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Neuropsichiatria infantile
di Anna Battista
In questo dettagliato riassunto si trovano i contenuti del manuale per il corso di
neuroscienze cognitive. In particolare, la psicopatologia infantile viene
esplorata dettagliatamente; per ogni sindrome o disturbo vengono presentati
eziologia, sintomi, criteri diagnostici e pronostici, terapia indicata. Vengono
trattate tutte le principali patologie psicologiche e psichiatriche riguardanti l'età
evolutiva.
Università: Università degli Studi di Roma La Sapienza
Facoltà: Psicologia
Esame: Neuroscienze cognitive e riabilitazione
psicologica
Docente: Guidetti Vincenzo
Titolo del libro: Manuali di Neuropsichiatria Infantile Vol I e Vol II
Autore del libro: Vincenzo Guidetti e Federica Galli (a cura di)
Editore: Il Mulino editore, Bologna
Anno pubblicazione: 2005
1. Esame neurologico del neonato
Spesso l’esame neurologico viene riservato ai neonati con evidente patologia cerebrale, ma ogni
bambino ha
il diritto di ricevere un esame neurologico poiché uno degli scopi di questo esame è quello di
mettere in
evidenza alterazioni che altrimenti passerebbero inosservate, soprattutto in relazione alla “new
morbidity”:
infatti accanto ad una riduzione delle cerebropatie gravi è stato riscontrato un incremento delle
disfunzioni
neurologiche minori (MND), che costituiscono questa new morbidity, che si possono individuare
precocemente grazie ad un esame neurologico sistematico consentendo già dall’età neonatale un
intervento
abilitativo.
Dunque, sembrerebbe più a rischio di sfuggire ad una diagnosi precoce il bambino a termine senza
eclatanti
segni di cerebropatia, e non il bambino pretermine, al quale di routine viene fatta
l’ecoencefalografia.
L’esame neurologico del neonato è costituito da una serie di item.
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2. Primo item dell'esame neurologico del neonato: gli stati
comportamentali e il loro controllo
E’ importante annotare e tenere costantemente sotto controllo lo stato comportamentale: essi
rappresentano
la prima valutazione da eseguire in quanto tutti gli item successivi hanno espressioni diverse a
seconda dello
stato comportamentale in cui il bambino si trova.
Sono disponibili due classificazioni degli stati comportamentali: quella di Precht e Beintema del
1964 e
quella di Brazelton del 1973.
La maggior parte delle valutazioni esige la presenza di uno stato di veglia (stati 3-4) per il cui
mantenimento
sono utili alcuni accorgimenti che riguardano:
- la distanza dal pasto (1ora e mezza/2): evitare che il bambino sia agitato per la fame o abbia
sonnolenza
post-prandiale;
- la temperatura dell’ambiente (25° C circa): evitare che la sensazione di freddo scateni il pianto o
incrementi il tono muscolare;
- l’illuminazione dell’ambiente (buona e diffusa): evitare la presenza di forti sorgenti luminose
situate
asimmetricamente che potrebbero attrarre l’attenzione del neonato;
- l’ordine degli item da valutare: meglio somministrare per primi gli item meno disturbanti e
stressanti e per
ultimi quelli più fastidiosi: il contrario può essere fatto per portare il neonato da uno stato di sonno
(1-2) ad
uno stato di veglia (3-4).
E’ possibile usare delle manovre di risveglio in caso di sonno o sonnolenza, che devono essere dolci
e
costituite da stimoli vocali, o delle manovre calmanti nel caso di persistenza nello stato 5 (pianto),
che hanno
una loro gradualità: dialogo verbale, prenderlo in braccio, cullarlo, prenderlo in braccio inclinato in
avanti di
circa 30° e imprimendo lente oscillazioni ritmiche e parlargli dolcemente in maniera scandita e
camminare.
La capacità di controllo degli stati comportamentali si valuta alla fine dell’esame neurologico
tenendo conto
della facilità/difficoltà manifestate dal neonato a mantenere spontaneamente gli stati 3/4, quindi
della
necessità sporadica/continua dell’intervento dell’operatore e infine dell’impossibilità a mantenere
uno stato
ottimale (3/4) per l’esame, nonostante l’intervento dell’esaminatore.
Il controllo degli stati viene definito:
- ottimo: quando una volta svegliato il neonato mantiene spontaneamente uno stato di veglia 3/4 per
tutta la
durata dell’esame;
- buono: quando ha meno di 5 piccoli periodi di agitazione e/o pianto che comunque supera
autonomamente;
- discreto: quando ha meno di 5 piccoli periodi di agitazione e/o pianto che supera in parte o in toto
solo con
l’intervento dell’esaminatore;
- insufficiente: quando ha più di 5 piccoli periodi di agitazione e/o pianto che supera in parte o in
toto solo
con l’intervento dell’esaminatore;
- cattivo: quando ha più di 5 piccoli periodo di agitazione e/o pianto che in parte o in toto non riesce
a
superare nemmeno con l’aiuto dell’esaminatore e comportano la sospensione dell’esame.
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3. Secondo item dell'esame neurologico del neonato: la
habituation:
stimolo luminunoso e stimolo acustico
La habituation è una delle più elementari forme di apprendimento dell’essere umano: la
somministrazione di
uno stimolo ad intervalli regolari determina nel neonato un decremento delle risposte, fino alla loro
scomparsa, poiché lo stimolo agli occhi del bambino perde l’aspetto di interesse. I bambini con una
buona
habituation hanno buone capacità di apprendimento e sono più intelligenti di quelli con una cattiva
habituation.
Essa è stata studiata per uno stimolo luminoso e per uno stimolo acustico:
in entrambi i casi, l’habituation (assenza di risposta per due stimoli consecutivi) è buona se si
verifica entro
il 6° stimolo, ridotta se si verifica tra il 7° e il 12° stimolo, e assente se non si realizza entro il 12°
stimolo.
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4. Terzo item dell'esame neurologico del neonato - la postura
Quando si parla di postura si intende riferirsi alla postura prevalente: il neonato infatti durante lo
stato di
veglia non giace immobile ma si muove e cambia configurazioni posturali, tuttavia è comunque
possibile
individuare una postura prevalente.
La postura viene abitualmente valutata in:
-posizione supina: è caratterizzata dallo schema flessorio: arti superiori ed inferiori flessi e la testa
ruotata da
un lato con appoggio occipito-parietale; nel bambino pretermine, a causa dell’ipotonia dei muscoli
rotatori
del collo, la testa è molto più ruotata e l’appoggio avviene sul temporale e sulla guancia;
-posizione prona: è caratterizzata dallo stesso schema flessorio della posizione supina: gli appoggi
sono sui
gomiti, ginocchia e metà inferiore del piano anteriore, la testa è periodicamente alzata e/o ruotata
per
liberare le vie respiratorie
- posizione in braccio alla madre: la postura è strettamente connessa con la comunicazione diadale
mediante
vari meccanismi che sono il dialogo face-to-face, il dialogo corporeo e il sincronismo posturale.
Il dialogo face-to-face si determina quando la madre ha in braccio il bambino ed entra in
comunicazione con
lui agganciando il suo sguardo oltre che sorridendo e parlando: in questo caso il corretto controllo
posturale
consente un incremento dell’attenzione e una collaborazione al mantenimento di una posizione
adeguata
della testa, invece anomalie posturali ostacolano in maniera più o meno grave la comunicazione
diadale con
pesanti ripercussioni sullo sviluppo relazionale.
Il dialogo corporeo è costituito da esperienze tattili e termiche che madre e neonato si scambiano
quando i
loro corpi sono in contatto.
Il sincronismo posturale è costituito da una corrispondenza tra i cambiamenti posturali della madre
e quelli
del neonato e viceversa; se questo sincronismo è alterato la quantità e la qualità della
comunicazione diadale
risulta danneggiata.
Inoltre, la postura è funzionalmente correlata con:
- il sincronismo interattivo: quando la madre parla al neonato questi cambia ritmicamente la sua
postura,
dando la percezione di essere un partner attento e rispondente;
- l’attenzione: per i bambini grandi e gli adulti la postura che meglio sostiene l’attenzione è quella
seduta e
per il neonato è quella supina.
- e l’alimentazione: la tipica postura da suzione alimentare è caratterizzata da braccia flesse e mani
chiuse a
pugno.
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5. Quarto item dell'esame neurologico del neonato: l’attivita’
motoria - i gms e l’attività motoria fine
I GMS sono movimenti generali del corpo la cui qualità ha un valore diagnostico e prognostico.
Tutti i neonati con GMS normali hanno uno sviluppo normale ala fine del secondo anno di vita;
invece il
70% di quelli che hanno GMS anormali ha delle alterazioni dello sviluppo.
Nel neonato a termine i GMS coinvolgono generalmente tronco e soprattutto arti superiori, essi
sono
caratterizzati da: fluidità, ricca variabilità e complessità.
I GMS limitatamente anormali sono:
- i fragmented GMS, movimenti senza fluidità e costituiti da una configurazione a scatto;
- i tense GSM, movimenti senza fluidità e rigidi;
I GMS sicuramente anormali sono:
- i GMS torpidi, movimenti lenti di piccola ampiezza;
- i GMS monotonous-abrupt, movimenti bruschi, improvvisi e veloci;
- i GMS monotonous-cramped, movimenti tesi e molto rigidi che spesso provocano il pianto;
- i GMS monotonous, senza complessità e varietà, ripetizioni di un solo tipo di movimento o di una
sequenza di movimenti.
Per l’attività motoria fine si intende l’attività di reaching, ovvero tentativi di raggiungere con la
mano un
oggetto-stimolo posto nel campo di azione.
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6. Quinto item dell'esame neurologico del neonato: il tono
muscolare - passivo e attivo
Il tono muscolare passivo è rappresentato dalla proprietà dei muscoli di lasciarsi distendere.
Le alterazioni possono essere divise in ipotonie o ipertonie.
I distretti corporei principalmente valutati sono: il collo, gli arti e i cingoli superiori, il tronco e gli
arti
inferiori a livello della rotazione, della flessione, dell’estensione, ecc.
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7. Sesto item dell'esame neurologico del neonato: i riflessi
arcaici
Chiamati anche automatismi primari e sono trasmessi al neonato dal patrimonio genetico
dell’apprendimento della specie.
Il loro esame è importante in quanto eventuali anomalie sono la testimonianza di noxae (agenti
patogeni o
situazioni nocive) che hanno agito sullo sviluppo del SN interferendo sulla realizzazione di circuiti
sinaptici
programmati geneticamente.
Questi automatismi possono avere due livelli di alterazioni: nella soglia di elicitazione (soglie alte
che
richiedono una ripetizione e/o una marcata intensità dello stimolo per ottenere il riflesso arcaico,
soglie
basse in cui la risposta viene elicitata anche con stimoli molto deboli) e nella loro configurazione
(faccia:
suzione: alterazioni nella coordinazione possono comportare difficoltà alimentari; arti superiori:
prensione
palmare (grasping): mettendo un dito nella mano del neonato, questi la stringe contraendo anche i
muscoli
dell’avanbraccio e del braccio; riflesso di Moro: si prende il neonato per i polsi mentre giace supino
e lo si
solleva evitando che perda il contatto dell’occipite con la superficie di appoggio e poi si lasciano i
polsi, la
risposta consiste in movimenti e comportamenti più o meno frequenti; arti inferiori: riflesso della
marcia
automatica: il neonato viene tenuto eretto e inclinato in avanti e si determina la comparsa di 3,4,5
passi.
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8. Settimo item dell'esame neurologico del neonato: i riflessi
osteotendinei
relativi alle ossa e ai muscoli, tra i più comuni: McCarthy, i masseterini, i bicipitali, i rotulei.
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9. Ottavo item dell'esame neurologico del neonato: le funzioni
sensopercettive - visive e uditive
L’esame della funzione visiva rappresenta la più importante valutazione dell’esame neurologico: un
neonato
che presenta questa funzione normale è sicuramente esente da gravi patologie neurologiche.
Il neonato ha una funzione visiva con caratteristiche diverse da quella del bambino più grande,
infatti il
neonato per distanze comprese tra i 25 e i 35 cm ha un’abilità di mettere a fuoco limitata, a causa di
un
inadeguato sviluppo della muscolatura del cristallino e una limitata acuità visiva.
Si valutano due funzioni visive, entrambe esaminate con uno stimolo inanimato e animato:
- l’agganciamento o la fissazione visiva: essa è giudicata buona quando si instaura entro 5 sec dal
momento
in cui lo stimolo viene a trovarsi sulla linea dello sguardo del neonato e ha una durata di almeno 3
secondi;
- l’inseguimento visivo: esso è giudicato buono quando l’inseguimento dello stimolo avviene per un
arco di
circa 90°.
L’esame della funzione uditiva consiste nel valutare due tipi di risposte ad uno stimolo acustico:
- la reazione: consiste in qualsiasi attività motoria, dal semplice ammiccamento a movimenti più o
meno
ampi del corpo;
- l’orientamento: normalmente il neonato si orienta con la testa verso il lato da cui proviene lo
stimolo
acustico.
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10. Nono item dell'esame neurologico del neonato: il diario
comportamentale
L’operatore abitualmente ha la possibilità di valutare il comportamento del neonato solo durante i
20-30
minuti dell’esame neurologico, ma tale tempo non è sufficiente per indagare alcune particolari
funzioni per
cui è utile la compilazione di un diario comportamentale, ovvero una serie di domande rivolte alle
infermiere o ai genitori, o a chi si prende cura del neonato, che indagano il sonno, l’alimentazione,
il
comportamento in veglia, la reattività agli stimoli sensoriali e l’autoconsolabilità.
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11. Prima visita e colloquio clinico in psichiatria dell’età
evolutiva
Una consultazione psichiatrica in età evolutiva nasce generalmente dalla constatazione di una
difficoltà, che
spesso giunge dai genitori, direttamente o indirettamente, o su indicazione di altre figure, come gli
insegnanti. Talora, soprattutto nel caso degli adolescenti, la richiesta di un aiuto o sostegno può
partire dal
paziente stesso.
L’obiettivo della consultazione psichiatrica è “farsi un’idea clinica sul paziente, sulle sue difficoltà,
e su
come nel tempo si è arrivati alla situazione attuale”; dunque “giungere ad un quadro generale della
situazione che permetta di formulare un’ipotesi diagnostica valida.
I mezzi a disposizione per fare ciò sono: il colloquio clinico e la prima visita ambulatoriale.
La procedura deve essere adattata all’età del paziente e alla situazione; è prassi far entrare sia il
paziente che
i genitori, tranne che in adolescenza, ciò è importante perché:
- permette di raccogliere le informazioni necessarie e prendere nota eventualmente dei differenti
punti di
vista dei presenti;
- costituisce un’occasione per effettuare una prima, e informale, osservazione del paziente, dei
genitori e
delle dinamiche del nucleo familiare;
ed inoltre l’esplicita richiesta di parlare di fronte al bambino permette ai genitori di esprimere
apertamente le
loro preoccupazioni, disinnescandone l’aspetto di segreto, e mettendoli più in contatto con il figlio e
le sue
difficoltà.
Occorre spiegare a grandi linee cosa avverrà nel colloquio e rimanere recettivi e disponibili a
quanto avviene
nella stanza sul piano verbale e non.
La raccolta dei dati anagrafici, di alcune notizie sul gruppo familiare, sui genitori può essere un
buon tramite
per aprire l’incontro.
Nel caso degli adolescenti la prassi cambia, perché bisogna tener conto della specificità di questa
fase
evolutiva; è indicato offrire spazi separati: il colloquio con l’adolescente da una parte e quello con i
genitori
dall’altra; ma non devono essere 2 clinici differenti ad occuparsene, è fondamentale infatti che sia lo
stesso
clinico, in modo da potersi costruire un’impressione unitaria.
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12. Prima visita in psichiatria dell’età evolutiva
Durante la prima visita , la prima domanda da porre riguarda le motivazioni della consultazione e
cosa si
aspettano da quest’ultima; un’accurata raccolta anamnestica permette di ricostruire la storia
evolutiva del
paziente: gravidanza, parto, primi atti fisiologici, alimentazione, ritmo sonno-veglia, controllo
sfinterico,
sviluppo motorio, tappe dello sviluppo della comunicazione e del linguaggio, sia in comprensione
che in
produzione, sviluppo della socializzazione e sviluppo simbolico. Vengono presi in esame la
presenza di
eventuali patologie croniche o gravi ed il peso di quest’ultime nell’equilibrio familiare; per ogni
competenza, è necessario notare quando viene raggiunta e in che modo: se è stata oggetto di una
grossa
problematica o se tutto è svolto senza apparenti difficoltà.
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13. Colloquio clinico in psichiatria dell’età evolutiva
Il colloquio può seguire immediatamente la prima visita, se questa si è svolta in breve tempo, o può
essere
programmato come ulteriore appuntamento; se avviene il primo caso, se i genitori sono presenti,
sono
invitati ad uscire, se invece è una cosa a sé stante, il clinico si presenta e chiede al bambino di
accompagnarlo nella stanza, rassicurandolo che i genitori lo aspetteranno in sala d’attesa.
Alla fine di tutto ciò viene fatto un resoconto di questa parte iniziale, ovvero una sintesi integrata di
fattori
organici e costituzionali, stress ambientali e conflitti anteriori, che hanno nel tempo interagito tra
loro e
portato il bambino in questa condizione.
Alla fine della prima visita e del colloquio viene formulata un’ipotesi diagnostica, divisa in:
evolutiva,
ovvero una diagnosi clinica il più precisa possibile, e prognostica, ovvero un modello di patogenesi
circa le
basi e i percorsi che hanno portato a questa situazione patologica.
Al termine, bisogna prevedere un breve spazio per concludere: in questo colloquio di chiusura sono
coinvolti i genitori ed il paziente; nel caso degli adolescenti, si può avere un colloquio di chiusura
tutto per
sé; è necessario rispondere in maniera onesta, piuttosto che non dire nulla, anche in situazioni poco
chiare,
poiché il silenzio del clinico potrebbe portare a preoccupazioni.
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14. Sviluppo sensomotorio e relazionale del feto
La comunicazione tra mondo esterno e feto-neonato è un aspetto fondamentale per la maturazione
cognitiva,
psichica e sociale di quest’ultimo. Lo sviluppo delle sue competenze comunicative inizia già
nell’utero
grazie alle funzioni svolte dai vari organi di senso.
In tutti i mammiferi lo sviluppo della sensorialità segue un ordine prestabilito: dapprima si
sviluppano le
sensorialità su base chimica (olfattiva e gustativa), seguono in ordine quella cutanea, vestibolare,
uditiva e
visiva.
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15. Sviluppo della sensibilità tattile, termica e dolorifica
Il sistema tattile fetale è funzionante già a partire dalla 7° settimana e per la 20° settimana tutta la
cute e le
mucose sono responsive dal punto di vista tattile. Già nella prima metà di gestazione il feto reagisce
alla
pressione e alla temperatura di oggetti posti a contatto con la parete addominale materna e agli
stimoli
dolorosi.
L’aptonomia è la scienza del tatto che insegna ai futuri genitori a stabilire un rapporto tattile con il
feto,
mediante delle carezze e delle amorose espressioni verbali che giungono al feto attraverso la parete
addominale e uterina materna, ciò permette l’instaurarsi di un dialogo cui il feto partecipa e si crea
quindi
una vera e propria relazione tra chi sta al di qua e chi sta al di là della parete addominale e uterina; i
partner
di questo tipo di relazione non sono solo il feto e la madre, ma possono essere anche il padre, i
fratelli e altri
componenti della famiglia che così stabiliscono precoci rapporti relazionali. Con l’aptonomia la
madre
apprende a manipolare il suo feto attraverso la parete addominale e uterina in una specie di holding
intrauterina, il feto risponde ed è attratto da queste manipolazioni al punto da poter essere guidato a
viaggiare nell’utero, spostandosi dalla parte più alta o più bassa.
Lo sviluppo della sensibilità materna fetale fa sì che il liquido amniotico possa essere percepito
come una
vera e propria pelle da cui si separa al momento della nascita; questa separazione dal liquido
amniotico è la
prima tappa della separazione feto-madre al momento della nascita.
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16. Sviluppo della sensibilità vestibolare
Il sistema vestibolare è funzionante già dalla 16° settimana, mentre i nuclei vestibolari nel SNC
sono
funzionanti dalla 20° settimana. Il feto è sottoposto a numerose stimolazioni vestibolari; i
movimenti
materni seguono un ritmo circadiano e contribuiscono, insieme alle abitudini alimentari e alle
variazioni
metaboliche, a comunicare il ritmo circadiano alla vita fetale.
Quando la madre si muove, generalmente il feto è immobile, invece quando la madre si siede o si
sdraia egli
tende a muoversi, muovendosi esplora la parete uterina con le mani e con i piedi e compie le prime
esperienze tattili; lo stile della madre ha forti ripercussioni sullo sviluppo del feto, infatti quando i
periodi di
riposo della madre sono ben distribuiti nel corso della giornata anche il feto sperimenterà
un’armoniosa
distribuzione tra attività e riposo con conseguenti effetti benefici sul suo sviluppo, invece una madre
iperattiva offrirà poche possibilità al feto di esercitare un’adeguata attività motoria e questo potrà
determinare problemi di sviluppo.
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17. Sviluppo della sensibilità uditiva
Risposte a stimoli uditivi sono evidenziabili già a 12 settimane, cioè prima del completamente
dell’apparato
uditivo. La soglia uditiva diminuisce con l’aumentare dell’età gestazionale.
I suoni ad alta intensità provocano tachicardia mentre quelli a bassa intensità bradicardia fetale.
Nella cavità intrauterina, dopo giace il feto, vi è un rumore di fondo non specifico, il rumore del
battito
cardiaco materno e quello prodotto dai gas che passano nell’apparato digerente della madre.
La lunga esperienza della percezione del battito cardiaco materno lascia una traccia nella memoria
del
neonato che richiama alla mente il calore e il piacevole contatto vissuto nell’ambiente intrauterino.
Tra i rumori che penetrano nella cavità uterina vi sono quelli derivanti dall’ambiente: voce umani,
musica,
ecc, che sono poco attenuati dalla parete addominale e uterina materna se sono a bassa frequenza,
mentre più
attenuati con frequenze > 250 Hz.
La voce materna viene trasmessa attraverso i tessuti e le ossa fino all’utero, ha un’intensità intorno
ai 60 dB
e perviene al feto con una perdita di intensità di solo 8 dB, mentre le voci di altre persone hanno una
perdita
di circa 22 dB.
E’ importante sottolineare il fenomeno dell’abituazione, ovvero dell’estinzione progressiva delle
risposte, in
seguito all’apprendimento degli stimoli a tal punto da non essere più interessanti e quindi non da
non essere
più in grado di determinare risposte. Il tempo di abituazione è strettamente correlato con la velocità
di
apprendimento che è una misura di intelligenza: i feti che si abituano rapidamente sono ritenuti più
intelligenti, quelli che si abituano meno velocemente o non mostrano affatto l’abituazione sono
ritenuti
avere problemi di apprendimento o quanto meno condizioni funzionali cerebrali non ottimali.
Dunque,
l’assenza dell’abituazione o deficit possono essere indici di ritardi o anomalie dello sviluppo del
SN:
iperattività, depressione, schizofrenia, danni cerebrali, sindrome di Down.
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18. Sviluppo della sensibilità visiva
La vista è la sensibilità meno sviluppata del feto, dato che vive in un ambiente buio. Comunque già
a partire
dalla 7° settimana si ha la formazione del nervo ottico e delle cellule retiniche, infatti se si avvicina
una
lampada all’addome della donna e la si toglie dopo qualche secondo, il feto si muove e aumenta la
sua
frequenza cardiaca.
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19. I movimenti fetali
L’attività motoria può essere distinta in riflessa che compare a partire dalla 7° settimana e spontanea
a
partire dalla 7° settimana e mezzo.
I movimenti respiratori normali del feto non sono percepiti dalla madre, tranne che le energiche
contrazioni
(singhiozzi) del diaframma che si verificano al max per 4 volte in 24 ore e che durano tra 1 e 3
minuti.
Inoltre, già dalla 15 ° settimana, il feto ha un ampio bagaglio motorio: suzione, deglutizione,
stiracchiamenti, sorrisi, sbadigli, movimenti oculari, rotazioni del corpo, ecc.
Vi è un’evoluzione dei movimenti, da globali che interessano l’intero corpo, a parcellari, che
interessano
singole parti del corpo.
A partire dalla 15° settimana il feto può respirare, ma i polmoni ancora non funzionano e i
movimenti
respiratori sono molto brevi, a partire dalla 23° settimana i movimenti respiratori non sono più rari e
negli
ultimi 3 mesi essi diventano organizzati e periodici.
Nel comportamento fetale è possibile distinguere tra periodi di attività, in cui vi è attività motoria
con
incremento della variabilità della frequenza cardiaca, e di inattività o quiete, in cui vi è assenza di
movimenti
e diminuzione della frequenza cardiaca; in genere la durata dei periodi attivi è di 40 minuti, periodi
di
inattività superiori ad un’ora sono spesso associati ad un incremento della patologia fetale.
Il SN è influenzato da 2 processi: uno innato-centrifugo (genetico, sottende la moltiplicazione
neuronale e la
migrazione degli elementi dal centro alla periferia del cervello) e l’altro acquisito-centripeto
(esperienziale,
sottende la stabilizzazione della crescita cerebrale, dello sviluppo sinaptico e della morte
neuronale).
