BIBLIOTECA CISTERCENSE A4 SAN GERMANO VERCELLESE TRONZANO VERCELLESE MILANO VERCELLI A26 BIANZÈ A4 LIGNANA LIVORNO FERRARIS A26 A26 DESANA CASTELL’APERTOLE LUCEDIO TRICERRO STROPPIANA TORINO CRESCENTINO PALAZZOLO VERCELLESE COME ARRIVARE Da Torino: autostrada A4 Torino-Milano, uscita Chivasso est. Immettersi sul raccordo per Verolengo, alla rotatoria terminale proseguire per Crescentino e Vercelli. Dopo circa 19 km, all’incrocio di frazione Castell’Apertole, girare a destra in direzione Trino. Dopo circa 5 km, alla rotatoria, si trova l’indicazione per Lucedio, sulla sinistra; proseguendo sempre diritto, dopo circa 3 km, si trova Lucedio (distanza 60 km circa). Da Milano: autostrada A4 Milano-Torino; immettersi sulla A26, a Biandrate, in direzione Alessandria-Genova; dopo 25 km imboccare il raccordo per Santhià; dopo 7 km uscire a Vercelli ovest; alla rotatoria seguire per Crescentino-Torino; dopo circa 13 km un cartello indica per Lucedio, sulla sinistra; dopo circa 3 km si trova Lucedio (distanza 80 km circa). Da Genova: autostrada A26 direzione Gravellona; superata l’uscita di Casale nord, imboccare il raccordo per Santhià e dopo 7 km uscire a Vercelli ovest; alla rotatoria seguire per Crescentino-Torino; percorsi circa 13 km si trova l’indicazione per Lucedio, sulla sinistra; dopo circa 3 km si trova Lucedio (distanza 115 km circa). GENOVA TRINO Progetto grafico e redazione Sagep Editori Testi a cura della Provincia di Vercelli Chiara Nutolo Giorgio Gaietta Andrea Megna Paoletta Picco Raffaella Rolfo Referenze fotografiche R. Malerba: p. 1 Archivio Storico Ordine Mauriziano: pp. 2-3 (in alto) M. Carenzi: pp. 4-5 Archivio Segreto Vaticano: p. 6 Emanuela Patrucco - Gruppo Fotografico F. Negri: p. 7 Archivio Fotografico Fondazione Torino Musei: p. 10 Archivio di Stato di Torino: p. 14 (in alto) Archivio Fotografico della Provincia di Vercelli: pp. 2-3 (in basso), 8-9, 11/24 www.abbaziadilucedio.it Abbazia di Lucedio Segreteria presso Provincia di Vercelli Via San Cristoforo, 3 - 13100 Vercelli Tel. 0161 590262 [email protected] Visite guidate su prenotazione (1a domenica di ogni mese: inizio prima visita ore 9:00, termine ultima visita ore 12:00) euro 4,00 (i.i.) Abbazia di Santa Maria di Lucedio 1 La fondazione dell’abbazia l marchese Ranieri del Monferrato, della dinastia degli Aleramici, agli inizi del XII secolo donò una vasta porzione dei territori di sua proprietà ad un gruppo di monaci cistercensi provenienti dalla Francia. Essi si insediarono nei pressi dell’antica Silva de Loceio, un’ampia area della foresta planiziale che ricoprì per secoli la pianura vercellese, ed ivi fondarono nel 1123 l’omonima abbazia dedicata a Santa Maria, filiazione del monastero di La Fertè in Borgogna. La nuova fondazione sorse sui terreni che nell’Alto Medioevo I appartennero alla corte Auriola: il vasto feudo che l’imperatore carolingio Lotario diede in dono alla signoria fondiaria degli Aleramici, nel X secolo, e che oggi coincide con il territorio compreso tra i Comuni di Trino Vercellese, Fontanetto Po e Livorno Ferraris. I primi monaci iniziarono una capillare opera di disboscamento della foresta e di bonifica dei terreni paludosi circostanti l’abbazia, per poterli mettere a coltura. La tradizione attribuisce ai monaci cistercensi di Lucedio il merito di aver introdotto e diffuso, nel Quattrocento, la coltura del riso nel Vercellese. Abbazia di Lucedio: veduta aerea (1980). 2 La storia 3 Aleramici e Paleologi Cistercensi La dinastia degli Aleramici fu fondata dal mitico Aleramo, le cui origini sono ancora avvolte nel mistero: la casata potrebbe discendere da Arduino il Glabro o dai Signori del Kent. È certo che presso la corte dell’imperatore Ottone I, Aleramo ricoprì un ruolo importante, diventando nel 967 funzionario imperiale e marchese di un vasto territorio compreso tra Acqui Terme e Savona. Alla morte del capostipite le terre furono spartite tra i vari rami della famiglia. Al ramo dei marchesi del Monferrato appartenne Ranieri, quarto successore di Aleramo e colui che concesse la fondazione dell’abbazia di Lucedio. Nell’arco di due secoli il potere degli Aleramici aumentò a tal punto da diventare la principale dinastia feudale del Piemonte meridionale. La figlia dell’ultimo marchese aleramico, Giovanni I morto nel 1305, sposò l’imperatore bizantino Andronico II Paleologo: il figlio Teodoro I salì sul trono del Monferrato, dando inizio alla dominazione paleologa. Nel 1098 Roberto, abate di Molesme, fondò un convento nella Francia orientale, a Citeaux, dando inizio al nuovo ordine religioso, che si consolidò definitivamente attraverso l’opera di San Bernardo, fondatore dell’abbazia di Clairvaux (1090-1153). L’osservanza rigida dell’originaria regola monastica dettata da San Benedetto fu la finalità del movimento: perseguirono un ideale di vita comunitaria, affiancando alle attività spirituali e culturali il lavoro manuale. Ogni monastero godeva di autonomia e doveva essere guidato da un abate. La Regola imponeva la fondazione dei monasteri in zone paludose o deserte, che venivano bonificate dal lavoro dei monaci e dei conversi. Affidare un territorio incolto ad una comunità monastica era un investimento economico. La conduzione cistercense era all’avanguardia: le terre erano direttamente condotte dall’abate, attraverso un’amministrazione razionale del territorio, che si avvaleva di una struttura produttiva esterna al monastero costituita da tante unità agricole, le cosiddette grange. L’amministrazione dei beni era affidata al cellerario; a capo di ogni grangia era posto un grangiere; i conversi lavoravano e vivevano con i monaci, mentre i famigli risiedevano nelle grange. Il periodo di massima fioritura dei centri monastici copre i secoli XII e XIII. L’affermazione dell’abbazia e l’età fiorente n una patente di immunità redatta per volere del Barbarossa, datata 1159, sono citati i nomi di tre grange di proprietà dell’abbazia di Lucedio: Montarolo, Ramezzana e Pobietto. Fu a Lucedio che i cistercensi perfezionarono, nel corso del XII secolo, il sistema agricolo delle “grange”, destinato a resistere per secoli: la I grangia, l’unità agricola in cui venivano divisi i terreni dell’abbazia, poteva raggiungere anche le 1000 giornate (corrispondenti a circa 382 ettari). Tra le grange lucediesi, che diventarono importanti poli economici alla base della ricchezza e della conseguente potenza dell’abbazia, si annoverano quelle di Leri, Darola, Montarolo, Montarucco e Ramezzana, oltre a quella di Lucedio afferente al monastero: ancora oggi, dopo nove secoli, fiorenti aziende risicole private. Attraverso il sistema delle grange, l’abate di Lucedio poteva controllare direttamente le terre di sua dipendenza, pianificando il sistema produttivo e razionalizzando le colture. Questo efficiente sistema economico permise ben presto di acquisire terre e proprietà anche in zone molto più lontane: ne sono un esempio la grangia di Pobietto a sud di Trino, quella di Gaiano sulle colline monferrine, quella di Gazzo in territorio alessandrino, a cui si aggiunsero dei possedimenti a Moncalvo, a Casale e a Chivasso. La possibilità di fondare nuove comunità monastiche non solo in Italia, come a Castagnole di Senigallia e a Rivalta Scrivia (1180), ma anche in Oriente, ad Antiochia e a Salonicco, è indice di come l’abbazia di Lucedio fosse diventata in breve tempo un centro di potere economico e politico, che si consolidò durante tutto il XIII secolo. Territorio di Lucedio con indicazioni confinarie. Particolare: l’abbazia (Vincenzo Scapitta, 1716). Archivio Storico dell’Ordine Mauriziano, Mappe e cabrei, Lucedio, 42 (doc. n. 60). Abbazia di Lucedio: lato sud (2004). 