www.tesinetemi.altervista.org Neuropsichiatria infantile di Anna Battista In questo dettagliato riassunto si trovano i contenuti del manuale per il corso di neuroscienze cognitive. In particolare, la psicopatologia infantile viene esplorata dettagliatamente; per ogni sindrome o disturbo vengono presentati eziologia, sintomi, criteri diagnostici e pronostici, terapia indicata. Vengono trattate tutte le principali patologie psicologiche e psichiatriche riguardanti l'età evolutiva. Università: Università degli Studi di Roma La Sapienza Facoltà: Psicologia Esame: Neuroscienze cognitive e riabilitazione psicologica Docente: Guidetti Vincenzo Titolo del libro: Manuali di Neuropsichiatria Infantile Vol I e Vol II Autore del libro: Vincenzo Guidetti e Federica Galli (a cura di) Editore: Il Mulino editore, Bologna Anno pubblicazione: 2005 1. Esame neurologico del neonato Spesso l’esame neurologico viene riservato ai neonati con evidente patologia cerebrale, ma ogni bambino ha il diritto di ricevere un esame neurologico poiché uno degli scopi di questo esame è quello di mettere in evidenza alterazioni che altrimenti passerebbero inosservate, soprattutto in relazione alla “new morbidity”: infatti accanto ad una riduzione delle cerebropatie gravi è stato riscontrato un incremento delle disfunzioni neurologiche minori (MND), che costituiscono questa new morbidity, che si possono individuare precocemente grazie ad un esame neurologico sistematico consentendo già dall’età neonatale un intervento abilitativo. Dunque, sembrerebbe più a rischio di sfuggire ad una diagnosi precoce il bambino a termine senza eclatanti segni di cerebropatia, e non il bambino pretermine, al quale di routine viene fatta l’ecoencefalografia. L’esame neurologico del neonato è costituito da una serie di item. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 1 di 167 2. Primo item dell'esame neurologico del neonato: gli stati comportamentali e il loro controllo E’ importante annotare e tenere costantemente sotto controllo lo stato comportamentale: essi rappresentano la prima valutazione da eseguire in quanto tutti gli item successivi hanno espressioni diverse a seconda dello stato comportamentale in cui il bambino si trova. Sono disponibili due classificazioni degli stati comportamentali: quella di Precht e Beintema del 1964 e quella di Brazelton del 1973. La maggior parte delle valutazioni esige la presenza di uno stato di veglia (stati 3-4) per il cui mantenimento sono utili alcuni accorgimenti che riguardano: - la distanza dal pasto (1ora e mezza/2): evitare che il bambino sia agitato per la fame o abbia sonnolenza post-prandiale; - la temperatura dell’ambiente (25° C circa): evitare che la sensazione di freddo scateni il pianto o incrementi il tono muscolare; - l’illuminazione dell’ambiente (buona e diffusa): evitare la presenza di forti sorgenti luminose situate asimmetricamente che potrebbero attrarre l’attenzione del neonato; - l’ordine degli item da valutare: meglio somministrare per primi gli item meno disturbanti e stressanti e per ultimi quelli più fastidiosi: il contrario può essere fatto per portare il neonato da uno stato di sonno (1-2) ad uno stato di veglia (3-4). E’ possibile usare delle manovre di risveglio in caso di sonno o sonnolenza, che devono essere dolci e costituite da stimoli vocali, o delle manovre calmanti nel caso di persistenza nello stato 5 (pianto), che hanno una loro gradualità: dialogo verbale, prenderlo in braccio, cullarlo, prenderlo in braccio inclinato in avanti di circa 30° e imprimendo lente oscillazioni ritmiche e parlargli dolcemente in maniera scandita e camminare. La capacità di controllo degli stati comportamentali si valuta alla fine dell’esame neurologico tenendo conto della facilità/difficoltà manifestate dal neonato a mantenere spontaneamente gli stati 3/4, quindi della necessità sporadica/continua dell’intervento dell’operatore e infine dell’impossibilità a mantenere uno stato ottimale (3/4) per l’esame, nonostante l’intervento dell’esaminatore. Il controllo degli stati viene definito: - ottimo: quando una volta svegliato il neonato mantiene spontaneamente uno stato di veglia 3/4 per tutta la durata dell’esame; - buono: quando ha meno di 5 piccoli periodi di agitazione e/o pianto che comunque supera autonomamente; - discreto: quando ha meno di 5 piccoli periodi di agitazione e/o pianto che supera in parte o in toto solo con l’intervento dell’esaminatore; - insufficiente: quando ha più di 5 piccoli periodi di agitazione e/o pianto che supera in parte o in toto solo con l’intervento dell’esaminatore; - cattivo: quando ha più di 5 piccoli periodo di agitazione e/o pianto che in parte o in toto non riesce a superare nemmeno con l’aiuto dell’esaminatore e comportano la sospensione dell’esame. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 2 di 167 3. Secondo item dell'esame neurologico del neonato: la habituation: stimolo luminunoso e stimolo acustico La habituation è una delle più elementari forme di apprendimento dell’essere umano: la somministrazione di uno stimolo ad intervalli regolari determina nel neonato un decremento delle risposte, fino alla loro scomparsa, poiché lo stimolo agli occhi del bambino perde l’aspetto di interesse. I bambini con una buona habituation hanno buone capacità di apprendimento e sono più intelligenti di quelli con una cattiva habituation. Essa è stata studiata per uno stimolo luminoso e per uno stimolo acustico: in entrambi i casi, l’habituation (assenza di risposta per due stimoli consecutivi) è buona se si verifica entro il 6° stimolo, ridotta se si verifica tra il 7° e il 12° stimolo, e assente se non si realizza entro il 12° stimolo. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 3 di 167 4. Terzo item dell'esame neurologico del neonato - la postura Quando si parla di postura si intende riferirsi alla postura prevalente: il neonato infatti durante lo stato di veglia non giace immobile ma si muove e cambia configurazioni posturali, tuttavia è comunque possibile individuare una postura prevalente. La postura viene abitualmente valutata in: -posizione supina: è caratterizzata dallo schema flessorio: arti superiori ed inferiori flessi e la testa ruotata da un lato con appoggio occipito-parietale; nel bambino pretermine, a causa dell’ipotonia dei muscoli rotatori del collo, la testa è molto più ruotata e l’appoggio avviene sul temporale e sulla guancia; -posizione prona: è caratterizzata dallo stesso schema flessorio della posizione supina: gli appoggi sono sui gomiti, ginocchia e metà inferiore del piano anteriore, la testa è periodicamente alzata e/o ruotata per liberare le vie respiratorie - posizione in braccio alla madre: la postura è strettamente connessa con la comunicazione diadale mediante vari meccanismi che sono il dialogo face-to-face, il dialogo corporeo e il sincronismo posturale. Il dialogo face-to-face si determina quando la madre ha in braccio il bambino ed entra in comunicazione con lui agganciando il suo sguardo oltre che sorridendo e parlando: in questo caso il corretto controllo posturale consente un incremento dell’attenzione e una collaborazione al mantenimento di una posizione adeguata della testa, invece anomalie posturali ostacolano in maniera più o meno grave la comunicazione diadale con pesanti ripercussioni sullo sviluppo relazionale. Il dialogo corporeo è costituito da esperienze tattili e termiche che madre e neonato si scambiano quando i loro corpi sono in contatto. Il sincronismo posturale è costituito da una corrispondenza tra i cambiamenti posturali della madre e quelli del neonato e viceversa; se questo sincronismo è alterato la quantità e la qualità della comunicazione diadale risulta danneggiata. Inoltre, la postura è funzionalmente correlata con: - il sincronismo interattivo: quando la madre parla al neonato questi cambia ritmicamente la sua postura, dando la percezione di essere un partner attento e rispondente; - l’attenzione: per i bambini grandi e gli adulti la postura che meglio sostiene l’attenzione è quella seduta e per il neonato è quella supina. - e l’alimentazione: la tipica postura da suzione alimentare è caratterizzata da braccia flesse e mani chiuse a pugno. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 4 di 167 5. Quarto item dell'esame neurologico del neonato: l’attivita’ motoria - i gms e l’attività motoria fine I GMS sono movimenti generali del corpo la cui qualità ha un valore diagnostico e prognostico. Tutti i neonati con GMS normali hanno uno sviluppo normale ala fine del secondo anno di vita; invece il 70% di quelli che hanno GMS anormali ha delle alterazioni dello sviluppo. Nel neonato a termine i GMS coinvolgono generalmente tronco e soprattutto arti superiori, essi sono caratterizzati da: fluidità, ricca variabilità e complessità. I GMS limitatamente anormali sono: - i fragmented GMS, movimenti senza fluidità e costituiti da una configurazione a scatto; - i tense GSM, movimenti senza fluidità e rigidi; I GMS sicuramente anormali sono: - i GMS torpidi, movimenti lenti di piccola ampiezza; - i GMS monotonous-abrupt, movimenti bruschi, improvvisi e veloci; - i GMS monotonous-cramped, movimenti tesi e molto rigidi che spesso provocano il pianto; - i GMS monotonous, senza complessità e varietà, ripetizioni di un solo tipo di movimento o di una sequenza di movimenti. Per l’attività motoria fine si intende l’attività di reaching, ovvero tentativi di raggiungere con la mano un oggetto-stimolo posto nel campo di azione. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 5 di 167 6. Quinto item dell'esame neurologico del neonato: il tono muscolare - passivo e attivo Il tono muscolare passivo è rappresentato dalla proprietà dei muscoli di lasciarsi distendere. Le alterazioni possono essere divise in ipotonie o ipertonie. I distretti corporei principalmente valutati sono: il collo, gli arti e i cingoli superiori, il tronco e gli arti inferiori a livello della rotazione, della flessione, dell’estensione, ecc. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 6 di 167 7. Sesto item dell'esame neurologico del neonato: i riflessi arcaici Chiamati anche automatismi primari e sono trasmessi al neonato dal patrimonio genetico dell’apprendimento della specie. Il loro esame è importante in quanto eventuali anomalie sono la testimonianza di noxae (agenti patogeni o situazioni nocive) che hanno agito sullo sviluppo del SN interferendo sulla realizzazione di circuiti sinaptici programmati geneticamente. Questi automatismi possono avere due livelli di alterazioni: nella soglia di elicitazione (soglie alte che richiedono una ripetizione e/o una marcata intensità dello stimolo per ottenere il riflesso arcaico, soglie basse in cui la risposta viene elicitata anche con stimoli molto deboli) e nella loro configurazione (faccia: suzione: alterazioni nella coordinazione possono comportare difficoltà alimentari; arti superiori: prensione palmare (grasping): mettendo un dito nella mano del neonato, questi la stringe contraendo anche i muscoli dell’avanbraccio e del braccio; riflesso di Moro: si prende il neonato per i polsi mentre giace supino e lo si solleva evitando che perda il contatto dell’occipite con la superficie di appoggio e poi si lasciano i polsi, la risposta consiste in movimenti e comportamenti più o meno frequenti; arti inferiori: riflesso della marcia automatica: il neonato viene tenuto eretto e inclinato in avanti e si determina la comparsa di 3,4,5 passi. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 7 di 167 8. Settimo item dell'esame neurologico del neonato: i riflessi osteotendinei relativi alle ossa e ai muscoli, tra i più comuni: McCarthy, i masseterini, i bicipitali, i rotulei. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 8 di 167 9. Ottavo item dell'esame neurologico del neonato: le funzioni sensopercettive - visive e uditive L’esame della funzione visiva rappresenta la più importante valutazione dell’esame neurologico: un neonato che presenta questa funzione normale è sicuramente esente da gravi patologie neurologiche. Il neonato ha una funzione visiva con caratteristiche diverse da quella del bambino più grande, infatti il neonato per distanze comprese tra i 25 e i 35 cm ha un’abilità di mettere a fuoco limitata, a causa di un inadeguato sviluppo della muscolatura del cristallino e una limitata acuità visiva. Si valutano due funzioni visive, entrambe esaminate con uno stimolo inanimato e animato: - l’agganciamento o la fissazione visiva: essa è giudicata buona quando si instaura entro 5 sec dal momento in cui lo stimolo viene a trovarsi sulla linea dello sguardo del neonato e ha una durata di almeno 3 secondi; - l’inseguimento visivo: esso è giudicato buono quando l’inseguimento dello stimolo avviene per un arco di circa 90°. L’esame della funzione uditiva consiste nel valutare due tipi di risposte ad uno stimolo acustico: - la reazione: consiste in qualsiasi attività motoria, dal semplice ammiccamento a movimenti più o meno ampi del corpo; - l’orientamento: normalmente il neonato si orienta con la testa verso il lato da cui proviene lo stimolo acustico. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 9 di 167 10. Nono item dell'esame neurologico del neonato: il diario comportamentale L’operatore abitualmente ha la possibilità di valutare il comportamento del neonato solo durante i 20-30 minuti dell’esame neurologico, ma tale tempo non è sufficiente per indagare alcune particolari funzioni per cui è utile la compilazione di un diario comportamentale, ovvero una serie di domande rivolte alle infermiere o ai genitori, o a chi si prende cura del neonato, che indagano il sonno, l’alimentazione, il comportamento in veglia, la reattività agli stimoli sensoriali e l’autoconsolabilità. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 10 di 167 11. Prima visita e colloquio clinico in psichiatria dell’età evolutiva Una consultazione psichiatrica in età evolutiva nasce generalmente dalla constatazione di una difficoltà, che spesso giunge dai genitori, direttamente o indirettamente, o su indicazione di altre figure, come gli insegnanti. Talora, soprattutto nel caso degli adolescenti, la richiesta di un aiuto o sostegno può partire dal paziente stesso. L’obiettivo della consultazione psichiatrica è “farsi un’idea clinica sul paziente, sulle sue difficoltà, e su come nel tempo si è arrivati alla situazione attuale”; dunque “giungere ad un quadro generale della situazione che permetta di formulare un’ipotesi diagnostica valida. I mezzi a disposizione per fare ciò sono: il colloquio clinico e la prima visita ambulatoriale. La procedura deve essere adattata all’età del paziente e alla situazione; è prassi far entrare sia il paziente che i genitori, tranne che in adolescenza, ciò è importante perché: - permette di raccogliere le informazioni necessarie e prendere nota eventualmente dei differenti punti di vista dei presenti; - costituisce un’occasione per effettuare una prima, e informale, osservazione del paziente, dei genitori e delle dinamiche del nucleo familiare; ed inoltre l’esplicita richiesta di parlare di fronte al bambino permette ai genitori di esprimere apertamente le loro preoccupazioni, disinnescandone l’aspetto di segreto, e mettendoli più in contatto con il figlio e le sue difficoltà. Occorre spiegare a grandi linee cosa avverrà nel colloquio e rimanere recettivi e disponibili a quanto avviene nella stanza sul piano verbale e non. La raccolta dei dati anagrafici, di alcune notizie sul gruppo familiare, sui genitori può essere un buon tramite per aprire l’incontro. Nel caso degli adolescenti la prassi cambia, perché bisogna tener conto della specificità di questa fase evolutiva; è indicato offrire spazi separati: il colloquio con l’adolescente da una parte e quello con i genitori dall’altra; ma non devono essere 2 clinici differenti ad occuparsene, è fondamentale infatti che sia lo stesso clinico, in modo da potersi costruire un’impressione unitaria. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 11 di 167 12. Prima visita in psichiatria dell’età evolutiva Durante la prima visita , la prima domanda da porre riguarda le motivazioni della consultazione e cosa si aspettano da quest’ultima; un’accurata raccolta anamnestica permette di ricostruire la storia evolutiva del paziente: gravidanza, parto, primi atti fisiologici, alimentazione, ritmo sonno-veglia, controllo sfinterico, sviluppo motorio, tappe dello sviluppo della comunicazione e del linguaggio, sia in comprensione che in produzione, sviluppo della socializzazione e sviluppo simbolico. Vengono presi in esame la presenza di eventuali patologie croniche o gravi ed il peso di quest’ultime nell’equilibrio familiare; per ogni competenza, è necessario notare quando viene raggiunta e in che modo: se è stata oggetto di una grossa problematica o se tutto è svolto senza apparenti difficoltà. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 12 di 167 13. Colloquio clinico in psichiatria dell’età evolutiva Il colloquio può seguire immediatamente la prima visita, se questa si è svolta in breve tempo, o può essere programmato come ulteriore appuntamento; se avviene il primo caso, se i genitori sono presenti, sono invitati ad uscire, se invece è una cosa a sé stante, il clinico si presenta e chiede al bambino di accompagnarlo nella stanza, rassicurandolo che i genitori lo aspetteranno in sala d’attesa. Alla fine di tutto ciò viene fatto un resoconto di questa parte iniziale, ovvero una sintesi integrata di fattori organici e costituzionali, stress ambientali e conflitti anteriori, che hanno nel tempo interagito tra loro e portato il bambino in questa condizione. Alla fine della prima visita e del colloquio viene formulata un’ipotesi diagnostica, divisa in: evolutiva, ovvero una diagnosi clinica il più precisa possibile, e prognostica, ovvero un modello di patogenesi circa le basi e i percorsi che hanno portato a questa situazione patologica. Al termine, bisogna prevedere un breve spazio per concludere: in questo colloquio di chiusura sono coinvolti i genitori ed il paziente; nel caso degli adolescenti, si può avere un colloquio di chiusura tutto per sé; è necessario rispondere in maniera onesta, piuttosto che non dire nulla, anche in situazioni poco chiare, poiché il silenzio del clinico potrebbe portare a preoccupazioni. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 13 di 167 14. Sviluppo sensomotorio e relazionale del feto La comunicazione tra mondo esterno e feto-neonato è un aspetto fondamentale per la maturazione cognitiva, psichica e sociale di quest’ultimo. Lo sviluppo delle sue competenze comunicative inizia già nell’utero grazie alle funzioni svolte dai vari organi di senso. In tutti i mammiferi lo sviluppo della sensorialità segue un ordine prestabilito: dapprima si sviluppano le sensorialità su base chimica (olfattiva e gustativa), seguono in ordine quella cutanea, vestibolare, uditiva e visiva. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 14 di 167 15. Sviluppo della sensibilità tattile, termica e dolorifica Il sistema tattile fetale è funzionante già a partire dalla 7° settimana e per la 20° settimana tutta la cute e le mucose sono responsive dal punto di vista tattile. Già nella prima metà di gestazione il feto reagisce alla pressione e alla temperatura di oggetti posti a contatto con la parete addominale materna e agli stimoli dolorosi. L’aptonomia è la scienza del tatto che insegna ai futuri genitori a stabilire un rapporto tattile con il feto, mediante delle carezze e delle amorose espressioni verbali che giungono al feto attraverso la parete addominale e uterina materna, ciò permette l’instaurarsi di un dialogo cui il feto partecipa e si crea quindi una vera e propria relazione tra chi sta al di qua e chi sta al di là della parete addominale e uterina; i partner di questo tipo di relazione non sono solo il feto e la madre, ma possono essere anche il padre, i fratelli e altri componenti della famiglia che così stabiliscono precoci rapporti relazionali. Con l’aptonomia la madre apprende a manipolare il suo feto attraverso la parete addominale e uterina in una specie di holding intrauterina, il feto risponde ed è attratto da queste manipolazioni al punto da poter essere guidato a viaggiare nell’utero, spostandosi dalla parte più alta o più bassa. Lo sviluppo della sensibilità materna fetale fa sì che il liquido amniotico possa essere percepito come una vera e propria pelle da cui si separa al momento della nascita; questa separazione dal liquido amniotico è la prima tappa della separazione feto-madre al momento della nascita. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 15 di 167 16. Sviluppo della sensibilità vestibolare Il sistema vestibolare è funzionante già dalla 16° settimana, mentre i nuclei vestibolari nel SNC sono funzionanti dalla 20° settimana. Il feto è sottoposto a numerose stimolazioni vestibolari; i movimenti materni seguono un ritmo circadiano e contribuiscono, insieme alle abitudini alimentari e alle variazioni metaboliche, a comunicare il ritmo circadiano alla vita fetale. Quando la madre si muove, generalmente il feto è immobile, invece quando la madre si siede o si sdraia egli tende a muoversi, muovendosi esplora la parete uterina con le mani e con i piedi e compie le prime esperienze tattili; lo stile della madre ha forti ripercussioni sullo sviluppo del feto, infatti quando i periodi di riposo della madre sono ben distribuiti nel corso della giornata anche il feto sperimenterà un’armoniosa distribuzione tra attività e riposo con conseguenti effetti benefici sul suo sviluppo, invece una madre iperattiva offrirà poche possibilità al feto di esercitare un’adeguata attività motoria e questo potrà determinare problemi di sviluppo. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 16 di 167 17. Sviluppo della sensibilità uditiva Risposte a stimoli uditivi sono evidenziabili già a 12 settimane, cioè prima del completamente dell’apparato uditivo. La soglia uditiva diminuisce con l’aumentare dell’età gestazionale. I suoni ad alta intensità provocano tachicardia mentre quelli a bassa intensità bradicardia fetale. Nella cavità intrauterina, dopo giace il feto, vi è un rumore di fondo non specifico, il rumore del battito cardiaco materno e quello prodotto dai gas che passano nell’apparato digerente della madre. La lunga esperienza della percezione del battito cardiaco materno lascia una traccia nella memoria del neonato che richiama alla mente il calore e il piacevole contatto vissuto nell’ambiente intrauterino. Tra i rumori che penetrano nella cavità uterina vi sono quelli derivanti dall’ambiente: voce umani, musica, ecc, che sono poco attenuati dalla parete addominale e uterina materna se sono a bassa frequenza, mentre più attenuati con frequenze > 250 Hz. La voce materna viene trasmessa attraverso i tessuti e le ossa fino all’utero, ha un’intensità intorno ai 60 dB e perviene al feto con una perdita di intensità di solo 8 dB, mentre le voci di altre persone hanno una perdita di circa 22 dB. E’ importante sottolineare il fenomeno dell’abituazione, ovvero dell’estinzione progressiva delle risposte, in seguito all’apprendimento degli stimoli a tal punto da non essere più interessanti e quindi non da non essere più in grado di determinare risposte. Il tempo di abituazione è strettamente correlato con la velocità di apprendimento che è una misura di intelligenza: i feti che si abituano rapidamente sono ritenuti più intelligenti, quelli che si abituano meno velocemente o non mostrano affatto l’abituazione sono ritenuti avere problemi di apprendimento o quanto meno condizioni funzionali cerebrali non ottimali. Dunque, l’assenza dell’abituazione o deficit possono essere indici di ritardi o anomalie dello sviluppo del SN: iperattività, depressione, schizofrenia, danni cerebrali, sindrome di Down. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 17 di 167 18. Sviluppo della sensibilità visiva La vista è la sensibilità meno sviluppata del feto, dato che vive in un ambiente buio. Comunque già a partire dalla 7° settimana si ha la formazione del nervo ottico e delle cellule retiniche, infatti se si avvicina una lampada all’addome della donna e la si toglie dopo qualche secondo, il feto si muove e aumenta la sua frequenza cardiaca. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 18 di 167 19. I movimenti fetali L’attività motoria può essere distinta in riflessa che compare a partire dalla 7° settimana e spontanea a partire dalla 7° settimana e mezzo. I movimenti respiratori normali del feto non sono percepiti dalla madre, tranne che le energiche contrazioni (singhiozzi) del diaframma che si verificano al max per 4 volte in 24 ore e che durano tra 1 e 3 minuti. Inoltre, già dalla 15 ° settimana, il feto ha un ampio bagaglio motorio: suzione, deglutizione, stiracchiamenti, sorrisi, sbadigli, movimenti oculari, rotazioni del corpo, ecc. Vi è un’evoluzione dei movimenti, da globali che interessano l’intero corpo, a parcellari, che interessano singole parti del corpo. A partire dalla 15° settimana il feto può respirare, ma i polmoni ancora non funzionano e i movimenti respiratori sono molto brevi, a partire dalla 23° settimana i movimenti respiratori non sono più rari e negli ultimi 3 mesi essi diventano organizzati e periodici. Nel comportamento fetale è possibile distinguere tra periodi di attività, in cui vi è attività motoria con incremento della variabilità della frequenza cardiaca, e di inattività o quiete, in cui vi è assenza di movimenti e diminuzione della frequenza cardiaca; in genere la durata dei periodi attivi è di 40 minuti, periodi di inattività superiori ad un’ora sono spesso associati ad un incremento della patologia fetale. Il SN è influenzato da 2 processi: uno innato-centrifugo (genetico, sottende la moltiplicazione neuronale e la migrazione degli elementi dal centro alla periferia del cervello) e l’altro acquisito-centripeto (esperienziale, sottende la stabilizzazione della crescita cerebrale, dello sviluppo sinaptico e della morte neuronale). Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 19 di 167 20. Relazione prenatale a rischio Come la madre vive, cioè come si alimenta, come riesce a gestire le proprie ansie, i problemi economici e personali nei 9 mesi, influenzerà moltissimo la sua relazione con il neonato e il modo in cui il suo bambino crescerà e svilupperà le sue capacità. Tutta la famiglia partecipa, direttamente o indirettamente, alla relazione con il feto, ma i due partner che contribuiscono maggiormente al mantenimento di una sana e adeguata relazione sono -la madre: in buone condizioni, esente da stress fisici e psicologici, felice di aspettare un bambino e che viva con il marito e i familiari piacevolmente questa fantastica esperienza, sia desiderosa di relazionarsi con lui, proteggerlo, coccolarlo e amarlo già prima della sua nascita; anche il ruolo del padre è molto importante per tutta la durata della gestazione: restare accanto alla moglie ed essere per lei un compagno a tutti gli effetti; - e il feto: sano, esente da qualsiasi malformazione, ereditaria o acquisita, in particolare del SN. Lo stress materno determina nel nascituro ipertensione arteriosa, acidosi e bradicardia, irritabilità, ipertonicità, iperattività, imputabili queste ultime ad alto tasso di catecolamine nel suo organismo. Oltre alla vasocostrizione da stress, vi è anche quella da nicotina: il fumo di una sigaretta infatti contiene un’elevata concentrazione di anidride carbonica e ossido di carbonio che diminuiscono la percentuale di ossigeno nei polmoni nei suoi polmoni e quello trasferibile attraverso la placenta al feto. bere alcolici in gravidanza può determinare la sindrome fetale da alcol caratterizzata da basso peso alla nascita, microcefalia e ritardo mentale. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 20 di 167 21. Disadattamento scolastico L’esperienza scolastica riveste una funzione importante per il processo di crescita della persona; la scuola rappresenta l’ambiente extrafamiliare più significativo in cui si sviluppano diverse modalità di condotta, altri rapporti interpersonali e trovare negli insegnanti e nei compagni nuovi modelli di identificazione secondaria che favoriscono la crescita e l’autonomia personale; ma possono comunque manifestarsi comportamenti “disadattivi” come bullismo, violenza, abbandono degli studi, ritiro sociale e isolamento. Il disadattamento scolastico può dipendere da molti fattori, che possono riferirsi alla sfera individuale o all’ambiente sociale e familiare di provenienza, spesso infatti i genitori hanno aspettative elevate riguardo al rendimento scolastico dei figli con il conseguente insorgere di frustrazioni, oppure possono avere aspettative negative sulla scuola che possono incidere sul futuro inserimento lavorativo del figlio; altri fattori di rischio possono dipendere dal gruppo dei pari o dagli insegnanti: alcuni pregiudizi sulle capacità dei ragazzi svantaggiati possono talvolta tradursi in profezie che si autodeterminano, oppure insegnanti eccessivamente esigenti inducono nel ragazzo alti livelli di ansia e frustrazione, disagio e malessere. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 21 di 167 22. Le manifestazione del disadattamento scolastico Una delle manifestazioni più evidenti di disadattamento scolastico è l’ABBANDONO (o DROPOUT), che si riferisce alla condizione dello studente che abbandona la scuola senza portare a compimento la scuola scelta. Vi sono 5 categorie di studenti che abbandonano la scuola: 1) pushout: alunni non desiderati dalla scuola che vengono attivamente allontanati da essa; 2) disaffiliated: alunni che non sono attaccati alla scuola e desiderano abbandonarla; 3) capable drop-out: alunni che non riescono a far fronte alle richieste di integrazione sociale della scuola e abbandonano essa nonostante le loro capacità scolastiche; 4) stop-out: studenti che interrompono gli studi per un periodo per poi ritornare nello stesso anno; 5) educational mortalities: alunni che interrompono anticipatamente gli studi. Ma, quando si parla di abbandono scolastico, dobbiamo distinguere tra: - ABBANDONO ESPLICITO: che si concretizza con l’uscita del soggetto dall’istituzione scolastica; - ABBANDONO MASCHERATO: l’allievo rimane fisicamente nella scuola, ma è disimpegnato, si concretizza con un rendimento insufficiente nonostante le buone capacità di apprendimento, un calo della motivazione e una scarsa autostima; i ragazzi rimangono nel circuito scolastico solo perché costretti dall’obbligo della frequenza o perché non vedono all’esterno, nel contesto sociale e lavorativo, alternative per loro significative. Vi è poi anche l’EVASIONE, ovvero l’inadempienza all’obbligo scolastico; o l’ASSENTEISMO, che consiste in assenze frequenti e ripetute nel tempo: malattie croniche o marinare la scuola. La DISPERSIONE SCOLASTICA è l’uscita anticipata dal sistema scolastico, che riguarda sia l’evasione che l’interruzione della frequenza senza aver conseguito nessun titolo. Tutti questi esiti negativi possono essere attenuati da fattori di prevenzione, che hanno una funzione protettiva degli equilibri psichici e comportamentali di un soggetto, soprattutto quando si trova ad affrontare eventi stressanti. Questi fattori protettivi devono far riferimento a 4 aree: 1) autostima, fiducia nell’efficacia delle proprie azioni e maggior livello di considerazione personale; 2) autocontrollo, dei propri impulsi e rimandare la gratificazione e il soddisfacimento dei bisogni; 3) aspettative ottimistiche, fiducia nel futuro, atteggiamento indirizzato al successo; 4) capacità di interazione sociale, mantenere relazioni positive, mostrando capacità di adattamento e flessibilità Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 22 di 167 23. Disturbi del sonno La macrostruttura del sonno è costituita da 5 stadi: 4 NREM e 1 REM, i quali si alternano ciclicamente ogni 90 minuti nel corso della notte. Il ciclo sonno-veglia è regolato da complesse interazioni neuronali a livello del diencefalo e del tronco e coinvolge diversi neurotrasmettitori ( serotonina, noradrenalina, dopamina, acetilcolina e altri peptidi); esso subisce, dal periodo fetale fino all’età adulta, diverse variazioni, come la riduzione della quantità di sonno totale, con diminuzione del sonno REM a favore della veglia, invece il sonno NREM rimane pressoché costante. I disturbi del sonno vengono distinti in 4 categorie diagnostiche: 1) DISSONNIE: consistono in disturbi di inizio e mantenimento del sonno o insonnia, e disturbi di eccessiva sonnolenza; vengono distinti in: disturbi del sonno intrinseci, estrinseci e disturbi del ritmo circadiano; 2) PARASONNIE: consistono in tutti quei disturbi del sonno che non causano insonnia o sonnolenza diurna; 3) DISTURBI DEL SONNO ASSOCIATI A PATOLOGIE MEDICHE E/O PSICHIATRICHE; 4) DISTURBI DEL SONNO ANCORA OGGETTO DI STUDIO E DI DEFINITIVA CONFERMA DIAGNOSTICA. Si definisce “insonnia” in età evolutiva, la presenza per minimo 3 notti a settimana, per almeno 3 settimane, di uno dei seguenti sintomi: - 45 minuti di latenza del sonno; - risvegli notturni con almeno 30 minuti per riaddormentarsi; - risvegli precoci. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 23 di 167 24. Insonnia nel primo anno di vita I bambini piccoli possono svegliarsi spesso nel corso della notte, ma uno dei fattori chiave per determinare se un bambino con risvegli notturni soffra di insonnia è la sua incapacità di riaddormentarsi autonomamente senza l’intervento dei genitori, questi ultimi, intervenendo continuamente ad ogni minimo richiamo del bambino, tendono inconsciamente a rinforzare il disturbo. Nella prima infanzia sono normali 1 o più risvegli, alcuni bambini non chiamano e vengono definiti autoconsolatori, altri invece chiamano e vengono definiti segnalatori. Fra questi 2 gruppi di bambini, la differenza non sta nell’organizzazione del sonno, ma nel modo in cui i genitori gestiscono l’addormentamento: i bambini autoconsolatori vengono dai genitori messi nella culla ancora svegli, permettendo loro di addormentarsi da soli, invece i bambini segnalatori vengono messi dai genitori nella culla già addormentati. Disturbo di inizio del sonno per associazione: si verifica quando l’addormentamento è impossibile se non in presenza di certi oggetti o circostanze; i bambini hanno risvegli normali ma sono incapaci di riaddormentarsi da soli se non vengono ripristinate le condizioni iniziali dell’addormentamento; questo disturbo è molto frequente al di sotto di un anno e tende a scomparire intorno ai 3/4 anni; l’approccio terapeutico prevede la graduale eliminazione delle associazioni errate; Sindrome da eccessiva ingestione notturna di fluidi: si caratterizza per la presenza di risvegli multipli con incapacità di riaddormentarsi senza bere almeno 350 ml di liquidi; la terapia consiste nel rimuovere gradualmente l’associazione alimentazione/sonno ( in genere dopo i 6 mesi il bambino non ha più bisogno di pasti notturni); nel ridurre progressivamente la quantità di liquido nel biberon nel primo giorno a metà, nel terzo giorno ad un quarto, fino a lasciarlo quasi vuoto; nel sostituire ogni tanto il biberon con il ciuccio; e nell’evitare di somministrare tisane o liquidi con sostanze zuccherate; Coliche dei primi 3 mesi: i bambini con questo disturbo tendono ad avere un sonno diurno irregolare ma breve; sembra che il 90% dei bambini di 9 mesi con risvegli notturni, abbiano sofferto di coliche nei primi 3 mesi, e che siano particolarmente sensibili alle irregolarità del ritmo sonno-veglia con difficoltà a ristabilire tale ritmo a causa anche dell’incapacità da parte dei genitori di praticare una corretta igiene del sonno; Insonnia da allergia alimentare: è un disturbo di inizio e mantenimento del sonno determinato da una risposta allergica ad un alimento; dopo la rimozione dell’allergene alimentare si verifica una normalizzazione del sonno immediata o entro 4 settimane; sul piano clinico devono essere presenti i seguenti sintomi: risvegli, agitazione psicomotoria, sonnolenza diurna, difficoltà respiratorie, irritazione cutanea (eczema), disturbi gastrointestinali. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 24 di 167 25. Insonnia da un anno all’età scolare Disturbo da inadeguata definizione del limite: si caratterizza per la difficoltà da parte dei genitori a stabilire delle regole al momento dell’addormentamento e a farle rispettare, con conseguente rifiuto da parte del bambino di andare a letto ad un orario determinato o di rimanerci tutta la notte; Insonnia da cause psicologiche e paure dell’addormentamento: le paure dell’addormentamento sono causate da un fallimento o da un’alterata acquisizione da parte del bambino della capacità di gestire l’area transizionale del passaggio veglia-sonno. INSONNIA IN ADOLESCENZA: a questa età, l’insonnia è legata alla cattiva igiene del sonno, rappresentata da: orario di addormentamento dopo le 23, orario di risveglio dopo le 8, sonnellini diurni, schemi irregolare di sonno, assunzione di sostanze eccitanti. Per quanto riguarda la terapia dell’insonnia in età evolutiva, si prevede l’applicazione di principi di igiene del sonno e tecniche comportamentali, ma quando le semplici regole non sono efficaci, si ricorre ad interventi farmacologici; comunque non bisogna attendere che il disturbo si cronicizzi prima di somministrare il farmaco. Le categorie farmacologiche utilizzate sono: - derivati antistaminici; - benzodiazepine; - antidepressivi triciclici; - imidazopiridine; - menatonina. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 25 di 167 26. Parasonnie Le PARASONNIE sono un gruppo di disturbi eterogenei associati al sonno che si verificano in maniera sporadica durante la notte, senza che venga alterata in maniera significativa la normale struttura del sonno. Disturbi dell’arousal: il processo che si trova alla base di questi disturbi è un risveglio incompleto; l’episodio si caratterizza per la presenza di comportamenti di diverso tipo, come: dispercezione, mancata responsività ambientale, alta soglia al risveglio, confusione, disorientamento, amnesia retrograda, ecc. Di solito si verifica un solo evento per notte che insorge nella prima parte della notte. Movimenti ritmici del sonno: sono movimenti ritmici ripetitivi e stereotipati che interessano prevalentemente la testa ed il collo o l’intero corpo, ricorrono ad intervalli regolari di 10-120 sec e durano in media 1-15 min o persistono per quasi tutta la notte. L’esordio è tra i 6 e i 9 mesi e scompaiono intorno ai 2 anni, se persistono si riscontrano in bambini con ritardo mentale o autismo. Crampi notturni: dolori o tensione muscolare a livello degli arti e prevalentemente delle sedi distali degli arti inferiori; il dolore può svegliare il bambino, sono più comuni nella seconda infanzia. Paralisi del sonno: periodo di impossibilità di compiere movimento volontari, compare all’inizio del sonno e/o dopo il risveglio; il bambino è cosciente e vigile, ma si sente paralizzato; gli attacchi durano qualche minuto e terminano spontaneamente, occasionalmente possono essere fermati dal bambino muovendo rapidamente gli occhi, oppure possono essere bloccati da stimoli tattili. Enuresi notturna: è caratterizzato da una o più minzioni involontarie in un mese, durante il sonno, in bambini di età superiore a 5 anni; gli episodi avvengono in tutte le fasi del sonno, in un qualsiasi momento della notte. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 26 di 167 27. Disturbi del ritmo circadiano La funzione del ritmo circadiano è quella di fornire una precisa regolazione temporale del comportamento e dei processi fisiologici per un adattamento ambientale. In condizioni normali il nostro ritmo è strutturato in: a) una fase di attività tra le 5 e le 8 del mattino; b) una fase di riduzione di attività con diminuzione delle performance fisiche tra le 11 e le 14; c) una nuova fase di elevata vigilanza tra le 17 e le 20; d) una fase di estrema riduzione della vigilanza e dell’attività tra le 23 e le 5 del mattino. Esistono dei generatori interni dell’oscillazione sonno-veglia, che vengono sincronizzati da segnali ambientali quali il ritmo luce-buio, i ritmi sociali e gli orari dei pasti. Esistono però differenze interindividuali che determinano le cosiddette tipologie circadiane del “gufo” e dell’”allodola”: le allodole vanno a dormire presto e si svegliano presto, mantenendo un livello di attenzione massima nelle prime ore del mattino, mentre i gufi vanno a dormire tardi e si svegliano tardi e sono più attivi la sera. Tali disturbi sono inseriti nel gruppo diagnostico delle dissonnie e nei bambini sono rappresentati dalle seguenti tipologie: Sindrome da fase di sonno anticipata: si verifica nei bambini molto piccoli e tende a scomparire con la crescita quando le attività serali mantengono la veglia, ritardando l’orario di addormentamento. La terapia consiste nel posticipare l’intera fase di sonno, ritardando progressivamente l’orario di addormentamento di 30-60 minuti per notte ogni 7 gg, il risveglio mattutino invece deve restare spontaneo; l’esposizione ad un ambiente intensamente illuminato nelle prime ore della sera può aiutare a ritardare il momento del sonno. Sindrome da fase di sonno posticipata: consiste in uno slittamento verso le ore notturne del normale orario di addormentamento, con un orario di risveglio ritardato. La terapia consiste in un’anticipazione lenta e progressiva dell’orario di addormentamento di 15 minuti al giorno, se lo slittamento è solo di 3 ore a notte; se invece lo slittamento è superiore alle 4-5 ore, è bene ritardare l’addormentamento di altre 2-3 ore fino a saltare una notte. Pattern irregolari del ritmo sonno-veglia: si tratta di bambini che durante il giorno non ricevono segnali regolari, come luce, buio, orario dei pasti, orario di addormentamento, interazioni sociali, ecc. Sono presenti, dal punto di vista clinico, difficoltà di addormentamento, risvegli notturni, risveglio precoce, sonnolenza diurna, disturbi comportamentali. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 27 di 167 28. Disturbi respiratori nel sonno Russamento primario: si caratterizza per la presenza di suono vibratorio emesso dalle alte vie respiratorie nella notte; è essenzialmente legato all’ipertrofia adenotonsillare; circa ¼ svilupperà poi una sindrome delle apnee ostruttive. Sindrome delle apnee ostruttive: è determinata dalla presenza di episodi di ostruzione delle vie aeree superiori completa/parziale/prolungata durante il sonno. Non esiste un pattern fenotipico caratteristico: alcuni bambini sono obesi e altri sono magri; alcuni hanno un serio disturbo respiratorio ma senza ipertrofia adenotonsillare e altri invece presentano enormi adenoidi e tonsille; ecc. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 28 di 167 29. Disturbi da eccessiva sonnolenza Si presentano solitamente in adolescenza e solo occasionalmente in età scolare. Narcolessia: è un disturbo che dura tutta la vita. I sintomi consistono in: a) sonnolenza diurna: questi bambini hanno grandi difficoltà nel risveglio mattutino e si addormentano più volte al giorno durante attività monotone; vi sono pure episodi di microsonno di 1-10 secondi che possono passare inosservati in quanto il bambino ha gli occhi aperti, lo sguardo assente, parla ma dice parole fuori contesto e risponde lentamente o in modo inappropriato alle risposte; b) cataplessia: perdita improvvisa del tono muscolare o tremore delle gambe o arresto dell’eloquio; c) allucinazioni ipnagogiche: visive e uditive, nel momento dell’addormentamento; d) paralisi del sonno: compaiono prevalentemente al risveglio, sono temporanee e completamente reversibili, possono essere bloccate da stimoli tattili o da scuotimento da parte di altre persone, da movimenti oculari rapidi. Ipersonnie: consiste in una grave sonnolenza con prolungati periodi di sonno notturno ed episodi NREM diurno. A volte l’ipersonnia può essere un sintomo di patologie neurologiche o psichiatriche, si riscontra in aumento della pressione intracranica, traumi cranici, malnutrizione, anemia, ecc. Vi sono poi i “lungo dormitori congeniti” che dormono un numero di ore > a quello previsto per l’età, senza presentare disturbi; la sonnolenza compare quando il sonno viene ridotto da impegni sociali e in adolescenza, a causa delle pressioni e delle esigenze tipiche di questo periodo. Tali soggetti hanno un tempo di sonno totale di almeno 2 ore in più alla media per l’età. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 29 di 167 30. Disturbo bipolare Si caratterizza per comportamenti maniacali e depressivi, che alternandosi in modo ciclico, incidono sul funzionamento complessivo del paziente, oltre che sulla percezione e cognizione della realtà che lo circonda. Nel DSM-IV e nell’ICD-10 la depressione e i disturbi maniacali costituiscono la categoria nosografica dei disturbi dell’umore. Le caratteristiche cliniche della mania sono opposte a quelle della depressione, infatti l’abbassamento del tono dell’umore della depressione, il rallentamento motorio e la bassa autostima equivalgono nella mania ad innalzamento del tono dell’umore, euforia, fuga delle idee, iperattività motoria e grandiosità; ma, malgrado questi sintomi primari siano speculare, i sintomi secondari, come irritabilità, rabbia, insonnia e agitazione, sono condivisi in entrambe le sindromi. Ma abbiamo anche una terza dimensione in cui i sintomi secondari tendono a prevalere sui primari, abbiamo quindi uno “stato misto” in cui depressione e mania sembrano fuse insieme. Nella sua forma lieve, la mania è definita ipomania, e rappresenta uno stato maniacale più sfumato e con episodi di breve durata (2-4gg); per convenzione, tutti i pazienti con sintomatologia maniacale, in tutte le sue varianti, sono considerati all’interno del Disturbo Bipolare. Le dimensioni sintomatologiche della mania sono: 1) DISTURBI DELL’UMORE: fenomenologia clinica della mania è opposta a quella osservabile nella depressione: euforia, gioiosità, ipergestualità, estrema facilità al riso, eccessivo ricordo a doppi sensi verbali; le emozioni tendono ad alternarsi e sovrapporsi: riso e pianto, gioia e rabbia, estroversione e ostilità, ecc; 2) ACCELERAZIONE PSICOMOTORIA: nella mania vi è un aumento dell’attività psicomotoria; i processi di pensiero appaiono accelerati: il paziente può parlare talmente veloce o con rapide associazioni di significato da rendere difficile cogliere il senso e la finalità del discorso; i comportamenti sono impulsivi, disinibiti e con estrema facilità a cogliere il senso del limite, alta distraibilità, perdita della capacità del senso economico; 3) DISTURBI VEGETATIVI: iposonnia: il paziente sperimenta il minor bisogno di sonno; disinteresse per il cibo e significativo aumento nel coinvolgimento e nei comportamenti sessuali; 4) DISTORSIONI COGNITIVE: il paziente vive in una dimensione dove l’autostima e l’onnipotenza appaiono grandiose. Sia Il DSM-IV che l’ICD-10 inseriscono la mania e la depressione nei disturbi dell’umore; il DSMIV inoltre classifica diverse forme di mania e divide 3 tipi di disturbo bipolare: 1) DISTURBO BIPOLARE I: il sintomo cardine in questo sottotipo è la maniacalità, accompagnato da almeno un episodio con disturbo dell’umore; esordio adolescenziale, durata dei sintomi di almeno una settimana, umore euforico o irritabile, e almeno 3 dei classici sintomi della mania (fuga delle idee, grandiosità, iposonnia, distraibilità, ecc; 2) DISTURBO CICLOTIMICO: esordio prima dei 21 anni; è caratterizzato dall’alternarsi di cicli numerosi ma brevi, a sintomatologia depressiva e ipomaniacale, con rari periodi di umore normale: tipici sono gli episodi in cui il paziente va a dormire di buon umore e si sveglia con intensi pensieri suicidari; 3) DISTURBO BIPOLARE II: il sintomo cardine sono gli episodi ipomaniacali, in cui i sentimenti maniacali sono più soft, ovvero senza la gravità e la pervasiva disabilità della mania. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 30 di 167 31. Il disturbo bipolare in età pediatrica In età pediatrica è possibile diagnosticare un DB con caratteristiche simili, ma non identiche, a quelle dell’adulto: il DB in età pediatrica differisce da quello adulto nella fenomenologia, nel corso e nella risposta al trattamento; è proprio ciò che rende difficile la diagnosi; infatti i sintomi primari della mania, come grandiosità, impulsività, capricciosità, iperattività motoria, fuga delle idee, ecc rappresentano condizioni mentali normali nei bambini, infatti ciò che è sintomo nell’adulto, può non esserlo nel bambino; diverso è il discorso quando si parla dell’età adolescenziale, periodo con i tassi più alti di incidenza (15-20 anni); il primo episodio del DB infatti tipicamente è durante l’adolescenza. in età prepuberale vi sono alti tassi di comorbidità: ADHD; DOP(disturbo oppositivo provocatorio), DC e i disturbi ansiosi; ciò rende molto difficile la diagnosi. I fattori genetici sono coinvolti come fattori causali nel 60% dei pazienti adulti con DB; quale sia la modalità di ereditarietà non è chiaro, ma è probabile che la maggior parte dei DB coinvolga meccanismi genetici complessi che interagiscono con fattori ambientali. Per i bambini figli di almeno un genitore con DB, il rischio è 4 volte > rispetto ai figli di genitori non affetti. Il trattamento di più farmaci è il migliore: regolatori dell’umore spesso associati a farmaci antipsicotici; l’so di antidepressivi associati agli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI). Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 31 di 167 32. Encefaliti Con il termine “encefalite” si indica l’interessamento, unifocale o multifocale, del SNC nel corso di malattie infettive provocate da batteri, virus, funghi, sostanze tossiche, ecc. Tra le encefalite virali, possono essere distinte le encefaliti a trasmissione interumana (serbatoio umano) o a serbatoio animale. I sintomi possono essere raggruppati in: 1) sintomi di infezione; 2) sintomi meningei; 3) sintomi di alterazione dell’encefalo, del midollo spinale o di entrambi. Distinguiamo: - l’encefalite ermetica: nel periodo prodromico si possono avere: febbre, malessere, infezione delle vie aeree; l’esordio è brusco con febbre, cefalea, allucinazioni, turbe comportamentali, perdita di memoria, crisi convulsive; frequente è l’evoluzione verso il coma; - e l’encefalite postmorbillosa: malattia ad andamento progressivo che interessa i bambini con età superiore ai 4 anni e gli adolescenti al di sotto dei 18 anni e che colpisce prevalentemente il sesso maschile; è una malattia che interessa tutto il cervello (sostanza bianca e sostanza grigia); l’esordio è brusco senza che nel decorso precedente vi fosse nulla che potesse far presagire l’imminente complicazione. Il quadro clinico esordisce con un mutamento della personalità, deficit della memoria e deterioramento intellettuale; nella seconda parte della malattia subentra l’incoordinazione motoria, ed infine il coma, la rigidità muscolare e i disordini neurovegetativi; l’esito della malattia è letale. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 32 di 167 33. Complesso TORCH E’ l’acronimo di Toxoplasmosi, Other Rosolia, Cytomegalovirus, Herpes: queste malattie costituiscono una delle principali cause di mortalità e morbilità perinatale, ma sono tutta prevedibili efficacemente. La TOXOPLASMOSI: è una malattia infettiva causata dal toxoplasma gondii che è largamente diffuso in natura e con riserva animale. Penetra attraverso l’apparato digerente e si insedia stabilmente nell’ospite umano. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 33 di 167 34. Il cytomegalovirus Causa infezioni diffuse e prive di sintomi; le persone infettate, nonostante la presenza di anticorpi, per lungo tempo eliminano il virus con la saliva e l’urina. Il virus può anche essere presente nelle feci, nel liquido seminale e nelle secrezioni vaginali. Questo tipo di infezione, in gravidanza, può essere trasmesso dalla madre al feto, attraverso il sangue che attraverso la placenta porta il virus dalla madre al feto, o attraverso il canale del parto o, nelle prime settimane di vita, tramite l’allattamento al seno. L’infezione colpisce maggiormente feti nel primo o secondo semestre, ma il contagio al bambino si calcola che avvenga solo nel 30-40% dei casi. I sintomi clinici possono essere: ritardo di crescita intrauterino, anemia emolitica, ernia inguinale; ecc; i sintomi neurologici possono essere: crisi convulsive e microcefalia. Raramente la malattia è progressiva, ma si può osservare un deficit uditivo progressivo durante l’infanzia e può essere dimostrata la presenza di un virus nelle urine nel 50% dei bambini a 5 anni di età. I bambini infetti possono sviluppare ritardi di sviluppo, come: deficit neuromotori, ritardo mentale, alterazioni di vista e perdita di udito. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 34 di 167 35. La rosolia E’una malattia infettiva contagiosa, benigna, caratterizzata da esantema maculo-papuloso, linfoadenopatia occipitale e febbre. In gravidanza determina l’aborto o la comparsa di malformazioni caratteristiche o una malattia sistemica evolutiva. In gravidanza il virus, infatti, attraversa la barriera placentare e raggiunge il feto; l’infezione fetale, avviene entro 5 gg dall’infezione materna, ciò dipende dal momento dell’infezione materna: nei primi 3 mesi di gravidanza il rischio è del 90%, diminuisce nel secondo trimestre (50%), ed è quasi inesistente nel terzo trimestre. Vi è il ritardo della crescita intrauterino, seguito da un arresto di accrescimento postnatale; anche i bambini che sembrano essere affetti meno gravemente, con la crescita mostrano deficit invalidanti di tipo uditivo, motorio, comportamentale e di apprendimento. I disturbi motori e del tono sono spesso seguiti da compromissione della coordinazione e di debolezza muscolare. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 35 di 167 36. L’immunodeficienza umana da HIV E’ un problema enorme per la salute pubblica a causa dell’alto numero di donne infette in età riproduttiva. Il quadro epidemiologico italiano delinea 2 tipi femminili: quello che si è infettato per tossicodipendenza alcuni anni prima e quella con infezione eterosessuale; nel primo caso la malattia è sintomatica, nel secondo caso l’infezione è latente e spesso non riconosciuta, non dà sintomi neurologici nel periodo neonatale, ma è importante per la sequele e per la mortalità a distanza di tempo. L’HIV è un retrovirus a RNA, che può essere trasmesso da una madre infetta al feto durante la gravidanza o al neonato durante il parto. Nel periodo neonatale non appaiono segni neurologici di infezioni da HIV, invece essi sono evidenti tra il secondo mese e il quinto anno di vita. I neonati con virus HIV presentano una circonferenza cranica di 1 cm più piccola dello standard. Nonostante la capacità del virus di raggiungere la placenta, sin dal primo trimestre, non si osserva un aumento della percentuale di malformazioni, aborti o ritardo di crescita endouterina rispetto a quella delle gestanti sieronegative. I segni maggiormente presenti sono quelli di una encefalopatia progressiva o non progressiva; quella progressiva è più grave, caratterizzata da demenza, minor crescita del cranio, deficit motori di tipo spastico e meno frequentemente deficit extrapiramidali e cerebellari. il miglior modo per prevenire l’infezione fetale è prevenire e curare l’infezione materna; bisogna trattare la mamma in età riproduttiva con una dose di antivirali tali da ricoprire il periodo della trasmissione maternofetale, cioè preconcezionale, periparto e postparto. Il taglio cesareo è un’altra forma di prevenzione, così come la pulizia del canale cervicale con agenti antisettici e viricidi. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 36 di 167 37. Mutismo elettivo O mutismo selettivo, caratterizzato dall’assenza di linguaggio in alcune situazioni, in bambini che invece parlano correttamente in altre. L’esordio è intorno ai 6 anni, quando il bambino generalmente fa il suo ingresso nella scuola, ed è rilevato dagli insegnanti a causa dello scarso o nullo apprendimento. Il fatto che il bambino abbia cominciato a parlare tardi, non è stato segno di preoccupazione per i genitori, né considerano una patologia il fatto che il bambino non parli davanti agli estranei, per cui esso è raramente diagnosticato, anche se poi ad un’accurata anamnesi si rilevano nel bambino già a 3 anni, gli indicatori di una sofferenza quali: - disturbi del sonno e difficoltà nell’addormentamento; - difficoltà nell’alimentazione; - paura degli estranei; - ansia di separazione; - timidezza eccessiva. Distinguiamo due tipi dii mutismo: 1) mutismo elettivo primario: precoce, il bambino, pur sapendo parlare, non ha mai parlato; 2) mutismo elettivo secondario: il bambino, che dopo aver parlato in tutte le situazioni, smette di parlare. Il mutismo elettivo impedisce la comunicazione e dunque la socializzazione, tappa indispensabile per lo sviluppo della personalità; anche l’aspetto fisico viene alterato: volto rigido e tirato per la mancanza d’uso della mimica facciale, labbra serrate e rigide, occhi spenti, movimenti lenti, tendenza all’isolamento. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 37 di 167 38. I criteri diagnostici del mutismo I criteri diagnostici del mutismo 1) incapacità di parlare in specifiche situazioni sociali, nonostante parli in altre; 2) interferenza dell’anomalia nel rendimento scolastico o lavorativo o con la comunicazione sociale; 3) durata dell’anomalia di almeno 1 mese; 4) l’incapacità di parlare non è dovuta al fatto che non si conoscano gli interlocutori o non si è a proprio agio; 5) l’anomalia non è ricondotta ad un disturbo della comunicazione e non si manifesta come sintomo di uno sviluppo generalizzato dello sviluppo, di schizofrenia ecc. Il mutismo è ricondotto alla relazione madre-bambino: è da qui che nasce il linguaggio; la madre vezzeggia, canta e il piccole le risponde; quindi per la formazione del linguaggio è indispensabile una relazione, uno scambio, ma se per varie ragioni, la madre non partecipa a questo scambio, il bambino cresce poco, diventa apatico, apprende lentamente, parla poco, risponde poco agli stimoli, ecc; e dunque questa mancanza di dialogo, scambio e relazione lo porterà verso il non parlare, e quando si troverà di fronte agli altri, ad es a scuola, non avendo appreso il meccanismo della relazione, non parlerà e si rifugerà nel mutismo elettivo. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 38 di 167 39. Patologie croniche organiche Con disturbo cronico si intende una patologia che nell’arco di almeno 6 mesi non mostra sostanziali cambiamenti, ma un andamento lentamente progressivo. Una malattia cronica è anche definita come un disordine con un corso protratto che può essere fatale o presentare un’aspettativa di vita relativamente normale, nonostante una possibile compromissione delle funzioni fisiche o mentali. Una malattia cronica differisce da una malattia acuta perché: è trattabile ma non curabile, richiede lunghi periodi di interventi terapeutici e la responsabilità terapeutica è spesso condivisa con il paziente e con la sua famiglia. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 39 di 167 40. La fibrosi cistica E’una malattia genetica autosomica (ognuno dei cromosomi che non concorre alla determinazione genotipica del sesso); i principali sintomi fisici sono: ostruzione bronchiale cronica con conseguenti infezioni e sintomi da malassorbimento dovuto a deficit nella produzione di alcuni enzimi pancreatici; un altro nome di questa malattia è MUCOVISCIDOSI, che descrive bene l’aumentata viscosità delle secrezioni mucose dell’organismo, che è l’origine comune di molto sintomi, inclusi quelli a carico di polmoni, pancreas, fegato, intestino e genitali. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 40 di 167 41. Il diabete mellino insulino-dipendente E’ una patologia delle cellule insulari del pancreas, caratterizzata da un deficit nella produzione di insulina; i bambini affetti da diabete presentano un minor rischio psicopatologico rispetto ai bambini affetti da altre patologie croniche. L’ansia è strettamente legata alla paura del coma iper/ipo-glicemico o delle complicanze vascolari tardive. I fattori di rischio psicologici riguardano: - il grado di deficit funzionale, che è proporzionale al rischio psicopatologico; - il coinvolgimento di strutture cerebrali, nelle difficoltà comportamentali, sociale e cognitive; - la natura della patologia, che influenza il decorso clinico e psicologico; - il tipo di procedure mediche, ricoveri ospedalieri frequenti e cambiamenti sostanziali dello stile di vita hanno un impatto maggiore rispetto alla routine delle somministrazioni quotidiane di insulina; - la famiglia, il bambino presenta una migliore evoluzione se la famiglia è coesa, supportiva, se la comunicazione è aperta e chiara, ecc; le risorse esterne, adeguate strutture di supporto medico e psicologico hanno un effetto positivo se sono associate a fattori personali, economici e sociali. Le strategie di approccio in tali casi consistono innanzitutto nel pianificare un intervento e decidere un obiettivo, e poi: - fornire al bambino le informazioni quando egli appare cognitivamente ed emotivamente pronto ad accoglierle, utilizzando un linguaggio appropriato alla sua età, e ripetergli tali informazioni in differenti momenti e in differenti forme; evitare inoltre false promesse; - attuare strategie cognitivo-comportamentali per identificare la fonte dello stress e comprendere come esso è percepito e in caso modificare sensazione ed esperienze conseguenti; - migliorare il funzionamento sociale, in modo da determinare anche un miglioramento dell’autostima e delle competenze sociali; - intraprendere, in molti casi, un percorso psicoterapeutico; terapie di gruppo per bambini con malattie simili può offrire un valido sostegno. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 41 di 167 42. Sequele della nascita pretermine Le nascite pretermine sono un importante fattore di rischio per lo sviluppo neurologico e cognitivo del bambino; nei pretermine vi è una maggiore frequenza di paralisi cerebrali, emorragie e ritardi mentali rispetto alla popolazione generale, inoltre vi sono deficit nello sviluppo cognitivo, che coinvolgono il linguaggio, l’integrazione visuo-motoria, la memoria, l’attenzione, l’apprendimento e che costituiscono ciò che oggi viene chiamata “nuova morbidità” della prematurità. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 42 di 167 43. Intelligenza nei bambini pretermine I bambini pretermine generalmente hanno un QI più basso; deficit dello sviluppo cognitivo sono associati con deficit neurologici e con deficit motori. Nello sviluppo cognitivo dei nati pretermine giocano un ruolo fondamentale le alterazioni metaboliche; particolarmente importante sembra essere la perdita di ormoni placentari; l’ipotiroidismo non trattato conduce a ritardo mentale. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 43 di 167 44. Linguaggio nei bambini pretermine I nati pretermine hanno un più elevato rischio di ritardo linguistico rispetto ai nati a termine, infatti bassi valori di ottimalità in gravidanza, alla nascita e nel periodo neonatale correlano significativamente con lo sviluppo del linguaggio. I danni cerebrali perinatali danneggiano lo sviluppo del linguaggio, infatti: i bambini con paralisi cerebrali hanno più frequentemente disartrie e ritardi linguistici; i nati pretermine senza emorragie cerebrali e senza complicanze neurologiche non mostrano ritardi linguistici durante il primo anno di vita, quelli invece con emorragie della matrice germinativa ed emorragie ventricolari di II grado hanno un significativo ritardo nello sviluppo del linguaggio espressivo, tutto ciò sottolinea l’importanza di strutture sottocorticali nelle acquisizioni precoci di specifiche abilità cognitive. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 44 di 167 45. Abilità visuomotorie nei bambini pretermine Il 50% dei nati pretermine all’età di 6 anni, mostrano difficoltà visuo-motorie. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 45 di 167 46. Difficoltà di apprendimento nei bambini pretermine Nei pretermine sono molto frequenti le difficoltà di apprendimento, anche nei pretermine associati ad handicap multipli (fisici e/o mentali) o ai pretermine con intelligenza normale e assenza di problemi neurologici. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 46 di 167 47. Lateralità e disturbi di apprendimento nei bambini pretermine Molto presenti nei pretermine sono la dislessia e il mancinismo, associati a lesioni del lobo temporale. L’alta frequenza di mancini o ambidestri nei pretermine è stata spiegata in termini di mancinismo patologico attribuito a danni cerebrali dell’emisfero sinistro cha hanno alterato la normale preferenza genetica per la mano destra. Questa maggiore compromissione dell’emisfero cerebrale sinistro nei pretermine potrebbe anche essere alla base delle loro ridotte capacità di lettura e di linguaggio. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 47 di 167 48. Memoria e attenzione nei bambini pretermine Ritardi nei nati pretermine nello sviluppo delle capacità mnestiche e di riconoscimento, i pretermine con gravi complicazioni perinatali hanno tempi più lunghi di orientamento verso lo stimolo, di abituazione e disabituazione e una minore preferenza per la novità dello stimolo. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 48 di 167 49. ADHD nei bambini pretermine I nati pretermine possono mostrare un’ampia gamma di disturbi del comportamento: ansia, depressione, evitamento sociale, ridotte competenze sociali, disturbi della condotta e aggressività. Il più comune disturbo comportamentale nei nati pretermine è l’ADHD 8 deficit di attenzione, impulsività e iperattività). Nei soggetti con ADHD, adulti e bambini, è stato riscontrato un più basso metabolismo del glucosio nelle aree periventricolari e nella corteccia prefrontale. Per giungere alla diagnosi minima di DMC (disfunzione minima cerebrale) devono essere presenti almeno 2 delle seguenti 4 anomalie: 1) positività per segni neurologici; 2) anomalie del comportamento; 3) disturbi psicologici del tipo di quelli osservati nelle encefalopatie organiche; 4) anomalie EEG. La presenza di soli problemi comportamentali (2) e psicologici (3) in assenza di alterati segni neurologici (1) o EEG (4) non consente la diagnosi di DMC. Elevate condizioni socioeconomiche possono minimizzare gli effetti comportamentali deleteri della prematurità, così come un basso livello socioeconomico può esacerbare le problematiche neurologiche; per questo i prematuri che vivono in un ambiente disagiato sono i più a rischio per ritardi dello sviluppo e disabilità, inoltre l’impatto dell’ambiente sullo sviluppo sembra aumentare con l’età. Quindi i fattori neurologici sono i migliori predittori della prognosi ad 1 anno di età, ma l’ambiente sembra contare di più per quanto riguarda lo sviluppo cognitivo e comportamentale in età prescolare e soprattutto scolare. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 49 di 167 50. Sindrome di munchausen by proxy L’OMS considera la SINDROME DI MUNCHAUSEN un disturbo fittizio, di cui i criteri diagnostici sono: - produzione intenzionale di segni e sintomi fisici o psichici (invenzioni di lamentele soggettive, falsificazione di segni obiettivi, condizioni auto-procurate, amplificazione di condizioni mediche preesistenti); - che hanno come motivazione l’assunzione del ruolo di malato; - e con l’assenza di incentivi esterni per tale comportamento (vantaggi economici, esonero da responsabilità legali, miglioramento del proprio benessere fisico). La SINDROME DI MUNCHAUSEN BY PROXY o PER PROCURA, invece, è una grave forma di ipercura per cui il bambino è sottoposto a continui ed inutili accertamenti clinici e cure inopportune conseguenti alla convinzione errata e delirante del genitore che il proprio figlio sia malato. E’ un disturbo fittizio per procura, di cui i criteri diagnostici sono: - produzione intenzionale o simulazione di segni o sintomi fisici o psichici in una persona affidata alle cure del soggetto; - che hanno come motivazione l’assunzione del ruolo di malato; - e con l’assenza di incentivi esterni per tale comportamento. Le vittime possono essere non solo bambini molto piccoli, ma anche in età scolare e adolescenti; i problemi possono essere: cardiovascolari, ematologici, dermatologici, muscolari, psichiatrici o comportamentali, gastrointestinali, metabolici, allergici, respiratori, ecc. Il genitore abusante ha spesso avuto un training in campo medico e/o ha delle conoscenze mediche dettagliate, che a volte creano collusioni con il personale medico o infermieristico; il genitore abusante può alternare una faccia premurosa e preoccupata di fronte ai medici, e assumere un atteggiamento di distacco e trascuratezza quando è solo con il bambino. La sindrome può anche consistere nella deliberata omissione di medicine o cure per un bambino che è veramente malato; quindi la sindrome di munchausen by proxy non è semplicemente la contraffazione di una patologia, ma può consistere anche nella finta osservanza di un trattamento con lo scopo di peggiorare le condizioni di una malattia cronica come asma o allergia. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 50 di 167 51. Diagnosi differenziale della sindrome by proxy Vi sono situazioni in cui una patologia pediatrica non rientra nella sindrome di munchausen by proxy: - sindrome mascherata: quando la madre falsifica o amplifica una patologia; - medical shopping per procura: quando i bambini hanno sofferto di una grave malattia nei primi anni di vita e da allora vengono continuamenti sottoposti a controlli medici anche per disturbi di minima entità, in questi casi, il genitore tende quasi a sostituire la figura del medico; - sindrome da indennizzo per procura: quando il bambino assume dei sintomi riferiti dal genitore, in situazioni in cui è previsto un indennizzo economico; i sintomi variano a seconda delle conoscenze mediche del genitore; la motivazione è esclusivamente il risarcimento e i sintomi scompaiono una volta che esso è ottenuto. E’ importante andare oltre e scavare nella psiche della madre, la quale non ha intenzione di nuocere i figli, ma questi comportamenti esprimono un estremo bisogno di protezione ed attenzione per sé; affinché si verifichi la sindrome di Munchausen per procura, è necessaria la collaborazione di tutto il sistema familiare: spesso questi genitori sono persone con bassa autostima, difficoltà nei rapporti interpersonali e forte diffidenza nei confronti delle novità. Quando questi due soggetti creano una famiglia, la nascita del figlio rappresenta un riconoscimento sociale, per cui la comunicazione intrafamiliare comincia ad essere totalmente incentrata sul nascituro; la donna sentirà per la prima volta di avere un ruolo con la funzione di accudimento del figlio, per cui la sua identità comincerà a strutturarsi nell’immagine di madre accudente che esplica al massimo il suo ruolo nei momenti di malattia del figlio; così combatte la sensazione interna di vuoto assumendo il ruolo di madri devote e pronte a sacrificarsi per i figli colpiti da una malattia rara e difficile da individuare; questa situazione è fortemente gratificante per la madre, la paura di perdita del ruolo di madre farà sì che interpreterà qualsiasi spinta evolutiva del bambino come il segno di una malattia che solo lei potrà vedere e curare. Secondo la teoria di attaccamento di Bowlby, questa relazione madre-bambino, porterà ad uno stile di attaccamento disorganizzato e disorientato, in cui il bambino si trova davanti ad un paradosso affettivo: la persona che lo dovrebbe accudire è la stessa che lo maltratta, gli procura malattie e poi lo soffoca con eccessive cure e attenzioni; a lungo andare il bambino avrà paura di essere abbandonato o rifiutato e per questo simulerà uno stato di malattia pur di avere cure garantite, la malattia diventerà quasi una protezione perché il genitore continuerà a prendersi cura di lui solo finché presenterà sintomi fisici e la guarigione coinciderà con l’abbandono. Tale bambino arriva a perdere la capacità di percepire correttamente le sensazioni che arrivano al corpo, fino a non essere più in grado di distinguere se i suoi sintomi sono reali, immaginati da lui o indotti da altri.; il bambino risulta spaventato, non riconosce le proprie emozioni o evita di farle emergere. Se l’abuso non viene tempestivamente riconosciuto e il bambino allontanato dall’ambiente familiare, il bambino può presentare diverse condizioni psicologiche, come difficoltà scolastiche e di apprendimento, assenza di interazioni sociali, patologie psichiatriche. Ai fini del trattamento, è necessario l’allontanamento del minore dal sospetto colpevole, già così potrebbe verificarsi un miglioramento del bambino; inoltre bisognerebbe avvertire la Magistratura ed i servizi sociali; il personale medico non dovrebbe essere accusatorio nei confronti della famiglia, ma supportivo e bisognerebbe garantire un’assistenza psichiatrica ai genitori, anche perché possono esservi seri tentativi di suicidio da parte della madre; inoltre bisogna agire proteggendo il bambino ed eventuali fratelli/sorelle, al fine di evitare ulteriori ferite che potrebbero essere procurate se si permettesse all’abusante di continuare nel Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 51 di 167 suo comportamento. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 52 di 167 52. Traumi cranici ed emorragie: emorragia extracranica E’una lesione che riguarda diversi piani tissutali compresi tra la cute e le ossa craniche, ed è analizzabile in 3 varietà: - cefaloematoma: è riferito ad una regione emorragica circoscritta del cranio; la sua incidenza è aumentata dall’uso del forcipe ed è più frequente in figli di primipare (chi è al suo primo parto) che di pluripare, ed è presente nella stessa percentuale in maschi e femmine; generalmente la rottura del vaso responsabile dell’emorragia è secondaria ad un parto prolungato o difficoltoso. Le lesioni si risolvono spontaneamente in alcune settimane (2-6), al max qualche mese; a volte c’è la possibilità che si formino depositi di calcio che possono mantenere una certa protuberanza, la quale si riassorbe gradualmente nell’arco di qualche mese; - tumore da parto: è riferito ad un edema (accumulo di liquido negli spazi interstiziali dei tessuti, che si presentano tumefatti (gonfi)) dopo un parto eutocico ( che si espleta normalmente), dovuto alla compressione esercitata dall’utero e dalla cervice. Appare immediatamente alla nascita, la lesione si risolve spontaneamente dopo il primo giorno di vita e non è necessario alcun intervento; - emorragia subgaleale: è riferita ad un’emorragia a livello dell’aponeurosi (membrana fibrosa che riveste i muscoli)che ricopre lo scalpo e che connette le componenti frontali e occipitali. E’ strettamente associata ad un parto con forcipe. E’ una massa fluttuante che aumenta dopo la nascita, ma passata la fase acuta, la lesione si risolve in2-3 settimane. La diagnosi viene fatta con un esame monitorato per almeno 8 ore dalla nascita di tutti i neonati nati da parto distocico (parto che avviene in maniera differente da quello normale); bisogna inoltre misurare la circonferenza cranica e palpare la testa del neonato. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 53 di 167 53. Traumi cranici ed emorragie: fratture del cranio Distinguiamo. - frattura lineare: la sede tipica è il lobo parietale, può essere associata con complicazioni extracraniche ed intra-craniche; non c’è una terapia specifica; - frattura depressa: la sede tipica è il lobo parietale, è anche definita “lesione a ping-pong” ed è associata con l’incurvarsi verso l’interno di ossa normalmente resistenti; queste lesioni sono palpabili ma non sono accompagnate da nessun sintomo neurologico se non vi sono associate complicanze intracraniche. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 54 di 167 54. Traumi cranici ed emorragie: contusioni cerebrali E’ riferita ad una regione focale di necrosi e di emorragia che coinvolge la sostanza bianca e la corteccia cerebrale; può avere una localizzazione frontale, orbitale o temporale; non esiste una terapia specifica. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 55 di 167 55. Traumi cranici ed emorragie: emorragie intracraniche Distinguiamo: - emorragia epidurale: interessa il piano tra l’osso e il periostio; una delle cause principali è la frattura lineare del cranio, che lede i vasi sottostanti; in base alla sede si possono distinguere altri tipi di emorragia intracranica: - emorragia subdurale: causata da fattori quali: primiparità, età avanzata della madre, elevato peso alla nascita, canale del parto piccolo, travaglio precipitoso o prolungato; si possono avere raccolte emorragiche: nella fossa cranica posteriore o nella scissura cerebrale longitudinale. Possono comparire crisi convulsive, per la presenza concomitante di sangue negli spazi subaracnoidei; se la diagnosi e l’eventuale intervento chirurgico sono tempestivi, la sopravvivenza è > all’80%; - emorragia subaracnoidea: si definisce “secondaria” quando è dovuta all’estensione di un ematoma intracerebrale o di un’emorragia subdurale o intraventricolare; “primaria” quando il sanguinamento ha origine da strutture dello spazio subaracnoideo, la raccolta ematica si localizza, in genere, sopra la convessità cerebrale e in fossa cranica posteriore; la prognosi dipende dall’entità dell’emorragia; ma in genere è favorevole; - emorragia intracerebellare: può essere “primitiva” o “secondaria” all’espansione di emorragie intraventricolari o subaracnoidee, in entrambi i casi è più frequente nel pretermine; nel nato a termine è spesso conseguenza di un parto traumatico, per applicazione del forcipe o estrazione podalica (il feto alla nascita si presenta con i piedi e non con la testa). L’esordio clinico, nel prematuro si ha a poche ore dalla nascita, nel nato a termine, i segni clinici possono comparire anche diversi giorni dopo la nascita; - emorragia intraventricolare: è localizzata a livello del solco talamo-caudato, in cui la matrice germinativa scompare per ultima. La prognosi è strettamente correlata all’eziologia e all’eventuale concomitante danno parenchimale. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 56 di 167 56. Incidenza, origine e diagnosi di emorragia INCIDENZA DELLE EMORRAGIE: Negli ultimi anni si è assistito ad una diminuzione dell’incidenza delle emorragie secondarie a lesioni traumatiche, grazie al miglioramento delle pratiche ostetriche, invece sono aumentate le lesioni legate alla prematurità, come l’emorragia peri-ventricolare: nel pretermine, l’emorragia può avvenire anche quando il parto è stato normale, senza alcun trauma apparente, per ragioni legate alla prematurità. L’applicazione della terapia intensiva aumenta lesioni del genere. ORIGINE DELLE EMORRAGIE: L’emorragia ha origine all’interno della matrice germinativa subependimale, al di sotto del ventricoli laterali nella cosiddetta “zona subventricolare”, che nelle prime settimane di vita embrionale è sede di intensi processi di proliferazione neuronale, in cui neuroni e glia migrano verso la corteccia, per cui la matrice germinativa si fa sempre più esigua fino a che non si riduce ad una fitte rete vascolare, ma tali microvasi non rappresentano dei veri e propri capillari, infatti solo verso la fine della gestazione acquisiscono una guaina adatta a sopportare varie azioni di pressione; proprio per questo motivo l’emorragia periventricolare colpisce elettivamente i nati pretermine. SINDROME SILENTE, SALTATORIE E CATASTROFICA: Si possono osservare 3 sindromi cliniche principale di gravità crescente, ed in genere, proporzionali alle dimensioni della lesione: - sindrome clinicamente silente: i segni clinici sono poco evidenti, per cui il 50% dei bambini con emorragia peri-ventricolare sfugge alla normale osservazione clinica; - sindrome intermedia o saltatoria: il neonato può presentare alterazioni dello stato di coscienza, ipotonia, ridotta attività motoria spontanea o attività motoria frammentata e poco variabile, anomalie della posizione o dei movimenti degli occhi e disturbi respiratori di grado variabile; tali sintomi possono scomparire nel corso di alcune ore e poi ripresentarsi con intermittenza, da qui il nome “sindrome saltatoria”; - sindrome catastrofica: prognosi drammatica; il neonato presenta disturbi respiratori, convulsioni, occhi non reagenti alla luce, ecc; questi segni sono l’espressione di un versamento ematico massiccio nel sistema ventricolare, con progressivo interessamento di diencefalo, mesencefalo, ponte e midollo. DIAGNOSI DELLE EMORRAGIE: Lo strumento diagnostico d’elezione è l’ecografia transfontanellare, in quanto fornisce immagini altamente attendibili per tutti i gradi dell’emorragia, di buona risoluzione, è innocua, economica e facilmente praticabile al letto del neonato; l’assenza di radiazioni ionizzanti è un pregio considerevole. Vi sono 3 gradi dell’emorragia peri-ventricolare, di gravità crescente: 1°: quando l’emorragia è limitata alla matrice o se c’è interessamento dei ventricoli, il sangue non supera il 10% della superficie ventricolare; 2°: se oltre all’emorragia della matrice c’è un interessamento dei ventricoli per il 10-50%; 3°: quando l’emorragia nei ventricoli è imponente, e vi è nella maggior parte dei casi, anche un versamento emorragico intracerebrale. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 57 di 167 57. Tumori cerebrali infantili Ii tumori cerebrali vengono classificati in sottotentoriali (i più frequenti) e sopratentoriali, e sellari, parasellari e soprasellari. La prognosi dipende dalla localizzazione anatomica, dalle caratteristiche istologiche del tumore, dal grado di operabilità e dalla risposta alla radio o chemioterapia; la sintomatologia è condizionata sia dalla localizzazione anatomica sia dall’età del paziente. Nelle età più precoci, quando non si è ancora realizzata la chiusura della fontanella, sono frequenti le forme sopratentoriali e i sintomi principali sono costituiti da: idrocefalo progressivamente ingravescente con tensione della fontanella, segni oculari caratteristici, vomito a getto, irritabilità o sonnolenza; ad un anno di vita sono più frequenti i tumori sottotentoriali e la sintomatologia è conseguente ad un’ipertensione endocranica e a interessamento cerebellare; all’aumentare dell’età sono prevalenti i tumori sopratentoriali con deficit neurologici focali, quali crisi convulsive ed emiparesi. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 58 di 167 58. Tumori sottotentoriali Sono a livello della fossa cranica posteriore, cervelletto, tronco e IV ventricolo; Di queste la più frequente è il MEDULLOBLASTOMA, che presenta un’insorgenza tra i 3 e i 6 anni e una prevalenza maschile; ha una crescita tumorale rapida e presenta un forte potere pervasivo: in circa 1/3 dei casi invade le strutture tronco-encefaliche. La sintomatologia è caratterizzata da una precoce sindrome da ipertensione endocranica, idrocefalo occluso e dalla “sindrome della linea mediana” caratterizzata da disturbi della marcia e dell’equilibrio, con stazione eretta instabile e tendenza ad allargare la base d’appoggio, deambulazione incerta, a gambe divaricate e capo “a cerimonia” per rigidità e dolore dei muscoli della nuca e del collo, e da frequenti cadute. L’asportazione chirurgica totale non è sempre possibile, ma un’estesa escissione permette una maggiore sopravvivenza nonostante la recidiva sia la regola; fondamentale il trattamento radiale postoperatorio, essendo il tumore altamente radiosensibile, mentre la chemioterapia risulta discretamente efficace. In secondo ordine di frequenza vi è l’ASTROCITOMA CEREBELLARE o PILOCITICO, è un tumore benigno a lento accrescimento, spesso cistico: è localizzato, generalmente, al verme, mentre è più raro l’interessamento degli emisferi cerebellari. La sintomatologia è caratterizzata da una precoce sindrome da ipertensione endocranica dovuto ad idrocefalo secondario per compressione del IV ventricolo: nausea, cefalea, vomito; in caso di sede emisferica, sono ricorrenti i disturbi della marcia, con tendenza a cadere verso il lato del tumore nella stazione eretta, mentre meno frequenti sono la paralisi dell’abducente e il nistagmo (spasmo nervoso dei muscoli del globo oculare, che si manifesta con rapidi movimenti involontari). Si ottengono percentuali alte di guarigione con la terapia chirurgica che possono aumentare con l’associazione di una terapia radiante post-operatoria. In terzo ordine di frequenza vi è l’EPENDIMOMA con un inizio molto precoce (il 50% prima dei 3 anni); la sintomatologia iniziale è legata all’ipertensione endocranica con idrocefalo secondario alla progressiva ostruzione del IV ventricolo. I tumori che riempiono il IV ventricolo causano atassia del tronco, andatura a basi allargate e deficit del VI e VII nervo cranico. Sono frequenti le recidive, è indicata una radioterapia associata a chemioterapia. Infine, i GLIOMI DEL TRONCO insorgono per lo più entro la prima decade con un picco a 6 anni. La forma più diffusa è anche al più comune e presenta una prognosi peggiore per le caratteristiche lesionali infiltranti il ponte, spesso estese fino al mesencefalo, causanti paralisi dei nervi cranici, atassia, segni di ipertensione endocranica e sintomi piramidali. Pazienti che resezione di questo tipo di tumore, presentano un normale QI, ma anormalità dell’attenzione, della memoria, deficit visuo-percettivi nella copia della figura di Rey, anoressia, fobia e non controllo temperamentale. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 59 di 167 59. Tumori sopratentoriali Il più comune è l’ASTROCITOMA, a basso grado di malignità, la sintomatologia è conseguente all’aumento della pressione endocranica, frequenti sono le convulsioni; la diagnosi si avvale di TC o RMN con o senza mezzo di contrasto; la tendenza ad assumere il mezzo di contrasto è indice di trasformazione maligna. Gli EPENDIMOMI DEI VENTRICOLI LATERALI si manifestano lentamente ed hanno accrescimento lento ed un modesto carattere infiltrativo, danno luogo a soventi calcificazioni. L’asportazione chirurgica non assicura un decorso senza recidive: ne consegue la necessità di un trattamento chirurgico postradiale; la chemioterapia aggiuntiva si è dimostrata efficace nella riduzione dell’incidenza delle recidive. I SUBENENDIMONI si presentano come noduli solidi, localizzati spesso nei ventricoli laterali e nel IV, ma in tale sede la rimozione è impossibile. I TERATOMI sono tumori derivanti da un’alterazione dello sviluppo embrionale, frequenti nei bambini fino al primo anno di vita, possono essere benigni o maligni presentando spesso grandi dimensioni. 3) TUMORI SELLARI, PARASELLARI e SOPRASELLARI: tra i tumori soprasellari, in età infantile, il più frequente è il CRANIOFARINGIOMA che è un tumore benigno presente già nei primi 2 anni di vita; si presenta con disfunzioni diencefalo-ipofisarie, disturbi visivi per interessamento delle vie o del chiasmo ottico e con ipertensione endocranica. L’asportazione chirurgica totale non sempre è possibile, utile è la terapia radiante focale. I GLIOMI DEL NERVO OTTICO, DEL CHIASMA e IPOTALAMICI rappresentano il 3/5% dei tumori cerebrali infantili; i primi sono frequenti sotto il primo anno di vita, quelli ipotalamici al di sotto dei 12 anni. I sintomi variano a seconda della localizzazione: se anteriore al chiasma si manifesta un deficit visivo unilaterale; se a livello del chiasma vi è atrofia ottica e deficit bilaterale del campo visivo; se posteriore al chiasma sono evidenti segni di ipertensione endocranica, di idrocefalo ostruttivo e di disfunzione ipotalamica. I gliomi del chiasma e quelli ipotalamici sono difficilmente differenziabili e si manifestano con una tipica sindrome diencefalica. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 60 di 167 60. Idrocefalo Abnorme aumento del volume liquorale a spese del parenchima cerebrale: Due diversi tipi di idrocefalo: interno, che rimane confinato al sistema ventricolare, manifestandosi con macrocefalia (aumento della circonferenza cranica) del bambino; esterno, quando interessa gli spazi subaracnoidei della convessità in caso di perdite di sostanza o atrofia corticale o cerebellare. L’idrocefalo interno è dovuto ad ostruzione delle vie di deflusso liquorali del sistema ventricolare causando ipertensione endocranica (idrocefalo ipertensivo), l’idrocefalo esterno avviene in assenza di ipertensione endocranica idrocefalo normotensivo). L’idrocefalo può essere classificato in ostruttivo e non ostruttivo, che a sua volta può essere comunicante (per ostruzione degli spazi subaracnoidei) o non comunicante (per ostruzione del sistema ventricolare); - ostruttivo: causato da infiammazioni, tumori, malformazioni e gliosi dell’acquedotto; - non ostruttivo: è sempre comunicante, possiamo distinguere 3 forme: aresorptive, ipersecretive ed ex vacuo. L’idrocefalo può essere congenito, ma spesso si verifica nei primi mesi di vita con macrocefalia, allargamento o tensione delle fontanelle, tensione delle vene emicraniche e diastasi (separazione di parti di organi normalmente a contatto) delle strutture craniche. La terapia è basata sul drenaggio del liquor in eccesso mediante un sistema regolato da una valvola che ne consente il passaggio solo a una pressione predeterminata. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 61 di 167 61. Abusi e maltrattamenti Si definisce “child abuse” una serie di violenze associate nei confronti di un minore: è infatti impossibile, ad esempio, pensare ad una violenza fisica senza una forma di violenza psicologica. E’ “maltrattamento” ogni forma di violenza di un essere più forte contro uno più debole, che per immaturità psichica o fisica, o per diversità di ruolo, è impossibilitato o incapace di difendersi ed è fisicamente e/o psicologicamente dipendente. FATTORI DI RISCHIO DEGLI ABUS: Possono riferirsi: -al minore: bambini prematuri, con scarso peso alla nascita, malformati o con malattie che necessitano di particolari cure, attenzioni e assistenza, con problemi di comportamento e di instabilità affettiva e psicomotoria; -alla famiglia ed ai genitori: le dimensioni della famiglia, la qualità della relazione e della comunicazione di coppia, la violenza domestica, la giovane età dei genitori, l’immaturità psichica e la mancanza di competenze genitoriali, la storia di abusi infantile subiti da uno dei genitori, la salute mentale degli stessi, problematiche lavorative o economiche, gravidanza indesiderata o diniego della gravidanza; -alla cultura e all’ambiente: l’accettazione della violenza nella società, un alto livello di criminalità socio ambientale, la mancanza di supporto sociale di cui la famiglia può giovarsi, la qualità dell’ambiente e dell’abitazione, gli spazi di gioco, la presenza e l’efficacia dell’azione di sostegno delle istituzioni e dei servizi socio assistenziali. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 62 di 167 62. Fenomenologia degli abusi: maltrattamento fisico Quando un adulto provoca nei confronti di un minore una lesione fisica di quanto sia culturalmente accettabile; è dunque dipendente dal contesto culturale. Dal punto di vista clinico sono evidenziabili lesioni difficilmente riconducibili ad eventi accidentali: fratture, morsi, bruciature, ustiono multiple o simmetriche o ripetute, lividi in zone non facilmente accidentali, traumi da torsioni o strattona mento, ematomi subdurali e retinei. Nel caso dei bambini vittima di violenza fisica, i sintomi e i segni più frequenti sono: -schemi di attaccamento disturbati; -disturbi della condotta, fughe, atti delinquenziali; -fallimenti scolastici o cadute del rendimento scolastico; -ansia e depressione; -ritiro o isolamento; -comportamento passivo, compiacente, remissivo. In caso di sospetto di abuso fisico il medico ha l’obbligo di segnalarlo, successivamente si farà una valutazione diagnostica completa del bambino e della famiglia con attenzione alle condizione psichiche e relazionali di ognuno e rilevazione dei fattori di rischio; da tale diagnosi è possibile stabilire un piano di trattamento che può arrivare sino all’allontanamento del minore o del genitore abusante o a semplici interventi di supporto sociale e di terapia psicologica. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 63 di 167 63. Fenomenologia degli abusi: maltrattamento psicologico Quando un adulto mostra un comportamento lesivo dal punto di vista relazionale nei confronti di un minore: atteggiamenti di disprezzo e svalutazione del bambino, critica ripetuta, ostilità,l’utilizzo dell’immagine del bambino a scopo di spettacolo e di lucro, senza tenere conto della sua dignità e dei suoi bisogni specifici o anche il suo coinvolgimento in dispute legali di separazione coniugale e nei conseguenti procedimenti per il suo affidamento nel corso dei quali possono essere addirittura ordite accuse infondate di abuso e maltrattamento. Nel caso di bambini vittima di violenza psicologica, i sintomi e i segni più frequenti sono: -sintomatologia di tipo reattivo-iperattivo; -sintomatologia di tipo depressivo. Le modalità di intervento dipendono dalle motivazioni causa dell’abuso; la valutazione diagnostica, deve quindi interessare sia il bambino che la famiglia. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 64 di 167 64. Fenomenologia degli abusi: abuso sessuale Nei confronti di un minore con o senza contatto fisico, nel primo caso distinguiamo quelli in cui si verifica una penetrazione o anche un semplice contatto fisico, nel secondo caso quelli in cui si verifica esibizionismo, attività pornografiche, linguaggio erotizzante. Le condizioni perché si verifiche un simil abuso sono: -significativa differenza d’età; -posizione di autorità dell’abusante; -uso della violenza,delle minacce e dell’inganno; -coinvolgimento di un minore che non è in grado di acconsentire con totale consapevolezza; -violazione di tabù, radicati nella società sui ruoli familiari. Rientrano dunque in queste categorie episodi di: stupro, incesto, sfruttamento sessuale, ecc. L’abuso sessuale può essere distinto in: -intrafamiliare; -extrafamiliare; -istituzionale, quando viene attuato da persone ai quali i minori vengono affidati per cura, custodia, tempo libero, educazione, ecc; -di strada, da parte di persone sconosciute; -a fini di lucro; -da parte di gruppi organizzati. Tali persone vittime di abusi sessuali, possono presentare effetti a lungo termine quali depressione, ansia, insicurezza, aumento dell’aggressitvità, complessi di colpa, difficoltà scolastiche e problemi sessuali, anoressia, bulimia, comportamenti antisociali, tentativi di suicidio, abuso di alcool e droghe. I sintomi e i segni più frequenti sono: -malattie fisiche; -disturbi del sonno; -disturbi dell’autoregolazione; -problemi o fallimenti scolastici; -comportamenti di ritiro, isolamento; -aggressività e ostilità; -avversione e diffidenza verso certe persone; -irritabilità, iperattività, disturbi della condotta, fughe, prostituzione, atti delinquenziali; -ansia e depressione; -disturbi alimentari. Le modalità di intervento variano a seconda della gravità dell’abuso e dell’età del minore. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 65 di 167 65. Fenomenologia degli abusi: patologie delle cure Tra queste distinguiamo: -discuria, somministrare cure inappropriate alla realtà evolutiva ed ai bisogni del bambino: non vigilare sulle sue amicizie, attività, comportamenti; solitamente tale genitore è convinto di fare il meglio per il bambino; -incuria, somministrare cure carenti, insufficienti rispetto ai bisogni del bambino e del suo momento evolutivo: necessità materiali e affettive e psicologiche; l’abbandono può essere considerato un caso estremo di incuria. -sindrome di Munchausen by proxy, consiste in una ipercuria patologica, è una forma rara di abuso fisico e psichico; tipicamente la vittima è il bambino e l’abusante è la madre; è molto frequente durante un periodo di ospedalizzazione per la peculiare relazione che i perpetuatori intrattengono con il mondo medico: eccessiva calma di fronte alle condizioni del figlio e ad esami invasivi e dolorosi, si sostituiscono a lui parlando in sua vece, selezionando i suoi contatti sociali, fa richieste eccessive ai medici, ha una conoscenza approfondita della malattia del bambino, ha qualche educazione medica; il genitore non abusante, solitamente il padre, è passivo, indifferente, assente. Tale sindrome può essere di due tipi: -induzione di uno stato di malattia; -o del peggioramento di uno stato di malattia preesistenze, con farmaci o altro. Distinguiamo tre tipi di perpetuatori: -HELP SEEKER, madri che attraversano la preoccupazione medica per il figlio comunicano la propria ansia, depressione e la percezione della propria incapacità a prendersi cura del figlio; -ACTIVE INDUCERS, inducono malattie nei loro figli con metodi drammatici; sono madri ansiose e depresse ed hanno il desiderio di essere riconosciute come eccezionali nella cura dei figli; -DOCTORS ADDICTS, sono persone ossessionate dalle cure mediche per malattie inesistenti dei loro figli; riportano storie cliniche e sintomi falsi. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 66 di 167 66. Adozione Essa consiste in una relazione genitoriale e in un rapporto di affiliazione in assenza di un legame di consanguineità. Oggi non rappresenta solo un fatto privato, ma costituisce un evento sociale, regolamentato da norme di legge finalizzate a garantire l’effettiva tutela del minore: vi è il diritto del minore ad aver una famiglia che si prenda cura di lui e si precisa che essa dovrà essere, in primo luogo, la famiglia originaria; il presupposto fondamentale che permette l’adozione di un minore è l’accertamento della sua situazione d’abbandono, è ammissibile, dunque, la rottura del minore con la sua famiglia d’origine e l’inserimento in un altro nucleo familiare solo se le carenze familiari sono tali da impedire un’adeguata crescita del figlio senza alcun rimedio. Ogni anno in Italia viene dichiarato lo stato di adottabilità per 1000 bambini; si hanno però ben 10.000 richieste di adozione, e ogni anno si riscontrano solo 15 decreti di adozione nazionale; per questo molte coppie italiane si orientano verso l’adozione internazionale; dei minori stranieri che entrano in Italia la fascia prevalente va dai 0 ai 4 anni, seguita da quella che va dai 5 ai 9 anni; essi provengono prevalentemente dall’Europa dell’est e dall’America latina. E’ importante elaborare, inizialmente, il lutto dell’adottato legato all’abbandono e il lutto della coppia adottante legato alla ferita dell’incapacità procreativa; la consultazione psicologica rappresenta la valutazione delle condizioni psicologiche del minore e le capacità genitoriali della coppia aspirante; l’adozione, proprio per la mancanza della gestazione e del parto, richiede un complesso lavoro mentale per stemperare la dicotomia tra biologico e mentale, infatti il passaggio dalla mancanza di un figlio naturale all’accettazione e all’accoglimento di un essere nato da altri comporta una complessa elaborazione personale e di coppia che deve garantire il superamento del lutto per l’incapacità generativa e il superamento della dimensione biologica per fare spazio ad una dimensione più affettiva e mentale; dunque il compito degli operatori è di capire la capacità della coppia di instaurare un rapporto con un baambino sconosciuto e nato da altri. Il bambino abbandonato va incontro ad esperienze di perdita affettiva e di punti di riferimento per i suoi comportamenti personali, si trova in un momento di crisi personale ed è costretto a ristrutturale non solo i legami affettivi ma anche i suoi comportamenti in un ambiente diverso dal precedente e integrando le sue esperienze passate con quelle presenti e future. La situazione psicologica dei bambini precocemente deprivati è poi ulteriormente aggravata dall’istituzionalizzazione che costituisce un’ulteriore esperienza di deprivazione; la situazione psicologica dei bambini che invece per un certo periodo hanno vissuto con i genitori naturali e poi ricoverati in istituto è ben diversa, poiché hanno comunque continuato ad avere rapporti con essi per i primi anni. Per i bambini stranieri gli effetti negativi di tali situazioni sono ancora maggiori, poiché essi provengono da un paese diverso dal nostro e devono sforzarsi di acquisire abitudine e modalità di comunicazione proprie del nostro contesto sociale vivendo dunque una perdita di punti di riferimento affettivi, culturali ed ambientali. I genitori adottivi, generalmente, sono animati da diversi timori: la riuscita dell’adozione intesa come legame affettivo reciproco e soprattutto la paura che, col passare degli anni, il bambino possa desiderare di riprendere i contatti con chi lo ha generato vivendo questo come un fallimento della loro capacità di farsi amare come genitori, ponendosi quasi su un piano di competizione con i genitori naturali; ma l’adozione è Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 67 di 167 altro, essa è tollerare, in qualsiasi momento, il ricordo di non aver procreato quel figlio e di accettare il suo dolore per aver perso i genitori naturali. Per il bambino l’esperienza adottiva costituisce, da un lato, la premessa di un legame affettivo stabile, dall’altro ribadisce l’abbandono definito da parte dei suoi genitori naturali. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 68 di 167 67. Fattori di rischio e fattori protettivi dell’adozione L’adozione è di per sé un “evento critico non normativo” poiché non rientra tra quelli che, normalmente, le famiglie si trovano a vivere, facendo aumentare quindi il rischio di disagio psicosociale proprio dell’affrontare ogni tipo di esperienza familiare; infatti l’adozione richiede un investimento di energie e la mobilitazione di risorse psicologiche. I fattori di rischio possono essere insiti già in epoca prenatale, in situazioni di disagio psicologico e socioeconomico. Bambini abbandonati subito dopo la nascita e poi subito istituzionalizzati, non hanno qualcuno che conservi la loro storia avendo quindi difficoltà nell’acquisire una nuova identità. Costituiscono, invece, fattori protettivi: la capacità affettiva, il grado di consapevolezza dei coniugi rispetto al bambino e la loro possibilità di immaginare le condizioni, i bisogni e la realtà del bambino in stato di abbandono e soprattutto la disponibilità dei genitori ad aiutare il bambino ad elaborare le parti traumatizzate del Sé. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 69 di 167 68. Prognosi e trattamento dell’adozione Frequentemente, i bambini con deprivazione affettiva hanno facilità a contrarre malattie psicosomatiche e presentano ritardo nello sviluppo psicomotorio, specialmente nelle aree della deambulazione e nell’acquisizione del linguaggio; invece, i bambini adottati già grandicelli hanno difficoltà nell’ambiente scolastico, soprattutto nel rendimento, nell’inserimento nel gruppo dei pari e presentano problemi comportamentali. Tra i problemi che più frequentemente mostrano i bambini adottati figurano: -attaccamento insicuro alle figure parentali; -bassa autostima, immagine danneggiata del sé; -percezione di perdita del controllo, aumento del comportamento oppositivo; -perdita e lutto irrisolto; -difficoltà di apprendimento. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 70 di 167 69. Cefalea primaria Quando adeguate indagini strumentali escludono la presenza di lesioni come causa della cefalea;essa costituisce l’80% dei casi. Le forme più diffuse di cefalea primaria sono: -emicrania senz’aura o con aura: l’aura è presente solo nel 3/5% dei casi ed è costituita da sintomi prevalentemente visivi, ma anche sensoriali, motori e linguistici che precedono il mal di testa vero e proprio, scomparendo nell’arco di un’ora e lasciando il posto all’insorgere del mal di testa; il dolore è spesso di intensità medio-forte: il bambino è costretto a sospendere ogni attività che sta svolgendo per mettersi al letto al buio ed in silenzio; è frequente la nausea ed il vomito; il dolore può essere pulsante,ma anche costrittivo e più il bambino è piccolo e più tende ad essere unilaterale; -cefalea tensiva: a tal proposito distinguiamo tra: -cefalea tensiva episodica: è la forma più comune ed è prevalente nel sesso femminile, diminuendo, in entrambi i sessi, con l’età; il suo andamento non è influenzato né dal ciclo mestruale e né dalla gravidanza, al contrario dell’emicrania. In età evolutiva può essere difficile distinguere tra cefalea tensiva episodica e emicrania senz’aura, poiché il dolore può essere costrittivo, con severità medio-lieve, può impedire,ma comunque non impedire, le normali attività quotidiane e la localizzazione del dolore è bilaterale,ma può essere anche unilaterale, dunque la caratteristica che più di ogni altra differenzia le due forme è che il dolore non è aggravato dagli sforzi fisici; -cefalea tensiva cronica:facendo riferimento anche alle cefalee croniche quotidiane che minano profondamente la vita del soggetto; Distinguiamo altre forme di cefalea primaria in relazione all’emicrania: -emicrania oftalmoplegica:è la meno comune ed è riconducibile ad una lesione del terzo nervo cranico; si manifesta con abbassamento della palpebra, visione doppia e offuscamento della vista; il dolore è localizzato intorno all’occhio o alle tempie; la durata dell’oftalmoplegia varia da poche ore a qualche mese e la cefalea è localizzata sempre nello stesso lato in cui si presentano i sintomi oculari ed è presente dall’inizio delle crisi che hanno frequenza variabile; -emicrania emiplegica familiare:è l’unica forma di emicrania di cui è stato trovato il gene responsabile; l’aspetto caratteristico è la paralisi di un arto, le crisi sono precedute da disturbi visivi ed essere seguite da disturbi sensoriali e motori del viso, braccio e poi gamba, può essere presente anche una certa difficoltà a parlare; caratteristico è il progredire lento dell’emiplegia; -emicrania cronica parossistica:si presenta con cicliche crisi multiple( da 1 a 30) a localizzazione orbitaria, frontale o temporale, unilaterale, di intensità molto forte che possono presentarsi sia di giorno che di notte; i sintomi sono: lacrimazione, congestione nasale, rinorrea; nausea e vomito sono rari; le caratteristiche cliniche sono molto simili alla cefalea a grappolo,pur differenziandosene per la maggiore prevalenza nel sesso femminile e per la sua pronta risoluzione grazie all’assunzione di indometacina; -cefalea a grappolo:è l’unica forma di cefalea primaria che prevale nel sesso maschile; si presenta con crisi che ricorro più volte al giorno( da 1 a 8)con un dolore severo, unilaterale, localizzato in sede orbitale,frontale o temporale, della durata dai 15 ai 180 minuti; il dolore unilaterale è associato ad almeno altri due sintomi dello stesso lato: rossore oculare, congestione nasale, rinorrea, ecc. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 71 di 167 70. Cefalea secondaria Costituisce il15/20% dei casi; si ha quando adeguate indagini strumentali consentono di risalire alla causa della cefalea: -malformazioni vascolari: soprattutto quando la cefalea è sempre localizzata dallo stesso lato; -ascesso intracranico o emorragia: l’alterazione dello stato di coscienza ed un coinvolgimento focale neurologico suggeriscono un’infezione intracranica; -traumi cranici,anche di lieve entità, che possono provocare crisi simili a quelle emicraniche; -disturbi metabolici, che posso essere spesso confusi con sindromi periodiche caratterizzate da vomito, nausea, dolori addominali,ecc; -tumori cerebrali: circa il 45% è localizzato nella fossa posteriore, nella maggior parte dei casi la cefalea precede segni oculari o vomito; il dolore può essere provocato da colpi di tosse, starnuti o sforzi in genere; la cefalea può essere presente al mattino o svegliare il bambino che sta dormendo; nei bambini più piccoli sono presenti vomito, pianto, irritabilità, inquietudine, incremento del perimetro cranico, ecc; nei bambini più grandi vi può essere un rallentamento dello sviluppo cognitivo, con problemi di apprendimento ed attentivi, cambiamenti di personalità,ecc. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 72 di 167 71. Eziologia, prognosi e terapia della cefalea infantile EZIOLOGIA DELLA CEFALEA Per le forme secondarie sappiamo che la causa è una lesione strutturale(tumori) o un processo infiammatorio(emorragie); le forme primarie a causa della loro variabilità hanno una diversa fisiopatologia e una diversa eziologia;le forme più studiate sono quelle emicraniche con o senza aura; la componente genetica si pensa sia alla base di almeno il 50% dei casi, anche se solo per l’emicrania emiplegica familiare è stato trovato il gene responsabile; nei casi restanti non si ancore bene quale sia il possibile meccanismo eziologico. PROGNOSI DELLA CEFALEA La cefalea ha un’elevata remissione spontanea o comunque un certo miglioramento; la prognosi risente delle differenze di genere: nei maschi è migliore; tuttavia la scomparsa delle crisi può essere momentanea, con un ripresenta mento anche dopo anni. E’ importante andare alla ricerca anche dei fattori psicologici implicati nello scatenarsi delle crisi; a volte si riporta tutto a fattori quali stress e nervosismo, ricorrendo ad autocure che non fanno altro che cronicizzarle. TERAPIA DELLA CEFALEA Qualsiasi terapia deve essere rapportata alla specificità della situazione, chiamando in causa fattori biologici, psicologici ed ambientali; per quanto riguarda il trattamento farmacologico abbiamo: -la terapia dell’attacco o sintomatica: quando il bambino è inferiore ai 5 anni e presenta più di due crisi al mese, con disturbi endocrini; -la terapia preventiva: quando il bambino ha più di 5 anni e presenta più di due crisi al mese che durano più di due ore, quando si ha comorbidità psichiatrica e le crisi interferiscono molto con le normali attività quotidiane. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 73 di 167 72. Deficit di attenzione e iperattività - ADHD Esso è una delle condizioni psicopatologiche più frequenti in età evolutiva che espone il bambino a numerosi problemi nella vita sociale, cognitiva, scolastica, familiare ed emozionale, infatti affinchè possa essere diagnosticata la sindrome di ADHD la sintomatologia deve essere pervasiva, cioè esprimersi in più contesti. I sintomi possono essere raggruppati in 2 tipologie primarie: -inattentivi: non riesce a prestare attenzione ai particolari; commette errori di distrazione a scuola, a lavoro o in altre attività; non sembra prestare ascolto quando gli si parla; ha difficoltà ad organizzarsi nei compiti e nelle attività; è facilmente distratto da stimoli esterni; è sbadato nelle attività quotidiane; - iperattivi-impulsivi: muove con irrequietezza mani o piedi o si dimena sulla sedia; lascia il proprio posto a sedere in classe o in situazioni in cui si ci aspetta che rimanga seduto; scorazza e salta ovunque in modo eccessivo e fuori luogo; ha difficoltà a dedicarsi a giochi o attività in maniera tranquilla; parla troppo; spesso “spara” le risposte prima che le domande siano state completate; ha difficoltà ad attendere il proprio turno; spesso interrompe gli altri o è invadente nei loro confronti. e a seconda del numero e del tipo di sintomi diagnosticati abbiamo 3 differenti tipologie di ADHD: 1)ADHD A PREDOMINANZA INATTENTIVA:quando sono presenti almeno 6 sintomi della categoria inattentiva e meno di 6 della categoria iperattiva-impulsiva; 2)ADHD A PREDOMINANZA IPERATTIVA-IMPULSIVA:quando sono presenti almeno 6 sintomi della categoria impulsiva-iperattiva e meno di 6 della categoria inattentiva; 3)ADHD DI TIPO COMBINATO:quando sono presenti almeno 6 sintomi della categoria inattentiva e almeno 6 della categoria iperattiva-impulsiva. E’ inoltre presente una categoria di ADHD altrimenti specificato, quando i criteri sopracitati non vengono soddisfatti. Il DSM-IV specifica che i sintomi devono comparire entro i 7 anni di età e che la diagnosi di ADHD non può essere posta qualora siano presenti disturbi pervasivi dello sviluppo o psicosi. Per l’ICD-10 la diagnosi richiede la compresenza di sintomi di inattenzione e di iperattività ed impulsività; per il DSM-IV invece è sufficiente la presenza di sintomi di disattenzione e impulsività o iperattività; ovvero l’ICD-10 richiede la presenza simultanea di almeno 6 sintomi di inattenzione, 3 di iperattività ed 1 di impulsività; invece il DSM-IV richiede 6 sintomi indipendentemente dalla categoria sintomatologica; in più, mentre il DSM-IV favorisce la diagnosi multipla, l’ICD-10 richiede un approccio gerarchico alla diagnosi, dunque nel caso di comorbidità l’ICD-10 favorisce sono una diagnosi. L’ADHD è la sindrome cognitivo-comportamentale più frequente in età scolare con un rapporto di 3:1 per i maschi. E’ da sottolineare che inattenzione, iperattività e impulsività sono caratteristiche comuni in ogni bambino e non sono specifiche solo dei bambini con ADHD, essendo proprie dell’infanzia, dunque, l’ADHD non può essere dato dalla presenza di questi singoli ma piuttosto dalla loro frequenza e pervasività, ovvero devono essere presenti a tal punto da non permettere un sano e pieno sviluppo psicosociale del bambino in vari contesti; in altre parole è la quantità(in termini di durata) della presenza di questi comportamenti che determina la patologia. I sintomi tendono a variare con l’età: in età prescolare l’iperattività è il sintomo più evidente; in età scolate la disattenzione e in adolescenza la componente motoria senza essere meno pervasiva al contrario della permanenza di disattenzione ed impulsività. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 74 di 167 73. Comorbilità dell’ADHD Solitamente l’ADHD puro è un evento clinico raro, poiché si associa sempre ad almeno un’altra patologia psichiatrica, come 1)disturbi del comportamento: DOP(disturbo oppositivo provocatorio) e DC ( disturbo della condotta); 2)disturbo dell’umore e disturbi ansiosi: patologia depressiva e patologia ansiosa o maniacale; 3)disturbi del linguaggio e dell’apprendimento. E’ importante sottolineare come l’ADHD sia una patologia che si modifiche col sviluppo; ovvero ad ogni età corrisponde una maggiore frequenza di diagnosi in associazione con l’ADHD. Si possono avere difficoltà sull’effettiva validità della diagnosi di ADHD e a tal riguardo consideriamo: -errore diagnostico: gran parte dei sintomi dell’ADHD sono condivisi da altre patologie che gli si possono associare in comorbidità; -vulnerabilità: l’ADHD potrebbe essere una condizione vulnerabile o un fattore di rischio per altre patologie; -disfunzionalità: l’ADHD e la patologia associatagli potrebbero condividere la stessa origine disfunzionale con diverse conseguenze cliniche; -fenotipi: diversi sottotipi di ADHD con gli stessi meccanismi fisiopatologici di base ma con diverse espressione cliniche. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 75 di 167 74. Eziologia dell’ADHD Vi è l’interazione tra fattori genetici,ambientali e neuropsicologici: -fattori genetici: altamente coinvolti, infatti fratelli di soggetti con ADHD hanno un rischio tra le 5 e le 7 volte superiore di essere anch’essi affetti rispetto a fratelli di soggetti sani; i bambini con un genitori malato di ADHD ha il50% di possibilità e anche studi di adozione hanno confermato che la componente biologica/genetica sia più determinante rispetto alla componente ambientale; -metodiche di neuro immagine: hanno rilevato le regioni cerebrali implicate: la corteccia cerebrale frontale e prefrontale destra, i nuclei della base e il cervello appaiono di volume ridotto nei bambini con ADHD; -meccanismi neuro chimici: il coinvolgimento delle catecolamine nell’ADHD hanno confermato delle alterazioni strutturali nelle zone cerebrali più ricche di neuroni dopaminergici e noradrenergici; il trattamento farmacologico si incentra sull’uso di farmaci stimolanti; -fattori ambientali: prematurità,abuso di fumo e alcool durante la gravidanza, basso livello economico, eventi di vita negativi. Nei bambini con ADHD le funzione esecutive sono deficitarie, ciò è dovuto ad un deficit dell’inibizione comportamentale; ne deriva l’incapacità del bambino nel controllo del proprio comportamento cognitivo e motorio; in più risultano compromesse le capacità di retrospezione, previsione, imitazione di comportamenti complessi; ritardata o alterata maturità della memoria di lavoro non verbale. Le aree cerebrali implicate nel controllo delle funzioni esecutive sono rappresentate principalmente dalla corteccia prefrontale e dai nuclei della base che sono le regioni più ricche di neuroni dopaminergici e noradrenergici il cui metabolismo e funzionamento risultano alterati nell’ADHD. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 76 di 167 75. Diagnosi e trattamentp dell'ADHD DIAGNOSI DELL’ADHD A causa della variabilità delle situazioni ambientali, per l’alto tasso di comorbidità e dei disordini associati il processo diagnostico risulta particolarmente complesso: è fondamentale, dunque, raccogliere il maggior numero di informazioni che ci possono informare sulle modalità di comportamento e di relazione del bambino nei contesti in cui interagisce e a seconda dei diversi stimoli. L’esame clinico deve prevedere un’approfondita anamnesi personale e familiare, un esame obiettivo generale e la valutazione clinica delle funzioni esecutive, percettive, motorie e linguistiche. Inoltre è importante l’osservazione diretta dei comportamenti del bambino sia durante la visita che durante le sedute di gioco; i test cognitivi rappresentano un supplemento. TRATTAMENTO DELL’ADHD Un corretto approccio terapeutico deve essere finalizzato al miglioramento del funzionamento globale del bambino in tutte le aree di disfunzionalità; è necessaria una strategia terapeutica a lungo termine attraverso interventi multimodali con trattamenti farmacologici, psicoterapeutici e di supporto scolastico o sociale. Il trattamento farmacologico è attuato con farmaci stimolanti a rapido effetto e rapido esaurimento agendo direttamente sul SNC e modulando il rilascio e la ricaptazione della dopamina e/o noradrenalina importanti per l’attenzione e le funzioni esecutive. L’obiettivo invece dell’intervento psicoterapico è rappresentato dalla gestione delle emozioni e dallo sviluppo di strategie comportamentali, cognitive, affettive e sociali alternative, ricordiamo programmi come: parent training che si basano sul social learning, con lo scopo di migliorare la relazione genitorebambino;e problem solving in cui un bambino deve riconoscere un problema e generare delle soluzioni alternative. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 77 di 167 76. Depressione infantile Negli ultimi 20 anni, il crescente interesse scientifico verso la depressione in età evolutiva, ha permesso di sfaldare una serie di miti, ovvero il fatto che la depressione infantile non esista o che fosse atipica e lontana dalla depressione dell’adulto e quindi espressa indirettamente come depressione “mascherata” da sintomi equivalenti alla depressione adulta. Questa impostazione si rifaceva alle teorie psicodinamiche che affermavano l’impossibilità per il bambino di sviluppare una vera patologia depressiva per il deficitario sviluppo in età infantile del Super-io. Già il DSM-III comincia ad enfatizzare la completa sovrapponibilità della depressione infantile con quella adulta; ma nel DSM-IV si è provveduto a correggere parzialmente questo modello isomorfico, infatti pur mantenendo l’equivalenza e la sovrapponibilità nosografica, sono stati corretti alcuni criteri diagnostici: -viene proposto una sostituzione in età evolutiva dell’umore depresso con l’irritabilità; -e il criterio temporale di durata è ridotto nei bambini e negli adolescenti. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 78 di 167 77. Epidemiologia della depressione infantile La depressione è la prima causa di disfunzionalità nei soggetti tra i 14 e i 44 anni, precedendo patologie vascolari e neoplasie (tumori). Essa ha una tendenza alla regressione, pur potendo ripresentarsi: soggetti che hanno sofferto di depressione da adolescenti sono a rischio elevato di depressione in età adulta, con conseguente rischio di suicidio, abuso di alcool e sostanze stupefacenti e disabilità lavorativa e sociale. 1)La prevalenza della depressione e della distimia è età-dipendente: maggiore in età adulta e in adolescenza, minore in età prepuberale e prescolare; 2)Nell’età prepuberale, dunque fino a circa 13 anni d’età, non vi sono differenze di genere; successivamente il valore raddoppia o triplica nelle femmine che continua ad essere alto fino all’età adulta; 3)Vi è una continuità della depressione lungo l’intero arco di vita: bambini depressi tendono a diventare adolescenti depressi e infine adulti depressi; si parla infatti di “continuità omotipica”, ma anche “eterotipica”, ovvero può essere un fattore di rischio per altre patologie psichiatriche; 4)Dal 1940, nei paesi industrializzati, la depressione e la distimia stanno aumentando in tutte le fasce d’età e l’età media di esordio si sta abbassando. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 79 di 167 78. Eziologia della depressione infantile Si parla di una combinazione di fattori familiari e genetici, ambientali, temperamentali e di personalità e neurobiologici: -fattori familiari e genetici: figli di genitori depressi hanno un rischio 6 volte maggiore di sviluppare depressione rispetto ai figli di genitori sani; la depressione con un esordio precoce è più fortemente influenzata da fattori genetici rispetto a quella che inizia in età adulta; essa,così come tutte le patologie psichiatriche di natura genetica, non segue la trasmissione mendeliana diretta, ma una modalità genetica multipla, in cui sono coinvolti più geni; i bambini adottivi figli di genitori naturali depressi hanno un rischio 8 volte maggiore di sviluppare depressione rispetto a figli adottivi i cui genitori biologici non erano depressi; -fattori ambientali: la depressione in età adulta è strettamente correlata con esperienze di vita negative, come il lutto, difficoltà economiche o scolastiche; -fattori temperamentali e di personalità: alcune caratteristiche temperamentali, come ad esempio l’emotività, sono associate alla depressione: stati emotivi forti possono avere conseguenze debilitanti e disgregatrici: il soggetto si deprime perché si sente impotente di fronte alle risposte ambientali ed è incapace di modificare questo stato di cose; la depressione è influenzata anche da: pessimismo esagerato, aspettative negative nei confronti dell’ambiente e per il futuro, bassa autostima; -fattori neurobiologici: è stato scoperto che il trattamento con un particolare farmaco è in grado di produrre un disturbo depressivo, poiché riduceva la quantità di due neurotrasmettitori mono amminici: serotonina e norepinefrina dunque si ipotizzò che alla base della depressione vi sia uno squilibrio nella produzione delle neuro amine e nacque la cosiddetta “ipotesi delle ammine biogene”. Un altro fattore neurobiologico implica l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene che media la risposta a lungo termine allo stress attraverso il rilascio nel sangue del peptide CBF che agendo sulla neuroipofisi permette la secrezione di ACTH che a sua volta induce il rilascio da parte del surrene di cortisolo che a sua volta tornando all’ipotalamo regola la secrezione, questo per dire che eventi stressanti prolungati sono in grado di ridurre il tasso di disponibilità dei neurotrasmettitori serotonina e norepinefrina e di iperattivare l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene ben evidenziabile negli adolescenti e negli adulti e non nei bambini in cui risulta ancora immaturo. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 80 di 167 79. Classificazione nosografica della depressione infantile Nel DSM i disturbi depressivi vengono inseriti nei disturbi dell’umore; nell’ICD-10 nei disturbi effettivi; ciò fa riflettere sulla possibilità di intercambiare i due termini (umore e affetto) , ma è anche opportuno ricordare che l’affetto è l’espressione esterna di uno stato interno(umore) e che l’affetto è transitorio, invece l’umore è stabile; in seguito a ciò sembra più corretto includere la depressione nella categoria del disturbo dell’umore. Il DSM-IV definisce un “episodio depressivo maggiore” come un declino significativo del tono dell’umore e/o perdita di piacere e interesse per almeno 2 settimane che si accompagni ad altri sintomi raggruppabili in due categorie: 1)dimensione cognitiva: sentimenti di autosvalutazione o di colpa, diminuita capacità di pensare, ricorrenti pensieri di morte, tentativi suicidari; 2)modificazioni del peso e dell’appetito, riduzione o aumento del ritmo del sonno; agitazione o rallentamento psicomotorio, estrema faticabilità. Nel DSM-IV distinguiamo tre principali disturbi depressivi: -disturbo depressivo maggiore, episodio singolo:caratterizzato dalla presenza di un solo episodio depressivo maggiore; -disturbo depressivo maggiore, ricorrente: che si differenzia dal primo per la presenza di due o più episodi; -disturbo distimico: che è la forma depressiva più attenuata ma più ricorrente che si accompagna ad altri sintomi cognitivi o somatici. L’ICD-10 distingue essenzialmente rispetto al DSM-IV l’episodio depressivo dalla sindrome depressiva e specifica tre diversi livelli di severità: lieve, medio e grave, non indicando differenze d’età. Generalmente, i sintomi che compaiono in età prepuberale tendono a scomparire col passare del tempo e in adolescenza il quadro clinico assomiglia sempre di più a quello adulto; -i bambini soffrono meno rispetto agli adolescenti di ipersonnia ed insonnia; -gli adolescenti rispetto ai bambini sono più soggetti a perdita di peso e appetito, variazioni dell’umore, disperazione, rallentamento psicomotorio, ecc; -in età prepuberale rispetto a tutte le altre età abbiamo allucinazioni uditive. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 81 di 167 80. Diagnosi della depressione infantile Ai fini diagnostici ricordiamo strumenti quali SADS, DICA e DISC. Il disturbo depressivo emerge spesso in associazione con altri problemi psichiatrici, come il disturbo della condotta e il disturbo oppositivo-provocatorio; nei bambini e negli adolescenti, i sintomi depressivi sono fortemente associati a comportamenti antisociali, e può essere, dunque, difficile distinguere l’irritabilità come sintomo depressivo e l’irritabilità come sintomo oppositivo-provocatorio; nei bambini è anche difficile diagnosticare la distimia, infatti sintomi di bassa autostima, facilità al pianto e diminuito piacere nelle attività sono spesso associati ad altri disturbi come ADHD oo disturbo della condotta. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 82 di 167 81. Comorbidità della depressione infantile La comorbidità è l’associazione di due patologie, di natura psicologia e/o organica la cui relazione di casualità è altamente probabile; -distimia: quasi nel 30% dei casi coesiste con la depressione maggiore sia negli adulti che nel bambino, si differenzia da quest’ultima per la relativa assenza di caratteristiche neurovegetative e psicotiche, per un esordio più precoce (7anni) e per una sintomatologia che persiste per almeno 1 anni, dopo il quale la fase di guarigione si protrae più a lungo che per la depressione maggiore; l’associazione tra distimia e depressione maggiore è considerato un “sottotipo di disturbo dell’umore” chiamato “doppia depressione”; -disturbo d’ansia: la comorbidità tra ansia e depressione è molto frequente; soprattutto il disturbo d’ansia generalizzato per gli adulti e il disturbo d’ansia da separazione per l’età evolutiva; studi sostengono che l’ansia preceda la depressione, rafforzando l’ipotesi che la depressione sia secondaria all’ansia; -disturbo del comportamento e della condotta: una spiegazione è che la depressione sia semplicemente parte integrante del disturbo della condotta; un’ulteriore ipotesi è che il disturbo della condotta possa essere considerato causa della depressione, poiché molto spesso i bambini assumono disturbi del comportamento impulsivi, illegali, aggressivi che aumentano il rischio di vivere situazioni negative che possono essere la conseguenza di uno stato depressivo; -disturbo da abuso di sostanze; -ADHD: tassi molto alti in età prepuberale che diminuiscono lentamente con dall’adolescenza all’età adulta. I fattori di rischio riguardano eventi negativi che coinvolgono soprattutto la figura d’attaccamento, si parla anche di un’eventuale disfunzione dell’interazione genitore-bambino. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 83 di 167 82. Prognosi della depressione infantile L’episodio depressivo rimette spontaneamente, ma se non trattato la sua durata tende a prolungarsi anche 9 mesi; i tre indici più comuni sono: 1)guarigione o cronicità, il decorso clinico è età-dipendente, il tempo di guarigione per un bambino depresso è di circa 7/9 mesi, mentre per un paziente adulto si prolunga fino a 12 mesi; ma i bambini tendono ad avere più ricadute rispetto a pazienti più grandi; 2)ricadute, ovvero un nuovo episodio morboso dopo un periodo iniziale di remissione; 3)modificazione o sviluppo verso altro disturbo psicopatologico, un esordio precoce di depressione può essere un fattore di rischio per l’esordio di una patologia bipolare in adolescenza; in età adulta, tale sviluppo è meno frequente; l’associazione di depressione e di disturbo della condotta può influenzare la prognosi e aumentare il rischio di suicidio e di abuso di sostanze in età adulta. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 84 di 167 83. Suicidio e depressione infantile Suicido e tentativo di suicidio sono fenomeni strettamente correlati; i disturbi depressivi rappresentano la categoria psicopatologica a più alto rischio per il suicidio:la metà dei bambini e degli adolescenti con depressione maggiore, compiono nel corso della malattia, almeno un tentativo di suicidio, tale incidenza tende ad aumentare se si ha comorbidità col disturbo della condotta o il disturbo da abuso di sostanze; vi è una netta prevalenza nel sesso femminile di tentativi di suicidio e nel sesso maschile di suicidi compiuti. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 85 di 167 84. Prevenzione della depressione infantile Segue due percorsi: 1)trattamento o prevenzione della depressione postpartum come potenziale fattore di rischio della depressione infantile, che ha ridotto con successo la depressione materna; 2)programmi rivolti a gruppi ad alto rischio(ad esempio figli di genitori depressi) o a tutti i bambini, attraverso programmi mirati nelle scuole: i programmi verso bambini ad alto rischio ha portato qualche successo, al contrario degli interventi nelle classi che ha prodotto risultati contrastanti. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 86 di 167 85. Trattamento della depressione infantile Vi sono interventi farmacologici e interventi psicosociali suddivisibili in 3 fasi: 1)indurre miglioramento dei sintomi e remissione dell’episodio depressivo nei primi 2/3 mesi; 2)consolidare e mantenere la remissione per almeno altri 6 mesi; 3)prevenire la ricaduta negli anni successivi. Per quel che riguarda il trattamento farmacologico, vi sono i farmaci antidepressivi in grado di aumentare i livelli di serotonina, come la fluoxetina, che al contrario del placebo possono ridurre la sintomatologia depressive nel bambino e nell’adolescenza a breve termine; essi però possono causare effetti collaterali indesiderati: sintomi di agitazione, irritabilità e ansia. Per quel che riguarda il trattamento psicoterapeutico, esso dipende dall’età. Per ottimizzare i risultati del trattamento sia nei bambini che negli adolescenti è bene integrare psicoterapia e intervento farmacologico. E’ importante anche il sostegno fornito ai genitori, che non devono sentirsi accusati, ma coinvolti positivamente dal terapeuta per il ruolo che possono svolgere nell’aiutare il figlio. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 87 di 167 86. Disturbi della condotta: definizione Il DSM-IV li definisce come “ comportamenti ripetitivi e persistenti che violano i diritti degli altri, le norme e le regole”; l’ICD-10 li definisce meglio qualificandoli come “antisociali, aggressivi e provocatori”; ciò significa che gli atti sociali o criminali isolati non sono,di per sé, un fondamento per la diagnosi. A tal riguardo, vengono inquadrati nell’ambito dei disturbi da “esternalizzazione” differenziandoli dal quelli “internalizzanti” che si riferiscono a stati emotivi di ritiro, inibizione, passività, ansia e depressione. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 88 di 167 87. Diagnosi dei disturbi della condotta Secondo il DSM-IV essi sono classificati in 4 categorie: 1)condotta aggressiva che causa o minaccia danni fisici ad altre persone o ad animali; 2)condotta non aggressiva che causa perdita o danneggiamento della proprietà; 3)frode o furto; 4)gravi violazioni di regole. Ed in base all’età di esordio distingue due tipi: 1)tipo ad esordio nella fanciullezza: soggetti che presentano il disturbo prima dei 10 anni, sono prevalentemente maschi e mostrano frequenti comportamenti di aggressione fisica verso gli altri; in più hanno maggiori probabilità di sviluppare un disturbo antisociale di personalità (DAP) rispetto ai soggetti con esordio nell’adolescenza; 2)tipo ad esordio nell’adolescenza:non hanno alcun disturbo prima dei 10 anni, hanno meno probabilità di mostrare un comportamento aggressivo e tendono ad avere con i coetanei relazioni nella norma. L’ICD-10 distingue il disturbo della condotta in sottocategorie: 1)disturbo della condotta limitato al contesto familiare; 2)disturbo della condotta con ridotta socializzazione; 3)disturbo della condotta con socializzazione normale; 4)disturbo oppositivo provocatorio(DOP) Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 89 di 167 88. Diagnosi differenziale ed epidemiologi dei disturbi della condotta -Il DOP ha un esordio più precoce del DC ed è contraddistinto da ostilità, caparbietà e atteggiamenti provocatori e di sfida del bambino verso gli adulti che si prendono cura di lui. Se vengono soddisfatti sia i criteri per diagnosticare il DOP e sia per il DC, ha la precedenza il DC. -I bambini con disturbo da deficit di attenzione e iperattività presentano un comportamento iperattivo e impulsivo che però non viola le norme sociali adeguate all’età, quindi non soddisfa i criteri per il DC. Se vengono,però, soddisfatti sia i criteri per diagnosticare il disturbo da deficit di attenzione ed iperattività e sia per il DC, si dovrebbero fare entrambe le diagnosi. -I bambini con disturbo dell’umore presentano, talvolta, irritabilità e problemi comportamentali, che si distinguono dagli stessi previsti per il DC per il decorso episodico e la concomitanza di sintomi tipici di un episodio maniacale. -E’,poi,importante distinguere tra esempi isolati di comportamento antisociale, che si differenziano dai DC perche sono limitati nelle manifestazioni e non sono presenti né relazioni deficitarie, né compromissioni significative scolastiche. EPIDEMIOLOGIA Nei maschi il Dc ha una prevalenza rispetto alle femmine, con comportamenti aggressivi, iperattivi e delinquenti. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 90 di 167 89. Eziologia dei disturbi della condotta Molte ricerche hanno cercato di indagare le cause del DC indicando la presenza di fattori genetici e ambientali e la loro reciproca interazione. Un’alta prevalenza di Dc è stata riscontrata negli studi condotti su gemello monozigoti ed anche eterozigoti e su soggetti adottati aventi genitori biologici con un disturbo da deficit di attenzione e iperattività o un disturbo della condotta. Spesso sui DC dei bambini influiscono anche condizioni familiari ed ambientali sfavorevoli: gravi patologie genitoriali o esperienze di perdita genitoriale. In più, un ambiente familiare che circonda il bambino influisce sullo sviluppo di condotte aggressive: -clima ostile in famiglia, con discordie coniugali,modalità educative contraddittorie e incoerenti, situazioni di rifiuto, maltrattamento fisico e psicologico,trascuratezza ed abbandono da parte dei genitori; -se la famiglia presenta uno stile troppo permissivo, il bambino diventa capace di porre limiti al proprio comportamento creando le basi per lo sviluppo di condotte aggressive; -allo stesso modo,se la famiglia presenta uno stile educativo troppo coercitivo, ricorrendo a punizioni fisiche o a violente esplosioni emotive, il bambino si sentirà autorizzato ad utilizzare le stesse modalità comportamentali nelle relazioni extrafamiliari. Assumono rilievo anche fattori di ordine psicosociale, quali caratteristiche socio demografiche e contesto socioculturale nel quale si vive; infatti in crescere in quartieri degradati, sovraffollati, con una subcultura che spesso si schiera contro le norme vigenti è un fattore importante nel predire la messa in atto di comportamenti aggressivi e violenti in adolescenza. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 91 di 167 90. Comorbità dei disturbi della condotta Vi è una frequenza associazione del DC con il disturbo da deficit di attenzione ed iperattività, i disturbi dell’apprendimento, i disturbi d’ansia, i disturbi dell’umore e i disturbi correlati a sostanze. Frequente è la comorbidità tra DC e DOP, tra DC e depressione, tra DC e deficit cognitivi con un QI al di sotto della media ed un apprendimento scolastico verbale al di sotto del livello previsto dall’età. I bambini aggressivi presentano più degli altri la tendenza ad interpretare come ostili gesti ambigui; finiscono per vedere i coetanei come contrapposto a loro e a trattarlo quindi con ostilità coercizione; nella scuola elementare vanno alla ricerca dell’approvazione e dell’accettazione da parte dei coetanei e qualsiasi forma di rifiuto può spingerli a compiere azione violente o ad unirsi a gruppi con condotta deviante; il Dc può essere incrementato dalle mancate lodi e incoraggiamento da parte degli insegnanti o dal rifiuto da parte dei coetanei. In ambito scolastico una particolare forma di comportamento aggressivo è il BULLISMO, definito come il caso in cui “uno studente è prevaricato o vittimizzato, esposto ripetutamente e nel corso del tempo ad azioni offensive da parte di uno o più compagni”; si esprime come una disuguaglianza di forze tra chi agisce e che subisce; si può esprimere in forma diretta, fisica o verbale, e indiretta, con l’isolamento e l’esclusione. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 92 di 167 91. Prognosi e trattamento dei disturbi della condotta Solitamente va in remissione con l’adolescenza; infatti un comportamento aggressivo durante l’infanzia tende a mantenersi stabile nel corso degli anni e può rappresentare un fattore predittivo per il successivo sviluppo di azioni devianti e criminali. Trattamento E’ focalizzato su forme che coinvolgono l’individuo, la famiglia e il contesto sociale; il trattamento farmacologico è usato per controllare gli episodi di aggressività e violenza; i farmaci più utilizzati sono i modulatori del tono dell’umore; gli antidepressivi inibitori della serotonina per la loro capacità sedativa; i neurolettici che possono essere somministrati nel caso di comportamenti antisociale dirompenti e gravi. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 93 di 167 92. Disturbi d’ansia: definizione Nel DSM-IV l’unico disturbo d’ansia caratteristico dell’infanzia è “il disturbo d’ansia da separazione”, mentre quelli precedentemente compresi nel DSM-III, ovvero il disturbo iperansioso e quello di evitamento, sono stati rispettivamente integrati nelle categorie degli adulti del disturbo d’ansia generalizzata e della fobia sociale. Nell’ICD-10 viene operata una differenzazione tra l’infanzia e l’adolescenza e l’adulto; i disturbi della sfera emozionale con esordio nell’infanzia e nell’adolescenza sono: sindrome ansiosa da separazione, sindrome fobica, sindrome d’ansia sociale, disturbo da rivalità tra fratelli, sindrome o disturbo emozionale di altro tipo o non specificato; è presente inoltre la categoria “altre sindromi ansiose” che include la sindrome di attacchi di panico, la sindrome ansiosa generalizzata e la sindrome mista ansioso-depressiva. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 94 di 167 93. Disturbi d’ansia: epidemiologia e comorbidità I disturbi d’ansia sono i disturbi psicopatologici più frequenti nella popolazione infantile, con un’interferenza sulla vita quotidiano simile a quella dei disturbi dell’adulto e con possibilità di mantenersi e trasformarsi nel tempo. COMORBIDITA’ DEI DISTURBI D’ANSIA Le comorbidità più importanti si pongono con i disturbi dell’umore ( disturbo depressivo e bipolare) e con il disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD). Particolarmente rilevante è la comorbidità tra i disturbi d’ansia e la depressione. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 95 di 167 94. Diagnosi dei disturbi d’ansia Essa presuppone una riflessione attenta su alcuni concetti come quello di “continuità e discontinuità dei disturbi d’ansia nel bambino e nell’adulto”, “confine tra ansia normale e patologica, come la necessità di rivolgersi all’ansia come un continuum che si esprime con vari gradi di compromissione funzionale, cognitiva,somatica e comportamentale e che tale compromissione varia a seconda delle varie fasi evolutive”, e un’anamnesi minuziosa rispetto alla “presenza e influenza di fattori di rischio e del contesto ambientale/relazionale”. E’ importante valutare importanza e ruolo del “temperamento e dell’attaccamento”, il temperamento può essere definito come uno stile comportamentale precoce e costante, in grado di influenzare la personalità e dato che esso è parte genetica della personalità, potrebbe rappresentare uno dei meccanismi attraverso il quale avviene la trasmissione della vulnerabilità psicopatologica da una generazione all’altra per quanto riguarda i disturbi ansiosi. E’ importante anche “l’assessment”, dunque discriminare l’ansia normale dall’ansia patologica; è necessario dunque farsi un’idea precisa della categoria patologica, dell’intensità dei sintomi, della compromissione funzionale, degli eventuali mascheramenti e della trasformazione dei sintomi; è utile possedere strumenti che consentano la valutazione dell’efficacia dei trattamenti come le interviste cliniche che consentono non solo di identificare lo specifico disturbo d’ansia, ma anche di mettere a fuoco la presenza di disturbi associati che potrebbero essere mascherati dal disturbo d’ansia e che potrebbero influenzare prognosi e trattamento; le interviste più frequentemente usate sono SADS, DISC e DICA; le RATING SCALE consentono,invece, una quantificazione del disturbo, ma non sono uno strumento sufficiente per la diagnosi, ma possono essere utili per valutare l’andamento clinico e l’efficacia del trattamento. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 96 di 167 95. Disturbo d’ansia da separazione Per il DSM-IV è l’unico disturbo d’ansia ad insorgenza specifica nell’infanzia: -intorno ai 6/8 mesi di vita, quando i bambini iniziano a riconoscere con più chiarezza le figure di attaccamento, si manifestano normali ansie da separazione e abbandono; -intorno ai 13/18 mesi, questo comportamento si intensifica; -intorno ai 3/5anni si riduce progressivamente. Dopo questa fase, in alcuni bambini può insorgere il DISTURBO D’ANSIA DA SEPARAZIONE (DAS), che consiste in una preoccupazione eccessiva riguardo la separazione da casa o dalle figure di attaccamento, con ansia anticipatori e condotte di evitamento; la capacità a frequentare regolarmente la scuola può essere uno dei criteri per diagnosticare il DAS. I fattori di rischio possono essere di natura: individuale, neurologica, biologica, genetica, ambientale e familiare. -Tra i fattori individuali ricordiamo un temperamento inibito,dipendente e difficile; -ricordiamo poi alcune aree del SNC che potrebbero essere implicate nella genesi del disturbo d’ansia; -un’ereditarietà dell’ansia: stime elevate per i gemelli monozigoti rispetto a quelli dizigoti e una qualità trans generazionale per cui l’ansia può trasmettersi, trasformarsi e amplificarsi da una generazione all’altra; -presenza di disturbi affettivi nei genitori: vera e propria ansia da separazione materna nei confronti del figlio che si sviluppa in base alla storia personale della madre, all’incapacità della madre stessa o alla sua paura di rendere il figlio autonomo; -fattori socio ambientali: correlazione tra DAS e livello socioeconomico basso; -life-events: trauma come malattia o morte di un parente prossimo, trasloco o cambiamento di scuola. L’età media di insorgenza è di 7/8 anni con una prevalenza nel sesso femminile: -nei bambini di 3/4 anni l’ansia si traduce in un intenso ricorso alla madre, non tollerano separazioni che un bambino di questa età può normalmente accettare, l’inquietudine si manifesta non appena la madre si allontanata, il bambino cerca di tenerla continuamente sott’occhio e di toccarla, l’addormentamento esige la stretta vicinanza della madre, il bambino può rimanere in uno stato regressivo, parlando un linguaggio comprensibile solo alla madre; -a 5/8anni i sintomi sono prevalentemente comportamentali, somatici, hanno paura di perdere i genitori, e negli anni successivi compaiono paure circa possibili incidenti o malattie a carico dei genitori e rifiuto scolastico; -in adolescenza sono molto frequenti le somatizzazioni, il ragazzo cerca l’attenzione dei genitori, il loro sguardo sia di approvazione che corrucciato. Diagnosi del disturbo d’ansia da separazione Per tutti i disturbi d’ansia una buona diagnosi è data da un’anamnesi che riguardi il bambino, i genitori e altri soggetti informati per valutare se le ansie da separazione sono selettive in specifici contesti o pervasive, è necessario valutare la presenza di life-events negativi o stressanti in tutti gli ambiti; è sttao messo a punto, specificatamente per il DAS, il SASI. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 97 di 167 96. Disturbo d’ansia generalizzato Il DSM-III definiva il disturbo iperansioso come una condizione specifica dell’età evolutiva, caratterizzata da eccessiva preoccupazione per il passato, per il futuro e per l’adeguatezza delle proprio capacità e dei propri comportamenti, associata a stato di tensione, somatizzazioni, eccessiva coscienziosità e necessità di rassicurazioni. Successivamente questi criteri sono stati considerati nel DSM-IV col disturbo d’ansia generalizzato (DAG). La prevalenza è nel sesso femminile con un rapporto 2:1. L’ansia dura almeno 6 mesi, ed è presente nella maggior parte dei giorni, senza riferimenti a specifiche situazioni o oggetti. Tali bambini presentano irrequietezza, faticabilità, difficoltà di concentrazione, irritabilità, tensione muscolare e disturbi del sonno, cercano sempre di portare a termine in modo perfetto le loro attività, cercano di piacere agli altri e vorrebbero continue rassicurazioni sulle loro capacità. Vi è un’elevata comorbidità col disturbo depressivo e con l’ADHD. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 98 di 167 97. Disturbo da panico Il DSM-IV definisce l’attacco da panico (AP) come un periodo di intensa paura e malessere, che insorge acutamente e raggiunge il sio acme in 10 minuti o meno in associazione ad una sintomatologia somatica (palpitazioni, sudorazione, tremori, sensazione di soffocamento, dolore toracico, nausea, malessere addominale, stordimento, vertigini, parestesie, sensazione di calore o di freddo) e sintomatologia cognitiva (de realizzazione, depersonalizzazione, paura di perdere il controllo o diventare matto, paura di morire). Gli AP possono essere: -inaspettati, se vengono senza alcun preavviso o fattore scatenante; -avvenire in seguito all’esposizione a specifiche situazioni scatenanti; -essere favoriti ma non inevitabilmente scatenati da situazioni specifiche, che possono manifestarsi anche a distanza di tempo da tale esposizione. L’età di esordio è bimodale, con un picco adolescenziale ed uno in età adulta: - a 6/10 anni abbiamo tensione acuta ed improvvisa, poi terrore, pianto, fuga, agitazione psicomotoria, palpitazioni, difficoltà di respiro, nausea, sudorazione, senso di svenimento; -tra i 10 e i 12 anni abbiamo dolori toracici, rossore, tremore, mal di testa, vertigini ed iniziali sintomi cognitivi; -in adolescenza prevalgono i sintomi cognitivi, paura di morire, paura di diventare matto, di perdere il controllo, più tardi de realizzazione e depersonalizzazione. In età evolutiva sono più rari gli AP spontanei e più frequenti quelli scatenanti o favoriti da fattori esterni. E’ presente frequentemente l’associazione con agorafobia, vi può essere o non il rifiuto scolastico e disturbo depressivo. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 99 di 167 98. Fobie semplici Ogni fase di sviluppo del bambino è caratterizzato da paure specifiche che normalmente si estinguono progressivamente, secondo una sequenza temporale specifica. Se tali paure, però, condizionano pesantemente la vita e il comportamento del bambino per periodi di tempo prolungati, o se si presentano in un’epoca della vita in cui dovrebbero essere superate , assumono un significato patologico e si parla di “fobie semplici”. Esse sono paure intense e persistenti relative ad oggetti e situazioni, eccessive ed irragionevoli, attivate dall’esposizione o anticipazione dello stimolo fobico. I sintomi somatici sono : palpitazione, rossore o pallore e tensione muscolare; i sintomi comportamentali sono: pianto e rabbia. Si possono delineare cinque categorie di fobie: 1)le fobie degli animali; 2)le fobie di situazioni ambientali; 3)le paure delle iniezioni e del sangue; 4)le paure di situazioni specifiche; 5)le fobie di altro tipo. Le fobie che durano anche dopo l’adolescenza, in genere, tendono a stabilizzarsi. La prevalenza è maggiore nel sesso femminile. La comorbidità più frequente sembra essere con il disturbo d’ansia generalizzato, seguito dal disturbo d’ansia da separazione. Né sesso né età sembrano influenzare la comorbidità. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 100 di 167 99. Fobia sociale La Fobia Sociale è uno stato di intensa ansia, attivato da situazioni sociali nelle quali il soggetto deve interagire con persone nuove, sconosciute, non familiari, o da situazioni nelle quali può essere osservato, giudicato, passivitato o umiliato e si comporta attivando condotte massicce d’evitamento. Dai 4 ai 6 anni abbiamo sintomi comportamentali, atteggiamenti adesivi e di aggrappamento, il bambino si nasconde dietro le figure familiari, piange, grida, si arrabbia di fronte a situazioni sociali aspecifiche; dai 6 anni compare l’incapacità a partecipare alle attività scolastiche, non riesce a sostenere un’interrogazione o a partecipare alle lezioni di educazione fisica, va male a scuola; frequente il rifiuto scolastico; -negli adolescenti, il quadro clinico, ricorda la sintomatologia degli adulti, compaiono ansie ed evitamento prima e durante la prestazione di fronte ad estranei; il ragazzo teme continuamente di essere colto in fallo, di fare qualcosa di stupido, di essere umiliato. Sono spesso presenti reazioni vegetative come tachicardia, sudorazione, tremori e diarrea che accentuano ulteriormente la reazione d’ansia. La fobia sociale si mantiene stabile nel tempo; è elevata la comorbidità con i disturbi d’ansia e dell’umore; è elevato l’abuso di droghe e alcool, poiché diminuiscono l’ansia sociale. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 101 di 167 100. Disturbi del comportamento alimentare Nelle classificazioni del DSM-IV e dell’ICD-10 i disturbi del comportamento alimentare (DCA) comprendono: anoressia nervosa, bulimia nervosa e disturbi del comportamento alimentare non altrimenti specificati, tra cui le anoressie o le bulimie parziali perché non presentano tutti i sintomi necessari per la diagnosi di una delle due sindromi; tra di essi ricordiamo anche il disturbo di alimentazione incontrollata (binge eating disorder) legato all’obesità; quest’ultima non rientrante nei disturbi del comportamento alimentare. I DCA vengono definiti quadri psicopatologici dell’odierno mondo industrializzato, anche se i primi casi risalgono ad epoche decisamente antecedenti: -l’ANORESSIA NERVOSA viene descritta per la prima volta da Morton attorno al 1874 che la definì “emaciazione nervosa”, in seguito venne definita “anoressia mentale” e “ anoressia isterica” facendo riferimento all’origine non organica del disturbo, sostenendo che la famiglia poteva avere un ruolo cruciale per il suo sviluppo; -la BULIMIA NERVOSA viene descritta,invece, per la prima volta solo nel 1979 da Russel. E’ caratteristica degli ultimi 50 anni lo stretto collegamento tra disagio del proprio corpo e comportamenti alimentari anomali. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 102 di 167 101. Anoressia nervosa -peso corporeo inferiore di almeno il 15% rispetto a quello atteso per l’età e la statura; -perdita di peso autoindotta evitando cibi che fanno ingrassare; -percezione di se stessi come troppo grassa con la paura di ingrassare; -nelle donne amenorrea con assenza di almeno tre cicli mestruali consecutivi; negli uomini impotenza e perdita di libido; -specificare il sottotipo:1) restrittivo se la persona non presenta comportamenti di svuotamento improprio;2) bulimico: se la persona presenta tali comportamenti Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 103 di 167 102. Bulimia nervosa -episodi di abbuffate compulsive di almeno due volte la settimana per 3 mesi in cui grandi quantità di cibo sono consumate in brevi periodi di tempo, dunque una quantità che è indiscutibilmente superiore a quella che la maggior parte della gente mangerebbe nello stesso periodo di tempo, con una perdita di controllo sull’atto del mangiare; -preoccupazione persistente intorno al mangiare e forte desiderio di mangiare; -il soggetto tenta di contrastare gli effetti ingrassanti del cibo con vomito autoindotto, abuso/uso improprio di lassativi, diuretici, farmaci antifame, periodi di digiuno; -specificare il sottotipo:1)senza condotte di eliminazione;2)con condotte di eliminazione. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 104 di 167 103. Disturbo alimentare non altrimenti specificato -disturbi che non soddisfano tutti i criteri per essere diagnosticati in una delle due sindromi; ad esempio: -nelle donne sono soddisfatti tutti i criteri dell’anoressia nervosa ma presentano regolarmente il ciclo mestruale; -sono soddisfatti tutti i criteri dell’anoressia nervosa ma il peso nonostante appare in diminuzione è comunque nella norma; -sono soddisfatti tutti i criteri della bulimia nervosa ma le abbuffate hanno una frequenza inferiore alle 2 a settimana per 3 mesi. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 105 di 167 104. Disturbi alimentari prepuberali Quando vengono diagnosticate in età prepuberale o comunque in età inferiore ai 12 anni; in fase premenarcale l’incidenza dei soggetti maschi è più elevata rispetto alle epoche successive e i disturbi alimentare senza causa organica chiara sotto i 14 anni sono: -il disturbo emotivo di rifiuto del cibo, inquadrato come una forma parziale di anoressia nervosa e con una prognosi, dunque, migliore; è legato dal punto di vista emotivo ad una storia di rifiuto di mangiare; -disfagia funzionale,è simile all’anoressia ma da essa si differenzia per l’assenza di preoccupazione per il peso e la forma del corpo; -rifiuto pervasivo, è il rifiuto categorico di mangiare, bere, parlare e fare molte altre attività normali, dunque non è limitato solo al cibo; -alimentazione selettiva, soggetti che mangiano solo alcuni cibi senza avere segni di malnutrizione; è spesso accompagnato a problemi di relazione sociale e di ansia nel normale contesto di vita; -anoressia secondaria a depressione, si distingue dall’anoressia nervosa per l’assenza di preoccupazioni per il peso e la forma del corpo. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 106 di 167 105. Diagnosi dei disturbi alimentari I criteri utilizzati dal DSM-IV e dall’ICD-10 non sono adeguati per una simile diagnosi in età prepuberale, ad esempio: -il criterio “assenza di tre cicli mestruali consecutivi “non sempre è documentabile nel caso di amenorrea primaria,poiché è difficile affermare che le mestruazioni erano attese; -il criterio “mantenere il peso corporeo al di sotto del 15% di quello previsto” in quest’età non è sempre definibile, infatti non si sa se esso potrebbe influire sulla crescita in statura e peso; Dunque i criteri per la diagnosi nell’età prepuberale sono stati definiti GOS, acronimo di Great Ormond Street, sede dell’ospedale dove i ragazzi vengono curati e sono usati per l’età 7-14 anni: -rifiuto di cibo; -calo di peso o mancato aumento della crescita senza cause fisiche; -almeno due o più dei seguenti sintomi: preoccupazione per il peso del corpo e per l’assunzione calorica, disturbo dell’immagine corporea, paura di ingrassare, abuso di lassativi, vomito autoindotto, intensa attività fisica. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 107 di 167 106. Epidemiologia dei disturbi alimentari I DCA colpisce prevalentemente il sesso femminile tra i 12 e i 25 anni; l’anoressia ha il picco di comparsa tra i 14-15 anni,mentre la bulimia tra i 18-19 anni; l’esordio,per quanto riguarda l’anoressia non è mai prima degli 8 anni e sono state descritte anche forme tardive,perfino successive alla menopausa; per quanto riguarda la bulimia, l’esordio è prevalentemente tardivo,mai prima dei 14 anni. Sono più frequenti nei paesi industrializzati e rari o assenti nei paesi poveri. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 108 di 167 107. Disturbi dell’apprendimento Per disturbi di apprendimento si intendono: le disabilità della lettura, della scrittura e del calcolo aritmetico. Circa il 20/25% della popolazione tra i 6 e i 14 anni ha difficoltà scolastiche sia nei compiti d’apprendimento e sia nell’uso delle regole sociali, causato da ritardo mentale, svantaggio socioculturale, disturbi neuropsicologici, disturbi strumentali e disturbi affettivo-relazionali; ciò viene comunemente chiamato: DISABILITA’ DI APPRENDIMENTO SCOLASTICO. Esso si distingue in: -ASPECIFICO, che interessa il 10/16% della popolazione, presentano una difficoltà nei compiti d’apprendimento come conseguenza di un disturbo neurologico e/o neuropsichiatrico, con concomitante ritardo dello sviluppo del linguaggio o delle capacità motorie;esso: -si può manifestare all’inizio della scolarizzazione come conseguenza di una basso livello socioculturale o carenza di contatti extrafamiliari provocando un disturbo ansioso da separazione; -o riconoscersi ad iter scolastico inoltrato come conseguenza di ritardo mentale, alterazione genetica dell’X fragile, episodi depressivi minori, disturbo depressivo maggiore, deficit di attenzione ed iperattività; -SPECIFICO, che interessa il 2/4% della popolazione con alterazioni delle modalità di acquisizione già nelle fasi iniziali di sviluppo; non sono la conseguenza di mancata stimolazione ambientale, culturale, o di ritardo mentale,trauma o malattia cerebrale acquisita e avendo un’intelligenza nella media; si tratta di una situazione innata,propria dell’individuo,senza connotazione patologica, che si manifesta al momento della scolarizzazione, per il livello di sviluppo e la richiesta ambientale propria della scuola. Secondo il DSM-IV: a)le acquisizione devono essere inferiori a quelle previste per l’età, l’intelligenza e l’esperienza scolastica; b)le anomalie devono interferire, in modo significativo, con l’apprendimento scolastico e le attività quotidiane; c)se è presente un deficit sensoriale le difficoltà vanno al di là di quelle di solite associate ad esso. Secondo l’ICD-10,inoltre, si tratta di una specifica e significativa compromissione dello sviluppo della lettura, scrittura e calcolo, non spiegabili da problemi di acutezza visiva, inadeguata istruzione scolastica o età mentale; il cut-off deve essere da un punteggio che si collochi al di sotto di 2 DS dalla media, corrispondente ad un QI < 70. Il disturbo specifico dell’apprendimento è,dunque, una condizione idiopatica, cioè senza causa riconoscibile, anche se gli studi di genetica hanno evidenziato una familiarità del 35/40% ed una prevalenza maggiore nel sesso maschile, anche se nelle donne affette il disturbo risulta più severo. Per disturbi di apprendimento si intendono: le disabilità della lettura(DISLESSIA), della scrittura(DISGRAFIA) e del calcolo aritmetico(DISCALCULIA). Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 109 di 167 108. Disturbi dell’apprendimento: dislessia Si manifesta in un soggetto in età dello sviluppo in assenza di deficit neurologici, sensoriali, relazionali e normali opportunità educative e scolastiche. Riguardo la lettura è stato sviluppati il “MODELLO A DUE VIE”: -la prima via è detta FONOLOGICA e si fonda sulla conversione grafema-fonema per leggere qualsiasi tipo di parola, sia essa nota o sconosciuta; un’alterazione a carico di questa via conduce alla dislessia fonologica; -la seconda via è denominata LESSICALE O SEMANTICA e ipotizza l’accesso ad un lessico ortografico immagazzinato per leggere le parole, una sua alterazione porta alla dislessia superficiale; -quando si ha un cattivo funzionamento di entrambe le vie si ha la dislessia mista. La diagnosi non dovrebbe essere emessa prima della II elementare in quanto vi è un’ampia variabilità iniziale nell’apprendimento della lettura,che dipende sia dai soggetti che dall’insegnamento adottato;devono essere valutati: -il livello cognitivo generale; -la comprensione e l’espressione linguistica; -la MBT verbale e non verbale; -l’attenzione; -la lettura; -e la comprensione della lettura. La prognosi: il disturbo dislessico non può essere annullato, nella maggior parte dei casi si osserva un miglioramento della correttezza della lettura, ma la velocità rimane sempre lenta. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 110 di 167 109. Disturbi dell’apprendimento: disgrafia E’ una bassa velocità e correttezza dell’espressione scritta; anche per la scrittura può essere applicato il modello a due vie: -una via SEMANTICO-LESSICALE o DIRETTA, la quale alterazione provoca la comparsa di una disgrafia superficiale; -una via SUBLESSICALE o INDIRETTA, la quale alterazione determina una disgrafia fonologica; -frequente è la disgrafia mista. Come per la lettura, anche per la scrittura la diagnosi viene formulata mediante la somministrazione di test standardizzati specifici in cui il soggetto raggiunge un punteggio che si colloca al di sotto di 2 DS dalla media; per l’ICD-10 un criterio diagnostico aggiuntivo è l’assenza di un concomitante disturbo di lettura. Gli errori di scrittura vengono suddivisi in: -fonologici, dovuti al non rispetto della conversione fonema-grafema; -non fonologici, dovuti alla scorretta ortografia o visione della parola; -altro, riguardanti l’omissione o l’aggiunta di accenti e doppie. Anche per la scrittura la diagnosi può essere emessa a partire dalla II elementare. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 111 di 167 110. Disturbi dell’apprendimento: discalculia Per il DSM-IV è un’alterazione che riguarda sia le competenze di calcolo che il ragionamento matematico, interessante,dunque: -la comprensione dei termini, delle operazioni e dei concetti matematici; -il riconoscimento dei simboli matematici; -il copiare correttamente i numeri; -il contare accuratamente gli oggetti; -l’imparare le tabelline; -il seguire una successione di passi matematici. Per l’ICD-10 esso interesserebbe più selettivamente gli algoritmi fondamentali di calcolo)somma,sottrazione,moltiplicazione, divisione) e non il calcolo matematico astratto dell’algebra, della geometria e della trigonometria e si presenterebbe isolatamente, e non in associazione con dislessia e disgrafia. Distinguiamo: -dislessia per le cifre, incapacità di lettura e scrittura dei numeri; -discalculia procedurale; -discalculia per i fatti aritmetici. L’eziologia viene rapportata a tre approcci: 1)approccio neuro evolutivo, che riconosce una causa cerebrale alla base del disturbo, quale un’alterazione genetica o morfo-funzionale della specializzazione emisferica; 2)approccio psico-sociale, che lo considera come la conseguenza di una ridotta intelligenza o bassa stimolazione sociale; 3)approccio psico-pedagogico, che ipotizza delle difficoltà proprie della disciplina o delle modalità didattiche. La diagnosi viene formulata non prima della fine della I elementare, poiché il disturbo appare evidente non prima della II o III elementare o per i bambini più dotata intellettivamente anche più avanti; devono essere valutati: -il campo neurologico; -il campo neuropsicologico; -il campo psicologico; -le abilità aritmetiche. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 112 di 167 111. Disturbi dell’attaccamento John Bowlby e Mary Ainsworth hanno contribuito a dimostrare come lo sviluppo armonioso della personalità del bambino dipenda da un adeguato attaccamento alla figura materna. Bowlby teorizza che l’attaccamento nasce come manifestazione pulsionale, ma si sviluppa, in seguito, come fenomeno interazionale.: alcuni comportamenti istintuali, (succhiare, stare attaccati, piangere) riconducibili biologicamente alle necessità di accudimento e di protezione del neonato, successivamente evolvono in un legame di attaccamento verso la figura materna attraverso l’interiorizzazione dei sentimenti e delle modalità affettive di tale figura e l’organizzarsi di "modelli operativi interni", che si fondano su processi mentali di attenzione, percezione, memoria, selezione di affetti e di risposte comportamentali, all’interno di relazioni significative. Secondo Bowlby, aver sperimentato figure di accudimento sensibili e disponibili verso gli altri favorisce la maturazione di un atteggiamento globalmente fiducioso nei riguardi delle relazioni umane e di un sentimento di sé positivo; al contrario, aver avuto figure di accudimento inadeguate genera scarsa fiducia in sé e negli altri e aspettative negative riguardo alle relazioni intime. Mary Ainsworth elaborò una situazione sperimentale per determinare il tipo di attaccamento tra madre e figlio. La situazione, denominata "Strange Situation" era suddivisa in otto episodi, ciascuno della durata di tre minuti, dove il bambino veniva sottoposto a situazioni potenzialmente generatrici di "stress relazionale". La sequenza osservativa di tutte le fasi della strange situation, permette di definire 4 tipologie di attaccamento che legano la madre (o la figura principale di accudimento) e il bambino: 1)attaccamento sicuro: le figure genitoriali sono responsabili e i bambini mostrano un attaccamento sicuro caratterizzato da capacità comunicative dei propri stati emotivi; 2)attaccamento evitante: i bambini vivono esperienze di rifiuto e di non responsività sviluppando un attaccamento evitante ed inibendo la comunicazione delle espressioni; 3)attaccamento ambivalente: i genitori sono responsabili in modo incostante ed incoerente, non hsnno organizzato una configurazione di comportamento tale da garantire una comunicazione significativa con i genitori, che consenta di predire il comportamento genitoriale, essi elaborano un modello del Sé insicuro ed hanno una carenza nella capacità di comunicare e nel coping; 4)attaccamento disorganizzato: per aver esperito situazioni paurose da parte della figura genitoriale, diventando essa stessa fonte di allarme, i bambini , dunque, non mettono in atto comportamenti di esplorazione e di attaccamento in presenza del genitore e mostrano espressioni di paura, tristezza e paralisi nei suoi confronti; 5)abbiamo un ulteriore tipo di attaccamento, quello atipico-evitante-ambivalente: bambini con esperienza pregresse di abuso, trascuratezza e svantaggio socioeconomico;e quello atipico-instabile-evitante: a seguito di maltrattamenti da parte delle figure genitoriali. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 113 di 167 112. Eziologia dei disturbi dell’attaccamento La teoria dell’attaccamento sottolinea l’importanza del caregiver e della sua responsività per promuovere il senso di sicurezza; se ciò non accade, infatti, si determina uno stato di insicurezza e di diffidenza verso l’adulto, ma anche difficoltà a regolare le emozioni con la tendenza a minimizzare o a reprimere le emozioni. E’ attraverso l’AAI che possiamo classificare gli adulti come sicuri, distanzianti o preoccupati: - i sicuri: sono in grado di parlare delle loro esperienze precoci apertamente e di riflettere sugli effetti di queste sulla loro personalità adulta; -i distanzianti: tendono a minimizzare gli effetti delle loro esperienze negative, idealizzano i propri genitori, malgrado le storie che essi stessi riportano non confermino ciò; -i preoccupati: pongono particolare attenzione alle passate esperienza fornendo molti ricordi, nonostante la difficoltà ad integrarle. -I soggetti sicuri avranno maggiore probabilità di avere figli sicuri; -i soggetti distanzianti avranno maggiore probabilità ad avere figli evitanti; -i soggetti preoccupati hanno maggiore probabilità ad avere figli ambivalenti. -I bambini sicuri integrano informazioni derivate affettivamente con informazioni derivate cognitivamente; -i bambini evitanti apprendono che le informazioni affettive conducono a risultati spiacevoli, dunque tendono difensivamente ad escluderle in favore di quelle cognitive; -i bambini ambivalenti sono incapaci di trovare una strategia mentale e/o comportamentale per organizzare la loro condotta ed esprimono sofferenza per l’incapacità di predire o influenzare il loro ambiente. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 114 di 167 113. Sistemi di classificazione dei disturbi dell’attaccamento Il DSM-IV individua un disturbo reattivo dell’attaccamento che si esprime in due sottotipi: 1)il tipo inibito, caratterizzato da risposte inibite, ambivalenti, verso uno o più adulti; 2)il tipo disinibito, caratterizzato dall’incapacità di sviluppare un attaccamento selettivo. L’ICD-10 riporta i seguenti quadri: 1)disturbo reattivo dell’attaccamento che corrisponde al tipo inibito del DSM-IV; 2)disturbo disinibito dell’attaccamento che corrisponde al tipo disinibito del DSM-IV. Si è tentato di integrare i criteri del DSM-IV e dell’ICD-10 e gli autori descrivono tre ampie categorie di disturbo dell’attaccamento: 1)disturbo da assenza di attaccamento: con ritiro emozionale quando il bambino è emotivamente ritirato e inibito nelle ricerca di aiuto, conforto e nella manifestazione degli affetti; e con socievolezza indiscriminata quando il bambino ricerca l’interazione a scopo di protezione, ma con persone estranee: la valutazione di questi disturbi può essere compiuta solo se il bambino ha raggiunto i 12 mesi di età; 2)distorsione della base sicura:con comportamenti che mettono in pericolo il bambino quando sono presenti comportamenti pericoli per il bambino in presenza della figura di attaccamento;con esplorazione inibito ed eccessivo aggrapparsi quando la figura di attaccamento non permette al bambino di esplorare l’ambiente; con vigilanza o compiacenza eccessive quando l’esplorazione è inibita e vi è l’assenza della figura di attaccamento e i comportamenti del bambino sono eccessivamente compiacenti;con inversione di ruolo quando il bambino si preoccupa eccessivamente per la figura di attaccamento e tende a controllarlo; 3)disturbo dell’attaccamento interrotto definito in base alle reazioni emozionali che il bambino mostra in seguito alla perdita improvvisa della figura di attaccamento. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 115 di 167 114. Diagnosi dei disturbi dell’attaccamento E’ effettuata attraverso la STRANGE SITUATION che consiste in una procedura osservativa, costruita per identificare le differenze individuali dei modelli di attaccamento e per valutare l’equilibrio tra il sistema di attaccamento e il sistema di esplorazione del bambino, nel primo anno di vita: -i bambini sicuri possono accedere alle informazioni sia affettive che cognitive ed integrale; -i bambini evitanti scartano le informazioni cognitive; -i bambini ambivalenti scartano le informazioni affettive. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 116 di 167 115. Fattori di rischio e fattori protettivi dei disturbi dell’attaccamento L’esperienza precoce con figure di attaccamento non disponibili e responsive aumenta per i bambini il rischio di insorgenza di disagio psicologico; sono stati individuati alcuno fattori che possono contribuire alla formazione del rischio: -la ridotta percezione delle condizioni che portano i bambini ad avvertire la sofferenza, ciò comporta il rischio di ulteriori distorsioni limitando, da una parte l’esperienza con altre figure e dall’altra la potenzialità di ricevere informazioni positive su di sè; -l’incapacità di raggiungere un’organizzazione comportamentale che permetta loro di influenzare il comportamento delle figure di attaccamento, tali bambini attribuiscono a se stessi la responsabilità della gestione delle emozioni di rabbia provate dalla figura di attaccamento; -la percezione negativa di se stessi. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 117 di 167 116. Disturbi associati ai disturbi dell’attaccamento L’attaccamento dei bambini insicuri è associato a problemi di controllo degli impulsi, scarsa autostima, scarsa regolazione emozionale e difficili relazioni con i pari; I bambini con attaccamento evitante risultano inclini a sviluppare disturbi della condotta; i bambini ambivalenti presentano spesso problemi di tipo cognitivo ed affettivo con risultati scolastici limitati e difficoltà di relazione con i pari; vi è una netta associazione tra l’attaccamento ambivalente ed i disturbi d’ansia. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 118 di 167 117. Disturbi dell’evacuazione Essi sono legati al controllo sfinterico che ha come requisito fondamentale il corretto funzionamento del sistema nervoso autonomo, della muscolatura liscia della vescica e dell’intestino ed infine delle afferenze autonomi che connesse al sistema sacrale del midollo spinale. Distinguiamo: ENURESI E’ un’involontaria o anche intenzionale emissione di urine in assenza di un disturbo fisico, come malformazione anatomica dell’apparato urinario, epilessia generalizzata convulsiva o incontinenza vescicale a causa di patologie neurologiche, in luoghi inaccettabili socialmente e in una fase di vita in cui tale controllo è stato acquisito, dunque è diagnosticabile al di sopra dei 5 anni, dato che tale controllo viene completamente acquisito all’età di 4 anni e 6 mesi; secondo il DSM-IV: -ripetuta emissione di urina nel letto o nei vestiti sia involontariamente che intenzionalmente; -frequenza di 2 volte alla settimana per almeno 3 mesi consecutivi; -disagio clinicamente testato, compromissione dell’area sociale, scolastica, lavorativa, o altro; -età cronologica di almeno 5 anni. L’enuresi può essere diurna, notturna o mista; e primaria, quando è un prolungamento dell’incontinenza infantile, dunque quando il controllo non è ancora stato appreso; o secondaria,dopo che il controllo è stato acquisito e mantenuto per almeno 6 mesi consecutivi; ENCOPRESI E’ la volontaria o involontaria evacuazione di feci in luoghi inadeguati, con frequenza variabile di una volta al mese per almeno tre mesi consecutivi, in un bambino con più di 4 anni d’età; secondo il DSM-IV: -ripetuta evacuazione di feci in luoghi inappropriati, sia involontariamente che intenzionalmente; -una volta al mese per almeno 3 mesi consecutivi; -età cronologica di almeno 4 anni. L’encopresi viene distinto in una forma primaria, secondaria e con o senza costipazione(stitichezza) e incontinenza da sovra riempimento, il tipo con costipazione e incontinenza da sovra riempimento si accompagna a dolori addominali; nel tipo senza costipazione e incontinenza da sovra riempimento le feci sono normali ma i soggetti tendono a defecare in luoghi inappropriati. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 119 di 167 118. Epidemiologia, eziologia e trattamento dei disturbi di evacuazione L’enuresi diurna è presente nel 12% dei bambini tra 11 e 12 anni e nel 3% dei ragazzi tra 15 e 16 anni; La prevalenza è nell’età scolare; e l’enuresi primaria risulta più frequente di quella secondaria con una differenza legata al sesso: l’enuresi primaria è più frequente nei maschi e l’enuresi secondaria è più frequente nelle femmine. EZIOLOGIA DEI DISTURBI DI EVACUAZIONE La fisiologia della minzione coinvolge il sistema nervoso autonomo, i reni e la vescica che consentono l’alternanza di lunghe e lente fasi di riempimento e brevi fasi di svuotamento:la vescica riceve circa 50ml/ora di urina, quando il riempimento corrisponde a 150-200ml compaiono i primi stimoli a mingere, superati i 250ml inizia la fase di svuotamento che non è più controllato al di sopra dei 700ml di urina. Le ipotesi eziologiche sono varie: -disturbi del sonno:secondo tale ipotesi, l’enuresi è un disordine dell’arousal: tali bambini riescono a controllare l’emissione di urina durante il giorno, ma non la notte; gli episodi possono verificarsi in tutte le fasi del sonno; -capacità funzionale della vescica o FBC:corrisponde al volume dell’urina rilasciata dopo che il bambino ha trattenuto l’urina il più a lungo possibile; -secrezione ADH(ormone antidiuretico):deficit del picco notturno di ADH e alterazione del suo ritmo circadiano, che nel soggetto normale abbassa la produzione di urina durante la notte della metà rispetto all’urina durante il giorno; nei bambini con enuresi vi è una minore produzione di tale ormone e dunque un accumulo eccessivo di urine nei reni. Il controllo delle feci è legato al corretto funzionamento dell’apparato anale-sfinterico e anche all’attribuzione del segnale per un adeguato comportamento sociale. TRATTAMENTO DEI DISTURBI DI EVACUAZIONE -farmacologico,come antidepressivi triciclici, farmaci antidiuretici e farmaci anticolinergici per l’instabilità vescicale; -comportamentale, in associazione più o meno ai farmaci,come ad esempio un dispositivo acustico che rileva la presenza di poche gocce di urina nella biancheria emettendo un suono acustico che sveglia il bambino. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 120 di 167 119. Disturbi pervasivi dello sviluppo Fanno parte dei disturbi pervasivi dello sviluppo (DPS) i disturbi dello spettro autistico, tra i quali l’autismo e le sindrome ad esso correlate. Kanner ci fornì una prima descrizione dell’autismo che si è progressivamente arricchita ed alla luce di successive ricerche alcune sue osservazioni si sono rilevate inesatte, anche se “la chiusura relazionale, le difficoltà sociali, le scarse competenze comunicative e gli interessi ristretti” originariamente da lui descritti sono le caratteristiche principali di questi disturbi anche attualmente. L’attuale classificazione del DSM-IV riguardo i disturbi pervasivi dello sviluppo ha sostituito le precedenti definizioni: -autismo; -sindrome di Rett; -disturbo disintegrativo della fanciullezza; -disturbo di Asperger; -disturbo pervasivo dello sviluppo non altrimenti specificato. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 121 di 167 120. Autismo E’caratterizzato dall’alterazione della reciprocità sociale e della capacità comunicativa e dalla presenza di comportamenti ripetitivi e stereotipati. Le manifestazioni si osservano entro i 3 anni, solitamente insorgono nel secondo anno, con disfunzioni e regressioni dello sviluppo evidenti dal primo anno; il sesso maschile è più interessato rispetto a quello femminile con un rapporto di 4:1. -ANOMALIE DELLO SVILUPPO SOCIALE E RELAZIONALE: è presente una scarsa interazione sociale del bambino e la tendenza ad isolarsi dall’ambiente; i comportamenti affettivi ed emotivi sono scarsi sia nei confronti della famiglia che nei confronti di sconosciuti; persino l’attaccamento alla madre pur essendo presente, risulta instabile e frammentario, verso i 5/6 anni diviene più stabile ed intenso; lo sguardo è raramente rivolto all’interlocutore e la ricerca spontanea dei coetanei è molto scarsa,se non assente,sia dal punto di vista relazionale-affettivo che dal punto di vista ludico; prediligono la solitudine; hanno difficoltà nel comprendere le emozioni, le intenzioni ed i sentimenti altrui, nell’interpretare il punto di vista altrui; hanno una ridotta capacità imitativa ed hanno difficoltà nel comprendere i messaggi non verbali ed impliciti della comunicazione; vi sono anomalie anche dello sviluppo cognitivo ed emotivo, avendo come riferimento “la teoria della mente”, secondo cui sarebbe presente una specifica difficoltà nel comprendere ed interpretare il modo di pensare altrui, dunque un’incapacità di comprendere gli stati mentali; -ALTERAZIONI DEL LINGUAGGIO E DELLA COMUNICAZIONE NON VERBALE: la produzione verbale è deficitaria, la comprensione verbale inadeguata, il ritmo di acquisizione è lento, il patrimonio lessicale limitato; manca loro anche l’intenzione comunicativa; sono frequenti le ecolalie immediate o successive; sono incapaci nell’usare le metafore e gli enunciato astratti e a comprenderne il significato; queste alterazioni verbali però non sono compensate da gesti o mimica; il gioco simbolico e di finzione è assente; -ATTIVITA’ STEREOTIPATE E COMPORTAMENTI RIPETITIVI: tali bambini presentano spesso comportamenti auto aggressivi e auto lesivi, si picchiano e si mordono provocandosi ferite e lesioni; spesso gli oggetti vengono usati per la ricerca di proprietà sensoriali: vengono annusati o portati alla bocca per sentirne il sapore o osservati lentamente; tendono a mantenere rigidamente abitudini di vita che diventano rituali: seguire sempre lo stesso percorso per raggiungere un luogo, vestire sempre con gli stessi abiti, con una disposizione fissa degli oggetti ed un’alimentazione selettiva e ristretta per alcuni cibi, vi è dunque una resistenza al cambiamento; -FATTORI GENETICI: si ha una familiarità abbastanza elevata: il 2/3 % dei fratelli ne risulta affetto, un’altra piccola percentuale presenta problemi di linguaggio; nei gemelli monozigoti vi è una concordanza nel 60% dei casi, mentre nei gemelli dizigoti nel 6%; inoltre i genitori di bambini autistici presentano anomalie psicologiche e neuropsicologiche, deficit delle funzioni esecutive, disturbi del linguaggio, evitamento o rigidità sociale. -FATTORI MEDICI: sclerosi tuberosa e sindrome della X fragile, altre anomalie cerebrali quali ipoplasia del cervelletto e un aumento del volume del quarto ventricolo; l’epilessia è un problema abbastanza comune. -LIVELLO INTELLETTIVO: QI al di sotto di 70 nel 70% dei casi e al di sotto di50 nel 50% dei casi. -VALUTAZIONE DIAGNOSTICA: è importante una valutazione clinica nei tre ambiti disfunzionali: sviluppo sociale, competenze comunicative e del linguaggio, interessi ristretti e comportamenti ripetitivi. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 122 di 167 121. Sindrome di Rett Inizia a manifestarsi con una regressione dello sviluppo tra il I e il II anno di vita e interessa quasi esclusivamente il sesso femminile; ha una base genetica dimostrabile circa nell’80% dei casi; è caratterizzata dalla riduzione dell’accrescimento della circonferenza cranica, dalla perdita del linguaggio e delle prassie manuali. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 123 di 167 122. Disturbo disintegrativo dell’infanzia Ha esordio tardivo, tra i 3 e gli 8 anni, in bambini che in precedenza avevano presentato uno sviluppo normale, si verifica dunque una regressione cognitiva e del linguaggio e delle abilità precedentemente acquisite. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 124 di 167 123. Disturbo di asperger Ha come peculiarità l’assenza di ritardo cognitivo e uno sviluppo linguistico adeguato; essa è stata introdotta nella classificazione nosografica recentemente, infatti in precedenza veniva considerata insieme all’autismo ad alto funzionamento e/o disturbi pervasivi non altrimenti specificati; è più frequente nei maschi rispetto alle femmine con un rapporto 4:1, presentano una limitata disponibilità all’interazione sociale, isolamento, scarsa empatia, che iniziano a manifestarsi dal III anno in bambini che hanno espresso un buon livello di sviluppo cognitivo; il linguaggio è adeguato all’età sia sul versante espressivo che recettivo, le competenze pragmatiche sono alterate, la prosodia e il tono sono monotoni, il ritmo della conversazione non rispettato; le relazioni con i coetanei sono frammentarie e superficiali; mostrano poco interesse al rapporto diretto e collaborativo, sia con i coetanei che con gli adulti. Tuttora non è stabilito se differisca sostanzialmente dall’autismo ad alto funzionamento: non sono state ancora delineate le differenze cliniche che permettono una netta separazione:in entrambi i casi infatti predominano le difficoltà sociali in contrasto con uno sviluppo generale più congruo all’età cronologica, nella sindrome di Asperger ci sono maggiori difficoltà di apprendimento non verbale come elemento distintivo. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 125 di 167 124. Disturbo pervasivo dello sviluppo non altrimenti specializzato Questa definizione raccoglie quei casi che non soddisfano i criteri diagnostici della classificazione attuale, ma che sono da considerarsi nello spettro autistico e che in precedenza venivano definiti autismo atipico. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 126 di 167 125. Terapia e prognosi dei disturbi pervasivi dello sviluppo Gli obiettivi principali dell’intervento terapeutico sono: -sollecitare l’interazione sociale, la comunicazione verbale e non verbale, le tappe di acquisizione di sviluppo; -ridurre le componenti ripetitive e stereotipate; -contrastare i comportamenti disadattavi; -sostenere e guidare la famiglia. Dunque stimolare la comunicazione in tutte le sue componenti verbali, gestuali, mediante immagini, allo scopo di affrontare i deficit di base dell’autismo; per controllare alcuni aspetti sintomatici vi sono terapie farmacologiche; la farmacoterapia ha dei sintomi bersaglio suddivisi secondo l’età -età prescolare, iperattività, comportamenti auto aggressivi, crisi di ansia; -età scolare, oltre ai precedenti, si aggiungono disturbi ossessivi e reazioni depressive; -età adolescenziale, aggressività e crisi di agitazione psicomotoria; tra i farmaci più usati ci sono i: -neurolettici atipici per contrastare l’aggressività, i movimenti ripetitivi e i tic; -inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina per attenuare i tratti ossessivi e depressivi; -antiepilettici stabilizzatori dell’umore per controllare l’agitazione e l’irrequietezza. PROGNOSI DEI DISTURBI PERVASIVI DELLO SVILUPPO Circa i due terzi, rimane in una condizione di dipendenza e di necessità di assistenza continuativa, solo il 10% raggiunge l’autonomia sociale; l’assenza di linguaggio permane nel 50% dei casi; le capacità sociale solitamente migliorano, si attenuano i tratti di isolamento, l’evitamento visivo diminuisce, l’iniziativa aumenta. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 127 di 167 126. Disturbi specifici del linguaggio I disturbi del linguaggio rappresentano molto spesso i “precursori” di un disturbo specifico di apprendimento. Le difficoltà del linguaggio possono essere suddivise principalmente in: -disturbi specifici o primari del linguaggio; -disturbi strumentali, quali sordità, disartria(alterazione delle parole), ipoacusia (diminuzione della capacità uditiva); -disturbi di integrazione, quali ritardo mentale, ritardo psicomotorio; -disturbi acquisiti, quali sordità acquisita, afasia acquisita. Essi presentano un’insorgenza spontanea nella prima/seconda infanzia con un decorso continuo, senza remissioni o recidive, anche se si realizza nella quasi totalità dei casi un miglioramento nel tempo tanto da avere nell’età adulta solo un lieve residuo. Il DSM-IV classifica i DISTURBI SPECIFICI DEL LINGUAGGIO come disturbi primari dello sviluppo linguistico non associati a difficoltà dello sviluppo cognitivo e relazionale, a patologie neuromotorie o neurosensoriali, a deprivazione o ad ipostimolazione sociale. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 128 di 167 127. Eziologia dei disturbi specifi del linguaggio Essa ancora non è del tutto chiara, le ipotesi prevalenti sono multifattoriali ed implicano fattori neurobiologici, psicologici ed ambientali. Vengono ritenute all’origine dei DSL: -patologie perinatali(basso peso alla nascita, asfissia neonatale,ecc); -ricorrenti episodi di otite con conseguenti oscillazioni nella percezione e nella decodifica di stimoli uditivi; -inadeguatezza della stimolazione linguistica; -patologie dello sviluppo(epilessia, ritardo motorio,ecc); -anomalie della dominanza cerebrale(mancinismo, instabilità della lateralizzazione,ecc). Numerosi dati suggeriscono un’interferenza nello sviluppo e nelle funzionalità dell’emisfero cerebrale sinistro, in particolare dell’area di Wernicke e dell’area di Broca correlate rispettivamente con la comprensione e la produzione del linguaggio. Interessante è il fatto che i disturbi sono distribuiti in modo disomogeneo nelle famiglie con soggetti affetti, ed in particolare i familiari con soggetti femmine affette da disturbi di linguaggio sono esposti ad un rischio maggiore, forse per la più alta soglia di espressività del disturbo per le femmine. In più concorrono all’espressione di un disturbo del linguaggio fattori culturali/ambientali e genetici; al contrario lo stato socioeconomico e il substrato culturale sembrano non concorrere. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 129 di 167 128. Nosografia dei disturbi specifi del linguaggio Il DSM-IV e l’ICD-10 propongono la seguente classificazione: -DISTURBI DELLA VOCE E DELLA PAROLA o FONETICI, con un’alterazione della componente fonetica, dunque articolatoria, tra i quali: balbuzie,disartria e disfonia ; -DISTURBI DEL LINGUAGGIO o FONOLOGICI, con un’alterazione della componente simbolica, tra i quali: disturbi primitivi o specifici del linguaggio, in cui non è riconoscibile una causa apparente; spesso sono denominati DISFASIE EVOLUTIVE e si riferiscono a quei disturbi linguistici, in assenza di deficit cognitivi, sensoriali, motori, affettivi o di carenze socio-ambientali importa tanti; e disturbi secondari con una causa chiaramente riconoscibile. I sintomi di un disturbo del linguaggio emergono tra il primo e il terzo anno di vita. Secondo la classificazione del DSM-IV abbiamo: -disturbo dell’espressione del linguaggio, che si evidenzia intorno ai 18 mesi, perché il bambino continua a comunicare con strumenti preverbali, mentre il repertorio verbale rimane limitato se non addirittura assente; si ha anche un lieve ritardo motorio; successivamente si hanno difficoltà nell’organizzazione narrativa e nell’espressione verbale di pensieri astratti e stati affettivi;il bambino nei test mostra un QIP al di sotto di 70; le competenze linguistiche sono al di sotto di 2 DS dalla media, le competenze non verbali 1DS e la capacità di comprensione entro il limite di 2DS per l’età. La maggior parte dei bambini è verso la tarda adolescenza che acquisiscono una competenza linguistica quasi normale. -disturbo della comprensione del linguaggio (ICD-10) o misto dell’espressione e della comprensione del linguaggio (DSM-IV), l’eziologia è tuttora ignota,ma sono state ipotizzate cause come danno cerebrale, disfunzioni percettive e fattori genetici; tali bambini hanno un’acquisizione del linguaggio molto lenta con alterazioni della struttura fonologica, morfosintattica semantica, narrativa, nella produzione e nella comprensione verbale. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 130 di 167 129. Diagnosi dei disturbi specifi del linguaggio Una buona diagnosi si fonda su un processo multi assiale, che distingue varie competenze prelinguistiche: -sensomotorie; -prattognosiche; -simboliche; -pragmatico-comunicative; -interattive; sono poi necessari dati su: -l’anamnesi familiare; -l’anamnesi ambientale; -l’anamnesi patologica specifica; -la valutazione medica; il livello di sviluppo e il profilo cognitivo; -il livello neuro psicomotorio-neuropsicologico; -organizzazione affettivo-comportamentale; ed infine è necessario valutare l’organizzazione interna del disturbo, attraverso: -la somministrazione di prove neurolinguistiche; -l’esame degli automatismi e delle prassie orali; -l’esame delle capacità percettive e gnostiche uditive. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 131 di 167 130. Disturbo d’adattamento Consiste in sintomi emotivi o comportamentali in risposta ad uno o più fattori stressanti entro 3 mesi dall’insorgenza del fattore scatenante e che perdura per oltre 6 mesi, con una compromissione sociale e lavorativa o scolastica. E’ stato riscontrato che i ragazzi hanno più problemi di adattamento rispetto alle ragazze, dunque il sesso maschile ne è più soggetto rispetto al sesso femminile. I fattori di rischio sono: sesso, età, status sociale, condizione economica, la non coesione familiare. EZIOLOGIA DEL DISTURBO D’ADATTAMENTO L’adattamento è un processo naturale del bambino, in quanto si trova costretto ad affrontare cambiamenti propri della crescita e dunque adattarsi psicologicamente a questi; qualora l’adattamento o il riadattamento, in seguito ad esempio ad abuso sessuale, lutto, malattia grave, risulti difficile o non viene portato a termine allora si avrà un disturbo dell’adattamento. I bambino, rispetto agli adolescenti e agli adulti, sono più vulnerabili in tal senso, poiché non riescono a comprendere pienamente l’accaduto. Esso prevale negli immigrati, che hanno problemi di internalizzazione ed esternalizzazione legati ai repentini cambiamenti; difficoltà della lingua, della cultura, basso status sociale ed economico. TRATTAMENTO DEL DISTURBO D’ADATTAMENTO E’ utile la psicoterapia per comprendere ciò che accaduto e affrontare l’evento nella giusta prospettiva ; è d’aiuto anche la terapia familiare in cui si lavora sulle dinamiche familiari e la terapia di gruppo per confrontarsi con persone che hanno problemi analoghi, dare sfogo alle proprie emozioni e di conseguenza sentirsi meglio e meno isolate. La terapia farmacologica non è considerata molto efficace con tale disturbo, tranne per quel che riguarda l’uso degli ansiolitici. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 132 di 167 131. Disturbo postraumatico da stress Esso rientra nell’ambito dei disturbi d’ansia. E’ noto come l’esposizione ad uno stress estremo possa causare profondi e duraturi cambiamenti a livello cognitivo, emotivo e comportamentale; infatti per DISTURBO POSTRAUMATICO DA STRESS si intende un disturbo che insorge in seguito l’esposizione diretta o indiretta ad eventi traumatici estremi che mettono in repentaglio la propria o l’altrui incolumità. In passato si riteneva, fosse un disturbo riguardante solo l’età adulta, oggi invece viene riconosciuto anche nell’età evolutiva e i bambini abusati sessualmente sono quelli che ne presentano maggiore prevalenza. I criteri diagnostici utilizzati dal DSM-IV e dall’ICD-10 sono molto simili per l’identificazione di uno stimolo minaccioso necessario per l’esordio del disturbo, ma differiscono nella formulazione della diagnosi, infatti: -l’ICD-10 lo colloca nelle sindromi nevrotiche, definendolo come “una risposta ritardata e/o protratta ad un evento stressante in grado di provocare malessere diffuso in quasi tutte le persone”; -il DSM-IV lo colloca, invece, tra i disturbi d’ansia, definendolo come “ una risposta caratterizzata da una paura intensa, da sentimenti di impotenza o di orrore in seguito ad un evento direttamente e/o indirettamente stressante”; -nell’ ICD-10 il disturbo deve insorgere entro 6 mesi dall’evento; -per il DSM-IV, invece, i sintomi devono comparire entro 3 mesi dal trauma e devono essere presenti per più di un mese; i sintomi che invece si manifestano immediatamente dopo il trauma e che durano meno di un mese non soddisfano i criteri del disturbo postraumatico da stress, ma quelli per la diagnosi di DISTURBO ACUTO DA STRESS. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 133 di 167 132. Sintomatologia del disturbo postraumatico da stress I sintomi necessari per il DSM-IV sono raggruppate in 3 categorie: 1)la risperimentazione del trauma che include ricordi spiacevoli ed incubi notturni; 2)l’evitamento degli stimoli che ricordano il trauma; 3)l’attenuazione, ovvero sentimenti di distacco emozionale o estraniamento dagli altri; infine è presente un aumento dell’arousal, dunque irritabilità, ipervigilanza difficoltà nel sonno e nella concentrazione ed esagerate risposte d’allarme. Il DSM-IV, inoltre, lo distingue in: -acuto, se la durata dei sintomi è inferiore ai 3 mesi; -cronico, se i sintomi persistono per più di 3 mesi; -ad esordio tardivo, se i sintomi si manifestano dopo 6 mesi dal trauma. Ma a seconda delle diverse fasce d’età, abbiamo diverse manifestazione sintomatologiche: 1)nei bambini piccoli, abbiamo comportamenti iperattivo, ritardo dello sviluppo motorio e del linguaggio, giochi ripetitivi, manifestazioni di paura, paure specifiche, crisi di pianto, incubi e sogni angosciosi; 2)nei bambini in età prescolare, abbiamo comportamento oppositivo-compulsivo, regressivo e sentimenti di colpa; 3)negli adolescenti, abbiamo sintomi depressivi, ansia ed alterazioni emotive che sfociano in comportamenti antisociali, abuso di sostanze e disturbi alimentari, pensieri suicidari. Tuttavia, sia nei bambini piccoli che negli adolescenti emergono caratteristiche comuni, quali: sfiducia negli adulti, meccanismi di difesa quali negazione, isolamento affettivo e dissociazione. Per quanto riguarda i fattori protettivi e i fattori di rischio, abbiamo una suddivisione in: 1)caratteristiche proprie della situazione traumatica come: il tipo di trauma, il livello di esposizione ad esso, la durata, la frequenza, ecc; 2)caratteristiche proprie dell’individuo come: sesso, età, temperamento, etnia, storia personale, QI, ecc; 3)caratteristiche proprie della famiglia come: storia familiare, funzionamento psicologico dei genitori, sostegno familiare e reazioni dei genitori al trauma; 4)fattori sociali come: status socioeconomico, livello assistenziale e rete sociale. Dunque, fattori protettivi: sostegno familiare e sociale; fattori di rischio: prossimità fisica all’evento stressante, coinvolgimento emozionale, sesso femminile, scarsa autostima, disturbi mentali, separazione dai genitori prima dei 10 anni di età; individuare a tempo debito tali fattori determinerà una diagnosi a breve, medio e lungo termine. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 134 di 167 133. Comorbidità e diagnosi del disturbo postraumatico da stress I disturbi ad esso associati possono precedere, seguire o emergere in concomitanza col disturbo postraumatico da stress: -in bambini piccoli: ADHD e disturbo d’ansia da separazione; -negli adolescenti: disturbo oppositivo-provocatorio, disturbo della condotta, depressione, disturbo da uso di sostanze ed alcolismo, disturbo alimentari, psicosi, disturbi della sfera sessuale, fobia sociale. DIAGNOSI Sono usati i colloqui con i genitori, in cui si raccolgono informazioni amnesiche riguardanti il bambino prima del trauma e i cambiamenti avvenuti dopo il trauma; colloqui con il bambino/adolescente, in cui li si incoraggia a esprimere i propri sentimenti, attraverso il gioco, il disegno, il racconto; strumenti di valutazione standardizzato come interviste semistrutturate e strutturate e questionari self-report. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 135 di 167 134. L’epilessia e i disturbi neuropsichiatrici I bambini con epilessia e vario grado di compromissione neurologica hanno un rischio due volte superiore di sviluppare disturbi neuropsichiatrici aggiuntivi rispetto ai coetanei con crisi parziali semplici senza altri disturbi neurologici. I disturbi associati all’epilessia: 1)ADHD, disturbo da deficit di attenzione ed iperattività: è il disturbo neuropsichiatrico più frequentemente associato all’epilessia. A differenza dell’ADHD classico non sono maggiormente interessati i maschi, ma ambedue i sessi in misura uguale e quando l’ADHD è in associazione con l’epilessia prevalgono solo le forme con disturbi dell’attenzione. Sono stati descritte alterazioni dell’attenzione verbale, uditiva, visiva, disturbi nella pro cessazione delle informazioni e nella capacità di elaborazione sequenziale; 2)DEPRESSIONE, la comorbidità tra epilessia e depressione è piuttosto comune, la domanda più comune è se le crisi depressive siano ad insorgenza autonoma o scaturiscono dalle crisi epilettiche: il problema rimane irrisolto! Ciò che non sembra in relazione con disturbi depressivi sono l’epoca di insorgenza delle crisi, il tipo delle crisi e soprattutto le anomalie EEG che si evidenziano; al contrario, ciò che sembra in relazione con la comorbidità depressiva sono la frequenza delle crisi, la durata e la ricorrenza della malattia. I farmaci antiepilettici possono determinare disturbi depressivi; in questo ambito è da ricordare la “normalizzazione forzata”, ovvero una reazione alla sensibilità (idiosincrisica) agli antiepilettici che può causare disturbi psichiatrici, tra cui reazioni depressive. I sintomi quali manifestazioni di rabbia, calo del rendimento scolastico, iperattività ed irrequietezza sono presenti sia nella depressione classica che nella comorbidità, insieme a sintomi somatici di vario tipo come disturbi del sonno, nausea, dolori addominali e cefalea; A seconda del quadro clinico individuale sono attuati sostegno psicoeducativo, psicoterapia, farmacoterapia con monitoraggio della terapia antiepilettica; 3)DISTURBI D’ANSIA, sono altrettanto frequenti in associazione all’epilessia; il sesso non ha un ruolo rilevante al contrario dell’età, infatti l’ansia è maggiormente frequente in età evolutiva. Fattori influenti per tale comorbidità possono essere le reazioni dei genitori alle crisi epilettiche che causano disagio principalmente nei bambini, ò’insuccesso scolastico e le difficoltà di apprendimento contribuiscono ad aggravare il quadro; 4)AUTISMO, il ritardo mentale e il danno cerebrale diagnosticabile sono i due fattori principali di rischio per la comparsi di crisi epilettiche nell’autismo;le crisi epilettiche hanno due picchi, nell’infanzia e nell’adolescenza, esse possono essere parziali o generalizzate; il trattamento non differisce dall’epilessia normale. L’autismo si associa con maggiore frequenza alla sclerosi tuberosa e alla sindrome di Rett; 5)PSICOSI, si associano piuttosto raramente con l’epilessia in età evolutiva; i disturbi psicotici nell’epilessia possono essere: -ictali o perictali, ovvero disturbi psicotici che avvengono in coincidenza o in prossimità con la crisi epilettica; le psicosi perictali si caratterizzano per la presenza di disturbi dello stato di coscienza con ridotta vigilanza o per la presenza di disturbi dell’umore poco tempo dopo, alcune ore o il giorno dopo la crisi Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 136 di 167 epilettica. -intercritici, ovvero fenomeni indipendenti dall’episodio critico; le psicosi interictali compaiono di solito con una latenza di molti anni dall’esordio dell’epilessia e quindi in età adulta. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 137 di 167 135. Trattamento dell’epilessia L’intervento psicoeducativo è necessario per avviare i genitori ad una corretta informazione riguardo all’epilessia, alla variabilità delle crisi e alle indicazione su come intervenire. il tipo e le modalità variano in funzione del singolo caso. IL DISTURBO OSSESSIVO-COMPULSIVO Il disturbo ossessivo-compulsivo (DOC)viene spesso chiamato “disturbo nascosto”, in ragione del fatto che nella maggior parte dei casi chi ne soffre lo tiene nascosto; a tutt’oggi risulta difficile riconoscere di aver bisogno di aiuto, identificare il disturbo e trattarlo farmacologicamente e psicologicamente. Si parla di “rituali cognitivi”, intendendo quegli atti mentali che hanno il fine di distrarre la mente da pensieri angoscianti. Il DSM-IV definisce: -le ossessioni, come pensieri,impulsi o immagini involontari, intrusivi e ricorrenti che provocano un’elevata ansietà; -le compulsioni, come comportamenti o atti mentali volontari e ripetitivi che cercano di distrarre l’attenzione dall’ossessione o diminuire l’ansietà che essa provoca. Potremmo, dunque, definire un pensiero “ossessione” se provoca angoscia o “compulsione” se la riduce. Vi è poi una classificazione del DOC, secondo un continuum del controllo degli impulsi: -estremo compulsivo:il soggetto ha il controllo comportamentale, ansia anticipata, elusione del rischio e del danno massimi nel soggetto; -estremo impulsivo: il soggetto ha il minimo controllo e si cerca il rischio senza ansia anticipata. Questo continuum viene denominato “spettro ossessivo-compulsivo”. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 138 di 167 136. Epidemiologia del DOC Le femmine presentano più ossessioni, e gli uomini più compulsioni. Si calcola che l’età media di richiesta di aiuto è di 25 anni; si giunge a diagnosticare correttamente il disturbo intorno ai 30 anni di età e due anni più tardi si è elaborato un suo trattamento adeguato. L’età media di inizio è verso i 10 anni, anche se altri lo collocano intorno ai 15 anni, e molto raramente prima dei 7 anni. per i maschi l’età media di inizio è 6/15 anni, mentre per le femmine 20/29 anni; inoltre, nei maschi l’esordio sembra essere nell’età prepuberale. La proporzione per sessi è di 2:1 per gli uomini rispetto alle donne. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 139 di 167 137. Eziologia del DOC Le diverse scuole psicologiche hanno fornito diverse spiegazioni sull’origine del DOC: -la corrente psicoanalista sostiene che si tratta di un conflitto non risolto della fase anale, che si può curare solo con un trattamento psicoterapeutico orientato all’insight ed alla comprensione psicodinamica; -la corrente cognitiva spiega il mantenimento dei sintomi, ma non la sua eziologia; il sistema cibernetico considera il DOC come la conseguenza di un errore nei sistemi di regolazione dei processi di eccitazione ed inibizione; il modello neuro comportamentale lo spiega attraverso 4 ipotesi: 1)ipotesi serotoninergica:implicazione della serotonina; 2)ipotesi genetica:alta prevalenza familiare e vulnerabilità biologica maggiore nei maschi; 3)ipotesi strutturale: l’EEG dimostra che questi pazienti hanno anomalie elettroencefalografiche a livello temporale; i potenziali evocati dimostrano l’iperattività corticale; la RM conferma l’implicazione dei gangli della base; 4)ipotesi autoimmune: infezioni da streptococco possono scatenare sintomi ossessivi producendo anticorpi contro le strutture dei gangli della base. Autori parlano di un circuito implicato nel DOC, costituito da corteccia orbito frontale, striato, talamo e corteccia cingolata. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 140 di 167 138. Diagnosi e trattamento del DOC Il DOC infantile si differenzia da quello adulto per alcune caratteristiche, quali: -il bambino cerca di coinvolgere il genitore nei suoi rituali, richiedendo ripetutamente il loro intervento affinché essi risolvano i suoi frequenti dubbi; -il bambino ha somatizzazioni, abbandona attività sportive o sociali, ha problemi di concentrazione e di applicazione nello studio e problemi di autostima; -nel bambino ossessioni e compulsioni coesistono, sono rari i casi in cui si presentano isolatamente: le compulsioni più frequenti nei bambini sono le verifiche, le ripetizioni e la pulizia, invece le ossessioni sono idee riguardanti la morte dei genitori o di un familiare; -le ossessioni e le compulsioni non sono considerate dai bambini irrazionali. Il DOC deve essere distinto da: depressione maggiore; fobie; disturbo d’ansia generalizzato; tic e movimenti stereotipati; disturbi alimentari; dipendenze; abuso di sostanze; disturbo ossessivo compulsivo della personalità; superstizione e comportamenti ripetitivi di auto conferma. PROGNOSI DEL DOC I maschi sembrano manifestare i sintomi del DOC prima rispetto alle femmine; nelle donne prevalgono le ossessioni di contaminazione e le compulsioni di lavaggio e pulizia; nei maschi le ossessioni sessuali e i rituali di ripetizione. TRATTAMENTO Attualmente la terapia più utilizzata nel DOC con esordio in età evolutiva è quella farmacologica combinata con quella cognitivo-comportamentale o familiare che prevede l’esposizione a situazioni ansiogene e di anticipazione della risposta da completare con terapie di rilassamento muscolare. La risposta del DOC infantile ai farmaci è lenta, i primi risultati si hanno dopo almeno 6 mesi dall’inizio del trattamento farmacologico. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 141 di 167 139. Fattori di rischio e fattori protettivi del DOC Sono da considerare influenti gli stili educativi dei genitori ed i rapporti familiari, le situazioni stressanti, l’ambiente sociale e culturale, l’ambiente fisico e il disturbo psichiatrico degli stessi genitori. Si considerano fattori positivi: l’assenza di disturbi di personalità e della condotta, la buona risposta alla farmacoterapia, un contesto familiare tranquillizzante ed infine il fatto che il paziente sia cosciente della non-logica delle sue ossessioni. I fattori di rischio, invece, sono la scarsa motivazione nei confronti del trattamento farmacologico e psicologico e il consumo di sostanze come alcool e barbiturici. Bisogna evitare le tensioni familiari, scolastiche o sentimentali estreme che possono rendere il paziente maggiormente vulnerabile; applicare le tecniche psicologiche apprese a tutte le situazioni che il soggetto vuole evitare o temeva per non ricorrere di nuovo nelle ossessioni o compulsioni; continuare a praticarle. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 142 di 167 140. Le epilessie Sono caratterizzate dal ripetersi di manifestazioni involontarie,impreviste ed imprevedibili che interessano le funzioni motorie, sensitivo-sensoriali e psichiche, costituite anche da perdita di coscienza presente sin dall’inizio della crisi o comparire nel suo evolversi. La crisi epilettica è una scarica improvvisa,rapida ed eccessiva di una popolazione di neuroni che fanno parte della sostanza grigia dell’encefalo, i neuroni coinvolti nella scarica formano il cosiddetto FOCOLAIO EPILETTOGENO. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 143 di 167 141. Epidemiologia e eziopatogenesi dell’epilessia Circa il 75-80% dei casi di epilessia si origina entro i 20 anni di età e tra questi circa il 15% ha inizio nel primo anno di vita e il 33% nei primi 5 anni di vita! L’analisi dell’EEG evidenzia uno spostamento di depolarizzazione parossistico(PDS)del potenziale di membrana a riposo, che attiva una breve scarica di potenziali d’azione che terminano con un’iperpolarizzazione postuma costante;tale PDS può essere il risultato di uno squilibrio tra neurotrasmettitori eccitatori ed inibitori o di un’anormalità dei canali ionici di membrana voltaggiodipendenti. Dato che attualmente distinguiamo tra due categorie di epilessie, FOCALE e GENERALIZZATA, si ritiene che --l’inizio dell’EPILETTOGENESI FOCALE sia diverso dall’inizio dell’EPILETTOGENESI GENERALIZZATA: il primo si pensa sia dovuto ad uno squilibrio dei neuro modulatori endogeni,dove l’acetilcolina favorisce la depolarizzazione e la dopamina potenzia la stabilità della membrana neuronale, dunque nelle epilessie focali,che una volta venivano classificate come epilessie parziali,l’inizio delle crisi è dovuto alla perdita dell’inibizione postsinaptica mediata dal GABA,infatti numerosi farmaci antiepilettici non fanno altro che invece potenziare l’inibizione mediata dal GABA; ma il PDS può essere dovuto anche ad un’anormalità dei canali ionici di membrana voltaggio-dipendenti,in questo senso importante si pensa sia il ruolo nell’epilessia dell’ NMDA,la cui stimolazione provoca un flusso cationico intracellulare,in particolare del calcio,con una rapida depolarizzazione ed un firing ripetitivo costante,infatti numerosi farmaci antiepilettici agiscono mediante modulazione voltaggio-dipendente dei canali del sodio; -l’inizio dell’EPILETTOGENESI GENERALIZZATA è mediata dai canali T del calcio che sono attivati da soglie a voltaggio BASSO dopo depolarizzazione continuata,questa corrente di calcio a bassa soglia induce i ritmi talamici lenti che si osservano nelle CRISI TONICO-CLONICHE GENERALIZZATE e da ASSENZA. Dal punto di vista clinico e inerente all’eziologia si è soliti suddividere le epilessie in tre famiglie: - sintomatiche:sono quelle epilessie la cui causa è riscontrabile anatomicamente in una LESIONE PARENCHIMALE, dovuta a lesioni pre-perinatali,malattie cerebrovascolari,traumi cranici,malattie infiammatorie o patologia degenerative,come ad esempio il morbo d’Alzheimer; - genetiche o idiopatiche: sono quelle epilessie che compaiono in ragazzi che non hanno avuto un ipotetico antecedente lesionale e che hanno uno sviluppo psicomotorio e una funzionalità neurologica normale; -criptogenetiche:sono quelle epilessie che si presume siano dovute ad una lesione,ma ciò non si riesce a dimostrarlo tramite accertamenti diagnostici. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 144 di 167 142. Diagnosi dell’epilessia Innanzitutto il medico deve essere in grado di differenziare un reale episodio convulsivo da uno ipotetico dovuto ad un disturbo transitorio del sistema nervoso centrale; in più da solo l’EEG non può autorizzare una diagnosi epilettica,perché talvolta i parorrismi dell’EEG si possono registrare anche in soggetti normali o affetti da sonnambulismo,terrori notturni, emicrania,enuresi notturna,ecc. Una diagnosi differenziale ha quindi la sua importanza nell’indagine amnesica;quando l’EEG è in contrasto con l’anamnesi,la presenza o l’assenza di parossismi non consentono di affermare né di escludere la diagnosi di epilessia,invece un buon indicatore in tal senso è dato dalla coerenza tra l’EEG e l’anamnesi. E’ importante aver inquadrato bene la forma di epilessia prima di instaurare un certa terapia antiepilettica,poiché alcuni farmaci potrebbero essere addirittura convulsivanti se usati per la cura di una sindrome non coerente con il loro principio attivo. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 145 di 167 143. Epilessie parziali O focali, caratterizzate dal coinvolgimento di una parte ben localizzata della corteccia cerebrale,rimanendo così localizzato o espandendosi fino al coinvolgimento di entrambi gli emisferi; per quelle SINTOMATICHE è importante ascriverle in un determinato quadro clinico a seconda della sede della lesione,per quelle IDIOPATICHE la caratteristica più comune è la variabilità dei sintomi:si hanno manifestazioni diverse a seconda se compaiono in veglia o durante il sonno,in funzione dell’età e i parossismi dell’EEG tendono a spostarsi col passare del tempo;la forma di EPILESSIA PARZIALE IDIOPATICA più frequente è L’EPILESSIA ROLANDICA che ha l’esordio tra i 6 e i 10 anni in bambini senza alcun deficit e con uno sviluppo psicomotorio regolare,essa ha una remissione spontanea nell’adolescenza;poi abbiamo L’EPILESSIA BENIGNA che si differenzia dalla precedente per le “facies”(sguardo atterrito). Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 146 di 167 144. Epilessie generalizzate Caratterizzate da un coinvolgimento dell’intera corteccia cerebrale fin dal principio della crisi sono tutte ETA’-DIPENDENTI,ovvero si manifestano in un determinato periodo di vita;la forma DI EPILESSIA GENERALIZZATA più frequente è il PICCOLO MALE o EPILESSIA ASSENZA, rappresentata da un’improvvisa perdita di coscienza, tale sintomo porta alla distinzione di tre sindromi epilettiche, due idiopatiche(EPILESSIA ASSENZA DELL’INFANZIA e DELL’ADOLESCENTE) ed una sintomatica(EPILESSIA ASSENZA MIOCLONICA). Distinguiamo anche EPILESSIE SIA PARZIALI CHE GENERALIZZATE come la sindrome di LANDAUKLEFFNER, caratterizzata da afasia acquisita, agnosia uditiva e attacchi epilettici.Le epilessie idiopatiche sono tutte conseguenti ad una trasmissione genetica,quindi se in famiglia si ha un caso,il bambino è probabile che possa sviluppare la sindrome;per quanto riguarda le epilessie sintomatiche non si ha questa trasmissione genetica. Non è in alcun modo prevenire una sindrome epilettica, ma è possibile prevedere una situazione a rischio epilettico. PROGNOSI DELL’EPILESSIA le epilessie idiopatiche guariscono nell’età adolescenziale,al contrario delle epilessie sintomatiche caratterizzate da un danno alla corteccia cerebrale e in cui anche la sospensione dei farmaci o il controllo delle crisi risulta difficile. La maggior parte dei bambini epilettici mostra problemi comportamentali,come irrequietezza, inappetenza o bulimia, capricciosità, disturbi qualitativi o quantitativi del sonno, difficoltà relazionali o di apprendimento,ecc. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 147 di 167 145. Terapia dell’epilessia Bisogna evitare di puntare su politerapie o sull’uso di farmaci con molti principi attivi; la scelta del farmaco è un qualcosa di estremamente importante poiché un bambino ha un metabolismo,uno psichismo ed un fisico da un adulto,dunque un farmaco che per l’adulto è sedativo,per il bambino non potrebbe esserlo o addirittura avere un effetto contrapposto; -DIETA CHETOGENA: ad alto contenuto di grassi e a basso contenuto di proteine e carboidrati, per verificare l’efficacia di questo trattamento è necessario aspettare non meno di 6/8 settimane e deve avere una durata di un minimo di 18 mesi ed un massimo di 4 anni; -TERAPIA DIETETICA:che priva del latte vaccino e dei suoi derivati per almeno due mesi; -STIMOLAZIONE VAGALE:mediante uno stimolatore sottocutaneo ed un computer che regola la frequenza degli impulsi cerebrali; -TERAPIA CHIRURGICA: per asportare sottostanti lesioni che occupano spazio che producono le crisi(tumori cerebrali,ascessi cerebrali,granulomi,ematomi intracranici,ecc). CONVULSIONI FEBBRILI Circa il 5% dei bambini presentano tra i 18 mesi e i 4/5 anni di età almeno un episodio “convulsionale” dopo una brusca variazione termica(in aumento o in diminuzione) che può provocare la perdita di coscienza e un rilassamento o irrigidimento diffuso per pochi secondi o qualche minuto; è importante distinguere le convulsioni febbrili dalle convulsioni con febbre provocate dal un’ipertermia costante in soggetti con una certa predisposizione alla convulsività epilettica. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 148 di 167 146. Paralisi cerebrali infantili Sono un disordine del movimento, della postura e del tono muscolare dovuto ad un danno dell’encefalo in via di sviluppo; non rappresentano una malattia in atto bensì l’esito di un danno determinatosi in precedenza! Le lesioni non sono così selettive da colpire solo il tono muscolare,la postura e il movimento, ma interessano anche le funzioni sensitive e sensoriali,cognitive,ecc; a tal riguardo spesso vengono definite ENCEFALOPATIE NON PROGRESSIVE,cioè una correlazione specifica tra il deficit nervoso e la lesione encefalica che non va incontro ad un peggioramento spontaneo dunque a fenomeni degenerativi, è definito anche un disturbo PERSISTENTE perché la lesione encefalica non è suscettibile a guarigione!Le manifestazioni della malattia,comunque,non sono fisse perché i sintomi mutano nel corso del tempo potendo beneficiare di un trattamento riabilitativo o chirurgico. Queste encefalopatie hanno come peculiarità la PRECOCITA’,in quanto l’evento lesivo può aver avuto origine in epoca prenatale,perinatale o postnatale,ma in ogni caso entro i primi 3 anni di età,in cui viene completata la maturazione cerebrale, tali lesioni infatti interferiscono con le funzioni in via di sviluppo,piuttosto che causare la perdita di lesioni già apprese. EPIDEMIOLOGIA DELLE PCI Nei paesi sviluppati la loro incidenza è ridotta grazie al miglioramento dell’assistenza sanitaria;nei paesi in via di sviluppo la prevalenza è elevata e in alcuni addirittura in crescita! Le gravidanze multiple sono particolarmente a rischio;nei nati pretermine e soprattutto in quelli con un peso inferiore ai 1500gr l’incidenza è più alta. EZIOLOGIA DELLE PCI In passato si pensava che fossero problemi nel parto o poco dopo la nascita la causa delle PCI; oggi,invece, grazie alle migliorate condizioni di assistenza sanitaria e al frequente ricorso del parto cesareo, si sa che è nel periodo prenatale che avvengono le più frequenti cause di PCI. Si parla dunque di FATTORI PRENATALI,PERINATALI e POSTNATALI. PATOGENESI DELLE PCI -ridotto apporto di ossigeno e sangue; -occlusione e lesione dei vasi sanguigni con conseguente emorragia che hanno un effetto lacerante sui fragili tessuti dell’encefalo; -danno della corteccia cerebrale tra il quinto e il senso mese di vita intrauterina; -la suscettibilità della sostanza bianca dei ventricoli laterali prima delle 34 settimane dal concepimento. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 149 di 167 147. Classificazione delle Paralisi cerebrali infantili 1)Una prima classificazione viene fatta tra: -danno piramidale: il sistema piramidale è deputato al controllo del movimento volontario, perciò il danno piramidale è quello correlato alla vera e proprio paralisi,anche se nelle PCI si parla di paresi(limitazione del movimento)e non paralisi(abolizione del movimento), vi è la contrazione contemporanea dei muscoli agonisti e antagonisti, la riduzione della forza della forza e un aumento del tono muscolare di tipo spastico; -danno extrapiramidale: il sistema extrapiramidale è deputato alla regolazione automatica del tono durante il movimento intenzionale; dunque un danno che interessa la variabilità del tono e i movimenti involontari; si distinguono MOVIMENTI ATETONICI:lenti e interessanti le estremità e MOVIMENTI DISTONICI:rapidi e interessanti l’asse corporeo; -danno cerebellare: il cervelletto è importante per la mira,l’equilibrio e la coordinazione. Questa classificazione viene fatta dunque in base alle caratteristiche del movimento(classificazione motoria): -forme spastiche:aumento del tono;(danno piramidale) -forme distoniche o discinetiche:fluttuazione continua del tono e movimenti parassiti;(danno extrapiramidale) -forme atassiche:disturbo dell’equilibrio e della coordinazione;(danno cerebellare) -forme miste:sintomatologia combinata di una o più forme. 2)Una seconda classificazione fa riferimento agli arti coinvolti nel deficit: -tetraparesi: deficit di tutti e quattro gli arti; -paraparesi: deficit degli arti inferiori; -emiparesi: deficit degli arti di un lato; -monoparesi: emiparesi più lieve, che interessa quasi solo l’arto superiore; -triparesi: associazione tra un’emiparesi e una monoparesi controlaterale. Questa è dunque una classificazione in base alla sede del disturbo motorio(classificazione topografica) Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 150 di 167 148. Diagnosi, prognosie e comorbidità delle Paralisi cerebrali infantili La diagnosi migliore viene effettuata con la RISONANZA MAGNETICA NUCLEARE,che permette una precisa evidenziazione del danno, ma dati i lunghi tempi e la poca collaborazione dei pazienti costringe ad una sedazione o anestesia generale; dunque spesso viene utilizzata la TOMOGRAFIA COMPUTERIZZATA che richiede tempi più brevi consentendo di evitare l’anestesia,ma ci offre una visualizzazione del cervello meno dettagliata. Una diagnosi precoce è fondamentale ai fini di un efficace intervento riabilitativo. Tra gli accertamenti di routine nelle PCI ricordiamo: l’EEG, i POTENZIALI EVOCATI VISIVI, e le varie CONSULENZE(ODONTOIATRICHE, ORTOPEDICHE, OCULISTICHE,ECC); il paziente deve essere poi sottoposto ad una VALUTAZIONE NEUROPSICOMOTORIA che deve essere ripetuta periodicamente per verificare il raggiungimento degli obiettivi a breve,medio e lungo termine prefissati; importante è anche la VALUTAZIONE INTELLETTIVA, che pone delle difficoltà perché le risposte ai test richiedono abilità motorie che nelle Pci sono compromesse,ma per la fascia d’età 0-24 mesi su usa la scala Hunt poco influenzata dalla disabilità motoria, per i bambini più grandi possono essere utilizzati test intellettivi che permettono di rispondere grazie a sguardi o gesti. PROGNOSI DELLE PCI Oggi la deambulazione autonoma è raggiunta da tutti i pazienti PARAPLEGICI e in oltre il 50% dei TETRAPLEGICI, le deformità vengono prevenute con esercizi di stretching,le vere e proprie immobilizzazioni articolatorie cono ormai sporadiche eccezioni; dunque la prognosi motoria resta migliore nei PARAPLEGICI, poi negli EMIPLEGICI ed infine nei TETRAPLEGICI, le FORME EXTRPIRAMIDALI hanno la prognosi motoria peggiore perché difficilmente raggiungono il controllo del tronco, la deambulazione e il linguaggio comprensibile. Il ritardo mentale è minimo nei PARAPLEGICI e nelle forme EXTRAPIRAMIDALI e maggiore nelle TETRAPARESi. L’epilessia è più frequente nelle TETRAPARESI e nelle EMIPARESi. COMORBITA’DELLE PCI -deformità dello scheletro: a causa dell’anomalo carico sulla colonna e sugli arti inferiori; i muscoli non vengono mai stirati per l’azione dell’antagonista e finiscono per rimanere retratti,si accorciano e perdono elasticità; -problemi di alimentazione: interessa i muscoli della masticazione e della deglutizione; -problemi trofici e dell’accrescimento: asimmetrie di lunghezza negli emiplegici; in caso si difficoltà di alimentazione, i bambini ipomobili col tempo tendono all’obesità e la loro dieta dovrebbe esse ipocalorica, i bambini soggetti a movimento involontari o in riabilitazione vanno incontro ad un surplus di esercizio fisico quindi dovrebbero seguire una dieta ipercalorica; -problemi odontoiatrici: i bambini che non masticano hanno le gengive che tendono ad accrescersi fino a coprire il contorno denti; -problemi gastrointestinali: stipsi per bambini che non masticano,che hanno problemi di deglutizione e Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 151 di 167 ipomobili; -problemi psicologici: l’autostima è compromessa; nei casi meno gravi è probabile il disadattamento, in quelli più gravi l’isolamento; l’impossibilità di esprimere fisicamente o verbalmente la rabbia può tradursi in comportamenti autoaggressivi. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 152 di 167 149. Trattamento delle Paralisi cerebrali infantili verrà effettuato a misura del singolo paziente da un’equipe specializzata composta da un fisiatra, odontoiatra, neuropsichiatra infantile, psicologo, assistente sociale, ecc. Il programma individualizzato scaturirà dalla valutazione neuropsicomotoria; saranno impiegate: -manovre per la facilitazione neuromotoria e psicomotoria; -tecniche operatorie per l’allungamento dei tendini soggetti a retrazione; -uso della tossina botulinica A per ridurre l’eccesso di tono muscolare; -l’uso dei farmaci nei bambino è poco utilizzato rispetto agli adulti; -importante è il sostegno psicologico sia per i bambino che per i genitori; -alcuni bambini necessitano di un assistente sociale per le loro necessità fisiche. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 153 di 167 150. Psicosi infantili Le psicosi in età evolutiva sono un gruppo di disturbi in cui la schizofrenia rappresenta la principale condizione patologica. Le caratteristiche simili sono assimilabili a quelle dell’adulto, anche se sono presenti grandi differenze. In genere, le psicosi sono caratterizzate da: anomalie del processo del pensiero, scarsa partecipazione emotiva, disturbi di percezione, e, la compromissione della capacità di insight, ovvero della capacità di auto riflessione e organizzazione del vissuto personale, rappresenta la principale differenza rispetto alle nevrosi in cui è presente la consapevolezza e la sofferenza che deriva dai diversi disturbi. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 154 di 167 151. Schizofrenia E’ la patologia psichiatrica di maggior rilievo, in quanto comprende le manifestazioni psicotiche più gravi, quali: delirio, allucinazioni, disordini del pensiero e alterazioni della motricità e della postura. L’insorgenza avviene solitamente in età adulta, infatti l’esordio nei bambini e negli adolescenti è molto raro:quando insorge prima dei 18 anni si parla di SCHIZOFRENIA AD ESORDIO PRECOCE; quando invece insorge prima dei 13 anni si parla di SCHIZOFRENIA AD ESORDIO MOLTO PRECOCE. Essa e le sindromi correlate sono definite “psicosi funzionali” poiché non sono riconoscibili alterazioni anatomiche a carico del sistema nervoso, anche se si ipotizza un’alterazione dei circuiti funzionali delle aree corticali e del sistema limbico. L’eziologia comprende:una componente genetica, è opportuno, infatti, sottolineare che i parenti di primo grado dei soggetti con schizofrenia hanno un rischio di ammalarsi molto superiore rispetto alla popolazione normale; i gemelli monozigoti hanno un alto grado di concordanza per la schizofrenia rispetto ai gemelli dizigoti; i figli di parenti schizofrenici adottati o allontanati precocemente dalla famiglia originaria hanno lo stesso rischio di sviluppare la malattia di quelli che permangono nella famiglia di origine; tra i fattori di rischio psicosociali abbiamo modalità di interazione familiare come il “doppio legame” che consiste in una discrepanza tra i messaggi verbali e l’atteggiamento emotivo non verbali e l’ “emotività espressa” all’interno del nucleo familiare, infatti alti livelli di emotività hanno un ruolo nello sviluppo precoce della malattia. Le caratteristiche cliniche della schizofrenia possono essere schematizzate in: -sintomi positivi,come: 1)il delirio, ovvero argomenti ed espressioni non condivisibili o inadeguati al contesto sociale e relazionale, esso può essere primario, quando ha origine nelle comuni esperienza di vita; secondario, quando insorge nel contesto delle allucinazioni; e paranoideo, quando il mondo circostante è avvertito minaccioso, ostile, amplificando tutto in modo abnorme rispetto alla reale entità; 2)i disturbi formali del pensiero, ovvero il rallentamento dei nessi logici, l’incoerenza nell’esposizione e nell’organizzazione delle idee, sono molto comuni nella schizofrenia evolutiva; 3) le allucinazioni, che nella schizofrenia sono prevalentemente uditive, mentre nell’epilessia sono solitamente visive; - e sintomi negativi come: 1)l’appiattimento affettivo, ovvero l’assenza di partecipazione affettiva e di empatia nell’interazione sociale ed è molto comune nella schizofrenia in età evolutiva; 2)i disturbi della motricità di tipo catatonico, ovvero posizioni catatoniche fisse vengono assunte e mantenute per lungo tempo; esse sono molto rare nella schizofrenia dell’età evolutiva; 3)l’apatia; 4)e i disturbi della volizione. I sintomi negativi sono di frequente riscontro nelle forme ad esordio precoce ad eccezione della catatonia. L’esordio della schizofrenia non coincide con l’insorgenza della malattia che può essere antecedente di molto tempo, fino a 4/5 anni prima. In una prima fase abbiamo una povertà di sintomi psicotici; nella fase del prodomo, ovvero del periodo che intercorre tra l’esordio del cambiamento nell’individuo e l’esordio della psicosi, può comparire una riduzione dell’attenzione e della concentrazione, modificazioni del tono dell’umore, sintomi d’ansia, disturbi del sonno, isolamento sociale, scarsa autostima e facile irritabilità; nella fase finale sono frequenti sintomi di tipo ansioso- depressivo, anomalie cognitive e disturbi del comportamento sociale Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 155 di 167 Per quanto riguarda la diagnosi, possono insorgere difficoltà in quanto il delirio e le allucinazioni sono di difficile verifica nel bambino poiché presentano caratteri poco strutturati e mutevoli che non ne facilitano la corretta individuazione. Il limite inferiore di esordio per la schizofrenia è di 7/8anni, ciò la contraddistingue dall’autismo che ha un esordio entro i 3 anni; PSICOSI SCHIZOAFFETTIVE E ATIPICHE Che sono un’associazione tra disturbi affettivi e disturbi con componenti deliranti e/o allucinatorie. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 156 di 167 152. Psicosi organiche Sono l’espressione sintomatica di una malattia conosciuta; il riconoscimento della causa non è sempre immediato, ma è teoricamente definibile attraverso delle adeguate indagini strumentali. Esse possono presentarsi durante malattie del sistema nervoso e/o intossicazioni; in particolare devono essere valutate le encefaliti subacute, l’astinenza da alcool o l’intossicazione da anfetamine. Diverse ricerche hanno dimostrato che i pazienti affetti da schizofrenia ricevono il primo significativo aiuto in ritardo e che tutto ciò comporta una guarigione tardiva o incompleta; spesso si ci rivolge in ritardo ai servizi psichiatrici, dopo molti anni addirittura, ed uno dei compiti principale dei servizi psichiatrici è il sostegno dei paziento ma anche dei familiari; non vanno sottolineati alcuni elementi tipici della malattia quali sospettosità, ritiro sociale, idee persecutorie e ridotta capacità dell’insight che interferiscono negativamente con le cure. Le fasi dell’intervento terapeutico sono così articolate: 1)terapia farmacologica dei sintomi acuti; 2)terapia farmacologica diretta alla prevenzione delle recidive; 3)intervento psicoterapeutico individuale col paziente; 4)intervento con la famiglia; 5)programma riabilitativo. L’approccio terapeutico delle proporre diverse opportunità di cura: è consigliabile che i trattamenti farmacologici siano associati a quelli psicoterapeutici, psicoeducativi e alle tecniche di problem solving; un percorso di cura ben coordinato deve prevedere uno spazio di ascolto e di sostegno anche dei componenti della famiglia del paziente. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 157 di 167 153. Ritardo mentale Non è una patologia a sé stante, ma è una categoria psicopatologica concomitante ad altri disturbi di tipo genetico, ambientale o di eziologia sconosciuta; ha un esordio precoce(entro i 18 anni) ed è caratterizzato da deficit cognitivo e deficit del funzionamento nelle autonomie; il confine tra normale e patologico non è un indice standard,a ma è un cutoff arbitrario deciso in base al contesto socioculturale. E’ nei primi anni del Novecento che si definiscono meglio i confini del RM introducendo il concetto di QI grazie all’introduzione dei primi test cognitivi ( Binet nel 1905) e grazie all’identificazione di fattori eziologici di base(le scoperte di Mendel e la nascita della genetica). Sin dagli albori, l’intelligenza è stata definita come un’abilità cognitiva, quantificabile tramite il QI o come un’abilità pratica che permette di risolvere i problemi e dunque di adattarci al mondo; queste due diverse accezioni sono accolte dall’ICD-10, infatti attualmente è diagnosticato il RM quando si ha la compromissione di entrambe queste competenze: quando il ritardo è grave sia il QI e sia le funzioni adattive sono compromesse; quando invece il ritardo è lieve le funzioni adattive possono essere integre o parzialmente compromesse. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 158 di 167 154. Nosografia del ritardo mentale Entrambi i sistemi nosografici, DSM-IV e ICD-10 convergono per quel che riguarda i criteri diagnostici del RM: -criterio A:le funzioni cognitive( o intellettive o semplicemente il QI) devono essere al di sotto della media(70),ovvero due deviazioni standard al di sotto della media;tuttavia, si parla di un valore approssimativo, cioè con un intervallo di confidenza di più o meno 5, per due motivi: -non vi sarà mai la totale coerenza tra la somministrazione di due test diversi o tra due somministrazioni dello stesso test; -il valore psicometrico è necessario ma non autosufficiente per diagnosticare il RM, si necessita dunque di altri paramenti; ciò viene calcolato con test cognitivi standardizzati come la scala Wechsler, la Standford-Binet, ecc; -criterio B:le funzioni adattive devono essere compromesse in almeno due aree: comunicazione, cura della persona, lavoro, tempo libero, sicurezza, salute, ecc; -criterio C: l’esordio è prima dei 18 anni, poiché se il deficit cognitivo compare dopo i 18 anni si parla di demenza; a tal punto è importante considerare che non è importante l’età della diagnosi, piuttosto quando le caratteristiche deficitarie compaiono, ovvero la diagnosi di RM può essere fatta anche a 50 se le caratteristiche deficitarie sono apparse prima dei 18 anni. La diagnosi deve essere stabile, ovvero il QI di pazienti con RM rimarrà stabile nel tempo, ovvero il QI misurato con un test cognitivo a 6 anni sarà approssimativamente uguale a quando il paziente avrà 30 anni; infatti il DSM-IV considera il RM come un disordine ad esordio infantile che rimane stabile fino all’età adulta,ma è necessario specificare alcuni aspetti: - tanto più precoce è l’età in cui il test cognitivo viene somministrato e tanto meno correlazione con le successive valutazioni ci sarà; ma essi parlano di stabilità nel tempo perché a differenza dei bambino sani, nei bambini con RM il QI si dimostra stabile, soprattutto nei livelli più bassi (i bambini che hanno un QI inferiore a 50, continueranno ad averlo basso anche successivamente) e la stessa cosa vale per gli adulti ( anche dopo 35 anni di valutazione il QI non mostrava un incremento significativo); tuttavia questo è un dato statistico e non significa che il QI non possa andare incontro a modifiche, infatti in alcuni bambini con RM lieve si può osservare una variazione durante il corso del tempo,aumentando o diminuendo, ma ciò non interessa certo i bambini con un ritardo severo; in conclusione: a differenza di quanto avviene nella popolazione sana, nei bambini con RM il QI si dimostra un valore stabile lungo l’intero arco di sviluppo; -il secondo aspetto riguarda l’influenza che la patologia di base può avere sullo sviluppo cognitivo, ad esempio il QI dei bambino con sindrome di Down diminuisce col tempo; nella sindrome della X fragile, rimane stabile fino a 10/15anni e poi a partire dalla seconda adolescenza lo sviluppo cognitivo rallenta sensibilmente; tutto ciò dimostra come lo specifico tipo di ritardo mentale può influenzare lo sviluppo cognitivo durante la crescita, ma la stessa cosa avviene anche per le funzioni adattive, ad esempio nella sindrome di Down si osserva un plateau del funzionamento adattivo ad 11 anni, mentre in pazienti senza sindrome di Down ma con comunque un deficit cognitivo lo sviluppo delle funzioni adattive si protrae fino a 30 anni, in conclusione: il ritardo mentale è una condizione RELATIVAMENTE stabile dall’infanzia all’adolescenza, perché tale stabilità è mediata dal grado e dal tipo di ritardo. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 159 di 167 155. Eziologia del Ritardo mentale Le categorie cliniche più frequenti sono: la sindrome di Down, la sindrome della X fragile e la sindrome feto-alcolica, infatti in circa il 30% dei casi si può riscontrare una di queste condizioni eziopatologiche. Non siamo in grado di identificare il fattore organico o il processo patologico di base in circa il 40% dei casi, nel 60% rimanente, invece, è possibile evidenziare un fattore organico chiaro e diagnosticabile, dunque abbiamo due gruppi: 1)il gruppo ad eziologia sconosciuta, circa il 40%, frequente nella popolazione con deficit cognitivi lievi, nelle minoranze e nella popolazione con un basso livello socioeconomico, e quando un altro membro della famiglia mostra lo stesso tipo di deficit cognitivo senza però un evidente fattore genetico; 2)il gruppo organico, circa il 60%, con la maggior parte dei processi patologici di base di natura genetica, le patologie genetiche sono alla base del 35% di tutti i RM, il danno genetico può interessare un singolo gene o più geni: -SINDROME DI DOWN: interessa un bambino su 660 nati vivi, il rischio è maggiore per le madri con più di 40 anni; essa è causata dalla trisomia del cromosoma 21; le caratteristiche sono: bassa statura, macroglossia(aumento della dimensione della lingua) ipotonia, naso piatto, orecchie piccole; la crescita cerebrale dopo la nascita appare diminuita con una riduzione del numero delle spine dendritiche e l’aumento delle aree di calcificazione nelle aree cerebrali come il processo d’invecchiamento nei normali soggetti anziani; l’asse cerebrale antero-posteriore appare diminuito, mentre quello laterale aumenta tanto da determinare la tipica forma rotondeggiante dell’encefalo; deficit del processa mento visivo, delle capacità attentive, della comunicazione verbale e non verbale, che vengono acquisite con lentezza e ritardo, e del linguaggio espressivo in particolare; buone competenze sociali con comportamenti passivi, ma pronti all’interazione e alla comunicazione affettiva; -SINDROME DELLA X FRAGILE: rara, originata dalla ripetizione anomala della tripletta CGG nel DNA del cromosa X, dunque è più frequente nei maschi che nelle femmine, perché nelle femmine il corredo XX permette la disattivazione degli alleli recessivi; faccia lunga, mandibola larga, orecchie sporgenti, palato arcuato, bassa statura; deficit a carico della memoria, delle abilità visuospaziali e della coordinazione visuomotoria; sono molto lenti nell’acquisizione del linguaggio; -SINDROME DI PRADER WILLI: è dovuta alla delezione del braccio lungo del cromosoma 15 paterno; ipotonia, obesità, mani e piedi piccoli, deficit dell’elaborazione sequenziale e della MBT; iperfagia che si presenta come una compulsione irrefrenabile per il cibo; -SINDROME DI WILLIAMS: estremamente rara, causata da una mutazione che provoca la delezione sul cromosoma 7 del gene per l’elastina; tipica facies da “ELFO” con naso schiacciato, sopracciglia folte, orecchie piccole, bassa statura, vice profonda e metallica, malformazione dell’aorta e delle arterie renali, amichevoli, educate, aperte, altamente socievoli; compromissione delle competenze visuospaziali e di coordinazione motoria. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 160 di 167 156. Diagnosi del Ritardo mentale Ai fini del processo diagnostico, è importante lo studio approfondito della storia clinica del paziente a partire dal concepimento, dello sviluppo del processo psicomotorio e dell’anamnesi familiare, la consulenza genetica, la somministrazione dei test cognitivi per programmare un intervento riabilitativo mirato sulle competenze riabilitative del paziente. Il DSM-IV categorizza il RM a seconda del punteggio di QI in 4 categorie più un ritardo non specificato: -QI: 50/69=rappresenta l’85% dei casi, sviluppo adeguato delle competenze sociali e di comunicazione, deficit delle abilità senso motorie; la diagnosi viene fatta nell’età scolare, quando il bambino si trova di fronte ai primi problemi cognitivi complessi; a seconda del Qi tali soggetti possono avere una vita sociale normale, sposarsi, avere figli, mantenere un lavoro, frequenti sono le sindrome epilettiche e i deficit motori; -QI:35/49=rappresenta il 10% dei casi, necessitano di supporto scolastico continuo, circa il 60% ha bisogno di assistenza continua per tutta la vita; la diagnosi è precoce, in età prescolare, per il grave ritardo psicomotorio, il linguaggio varia in base al QI; -QI:25/40=rappresenta il 3/4% dei caso, scarse capacità comunicative, ritardi dello sviluppo psicomotorio; la diagnosi è precocissima,solo una piccola parte sviluppano un linguaggio limitato a frasi semplici(S-VO), infatti nella maggior parte dei casi il linguaggio è assente; hanno bisogno di assistenza continua per tutta la vita anche per i bisogni primari ed una continua terapia di riabilitazione; si osserva un’oscillazione delle competenze(si raggiungono e si perdono); -QI: < 25 =rappresenta l’1/2% dei casi; danni e anomalie cerebrali nella maggior parte dei soggetti; costante è la presenza di una patologia neurologica(epilessia,ecc) motoria(PCI,ecc) e sensoriale(cecità, sordità,ecc); la diagnosi è precocissima,spesso prenatale; bisogno di una continua assistenza; -ritardo mentale di gravità non specificata: quando il paziente non è testabile ma vi è una ragione che fa presumere un deficit cognitivo; più è precoce la diagnosi e più difficile è determinare la gravità del deficit; in questa categoria vi sono anche tutti quei bambini che sono stati testati con test cognitivi che non forniscono QI. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 161 di 167 157. Separazione e divorzio: effetti sui bambini La società occidentale è pervasa da ciò che viene definita “instabilità matrimoniale” che mette in luce quanto fragile stia diventando il legame coniugale a fronte della valorizzazione dell’individuo e dell’autorealizzazione. La separazione e il divorzio vengono considerati fatti individuali, familiari e sociali e rappresentano qualcosa ad alto impatto sul benessere delle persone che vi sono coinvolte, sia adulti che bambini. La rottura coniugale è considerata una transizione stressante rispetto alla quale adulti e bambini devono adattarsi; per “transizione” si intende ogni passaggio cruciale in cui la famiglia mostra i suoi punti di forza e di debolezza e si declina con il “coping”, ossia la capacità delle persone di fronteggiare un evento critico utilizzando le risorse disponibili, mettendo in atto opportune strategie cognitive-emotive e pragmatichecomportamentali per governare le tensioni. Per i bambini, tutto ciò si può tradurre in un declino sia del sostegno sia del controllo genitoriale sul loro comportamento e in alcuni casi si può verificare una vera e propria rottura con uno dei due genitori, perlopiù il padre, per gli aspetti affettivi, educativi ed economici. I figli con genitori separati mostrano bassi livelli di benessere generale: rendimento scolastico, problemi comportamentali, adattamento psicologico e qualità delle relazioni con entrambi i genitori; non sono state riscontrate differenze significative di genere, ad eccezione dei problemi comportamentali associati all’aggressività, più presenti nei maschi. Vi è una minore intimità tra le madri e i figli poiché in seguito al divorzio le madri preoccupare per le conseguenze immediate di tale evento tendono ad allontanarsi emotivamente dal bambino; in relazione al padre, i figli mostrano una maggiore distanza emotiva, soprattutto per i più grandi. I bambini in età prescolare non riescono a comprendere i motivi del divorzio dei loro genitori: -i bambini con un’età compresa tra i 2 e i 3 anni non esprimono né a livello verbale né nel gioco la consapevolezza che esita un conflitto tra i genitori, nonostante mostrino un distress emotivo; -i bambini con un’età compresa tra i 4 e i 5 anni si chiedono i sentimenti che i genitori provano l’uno per l’altro, il perché i genitori vivano in due case separate, una possibile loro riunificazione e una scarsa frequentazione del padre. Le difficoltà psicoemotive, come depressione, tendono ad aumentare con l’età, evidenziando un picco nell’adolescenza; le difficoltà di relazione con i genitori si presentano in primo luogo nell’infanzia e successivamente nell’adolescenza; l’adattamento sociale e scolastico è più carente nella preadolescenza. Il divorzio porta anche a delle conseguenze a lungo termine specie quando i figli sono chiamati a progettare il loro futuro: -per i maschi si ha una difficoltà ad assumere un ruolo genitoriale appropriato; -per le femmine si evidenzia la sfiducia e la paura di abbandoni sul fronte sentimentale. Sono più disposti ad amare gli adolescenti di famiglie unite, mentre colore che provengono da una famiglia separata vi vanno più cauti, tendono questi ultimi a relazioni sentimentali di breve durata per paura dell’abbandono, della sofferenza e della solitudine. Importante è la CTU( consulenza tecnica d’ufficio) disposta dal giudice per valutare ulteriormente la situazione e decidere in maniera accurata sulle modalità di affidamento, la frequentazione con i genitori e il mantenimento economico; vi sono anche programmi di “parent training” volti a migliorare e sostenere la relazione tra figli e genitori sia affidatati che non; a tal proposito riportiamo come esempio “lo spazio neutro” e/o spazio d’incontro: quest’ultimo facilita la prosecuzione del rapporto dei figli con entrambi i Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 162 di 167 genitori, sono spazi istituzionali, aperti anche i giorni festivi, al fine di facilitare soprattutto l’incontro col padre, ciò avviene in situazioni protette e con la presenza degli operatori a seguito di un invito giudiziario; solo se vi è buon accordo con l’altro genitore è possibile una richiesta spontanea; tali spazi rendono possibile un minimo di dialogo anche tra i genitori divorziati e agevolano il passaggio del bambino da un genitore all’altro. La mediazione familiare per la riorganizzazione dei legami in seguito a divorzio/separazione permette di: -migliorare la comunicazione tra i membri della famiglia; -ridurre il conflitto per giungere ad accordi soddisfacenti; -dare continuità ai rapporti tra genitori e figli; -ridurre i tempi necessari per la soluzione dei conflitti. La pratica della mediazione si avvale di un “mediatore” che è imparziale ed utile a traghettare l’ex coppia coniugale verso accordi genitoriali in grado di fronteggiare la transizione del divorzio. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 163 di 167 158. Somatizzazioni Con il tema delle somatizzazioni si fa riferimento al rapporto tra mente e corpo; oggi il termine “psicosomatico” può assumere diversi significati: -può riferirsi alla convinzione che una patologia somatica abbia un’origine psichica; -può indicare l’influenza che i fattori psicologici hanno sui processi corporei; -può indicare l’influenza che i fattori corporei hanno sui processi psicologici; -può indicare la modalità di approccio al paziente in cui si tiene presente la componente corporea e la componente psicologica e sociale. Il primo autore a mettere in discussione l’adeguatezza del termine “psicosomatica” è stato Franz Alexander, che sostiene per ogni processo morboso una pluricausale eziologia: non esistono malattie psicosomatiche ed altre non psicosomatiche, così come non esistono malattie con eziologia puramente psicogena ed afferma che ogni malattia è psicosomatica. L’attuale prospettiva, che considera tali disturbi il risultato dell’interazione tra fattori psicologiciemotivi ed una predisposizione costituzionale, ha portato alla necessità di introdurre un nuovo termine, maggiormente adeguato, “somatizzazione” invece di “disturbo psicosomatico”. Si deve ad Alexander, l’introduzione del continuum mente-corpo; ma rilevante è anche il contributo di Winnicott che spiega come inizialmente il bambino si trovi in uno “stato primario non integrato”: il processo di maturazione dipende dall’atteggiamento della madre, che se sarà positivo gli permetterà di sviluppare “l’integrazione psicomotoria”, cioè la psiche riuscirà ad abitare nel soma, se negativo lo condurrà alla depersonalizzazione con un’insicurezza ad abitare dentro. DIAGNOSI DELLE SOMATIZZAZIONI Nel DSM-IV il disturbo di somatizzazione viene inserito fra i disturbi somatomorfi, ovvero pattern di complicanze fisiche multiple per le quali non è possibile rinvenire alcuna causa organica, nonostante i ripetuti accertamenti medici; in altre parole, la somatizzazione è un processo che si manifesta con uno o più sintomi fisici senza che appropriati esami medici rilevino alcuna patologia fisica né un meccanismo fisiopatologico, oppure quando correlati ad una patologia organica, i sintomi fisici sembrano essere in eccesso rispetto a quanto si ci aspetterebbe dai risultati medici. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 164 di 167 159. Alcuni disturbi riguardo alle somatizzazioni -dolori addominali ricorrenti o DAR, sono una sindrome di dolore ricorrente localizzato in zona ombelicale, spesso accompagnato da cefalea, vomito, diarrea o costipazione; affinchè venga diagnosticata, c’è bisogno che per 12 settimane ci sia: dolore addominale persistente, senza alcuna relazione con eventi fisiologici o con altri disturbi gastrointestinali che potrebbero spiegare il dolore e deve interferire con le attività quotidiane. I disturbi sono presenti maggiormente nelle ragazze rispetto ai ragazzi; sono da tenere in considerazione fattori psicologici e psicosociali:fattori che compromettono la qualità della vita a vari livelli ed in diversi aspetti; -asma, è una patologia infiammatoria cronica delle vie aeree che provoca ripetuti episodi di affanno, mancanza di respiro, pressione toracica, tosse, specialmente la notte e/o la mattina presto. Si attribuisce un importante ruolo alla componente ereditaria,ma nonostante questo, non è un disturbo genetico riconducibile ad una trasmissione mendeliana di caratteri dominanti, recessivi o legati al sesso. Il principale sintomo è l’affanno; si possono individuare 3 fenotipi: 1)affanno transitorio, presente nei bambini al di sotto dei 3 anni con successiva scomparsa, dovuto ad una diminuzione funzionale dei polmoni alla nascita che tende poi a normalizzarsi; 2)affanno persistente, presente già prima dei 3 anni e che perdura oltre tale età; sembra essere presente in bambini con genitori asmatici: tale bambini hanno normali livelli di funzionalità polmonare alla nascita che poi decresce significativamente; 3)affanno ad esordio tardivo, che compare tra i 3 e i 6 anni, e con una stabilizzazione polmonare dopo i 10 anni. Bambini con almeno 3 episodi all’anno e con un criterio maggiore(presenza di un genitore con asma, sensibilità allergica, ecc) o con due criteri minori(sensibilità al cibo, affanni legati ad infezioni,ecc) hanno il 65% di possibilità di sviluppare l’asma all’età di 6 anni, senza nessuno di questi criteri la percentuale si abbassa al 5%. Negli ultimi vent’anni, vi è stato un incremento significativo nella popolazione mondiale. Essa è correlata ad aspetti di natura psicologica e psicosociale; sono ritenuti fattori responsabili lo stress cronico o acuto; fondamentale è il rapporto con i coetanei, che comunque risulta compromesso a causa delle ridotte possibilità di partecipare ad eventi sociali e ad attività fisiche. Alcune semplici raccomandazioni per bambini con un genitore asmatico: 1)prevenzione primaria: prolungare l’allattamento al seno, ritardare l’introduzione di cibi solidi, arieggiare la casa, evitare il contatto con gli animali domestici e l’esposizione al fumo passivo; 2)prevenzione secondaria:quando il sintomo è già comparso è necessaria una farmacoterapia preventiva con antistaminici e antiinfiammatori; 3)prevenzione terziaria: quando il disturbo ormai è diventato cronico è necessario evitare la disabilità e permettere una buona qualità della vita; -mal di schiena:nonostante l’alta prevalenza, rimane ancora poco conosciuto e trattato: Vi sono alcuni criteri clinici che permettono di categorizzare i pazienti in base alla localizzazione del dolore e ai risultati dell’esame clinico: 1)categoria 1: pazienti con dolore localizzato alla schiena senza irradiazione alle gambe e senza segni neurologici; 2)categoria 2: pazienti con dolore alla schiena fino alle gambe senza segni neurologici; Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 165 di 167 3)categoria 3: pazienti con dolore che si estende fino alle ginocchia senza segni neurologici; 4)categoria 4: pazienti con dolore che coinvolge la schiena, le gambe, le ginocchia e con segni neurologici positivi. Vi è una relazione tra il mal di schiena e il BMI (indice di massa corporea) in donne che sono significativamente aumentate di peso negli ultimi 10 anni. Vi è una prevalenza maggiore nelle femmine rispetto ai maschi e un’interferenza con le normali attività di routine. Tra i fattori di rischio ricordiamo: abusi fisici e violenze sessuali da parte delle figure di attaccamento, tossicodipendenza o alcolismo dei genitori, morte o perdita di una figura significativa per il bambino, abuso psicologico o rifiuto. La qualità della vita di tali soggetti risulta altamente compromessa a vari livelli; -sindrome da fatica cronica o SFC: è una malattia caratterizzata da una stanchezza non spiegata da alcuna causa nota, debilitante a tal punto da causare una riduzione dell’attività lavorativa o scolastica di oltre il50% e superiore ai 6 mesi e da altri sintomi quali: mal di testa, febbre, mal di gola, confusione mentale, perdita della memoria, disturbi del sonno, depressione, ecc e che non si allevia con il riposo. I criteri maggiori sono: sfatica mento persistente e debilitante in una persona senza una precedente storia per spiegare tale sintomo, che non si risolve col riposo e che dura almeno 6 mesi, esclusione di altre condizione fisiche come: malattie autoimmuni, tumori, dipendenza da farmaci, abuso di sostanze tossiche,ecc; I sintomi sono: febbre tra 37.5 e 38.6 ° C o brividi, cefalea, dolori muscolari, stanchezza muscolare generalizzata non spiegata, dolori alla gola, disturbi del sonno, i sintomi compaiono e scompaiono periodicamente in poche ore o in pochi giorni. Il tipico paziente con SFC sia un adulto tra i 30 e i 40 anni di età, questa malattia è stata diagnosticata in soggetti di tutte le età, compresi adolescenti, bambini e anziani, di entrambi i sessi, si tutte le razze ed ogni gruppo socioeconomico. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 166 di 167 160. Trattamento delle somatizzazioni La diagnosi è espressa grazie all’interazione tra fattori fisici, sociali ed emozionali; il ruolo delle componenti psicologiche è particolarmente rilevante nel mantenimento della condizione. Le regole da seguire nella pratica clinica dovrebbero essere: - mostrare interesse, sin dalla prima consultazione, nei confronti della storia sintomatologica del bambino, evitando di dare l’impressione che non gli si creda; -dopo aver escluso possibili cause organiche, rassicurare i genitori ed incoraggiarli; -con tatto ed accortezza, condurre una graduale individuazione e o modificazione degli aspetti ambientali che potrebbero essere dannosi per il bambino; -creare un collegamento con la scuola in caso di rifiuto scolastico. Il trattamento dovrebbe coinvolgere bambino genitori e scuola. 1)terapia comportamentale: si basa sulla premessa che gli individui imparino a comportarsi in un certo modo, influenzati dalla situazione, dagli eventi e dai rinforzi; tale tecnica è,dunque, utile per modificare comportamenti inappropriati; 2)terapia cognitivo-comportamentale: cerca di aiutare i pazienti ad identificare i loro “errori mentali” ed i comportamenti automatici negativi al fine di accompagnare il bambino alla corretta comprensione e al controllo della sua ansia; 3)terapia familiare: i dialoghi tra tutti i membri della famiglia per far emergere un’immagine delle relazioni e degli stili comunicativi presenti nel nucleo familiare; 4)terapie individuali ad orientamento psicodinamico che sono più rare in età evolutiva rispetto al’età adulta, non solo per la difficoltà del bambino piccolo ad utilizzare il linguaggio verbale come strumento per le libere associazione, ma anche per l’esistenza o meno del transfert da parte dei bambini nei confronti del terapista. Anna Battista Sezione Appunti Neuropsichiatria infantile Pagina 167 di 167 Indice 1. Esame neurologico del neonato 1 2. Primo item dell'esame neurologico del neonato: gli stati comportamentali e il loro 2 3. Secondo item dell'esame neurologico del neonato: la habituation: stimolo luminunoso 3 4. Terzo item dell'esame neurologico del neonato - la postura 4 5. Quarto item dell'esame neurologico del neonato: l’attivita’ motoria - i gms e l’attività 5 6. Quinto item dell'esame neurologico del neonato: il tono muscolare - passivo e attivo 6 7. Sesto item dell'esame neurologico del neonato: i riflessi arcaici 7 8. Settimo item dell'esame neurologico del neonato: i riflessi osteotendinei 8 9. Ottavo item dell'esame neurologico del neonato: le funzioni sensopercettive - visive e 9 10. Nono item dell'esame neurologico del neonato: il diario comportamentale 10 11. Prima visita e colloquio clinico in psichiatria dell’età evolutiva 11 12. Prima visita in psichiatria dell’età evolutiva 12 13. Colloquio clinico in psichiatria dell’età evolutiva 13 14. Sviluppo sensomotorio e relazionale del feto 14 15. Sviluppo della sensibilità tattile, termica e dolorifica 15 16. Sviluppo della sensibilità vestibolare 16 17. Sviluppo della sensibilità uditiva 17 18. Sviluppo della sensibilità visiva 18 19. I movimenti fetali 19 20. Relazione prenatale a rischio 20 21. Disadattamento scolastico 21 22. Le manifestazione del disadattamento scolastico 22 23. Disturbi del sonno 23 24. Insonnia nel primo anno di vita 24 25. Insonnia da un anno all’età scolare 25 26. Parasonnie 26 27. Disturbi del ritmo circadiano 27 28. Disturbi respiratori nel sonno 28 29. Disturbi da eccessiva sonnolenza 29 30. Disturbo bipolare 30 31. Il disturbo bipolare in età pediatrica 31 32. Encefaliti 32 33. Complesso TORCH 33 34. Il cytomegalovirus 34 35. La rosolia 35 36. L’immunodeficienza umana da HIV 36 37. Mutismo elettivo 37 38. I criteri diagnostici del mutismo 38 39. Patologie croniche organiche 39 40. La fibrosi cistica 40 41. Il diabete mellino insulino-dipendente 41 42. Sequele della nascita pretermine 42 43. Intelligenza nei bambini pretermine 43 44. Linguaggio nei bambini pretermine 44 45. Abilità visuomotorie nei bambini pretermine 45 46. Difficoltà di apprendimento nei bambini pretermine 46 47. Lateralità e disturbi di apprendimento nei bambini pretermine 47 48. Memoria e attenzione nei bambini pretermine 48 49. ADHD nei bambini pretermine 49 50. Sindrome di munchausen by proxy 50 51. Diagnosi differenziale della sindrome by proxy 51 52. Traumi cranici ed emorragie: emorragia extracranica 53 53. Traumi cranici ed emorragie: fratture del cranio 54 54. Traumi cranici ed emorragie: contusioni cerebrali 55 55. Traumi cranici ed emorragie: emorragie intracraniche 56 56. Incidenza, origine e diagnosi di emorragia 57 57. Tumori cerebrali infantili 58 58. Tumori sottotentoriali 59 59. Tumori sopratentoriali 60 60. Idrocefalo 61 61. Abusi e maltrattamenti 62 62. Fenomenologia degli abusi: maltrattamento fisico 63 63. Fenomenologia degli abusi: maltrattamento psicologico 64 64. Fenomenologia degli abusi: abuso sessuale 65 65. Fenomenologia degli abusi: patologie delle cure 66 66. Adozione 67 67. Fattori di rischio e fattori protettivi dell’adozione 69 68. Prognosi e trattamento dell’adozione 70 69. Cefalea primaria 71 70. Cefalea secondaria 72 71. Eziologia, prognosi e terapia della cefalea infantile 73 72. Deficit di attenzione e iperattività - ADHD 74 73. Comorbilità dell’ADHD 75 74. Eziologia dell’ADHD 76 75. Diagnosi e trattamentp dell'ADHD 77 76. Depressione infantile 78 77. Epidemiologia della depressione infantile 79 78. Eziologia della depressione infantile 80 79. Classificazione nosografica della depressione infantile 81 80. Diagnosi della depressione infantile 82 81. Comorbidità della depressione infantile 83 82. Prognosi della depressione infantile 84 83. Suicidio e depressione infantile 85 84. Prevenzione della depressione infantile 86 85. Trattamento della depressione infantile 87 86. Disturbi della condotta: definizione 88 87. Diagnosi dei disturbi della condotta 89 88. Diagnosi differenziale ed epidemiologi dei disturbi della condotta 90 89. Eziologia dei disturbi della condotta 91 90. Comorbità dei disturbi della condotta 92 91. Prognosi e trattamento dei disturbi della condotta 93 92. Disturbi d’ansia: definizione 94 93. Disturbi d’ansia: epidemiologia e comorbidità 95 94. Diagnosi dei disturbi d’ansia 96 95. Disturbo d’ansia da separazione 97 96. Disturbo d’ansia generalizzato 98 97. Disturbo da panico 99 98. Fobie semplici 100 99. Fobia sociale 101 100. Disturbi del comportamento alimentare 102 101. Anoressia nervosa 103 102. Bulimia nervosa 104 103. Disturbo alimentare non altrimenti specificato 105 104. Disturbi alimentari prepuberali 106 105. Diagnosi dei disturbi alimentari 107 106. Epidemiologia dei disturbi alimentari 108 107. Disturbi dell’apprendimento 109 108. Disturbi dell’apprendimento: dislessia 110 109. Disturbi dell’apprendimento: disgrafia 111 110. Disturbi dell’apprendimento: discalculia 112 111. Disturbi dell’attaccamento 113 112. Eziologia dei disturbi dell’attaccamento 114 113. Sistemi di classificazione dei disturbi dell’attaccamento 115 114. Diagnosi dei disturbi dell’attaccamento 116 115. Fattori di rischio e fattori protettivi dei disturbi dell’attaccamento 117 116. Disturbi associati ai disturbi dell’attaccamento 118 117. Disturbi dell’evacuazione 119 118. Epidemiologia, eziologia e trattamento dei disturbi di evacuazione 120 119. Disturbi pervasivi dello sviluppo 121 120. Autismo 122 121. Sindrome di Rett 123 122. Disturbo disintegrativo dell’infanzia 124 123. Disturbo di asperger 125 124. Disturbo pervasivo dello sviluppo non altrimenti specializzato 126 125. Terapia e prognosi dei disturbi pervasivi dello sviluppo 127 126. Disturbi specifici del linguaggio 128 127. Eziologia dei disturbi specifi del linguaggio 129 128. Nosografia dei disturbi specifi del linguaggio 130 129. Diagnosi dei disturbi specifi del linguaggio 131 130. Disturbo d’adattamento 132 131. Disturbo postraumatico da stress 133 132. Sintomatologia del disturbo postraumatico da stress 134 133. Comorbidità e diagnosi del disturbo postraumatico da stress 135 134. L’epilessia e i disturbi neuropsichiatrici 136 135. Trattamento dell’epilessia 138 136. Epidemiologia del DOC 139 137. Eziologia del DOC 140 138. Diagnosi e trattamento del DOC 141 139. Fattori di rischio e fattori protettivi del DOC 142 140. Le epilessie 143 141. Epidemiologia e eziopatogenesi dell’epilessia 144 142. Diagnosi dell’epilessia 145 143. Epilessie parziali 146 144. Epilessie generalizzate 147 145. Terapia dell’epilessia 148 146. Paralisi cerebrali infantili 149 147. Classificazione delle Paralisi cerebrali infantili 150 148. Diagnosi, prognosie e comorbidità delle Paralisi cerebrali infantili 151 149. Trattamento delle Paralisi cerebrali infantili 153 150. Psicosi infantili 154 151. Schizofrenia 155 152. Psicosi organiche 157 153. Ritardo mentale 158 154. Nosografia del ritardo mentale 159 155. Eziologia del Ritardo mentale 160 156. Diagnosi del Ritardo mentale 161 157. Separazione e divorzio: effetti sui bambini 162 158. Somatizzazioni 164 159. Alcuni disturbi riguardo alle somatizzazioni 165 160. Trattamento delle somatizzazioni 167