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20. Relazione prenatale a rischio
Come la madre vive, cioè come si alimenta, come riesce a gestire le proprie ansie, i problemi
economici e
personali nei 9 mesi, influenzerà moltissimo la sua relazione con il neonato e il modo in cui il suo
bambino
crescerà e svilupperà le sue capacità. Tutta la famiglia partecipa, direttamente o indirettamente, alla
relazione con il feto, ma i due partner che contribuiscono maggiormente al mantenimento di una
sana e
adeguata relazione sono
-la madre: in buone condizioni, esente da stress fisici e psicologici, felice di aspettare un bambino e
che viva
con il marito e i familiari piacevolmente questa fantastica esperienza, sia desiderosa di relazionarsi
con lui,
proteggerlo, coccolarlo e amarlo già prima della sua nascita; anche il ruolo del padre è molto
importante per
tutta la durata della gestazione: restare accanto alla moglie ed essere per lei un compagno a tutti gli
effetti;
- e il feto: sano, esente da qualsiasi malformazione, ereditaria o acquisita, in particolare del SN.
Lo stress materno determina nel nascituro ipertensione arteriosa, acidosi e bradicardia, irritabilità,
ipertonicità, iperattività, imputabili queste ultime ad alto tasso di catecolamine nel suo organismo.
Oltre alla vasocostrizione da stress, vi è anche quella da nicotina: il fumo di una sigaretta infatti
contiene
un’elevata concentrazione di anidride carbonica e ossido di carbonio che diminuiscono la
percentuale di
ossigeno nei polmoni nei suoi polmoni e quello trasferibile attraverso la placenta al feto.
bere alcolici in gravidanza può determinare la sindrome fetale da alcol caratterizzata da basso peso
alla
nascita, microcefalia e ritardo mentale.
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21. Disadattamento scolastico
L’esperienza scolastica riveste una funzione importante per il processo di crescita della persona; la
scuola
rappresenta l’ambiente extrafamiliare più significativo in cui si sviluppano diverse modalità di
condotta, altri
rapporti interpersonali e trovare negli insegnanti e nei compagni nuovi modelli di identificazione
secondaria
che favoriscono la crescita e l’autonomia personale; ma possono comunque manifestarsi
comportamenti
“disadattivi” come bullismo, violenza, abbandono degli studi, ritiro sociale e isolamento.
Il disadattamento scolastico può dipendere da molti fattori, che possono riferirsi alla sfera
individuale o
all’ambiente sociale e familiare di provenienza, spesso infatti i genitori hanno aspettative elevate
riguardo al
rendimento scolastico dei figli con il conseguente insorgere di frustrazioni, oppure possono avere
aspettative
negative sulla scuola che possono incidere sul futuro inserimento lavorativo del figlio; altri fattori di
rischio
possono dipendere dal gruppo dei pari o dagli insegnanti: alcuni pregiudizi sulle capacità dei
ragazzi
svantaggiati possono talvolta tradursi in profezie che si autodeterminano, oppure insegnanti
eccessivamente
esigenti inducono nel ragazzo alti livelli di ansia e frustrazione, disagio e malessere.
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22. Le manifestazione del disadattamento scolastico
Una delle manifestazioni più evidenti di disadattamento scolastico è l’ABBANDONO (o DROPOUT), che
si riferisce alla condizione dello studente che abbandona la scuola senza portare a compimento la
scuola
scelta. Vi sono 5 categorie di studenti che abbandonano la scuola:
1) pushout: alunni non desiderati dalla scuola che vengono attivamente allontanati da essa;
2) disaffiliated: alunni che non sono attaccati alla scuola e desiderano abbandonarla;
3) capable drop-out: alunni che non riescono a far fronte alle richieste di integrazione sociale della
scuola e
abbandonano essa nonostante le loro capacità scolastiche;
4) stop-out: studenti che interrompono gli studi per un periodo per poi ritornare nello stesso anno;
5) educational mortalities: alunni che interrompono anticipatamente gli studi.
Ma, quando si parla di abbandono scolastico, dobbiamo distinguere tra:
- ABBANDONO ESPLICITO: che si concretizza con l’uscita del soggetto dall’istituzione
scolastica;
- ABBANDONO MASCHERATO: l’allievo rimane fisicamente nella scuola, ma è disimpegnato, si
concretizza con un rendimento insufficiente nonostante le buone capacità di apprendimento, un calo
della
motivazione e una scarsa autostima; i ragazzi rimangono nel circuito scolastico solo perché costretti
dall’obbligo della frequenza o perché non vedono all’esterno, nel contesto sociale e lavorativo,
alternative
per loro significative.
Vi è poi anche l’EVASIONE, ovvero l’inadempienza all’obbligo scolastico; o l’ASSENTEISMO,
che
consiste in assenze frequenti e ripetute nel tempo: malattie croniche o marinare la scuola.
La DISPERSIONE SCOLASTICA è l’uscita anticipata dal sistema scolastico, che riguarda sia
l’evasione
che l’interruzione della frequenza senza aver conseguito nessun titolo.
Tutti questi esiti negativi possono essere attenuati da fattori di prevenzione, che hanno una funzione
protettiva degli equilibri psichici e comportamentali di un soggetto, soprattutto quando si trova ad
affrontare
eventi stressanti. Questi fattori protettivi devono far riferimento a 4 aree:
1) autostima, fiducia nell’efficacia delle proprie azioni e maggior livello di considerazione
personale;
2) autocontrollo, dei propri impulsi e rimandare la gratificazione e il soddisfacimento dei bisogni;
3) aspettative ottimistiche, fiducia nel futuro, atteggiamento indirizzato al successo;
4) capacità di interazione sociale, mantenere relazioni positive, mostrando capacità di adattamento e
flessibilità
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23. Disturbi del sonno
La macrostruttura del sonno è costituita da 5 stadi: 4 NREM e 1 REM, i quali si alternano
ciclicamente ogni
90 minuti nel corso della notte.
Il ciclo sonno-veglia è regolato da complesse interazioni neuronali a livello del diencefalo e del
tronco e
coinvolge diversi neurotrasmettitori ( serotonina, noradrenalina, dopamina, acetilcolina e altri
peptidi); esso
subisce, dal periodo fetale fino all’età adulta, diverse variazioni, come la riduzione della quantità di
sonno
totale, con diminuzione del sonno REM a favore della veglia, invece il sonno NREM rimane
pressoché
costante.
I disturbi del sonno vengono distinti in 4 categorie diagnostiche:
1) DISSONNIE: consistono in disturbi di inizio e mantenimento del sonno o insonnia, e disturbi di
eccessiva
sonnolenza; vengono distinti in: disturbi del sonno intrinseci, estrinseci e disturbi del ritmo
circadiano;
2) PARASONNIE: consistono in tutti quei disturbi del sonno che non causano insonnia o
sonnolenza diurna;
3) DISTURBI DEL SONNO ASSOCIATI A PATOLOGIE MEDICHE E/O PSICHIATRICHE;
4) DISTURBI DEL SONNO ANCORA OGGETTO DI STUDIO E DI DEFINITIVA CONFERMA
DIAGNOSTICA.
Si definisce “insonnia” in età evolutiva, la presenza per minimo 3 notti a settimana, per almeno 3
settimane,
di uno dei seguenti sintomi:
- 45 minuti di latenza del sonno;
- risvegli notturni con almeno 30 minuti per riaddormentarsi;
- risvegli precoci.
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24. Insonnia nel primo anno di vita
I bambini piccoli possono svegliarsi spesso nel corso della notte, ma uno dei fattori chiave per
determinare
se un bambino con risvegli notturni soffra di insonnia è la sua incapacità di riaddormentarsi
autonomamente
senza l’intervento dei genitori, questi ultimi, intervenendo continuamente ad ogni minimo richiamo
del
bambino, tendono inconsciamente a rinforzare il disturbo.
Nella prima infanzia sono normali 1 o più risvegli, alcuni bambini non chiamano e vengono definiti
autoconsolatori, altri invece chiamano e vengono definiti segnalatori. Fra questi 2 gruppi di
bambini, la
differenza non sta nell’organizzazione del sonno, ma nel modo in cui i genitori gestiscono
l’addormentamento: i bambini autoconsolatori vengono dai genitori messi nella culla ancora svegli,
permettendo loro di addormentarsi da soli, invece i bambini segnalatori vengono messi dai genitori
nella
culla già addormentati.
Disturbo di inizio del sonno per associazione: si verifica quando l’addormentamento è impossibile
se non in
presenza di certi oggetti o circostanze; i bambini hanno risvegli normali ma sono incapaci di
riaddormentarsi
da soli se non vengono ripristinate le condizioni iniziali dell’addormentamento; questo disturbo è
molto
frequente al di sotto di un anno e tende a scomparire intorno ai 3/4 anni; l’approccio terapeutico
prevede la
graduale eliminazione delle associazioni errate;
Sindrome da eccessiva ingestione notturna di fluidi: si caratterizza per la presenza di risvegli
multipli con
incapacità di riaddormentarsi senza bere almeno 350 ml di liquidi; la terapia consiste nel rimuovere
gradualmente l’associazione alimentazione/sonno ( in genere dopo i 6 mesi il bambino non ha più
bisogno di
pasti notturni); nel ridurre progressivamente la quantità di liquido nel biberon nel primo giorno a
metà, nel
terzo giorno ad un quarto, fino a lasciarlo quasi vuoto; nel sostituire ogni tanto il biberon con il
ciuccio; e
nell’evitare di somministrare tisane o liquidi con sostanze zuccherate;
Coliche dei primi 3 mesi: i bambini con questo disturbo tendono ad avere un sonno diurno
irregolare ma
breve; sembra che il 90% dei bambini di 9 mesi con risvegli notturni, abbiano sofferto di coliche nei
primi 3
mesi, e che siano particolarmente sensibili alle irregolarità del ritmo sonno-veglia con difficoltà a
ristabilire
tale ritmo a causa anche dell’incapacità da parte dei genitori di praticare una corretta igiene del
sonno;
Insonnia da allergia alimentare: è un disturbo di inizio e mantenimento del sonno determinato da
una
risposta allergica ad un alimento; dopo la rimozione dell’allergene alimentare si verifica una
normalizzazione del sonno immediata o entro 4 settimane; sul piano clinico devono essere presenti i
seguenti sintomi: risvegli, agitazione psicomotoria, sonnolenza diurna, difficoltà respiratorie,
irritazione
cutanea (eczema), disturbi gastrointestinali.
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25. Insonnia da un anno all’età scolare
Disturbo da inadeguata definizione del limite: si caratterizza per la difficoltà da parte dei genitori a
stabilire
delle regole al momento dell’addormentamento e a farle rispettare, con conseguente rifiuto da parte
del
bambino di andare a letto ad un orario determinato o di rimanerci tutta la notte;
Insonnia da cause psicologiche e paure dell’addormentamento: le paure dell’addormentamento sono
causate
da un fallimento o da un’alterata acquisizione da parte del bambino della capacità di gestire l’area
transizionale del passaggio veglia-sonno.
INSONNIA IN ADOLESCENZA: a questa età, l’insonnia è legata alla cattiva igiene del sonno,
rappresentata da: orario di addormentamento dopo le 23, orario di risveglio dopo le 8, sonnellini
diurni,
schemi irregolare di sonno, assunzione di sostanze eccitanti.
Per quanto riguarda la terapia dell’insonnia in età evolutiva, si prevede l’applicazione di principi di
igiene
del sonno e tecniche comportamentali, ma quando le semplici regole non sono efficaci, si ricorre ad
interventi farmacologici; comunque non bisogna attendere che il disturbo si cronicizzi prima di
somministrare il farmaco.
Le categorie farmacologiche utilizzate sono:
- derivati antistaminici; - benzodiazepine; - antidepressivi triciclici; - imidazopiridine; - menatonina.
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26. Parasonnie
Le PARASONNIE sono un gruppo di disturbi eterogenei associati al sonno che si verificano in
maniera
sporadica durante la notte, senza che venga alterata in maniera significativa la normale struttura del
sonno.
Disturbi dell’arousal: il processo che si trova alla base di questi disturbi è un risveglio incompleto;
l’episodio si caratterizza per la presenza di comportamenti di diverso tipo, come: dispercezione,
mancata
responsività ambientale, alta soglia al risveglio, confusione, disorientamento, amnesia retrograda,
ecc.
Di solito si verifica un solo evento per notte che insorge nella prima parte della notte.
Movimenti ritmici del sonno: sono movimenti ritmici ripetitivi e stereotipati che interessano
prevalentemente la testa ed il collo o l’intero corpo, ricorrono ad intervalli regolari di 10-120 sec e
durano in
media 1-15 min o persistono per quasi tutta la notte. L’esordio è tra i 6 e i 9 mesi e scompaiono
intorno ai 2
anni, se persistono si riscontrano in bambini con ritardo mentale o autismo.
Crampi notturni: dolori o tensione muscolare a livello degli arti e prevalentemente delle sedi distali
degli arti
inferiori; il dolore può svegliare il bambino, sono più comuni nella seconda infanzia.
Paralisi del sonno: periodo di impossibilità di compiere movimento volontari, compare all’inizio del
sonno
e/o dopo il risveglio; il bambino è cosciente e vigile, ma si sente paralizzato; gli attacchi durano
qualche
minuto e terminano spontaneamente, occasionalmente possono essere fermati dal bambino
muovendo
rapidamente gli occhi, oppure possono essere bloccati da stimoli tattili.
Enuresi notturna: è caratterizzato da una o più minzioni involontarie in un mese, durante il sonno, in
bambini di età superiore a 5 anni; gli episodi avvengono in tutte le fasi del sonno, in un qualsiasi
momento
della notte.
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27. Disturbi del ritmo circadiano
La funzione del ritmo circadiano è quella di fornire una precisa regolazione temporale del
comportamento e
dei processi fisiologici per un adattamento ambientale. In condizioni normali il nostro ritmo è
strutturato in:
a) una fase di attività tra le 5 e le 8 del mattino; b) una fase di riduzione di attività con diminuzione
delle
performance fisiche tra le 11 e le 14; c) una nuova fase di elevata vigilanza tra le 17 e le 20; d) una
fase di
estrema riduzione della vigilanza e dell’attività tra le 23 e le 5 del mattino.
Esistono dei generatori interni dell’oscillazione sonno-veglia, che vengono sincronizzati da segnali
ambientali quali il ritmo luce-buio, i ritmi sociali e gli orari dei pasti.
Esistono però differenze interindividuali che determinano le cosiddette tipologie circadiane del
“gufo” e
dell’”allodola”: le allodole vanno a dormire presto e si svegliano presto, mantenendo un livello di
attenzione
massima nelle prime ore del mattino, mentre i gufi vanno a dormire tardi e si svegliano tardi e sono
più attivi
la sera.
Tali disturbi sono inseriti nel gruppo diagnostico delle dissonnie e nei bambini sono rappresentati
dalle
seguenti tipologie:
Sindrome da fase di sonno anticipata: si verifica nei bambini molto piccoli e tende a scomparire con
la
crescita quando le attività serali mantengono la veglia, ritardando l’orario di addormentamento. La
terapia
consiste nel posticipare l’intera fase di sonno, ritardando progressivamente l’orario di
addormentamento di
30-60 minuti per notte ogni 7 gg, il risveglio mattutino invece deve restare spontaneo; l’esposizione
ad un
ambiente intensamente illuminato nelle prime ore della sera può aiutare a ritardare il momento del
sonno.
Sindrome da fase di sonno posticipata: consiste in uno slittamento verso le ore notturne del normale
orario di
addormentamento, con un orario di risveglio ritardato. La terapia consiste in un’anticipazione lenta
e
progressiva dell’orario di addormentamento di 15 minuti al giorno, se lo slittamento è solo di 3 ore
a notte;
se invece lo slittamento è superiore alle 4-5 ore, è bene ritardare l’addormentamento di altre 2-3 ore
fino a
saltare una notte.
Pattern irregolari del ritmo sonno-veglia: si tratta di bambini che durante il giorno non ricevono
segnali
regolari, come luce, buio, orario dei pasti, orario di addormentamento, interazioni sociali, ecc.
Sono presenti, dal punto di vista clinico, difficoltà di addormentamento, risvegli notturni, risveglio
precoce,
sonnolenza diurna, disturbi comportamentali.
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28. Disturbi respiratori nel sonno
Russamento primario: si caratterizza per la presenza di suono vibratorio emesso dalle alte vie
respiratorie
nella notte; è essenzialmente legato all’ipertrofia adenotonsillare; circa ¼ svilupperà poi una
sindrome delle
apnee ostruttive.
Sindrome delle apnee ostruttive: è determinata dalla presenza di episodi di ostruzione delle vie
aeree
superiori completa/parziale/prolungata durante il sonno. Non esiste un pattern fenotipico
caratteristico:
alcuni bambini sono obesi e altri sono magri; alcuni hanno un serio disturbo respiratorio ma senza
ipertrofia
adenotonsillare e altri invece presentano enormi adenoidi e tonsille; ecc.
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29. Disturbi da eccessiva sonnolenza
Si presentano solitamente in adolescenza e solo occasionalmente in età scolare.
Narcolessia: è un disturbo che dura tutta la vita. I sintomi consistono in:
a) sonnolenza diurna: questi bambini hanno grandi difficoltà nel risveglio mattutino e si
addormentano più
volte al giorno durante attività monotone; vi sono pure episodi di microsonno di 1-10 secondi che
possono
passare inosservati in quanto il bambino ha gli occhi aperti, lo sguardo assente, parla ma dice parole
fuori
contesto e risponde lentamente o in modo inappropriato alle risposte;
b) cataplessia: perdita improvvisa del tono muscolare o tremore delle gambe o arresto dell’eloquio;
c) allucinazioni ipnagogiche: visive e uditive, nel momento dell’addormentamento;
d) paralisi del sonno: compaiono prevalentemente al risveglio, sono temporanee e completamente
reversibili, possono essere bloccate da stimoli tattili o da scuotimento da parte di altre persone, da
movimenti oculari rapidi.
Ipersonnie: consiste in una grave sonnolenza con prolungati periodi di sonno notturno ed episodi
NREM
diurno. A volte l’ipersonnia può essere un sintomo di patologie neurologiche o psichiatriche, si
riscontra in
aumento della pressione intracranica, traumi cranici, malnutrizione, anemia, ecc.
Vi sono poi i “lungo dormitori congeniti” che dormono un numero di ore > a quello previsto per
l’età, senza
presentare disturbi; la sonnolenza compare quando il sonno viene ridotto da impegni sociali e in
adolescenza, a causa delle pressioni e delle esigenze tipiche di questo periodo. Tali soggetti hanno
un tempo
di sonno totale di almeno 2 ore in più alla media per l’età.
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30. Disturbo bipolare
Si caratterizza per comportamenti maniacali e depressivi, che alternandosi in modo ciclico, incidono
sul
funzionamento complessivo del paziente, oltre che sulla percezione e cognizione della realtà che lo
circonda. Nel DSM-IV e nell’ICD-10 la depressione e i disturbi maniacali costituiscono la categoria
nosografica dei disturbi dell’umore.
Le caratteristiche cliniche della mania sono opposte a quelle della depressione, infatti
l’abbassamento del
tono dell’umore della depressione, il rallentamento motorio e la bassa autostima equivalgono nella
mania ad
innalzamento del tono dell’umore, euforia, fuga delle idee, iperattività motoria e grandiosità; ma,
malgrado
questi sintomi primari siano speculare, i sintomi secondari, come irritabilità, rabbia, insonnia e
agitazione,
sono condivisi in entrambe le sindromi. Ma abbiamo anche una terza dimensione in cui i sintomi
secondari
tendono a prevalere sui primari, abbiamo quindi uno “stato misto” in cui depressione e mania
sembrano fuse
insieme.
Nella sua forma lieve, la mania è definita ipomania, e rappresenta uno stato maniacale più sfumato e
con
episodi di breve durata (2-4gg); per convenzione, tutti i pazienti con sintomatologia maniacale, in
tutte le
sue varianti, sono considerati all’interno del Disturbo Bipolare.
Le dimensioni sintomatologiche della mania sono:
1) DISTURBI DELL’UMORE: fenomenologia clinica della mania è opposta a quella osservabile
nella
depressione: euforia, gioiosità, ipergestualità, estrema facilità al riso, eccessivo ricordo a doppi
sensi verbali;
le emozioni tendono ad alternarsi e sovrapporsi: riso e pianto, gioia e rabbia, estroversione e ostilità,
ecc;
2) ACCELERAZIONE PSICOMOTORIA: nella mania vi è un aumento dell’attività psicomotoria; i
processi di pensiero appaiono accelerati: il paziente può parlare talmente veloce o con rapide
associazioni di
significato da rendere difficile cogliere il senso e la finalità del discorso; i comportamenti sono
impulsivi,
disinibiti e con estrema facilità a cogliere il senso del limite, alta distraibilità, perdita della capacità
del senso
economico;
3) DISTURBI VEGETATIVI: iposonnia: il paziente sperimenta il minor bisogno di sonno;
disinteresse per
il cibo e significativo aumento nel coinvolgimento e nei comportamenti sessuali;
4) DISTORSIONI COGNITIVE: il paziente vive in una dimensione dove l’autostima e
l’onnipotenza
appaiono grandiose.
Sia Il DSM-IV che l’ICD-10 inseriscono la mania e la depressione nei disturbi dell’umore; il DSMIV
inoltre classifica diverse forme di mania e divide 3 tipi di disturbo bipolare:
1) DISTURBO BIPOLARE I: il sintomo cardine in questo sottotipo è la maniacalità, accompagnato
da
almeno un episodio con disturbo dell’umore; esordio adolescenziale, durata dei sintomi di almeno
una
settimana, umore euforico o irritabile, e almeno 3 dei classici sintomi della mania (fuga delle idee,
grandiosità, iposonnia, distraibilità, ecc;
2) DISTURBO CICLOTIMICO: esordio prima dei 21 anni; è caratterizzato dall’alternarsi di cicli
numerosi
ma brevi, a sintomatologia depressiva e ipomaniacale, con rari periodi di umore normale: tipici sono
gli
episodi in cui il paziente va a dormire di buon umore e si sveglia con intensi pensieri suicidari;
3) DISTURBO BIPOLARE II: il sintomo cardine sono gli episodi ipomaniacali, in cui i sentimenti
maniacali sono più soft, ovvero senza la gravità e la pervasiva disabilità della mania.
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31. Il disturbo bipolare in età pediatrica
In età pediatrica è possibile diagnosticare un DB con caratteristiche simili, ma non identiche, a
quelle
dell’adulto: il DB in età pediatrica differisce da quello adulto nella fenomenologia, nel corso e nella
risposta
al trattamento; è proprio ciò che rende difficile la diagnosi; infatti i sintomi primari della mania,
come
grandiosità, impulsività, capricciosità, iperattività motoria, fuga delle idee, ecc rappresentano
condizioni
mentali normali nei bambini, infatti ciò che è sintomo nell’adulto, può non esserlo nel bambino;
diverso è il
discorso quando si parla dell’età adolescenziale, periodo con i tassi più alti di incidenza (15-20
anni); il
primo episodio del DB infatti tipicamente è durante l’adolescenza.
in età prepuberale vi sono alti tassi di comorbidità: ADHD; DOP(disturbo oppositivo provocatorio),
DC e i
disturbi ansiosi; ciò rende molto difficile la diagnosi.
I fattori genetici sono coinvolti come fattori causali nel 60% dei pazienti adulti con DB; quale sia la
modalità di ereditarietà non è chiaro, ma è probabile che la maggior parte dei DB coinvolga
meccanismi
genetici complessi che interagiscono con fattori ambientali.
Per i bambini figli di almeno un genitore con DB, il rischio è 4 volte > rispetto ai figli di genitori
non affetti.
Il trattamento di più farmaci è il migliore: regolatori dell’umore spesso associati a farmaci
antipsicotici; l’so
di antidepressivi associati agli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI).
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32. Encefaliti
Con il termine “encefalite” si indica l’interessamento, unifocale o multifocale, del SNC nel corso di
malattie
infettive provocate da batteri, virus, funghi, sostanze tossiche, ecc.
Tra le encefalite virali, possono essere distinte le encefaliti a trasmissione interumana (serbatoio
umano) o a
serbatoio animale.
I sintomi possono essere raggruppati in:
1) sintomi di infezione;
2) sintomi meningei;
3) sintomi di alterazione dell’encefalo, del midollo spinale o di entrambi.
Distinguiamo:
- l’encefalite ermetica: nel periodo prodromico si possono avere: febbre, malessere, infezione delle
vie
aeree; l’esordio è brusco con febbre, cefalea, allucinazioni, turbe comportamentali, perdita di
memoria, crisi
convulsive; frequente è l’evoluzione verso il coma;
- e l’encefalite postmorbillosa: malattia ad andamento progressivo che interessa i bambini con età
superiore
ai 4 anni e gli adolescenti al di sotto dei 18 anni e che colpisce prevalentemente il sesso maschile; è
una
malattia che interessa tutto il cervello (sostanza bianca e sostanza grigia); l’esordio è brusco senza
che nel
decorso precedente vi fosse nulla che potesse far presagire l’imminente complicazione. Il quadro
clinico
esordisce con un mutamento della personalità, deficit della memoria e deterioramento intellettuale;
nella
seconda parte della malattia subentra l’incoordinazione motoria, ed infine il coma, la rigidità
muscolare e i
disordini neurovegetativi; l’esito della malattia è letale.