4 La storia 5 La crisi e il declino dell’abbazia primi segni della crisi comparvero sin dall’inizio del Trecento, quando gli abati di quel periodo si trovarono costretti a chiedere denaro in prestito e ad affittare alcune delle loro proprietà per poter far fronte alle spese. Due furono le cause della crisi economica che investì un gran numero di abbazie, tra cui Lucedio: l’aumento demografico e l’interessamento da parte della Chiesa verso nuovi ordini religiosi, che comportò la diminuzione del numero dei monaci e dei conversi, figure fondamentali per la gestione delle grange. Sull’onda I di tali profonde trasformazioni, nel 1457, l’abbazia di Lucedio venne trasformata in commenda da papa Callisto III e venne affidata a Teodoro Paleologo, figlio del marchese del Monferrato Giovanni Giacomo Paleologo e di Giovanna di Savoia. Da quel momento due figure distinte si occuparono della gestione del monastero: l’abate commendatario, che si occupava dell’intero patrimonio terriero, godendone i frutti, e l’abate claustrale, che continuò ad esercitare la giurisdizione spirituale e a gestire la grangia di Lucedio, per il sostentamento dei monaci. L’autonomia e l’indipendenza che caratterizzarono l’abbazia furono del tutto compromesse, così come la disciplina e i costumi monastici, e le proprietà abbaziali entrarono a far parte del patrimonio personale dell’abate commendatario. Sempre esponente di potenti famiglie, egli affidò la gestione della commenda ad un procuratore generale, che a sua volta affittò le grange a fittavoli: quel tipo di controllo diretto si frantumò nel corso del XVI secolo. All’inizio del Seicento, quando proprietaria dell’abbazia di Lucedio era la nobile famiglia dei Gonzaga, si delineò una nuova tendenza nel modo di gestire i beni della commenda: comparve la figura del grande fittavolo, a cui veniva dato in affitto l’insieme dei beni. In quel periodo i monaci cistercensi erano ancora presenti nel monastero, ma senza alcun potere in ambito amministrativo. Nel 1607, papa Paolo V cercò di ridare voce ai pochi religiosi rimasti, comprendendo l’abbazia di Lucedio nella Congregazione cistercense di Lombardia. Il Beato Oglerio Oglerio nacque intorno all’anno 1136 a Trino Vercellese. Entrò come studente nella vicina abbazia di Lucedio in giovane età. Nel 1153 prese i voti e dal 1184 accompagnò l’abate di Lucedio, Pietro II, in numerose missioni. Importanti incarichi gli furono affidati da quando, nel 1205, diventò abate dell’abbazia di Lucedio: il marchese Guglielmo VI del Monferrato mandò Oglerio in missione dall’imperatore Corrado e dal re di Francia Luigi VII; papa Innocenzo III lo scelse come arbitro nelle più disparate controversie. Oglerio lasciò il suo prezioso insegnamento spirituale in pregevoli scritti, per secoli attribuiti a San Bernardo. Morì nel 1214 e fu seppellito nel suo monastero. Ingresso della sala capitolare (2004). 6 La storia 7 Il Principato di Lucedio opo la caduta dell’impero napoleonico, le sette grange di proprietà del principe Borghese furono vendute nel 1818 ad una società composta dal marchese Michele Giuseppe Benso di Cavour, dal marchese Carlo Giovanni Gozzani da San Giorgio e da Luigi Festa. Quando pochi anni dopo la società si sciolse, i beni vennero suddivisi. Nella prima metà dell’Ottocento, si verificò la trasformazione più grande e sostanziale nella storia di Lucedio: tutti i beni furono smembrati e divisi tra ricchi proprietari, che svilupparono delle grandi aziende agricole basate, per la prima volta, sulla conduzione diretta e privata. Il marchese Carlo Giovanni Gozzani lasciò la grangia di Lucedio in eredità al nipote Felice Carlo Gozzani, il quale sperperò D Savoia e Gonzaga Nel 1431 i Paleologi furono sconfitti in guerra da Amedeo VIII di Savoia, che ottenne tutti i territori alla sinistra del Po. Anche l’abbazia di Lucedio entrò sotto l’influenza e la protezione del duca di Savoia, anche se non sotto il dominio diretto, che rimase in mano dei marchesi del Monferrato, divenuti così vassalli dei Savoia. Gli ultimi marchesi del Monferrato per evitare che i loro territori venissero occupati dai Savoia o dalla Francia, strinsero un forte legame con i Gonzaga: nel 1533 il duca Federico II Gonzaga sposò Margherita Paleologo e il marchesato del Monferrato passò sotto il controllo della potente casata. Alla morte del duca, nel 1540, suo fratello, il cardinale Ercole Gonzaga, affiancò la duchessa Margherita nella reggenza del Monferrato. In quegli anni, proprio Ercole Gonzaga, il cardinale che partecipò come legato al Concilio di Trento, fu anche abate commendatario dell’abbazia di Lucedio. La chiesa abbaziale, ricostruita tra il 1766 e il 1769, iniziò a svolgere funzioni parrocchiali nel giugno 1787, quando venne dedicata per l’occasione a Santa Maria Assunta. Vittorio Amedeo III riconobbe il Beneficio Parrocchiale con Regie Patenti nel 1792. Nel 1784, l’abbazia fu secolarizzata da papa Pio VI e i beni abbaziali passarono all’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro; due anni dopo i monaci furono trasferiti definitivamente a Castelnuovo Scrivia nel collegio dei Gesuiti. Qualche anno più tardi le proprietà di Lucedio confluirono nel patrimonio dei Savoia, sulla base dell’accordo del 1727 tra la Chiesa e Vittorio Amedeo II, per cui nell’amministrazione regia sarebbero dovuti entrare i beni vacanti degli ordini religiosi. Il controllo e la gestione di tutte le grange passarono a Vittorio Emanuele I di Savoia duca d’Aosta, anche se formalmente erano nel patrimonio dell’Ordine Mauriziano. Durante l’amministrazione sabauda si verificò un sorprendente sviluppo dell’agricoltura e con l’affermazione dei nuovi metodi di conduzione iniziò a dissolversi il radicato sistema feudale. In seguito all’invasione francese, i beni di Lucedio passarono sotto il controllo del governo napoleonico: Lucedio e le sei grange più vicine furono assegnate al cognato di Napoleone, il principe Camillo Borghese, allora Governatore Generale del Piemonte. La chiesa di Santa Maria fu consacrata nel 1819 e ha accolto i fedeli sino al 1978. l’intero patrimonio, non lasciando nulla alla giovane figlia andata in sposa al nobile Alessandro Cavalli d’Olivola. Nel 1861, il Gozzani si trovò, dunque, costretto a vendere la proprietà al nobile genovese Raffaele De Ferrari, Duca di Galliera. Con regio decreto del 1875 Vittorio Emanuele II insignì il duca del titolo di principe di Lucedio, in virtù dei servigi resi alla patria. Il figlio del Duca De Ferrari, unico erede, rinunciò al titolo di principe e donò la proprietà al cugino, il marchese Andrea Carrega Bertolini, il quale ottenne dal re la concessione di portare il titolo di principe di Lucedio, titolo che si è conservato sino ad oggi. Nel 1937 il conte Paolo Cavalli d’Olivola riuscì a riacquistare la proprietà e a farla confluire nel patrimonio della sua famiglia. La figlia, la contessa Rosetta Clara Cavalli d’Olivola Salvadori di Wiesenhoff, è l’attuale proprietaria. Carta del territorio lucediese, inizi XIX secolo, Archivio Segreto Vaticano, Fondo Borghese. Ingresso del Principato di Lucedio (2009). 