno squarcio di ottimismo. Più che squarcio appare come una sottile fenditura dato che soltanto in due dei suoi scritti penetra la luce: un’epifania della speranza, inattesa certo ma votata alla redenzione. << …la vita di per sé, è una cosa buona, qualunque sia la forma che assume. Nel caso di Edie, poi, non c’era particolare sofferenza, né crudeltà o dolore, anzi, soltanto tenerezza e sollecitudine>> (da Cronache del dopobomba). << …sentiva sua moglie in cucina, sapeva che la bambina era accanto a lui, e questa per lui era la felicià>> (da In terra ostile). Che il falco sia diventato allocco? Che Philip Dick si sia rammollito in guisa di emulo di Tolstoj in Felicità familiare? No. Certo. Ma del fatto che ci sia bisogno di almeno uno spiraglio di luce nel comune tormentato destino pure Philip Dick non ha potuto fare a meno di fare i conti. Tutti, nessuno escluso, vorrebbero un finale rassicurante nel film della propria vita. Ricordate il primo epilogo di Blade Runner? Tutta quella luce dopo il buio e l’incessante pioggia: uno spezzone dell’inizio di Shining di Stanley Kubrick raccattato in fretta e furia dagli sceneggiatori Hampton Francher e David Peoples per dare adito infine, a una flebile speranza, dopo le manifestazioni di scoramento dei primi astanti. Se ha qualche valore il raffronto, lo stesso finale di Moby Dick è una chiara breccia nell’immane tragedia di distruzione e morte a seguito della lotta di Achab e del suo equipaggio contro la balena bianca: Ismaele è salvo aggrappato alla cassa da morto-salvagente che Queequeg aveva così ben manufatto e… << …il secondo giorno una vela mi venne vicina, sempre più vicina e mi raccolse alla fine. Era la Rachele che andava bordeggiando e che nel rifare la sua rotta in cerca di figli perduti trovò un altro suo orfano>>. Ogni orfano della sua vita in fondo spera in una Rachele che lo vada a salvare. Created with novaPDF Printer (www.novaPDF.com). Please register to remove this message. Philip Dick ha indulto appena a questo ipotetico assioma, ma è rimasto falco e come Achab non è riuscito a uccidere il Leviatano. Indomito e invitto. Perciò il vero orfano che resiste in un oceano di indifferenza e decadenza, aggrappato alla bara che, per sottile ironia del destino, è comunque simulacro di morte, un memento mori, non è Philip Dick, ma il suo lascito. E noi oggi molto modestamente siamo la Rachele. << E sono scampato io solo per informartene>> Giobbe Created with novaPDF Printer (www.novaPDF.com). Please register to remove this message.