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33. Complesso TORCH
E’ l’acronimo di Toxoplasmosi, Other Rosolia, Cytomegalovirus, Herpes: queste malattie
costituiscono una
delle principali cause di mortalità e morbilità perinatale, ma sono tutta prevedibili efficacemente.
La TOXOPLASMOSI: è una malattia infettiva causata dal toxoplasma gondii che è largamente
diffuso in
natura e con riserva animale. Penetra attraverso l’apparato digerente e si insedia stabilmente
nell’ospite
umano.
Anna Battista Sezione Appunti
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34. Il cytomegalovirus
Causa infezioni diffuse e prive di sintomi; le persone infettate, nonostante la presenza di anticorpi,
per lungo
tempo eliminano il virus con la saliva e l’urina. Il virus può anche essere presente nelle feci, nel
liquido
seminale e nelle secrezioni vaginali.
Questo tipo di infezione, in gravidanza, può essere trasmesso dalla madre al feto, attraverso il
sangue che
attraverso la placenta porta il virus dalla madre al feto, o attraverso il canale del parto o, nelle prime
settimane di vita, tramite l’allattamento al seno. L’infezione colpisce maggiormente feti nel primo o
secondo
semestre, ma il contagio al bambino si calcola che avvenga solo nel 30-40% dei casi.
I sintomi clinici possono essere: ritardo di crescita intrauterino, anemia emolitica, ernia inguinale;
ecc; i
sintomi neurologici possono essere: crisi convulsive e microcefalia.
Raramente la malattia è progressiva, ma si può osservare un deficit uditivo progressivo durante
l’infanzia e
può essere dimostrata la presenza di un virus nelle urine nel 50% dei bambini a 5 anni di età. I
bambini
infetti possono sviluppare ritardi di sviluppo, come: deficit neuromotori, ritardo mentale, alterazioni
di vista
e perdita di udito.
Anna Battista Sezione Appunti
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35. La rosolia
E’una malattia infettiva contagiosa, benigna, caratterizzata da esantema maculo-papuloso,
linfoadenopatia
occipitale e febbre. In gravidanza determina l’aborto o la comparsa di malformazioni caratteristiche
o una
malattia sistemica evolutiva.
In gravidanza il virus, infatti, attraversa la barriera placentare e raggiunge il feto; l’infezione fetale,
avviene
entro 5 gg dall’infezione materna, ciò dipende dal momento dell’infezione materna: nei primi 3
mesi di
gravidanza il rischio è del 90%, diminuisce nel secondo trimestre (50%), ed è quasi inesistente nel
terzo
trimestre. Vi è il ritardo della crescita intrauterino, seguito da un arresto di accrescimento
postnatale; anche i
bambini che sembrano essere affetti meno gravemente, con la crescita mostrano deficit invalidanti
di tipo
uditivo, motorio, comportamentale e di apprendimento. I disturbi motori e del tono sono spesso
seguiti da
compromissione della coordinazione e di debolezza muscolare.
Anna Battista Sezione Appunti
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36. L’immunodeficienza umana da HIV
E’ un problema enorme per la salute pubblica a causa dell’alto numero di donne infette in età
riproduttiva.
Il quadro epidemiologico italiano delinea 2 tipi femminili: quello che si è infettato per
tossicodipendenza
alcuni anni prima e quella con infezione eterosessuale; nel primo caso la malattia è sintomatica, nel
secondo
caso l’infezione è latente e spesso non riconosciuta, non dà sintomi neurologici nel periodo
neonatale, ma è
importante per la sequele e per la mortalità a distanza di tempo.
L’HIV è un retrovirus a RNA, che può essere trasmesso da una madre infetta al feto durante la
gravidanza o
al neonato durante il parto. Nel periodo neonatale non appaiono segni neurologici di infezioni da
HIV,
invece essi sono evidenti tra il secondo mese e il quinto anno di vita. I neonati con virus HIV
presentano una
circonferenza cranica di 1 cm più piccola dello standard.
Nonostante la capacità del virus di raggiungere la placenta, sin dal primo trimestre, non si osserva
un
aumento della percentuale di malformazioni, aborti o ritardo di crescita endouterina rispetto a quella
delle
gestanti sieronegative.
I segni maggiormente presenti sono quelli di una encefalopatia progressiva o non progressiva;
quella
progressiva è più grave, caratterizzata da demenza, minor crescita del cranio, deficit motori di tipo
spastico e
meno frequentemente deficit extrapiramidali e cerebellari.
il miglior modo per prevenire l’infezione fetale è prevenire e curare l’infezione materna; bisogna
trattare la
mamma in età riproduttiva con una dose di antivirali tali da ricoprire il periodo della trasmissione
maternofetale,
cioè preconcezionale, periparto e postparto.
Il taglio cesareo è un’altra forma di prevenzione, così come la pulizia del canale cervicale con
agenti
antisettici e viricidi.
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37. Mutismo elettivo
O mutismo selettivo, caratterizzato dall’assenza di linguaggio in alcune situazioni, in bambini che
invece
parlano correttamente in altre.
L’esordio è intorno ai 6 anni, quando il bambino generalmente fa il suo ingresso nella scuola, ed è
rilevato
dagli insegnanti a causa dello scarso o nullo apprendimento.
Il fatto che il bambino abbia cominciato a parlare tardi, non è stato segno di preoccupazione per i
genitori,
né considerano una patologia il fatto che il bambino non parli davanti agli estranei, per cui esso è
raramente
diagnosticato, anche se poi ad un’accurata anamnesi si rilevano nel bambino già a 3 anni, gli
indicatori di
una sofferenza quali:
- disturbi del sonno e difficoltà nell’addormentamento;
- difficoltà nell’alimentazione;
- paura degli estranei;
- ansia di separazione;
- timidezza eccessiva.
Distinguiamo due tipi dii mutismo:
1) mutismo elettivo primario: precoce, il bambino, pur sapendo parlare, non ha mai parlato;
2) mutismo elettivo secondario: il bambino, che dopo aver parlato in tutte le situazioni, smette di
parlare.
Il mutismo elettivo impedisce la comunicazione e dunque la socializzazione, tappa indispensabile
per lo
sviluppo della personalità; anche l’aspetto fisico viene alterato: volto rigido e tirato per la mancanza
d’uso
della mimica facciale, labbra serrate e rigide, occhi spenti, movimenti lenti, tendenza
all’isolamento.
Anna Battista Sezione Appunti
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38. I criteri diagnostici del mutismo
I criteri diagnostici del mutismo
1) incapacità di parlare in specifiche situazioni sociali, nonostante parli in altre;
2) interferenza dell’anomalia nel rendimento scolastico o lavorativo o con la comunicazione sociale;
3) durata dell’anomalia di almeno 1 mese;
4) l’incapacità di parlare non è dovuta al fatto che non si conoscano gli interlocutori o non si è a
proprio
agio;
5) l’anomalia non è ricondotta ad un disturbo della comunicazione e non si manifesta come sintomo
di uno
sviluppo generalizzato dello sviluppo, di schizofrenia ecc.
Il mutismo è ricondotto alla relazione madre-bambino: è da qui che nasce il linguaggio; la madre
vezzeggia,
canta e il piccole le risponde; quindi per la formazione del linguaggio è indispensabile una
relazione, uno
scambio, ma se per varie ragioni, la madre non partecipa a questo scambio, il bambino cresce poco,
diventa
apatico, apprende lentamente, parla poco, risponde poco agli stimoli, ecc; e dunque questa
mancanza di
dialogo, scambio e relazione lo porterà verso il non parlare, e quando si troverà di fronte agli altri,
ad es a
scuola, non avendo appreso il meccanismo della relazione, non parlerà e si rifugerà nel mutismo
elettivo.
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39. Patologie croniche organiche
Con disturbo cronico si intende una patologia che nell’arco di almeno 6 mesi non mostra sostanziali
cambiamenti, ma un andamento lentamente progressivo. Una malattia cronica è anche definita come
un
disordine con un corso protratto che può essere fatale o presentare un’aspettativa di vita
relativamente
normale, nonostante una possibile compromissione delle funzioni fisiche o mentali. Una malattia
cronica
differisce da una malattia acuta perché: è trattabile ma non curabile, richiede lunghi periodi di
interventi
terapeutici e la responsabilità terapeutica è spesso condivisa con il paziente e con la sua famiglia.
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40. La fibrosi cistica
E’una malattia genetica autosomica (ognuno dei cromosomi che non concorre alla determinazione
genotipica del sesso); i principali sintomi fisici sono: ostruzione bronchiale cronica con conseguenti
infezioni e sintomi da malassorbimento dovuto a deficit nella produzione di alcuni enzimi
pancreatici; un
altro nome di questa malattia è MUCOVISCIDOSI, che descrive bene l’aumentata viscosità delle
secrezioni
mucose dell’organismo, che è l’origine comune di molto sintomi, inclusi quelli a carico di polmoni,
pancreas, fegato, intestino e genitali.
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41. Il diabete mellino insulino-dipendente
E’ una patologia delle cellule insulari del pancreas, caratterizzata da un deficit nella produzione di
insulina; i
bambini affetti da diabete presentano un minor rischio psicopatologico rispetto ai bambini affetti da
altre
patologie croniche. L’ansia è strettamente legata alla paura del coma iper/ipo-glicemico o delle
complicanze
vascolari tardive.
I fattori di rischio psicologici riguardano:
- il grado di deficit funzionale, che è proporzionale al rischio psicopatologico;
- il coinvolgimento di strutture cerebrali, nelle difficoltà comportamentali, sociale e cognitive;
- la natura della patologia, che influenza il decorso clinico e psicologico;
- il tipo di procedure mediche, ricoveri ospedalieri frequenti e cambiamenti sostanziali dello stile di
vita
hanno un impatto maggiore rispetto alla routine delle somministrazioni quotidiane di insulina;
- la famiglia, il bambino presenta una migliore evoluzione se la famiglia è coesa, supportiva, se la
comunicazione è aperta e chiara, ecc;
le risorse esterne, adeguate strutture di supporto medico e psicologico hanno un effetto positivo se
sono
associate a fattori personali, economici e sociali.
Le strategie di approccio in tali casi consistono innanzitutto nel pianificare un intervento e decidere
un
obiettivo, e poi:
- fornire al bambino le informazioni quando egli appare cognitivamente ed emotivamente pronto ad
accoglierle, utilizzando un linguaggio appropriato alla sua età, e ripetergli tali informazioni in
differenti
momenti e in differenti forme; evitare inoltre false promesse;
- attuare strategie cognitivo-comportamentali per identificare la fonte dello stress e comprendere
come esso
è percepito e in caso modificare sensazione ed esperienze conseguenti;
- migliorare il funzionamento sociale, in modo da determinare anche un miglioramento
dell’autostima e
delle competenze sociali;
- intraprendere, in molti casi, un percorso psicoterapeutico; terapie di gruppo per bambini con
malattie simili
può offrire un valido sostegno.
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Neuropsichiatria infantile Pagina 41 di 167
42. Sequele della nascita pretermine
Le nascite pretermine sono un importante fattore di rischio per lo sviluppo neurologico e cognitivo
del
bambino; nei pretermine vi è una maggiore frequenza di paralisi cerebrali, emorragie e ritardi
mentali
rispetto alla popolazione generale, inoltre vi sono deficit nello sviluppo cognitivo, che coinvolgono
il
linguaggio, l’integrazione visuo-motoria, la memoria, l’attenzione, l’apprendimento e che
costituiscono ciò
che oggi viene chiamata “nuova morbidità” della prematurità.
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Neuropsichiatria infantile Pagina 42 di 167
43. Intelligenza nei bambini pretermine
I bambini pretermine generalmente hanno un QI più basso; deficit dello sviluppo cognitivo sono
associati
con deficit neurologici e con deficit motori.
Nello sviluppo cognitivo dei nati pretermine giocano un ruolo fondamentale le alterazioni
metaboliche;
particolarmente importante sembra essere la perdita di ormoni placentari; l’ipotiroidismo non
trattato
conduce a ritardo mentale.
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Neuropsichiatria infantile Pagina 43 di 167
44. Linguaggio nei bambini pretermine
I nati pretermine hanno un più elevato rischio di ritardo linguistico rispetto ai nati a termine, infatti
bassi
valori di ottimalità in gravidanza, alla nascita e nel periodo neonatale correlano significativamente
con lo
sviluppo del linguaggio.
I danni cerebrali perinatali danneggiano lo sviluppo del linguaggio, infatti: i bambini con paralisi
cerebrali
hanno più frequentemente disartrie e ritardi linguistici; i nati pretermine senza emorragie cerebrali e
senza
complicanze neurologiche non mostrano ritardi linguistici durante il primo anno di vita, quelli
invece con
emorragie della matrice germinativa ed emorragie ventricolari di II grado hanno un significativo
ritardo
nello sviluppo del linguaggio espressivo, tutto ciò sottolinea l’importanza di strutture sottocorticali
nelle
acquisizioni precoci di specifiche abilità cognitive.
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Neuropsichiatria infantile Pagina 44 di 167
45. Abilità visuomotorie nei bambini pretermine
Il 50% dei nati pretermine all’età di 6 anni, mostrano difficoltà visuo-motorie.
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46. Difficoltà di apprendimento nei bambini pretermine
Nei pretermine sono molto frequenti le difficoltà di apprendimento, anche nei pretermine associati
ad
handicap multipli (fisici e/o mentali) o ai pretermine con intelligenza normale e assenza di problemi
neurologici.
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47. Lateralità e disturbi di apprendimento nei bambini
pretermine
Molto presenti nei pretermine sono la dislessia e il mancinismo, associati a lesioni del lobo
temporale. L’alta
frequenza di mancini o ambidestri nei pretermine è stata spiegata in termini di mancinismo
patologico
attribuito a danni cerebrali dell’emisfero sinistro cha hanno alterato la normale preferenza genetica
per la
mano destra. Questa maggiore compromissione dell’emisfero cerebrale sinistro nei pretermine
potrebbe
anche essere alla base delle loro ridotte capacità di lettura e di linguaggio.
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48. Memoria e attenzione nei bambini pretermine
Ritardi nei nati pretermine nello sviluppo delle capacità mnestiche e di riconoscimento, i pretermine
con
gravi complicazioni perinatali hanno tempi più lunghi di orientamento verso lo stimolo, di
abituazione e
disabituazione e una minore preferenza per la novità dello stimolo.
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49. ADHD nei bambini pretermine
I nati pretermine possono mostrare un’ampia gamma di disturbi del comportamento: ansia,
depressione,
evitamento sociale, ridotte competenze sociali, disturbi della condotta e aggressività.
Il più comune disturbo comportamentale nei nati pretermine è l’ADHD 8 deficit di attenzione,
impulsività e
iperattività). Nei soggetti con ADHD, adulti e bambini, è stato riscontrato un più basso metabolismo
del
glucosio nelle aree periventricolari e nella corteccia prefrontale.
Per giungere alla diagnosi minima di DMC (disfunzione minima cerebrale) devono essere presenti
almeno 2
delle seguenti 4 anomalie:
1) positività per segni neurologici;
2) anomalie del comportamento;
3) disturbi psicologici del tipo di quelli osservati nelle encefalopatie organiche;
4) anomalie EEG.
La presenza di soli problemi comportamentali (2) e psicologici (3) in assenza di alterati segni
neurologici (1)
o EEG (4) non consente la diagnosi di DMC.
Elevate condizioni socioeconomiche possono minimizzare gli effetti comportamentali deleteri della
prematurità, così come un basso livello socioeconomico può esacerbare le problematiche
neurologiche; per
questo i prematuri che vivono in un ambiente disagiato sono i più a rischio per ritardi dello sviluppo
e
disabilità, inoltre l’impatto dell’ambiente sullo sviluppo sembra aumentare con l’età.
Quindi i fattori neurologici sono i migliori predittori della prognosi ad 1 anno di età, ma l’ambiente
sembra
contare di più per quanto riguarda lo sviluppo cognitivo e comportamentale in età prescolare e
soprattutto
scolare.
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50. Sindrome di munchausen by proxy
L’OMS considera la SINDROME DI MUNCHAUSEN un disturbo fittizio, di cui i criteri
diagnostici sono:
- produzione intenzionale di segni e sintomi fisici o psichici (invenzioni di lamentele soggettive,
falsificazione di segni obiettivi, condizioni auto-procurate, amplificazione di condizioni mediche
preesistenti);
- che hanno come motivazione l’assunzione del ruolo di malato;
- e con l’assenza di incentivi esterni per tale comportamento (vantaggi economici, esonero da
responsabilità
legali, miglioramento del proprio benessere fisico).
La SINDROME DI MUNCHAUSEN BY PROXY o PER PROCURA, invece, è una grave forma di
ipercura per cui il bambino è sottoposto a continui ed inutili accertamenti clinici e cure inopportune
conseguenti alla convinzione errata e delirante del genitore che il proprio figlio sia malato.
E’ un disturbo fittizio per procura, di cui i criteri diagnostici sono:
- produzione intenzionale o simulazione di segni o sintomi fisici o psichici in una persona affidata
alle cure
del soggetto;
- che hanno come motivazione l’assunzione del ruolo di malato;
- e con l’assenza di incentivi esterni per tale comportamento.
Le vittime possono essere non solo bambini molto piccoli, ma anche in età scolare e adolescenti; i
problemi
possono essere: cardiovascolari, ematologici, dermatologici, muscolari, psichiatrici o
comportamentali,
gastrointestinali, metabolici, allergici, respiratori, ecc.
Il genitore abusante ha spesso avuto un training in campo medico e/o ha delle conoscenze mediche
dettagliate, che a volte creano collusioni con il personale medico o infermieristico; il genitore
abusante può
alternare una faccia premurosa e preoccupata di fronte ai medici, e assumere un atteggiamento di
distacco e
trascuratezza quando è solo con il bambino.
La sindrome può anche consistere nella deliberata omissione di medicine o cure per un bambino che
è
veramente malato; quindi la sindrome di munchausen by proxy non è semplicemente la
contraffazione di
una patologia, ma può consistere anche nella finta osservanza di un trattamento con lo scopo di
peggiorare le
condizioni di una malattia cronica come asma o allergia.
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51. Diagnosi differenziale della sindrome by proxy
Vi sono situazioni in cui una patologia pediatrica non rientra nella sindrome di munchausen by
proxy:
- sindrome mascherata: quando la madre falsifica o amplifica una patologia;
- medical shopping per procura: quando i bambini hanno sofferto di una grave malattia nei primi
anni di vita
e da allora vengono continuamenti sottoposti a controlli medici anche per disturbi di minima entità,
in questi
casi, il genitore tende quasi a sostituire la figura del medico;
- sindrome da indennizzo per procura: quando il bambino assume dei sintomi riferiti dal genitore, in
situazioni in cui è previsto un indennizzo economico; i sintomi variano a seconda delle conoscenze
mediche
del genitore; la motivazione è esclusivamente il risarcimento e i sintomi scompaiono una volta che
esso è
ottenuto.
E’ importante andare oltre e scavare nella psiche della madre, la quale non ha intenzione di nuocere
i figli,
ma questi comportamenti esprimono un estremo bisogno di protezione ed attenzione per sé;
affinché si
verifichi la sindrome di Munchausen per procura, è necessaria la collaborazione di tutto il sistema
familiare:
spesso questi genitori sono persone con bassa autostima, difficoltà nei rapporti interpersonali e forte
diffidenza nei confronti delle novità. Quando questi due soggetti creano una famiglia, la nascita del
figlio
rappresenta un riconoscimento sociale, per cui la comunicazione intrafamiliare comincia ad essere
totalmente incentrata sul nascituro; la donna sentirà per la prima volta di avere un ruolo con la
funzione di
accudimento del figlio, per cui la sua identità comincerà a strutturarsi nell’immagine di madre
accudente che
esplica al massimo il suo ruolo nei momenti di malattia del figlio; così combatte la sensazione
interna di
vuoto assumendo il ruolo di madri devote e pronte a sacrificarsi per i figli colpiti da una malattia
rara e
difficile da individuare; questa situazione è fortemente gratificante per la madre, la paura di perdita
del ruolo
di madre farà sì che interpreterà qualsiasi spinta evolutiva del bambino come il segno di una
malattia che
solo lei potrà vedere e curare.
Secondo la teoria di attaccamento di Bowlby, questa relazione madre-bambino, porterà ad uno stile
di
attaccamento disorganizzato e disorientato, in cui il bambino si trova davanti ad un paradosso
affettivo: la
persona che lo dovrebbe accudire è la stessa che lo maltratta, gli procura malattie e poi lo soffoca
con
eccessive cure e attenzioni; a lungo andare il bambino avrà paura di essere abbandonato o rifiutato e
per
questo simulerà uno stato di malattia pur di avere cure garantite, la malattia diventerà quasi una
protezione
perché il genitore continuerà a prendersi cura di lui solo finché presenterà sintomi fisici e la
guarigione
coinciderà con l’abbandono.
Tale bambino arriva a perdere la capacità di percepire correttamente le sensazioni che arrivano al
corpo, fino
a non essere più in grado di distinguere se i suoi sintomi sono reali, immaginati da lui o indotti da
altri.; il
bambino risulta spaventato, non riconosce le proprie emozioni o evita di farle emergere.
Se l’abuso non viene tempestivamente riconosciuto e il bambino allontanato dall’ambiente
familiare, il
bambino può presentare diverse condizioni psicologiche, come difficoltà scolastiche e di
apprendimento,
assenza di interazioni sociali, patologie psichiatriche.
Ai fini del trattamento, è necessario l’allontanamento del minore dal sospetto colpevole, già così
potrebbe
verificarsi un miglioramento del bambino; inoltre bisognerebbe avvertire la Magistratura ed i servizi
sociali;
il personale medico non dovrebbe essere accusatorio nei confronti della famiglia, ma supportivo e
bisognerebbe garantire un’assistenza psichiatrica ai genitori, anche perché possono esservi seri
tentativi di
suicidio da parte della madre; inoltre bisogna agire proteggendo il bambino ed eventuali
fratelli/sorelle, al
fine di evitare ulteriori ferite che potrebbero essere procurate se si permettesse all’abusante di
continuare nel
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suo comportamento.
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52. Traumi cranici ed emorragie: emorragia extracranica
E’una lesione che riguarda diversi piani tissutali compresi tra la cute e le ossa craniche, ed è
analizzabile in
3 varietà:
- cefaloematoma: è riferito ad una regione emorragica circoscritta del cranio; la sua incidenza è
aumentata
dall’uso del forcipe ed è più frequente in figli di primipare (chi è al suo primo parto) che di
pluripare, ed è
presente nella stessa percentuale in maschi e femmine; generalmente la rottura del vaso
responsabile
dell’emorragia è secondaria ad un parto prolungato o difficoltoso. Le lesioni si risolvono
spontaneamente in
alcune settimane (2-6), al max qualche mese; a volte c’è la possibilità che si formino depositi di
calcio che
possono mantenere una certa protuberanza, la quale si riassorbe gradualmente nell’arco di qualche
mese;
- tumore da parto: è riferito ad un edema (accumulo di liquido negli spazi interstiziali dei tessuti,
che si
presentano tumefatti (gonfi)) dopo un parto eutocico ( che si espleta normalmente), dovuto alla
compressione esercitata dall’utero e dalla cervice. Appare immediatamente alla nascita, la lesione si
risolve
spontaneamente dopo il primo giorno di vita e non è necessario alcun intervento;
- emorragia subgaleale: è riferita ad un’emorragia a livello dell’aponeurosi (membrana fibrosa che
riveste i
muscoli)che ricopre lo scalpo e che connette le componenti frontali e occipitali. E’ strettamente
associata ad
un parto con forcipe. E’ una massa fluttuante che aumenta dopo la nascita, ma passata la fase acuta,
la
lesione si risolve in2-3 settimane. La diagnosi viene fatta con un esame monitorato per almeno 8 ore
dalla
nascita di tutti i neonati nati da parto distocico (parto che avviene in maniera differente da quello
normale);
bisogna inoltre misurare la circonferenza cranica e palpare la testa del neonato.
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53. Traumi cranici ed emorragie: fratture del cranio
Distinguiamo.
- frattura lineare: la sede tipica è il lobo parietale, può essere associata con complicazioni extracraniche ed
intra-craniche; non c’è una terapia specifica;
- frattura depressa: la sede tipica è il lobo parietale, è anche definita “lesione a ping-pong” ed è
associata con
l’incurvarsi verso l’interno di ossa normalmente resistenti; queste lesioni sono palpabili ma non
sono
accompagnate da nessun sintomo neurologico se non vi sono associate complicanze intracraniche.
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Neuropsichiatria infantile Pagina 54 di 167
54. Traumi cranici ed emorragie: contusioni cerebrali
E’ riferita ad una regione focale di necrosi e di emorragia che coinvolge la sostanza bianca e la
corteccia
cerebrale; può avere una localizzazione frontale, orbitale o temporale; non esiste una terapia
specifica.