8 La storia 9 Lucedio e il riso l riso è il prodotto d’eccellenza del triangolo d’oro della risicoltura italiana ed europea, quello che comprende i territori compresi tra Novara, Vercelli e Pavia. Qui si coltiva il 60% della produzione risicola italiana: Novara e Vercelli fanno la parte del leone con almeno 120.000 ettari, sui totali 220.000, e con una produzione di 7.503.000 quintali. L’Italia è poi in Europa il primo paese produttore di riso: precede Francia, Spagna, Grecia e Portogallo. Da secoli questa monocoltura caratterizza la piana vercellese, per la peculiarità dei terreni, ricchi di acqua e risorgive, e per la sapiente rete irrigua che, a partire dai primi dell’800 e soprattutto con la realizzazione del Canale Cavour (costruito in soli tre anni, dal 1863 al 1866), ha saputo garantire alle risaie la loro sopravvivenza secolare. Ma da dove è arrivato il riso? Sicuramente dall’Oriente, dove come graminacea era conosciuto dal 7000 a.C. e chiamato Oryza Sativa. La coltura del riso divenne estensiva sui terreni abbaziali di Lucedio verso la fine del 1300. La commenda dell’abbazia di Lucedio, a fine Quattrocento, documentava la coltura di 1.732 ettari a riso sui 2.700 totali. La vocazione risicola del Vercellese è attestata nel 1635 dalla “Relazione sullo stato presente del Piemonte” di monsignor Francesco Agostino della Chiesa, che segnala l’esportazione del riso anche al di fuori del ducato di Savoia. Intorno al 1750 quasi I un terzo del territorio piemontese coltivato a riso si trovava nel Vercellese. Il sistema delle grange di Lucedio si affacciò al XIX secolo come un grande polo produttivo, con un reddito annuo pari a un milione di lire e con un’estensione di terra che sfiorava le 7.300 giornate. Le crescenti richieste di manodopera nel Vercellese, principalmente durante il periodo della monda, comportarono un flusso di lavoratori stagionali, soprattutto donne, dall’esterno del territorio. Le mondine, che provenivano specialmente dalle regioni più vicine (Emilia Romagna, Liguria e Veneto) coprirono fino al 50% del totale della manodopera femminile addetta alla monda. Si apre così una fase storica ricca di fermenti sociali, culturali e politici, tanto da caratterizzare una vera e propria “epopea” della risaia. Le durissime condizioni lavorative della risaia, e della monda in particolare, posero al centro delle rivendicazioni la riduzione dell’orario di lavoro, che allora era di 12-14 ore al giorno, da prima dell’alba a dopo il tramonto. Le richieste di riduzione dell’orario caratterizzarono le lotte operaie dei primi del Novecento, fino a sfociare nel 1906 con la conquista delle “otto ore”. La grangia, l’insediamento rurale caratterizzante l’area lucediese, si configurò sino al XX secolo come il segno tangibile della presenza secolare della grande proprietà fondiaria e, ancora oggi, si presenta come testimonianza preziosa dell’assetto territoriale del periodo medievale. A Lucedio la parte agricola della grangia è in piena attività produttiva, ancora oggi come nel suo glorioso passato: nove secoli di storia non hanno cancellato né modificato la vocazione originaria di questo insediamento rurale. La storia sociale e politica di questo territorio è unica e ha lasciato tracce indelebili nella cultura della comunità locale e non solo: si pensi alla gastronomia (la panissa vercellese), alle canzoni popolari delle mondariso, alla pittura (significativa è l’opera di Angelo Morbelli, custodita al Museo Borgogna di Vercelli, che mostra in modo eloquente le condizioni lavorative delle mondine), alla letteratura e al cinema. Il capolavoro del neorealismo italiano, “Riso amaro” del 1949, di Giuseppe De Santis, fu anche il mezzo che la risaia usò per entrare nel grande schermo e per porsi all’attenzione dell’opinione pubblica di tutto il Paese. Angelo Morbelli, Per 80 centesimi!, 1893-1895, tela, Vercelli, Fondazione Museo Francesco Borgogna. 10 Visita guidata 11 Chiesa di Santa Maria: facciata (1950). La chiesa abbaziale di Santa Maria Chiesa di Santa Maria: affresco della volta – XVIII secolo (2003). al grande cancello, che immette nella prima corte del complesso abbaziale, è visibile la facciata della chiesa settecentesca di Santa Maria. La demolizione della chiesa medievale originaria iniziò nel 1728 e solo dopo diversi anni si costruì il nuovo edificio religioso. I lavori, che presero avvio nel 1766 e durarono circa tre anni, furono promossi dall’ultimo abate D commendatario di Lucedio, il cardinale Delle Lanze, e furono diretti dal capomastro Giovanni Battista Felli, su progetto di un monaco cistercense: l’architetto milanese Valente de Giovanni. La pianta, di forma rettangolare, presenta gli angoli smussati. La navata unica è movimentata da cappelle laterali, poco aggettanti, sormontate da matronei, ed è coperta da una volta costolonata interamente affrescata. Tre gradini e una balaustra dividono l’aula dalla zona presbiteriale, chiusa da un’abside. L’interno è stato abbellito con decorazioni in stucco dall’artista luganese Giuseppe Cappia, che entrò nel cantiere nel 1768: egli impiegò un anno per completare le finissime decorazioni sia delle pareti interne sia del portico esterno. Quest’ultimo, in stile barocchetto, abbellisce l’elegante facciata, suddivisa in due ordini e sormontata da un fastigio centinato. La struttura medievale originaria della chiesa abbaziale è riprodotta in una pianta storica dell’abbazia, realizzata nel 1722, in cui è evidente lo schema lombardo tipico delle chiese cistercensi: l’aula era divisa in tre navate, il transetto si presentava sporgente e la terminazione dell’edificio absidata. La pianta mostra anche i tipi di sostegni che dividevano gli spazi interni: in senso longitudinale ai grandi 12 Visita guidata I bacini architettonici In ognuna delle quattro facciate più larghe del campanile negli spazi dell’imposta delle bifore dell’ultimo ordine, in origine, fu collocato un bacino architettonico in ceramica, di piccole dimensioni; di questi, sui lati sud ed est se ne sono conservati due, a nord e a ovest si possono vedere solo le sedi di bacini ormai scomparsi. Il bacino murato nella facciata sud è una ceramica smaltata di colore verde, che presenta caratteristiche orientaleggianti e che potrebbe essere stato importato dalla Turchia; esso è stato collocato nella muratura viva durante la prima fase di costruzione del campanile. Il bacino sul lato est, particolarmente deteriorato, è stato rimosso e sostituito da una copia realizzata con tecnica antica, per consentirne il restauro. Si tratta di una ceramica graffita, con lamina colorata nelle decorazioni, rientrante nell’ambito dei bacini del basso Piemonte del XII secolo; dagli studi effettuati risulta che la ceramica è stata inserita nella sede in sostituzione di un bacino preesistente. Bacini architettonici in ceramica smaltata (lato sud) e in ceramica graffita (lato est) (2007). 13 pilastri cruciformi sono interposti pilastri circolari e rettangolari. L’assetto originario dell’edificio medievale è ancora visibile al di sotto dell’attuale piano di calpestio, dove si conservano tratti del perimetrale settentrionale, semicolonne addossate agli antichi muri e tracce delle absidiole costituenti una probabile terminazione triabsidata dell’edificio. Il basamento del campanile corrisponde all’antico transetto laterale destro. In passato, la chiesa ha accolto al suo interno diversi capolavori di arte pittorica. Nel 1499 uno dei protagonisti del Rinascimento piemontese, Gian Giacomo degli Alladi, conosciuto come Macrino d’Alba, realizzò, su incarico dell’abate commendatario di Lucedio Annibale Paleologo, il raffinato trittico destinato all’altare maggiore raffigurante la Madonna in trono col Bambino e angeli, San Bernardo di Chiaravalle e Annibale Paleologo nello scomparto di sinistra e San Giovanni Battista in quello di destra, ormai da tempo custodito nel Vescovado di Tortona. Sempre nella zona presbiteriale, furono collocate due pregevoli tele settecentesche: una attribuita al pittore Antonio Mayerle rappresenta l’Assunta e santi, l’altra realizzata da Pier Francesco Guala raffigura San Benedetto e Santa Scolastica; entrambe le opere sono oggi in deposito presso il Comune di Trino. Il campanile l campanile è stato costruito a più riprese tra la seconda metà del XII secolo (1150-75) e gli inizi del XIII, coevo quindi alla chiesa originaria. La base, a pianta quadrata, risale alla prima fase di costruzione e presenta contrafforti sporgenti agli angoli esterni. L’originalità è conferita dalla sezione ottagonale della torre, che raggiunge l’altezza di trentasei metri. I quattro ordini in cui è suddiviso l’elevato sono delimitati da decorazioni, in cotto, distintive dello stile romanico: i tipici archetti pensili accompagnati da fregi dentellati e incorniciati, testimoniano la sobrietà degli stilemi medievali. Gli archetti che incorniciano la sommità della base sono a pieno centro; più raffinati sono quelli degli ordini superiori, ogivali e poggianti su piccole mensole in cotto, di diverse fattezze. I due ordini centrali sono mossi da monofore, con strombature; mentre nell’ultimo ordine si aprono bifore dalle esili colonnine con capitelli a crochet. Tutte le aperture sono incorniciate da fasce decorative, che alternano la pietra al mattone. Il vano alla base del campanile presenta l’unico tratto conservato del perimetrale meridionale originario; recenti indagini archeologiche hanno riportato alla luce elementi facilmente riferibili all’epoca medievale: capitelli ed archi decorati; una parte di muro sul cui intonaco si sono conservati insoliti ritratti e schizzi di architetture; nella I muratura esterna un arco a tutto sesto coincidente con la cosiddetta “porta dei morti”, che conduceva al cimitero; traccia dell’absidiola di destra, ove sono visibili resti di affreschi e di decorazioni. Nell’intradosso dell’arco, sulla parete est, è visibile un apprezzabile affresco raffigurante una santa in trono, molto probabilmente Maria Maddalena: si tratta di un prezioso lacerto facente parte, verosimilmente, di una teoria di santi che decorava l’intera superficie, come testimonia anche la porzione di un altro trono riportato alla luce nell’angolo opposto. La delicatezza dei tratti somatici, la ricercatezza nella resa del panneggio e la raffinatezza dell’architettura e delle decorazioni del trono portano ad ascrivere l’affresco allo stile pittorico del gotico internazionale di inizio Quattrocento. Il campanile dopo il restauro (2007). Vano alla base del campanile: affresco con Santa in trono XV secolo (2007). Le formelle Nella parete sud del vano al piano terreno del campanile furono collocate, nella seconda metà del Seicento, tre formelle in pietra arenaria, raffiguranti un falconiere a cavallo, uno stemma gentilizio e un Agnus Dei, databili alla metà del XIII secolo e ora in deposito presso la Fondazione Istituto di Belle Arti e Museo Camillo Leone di Vercelli. I tre rilievi presentano ancora evidenti tracce di policromia e tratti stilistici che riconducono al naturalismo tipico dell’arte federiciana, sapiente fusione di stilemi figurativi arabi e francesi. È soprattutto la resa della figura del falconiere che ricorda quelle miniate nel codice di Federico II Sull’arte di cacciare con gli uccelli, del 1258. La fattezza della formella con l’Agnello clipeato fa pensare ad un impiego della stessa come chiave d’arco; mentre gli altri due conci è probabile fossero le decorazioni di un monumento funerario, su cui meglio si addice un soggetto palesemente profano e “cortese”. Agnus Dei, falconiere a cavallo, stemma gentilizio: formelle lapidee metà XIII secolo, Vercelli, Museo Leone (2007). 14 Visita guidata 15 Il complesso monastico n documento del 1126 attesta l’esistenza del monastero di Lucedio, facendone menzione come monasterium o abbatia. Il cuore del complesso abbaziale, il chiostro dei monaci e gli edifici prospicienti, vennero situati a nord della chiesa, contrariamente alla regola classica dell’ordine, probabilmente per sfruttare un corso d’acqua ivi presente. Privata del portico, di cui si possono ancora leggere numerose tracce sui muri interni, la corte attuale è ancora oggi delimitata dagli edifici abbaziali. La manica orientale presenta tuttora la sequenza dei vani monastici originari: la sacrestia vecchia, il vano più vicino alla chiesa, è affiancata da una piccola stanza identificabile con l’aarmarium, il locale in cui si custodivano i libri, di cui è ancora visibile la porta di U esterne di questo braccio sono ancora visibili le monofore di età medievale. La manica claustrale settentrionale è quella che ha subito più rimaneggiamenti nel corso dei secoli; ma si possono immaginare, in relazione ad altri complessi