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55. Traumi cranici ed emorragie: emorragie intracraniche
Distinguiamo:
- emorragia epidurale: interessa il piano tra l’osso e il periostio; una delle cause principali è la
frattura
lineare del cranio, che lede i vasi sottostanti; in base alla sede si possono distinguere altri tipi di
emorragia
intracranica:
- emorragia subdurale: causata da fattori quali: primiparità, età avanzata della madre, elevato peso
alla
nascita, canale del parto piccolo, travaglio precipitoso o prolungato; si possono avere raccolte
emorragiche:
nella fossa cranica posteriore o nella scissura cerebrale longitudinale. Possono comparire crisi
convulsive,
per la presenza concomitante di sangue negli spazi subaracnoidei; se la diagnosi e l’eventuale
intervento
chirurgico sono tempestivi, la sopravvivenza è > all’80%;
- emorragia subaracnoidea: si definisce “secondaria” quando è dovuta all’estensione di un ematoma
intracerebrale o di un’emorragia subdurale o intraventricolare; “primaria” quando il sanguinamento
ha
origine da strutture dello spazio subaracnoideo, la raccolta ematica si localizza, in genere, sopra la
convessità cerebrale e in fossa cranica posteriore; la prognosi dipende dall’entità dell’emorragia; ma
in
genere è favorevole;
- emorragia intracerebellare: può essere “primitiva” o “secondaria” all’espansione di emorragie
intraventricolari o subaracnoidee, in entrambi i casi è più frequente nel pretermine; nel nato a
termine è
spesso conseguenza di un parto traumatico, per applicazione del forcipe o estrazione podalica (il
feto alla
nascita si presenta con i piedi e non con la testa). L’esordio clinico, nel prematuro si ha a poche ore
dalla
nascita, nel nato a termine, i segni clinici possono comparire anche diversi giorni dopo la nascita;
- emorragia intraventricolare: è localizzata a livello del solco talamo-caudato, in cui la matrice
germinativa
scompare per ultima. La prognosi è strettamente correlata all’eziologia e all’eventuale concomitante
danno
parenchimale.
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56. Incidenza, origine e diagnosi di emorragia
INCIDENZA DELLE EMORRAGIE:
Negli ultimi anni si è assistito ad una diminuzione dell’incidenza delle emorragie secondarie a
lesioni
traumatiche, grazie al miglioramento delle pratiche ostetriche, invece sono aumentate le lesioni
legate alla
prematurità, come l’emorragia peri-ventricolare: nel pretermine, l’emorragia può avvenire anche
quando il
parto è stato normale, senza alcun trauma apparente, per ragioni legate alla prematurità.
L’applicazione della
terapia intensiva aumenta lesioni del genere.
ORIGINE DELLE EMORRAGIE:
L’emorragia ha origine all’interno della matrice germinativa subependimale, al di sotto del
ventricoli laterali
nella cosiddetta “zona subventricolare”, che nelle prime settimane di vita embrionale è sede di
intensi
processi di proliferazione neuronale, in cui neuroni e glia migrano verso la corteccia, per cui la
matrice
germinativa si fa sempre più esigua fino a che non si riduce ad una fitte rete vascolare, ma tali
microvasi non
rappresentano dei veri e propri capillari, infatti solo verso la fine della gestazione acquisiscono una
guaina
adatta a sopportare varie azioni di pressione; proprio per questo motivo l’emorragia periventricolare
colpisce elettivamente i nati pretermine.
SINDROME SILENTE, SALTATORIE E CATASTROFICA:
Si possono osservare 3 sindromi cliniche principale di gravità crescente, ed in genere, proporzionali
alle
dimensioni della lesione:
- sindrome clinicamente silente: i segni clinici sono poco evidenti, per cui il 50% dei bambini con
emorragia
peri-ventricolare sfugge alla normale osservazione clinica;
- sindrome intermedia o saltatoria: il neonato può presentare alterazioni dello stato di coscienza,
ipotonia,
ridotta attività motoria spontanea o attività motoria frammentata e poco variabile, anomalie della
posizione o
dei movimenti degli occhi e disturbi respiratori di grado variabile; tali sintomi possono scomparire
nel corso
di alcune ore e poi ripresentarsi con intermittenza, da qui il nome “sindrome saltatoria”;
- sindrome catastrofica: prognosi drammatica; il neonato presenta disturbi respiratori, convulsioni,
occhi non
reagenti alla luce, ecc; questi segni sono l’espressione di un versamento ematico massiccio nel
sistema
ventricolare, con progressivo interessamento di diencefalo, mesencefalo, ponte e midollo.
DIAGNOSI DELLE EMORRAGIE:
Lo strumento diagnostico d’elezione è l’ecografia transfontanellare, in quanto fornisce immagini
altamente
attendibili per tutti i gradi dell’emorragia, di buona risoluzione, è innocua, economica e facilmente
praticabile al letto del neonato; l’assenza di radiazioni ionizzanti è un pregio considerevole.
Vi sono 3 gradi dell’emorragia peri-ventricolare, di gravità crescente:
1°: quando l’emorragia è limitata alla matrice o se c’è interessamento dei ventricoli, il sangue non
supera il
10% della superficie ventricolare;
2°: se oltre all’emorragia della matrice c’è un interessamento dei ventricoli per il 10-50%;
3°: quando l’emorragia nei ventricoli è imponente, e vi è nella maggior parte dei casi, anche un
versamento
emorragico intracerebrale.
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57. Tumori cerebrali infantili
Ii tumori cerebrali vengono classificati in sottotentoriali (i più frequenti) e sopratentoriali, e sellari,
parasellari e soprasellari.
La prognosi dipende dalla localizzazione anatomica, dalle caratteristiche istologiche del tumore, dal
grado di
operabilità e dalla risposta alla radio o chemioterapia; la sintomatologia è condizionata sia dalla
localizzazione anatomica sia dall’età del paziente.
Nelle età più precoci, quando non si è ancora realizzata la chiusura della fontanella, sono frequenti
le forme
sopratentoriali e i sintomi principali sono costituiti da: idrocefalo progressivamente ingravescente
con
tensione della fontanella, segni oculari caratteristici, vomito a getto, irritabilità o sonnolenza;
ad un anno di vita sono più frequenti i tumori sottotentoriali e la sintomatologia è conseguente ad
un’ipertensione endocranica e a interessamento cerebellare;
all’aumentare dell’età sono prevalenti i tumori sopratentoriali con deficit neurologici focali, quali
crisi
convulsive ed emiparesi.
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58. Tumori sottotentoriali
Sono a livello della fossa cranica posteriore, cervelletto, tronco e IV ventricolo;
Di queste la più frequente è il MEDULLOBLASTOMA, che presenta un’insorgenza tra i 3 e i 6
anni e una
prevalenza maschile; ha una crescita tumorale rapida e presenta un forte potere pervasivo: in circa
1/3 dei
casi invade le strutture tronco-encefaliche.
La sintomatologia è caratterizzata da una precoce sindrome da ipertensione endocranica, idrocefalo
occluso
e dalla “sindrome della linea mediana” caratterizzata da disturbi della marcia e dell’equilibrio, con
stazione
eretta instabile e tendenza ad allargare la base d’appoggio, deambulazione incerta, a gambe
divaricate e capo
“a cerimonia” per rigidità e dolore dei muscoli della nuca e del collo, e da frequenti cadute.
L’asportazione chirurgica totale non è sempre possibile, ma un’estesa escissione permette una
maggiore
sopravvivenza nonostante la recidiva sia la regola; fondamentale il trattamento radiale postoperatorio,
essendo il tumore altamente radiosensibile, mentre la chemioterapia risulta discretamente efficace.
In secondo ordine di frequenza vi è l’ASTROCITOMA CEREBELLARE o PILOCITICO, è un
tumore
benigno a lento accrescimento, spesso cistico: è localizzato, generalmente, al verme, mentre è più
raro
l’interessamento degli emisferi cerebellari.
La sintomatologia è caratterizzata da una precoce sindrome da ipertensione endocranica dovuto ad
idrocefalo secondario per compressione del IV ventricolo: nausea, cefalea, vomito; in caso di sede
emisferica, sono ricorrenti i disturbi della marcia, con tendenza a cadere verso il lato del tumore
nella
stazione eretta, mentre meno frequenti sono la paralisi dell’abducente e il nistagmo (spasmo
nervoso dei
muscoli del globo oculare, che si manifesta con rapidi movimenti involontari). Si ottengono
percentuali alte
di guarigione con la terapia chirurgica che possono aumentare con l’associazione di una terapia
radiante
post-operatoria.
In terzo ordine di frequenza vi è l’EPENDIMOMA con un inizio molto precoce (il 50% prima dei 3
anni); la
sintomatologia iniziale è legata all’ipertensione endocranica con idrocefalo secondario alla
progressiva
ostruzione del IV ventricolo. I tumori che riempiono il IV ventricolo causano atassia del tronco,
andatura a
basi allargate e deficit del VI e VII nervo cranico. Sono frequenti le recidive, è indicata una
radioterapia
associata a chemioterapia.
Infine, i GLIOMI DEL TRONCO insorgono per lo più entro la prima decade con un picco a 6 anni.
La
forma più diffusa è anche al più comune e presenta una prognosi peggiore per le caratteristiche
lesionali
infiltranti il ponte, spesso estese fino al mesencefalo, causanti paralisi dei nervi cranici, atassia,
segni di
ipertensione endocranica e sintomi piramidali. Pazienti che resezione di questo tipo di tumore,
presentano un
normale QI, ma anormalità dell’attenzione, della memoria, deficit visuo-percettivi nella copia della
figura di
Rey, anoressia, fobia e non controllo temperamentale.
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59. Tumori sopratentoriali
Il più comune è l’ASTROCITOMA, a basso grado di malignità, la sintomatologia è conseguente
all’aumento della pressione endocranica, frequenti sono le convulsioni; la diagnosi si avvale di TC
o RMN
con o senza mezzo di contrasto; la tendenza ad assumere il mezzo di contrasto è indice di
trasformazione
maligna.
Gli EPENDIMOMI DEI VENTRICOLI LATERALI si manifestano lentamente ed hanno
accrescimento
lento ed un modesto carattere infiltrativo, danno luogo a soventi calcificazioni. L’asportazione
chirurgica
non assicura un decorso senza recidive: ne consegue la necessità di un trattamento chirurgico postradiale; la
chemioterapia aggiuntiva si è dimostrata efficace nella riduzione dell’incidenza delle recidive.
I SUBENENDIMONI si presentano come noduli solidi, localizzati spesso nei ventricoli laterali e
nel IV, ma
in tale sede la rimozione è impossibile.
I TERATOMI sono tumori derivanti da un’alterazione dello sviluppo embrionale, frequenti nei
bambini fino
al primo anno di vita, possono essere benigni o maligni presentando spesso grandi dimensioni.
3) TUMORI SELLARI, PARASELLARI e SOPRASELLARI: tra i tumori soprasellari, in età
infantile, il
più frequente è il CRANIOFARINGIOMA che è un tumore benigno presente già nei primi 2 anni di
vita; si
presenta con disfunzioni diencefalo-ipofisarie, disturbi visivi per interessamento delle vie o del
chiasmo
ottico e con ipertensione endocranica. L’asportazione chirurgica totale non sempre è possibile, utile
è la
terapia radiante focale.
I GLIOMI DEL NERVO OTTICO, DEL CHIASMA e IPOTALAMICI rappresentano il 3/5% dei
tumori
cerebrali infantili; i primi sono frequenti sotto il primo anno di vita, quelli ipotalamici al di sotto dei
12 anni.
I sintomi variano a seconda della localizzazione:
se anteriore al chiasma si manifesta un deficit visivo unilaterale;
se a livello del chiasma vi è atrofia ottica e deficit bilaterale del campo visivo;
se posteriore al chiasma sono evidenti segni di ipertensione endocranica, di idrocefalo ostruttivo e
di
disfunzione ipotalamica.
I gliomi del chiasma e quelli ipotalamici sono difficilmente differenziabili e si manifestano con una
tipica
sindrome diencefalica.
Anna Battista Sezione Appunti
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60. Idrocefalo
Abnorme aumento del volume liquorale a spese del parenchima cerebrale:
Due diversi tipi di idrocefalo: interno, che rimane confinato al sistema ventricolare, manifestandosi
con
macrocefalia (aumento della circonferenza cranica) del bambino; esterno, quando interessa gli spazi
subaracnoidei della convessità in caso di perdite di sostanza o atrofia corticale o cerebellare.
L’idrocefalo interno è dovuto ad ostruzione delle vie di deflusso liquorali del sistema ventricolare
causando
ipertensione endocranica (idrocefalo ipertensivo), l’idrocefalo esterno avviene in assenza di
ipertensione
endocranica idrocefalo normotensivo).
L’idrocefalo può essere classificato in ostruttivo e non ostruttivo, che a sua volta può essere
comunicante
(per ostruzione degli spazi subaracnoidei) o non comunicante (per ostruzione del sistema
ventricolare);
- ostruttivo: causato da infiammazioni, tumori, malformazioni e gliosi dell’acquedotto;
- non ostruttivo: è sempre comunicante, possiamo distinguere 3 forme: aresorptive, ipersecretive ed
ex
vacuo.
L’idrocefalo può essere congenito, ma spesso si verifica nei primi mesi di vita con macrocefalia,
allargamento o tensione delle fontanelle, tensione delle vene emicraniche e diastasi (separazione di
parti di
organi normalmente a contatto) delle strutture craniche.
La terapia è basata sul drenaggio del liquor in eccesso mediante un sistema regolato da una valvola
che ne
consente il passaggio solo a una pressione predeterminata.
Anna Battista Sezione Appunti
Neuropsichiatria infantile Pagina 61 di 167
61. Abusi e maltrattamenti
Si definisce “child abuse” una serie di violenze associate nei confronti di un minore: è infatti
impossibile, ad
esempio, pensare ad una violenza fisica senza una forma di violenza psicologica.
E’ “maltrattamento” ogni forma di violenza di un essere più forte contro uno più debole, che per
immaturità
psichica o fisica, o per diversità di ruolo, è impossibilitato o incapace di difendersi ed è fisicamente
e/o
psicologicamente dipendente.
FATTORI DI RISCHIO DEGLI ABUS:
Possono riferirsi:
-al minore: bambini prematuri, con scarso peso alla nascita, malformati o con malattie che
necessitano di
particolari cure, attenzioni e assistenza, con problemi di comportamento e di instabilità affettiva e
psicomotoria;
-alla famiglia ed ai genitori: le dimensioni della famiglia, la qualità della relazione e della
comunicazione di
coppia, la violenza domestica, la giovane età dei genitori, l’immaturità psichica e la mancanza di
competenze genitoriali, la storia di abusi infantile subiti da uno dei genitori, la salute mentale degli
stessi,
problematiche lavorative o economiche, gravidanza indesiderata o diniego della gravidanza;
-alla cultura e all’ambiente: l’accettazione della violenza nella società, un alto livello di criminalità
socio
ambientale, la mancanza di supporto sociale di cui la famiglia può giovarsi, la qualità dell’ambiente
e
dell’abitazione, gli spazi di gioco, la presenza e l’efficacia dell’azione di sostegno delle istituzioni e
dei
servizi socio assistenziali.
Anna Battista Sezione Appunti
Neuropsichiatria infantile Pagina 62 di 167
62. Fenomenologia degli abusi: maltrattamento fisico
Quando un adulto provoca nei confronti di un minore una lesione fisica di quanto sia culturalmente
accettabile; è dunque dipendente dal contesto culturale.
Dal punto di vista clinico sono evidenziabili lesioni difficilmente riconducibili ad eventi accidentali:
fratture,
morsi, bruciature, ustiono multiple o simmetriche o ripetute, lividi in zone non facilmente
accidentali, traumi
da torsioni o strattona mento, ematomi subdurali e retinei.
Nel caso dei bambini vittima di violenza fisica, i sintomi e i segni più frequenti sono:
-schemi di attaccamento disturbati;
-disturbi della condotta, fughe, atti delinquenziali;
-fallimenti scolastici o cadute del rendimento scolastico;
-ansia e depressione;
-ritiro o isolamento;
-comportamento passivo, compiacente, remissivo.
In caso di sospetto di abuso fisico il medico ha l’obbligo di segnalarlo, successivamente si farà una
valutazione diagnostica completa del bambino e della famiglia con attenzione alle condizione
psichiche e
relazionali di ognuno e rilevazione dei fattori di rischio; da tale diagnosi è possibile stabilire un
piano di
trattamento che può arrivare sino all’allontanamento del minore o del genitore abusante o a semplici
interventi di supporto sociale e di terapia psicologica.
Anna Battista Sezione Appunti
Neuropsichiatria infantile Pagina 63 di 167
63. Fenomenologia degli abusi: maltrattamento psicologico
Quando un adulto mostra un comportamento lesivo dal punto di vista relazionale nei confronti di un
minore:
atteggiamenti di disprezzo e svalutazione del bambino, critica ripetuta, ostilità,l’utilizzo
dell’immagine del
bambino a scopo di spettacolo e di lucro, senza tenere conto della sua dignità e dei suoi bisogni
specifici o
anche il suo coinvolgimento in dispute legali di separazione coniugale e nei conseguenti
procedimenti per il
suo affidamento nel corso dei quali possono essere addirittura ordite accuse infondate di abuso e
maltrattamento.
Nel caso di bambini vittima di violenza psicologica, i sintomi e i segni più frequenti sono:
-sintomatologia di tipo reattivo-iperattivo;
-sintomatologia di tipo depressivo.
Le modalità di intervento dipendono dalle motivazioni causa dell’abuso; la valutazione diagnostica,
deve
quindi interessare sia il bambino che la famiglia.
Anna Battista Sezione Appunti
Neuropsichiatria infantile Pagina 64 di 167
64. Fenomenologia degli abusi: abuso sessuale
Nei confronti di un minore con o senza contatto fisico, nel primo caso distinguiamo quelli in cui si
verifica
una penetrazione o anche un semplice contatto fisico, nel secondo caso quelli in cui si verifica
esibizionismo, attività pornografiche, linguaggio erotizzante.
Le condizioni perché si verifiche un simil abuso sono:
-significativa differenza d’età;
-posizione di autorità dell’abusante;
-uso della violenza,delle minacce e dell’inganno;
-coinvolgimento di un minore che non è in grado di acconsentire con totale consapevolezza;
-violazione di tabù, radicati nella società sui ruoli familiari.
Rientrano dunque in queste categorie episodi di: stupro, incesto, sfruttamento sessuale, ecc.
L’abuso sessuale può essere distinto in:
-intrafamiliare;
-extrafamiliare;
-istituzionale, quando viene attuato da persone ai quali i minori vengono affidati per cura, custodia,
tempo
libero, educazione, ecc;
-di strada, da parte di persone sconosciute;
-a fini di lucro;
-da parte di gruppi organizzati.
Tali persone vittime di abusi sessuali, possono presentare effetti a lungo termine quali depressione,
ansia,
insicurezza, aumento dell’aggressitvità, complessi di colpa, difficoltà scolastiche e problemi
sessuali,
anoressia, bulimia, comportamenti antisociali, tentativi di suicidio, abuso di alcool e droghe.
I sintomi e i segni più frequenti sono:
-malattie fisiche;
-disturbi del sonno;
-disturbi dell’autoregolazione;
-problemi o fallimenti scolastici;
-comportamenti di ritiro, isolamento;
-aggressività e ostilità;
-avversione e diffidenza verso certe persone;
-irritabilità, iperattività, disturbi della condotta, fughe, prostituzione, atti delinquenziali;
-ansia e depressione;
-disturbi alimentari.
Le modalità di intervento variano a seconda della gravità dell’abuso e dell’età del minore.
Anna Battista Sezione Appunti
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65. Fenomenologia degli abusi: patologie delle cure
Tra queste distinguiamo:
-discuria, somministrare cure inappropriate alla realtà evolutiva ed ai bisogni del bambino: non
vigilare sulle
sue amicizie, attività, comportamenti; solitamente tale genitore è convinto di fare il meglio per il
bambino;
-incuria, somministrare cure carenti, insufficienti rispetto ai bisogni del bambino e del suo momento
evolutivo: necessità materiali e affettive e psicologiche; l’abbandono può essere considerato un caso
estremo
di incuria.
-sindrome di Munchausen by proxy, consiste in una ipercuria patologica, è una forma rara di abuso
fisico e
psichico; tipicamente la vittima è il bambino e l’abusante è la madre; è molto frequente durante un
periodo
di ospedalizzazione per la peculiare relazione che i perpetuatori intrattengono con il mondo medico:
eccessiva calma di fronte alle condizioni del figlio e ad esami invasivi e dolorosi, si sostituiscono a
lui
parlando in sua vece, selezionando i suoi contatti sociali, fa richieste eccessive ai medici, ha una
conoscenza
approfondita della malattia del bambino, ha qualche educazione medica; il genitore non abusante,
solitamente il padre, è passivo, indifferente, assente.
Tale sindrome può essere di due tipi:
-induzione di uno stato di malattia;
-o del peggioramento di uno stato di malattia preesistenze, con farmaci o altro.
Distinguiamo tre tipi di perpetuatori:
-HELP SEEKER, madri che attraversano la preoccupazione medica per il figlio comunicano la
propria
ansia, depressione e la percezione della propria incapacità a prendersi cura del figlio;
-ACTIVE INDUCERS, inducono malattie nei loro figli con metodi drammatici; sono madri ansiose
e
depresse ed hanno il desiderio di essere riconosciute come eccezionali nella cura dei figli;
-DOCTORS ADDICTS, sono persone ossessionate dalle cure mediche per malattie inesistenti dei
loro figli;
riportano storie cliniche e sintomi falsi.
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Neuropsichiatria infantile Pagina 66 di 167
66. Adozione
Essa consiste in una relazione genitoriale e in un rapporto di affiliazione in assenza di un legame di
consanguineità.
Oggi non rappresenta solo un fatto privato, ma costituisce un evento sociale, regolamentato da
norme di
legge finalizzate a garantire l’effettiva tutela del minore: vi è il diritto del minore ad aver una
famiglia che si
prenda cura di lui e si precisa che essa dovrà essere, in primo luogo, la famiglia originaria; il
presupposto
fondamentale che permette l’adozione di un minore è l’accertamento della sua situazione
d’abbandono, è
ammissibile, dunque, la rottura del minore con la sua famiglia d’origine e l’inserimento in un altro
nucleo
familiare solo se le carenze familiari sono tali da impedire un’adeguata crescita del figlio senza
alcun
rimedio.
Ogni anno in Italia viene dichiarato lo stato di adottabilità per 1000 bambini; si hanno però ben
10.000
richieste di adozione, e ogni anno si riscontrano solo 15 decreti di adozione nazionale; per questo
molte
coppie italiane si orientano verso l’adozione internazionale; dei minori stranieri che entrano in Italia
la fascia
prevalente va dai 0 ai 4 anni, seguita da quella che va dai 5 ai 9 anni; essi provengono
prevalentemente
dall’Europa dell’est e dall’America latina.
E’ importante elaborare, inizialmente, il lutto dell’adottato legato all’abbandono e il lutto della
coppia
adottante legato alla ferita dell’incapacità procreativa; la consultazione psicologica rappresenta la
valutazione delle condizioni psicologiche del minore e le capacità genitoriali della coppia aspirante;
l’adozione, proprio per la mancanza della gestazione e del parto, richiede un complesso lavoro
mentale per
stemperare la dicotomia tra biologico e mentale, infatti il passaggio dalla mancanza di un figlio
naturale
all’accettazione e all’accoglimento di un essere nato da altri comporta una complessa elaborazione
personale
e di coppia che deve garantire il superamento del lutto per l’incapacità generativa e il superamento
della
dimensione biologica per fare spazio ad una dimensione più affettiva e mentale; dunque il compito
degli
operatori è di capire la capacità della coppia di instaurare un rapporto con un baambino sconosciuto
e nato
da altri.
Il bambino abbandonato va incontro ad esperienze di perdita affettiva e di punti di riferimento per i
suoi
comportamenti personali, si trova in un momento di crisi personale ed è costretto a ristrutturale non
solo i
legami affettivi ma anche i suoi comportamenti in un ambiente diverso dal precedente e integrando
le sue
esperienze passate con quelle presenti e future.
La situazione psicologica dei bambini precocemente deprivati è poi ulteriormente aggravata
dall’istituzionalizzazione che costituisce un’ulteriore esperienza di deprivazione;
la situazione psicologica dei bambini che invece per un certo periodo hanno vissuto con i genitori
naturali e
poi ricoverati in istituto è ben diversa, poiché hanno comunque continuato ad avere rapporti con essi
per i
primi anni.
Per i bambini stranieri gli effetti negativi di tali situazioni sono ancora maggiori, poiché essi
provengono da
un paese diverso dal nostro e devono sforzarsi di acquisire abitudine e modalità di comunicazione
proprie
del nostro contesto sociale vivendo dunque una perdita di punti di riferimento affettivi, culturali ed
ambientali.
I genitori adottivi, generalmente, sono animati da diversi timori: la riuscita dell’adozione intesa
come
legame affettivo reciproco e soprattutto la paura che, col passare degli anni, il bambino possa
desiderare di
riprendere i contatti con chi lo ha generato vivendo questo come un fallimento della loro capacità di
farsi
amare come genitori, ponendosi quasi su un piano di competizione con i genitori naturali; ma
l’adozione è
Anna Battista Sezione Appunti
Neuropsichiatria infantile Pagina 67 di 167
altro, essa è tollerare, in qualsiasi momento, il ricordo di non aver procreato quel figlio e di
accettare il suo
dolore per aver perso i genitori naturali.