monastici medievali, collocati in essa gli ambienti di servizio (cucina, forno, pozzo). L’edificio occidentale, invece, accoglieva gli ambienti riservati ai conversi: al piano inferiore, accanto alla cucina e al forno, il refettorio, ancora visibile, e vicino la cantina, il torchio, le stalle; al piano superiore il dormitorio dei conversi, le cui antiche aperture sono visibili nelle varie tamponature che movimentano l’intera facciata di questo edificio. Il vasto spazio prospiciente corrisponde all’antico cortile rustico, che in origine doveva essere il chiostro dei conversi. Pianta dell’abbazia di Lucedio, 1722, Torino, Archivio di Stato. La grangia La chiesa di Sant’Oglerio o chiesa del popolo Poco distante dalla chiesa abbaziale si erge la chiesa di Sant’Oglerio, detta “chiesa del popolo” poiché fu la parrocchiale, prima della ricostruzione settecentesca della chiesa di Santa Maria, fino al 1787. La chiesa, progettata dall’architetto Tommaso Prunotto nel 1741, fu costruita su di un edificio cinquecentesco preesistente, di cui rimane traccia in un corpo di fabbrica retrostante la nuova costruzione. Quest’ultima, interamente in mattoni a vista, presenta una pianta a croce greca. L’uso del laterizio testimonia il legame con la tradizione padana, che risale all’età medievale e che ingresso. Accanto a questi ambienti, come di consueto nei cenobi cistercensi, si trova la sala capitolare, che ha conservato parte del suo assetto originario: quattro colonne in pietra dividono lo spazio in tre navate con volte a crociera; i cordoli rettangolari degli archi, a sesto acuto, e quelli semicircolari delle crociere poggiano sui massicci capitelli, a fasci, in pietra delle colonne e sui peducci, di ugual materiale. Una strombatura interamente in cotto caratterizza l’arco a tutto sesto dell’ingresso, ai lati del quale in origine si aprivano due trifore. Seguono tre ambienti di diverse dimensioni: due coincidono con il probabile parlatorio e con il vano scalare che conduceva, al piano superiore, al dormitorio dei monaci; il terzo, più vasto, è riconducibile al refettorio dei monaci. Lungo le pareti ha conosciuto una ripresa in tutto il Piemonte nel Seicento e nel Settecento. Dal 1797 l’edificio fu trasformato in magazzino, funzione svolta ancora oggi. Chiesa del popolo: lato nord (2007). All’esterno dell’area claustrale e del cortile rustico si apriva il cosiddetto “airale”: un vasto spazio attraversato dalla roggia Lamporo, sul quale si affacciavano gli edifici rustici della grangia. Il mulino, di fondamentale importanza per la lavorazione dei cereali e alla base della produzione agricola di quella che fu la grangia monastica, è già citato nella prima metà del XIII secolo in documenti che trattano dei problemi relativi alla regolamentazione in genere dei corsi d’acqua vicini alla grangia di Lucedio ed in particolar modo della roggia suddetta, che scorreva in parte all’interno dell’area rustica dell’abbazia. La manica con questi ambienti di servizio è ancora presente, mentre l’antico mulino e la pista da riso che la chiudevano sul lato nord sono andati persi. La grangia: edifici di servizio (2007). 16 Visita guidata 17 Il restauro l recupero della chiesa di Santa Maria e dell’abbazia di Lucedio, nella prospettiva di una generale valorizzazione del sistema paesaggistico delle grange lucediesi, è frutto di una lunga attività che ha visto impegnati, fin dagli anni ’90, la Regione Piemonte, la Provincia di Vercelli, il Comune di Trino e le competenti Soprintendenze piemontesi. L’insorgere di difficoltà in ordine all’accertamento della proprietà del bene vincolato impedirono l’attivazione di un primo intervento di ripristino del tetto, previsto nella convenzione del 1993 con l’Enel relativa alla Centrale a ciclo combinato di Leri, che già allora si evidenziava come assolutamente urgente. Lo stallo che ne seguì comportò l’aggravamento dello stato di degrado del monumento con gravissimi dissesti alla copertura e l’insorgere di infiltrazioni all’interno della chiesa. Solo nel 2001, grazie alle iniziative dell’Amministrazione provinciale, si posero le premesse per il superamento della situazione di “stallo” attraverso la definizione di una “proposta di intervento” che prevedeva un accordo tra la Proprietà abbaziale, l’Arcidiocesi di Vercelli e la stessa Provincia per il passaggio in capo a quest’ultima, al valore simbolico di 1 euro, di ogni titolo di proprietà o altro in loro godimento: l’atto preliminare di cessione, rogito Notaio Boggia da Vercelli, porta la data del 8 maggio 2003. I L’architettura cistercense Secondo la Regola dell’ordine cistercense l’architettura dell’ambiente in cui vive il monaco deve permettere la contemplazione di Dio. Valori come l’umiltà e la semplicità devono essere ricordati dall’architettura: essa si veste così di un significato didascalico. A tal fine San Bernardo, dal 1113, propone un linguaggio artistico semplice ed essenziale, che non distragga con la presenza di immagini mostruose e di ornamenti eccessivamente elaborati. Alla base della nuova estetica cistercense si trova il cosiddetto “piano bernardino”, secondo cui un edificio religioso deve presentarsi spoglio, sobrio, geometrico, monocromatico e deve essere costruito sul modulo di base del quadrato per conferire ordine, proporzione e armonia al complesso architettonico. I costruttori cistercensi seguivano questi dettami non solo nella costruzione delle chiese ma anche di tutti gli altri ambienti che costituivano il cenobio e che ruotavano intorno alla forma, non casualmente quadrata, del chiostro. Intorno a questo spazio porticato, fulcro dell’intera costruzione, si dispongono i vari edifici, ospitanti le diverse funzioni abbaziali (chiesa, capitolo, refettorio, dormitorio, ecc.). Il modello bernardino vuole evidenziare la struttura, la sostanza della realtà: per questo motivo non prevede alcuna decorazione scultorea. Elementi artistici derivanti dal Romanico francese (arco acuto, volte a ogiva, pilastri compositi) vengono ripresi e razionalizzati dall’arte cistercense, che riesce da sempre ad esprimere la profonda spiritualità dell’ordine. Interno della sala capitolare (2007). Questo accordo oltre ad impedire la distruzione fisica del bene, grazie al pronto avvio del 1° Lotto di lavori, cofinanziato con i Fondi Europei (Docup 2000-2006) e del 2° Lotto cofinanziato con i Fondi di cui al Programma regionale Olimpiadi 2006, ha stimolato e si è coordinato con le iniziative di recupero di altre parti dell’abbazia condotte autonomamente dalla proprietà privata interessata al mantenimento dell’attività agricola e allo sviluppo di iniziative turistico-ricettive. Una sinergia pubblico-privato che, sulla base di accordi convenzionali e dello studio di fattibilità promosso dalla Regione Piemonte e dalla Provincia di Vercelli “Per un piano di restauro e recupero funzionale dell’Abbazia di Lucedio” (Gaietta-Megna, 2007) si propone, con realismo e stabilità nel tempo, il recupero e la fruizione del patrimonio storicoarchitettonico, attraverso un progressivo e faticoso cammino di ricerca di quell’equilibrio tra interesse Interventi sulla copertura della chiesa di Santa Maria (2004). 