Per il bambino l’esperienza adottiva costituisce, da un lato, la premessa di un legame affettivo
stabile,
dall’altro ribadisce l’abbandono definito da parte dei suoi genitori naturali.
Anna Battista Sezione Appunti
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67. Fattori di rischio e fattori protettivi dell’adozione
L’adozione è di per sé un “evento critico non normativo” poiché non rientra tra quelli che,
normalmente, le
famiglie si trovano a vivere, facendo aumentare quindi il rischio di disagio psicosociale proprio
dell’affrontare ogni tipo di esperienza familiare; infatti l’adozione richiede un investimento di
energie e la
mobilitazione di risorse psicologiche.
I fattori di rischio possono essere insiti già in epoca prenatale, in situazioni di disagio psicologico e
socioeconomico.
Bambini abbandonati subito dopo la nascita e poi subito istituzionalizzati, non hanno qualcuno che
conservi
la loro storia avendo quindi difficoltà nell’acquisire una nuova identità.
Costituiscono, invece, fattori protettivi: la capacità affettiva, il grado di consapevolezza dei coniugi
rispetto
al bambino e la loro possibilità di immaginare le condizioni, i bisogni e la realtà del bambino in
stato di
abbandono e soprattutto la disponibilità dei genitori ad aiutare il bambino ad elaborare le parti
traumatizzate
del Sé.
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68. Prognosi e trattamento dell’adozione
Frequentemente, i bambini con deprivazione affettiva hanno facilità a contrarre malattie
psicosomatiche e
presentano ritardo nello sviluppo psicomotorio, specialmente nelle aree della deambulazione e
nell’acquisizione del linguaggio; invece, i bambini adottati già grandicelli hanno difficoltà
nell’ambiente
scolastico, soprattutto nel rendimento, nell’inserimento nel gruppo dei pari e presentano problemi
comportamentali.
Tra i problemi che più frequentemente mostrano i bambini adottati figurano:
-attaccamento insicuro alle figure parentali;
-bassa autostima, immagine danneggiata del sé;
-percezione di perdita del controllo, aumento del comportamento oppositivo;
-perdita e lutto irrisolto;
-difficoltà di apprendimento.
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69. Cefalea primaria
Quando adeguate indagini strumentali escludono la presenza di lesioni come causa della
cefalea;essa
costituisce l’80% dei casi.
Le forme più diffuse di cefalea primaria sono:
-emicrania senz’aura o con aura: l’aura è presente solo nel 3/5% dei casi ed è costituita da sintomi
prevalentemente visivi, ma anche sensoriali, motori e linguistici che precedono il mal di testa vero e
proprio,
scomparendo nell’arco di un’ora e lasciando il posto all’insorgere del mal di testa; il dolore è spesso
di
intensità medio-forte: il bambino è costretto a sospendere ogni attività che sta svolgendo per
mettersi al letto
al buio ed in silenzio; è frequente la nausea ed il vomito; il dolore può essere pulsante,ma anche
costrittivo e
più il bambino è piccolo e più tende ad essere unilaterale;
-cefalea tensiva: a tal proposito distinguiamo tra:
-cefalea tensiva episodica: è la forma più comune ed è prevalente nel sesso femminile, diminuendo,
in
entrambi i sessi, con l’età; il suo andamento non è influenzato né dal ciclo mestruale e né dalla
gravidanza,
al contrario dell’emicrania.
In età evolutiva può essere difficile distinguere tra cefalea tensiva episodica e emicrania senz’aura,
poiché il
dolore può essere costrittivo, con severità medio-lieve, può impedire,ma comunque non impedire, le
normali
attività quotidiane e la localizzazione del dolore è bilaterale,ma può essere anche unilaterale,
dunque la
caratteristica che più di ogni altra differenzia le due forme è che il dolore non è aggravato dagli
sforzi fisici;
-cefalea tensiva cronica:facendo riferimento anche alle cefalee croniche quotidiane che minano
profondamente la vita del soggetto;
Distinguiamo altre forme di cefalea primaria in relazione all’emicrania:
-emicrania oftalmoplegica:è la meno comune ed è riconducibile ad una lesione del terzo nervo
cranico; si
manifesta con abbassamento della palpebra, visione doppia e offuscamento della vista; il dolore è
localizzato
intorno all’occhio o alle tempie; la durata dell’oftalmoplegia varia da poche ore a qualche mese e la
cefalea
è localizzata sempre nello stesso lato in cui si presentano i sintomi oculari ed è presente dall’inizio
delle crisi
che hanno frequenza variabile;
-emicrania emiplegica familiare:è l’unica forma di emicrania di cui è stato trovato il gene
responsabile;
l’aspetto caratteristico è la paralisi di un arto, le crisi sono precedute da disturbi visivi ed essere
seguite da
disturbi sensoriali e motori del viso, braccio e poi gamba, può essere presente anche una certa
difficoltà a
parlare; caratteristico è il progredire lento dell’emiplegia;
-emicrania cronica parossistica:si presenta con cicliche crisi multiple( da 1 a 30) a localizzazione
orbitaria,
frontale o temporale, unilaterale, di intensità molto forte che possono presentarsi sia di giorno che di
notte; i
sintomi sono: lacrimazione, congestione nasale, rinorrea; nausea e vomito sono rari; le
caratteristiche
cliniche sono molto simili alla cefalea a grappolo,pur differenziandosene per la maggiore
prevalenza nel
sesso femminile e per la sua pronta risoluzione grazie all’assunzione di indometacina;
-cefalea a grappolo:è l’unica forma di cefalea primaria che prevale nel sesso maschile; si presenta
con crisi
che ricorro più volte al giorno( da 1 a 8)con un dolore severo, unilaterale, localizzato in sede
orbitale,frontale o temporale, della durata dai 15 ai 180 minuti; il dolore unilaterale è associato ad
almeno
altri due sintomi dello stesso lato: rossore oculare, congestione nasale, rinorrea, ecc.
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70. Cefalea secondaria
Costituisce il15/20% dei casi; si ha quando adeguate indagini strumentali consentono di risalire alla
causa
della cefalea:
-malformazioni vascolari: soprattutto quando la cefalea è sempre localizzata dallo stesso lato;
-ascesso intracranico o emorragia: l’alterazione dello stato di coscienza ed un coinvolgimento focale
neurologico suggeriscono un’infezione intracranica;
-traumi cranici,anche di lieve entità, che possono provocare crisi simili a quelle emicraniche;
-disturbi metabolici, che posso essere spesso confusi con sindromi periodiche caratterizzate da
vomito,
nausea, dolori addominali,ecc;
-tumori cerebrali: circa il 45% è localizzato nella fossa posteriore, nella maggior parte dei casi la
cefalea
precede segni oculari o vomito; il dolore può essere provocato da colpi di tosse, starnuti o sforzi in
genere;
la cefalea può essere presente al mattino o svegliare il bambino che sta dormendo;
nei bambini più piccoli sono presenti vomito, pianto, irritabilità, inquietudine, incremento del
perimetro
cranico, ecc;
nei bambini più grandi vi può essere un rallentamento dello sviluppo cognitivo, con problemi di
apprendimento ed attentivi, cambiamenti di personalità,ecc.
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71. Eziologia, prognosi e terapia della cefalea infantile
EZIOLOGIA DELLA CEFALEA
Per le forme secondarie sappiamo che la causa è una lesione strutturale(tumori) o un processo
infiammatorio(emorragie);
le forme primarie a causa della loro variabilità hanno una diversa fisiopatologia e una diversa
eziologia;le
forme più studiate sono quelle emicraniche con o senza aura; la componente genetica si pensa sia
alla base
di almeno il 50% dei casi, anche se solo per l’emicrania emiplegica familiare è stato trovato il gene
responsabile; nei casi restanti non si ancore bene quale sia il possibile meccanismo eziologico.
PROGNOSI DELLA CEFALEA
La cefalea ha un’elevata remissione spontanea o comunque un certo miglioramento; la prognosi
risente delle
differenze di genere: nei maschi è migliore; tuttavia la scomparsa delle crisi può essere
momentanea, con un
ripresenta mento anche dopo anni.
E’ importante andare alla ricerca anche dei fattori psicologici implicati nello scatenarsi delle crisi; a
volte si
riporta tutto a fattori quali stress e nervosismo, ricorrendo ad autocure che non fanno altro che
cronicizzarle.
TERAPIA DELLA CEFALEA
Qualsiasi terapia deve essere rapportata alla specificità della situazione, chiamando in causa fattori
biologici,
psicologici ed ambientali; per quanto riguarda il trattamento farmacologico abbiamo:
-la terapia dell’attacco o sintomatica: quando il bambino è inferiore ai 5 anni e presenta più di due
crisi al
mese, con disturbi endocrini;
-la terapia preventiva: quando il bambino ha più di 5 anni e presenta più di due crisi al mese che
durano più
di due ore, quando si ha comorbidità psichiatrica e le crisi interferiscono molto con le normali
attività
quotidiane.
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72. Deficit di attenzione e iperattività - ADHD
Esso è una delle condizioni psicopatologiche più frequenti in età evolutiva che espone il bambino a
numerosi problemi nella vita sociale, cognitiva, scolastica, familiare ed emozionale, infatti affinchè
possa
essere diagnosticata la sindrome di ADHD la sintomatologia deve essere pervasiva, cioè esprimersi
in più
contesti.
I sintomi possono essere raggruppati in 2 tipologie primarie:
-inattentivi: non riesce a prestare attenzione ai particolari; commette errori di distrazione a scuola, a
lavoro o
in altre attività; non sembra prestare ascolto quando gli si parla; ha difficoltà ad organizzarsi nei
compiti e
nelle attività; è facilmente distratto da stimoli esterni; è sbadato nelle attività quotidiane;
- iperattivi-impulsivi: muove con irrequietezza mani o piedi o si dimena sulla sedia; lascia il proprio
posto a
sedere in classe o in situazioni in cui si ci aspetta che rimanga seduto; scorazza e salta ovunque in
modo
eccessivo e fuori luogo; ha difficoltà a dedicarsi a giochi o attività in maniera tranquilla; parla
troppo; spesso
“spara” le risposte prima che le domande siano state completate; ha difficoltà ad attendere il proprio
turno;
spesso interrompe gli altri o è invadente nei loro confronti.
e a seconda del numero e del tipo di sintomi diagnosticati abbiamo 3 differenti tipologie di ADHD:
1)ADHD A PREDOMINANZA INATTENTIVA:quando sono presenti almeno 6 sintomi della
categoria
inattentiva e meno di 6 della categoria iperattiva-impulsiva;
2)ADHD A PREDOMINANZA IPERATTIVA-IMPULSIVA:quando sono presenti almeno 6
sintomi della
categoria impulsiva-iperattiva e meno di 6 della categoria inattentiva;
3)ADHD DI TIPO COMBINATO:quando sono presenti almeno 6 sintomi della categoria
inattentiva e
almeno 6 della categoria iperattiva-impulsiva.
E’ inoltre presente una categoria di ADHD altrimenti specificato, quando i criteri sopracitati non
vengono
soddisfatti.
Il DSM-IV specifica che i sintomi devono comparire entro i 7 anni di età e che la diagnosi di
ADHD non
può essere posta qualora siano presenti disturbi pervasivi dello sviluppo o psicosi.
Per l’ICD-10 la diagnosi richiede la compresenza di sintomi di inattenzione e di iperattività ed
impulsività;
per il DSM-IV invece è sufficiente la presenza di sintomi di disattenzione e impulsività o
iperattività; ovvero
l’ICD-10 richiede la presenza simultanea di almeno 6 sintomi di inattenzione, 3 di iperattività ed 1
di
impulsività; invece il DSM-IV richiede 6 sintomi indipendentemente dalla categoria
sintomatologica;
in più, mentre il DSM-IV favorisce la diagnosi multipla, l’ICD-10 richiede un approccio gerarchico
alla
diagnosi, dunque nel caso di comorbidità l’ICD-10 favorisce sono una diagnosi.
L’ADHD è la sindrome cognitivo-comportamentale più frequente in età scolare con un rapporto di
3:1 per i
maschi.
E’ da sottolineare che inattenzione, iperattività e impulsività sono caratteristiche comuni in ogni
bambino e
non sono specifiche solo dei bambini con ADHD, essendo proprie dell’infanzia, dunque, l’ADHD
non può
essere dato dalla presenza di questi singoli ma piuttosto dalla loro frequenza e pervasività, ovvero
devono
essere presenti a tal punto da non permettere un sano e pieno sviluppo psicosociale del bambino in
vari
contesti; in altre parole è la quantità(in termini di durata) della presenza di questi comportamenti
che
determina la patologia.
I sintomi tendono a variare con l’età: in età prescolare l’iperattività è il sintomo più evidente; in età
scolate
la disattenzione e in adolescenza la componente motoria senza essere meno pervasiva al contrario
della
permanenza di disattenzione ed impulsività.
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73. Comorbilità dell’ADHD
Solitamente l’ADHD puro è un evento clinico raro, poiché si associa sempre ad almeno un’altra
patologia
psichiatrica, come
1)disturbi del comportamento: DOP(disturbo oppositivo provocatorio) e DC ( disturbo della
condotta);
2)disturbo dell’umore e disturbi ansiosi: patologia depressiva e patologia ansiosa o maniacale;
3)disturbi del linguaggio e dell’apprendimento.
E’ importante sottolineare come l’ADHD sia una patologia che si modifiche col sviluppo; ovvero ad
ogni
età corrisponde una maggiore frequenza di diagnosi in associazione con l’ADHD.
Si possono avere difficoltà sull’effettiva validità della diagnosi di ADHD e a tal riguardo
consideriamo:
-errore diagnostico: gran parte dei sintomi dell’ADHD sono condivisi da altre patologie che gli si
possono
associare in comorbidità;
-vulnerabilità: l’ADHD potrebbe essere una condizione vulnerabile o un fattore di rischio per altre
patologie;
-disfunzionalità: l’ADHD e la patologia associatagli potrebbero condividere la stessa origine
disfunzionale
con diverse conseguenze cliniche;
-fenotipi: diversi sottotipi di ADHD con gli stessi meccanismi fisiopatologici di base ma con
diverse
espressione cliniche.
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74. Eziologia dell’ADHD
Vi è l’interazione tra fattori genetici,ambientali e neuropsicologici:
-fattori genetici: altamente coinvolti, infatti fratelli di soggetti con ADHD hanno un rischio tra le 5 e
le 7
volte superiore di essere anch’essi affetti rispetto a fratelli di soggetti sani; i bambini con un genitori
malato
di ADHD ha il50% di possibilità e anche studi di adozione hanno confermato che la componente
biologica/genetica sia più determinante rispetto alla componente ambientale;
-metodiche di neuro immagine: hanno rilevato le regioni cerebrali implicate: la corteccia cerebrale
frontale e
prefrontale destra, i nuclei della base e il cervello appaiono di volume ridotto nei bambini con
ADHD;
-meccanismi neuro chimici: il coinvolgimento delle catecolamine nell’ADHD hanno confermato
delle
alterazioni strutturali nelle zone cerebrali più ricche di neuroni dopaminergici e noradrenergici; il
trattamento farmacologico si incentra sull’uso di farmaci stimolanti;
-fattori ambientali: prematurità,abuso di fumo e alcool durante la gravidanza, basso livello
economico,
eventi di vita negativi.
Nei bambini con ADHD le funzione esecutive sono deficitarie, ciò è dovuto ad un deficit
dell’inibizione
comportamentale; ne deriva l’incapacità del bambino nel controllo del proprio comportamento
cognitivo e
motorio; in più risultano compromesse le capacità di retrospezione, previsione, imitazione di
comportamenti
complessi; ritardata o alterata maturità della memoria di lavoro non verbale.
Le aree cerebrali implicate nel controllo delle funzioni esecutive sono rappresentate principalmente
dalla
corteccia prefrontale e dai nuclei della base che sono le regioni più ricche di neuroni dopaminergici
e
noradrenergici il cui metabolismo e funzionamento risultano alterati nell’ADHD.
Anna Battista Sezione Appunti
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75. Diagnosi e trattamentp dell'ADHD
DIAGNOSI DELL’ADHD
A causa della variabilità delle situazioni ambientali, per l’alto tasso di comorbidità e dei disordini
associati il
processo diagnostico risulta particolarmente complesso: è fondamentale, dunque, raccogliere il
maggior
numero di informazioni che ci possono informare sulle modalità di comportamento e di relazione
del
bambino nei contesti in cui interagisce e a seconda dei diversi stimoli.
L’esame clinico deve prevedere un’approfondita anamnesi personale e familiare, un esame obiettivo
generale e la valutazione clinica delle funzioni esecutive, percettive, motorie e linguistiche.
Inoltre è importante l’osservazione diretta dei comportamenti del bambino sia durante la visita che
durante
le sedute di gioco; i test cognitivi rappresentano un supplemento.
TRATTAMENTO DELL’ADHD
Un corretto approccio terapeutico deve essere finalizzato al miglioramento del funzionamento
globale del
bambino in tutte le aree di disfunzionalità; è necessaria una strategia terapeutica a lungo termine
attraverso
interventi multimodali con trattamenti farmacologici, psicoterapeutici e di supporto scolastico o
sociale.
Il trattamento farmacologico è attuato con farmaci stimolanti a rapido effetto e rapido esaurimento
agendo
direttamente sul SNC e modulando il rilascio e la ricaptazione della dopamina e/o noradrenalina
importanti
per l’attenzione e le funzioni esecutive.
L’obiettivo invece dell’intervento psicoterapico è rappresentato dalla gestione delle emozioni e
dallo
sviluppo di strategie comportamentali, cognitive, affettive e sociali alternative, ricordiamo
programmi come:
parent training che si basano sul social learning, con lo scopo di migliorare la relazione genitorebambino;e
problem solving in cui un bambino deve riconoscere un problema e generare delle soluzioni
alternative.
Anna Battista Sezione Appunti
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76. Depressione infantile
Negli ultimi 20 anni, il crescente interesse scientifico verso la depressione in età evolutiva, ha
permesso di
sfaldare una serie di miti, ovvero il fatto che la depressione infantile non esista o che fosse atipica e
lontana
dalla depressione dell’adulto e quindi espressa indirettamente come depressione “mascherata” da
sintomi
equivalenti alla depressione adulta.
Questa impostazione si rifaceva alle teorie psicodinamiche che affermavano l’impossibilità per il
bambino di
sviluppare una vera patologia depressiva per il deficitario sviluppo in età infantile del Super-io.
Già il DSM-III comincia ad enfatizzare la completa sovrapponibilità della depressione infantile con
quella
adulta; ma nel DSM-IV si è provveduto a correggere parzialmente questo modello isomorfico,
infatti pur
mantenendo l’equivalenza e la sovrapponibilità nosografica, sono stati corretti alcuni criteri
diagnostici:
-viene proposto una sostituzione in età evolutiva dell’umore depresso con l’irritabilità;
-e il criterio temporale di durata è ridotto nei bambini e negli adolescenti.
Anna Battista Sezione Appunti
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77. Epidemiologia della depressione infantile
La depressione è la prima causa di disfunzionalità nei soggetti tra i 14 e i 44 anni, precedendo
patologie
vascolari e neoplasie (tumori).
Essa ha una tendenza alla regressione, pur potendo ripresentarsi: soggetti che hanno sofferto di
depressione
da adolescenti sono a rischio elevato di depressione in età adulta, con conseguente rischio di
suicidio, abuso
di alcool e sostanze stupefacenti e disabilità lavorativa e sociale.
1)La prevalenza della depressione e della distimia è età-dipendente: maggiore in età adulta e in
adolescenza,
minore in età prepuberale e prescolare;
2)Nell’età prepuberale, dunque fino a circa 13 anni d’età, non vi sono differenze di genere;
successivamente
il valore raddoppia o triplica nelle femmine che continua ad essere alto fino all’età adulta;
3)Vi è una continuità della depressione lungo l’intero arco di vita: bambini depressi tendono a
diventare
adolescenti depressi e infine adulti depressi; si parla infatti di “continuità omotipica”, ma anche
“eterotipica”, ovvero può essere un fattore di rischio per altre patologie psichiatriche;
4)Dal 1940, nei paesi industrializzati, la depressione e la distimia stanno aumentando in tutte le
fasce d’età e
l’età media di esordio si sta abbassando.
Anna Battista Sezione Appunti
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78. Eziologia della depressione infantile
Si parla di una combinazione di fattori familiari e genetici, ambientali, temperamentali e di
personalità e
neurobiologici:
-fattori familiari e genetici: figli di genitori depressi hanno un rischio 6 volte maggiore di sviluppare
depressione rispetto ai figli di genitori sani; la depressione con un esordio precoce è più fortemente
influenzata da fattori genetici rispetto a quella che inizia in età adulta; essa,così come tutte le
patologie
psichiatriche di natura genetica, non segue la trasmissione mendeliana diretta, ma una modalità
genetica
multipla, in cui sono coinvolti più geni; i bambini adottivi figli di genitori naturali depressi hanno
un rischio
8 volte maggiore di sviluppare depressione rispetto a figli adottivi i cui genitori biologici non erano
depressi;
-fattori ambientali: la depressione in età adulta è strettamente correlata con esperienze di vita
negative, come
il lutto, difficoltà economiche o scolastiche;
-fattori temperamentali e di personalità: alcune caratteristiche temperamentali, come ad esempio
l’emotività, sono associate alla depressione: stati emotivi forti possono avere conseguenze
debilitanti e
disgregatrici: il soggetto si deprime perché si sente impotente di fronte alle risposte ambientali ed è
incapace
di modificare questo stato di cose; la depressione è influenzata anche da: pessimismo esagerato,
aspettative
negative nei confronti dell’ambiente e per il futuro, bassa autostima;
-fattori neurobiologici: è stato scoperto che il trattamento con un particolare farmaco è in grado di
produrre
un disturbo depressivo, poiché riduceva la quantità di due neurotrasmettitori mono amminici:
serotonina e
norepinefrina dunque si ipotizzò che alla base della depressione vi sia uno squilibrio nella
produzione delle
neuro amine e nacque la cosiddetta “ipotesi delle ammine biogene”.
Un altro fattore neurobiologico implica l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene che media la risposta a
lungo
termine allo stress attraverso il rilascio nel sangue del peptide CBF che agendo sulla neuroipofisi
permette la
secrezione di ACTH che a sua volta induce il rilascio da parte del surrene di cortisolo che a sua
volta
tornando all’ipotalamo regola la secrezione, questo per dire che eventi stressanti prolungati sono in
grado di
ridurre il tasso di disponibilità dei neurotrasmettitori serotonina e norepinefrina e di iperattivare
l’asse
ipotalamo-ipofisi-surrene ben evidenziabile negli adolescenti e negli adulti e non nei bambini in cui
risulta
ancora immaturo.
Anna Battista Sezione Appunti
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79. Classificazione nosografica della depressione infantile
Nel DSM i disturbi depressivi vengono inseriti nei disturbi dell’umore; nell’ICD-10 nei disturbi
effettivi; ciò
fa riflettere sulla possibilità di intercambiare i due termini (umore e affetto) , ma è anche opportuno
ricordare che l’affetto è l’espressione esterna di uno stato interno(umore) e che l’affetto è
transitorio, invece
l’umore è stabile; in seguito a ciò sembra più corretto includere la depressione nella categoria del
disturbo
dell’umore.
Il DSM-IV definisce un “episodio depressivo maggiore” come un declino significativo del tono
dell’umore
e/o perdita di piacere e interesse per almeno 2 settimane che si accompagni ad altri sintomi
raggruppabili in
due categorie:
1)dimensione cognitiva: sentimenti di autosvalutazione o di colpa, diminuita capacità di pensare,
ricorrenti
pensieri di morte, tentativi suicidari;
2)modificazioni del peso e dell’appetito, riduzione o aumento del ritmo del sonno; agitazione o
rallentamento psicomotorio, estrema faticabilità.
Nel DSM-IV distinguiamo tre principali disturbi depressivi:
-disturbo depressivo maggiore, episodio singolo:caratterizzato dalla presenza di un solo episodio
depressivo
maggiore;
-disturbo depressivo maggiore, ricorrente: che si differenzia dal primo per la presenza di due o più
episodi;
-disturbo distimico: che è la forma depressiva più attenuata ma più ricorrente che si accompagna ad
altri
sintomi cognitivi o somatici.
L’ICD-10 distingue essenzialmente rispetto al DSM-IV l’episodio depressivo dalla sindrome
depressiva e
specifica tre diversi livelli di severità: lieve, medio e grave, non indicando differenze d’età.
Generalmente, i sintomi che compaiono in età prepuberale tendono a scomparire col passare del
tempo e in
adolescenza il quadro clinico assomiglia sempre di più a quello adulto;
-i bambini soffrono meno rispetto agli adolescenti di ipersonnia ed insonnia;
-gli adolescenti rispetto ai bambini sono più soggetti a perdita di peso e appetito, variazioni
dell’umore,
disperazione, rallentamento psicomotorio, ecc;
-in età prepuberale rispetto a tutte le altre età abbiamo allucinazioni uditive.
Anna Battista Sezione Appunti
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80. Diagnosi della depressione infantile
Ai fini diagnostici ricordiamo strumenti quali SADS, DICA e DISC.