18 Il restauro Chiesa di Santa Maria: lato sud prima del restauro (2003). 19 generale e particolare che, come a Lucedio, rappresenta una necessità non solo economica, ma anche culturale. Il progetto generale di recupero della chiesa è coordinato dall’architetto Giorgio Gaietta della Provincia di Vercelli. Esso si fonda sulla conoscenza dell’edificio ed è organizzato per lotti omogenei di intervento, rapportati alle disponibilità finanziarie e alle peculiarità del monumento. Concordato con la Soprintendenza per i Beni Architettonici e il Paesaggio del Piemonte in raccordo con le altre Soprintendenze interessate, ha progressivamente coinvolto le competenze scientifiche del Politecnico di Torino-II° Facoltà di Ingegneria e dell’Università del Piemonte Orientale “A. Avogadro”. Quest’ultima, tramite il suo Dipartimento di studi umanistici e grazie alla competenza della professoressa Gisella Cantino Wataghin, ha ottenuto la concessione allo scavo dell’area sottochiesa, avviando così, con il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Vercelli, a partire dal 2006, una intensa campagna di scavi, studi e indagini archeologiche, tuttora in corso, che oltre a costituire occasione di didattica praticata, consentiranno di pervenire alla realizzazione di uno specifico “percorso archeologico”. Il 1° Lotto di intervento, relativo al ripristino e al recupero del tetto e ai consolidamenti strutturali, è stato curato dall’architetto Andrea Megna con l’ingegner Vito Loprieno e realizzato dalla ditta Abitat s.p.a. di Vigevano. Esso è stato accompagnato dall’avvio degli studi sull’evoluzione storica del monumento condotte, in particolare, dal Dipartimento di studi umanistici dell’Università. Il 2° Lotto di intervento, relativo al ripristino delle facciate laterali e al restauro del campanile oltreché allo scavo archeologico e alla sistemazione delle aree esterne, è stato curato da: professor architetto Carla Bartolozzi – Tetrastudio Architetti Associati con l’architetto Raffella Rolfo e realizzato dai consorziati del C.I.V., Consorzio Imprenditori Vercellesi – Società cooperativa di Vercelli: Impresa Fiore e Ditta Ferrari Restauri. Esso è stato accompagnato dall’avvio degli scavi e delle ricerche archeologiche e diagnostiche condotte anche da parte degli Atenei vercellesi. Il 3° Lotto di intervento, relativo al restauro della facciata principale, sempre curato dagli architetti Bartolozzi-Rolfo, è stato realizzato dalla ditta Zoppoli & Pulcher spa di Torino e dalla S. Coop. De La Ville restauri di Aosta. Esso è stato accompagnato dalla prosecuzione delle attività di scavo condotte anche dall’Università vercellese. Gli ulteriori interventi di restauro della chiesa riguarderanno: il restauro degli interni, a partire dalla volta della navata principale e degli arredi e apparati decorativi della chiesa, la realizzazione degli impianti tecnologici per la sua completa fruizione, il completamento degli scavi nei sotterranei della chiesa per la realizzazione di un percorso archeologico, la sistemazione definitiva del sagrato, delle aree esterne e dei servizi di accoglienza. Essi saranno accompagnati dallo sviluppo delle ricerche e degli studi scientifici e di tutela, che verranno via via documentati nell’ambito della collana Lucedium, promossa dal Comitato per lo studio e la valorizzazione dell’abbazia e delle grange di Lucedio. Chiesa di Santa Maria: lato sud dopo il restauro (2007). 20 Il restauro Interventi sulla copertura della chiesa di Santa Maria (2004). Cella campanaria: il nuovo castello delle campane. 21 1° Lotto d’intervento (2004-2005) l primo intervento sulla chiesa si è caratterizzato come iniziale approccio al monumento, comprensivo del monitoraggio e della stabilizzazione del degrado in atto, oltre naturalmente dei più urgenti interventi di conservazione. Sono state raccolte le prime informazioni storico-archivistiche disponibili, si è proceduto a indagini sulla struttura muraria e sull’apparato decorativo ed è stato elaborato un primo rilievo architettonico tematico di chiesa e campanile. Interpretando i risultati si sono definite due sostanziali azioni di recupero: il consolidamento strutturale e il rifacimento della copertura. Per quanto la struttura muraria portante si presentasse complessivamente in ordine, I alcune lesioni localizzate nel presbiterio e nella volta della sacrestia indicavano una situazione di carico squilibrata, per la quale si è realizzata una sottomurazione in resine autoespandenti che hanno compensato i cedimenti differenziali in maniera non invasiva. In corrispondenza della volta danneggiata, si è proceduto alla piolatura dell’estradosso e alla cerchiatura in fibra di carbonio, completata da un getto di malta traspirante per la distribuzione omogenea del carico. Per la copertura si sono rimosse le macerie presenti sulle volte, con grande cautela nella estirpazione degli apparati radicali formatisi negli anni. In particolare, sono stati consolidati gli appoggi murari delle capriate ed è stata smontata e sostituita al 50% la grossa orditura in rovere delle falde centrali, previa redazione di un abaco dei singoli elementi (capriate e puntoni) finalizzato al recupero delle strutture lignee, le cui testate di appoggio sono state ricostruite in resina. La media e piccola orditura sono state completamente sostituite, con l’inserimento di un tavolato ricoperto di guaina impermeabile, la cui azione isolante unita alla ventilazione naturale del sottotetto ha consentito il progressivo risanamento delle volte. Il manto in coppi, dopo attenta ispezione, è stato recuperato grazie al reimpiego degli elementi laterizi in buone condizioni, previo fissaggio con graffe metalliche. L’intervento si è concluso con l’installazione di un nuovo impianto di smaltimento delle acque meteoriche in rame. 2° Lotto d’intervento (2005-2007) intervento in oggetto ha riguardato alcune porzioni del complesso architettonico, oltre alla prima sistemazione delle aree esterne, ai fini di una migliore accessibilità al luogo. Gli interventi conservativi si sono concentrati in particolar modo sul campanile, per il pregio architettonico delle strutture, nonché per la presenza di un raffinato apparato decorativo che è stato oggetto di interventi specialistici puntuali. Sul campanile l’intervento di restauro ha riguardato sia l’esterno con il recupero delle volumetrie architettoniche mediante lo stamponamento delle aperture, il recupero degli apparati decorativi e il completo rifacimento delle copertura, sia l’interno con il rifacimento degli orizzontamenti di calpestio e della