Il disturbo depressivo emerge spesso in associazione con altri problemi psichiatrici, come il disturbo
della
condotta e il disturbo oppositivo-provocatorio;
nei bambini e negli adolescenti, i sintomi depressivi sono fortemente associati a comportamenti
antisociali, e
può essere, dunque, difficile distinguere l’irritabilità come sintomo depressivo e l’irritabilità come
sintomo
oppositivo-provocatorio; nei bambini è anche difficile diagnosticare la distimia, infatti sintomi di
bassa
autostima, facilità al pianto e diminuito piacere nelle attività sono spesso associati ad altri disturbi
come
ADHD oo disturbo della condotta.
Anna Battista Sezione Appunti
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81. Comorbidità della depressione infantile
La comorbidità è l’associazione di due patologie, di natura psicologia e/o organica la cui relazione
di
casualità è altamente probabile;
-distimia: quasi nel 30% dei casi coesiste con la depressione maggiore sia negli adulti che nel
bambino, si
differenzia da quest’ultima per la relativa assenza di caratteristiche neurovegetative e psicotiche, per
un
esordio più precoce (7anni) e per una sintomatologia che persiste per almeno 1 anni, dopo il quale la
fase di
guarigione si protrae più a lungo che per la depressione maggiore; l’associazione tra distimia e
depressione
maggiore è considerato un “sottotipo di disturbo dell’umore” chiamato “doppia depressione”;
-disturbo d’ansia: la comorbidità tra ansia e depressione è molto frequente; soprattutto il disturbo
d’ansia
generalizzato per gli adulti e il disturbo d’ansia da separazione per l’età evolutiva; studi sostengono
che
l’ansia preceda la depressione, rafforzando l’ipotesi che la depressione sia secondaria all’ansia;
-disturbo del comportamento e della condotta: una spiegazione è che la depressione sia
semplicemente parte
integrante del disturbo della condotta; un’ulteriore ipotesi è che il disturbo della condotta possa
essere
considerato causa della depressione, poiché molto spesso i bambini assumono disturbi del
comportamento
impulsivi, illegali, aggressivi che aumentano il rischio di vivere situazioni negative che possono
essere la
conseguenza di uno stato depressivo;
-disturbo da abuso di sostanze;
-ADHD: tassi molto alti in età prepuberale che diminuiscono lentamente con dall’adolescenza
all’età adulta.
I fattori di rischio riguardano eventi negativi che coinvolgono soprattutto la figura d’attaccamento,
si parla
anche di un’eventuale disfunzione dell’interazione genitore-bambino.
Anna Battista Sezione Appunti
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82. Prognosi della depressione infantile
L’episodio depressivo rimette spontaneamente, ma se non trattato la sua durata tende a prolungarsi
anche 9
mesi; i tre indici più comuni sono:
1)guarigione o cronicità, il decorso clinico è età-dipendente, il tempo di guarigione per un bambino
depresso
è di circa 7/9 mesi, mentre per un paziente adulto si prolunga fino a 12 mesi; ma i bambini tendono
ad avere
più ricadute rispetto a pazienti più grandi;
2)ricadute, ovvero un nuovo episodio morboso dopo un periodo iniziale di remissione;
3)modificazione o sviluppo verso altro disturbo psicopatologico, un esordio precoce di depressione
può
essere un fattore di rischio per l’esordio di una patologia bipolare in adolescenza; in età adulta, tale
sviluppo
è meno frequente; l’associazione di depressione e di disturbo della condotta può influenzare la
prognosi e
aumentare il rischio di suicidio e di abuso di sostanze in età adulta.
Anna Battista Sezione Appunti
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83. Suicidio e depressione infantile
Suicido e tentativo di suicidio sono fenomeni strettamente correlati; i disturbi depressivi
rappresentano la
categoria psicopatologica a più alto rischio per il suicidio:la metà dei bambini e degli adolescenti
con
depressione maggiore, compiono nel corso della malattia, almeno un tentativo di suicidio, tale
incidenza
tende ad aumentare se si ha comorbidità col disturbo della condotta o il disturbo da abuso di
sostanze; vi è
una netta prevalenza nel sesso femminile di tentativi di suicidio e nel sesso maschile di suicidi
compiuti.
Anna Battista Sezione Appunti
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84. Prevenzione della depressione infantile
Segue due percorsi:
1)trattamento o prevenzione della depressione postpartum come potenziale fattore di rischio della
depressione infantile, che ha ridotto con successo la depressione materna;
2)programmi rivolti a gruppi ad alto rischio(ad esempio figli di genitori depressi) o a tutti i bambini,
attraverso programmi mirati nelle scuole: i programmi verso bambini ad alto rischio ha portato
qualche
successo, al contrario degli interventi nelle classi che ha prodotto risultati contrastanti.
Anna Battista Sezione Appunti
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85. Trattamento della depressione infantile
Vi sono interventi farmacologici e interventi psicosociali suddivisibili in 3 fasi:
1)indurre miglioramento dei sintomi e remissione dell’episodio depressivo nei primi 2/3 mesi;
2)consolidare e mantenere la remissione per almeno altri 6 mesi;
3)prevenire la ricaduta negli anni successivi.
Per quel che riguarda il trattamento farmacologico, vi sono i farmaci antidepressivi in grado di
aumentare i
livelli di serotonina, come la fluoxetina, che al contrario del placebo possono ridurre la
sintomatologia
depressive nel bambino e nell’adolescenza a breve termine; essi però possono causare effetti
collaterali
indesiderati: sintomi di agitazione, irritabilità e ansia.
Per quel che riguarda il trattamento psicoterapeutico, esso dipende dall’età.
Per ottimizzare i risultati del trattamento sia nei bambini che negli adolescenti è bene integrare
psicoterapia
e intervento farmacologico.
E’ importante anche il sostegno fornito ai genitori, che non devono sentirsi accusati, ma coinvolti
positivamente dal terapeuta per il ruolo che possono svolgere nell’aiutare il figlio.
Anna Battista Sezione Appunti
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86. Disturbi della condotta: definizione
Il DSM-IV li definisce come “ comportamenti ripetitivi e persistenti che violano i diritti degli altri,
le norme
e le regole”; l’ICD-10 li definisce meglio qualificandoli come “antisociali, aggressivi e
provocatori”; ciò
significa che gli atti sociali o criminali isolati non sono,di per sé, un fondamento per la diagnosi.
A tal riguardo, vengono inquadrati nell’ambito dei disturbi da “esternalizzazione” differenziandoli
dal quelli
“internalizzanti” che si riferiscono a stati emotivi di ritiro, inibizione, passività, ansia e depressione.
Anna Battista Sezione Appunti
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87. Diagnosi dei disturbi della condotta
Secondo il DSM-IV essi sono classificati in 4 categorie:
1)condotta aggressiva che causa o minaccia danni fisici ad altre persone o ad animali;
2)condotta non aggressiva che causa perdita o danneggiamento della proprietà;
3)frode o furto;
4)gravi violazioni di regole.
Ed in base all’età di esordio distingue due tipi:
1)tipo ad esordio nella fanciullezza: soggetti che presentano il disturbo prima dei 10 anni, sono
prevalentemente maschi e mostrano frequenti comportamenti di aggressione fisica verso gli altri; in
più
hanno maggiori probabilità di sviluppare un disturbo antisociale di personalità (DAP) rispetto ai
soggetti con
esordio nell’adolescenza;
2)tipo ad esordio nell’adolescenza:non hanno alcun disturbo prima dei 10 anni, hanno meno
probabilità di
mostrare un comportamento aggressivo e tendono ad avere con i coetanei relazioni nella norma.
L’ICD-10 distingue il disturbo della condotta in sottocategorie:
1)disturbo della condotta limitato al contesto familiare;
2)disturbo della condotta con ridotta socializzazione;
3)disturbo della condotta con socializzazione normale;
4)disturbo oppositivo provocatorio(DOP)
Anna Battista Sezione Appunti
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88. Diagnosi differenziale ed epidemiologi dei disturbi della
condotta
-Il DOP ha un esordio più precoce del DC ed è contraddistinto da ostilità, caparbietà e atteggiamenti
provocatori e di sfida del bambino verso gli adulti che si prendono cura di lui.
Se vengono soddisfatti sia i criteri per diagnosticare il DOP e sia per il DC, ha la precedenza il DC.
-I bambini con disturbo da deficit di attenzione e iperattività presentano un comportamento
iperattivo e
impulsivo che però non viola le norme sociali adeguate all’età, quindi non soddisfa i criteri per il
DC.
Se vengono,però, soddisfatti sia i criteri per diagnosticare il disturbo da deficit di attenzione ed
iperattività e
sia per il DC, si dovrebbero fare entrambe le diagnosi.
-I bambini con disturbo dell’umore presentano, talvolta, irritabilità e problemi comportamentali, che
si
distinguono dagli stessi previsti per il DC per il decorso episodico e la concomitanza di sintomi
tipici di un
episodio maniacale.
-E’,poi,importante distinguere tra esempi isolati di comportamento antisociale, che si differenziano
dai DC
perche sono limitati nelle manifestazioni e non sono presenti né relazioni deficitarie, né
compromissioni
significative scolastiche.
EPIDEMIOLOGIA
Nei maschi il Dc ha una prevalenza rispetto alle femmine, con comportamenti aggressivi, iperattivi
e
delinquenti.
Anna Battista Sezione Appunti
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89. Eziologia dei disturbi della condotta
Molte ricerche hanno cercato di indagare le cause del DC indicando la presenza di fattori genetici e
ambientali e la loro reciproca interazione.
Un’alta prevalenza di Dc è stata riscontrata negli studi condotti su gemello monozigoti ed anche
eterozigoti
e su soggetti adottati aventi genitori biologici con un disturbo da deficit di attenzione e iperattività o
un
disturbo della condotta.
Spesso sui DC dei bambini influiscono anche condizioni familiari ed ambientali sfavorevoli: gravi
patologie
genitoriali o esperienze di perdita genitoriale.
In più, un ambiente familiare che circonda il bambino influisce sullo sviluppo di condotte
aggressive:
-clima ostile in famiglia, con discordie coniugali,modalità educative contraddittorie e incoerenti,
situazioni
di rifiuto, maltrattamento fisico e psicologico,trascuratezza ed abbandono da parte dei genitori;
-se la famiglia presenta uno stile troppo permissivo, il bambino diventa capace di porre limiti al
proprio
comportamento creando le basi per lo sviluppo di condotte aggressive;
-allo stesso modo,se la famiglia presenta uno stile educativo troppo coercitivo, ricorrendo a
punizioni fisiche
o a violente esplosioni emotive, il bambino si sentirà autorizzato ad utilizzare le stesse modalità
comportamentali nelle relazioni extrafamiliari.
Assumono rilievo anche fattori di ordine psicosociale, quali caratteristiche socio demografiche e
contesto
socioculturale nel quale si vive; infatti in crescere in quartieri degradati, sovraffollati, con una
subcultura che
spesso si schiera contro le norme vigenti è un fattore importante nel predire la messa in atto di
comportamenti aggressivi e violenti in adolescenza.
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90. Comorbità dei disturbi della condotta
Vi è una frequenza associazione del DC con il disturbo da deficit di attenzione ed iperattività, i
disturbi
dell’apprendimento, i disturbi d’ansia, i disturbi dell’umore e i disturbi correlati a sostanze.
Frequente è la comorbidità tra DC e DOP, tra DC e depressione, tra DC e deficit cognitivi con un
QI al di
sotto della media ed un apprendimento scolastico verbale al di sotto del livello previsto dall’età.
I bambini aggressivi presentano più degli altri la tendenza ad interpretare come ostili gesti ambigui;
finiscono per vedere i coetanei come contrapposto a loro e a trattarlo quindi con ostilità coercizione;
nella
scuola elementare vanno alla ricerca dell’approvazione e dell’accettazione da parte dei coetanei e
qualsiasi
forma di rifiuto può spingerli a compiere azione violente o ad unirsi a gruppi con condotta deviante;
il Dc
può essere incrementato dalle mancate lodi e incoraggiamento da parte degli insegnanti o dal rifiuto
da parte
dei coetanei.
In ambito scolastico una particolare forma di comportamento aggressivo è il BULLISMO, definito
come il
caso in cui “uno studente è prevaricato o vittimizzato, esposto ripetutamente e nel corso del tempo
ad azioni
offensive da parte di uno o più compagni”; si esprime come una disuguaglianza di forze tra chi
agisce e che
subisce; si può esprimere in forma diretta, fisica o verbale, e indiretta, con l’isolamento e
l’esclusione.
Anna Battista Sezione Appunti
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91. Prognosi e trattamento dei disturbi della condotta
Solitamente va in remissione con l’adolescenza; infatti un comportamento aggressivo durante
l’infanzia
tende a mantenersi stabile nel corso degli anni e può rappresentare un fattore predittivo per il
successivo
sviluppo di azioni devianti e criminali.
Trattamento
E’ focalizzato su forme che coinvolgono l’individuo, la famiglia e il contesto sociale; il trattamento
farmacologico è usato per controllare gli episodi di aggressività e violenza;
i farmaci più utilizzati sono i modulatori del tono dell’umore; gli antidepressivi inibitori della
serotonina per
la loro capacità sedativa; i neurolettici che possono essere somministrati nel caso di comportamenti
antisociale dirompenti e gravi.
Anna Battista Sezione Appunti
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92. Disturbi d’ansia: definizione
Nel DSM-IV l’unico disturbo d’ansia caratteristico dell’infanzia è “il disturbo d’ansia da
separazione”,
mentre quelli precedentemente compresi nel DSM-III, ovvero il disturbo iperansioso e quello di
evitamento,
sono stati rispettivamente integrati nelle categorie degli adulti del disturbo d’ansia generalizzata e
della fobia
sociale.
Nell’ICD-10 viene operata una differenzazione tra l’infanzia e l’adolescenza e l’adulto; i disturbi
della sfera
emozionale con esordio nell’infanzia e nell’adolescenza sono:
sindrome ansiosa da separazione, sindrome fobica, sindrome d’ansia sociale, disturbo da rivalità tra
fratelli,
sindrome o disturbo emozionale di altro tipo o non specificato; è presente inoltre la categoria “altre
sindromi
ansiose” che include la sindrome di attacchi di panico, la sindrome ansiosa generalizzata e la
sindrome mista
ansioso-depressiva.
Anna Battista Sezione Appunti
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93. Disturbi d’ansia: epidemiologia e comorbidità
I disturbi d’ansia sono i disturbi psicopatologici più frequenti nella popolazione infantile, con
un’interferenza sulla vita quotidiano simile a quella dei disturbi dell’adulto e con possibilità di
mantenersi e
trasformarsi nel tempo.
COMORBIDITA’ DEI DISTURBI D’ANSIA
Le comorbidità più importanti si pongono con i disturbi dell’umore ( disturbo depressivo e bipolare)
e con il
disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD).
Particolarmente rilevante è la comorbidità tra i disturbi d’ansia e la depressione.
Anna Battista Sezione Appunti
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94. Diagnosi dei disturbi d’ansia
Essa presuppone una riflessione attenta su alcuni concetti come quello di “continuità e discontinuità
dei
disturbi d’ansia nel bambino e nell’adulto”, “confine tra ansia normale e patologica, come la
necessità di
rivolgersi all’ansia come un continuum che si esprime con vari gradi di compromissione funzionale,
cognitiva,somatica e comportamentale e che tale compromissione varia a seconda delle varie fasi
evolutive”,
e un’anamnesi minuziosa rispetto alla “presenza e influenza di fattori di rischio e del contesto
ambientale/relazionale”.
E’ importante valutare importanza e ruolo del “temperamento e dell’attaccamento”, il
temperamento può
essere definito come uno stile comportamentale precoce e costante, in grado di influenzare la
personalità e
dato che esso è parte genetica della personalità, potrebbe rappresentare uno dei meccanismi
attraverso il
quale avviene la trasmissione della vulnerabilità psicopatologica da una generazione all’altra per
quanto
riguarda i disturbi ansiosi.
E’ importante anche “l’assessment”, dunque discriminare l’ansia normale dall’ansia patologica; è
necessario
dunque farsi un’idea precisa della categoria patologica, dell’intensità dei sintomi, della
compromissione
funzionale, degli eventuali mascheramenti e della trasformazione dei sintomi; è utile possedere
strumenti
che consentano la valutazione dell’efficacia dei trattamenti come le interviste cliniche che
consentono non
solo di identificare lo specifico disturbo d’ansia, ma anche di mettere a fuoco la presenza di disturbi
associati che potrebbero essere mascherati dal disturbo d’ansia e che potrebbero influenzare
prognosi e
trattamento; le interviste più frequentemente usate sono SADS, DISC e DICA; le RATING SCALE
consentono,invece, una quantificazione del disturbo, ma non sono uno strumento sufficiente per la
diagnosi,
ma possono essere utili per valutare l’andamento clinico e l’efficacia del trattamento.
Anna Battista Sezione Appunti
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95. Disturbo d’ansia da separazione
Per il DSM-IV è l’unico disturbo d’ansia ad insorgenza specifica nell’infanzia:
-intorno ai 6/8 mesi di vita, quando i bambini iniziano a riconoscere con più chiarezza le figure di
attaccamento, si manifestano normali ansie da separazione e abbandono;
-intorno ai 13/18 mesi, questo comportamento si intensifica;
-intorno ai 3/5anni si riduce progressivamente.
Dopo questa fase, in alcuni bambini può insorgere il DISTURBO D’ANSIA DA SEPARAZIONE
(DAS),
che consiste in una preoccupazione eccessiva riguardo la separazione da casa o dalle figure di
attaccamento,
con ansia anticipatori e condotte di evitamento; la capacità a frequentare regolarmente la scuola può
essere
uno dei criteri per diagnosticare il DAS.
I fattori di rischio possono essere di natura: individuale, neurologica, biologica, genetica,
ambientale e
familiare.
-Tra i fattori individuali ricordiamo un temperamento inibito,dipendente e difficile;
-ricordiamo poi alcune aree del SNC che potrebbero essere implicate nella genesi del disturbo
d’ansia;
-un’ereditarietà dell’ansia: stime elevate per i gemelli monozigoti rispetto a quelli dizigoti e una
qualità trans
generazionale per cui l’ansia può trasmettersi, trasformarsi e amplificarsi da una generazione
all’altra;
-presenza di disturbi affettivi nei genitori: vera e propria ansia da separazione materna nei confronti
del
figlio che si sviluppa in base alla storia personale della madre, all’incapacità della madre stessa o
alla sua
paura di rendere il figlio autonomo;
-fattori socio ambientali: correlazione tra DAS e livello socioeconomico basso;
-life-events: trauma come malattia o morte di un parente prossimo, trasloco o cambiamento di
scuola.
L’età media di insorgenza è di 7/8 anni con una prevalenza nel sesso femminile:
-nei bambini di 3/4 anni l’ansia si traduce in un intenso ricorso alla madre, non tollerano separazioni
che un
bambino di questa età può normalmente accettare, l’inquietudine si manifesta non appena la madre
si
allontanata, il bambino cerca di tenerla continuamente sott’occhio e di toccarla, l’addormentamento
esige la
stretta vicinanza della madre, il bambino può rimanere in uno stato regressivo, parlando un
linguaggio
comprensibile solo alla madre;
-a 5/8anni i sintomi sono prevalentemente comportamentali, somatici, hanno paura di perdere i
genitori, e
negli anni successivi compaiono paure circa possibili incidenti o malattie a carico dei genitori e
rifiuto
scolastico;
-in adolescenza sono molto frequenti le somatizzazioni, il ragazzo cerca l’attenzione dei genitori, il
loro
sguardo sia di approvazione che corrucciato.
Diagnosi del disturbo d’ansia da separazione
Per tutti i disturbi d’ansia una buona diagnosi è data da un’anamnesi che riguardi il bambino, i
genitori e
altri soggetti informati per valutare se le ansie da separazione sono selettive in specifici contesti o
pervasive,
è necessario valutare la presenza di life-events negativi o stressanti in tutti gli ambiti; è sttao messo
a punto,
specificatamente per il DAS, il SASI.
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96. Disturbo d’ansia generalizzato
Il DSM-III definiva il disturbo iperansioso come una condizione specifica dell’età evolutiva,
caratterizzata
da eccessiva preoccupazione per il passato, per il futuro e per l’adeguatezza delle proprio capacità e
dei
propri comportamenti, associata a stato di tensione, somatizzazioni, eccessiva coscienziosità e
necessità di
rassicurazioni.
Successivamente questi criteri sono stati considerati nel DSM-IV col disturbo d’ansia generalizzato
(DAG).
La prevalenza è nel sesso femminile con un rapporto 2:1.
L’ansia dura almeno 6 mesi, ed è presente nella maggior parte dei giorni, senza riferimenti a
specifiche
situazioni o oggetti.
Tali bambini presentano irrequietezza, faticabilità, difficoltà di concentrazione, irritabilità, tensione
muscolare e disturbi del sonno, cercano sempre di portare a termine in modo perfetto le loro attività,
cercano
di piacere agli altri e vorrebbero continue rassicurazioni sulle loro capacità.
Vi è un’elevata comorbidità col disturbo depressivo e con l’ADHD.
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97. Disturbo da panico
Il DSM-IV definisce l’attacco da panico (AP) come un periodo di intensa paura e malessere, che
insorge
acutamente e raggiunge il sio acme in 10 minuti o meno in associazione ad una sintomatologia
somatica
(palpitazioni, sudorazione, tremori, sensazione di soffocamento, dolore toracico, nausea, malessere
addominale, stordimento, vertigini, parestesie, sensazione di calore o di freddo) e sintomatologia
cognitiva
(de realizzazione, depersonalizzazione, paura di perdere il controllo o diventare matto, paura di
morire).
Gli AP possono essere:
-inaspettati, se vengono senza alcun preavviso o fattore scatenante;
-avvenire in seguito all’esposizione a specifiche situazioni scatenanti;
-essere favoriti ma non inevitabilmente scatenati da situazioni specifiche, che possono manifestarsi
anche a
distanza di tempo da tale esposizione.
L’età di esordio è bimodale, con un picco adolescenziale ed uno in età adulta:
- a 6/10 anni abbiamo tensione acuta ed improvvisa, poi terrore, pianto, fuga, agitazione
psicomotoria,
palpitazioni, difficoltà di respiro, nausea, sudorazione, senso di svenimento;
-tra i 10 e i 12 anni abbiamo dolori toracici, rossore, tremore, mal di testa, vertigini ed iniziali
sintomi
cognitivi;
-in adolescenza prevalgono i sintomi cognitivi, paura di morire, paura di diventare matto, di perdere
il
controllo, più tardi de realizzazione e depersonalizzazione.
In età evolutiva sono più rari gli AP spontanei e più frequenti quelli scatenanti o favoriti da fattori
esterni.
E’ presente frequentemente l’associazione con agorafobia, vi può essere o non il rifiuto scolastico e
disturbo
depressivo.
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98. Fobie semplici
Ogni fase di sviluppo del bambino è caratterizzato da paure specifiche che normalmente si
estinguono
progressivamente, secondo una sequenza temporale specifica.
Se tali paure, però, condizionano pesantemente la vita e il comportamento del bambino per periodi
di tempo
prolungati, o se si presentano in un’epoca della vita in cui dovrebbero essere superate , assumono un
significato patologico e si parla di “fobie semplici”.
Esse sono paure intense e persistenti relative ad oggetti e situazioni, eccessive ed irragionevoli,
attivate
dall’esposizione o anticipazione dello stimolo fobico.
I sintomi somatici sono : palpitazione, rossore o pallore e tensione muscolare; i sintomi
comportamentali
sono: pianto e rabbia.
Si possono delineare cinque categorie di fobie:
1)le fobie degli animali;
2)le fobie di situazioni ambientali;
3)le paure delle iniezioni e del sangue;
4)le paure di situazioni specifiche;
5)le fobie di altro tipo.
Le fobie che durano anche dopo l’adolescenza, in genere, tendono a stabilizzarsi.
La prevalenza è maggiore nel sesso femminile.
La comorbidità più frequente sembra essere con il disturbo d’ansia generalizzato, seguito dal
disturbo
d’ansia da separazione.
Né sesso né età sembrano influenzare la comorbidità.
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99. Fobia sociale
La Fobia Sociale è uno stato di intensa ansia, attivato da situazioni sociali nelle quali il soggetto
deve
interagire con persone nuove, sconosciute, non familiari, o da situazioni nelle quali può essere
osservato,
giudicato, passivitato o umiliato e si comporta attivando condotte massicce d’evitamento.
Dai 4 ai 6 anni abbiamo sintomi comportamentali, atteggiamenti adesivi e di aggrappamento, il
bambino si
nasconde dietro le figure familiari, piange, grida, si arrabbia di fronte a situazioni sociali
aspecifiche;
dai 6 anni compare l’incapacità a partecipare alle attività scolastiche, non riesce a sostenere
un’interrogazione o a partecipare alle lezioni di educazione fisica, va male a scuola; frequente il
rifiuto
scolastico;
-negli adolescenti, il quadro clinico, ricorda la sintomatologia degli adulti, compaiono ansie ed
evitamento
prima e durante la prestazione di fronte ad estranei; il ragazzo teme continuamente di essere colto in
fallo, di
fare qualcosa di stupido, di essere umiliato.
Sono spesso presenti reazioni vegetative come tachicardia, sudorazione, tremori e diarrea che
accentuano
ulteriormente la reazione d’ansia.
La fobia sociale si mantiene stabile nel tempo; è elevata la comorbidità con i disturbi d’ansia e
dell’umore; è
elevato l’abuso di droghe e alcool, poiché diminuiscono l’ansia sociale.