scala. Sulle quattro bifore maggiori l’apparato decorativo era completato dall’inserimento di bacini. Per migliorare la stabilità della parte terminale del campanile si è inserita sulla sua sommità una cerchiatura costituita da una piastra in ferro ancorata alla muratura mediante tirafondi in acciaio. Si è proceduto inoltre al restauro delle campane esistenti e al loro inserimento in una nuova struttura lignea, consentendone così anche il ripristino della funzionalità sonora. Nell’ambiente alla base del campanile e nell’adiacente vano, ove insisteva la scala di collegamento tra la chiesa e la torre campanaria, lo scavo archeologico realizzato ha portato alla luce i resti del L’ transetto destro e della navata minore destra dell’antica chiesa medievale. Con l’eliminazione totale e l’arretramento di murature di epoche successive si è cercato di riportare questi locali al loro aspetto iniziale, compreso il recupero delle decorazioni parietali emerse. I vincoli dettati dalle scoperte archeologiche hanno portato alla realizzazione di una scala in carpenteria metallica di tipo aereo staccata completamente dalle pareti. Sulle facciate l’intervento realizzato non ha modificato la consolidata immagine dell’edificio settecentesco in quanto si è integrata la finitura ad intonaco mantenendone le caratteristiche granulometriche e di coloritura. Unica differenza risulta essere la riapertura a sfondato delle finestre di prima fase settecentesca, poste sui lati nord e sud. Particolare attenzione si è posta sul lato nord (interna al chiostro) in corrispondenza della porzione di facciata dell’antico transetto: su di essa si è realizzato un intervento di restauro prettamente conservativo che ha messo in evidenza gli elementi architettonici che lo caratterizzavano e che lo assimilano con quello del fronte sud. I grandi serramenti lignei sono stati restaurati mediante un attento intervento di innesto delle parti mancanti o danneggiate e con completo recupero di tutte le ferramenta originali. La tettoia agricola individuata, nel progetto generale, come punto di accoglienza, è stata oggetto di interventi di Il campanile. Volta a crociera alla base del campanile (in origine il transetto sud della chiesa medievale). 22 Il restauro 23 risanamento, di consolidamento e di ripristino della copertura così da renderla subito fruibile senza condizionarne gli interventi futuri. A partire dal parcheggio, infine, si è realizzato un percorso pedonale per l’accesso alla zona abbaziale. Gli sbancamenti relativi alla sua realizzazione hanno portato alla luce resti di sepolture del cimitero monacale e pertanto tutta l’area è stata oggetto di attento e puntuale scavo archeologico. L’area parcheggio, accessibile dalla strada provinciale, è stata realizzata in terra stabilizzata e con finitura erbosa carrabile, così da garantire il miglior inserimento ambientale con il contesto paesaggistico. l terzo Lotto d’intervento ha interessato la facciata principale dell’edificio, caratterizzata dalle sue linee tipicamente settecentesche e dalla presenza di un protiro riccamente decorato. L’intervento, un restauro conservativo ed estetico, a seguito di un approfondito studio del manufatto, ha restituito a questo fronte l’originario aspetto settecentesco. Lo studio stratigrafico degli intonaci, partito dall’analisi della volta del protiro e proseguito sulla facciata, ha portato all’identificazione di tre successive fasi decorative risalenti al ’700 (ben leggibile e conservata), ’800 (molto frammentaria) e ’900 (molto deteriorata), fasi in cui la colorazione degli stucchi del protiro non è mai stata mutata, mentre quella degli intonaci decorati ha seguito il gusto dell’epoca. La soluzione colorimetrica eseguita ricalca quella settecentesca in quanto questa fase risultava essere l’unica riconsegnata con abbastanza dati da poter restituire una corretta lettura d’insieme a facciata e protiro. Sul protiro l’intervento di restauro ha riguardato sia il fronte esterno sia le volte e le ambienti all’interno della struttura originaria: il basamento del campanile e lo spazio adiacente corrispondono rispettivamente al transetto e alla navata laterale destra della chiesa medievale. Nell’estate del 2006, il Ministero per i Beni e le Attività Culturali ha affidato la concessione delle ricerche archeologiche nei vani sottostanti l’attuale chiesa all’Università degli Studi del Piemonte Orientale “Amedeo Avogadro”. La prima indagine archeologica, realizzata con il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Vercelli, è stata condotta dalla professoressa Gisella Cantino Wataghin nell’ambito delle attività di ricerca e di didattica del Dipartimento di studi umanistici. Lo scavo, condotto al di sotto del piano pavimentale della chiesa in corrispondenza della sacrestia e della navata laterale sinistra, ha portato alla luce numerose tracce dell’impianto del XII secolo, un’importante sepoltura cavalleresca e alcuni setti murari ancora intonacati e in parte affrescati. Una seconda campagna di scavo, partita nel 2009 e attualmente in corso, indagherà ulteriormente gli spazi sottostanti la chiesa: dalle prime risultanze emergono interessanti sviluppi di fruizione e valorizzazione dei reperti, in prospettiva di un “percorso archeologico”. 3° Lotto d’intervento (2009) Scavo archeologico lungo il fronte sud della chiesa abbaziale (2007). Lacerto di affresco al di sotto dell’attuale piano di calpestio della chiesa settecentesca. Gli scavi archeologici Contestualmente agli interventi di restauro del campanile è stata avviata una campagna di scavi che hanno interessato sia l’area esterna, dove sono state rinvenute tracce di murature delle fondazioni dell’impianto medievale e numerose sepolture, sia il vano alla base del campanile e il vano scala ad esso adiacente. L’intervento, diretto ed eseguito dall’archeologa Laura Maffeis e dall’architetto Raffaella Rolfo sotto la supervisione del dottor Filippo Maria Gambari per la Soprintendenza per i beni archeologici del Piemonte, ha chiarito la destinazione dei due I pareti interne realizzando il recupero conservativo ed estetico dell’intero apparato decorativo (intonaci e stucchi scialbati, marmi e arenarie), il restauro della scalinata lapidea e il rifacimento della copertura. L’esterno e le pareti interne sono state reintegrate, nelle parti di intonaco mancanti o di tipo cementizio, con un intonaco a base di calce avente caratteristiche granulometriche e di coloritura simili all’originale; il descialbo degli intonaci originali con la restituzione della cromia originaria; la pulitura ed il consolidamento delle arenarie, così come restituiteci dal tempo e dalle intemperie senza riservare sorprese relative a tracce di scialbi antichi; la pulitura ed il consolidamento dei marmi ricoperti da particellare e da croste nere. Per quanto riguarda le volte si è proceduto al restauro degli intonaci originali mediante operazioni di preconsolidamento, pulitura, consolidamento, descialbo, reintegrazione delle lacune, equilibratura cromatica. Sugli stucchi ancora presenti si è proceduto al consolidamento materico e all’ancoraggio degli stessi al supporto murario; le cornici sono state oggetto di reintegro nelle porzioni che delimitano il disegno architettonico, mentre i modellati a motivo floreale non sono stati reintegrati, ma si sono rimarcate le tracce preparatorie a grafite ancora esistenti. La scalinata a causa del suo dissesto è stata smontata per poterne risanare la struttura d’appoggio rinforzandola con cordolatura perimetrale; la pavimentazione del protiro è stata rimossa per poter effettuare un’indagine Chiesa di Santa Maria: facciata (2007). Chiesa di Santa Maria: facciata (2009). 