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100. Disturbi del comportamento alimentare
Nelle classificazioni del DSM-IV e dell’ICD-10 i disturbi del comportamento alimentare (DCA)
comprendono: anoressia nervosa, bulimia nervosa e disturbi del comportamento alimentare non
altrimenti
specificati, tra cui le anoressie o le bulimie parziali perché non presentano tutti i sintomi necessari
per la
diagnosi di una delle due sindromi; tra di essi ricordiamo anche il disturbo di alimentazione
incontrollata
(binge eating disorder) legato all’obesità; quest’ultima non rientrante nei disturbi del
comportamento
alimentare.
I DCA vengono definiti quadri psicopatologici dell’odierno mondo industrializzato, anche se i primi
casi
risalgono ad epoche decisamente antecedenti:
-l’ANORESSIA NERVOSA viene descritta per la prima volta da Morton attorno al 1874 che la
definì
“emaciazione nervosa”, in seguito venne definita “anoressia mentale” e “ anoressia isterica”
facendo
riferimento all’origine non organica del disturbo, sostenendo che la famiglia poteva avere un ruolo
cruciale
per il suo sviluppo;
-la BULIMIA NERVOSA viene descritta,invece, per la prima volta solo nel 1979 da Russel.
E’ caratteristica degli ultimi 50 anni lo stretto collegamento tra disagio del proprio corpo e
comportamenti
alimentari anomali.
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101. Anoressia nervosa
-peso corporeo inferiore di almeno il 15% rispetto a quello atteso per l’età e la statura;
-perdita di peso autoindotta evitando cibi che fanno ingrassare;
-percezione di se stessi come troppo grassa con la paura di ingrassare;
-nelle donne amenorrea con assenza di almeno tre cicli mestruali consecutivi; negli uomini
impotenza e
perdita di libido;
-specificare il sottotipo:1) restrittivo se la persona non presenta comportamenti di svuotamento
improprio;2)
bulimico: se la persona presenta tali comportamenti
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102. Bulimia nervosa
-episodi di abbuffate compulsive di almeno due volte la settimana per 3 mesi in cui grandi quantità
di cibo
sono consumate in brevi periodi di tempo, dunque una quantità che è indiscutibilmente superiore a
quella
che la maggior parte della gente mangerebbe nello stesso periodo di tempo, con una perdita di
controllo
sull’atto del mangiare;
-preoccupazione persistente intorno al mangiare e forte desiderio di mangiare;
-il soggetto tenta di contrastare gli effetti ingrassanti del cibo con vomito autoindotto, abuso/uso
improprio
di lassativi, diuretici, farmaci antifame, periodi di digiuno;
-specificare il sottotipo:1)senza condotte di eliminazione;2)con condotte di eliminazione.
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Neuropsichiatria infantile Pagina 104 di 167
103. Disturbo alimentare non altrimenti specificato
-disturbi che non soddisfano tutti i criteri per essere diagnosticati in una delle due sindromi;
ad esempio:
-nelle donne sono soddisfatti tutti i criteri dell’anoressia nervosa ma presentano regolarmente il
ciclo
mestruale;
-sono soddisfatti tutti i criteri dell’anoressia nervosa ma il peso nonostante appare in diminuzione è
comunque nella norma;
-sono soddisfatti tutti i criteri della bulimia nervosa ma le abbuffate hanno una frequenza inferiore
alle 2 a
settimana per 3 mesi.
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104. Disturbi alimentari prepuberali
Quando vengono diagnosticate in età prepuberale o comunque in età inferiore ai 12 anni; in fase
premenarcale l’incidenza dei soggetti maschi è più elevata rispetto alle epoche successive e i
disturbi
alimentare senza causa organica chiara sotto i 14 anni sono:
-il disturbo emotivo di rifiuto del cibo, inquadrato come una forma parziale di anoressia nervosa e
con una
prognosi, dunque, migliore; è legato dal punto di vista emotivo ad una storia di rifiuto di mangiare;
-disfagia funzionale,è simile all’anoressia ma da essa si differenzia per l’assenza di preoccupazione
per il
peso e la forma del corpo;
-rifiuto pervasivo, è il rifiuto categorico di mangiare, bere, parlare e fare molte altre attività normali,
dunque
non è limitato solo al cibo;
-alimentazione selettiva, soggetti che mangiano solo alcuni cibi senza avere segni di malnutrizione;
è spesso
accompagnato a problemi di relazione sociale e di ansia nel normale contesto di vita;
-anoressia secondaria a depressione, si distingue dall’anoressia nervosa per l’assenza di
preoccupazioni per
il peso e la forma del corpo.
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105. Diagnosi dei disturbi alimentari
I criteri utilizzati dal DSM-IV e dall’ICD-10 non sono adeguati per una simile diagnosi in età
prepuberale,
ad esempio:
-il criterio “assenza di tre cicli mestruali consecutivi “non sempre è documentabile nel caso di
amenorrea
primaria,poiché è difficile affermare che le mestruazioni erano attese;
-il criterio “mantenere il peso corporeo al di sotto del 15% di quello previsto” in quest’età non è
sempre
definibile, infatti non si sa se esso potrebbe influire sulla crescita in statura e peso;
Dunque i criteri per la diagnosi nell’età prepuberale sono stati definiti GOS, acronimo di Great
Ormond
Street, sede dell’ospedale dove i ragazzi vengono curati e sono usati per l’età 7-14 anni:
-rifiuto di cibo;
-calo di peso o mancato aumento della crescita senza cause fisiche;
-almeno due o più dei seguenti sintomi: preoccupazione per il peso del corpo e per l’assunzione
calorica,
disturbo dell’immagine corporea, paura di ingrassare, abuso di lassativi, vomito autoindotto, intensa
attività
fisica.
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106. Epidemiologia dei disturbi alimentari
I DCA colpisce prevalentemente il sesso femminile tra i 12 e i 25 anni; l’anoressia ha il picco di
comparsa
tra i 14-15 anni,mentre la bulimia tra i 18-19 anni; l’esordio,per quanto riguarda l’anoressia non è
mai prima
degli 8 anni e sono state descritte anche forme tardive,perfino successive alla menopausa; per
quanto
riguarda la bulimia, l’esordio è prevalentemente tardivo,mai prima dei 14 anni.
Sono più frequenti nei paesi industrializzati e rari o assenti nei paesi poveri.
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107. Disturbi dell’apprendimento
Per disturbi di apprendimento si intendono: le disabilità della lettura, della scrittura e del calcolo
aritmetico.
Circa il 20/25% della popolazione tra i 6 e i 14 anni ha difficoltà scolastiche sia nei compiti
d’apprendimento e sia nell’uso delle regole sociali, causato da ritardo mentale, svantaggio
socioculturale,
disturbi neuropsicologici, disturbi strumentali e disturbi affettivo-relazionali; ciò viene
comunemente
chiamato: DISABILITA’ DI APPRENDIMENTO SCOLASTICO.
Esso si distingue in:
-ASPECIFICO, che interessa il 10/16% della popolazione, presentano una difficoltà nei compiti
d’apprendimento come conseguenza di un disturbo neurologico e/o neuropsichiatrico, con
concomitante
ritardo dello sviluppo del linguaggio o delle capacità motorie;esso:
-si può manifestare all’inizio della scolarizzazione come conseguenza di una basso livello
socioculturale o
carenza di contatti extrafamiliari provocando un disturbo ansioso da separazione;
-o riconoscersi ad iter scolastico inoltrato come conseguenza di ritardo mentale, alterazione genetica
dell’X
fragile, episodi depressivi minori, disturbo depressivo maggiore, deficit di attenzione ed iperattività;
-SPECIFICO, che interessa il 2/4% della popolazione con alterazioni delle modalità di acquisizione
già nelle
fasi iniziali di sviluppo; non sono la conseguenza di mancata stimolazione ambientale, culturale, o
di ritardo
mentale,trauma o malattia cerebrale acquisita e avendo un’intelligenza nella media;
si tratta di una situazione innata,propria dell’individuo,senza connotazione patologica, che si
manifesta al
momento della scolarizzazione, per il livello di sviluppo e la richiesta ambientale propria della
scuola.
Secondo il DSM-IV:
a)le acquisizione devono essere inferiori a quelle previste per l’età, l’intelligenza e l’esperienza
scolastica;
b)le anomalie devono interferire, in modo significativo, con l’apprendimento scolastico e le attività
quotidiane;
c)se è presente un deficit sensoriale le difficoltà vanno al di là di quelle di solite associate ad esso.
Secondo l’ICD-10,inoltre, si tratta di una specifica e significativa compromissione dello sviluppo
della
lettura, scrittura e calcolo, non spiegabili da problemi di acutezza visiva, inadeguata istruzione
scolastica o
età mentale; il cut-off deve essere da un punteggio che si collochi al di sotto di 2 DS dalla media,
corrispondente ad un QI < 70.
Il disturbo specifico dell’apprendimento è,dunque, una condizione idiopatica, cioè senza causa
riconoscibile,
anche se gli studi di genetica hanno evidenziato una familiarità del 35/40% ed una prevalenza
maggiore nel
sesso maschile, anche se nelle donne affette il disturbo risulta più severo.
Per disturbi di apprendimento si intendono: le disabilità della lettura(DISLESSIA), della
scrittura(DISGRAFIA) e del calcolo aritmetico(DISCALCULIA).
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108. Disturbi dell’apprendimento: dislessia
Si manifesta in un soggetto in età dello sviluppo in assenza di deficit neurologici, sensoriali,
relazionali e
normali opportunità educative e scolastiche.
Riguardo la lettura è stato sviluppati il “MODELLO A DUE VIE”:
-la prima via è detta FONOLOGICA e si fonda sulla conversione grafema-fonema per leggere
qualsiasi tipo
di parola, sia essa nota o sconosciuta; un’alterazione a carico di questa via conduce alla dislessia
fonologica;
-la seconda via è denominata LESSICALE O SEMANTICA e ipotizza l’accesso ad un lessico
ortografico
immagazzinato per leggere le parole, una sua alterazione porta alla dislessia superficiale;
-quando si ha un cattivo funzionamento di entrambe le vie si ha la dislessia mista.
La diagnosi non dovrebbe essere emessa prima della II elementare in quanto vi è un’ampia
variabilità
iniziale nell’apprendimento della lettura,che dipende sia dai soggetti che dall’insegnamento
adottato;devono
essere valutati:
-il livello cognitivo generale;
-la comprensione e l’espressione linguistica;
-la MBT verbale e non verbale;
-l’attenzione;
-la lettura;
-e la comprensione della lettura.
La prognosi: il disturbo dislessico non può essere annullato, nella maggior parte dei casi si osserva
un
miglioramento della correttezza della lettura, ma la velocità rimane sempre lenta.
Anna Battista Sezione Appunti
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109. Disturbi dell’apprendimento: disgrafia
E’ una bassa velocità e correttezza dell’espressione scritta; anche per la scrittura può essere
applicato il
modello a due vie:
-una via SEMANTICO-LESSICALE o DIRETTA, la quale alterazione provoca la comparsa di una
disgrafia
superficiale;
-una via SUBLESSICALE o INDIRETTA, la quale alterazione determina una disgrafia fonologica;
-frequente è la disgrafia mista.
Come per la lettura, anche per la scrittura la diagnosi viene formulata mediante la somministrazione
di test
standardizzati specifici in cui il soggetto raggiunge un punteggio che si colloca al di sotto di 2 DS
dalla
media; per l’ICD-10 un criterio diagnostico aggiuntivo è l’assenza di un concomitante disturbo di
lettura.
Gli errori di scrittura vengono suddivisi in:
-fonologici, dovuti al non rispetto della conversione fonema-grafema;
-non fonologici, dovuti alla scorretta ortografia o visione della parola;
-altro, riguardanti l’omissione o l’aggiunta di accenti e doppie.
Anche per la scrittura la diagnosi può essere emessa a partire dalla II elementare.
Anna Battista Sezione Appunti
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110. Disturbi dell’apprendimento: discalculia
Per il DSM-IV è un’alterazione che riguarda sia le competenze di calcolo che il ragionamento
matematico,
interessante,dunque:
-la comprensione dei termini, delle operazioni e dei concetti matematici;
-il riconoscimento dei simboli matematici;
-il copiare correttamente i numeri;
-il contare accuratamente gli oggetti;
-l’imparare le tabelline;
-il seguire una successione di passi matematici.
Per l’ICD-10 esso interesserebbe più selettivamente gli algoritmi fondamentali di
calcolo)somma,sottrazione,moltiplicazione, divisione) e non il calcolo matematico astratto
dell’algebra,
della geometria e della trigonometria e si presenterebbe isolatamente, e non in associazione con
dislessia e
disgrafia.
Distinguiamo:
-dislessia per le cifre, incapacità di lettura e scrittura dei numeri;
-discalculia procedurale;
-discalculia per i fatti aritmetici.
L’eziologia viene rapportata a tre approcci:
1)approccio neuro evolutivo, che riconosce una causa cerebrale alla base del disturbo, quale
un’alterazione
genetica o morfo-funzionale della specializzazione emisferica;
2)approccio psico-sociale, che lo considera come la conseguenza di una ridotta intelligenza o bassa
stimolazione sociale;
3)approccio psico-pedagogico, che ipotizza delle difficoltà proprie della disciplina o delle modalità
didattiche.
La diagnosi viene formulata non prima della fine della I elementare, poiché il disturbo appare
evidente non
prima della II o III elementare o per i bambini più dotata intellettivamente anche più avanti; devono
essere
valutati:
-il campo neurologico;
-il campo neuropsicologico;
-il campo psicologico;
-le abilità aritmetiche.
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111. Disturbi dell’attaccamento
John Bowlby e Mary Ainsworth hanno contribuito a dimostrare come lo sviluppo armonioso della
personalità del bambino dipenda da un adeguato attaccamento alla figura materna.
Bowlby teorizza che l’attaccamento nasce come manifestazione pulsionale, ma si sviluppa, in
seguito, come
fenomeno interazionale.: alcuni comportamenti istintuali, (succhiare, stare attaccati, piangere)
riconducibili
biologicamente alle necessità di accudimento e di protezione del neonato, successivamente
evolvono in un
legame di attaccamento verso la figura materna attraverso l’interiorizzazione dei sentimenti e delle
modalità
affettive di tale figura e l’organizzarsi di "modelli operativi interni", che si fondano su processi
mentali di
attenzione, percezione, memoria, selezione di affetti e di risposte comportamentali, all’interno di
relazioni
significative.
Secondo Bowlby, aver sperimentato figure di accudimento sensibili e disponibili verso gli altri
favorisce la
maturazione di un atteggiamento globalmente fiducioso nei riguardi delle relazioni umane e di un
sentimento di sé positivo; al contrario, aver avuto figure di accudimento inadeguate genera scarsa
fiducia in
sé e negli altri e aspettative negative riguardo alle relazioni intime.
Mary Ainsworth elaborò una situazione sperimentale per determinare il tipo di attaccamento tra
madre e
figlio. La situazione, denominata "Strange Situation" era suddivisa in otto episodi, ciascuno della
durata di
tre minuti, dove il bambino veniva sottoposto a situazioni potenzialmente generatrici di "stress
relazionale".
La sequenza osservativa di tutte le fasi della strange situation, permette di definire 4 tipologie di
attaccamento che legano la madre (o la figura principale di accudimento) e il bambino:
1)attaccamento sicuro: le figure genitoriali sono responsabili e i bambini mostrano un attaccamento
sicuro
caratterizzato da capacità comunicative dei propri stati emotivi;
2)attaccamento evitante: i bambini vivono esperienze di rifiuto e di non responsività sviluppando un
attaccamento evitante ed inibendo la comunicazione delle espressioni;
3)attaccamento ambivalente: i genitori sono responsabili in modo incostante ed incoerente, non
hsnno
organizzato una configurazione di comportamento tale da garantire una comunicazione significativa
con i
genitori, che consenta di predire il comportamento genitoriale, essi elaborano un modello del Sé
insicuro ed
hanno una carenza nella capacità di comunicare e nel coping;
4)attaccamento disorganizzato: per aver esperito situazioni paurose da parte della figura genitoriale,
diventando essa stessa fonte di allarme, i bambini , dunque, non mettono in atto comportamenti di
esplorazione e di attaccamento in presenza del genitore e mostrano espressioni di paura, tristezza e
paralisi
nei suoi confronti;
5)abbiamo un ulteriore tipo di attaccamento, quello atipico-evitante-ambivalente: bambini con
esperienza
pregresse di abuso, trascuratezza e svantaggio socioeconomico;e quello atipico-instabile-evitante: a
seguito
di maltrattamenti da parte delle figure genitoriali.
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112. Eziologia dei disturbi dell’attaccamento
La teoria dell’attaccamento sottolinea l’importanza del caregiver e della sua responsività per
promuovere il
senso di sicurezza; se ciò non accade, infatti, si determina uno stato di insicurezza e di diffidenza
verso
l’adulto, ma anche difficoltà a regolare le emozioni con la tendenza a minimizzare o a reprimere le
emozioni.
E’ attraverso l’AAI che possiamo classificare gli adulti come sicuri, distanzianti o preoccupati:
- i sicuri: sono in grado di parlare delle loro esperienze precoci apertamente e di riflettere sugli
effetti di
queste sulla loro personalità adulta;
-i distanzianti: tendono a minimizzare gli effetti delle loro esperienze negative, idealizzano i propri
genitori,
malgrado le storie che essi stessi riportano non confermino ciò;
-i preoccupati: pongono particolare attenzione alle passate esperienza fornendo molti ricordi,
nonostante la
difficoltà ad integrarle.
-I soggetti sicuri avranno maggiore probabilità di avere figli sicuri;
-i soggetti distanzianti avranno maggiore probabilità ad avere figli evitanti;
-i soggetti preoccupati hanno maggiore probabilità ad avere figli ambivalenti.
-I bambini sicuri integrano informazioni derivate affettivamente con informazioni derivate
cognitivamente;
-i bambini evitanti apprendono che le informazioni affettive conducono a risultati spiacevoli,
dunque
tendono difensivamente ad escluderle in favore di quelle cognitive;
-i bambini ambivalenti sono incapaci di trovare una strategia mentale e/o comportamentale per
organizzare
la loro condotta ed esprimono sofferenza per l’incapacità di predire o influenzare il loro ambiente.
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113. Sistemi di classificazione dei disturbi dell’attaccamento
Il DSM-IV individua un disturbo reattivo dell’attaccamento che si esprime in due sottotipi:
1)il tipo inibito, caratterizzato da risposte inibite, ambivalenti, verso uno o più adulti;
2)il tipo disinibito, caratterizzato dall’incapacità di sviluppare un attaccamento selettivo.
L’ICD-10 riporta i seguenti quadri:
1)disturbo reattivo dell’attaccamento che corrisponde al tipo inibito del DSM-IV;
2)disturbo disinibito dell’attaccamento che corrisponde al tipo disinibito del DSM-IV.
Si è tentato di integrare i criteri del DSM-IV e dell’ICD-10 e gli autori descrivono tre ampie
categorie di
disturbo dell’attaccamento:
1)disturbo da assenza di attaccamento: con ritiro emozionale quando il bambino è emotivamente
ritirato e
inibito nelle ricerca di aiuto, conforto e nella manifestazione degli affetti; e con socievolezza
indiscriminata
quando il bambino ricerca l’interazione a scopo di protezione, ma con persone estranee: la
valutazione di
questi disturbi può essere compiuta solo se il bambino ha raggiunto i 12 mesi di età;
2)distorsione della base sicura:con comportamenti che mettono in pericolo il bambino quando sono
presenti
comportamenti pericoli per il bambino in presenza della figura di attaccamento;con esplorazione
inibito ed
eccessivo aggrapparsi quando la figura di attaccamento non permette al bambino di esplorare
l’ambiente;
con vigilanza o compiacenza eccessive quando l’esplorazione è inibita e vi è l’assenza della figura
di
attaccamento e i comportamenti del bambino sono eccessivamente compiacenti;con inversione di
ruolo
quando il bambino si preoccupa eccessivamente per la figura di attaccamento e tende a controllarlo;
3)disturbo dell’attaccamento interrotto definito in base alle reazioni emozionali che il bambino
mostra in
seguito alla perdita improvvisa della figura di attaccamento.
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114. Diagnosi dei disturbi dell’attaccamento
E’ effettuata attraverso la STRANGE SITUATION che consiste in una procedura osservativa,
costruita per
identificare le differenze individuali dei modelli di attaccamento e per valutare l’equilibrio tra il
sistema di
attaccamento e il sistema di esplorazione del bambino, nel primo anno di vita:
-i bambini sicuri possono accedere alle informazioni sia affettive che cognitive ed integrale;
-i bambini evitanti scartano le informazioni cognitive;
-i bambini ambivalenti scartano le informazioni affettive.
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115. Fattori di rischio e fattori protettivi dei disturbi
dell’attaccamento
L’esperienza precoce con figure di attaccamento non disponibili e responsive aumenta per i bambini
il
rischio di insorgenza di disagio psicologico; sono stati individuati alcuno fattori che possono
contribuire alla
formazione del rischio:
-la ridotta percezione delle condizioni che portano i bambini ad avvertire la sofferenza, ciò
comporta il
rischio di ulteriori distorsioni limitando, da una parte l’esperienza con altre figure e dall’altra la
potenzialità
di ricevere informazioni positive su di sè;
-l’incapacità di raggiungere un’organizzazione comportamentale che permetta loro di influenzare il
comportamento delle figure di attaccamento, tali bambini attribuiscono a se stessi la responsabilità
della
gestione delle emozioni di rabbia provate dalla figura di attaccamento;
-la percezione negativa di se stessi.
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116. Disturbi associati ai disturbi dell’attaccamento
L’attaccamento dei bambini insicuri è associato a problemi di controllo degli impulsi, scarsa
autostima,
scarsa regolazione emozionale e difficili relazioni con i pari;
I bambini con attaccamento evitante risultano inclini a sviluppare disturbi della condotta;
i bambini ambivalenti presentano spesso problemi di tipo cognitivo ed affettivo con risultati
scolastici
limitati e difficoltà di relazione con i pari; vi è una netta associazione tra l’attaccamento
ambivalente ed i
disturbi d’ansia.
Anna Battista Sezione Appunti
Neuropsichiatria infantile Pagina 118 di 167
117. Disturbi dell’evacuazione
Essi sono legati al controllo sfinterico che ha come requisito fondamentale il corretto
funzionamento del
sistema nervoso autonomo, della muscolatura liscia della vescica e dell’intestino ed infine delle
afferenze
autonomi che connesse al sistema sacrale del midollo spinale.
Distinguiamo:
ENURESI
E’ un’involontaria o anche intenzionale emissione di urine in assenza di un disturbo fisico, come
malformazione anatomica dell’apparato urinario, epilessia generalizzata convulsiva o incontinenza
vescicale
a causa di patologie neurologiche, in luoghi inaccettabili socialmente e in una fase di vita in cui tale
controllo è stato acquisito, dunque è diagnosticabile al di sopra dei 5 anni, dato che tale controllo
viene
completamente acquisito all’età di 4 anni e 6 mesi;
secondo il DSM-IV:
-ripetuta emissione di urina nel letto o nei vestiti sia involontariamente che intenzionalmente;
-frequenza di 2 volte alla settimana per almeno 3 mesi consecutivi;
-disagio clinicamente testato, compromissione dell’area sociale, scolastica, lavorativa, o altro;
-età cronologica di almeno 5 anni.
L’enuresi può essere diurna, notturna o mista; e primaria, quando è un prolungamento
dell’incontinenza
infantile, dunque quando il controllo non è ancora stato appreso; o secondaria,dopo che il controllo
è stato
acquisito e mantenuto per almeno 6 mesi consecutivi;
ENCOPRESI
E’ la volontaria o involontaria evacuazione di feci in luoghi inadeguati, con frequenza variabile di
una volta
al mese per almeno tre mesi consecutivi, in un bambino con più di 4 anni d’età;
secondo il DSM-IV:
-ripetuta evacuazione di feci in luoghi inappropriati, sia involontariamente che intenzionalmente;
-una volta al mese per almeno 3 mesi consecutivi;
-età cronologica di almeno 4 anni.
L’encopresi viene distinto in una forma primaria, secondaria e con o senza costipazione(stitichezza)
e
incontinenza da sovra riempimento, il tipo con costipazione e incontinenza da sovra riempimento si
accompagna a dolori addominali; nel tipo senza costipazione e incontinenza da sovra riempimento
le feci
sono normali ma i soggetti tendono a defecare in luoghi inappropriati.
Anna Battista Sezione Appunti
Neuropsichiatria infantile Pagina 119 di 167
118. Epidemiologia, eziologia e trattamento dei disturbi di
evacuazione
L’enuresi diurna è presente nel 12% dei bambini tra 11 e 12 anni e nel 3% dei ragazzi tra 15 e 16
anni;
La prevalenza è nell’età scolare; e l’enuresi primaria risulta più frequente di quella secondaria con
una
differenza legata al sesso: l’enuresi primaria è più frequente nei maschi e l’enuresi secondaria è più
frequente nelle femmine.
EZIOLOGIA DEI DISTURBI DI EVACUAZIONE
La fisiologia della minzione coinvolge il sistema nervoso autonomo, i reni e la vescica che
consentono
l’alternanza di lunghe e lente fasi di riempimento e brevi fasi di svuotamento:la vescica riceve circa
50ml/ora di urina, quando il riempimento corrisponde a 150-200ml compaiono i primi stimoli a
mingere,
superati i 250ml inizia la fase di svuotamento che non è più controllato al di sopra dei 700ml di
urina.