24 Il restauro Chiesa di Santa Maria: protiro (2009). Comitato per lo Studio e la Valorizzazione dell’Abbazia e delle Grange di Lucedio Nel marzo 2006 si è costituito il “Comitato per lo Studio e la Valorizzazione dell’Abbazia e delle Grange di Lucedio” presieduto dall’Assessore Marco Fra, diretto e coordinato dall’architetto Giorgio Gaietta, dirigente della Provincia di Vercelli e responsabile del Progetto, e costituito da Paolo Salvadori di Wiesenhoff, proprietà abbaziale del Principato di Lucedio, don Gianluca Gonzino, Arcidiocesi di Vercelli, Gisella Cantino Wataghin, Università degli Studi del Piemonte Orientale “Amedeo Avogadro”, Riccardo Nelva, Politecnico di Torino – II Facoltà di Ingegneria di Vercelli, e dalle archeologica, infatti la stessa si trova in corrispondenza dell’ingresso della precedente chiesa medievale. La facciata ha visto il reintegro degli intonaci mancanti o fortemente ammalorati con la realizzazione di un intonaco a base di calce avente caratteristiche granulometriche e di coloritura simili all’originale. Tale lavorazione è stata preceduta dal recupero conservativo del paramento murario in laterizio messo a nudo in seguito alla caduta di ampie aree di intonaco, delle cornici modanate in laterizio e pietra mediante intervento di cuci e scuci, delle arenarie attraverso il consolidamento materico del modellato a noi pervenuto senza operazioni di reintegro, degli elementi decorativi in cocciopesto (putto e decori al di sotto della finestra) e pietra (decori posti sui fianchi laterali della facciata), della croce sommitale in ferro. L’ampio serramento ligneo centrale, che risultava in buono stato di conservazione, è stato restaurato secondo le modalità dell’intervento attuato sui serramenti dei prospetti laterali. Il portone ligneo d’ingresso alla chiesa, in seguito alle operazioni di pulitura, ha rivelato la presenza dell’originaria coloritura bronzata, coloritura che è stata riproposta al termine delle successive operazioni di stuccatura delle parti ammalorate, di consolidamento dell’essenza lignea e di revisione delle ferramente. A conclusione del recupero della facciata si è proceduto al restauro e al ricollocamento davanti al portone ligneo della cancellata in ferro da tempo rimossa dalla sua posizione originaria. Soprintendenze per i Beni Architettonici ed il Paesaggio del Piemonte, per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico del Piemonte, per i Beni Archeologici del Piemonte e del Museo di Antichità Egizie. La sorveglianza alle attività di indagine e di restauro è stata assicurata, per le relative Soprintendenze, dall’architetto Gianni Bergadano, dal dottor Massimiliano Caldera, dal dottor Filippo Maria Gambari. Finalità del Comitato quelle di individuare, favorire e promuovere le linee più opportune di intervento per lo studio, il recupero, la conservazione e la valorizzazione del complesso abbaziale nel suo insieme e del sistema delle grange ad esso afferente, anche tramite il coinvolgimento delle forze culturali, istituzionali, economiche e sociali interessate e necessarie. Tra le finalità del Comitato anche la promozione e la divulgazione delle ricerche storico-artisticoarcheologiche effettuate o in essere sulla chiesa parrocchiale di Santa Maria, nonché sull’intero complesso abbaziale, attraverso la pubblicazione di quaderni scientifici. Il primo numero, Gli edifici dell’abbazia di Lucedio nella documentazione scritta e cartografica (secoli XII-inizi XX), a firma di Eleonora Destefanis, analizza l’assetto strutturale originario del complesso monastico e le trasformazioni subite nei secoli; il volume Il patrimonio dell’abbazia di Lucedio nel Medioevo (XII-XIII secolo) di Silvia Cappelletti, illustra i numerosi possedimenti dell’abbazia in epoca medievale e descrive il complesso sistema delle grange. BIBLIOTECA CISTERCENSE A4 SAN GERMANO VERCELLESE TRONZANO VERCELLESE MILANO VERCELLI A26 BIANZÈ A4 LIGNANA LIVORNO FERRARIS A26 A26 DESANA CASTELL’APERTOLE LUCEDIO TRICERRO STROPPIANA TORINO CRESCENTINO PALAZZOLO VERCELLESE COME ARRIVARE Da Torino: autostrada A4 Torino-Milano, uscita Chivasso est. Immettersi sul raccordo per Verolengo, alla rotatoria terminale proseguire per Crescentino e Vercelli. Dopo circa 19 km, all’incrocio di frazione Castell’Apertole, girare a destra in direzione Trino. Dopo circa 5 km, alla rotatoria, si trova l’indicazione per Lucedio, sulla sinistra; proseguendo sempre diritto, dopo circa 3 km, si trova Lucedio (distanza 60 km circa). Da Milano: autostrada A4 Milano-Torino; immettersi sulla A26, a Biandrate, in direzione Alessandria-Genova; dopo 25 km imboccare il raccordo per Santhià; dopo 7 km uscire a Vercelli ovest; alla rotatoria seguire per Crescentino-Torino; dopo circa 13 km un cartello indica per Lucedio, sulla sinistra; dopo circa 3 km si trova Lucedio (distanza 80 km circa). Da Genova: autostrada A26 direzione Gravellona; superata l’uscita di Casale nord, imboccare il raccordo per Santhià e dopo 7 km uscire a Vercelli ovest; alla rotatoria seguire per Crescentino-Torino; percorsi circa 13 km si trova l’indicazione per Lucedio, sulla sinistra; dopo circa 3 km si trova Lucedio (distanza 115 km circa). GENOVA TRINO Progetto grafico e redazione Sagep Editori Testi a cura della Provincia di Vercelli Chiara Nutolo Giorgio Gaietta Andrea Megna Paoletta Picco Raffaella Rolfo Referenze fotografiche R. Malerba: p. 1 Archivio Storico Ordine Mauriziano: pp. 2-3 (in alto) M. Carenzi: pp. 4-5 Archivio Segreto Vaticano: p. 6 Emanuela Patrucco - Gruppo Fotografico F. Negri: p. 7 Archivio Fotografico Fondazione Torino Musei: p. 10 Archivio di Stato di Torino: p. 14 (in alto) Archivio Fotografico della Provincia di Vercelli: pp. 2-3 (in basso), 8-9, 11/24 www.abbaziadilucedio.it Abbazia di Lucedio Segreteria presso Provincia di Vercelli Via San Cristoforo, 3 - 13100 Vercelli Tel. 0161 590262 [email protected] Visite guidate su prenotazione (1a domenica di ogni mese: inizio prima visita ore 9:00, termine ultima visita ore 12:00) euro 4,00 (i.i.) Abbazia di Santa Maria di Lucedio