Le ipotesi eziologiche sono varie:
-disturbi del sonno:secondo tale ipotesi, l’enuresi è un disordine dell’arousal: tali bambini riescono
a
controllare l’emissione di urina durante il giorno, ma non la notte; gli episodi possono verificarsi in
tutte le
fasi del sonno;
-capacità funzionale della vescica o FBC:corrisponde al volume dell’urina rilasciata dopo che il
bambino ha
trattenuto l’urina il più a lungo possibile;
-secrezione ADH(ormone antidiuretico):deficit del picco notturno di ADH e alterazione del suo
ritmo
circadiano, che nel soggetto normale abbassa la produzione di urina durante la notte della metà
rispetto
all’urina durante il giorno; nei bambini con enuresi vi è una minore produzione di tale ormone e
dunque un
accumulo eccessivo di urine nei reni.
Il controllo delle feci è legato al corretto funzionamento dell’apparato anale-sfinterico e anche
all’attribuzione del segnale per un adeguato comportamento sociale.
TRATTAMENTO DEI DISTURBI DI EVACUAZIONE
-farmacologico,come antidepressivi triciclici, farmaci antidiuretici e farmaci anticolinergici per
l’instabilità
vescicale;
-comportamentale, in associazione più o meno ai farmaci,come ad esempio un dispositivo acustico
che
rileva la presenza di poche gocce di urina nella biancheria emettendo un suono acustico che sveglia
il
bambino.
Anna Battista Sezione Appunti
Neuropsichiatria infantile Pagina 120 di 167
119. Disturbi pervasivi dello sviluppo
Fanno parte dei disturbi pervasivi dello sviluppo (DPS) i disturbi dello spettro autistico, tra i quali
l’autismo
e le sindrome ad esso correlate.
Kanner ci fornì una prima descrizione dell’autismo che si è progressivamente arricchita ed alla luce
di
successive ricerche alcune sue osservazioni si sono rilevate inesatte, anche se “la chiusura
relazionale, le
difficoltà sociali, le scarse competenze comunicative e gli interessi ristretti” originariamente da lui
descritti
sono le caratteristiche principali di questi disturbi anche attualmente.
L’attuale classificazione del DSM-IV riguardo i disturbi pervasivi dello sviluppo ha sostituito le
precedenti
definizioni:
-autismo;
-sindrome di Rett;
-disturbo disintegrativo della fanciullezza;
-disturbo di Asperger;
-disturbo pervasivo dello sviluppo non altrimenti specificato.
Anna Battista Sezione Appunti
Neuropsichiatria infantile Pagina 121 di 167
120. Autismo
E’caratterizzato dall’alterazione della reciprocità sociale e della capacità comunicativa e dalla
presenza di
comportamenti ripetitivi e stereotipati.
Le manifestazioni si osservano entro i 3 anni, solitamente insorgono nel secondo anno, con
disfunzioni e
regressioni dello sviluppo evidenti dal primo anno; il sesso maschile è più interessato rispetto a
quello
femminile con un rapporto di 4:1.
-ANOMALIE DELLO SVILUPPO SOCIALE E RELAZIONALE: è presente una scarsa
interazione sociale
del bambino e la tendenza ad isolarsi dall’ambiente; i comportamenti affettivi ed emotivi sono
scarsi sia nei
confronti della famiglia che nei confronti di sconosciuti; persino l’attaccamento alla madre pur
essendo
presente, risulta instabile e frammentario, verso i 5/6 anni diviene più stabile ed intenso; lo sguardo
è
raramente rivolto all’interlocutore e la ricerca spontanea dei coetanei è molto scarsa,se non
assente,sia dal
punto di vista relazionale-affettivo che dal punto di vista ludico; prediligono la solitudine; hanno
difficoltà
nel comprendere le emozioni, le intenzioni ed i sentimenti altrui, nell’interpretare il punto di vista
altrui;
hanno una ridotta capacità imitativa ed hanno difficoltà nel comprendere i messaggi non verbali ed
impliciti
della comunicazione; vi sono anomalie anche dello sviluppo cognitivo ed emotivo, avendo come
riferimento
“la teoria della mente”, secondo cui sarebbe presente una specifica difficoltà nel comprendere ed
interpretare
il modo di pensare altrui, dunque un’incapacità di comprendere gli stati mentali;
-ALTERAZIONI DEL LINGUAGGIO E DELLA COMUNICAZIONE NON VERBALE: la
produzione
verbale è deficitaria, la comprensione verbale inadeguata, il ritmo di acquisizione è lento, il
patrimonio
lessicale limitato; manca loro anche l’intenzione comunicativa; sono frequenti le ecolalie immediate
o
successive; sono incapaci nell’usare le metafore e gli enunciato astratti e a comprenderne il
significato;
queste alterazioni verbali però non sono compensate da gesti o mimica; il gioco simbolico e di
finzione è
assente;
-ATTIVITA’ STEREOTIPATE E COMPORTAMENTI RIPETITIVI: tali bambini presentano
spesso
comportamenti auto aggressivi e auto lesivi, si picchiano e si mordono provocandosi ferite e lesioni;
spesso
gli oggetti vengono usati per la ricerca di proprietà sensoriali: vengono annusati o portati alla bocca
per
sentirne il sapore o osservati lentamente; tendono a mantenere rigidamente abitudini di vita che
diventano
rituali: seguire sempre lo stesso percorso per raggiungere un luogo, vestire sempre con gli stessi
abiti, con
una disposizione fissa degli oggetti ed un’alimentazione selettiva e ristretta per alcuni cibi, vi è
dunque una
resistenza al cambiamento;
-FATTORI GENETICI: si ha una familiarità abbastanza elevata: il 2/3 % dei fratelli ne risulta
affetto,
un’altra piccola percentuale presenta problemi di linguaggio; nei gemelli monozigoti vi è una
concordanza
nel 60% dei casi, mentre nei gemelli dizigoti nel 6%; inoltre i genitori di bambini autistici
presentano
anomalie psicologiche e neuropsicologiche, deficit delle funzioni esecutive, disturbi del linguaggio,
evitamento o rigidità sociale.
-FATTORI MEDICI: sclerosi tuberosa e sindrome della X fragile, altre anomalie cerebrali quali
ipoplasia
del cervelletto e un aumento del volume del quarto ventricolo; l’epilessia è un problema abbastanza
comune.
-LIVELLO INTELLETTIVO: QI al di sotto di 70 nel 70% dei casi e al di sotto di50 nel 50% dei
casi.
-VALUTAZIONE DIAGNOSTICA: è importante una valutazione clinica nei tre ambiti
disfunzionali:
sviluppo sociale, competenze comunicative e del linguaggio, interessi ristretti e comportamenti
ripetitivi.
Anna Battista Sezione Appunti
Neuropsichiatria infantile Pagina 122 di 167
121. Sindrome di Rett
Inizia a manifestarsi con una regressione dello sviluppo tra il I e il II anno di vita e interessa quasi
esclusivamente il sesso femminile; ha una base genetica dimostrabile circa nell’80% dei casi; è
caratterizzata dalla riduzione dell’accrescimento della circonferenza cranica, dalla perdita del
linguaggio e
delle prassie manuali.
Anna Battista Sezione Appunti
Neuropsichiatria infantile Pagina 123 di 167
122. Disturbo disintegrativo dell’infanzia
Ha esordio tardivo, tra i 3 e gli 8 anni, in bambini che in precedenza avevano presentato uno
sviluppo
normale, si verifica dunque una regressione cognitiva e del linguaggio e delle abilità
precedentemente
acquisite.
Anna Battista Sezione Appunti
Neuropsichiatria infantile Pagina 124 di 167
123. Disturbo di asperger
Ha come peculiarità l’assenza di ritardo cognitivo e uno sviluppo linguistico adeguato; essa è stata
introdotta
nella classificazione nosografica recentemente, infatti in precedenza veniva considerata insieme
all’autismo
ad alto funzionamento e/o disturbi pervasivi non altrimenti specificati; è più frequente nei maschi
rispetto
alle femmine con un rapporto 4:1, presentano una limitata disponibilità all’interazione sociale,
isolamento,
scarsa empatia, che iniziano a manifestarsi dal III anno in bambini che hanno espresso un buon
livello di
sviluppo cognitivo; il linguaggio è adeguato all’età sia sul versante espressivo che recettivo, le
competenze
pragmatiche sono alterate, la prosodia e il tono sono monotoni, il ritmo della conversazione non
rispettato; le
relazioni con i coetanei sono frammentarie e superficiali; mostrano poco interesse al rapporto
diretto e
collaborativo, sia con i coetanei che con gli adulti.
Tuttora non è stabilito se differisca sostanzialmente dall’autismo ad alto funzionamento: non sono
state
ancora delineate le differenze cliniche che permettono una netta separazione:in entrambi i casi
infatti
predominano le difficoltà sociali in contrasto con uno sviluppo generale più congruo all’età
cronologica,
nella sindrome di Asperger ci sono maggiori difficoltà di apprendimento non verbale come
elemento
distintivo.
Anna Battista Sezione Appunti
Neuropsichiatria infantile Pagina 125 di 167
124. Disturbo pervasivo dello sviluppo non altrimenti
specializzato
Questa definizione raccoglie quei casi che non soddisfano i criteri diagnostici della classificazione
attuale,
ma che sono da considerarsi nello spettro autistico e che in precedenza venivano definiti autismo
atipico.
Anna Battista Sezione Appunti
Neuropsichiatria infantile Pagina 126 di 167
125. Terapia e prognosi dei disturbi pervasivi dello sviluppo
Gli obiettivi principali dell’intervento terapeutico sono:
-sollecitare l’interazione sociale, la comunicazione verbale e non verbale, le tappe di acquisizione di
sviluppo;
-ridurre le componenti ripetitive e stereotipate;
-contrastare i comportamenti disadattavi;
-sostenere e guidare la famiglia.
Dunque stimolare la comunicazione in tutte le sue componenti verbali, gestuali, mediante immagini,
allo
scopo di affrontare i deficit di base dell’autismo;
per controllare alcuni aspetti sintomatici vi sono terapie farmacologiche; la farmacoterapia ha dei
sintomi
bersaglio suddivisi secondo l’età
-età prescolare, iperattività, comportamenti auto aggressivi, crisi di ansia;
-età scolare, oltre ai precedenti, si aggiungono disturbi ossessivi e reazioni depressive;
-età adolescenziale, aggressività e crisi di agitazione psicomotoria;
tra i farmaci più usati ci sono i:
-neurolettici atipici per contrastare l’aggressività, i movimenti ripetitivi e i tic;
-inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina per attenuare i tratti ossessivi e depressivi;
-antiepilettici stabilizzatori dell’umore per controllare l’agitazione e l’irrequietezza.
PROGNOSI DEI DISTURBI PERVASIVI DELLO SVILUPPO
Circa i due terzi, rimane in una condizione di dipendenza e di necessità di assistenza continuativa,
solo il
10% raggiunge l’autonomia sociale; l’assenza di linguaggio permane nel 50% dei casi; le capacità
sociale
solitamente migliorano, si attenuano i tratti di isolamento, l’evitamento visivo diminuisce,
l’iniziativa
aumenta.
Anna Battista Sezione Appunti
Neuropsichiatria infantile Pagina 127 di 167
126. Disturbi specifici del linguaggio
I disturbi del linguaggio rappresentano molto spesso i “precursori” di un disturbo specifico di
apprendimento.
Le difficoltà del linguaggio possono essere suddivise principalmente in:
-disturbi specifici o primari del linguaggio;
-disturbi strumentali, quali sordità, disartria(alterazione delle parole), ipoacusia (diminuzione della
capacità
uditiva);
-disturbi di integrazione, quali ritardo mentale, ritardo psicomotorio;
-disturbi acquisiti, quali sordità acquisita, afasia acquisita.
Essi presentano un’insorgenza spontanea nella prima/seconda infanzia con un decorso continuo,
senza
remissioni o recidive, anche se si realizza nella quasi totalità dei casi un miglioramento nel tempo
tanto da
avere nell’età adulta solo un lieve residuo.
Il DSM-IV classifica i DISTURBI SPECIFICI DEL LINGUAGGIO come disturbi primari dello
sviluppo
linguistico non associati a difficoltà dello sviluppo cognitivo e relazionale, a patologie neuromotorie
o
neurosensoriali, a deprivazione o ad ipostimolazione sociale.
Anna Battista Sezione Appunti
Neuropsichiatria infantile Pagina 128 di 167
127. Eziologia dei disturbi specifi del linguaggio
Essa ancora non è del tutto chiara, le ipotesi prevalenti sono multifattoriali ed implicano fattori
neurobiologici, psicologici ed ambientali.
Vengono ritenute all’origine dei DSL:
-patologie perinatali(basso peso alla nascita, asfissia neonatale,ecc);
-ricorrenti episodi di otite con conseguenti oscillazioni nella percezione e nella decodifica di stimoli
uditivi;
-inadeguatezza della stimolazione linguistica;
-patologie dello sviluppo(epilessia, ritardo motorio,ecc);
-anomalie della dominanza cerebrale(mancinismo, instabilità della lateralizzazione,ecc).
Numerosi dati suggeriscono un’interferenza nello sviluppo e nelle funzionalità dell’emisfero
cerebrale
sinistro, in particolare dell’area di Wernicke e dell’area di Broca correlate rispettivamente con la
comprensione e la produzione del linguaggio.
Interessante è il fatto che i disturbi sono distribuiti in modo disomogeneo nelle famiglie con soggetti
affetti,
ed in particolare i familiari con soggetti femmine affette da disturbi di linguaggio sono esposti ad un
rischio
maggiore, forse per la più alta soglia di espressività del disturbo per le femmine.
In più concorrono all’espressione di un disturbo del linguaggio fattori culturali/ambientali e
genetici; al
contrario lo stato socioeconomico e il substrato culturale sembrano non concorrere.
Anna Battista Sezione Appunti
Neuropsichiatria infantile Pagina 129 di 167
128. Nosografia dei disturbi specifi del linguaggio
Il DSM-IV e l’ICD-10 propongono la seguente classificazione:
-DISTURBI DELLA VOCE E DELLA PAROLA o FONETICI, con un’alterazione della
componente
fonetica, dunque articolatoria, tra i quali: balbuzie,disartria e disfonia ;
-DISTURBI DEL LINGUAGGIO o FONOLOGICI, con un’alterazione della componente
simbolica, tra i
quali: disturbi primitivi o specifici del linguaggio, in cui non è riconoscibile una causa apparente;
spesso
sono denominati DISFASIE EVOLUTIVE e si riferiscono a quei disturbi linguistici, in assenza di
deficit
cognitivi, sensoriali, motori, affettivi o di carenze socio-ambientali importa tanti;
e disturbi secondari con una causa chiaramente riconoscibile.
I sintomi di un disturbo del linguaggio emergono tra il primo e il terzo anno di vita.
Secondo la classificazione del DSM-IV abbiamo:
-disturbo dell’espressione del linguaggio, che si evidenzia intorno ai 18 mesi, perché il bambino
continua a
comunicare con strumenti preverbali, mentre il repertorio verbale rimane limitato se non addirittura
assente;
si ha anche un lieve ritardo motorio; successivamente si hanno difficoltà nell’organizzazione
narrativa e
nell’espressione verbale di pensieri astratti e stati affettivi;il bambino nei test mostra un QIP al di
sotto di
70; le competenze linguistiche sono al di sotto di 2 DS dalla media, le competenze non verbali 1DS
e la
capacità di comprensione entro il limite di 2DS per l’età.
La maggior parte dei bambini è verso la tarda adolescenza che acquisiscono una competenza
linguistica
quasi normale.
-disturbo della comprensione del linguaggio (ICD-10) o misto dell’espressione e della
comprensione del
linguaggio (DSM-IV), l’eziologia è tuttora ignota,ma sono state ipotizzate cause come danno
cerebrale,
disfunzioni percettive e fattori genetici; tali bambini hanno un’acquisizione del linguaggio molto
lenta con
alterazioni della struttura fonologica, morfosintattica semantica, narrativa, nella produzione e nella
comprensione verbale.
Anna Battista Sezione Appunti
Neuropsichiatria infantile Pagina 130 di 167
129. Diagnosi dei disturbi specifi del linguaggio
Una buona diagnosi si fonda su un processo multi assiale, che distingue varie competenze
prelinguistiche:
-sensomotorie;
-prattognosiche;
-simboliche;
-pragmatico-comunicative;
-interattive;
sono poi necessari dati su:
-l’anamnesi familiare;
-l’anamnesi ambientale;
-l’anamnesi patologica specifica;
-la valutazione medica;
il livello di sviluppo e il profilo cognitivo;
-il livello neuro psicomotorio-neuropsicologico;
-organizzazione affettivo-comportamentale;
ed infine è necessario valutare l’organizzazione interna del disturbo, attraverso:
-la somministrazione di prove neurolinguistiche;
-l’esame degli automatismi e delle prassie orali;
-l’esame delle capacità percettive e gnostiche uditive.
Anna Battista Sezione Appunti
Neuropsichiatria infantile Pagina 131 di 167
130. Disturbo d’adattamento
Consiste in sintomi emotivi o comportamentali in risposta ad uno o più fattori stressanti entro 3
mesi
dall’insorgenza del fattore scatenante e che perdura per oltre 6 mesi, con una compromissione
sociale e
lavorativa o scolastica.
E’ stato riscontrato che i ragazzi hanno più problemi di adattamento rispetto alle ragazze, dunque il
sesso
maschile ne è più soggetto rispetto al sesso femminile.
I fattori di rischio sono: sesso, età, status sociale, condizione economica, la non coesione familiare.
EZIOLOGIA DEL DISTURBO D’ADATTAMENTO
L’adattamento è un processo naturale del bambino, in quanto si trova costretto ad affrontare
cambiamenti
propri della crescita e dunque adattarsi psicologicamente a questi; qualora l’adattamento o il
riadattamento,
in seguito ad esempio ad abuso sessuale, lutto, malattia grave, risulti difficile o non viene portato a
termine
allora si avrà un disturbo dell’adattamento. I bambino, rispetto agli adolescenti e agli adulti, sono
più
vulnerabili in tal senso, poiché non riescono a comprendere pienamente l’accaduto.
Esso prevale negli immigrati, che hanno problemi di internalizzazione ed esternalizzazione legati ai
repentini cambiamenti; difficoltà della lingua, della cultura, basso status sociale ed economico.
TRATTAMENTO DEL DISTURBO D’ADATTAMENTO
E’ utile la psicoterapia per comprendere ciò che accaduto e affrontare l’evento nella giusta
prospettiva ; è
d’aiuto anche la terapia familiare in cui si lavora sulle dinamiche familiari e la terapia di gruppo per
confrontarsi con persone che hanno problemi analoghi, dare sfogo alle proprie emozioni e di
conseguenza
sentirsi meglio e meno isolate.
La terapia farmacologica non è considerata molto efficace con tale disturbo, tranne per quel che
riguarda
l’uso degli ansiolitici.
Anna Battista Sezione Appunti
Neuropsichiatria infantile Pagina 132 di 167
131. Disturbo postraumatico da stress
Esso rientra nell’ambito dei disturbi d’ansia.
E’ noto come l’esposizione ad uno stress estremo possa causare profondi e duraturi cambiamenti a
livello
cognitivo, emotivo e comportamentale; infatti per DISTURBO POSTRAUMATICO DA STRESS
si intende
un disturbo che insorge in seguito l’esposizione diretta o indiretta ad eventi traumatici estremi che
mettono
in repentaglio la propria o l’altrui incolumità.
In passato si riteneva, fosse un disturbo riguardante solo l’età adulta, oggi invece viene riconosciuto
anche
nell’età evolutiva e i bambini abusati sessualmente sono quelli che ne presentano maggiore
prevalenza.
I criteri diagnostici utilizzati dal DSM-IV e dall’ICD-10 sono molto simili per l’identificazione di
uno
stimolo minaccioso necessario per l’esordio del disturbo, ma differiscono nella formulazione della
diagnosi,
infatti:
-l’ICD-10 lo colloca nelle sindromi nevrotiche, definendolo come “una risposta ritardata e/o
protratta ad un
evento stressante in grado di provocare malessere diffuso in quasi tutte le persone”;
-il DSM-IV lo colloca, invece, tra i disturbi d’ansia, definendolo come “ una risposta caratterizzata
da una
paura intensa, da sentimenti di impotenza o di orrore in seguito ad un evento direttamente e/o
indirettamente
stressante”;
-nell’ ICD-10 il disturbo deve insorgere entro 6 mesi dall’evento;
-per il DSM-IV, invece, i sintomi devono comparire entro 3 mesi dal trauma e devono essere
presenti per
più di un mese; i sintomi che invece si manifestano immediatamente dopo il trauma e che durano
meno di un
mese non soddisfano i criteri del disturbo postraumatico da stress, ma quelli per la diagnosi di
DISTURBO
ACUTO DA STRESS.
Anna Battista Sezione Appunti
Neuropsichiatria infantile Pagina 133 di 167
132. Sintomatologia del disturbo postraumatico da stress
I sintomi necessari per il DSM-IV sono raggruppate in 3 categorie:
1)la risperimentazione del trauma che include ricordi spiacevoli ed incubi notturni;
2)l’evitamento degli stimoli che ricordano il trauma;
3)l’attenuazione, ovvero sentimenti di distacco emozionale o estraniamento dagli altri;
infine è presente un aumento dell’arousal, dunque irritabilità, ipervigilanza difficoltà nel sonno e
nella
concentrazione ed esagerate risposte d’allarme.
Il DSM-IV, inoltre, lo distingue in:
-acuto, se la durata dei sintomi è inferiore ai 3 mesi;
-cronico, se i sintomi persistono per più di 3 mesi;
-ad esordio tardivo, se i sintomi si manifestano dopo 6 mesi dal trauma.
Ma a seconda delle diverse fasce d’età, abbiamo diverse manifestazione sintomatologiche:
1)nei bambini piccoli, abbiamo comportamenti iperattivo, ritardo dello sviluppo motorio e del
linguaggio,
giochi ripetitivi, manifestazioni di paura, paure specifiche, crisi di pianto, incubi e sogni angosciosi;
2)nei bambini in età prescolare, abbiamo comportamento oppositivo-compulsivo, regressivo e
sentimenti di
colpa;
3)negli adolescenti, abbiamo sintomi depressivi, ansia ed alterazioni emotive che sfociano in
comportamenti
antisociali, abuso di sostanze e disturbi alimentari, pensieri suicidari.
Tuttavia, sia nei bambini piccoli che negli adolescenti emergono caratteristiche comuni, quali:
sfiducia negli
adulti, meccanismi di difesa quali negazione, isolamento affettivo e dissociazione.
Per quanto riguarda i fattori protettivi e i fattori di rischio, abbiamo una suddivisione in:
1)caratteristiche proprie della situazione traumatica come: il tipo di trauma, il livello di esposizione
ad esso,
la durata, la frequenza, ecc;
2)caratteristiche proprie dell’individuo come: sesso, età, temperamento, etnia, storia personale, QI,
ecc;
3)caratteristiche proprie della famiglia come: storia familiare, funzionamento psicologico dei
genitori,
sostegno familiare e reazioni dei genitori al trauma;
4)fattori sociali come: status socioeconomico, livello assistenziale e rete sociale.
Dunque, fattori protettivi: sostegno familiare e sociale; fattori di rischio: prossimità fisica all’evento
stressante, coinvolgimento emozionale, sesso femminile, scarsa autostima, disturbi mentali,
separazione dai
genitori prima dei 10 anni di età; individuare a tempo debito tali fattori determinerà una diagnosi a
breve,
medio e lungo termine.
Anna Battista Sezione Appunti
Neuropsichiatria infantile Pagina 134 di 167
133. Comorbidità e diagnosi del disturbo postraumatico da
stress
I disturbi ad esso associati possono precedere, seguire o emergere in concomitanza col disturbo
postraumatico da stress:
-in bambini piccoli: ADHD e disturbo d’ansia da separazione;
-negli adolescenti: disturbo oppositivo-provocatorio, disturbo della condotta, depressione, disturbo
da uso di
sostanze ed alcolismo, disturbo alimentari, psicosi, disturbi della sfera sessuale, fobia sociale.
DIAGNOSI
Sono usati i colloqui con i genitori, in cui si raccolgono informazioni amnesiche riguardanti il
bambino
prima del trauma e i cambiamenti avvenuti dopo il trauma; colloqui con il bambino/adolescente, in
cui li si
incoraggia a esprimere i propri sentimenti, attraverso il gioco, il disegno, il racconto; strumenti di
valutazione standardizzato come interviste semistrutturate e strutturate e questionari self-report.
Anna Battista Sezione Appunti
Neuropsichiatria infantile Pagina 135 di 167
134. L’epilessia e i disturbi neuropsichiatrici
I bambini con epilessia e vario grado di compromissione neurologica hanno un rischio due volte
superiore di
sviluppare disturbi neuropsichiatrici aggiuntivi rispetto ai coetanei con crisi parziali semplici senza
altri
disturbi neurologici.
I disturbi associati all’epilessia:
1)ADHD, disturbo da deficit di attenzione ed iperattività: è il disturbo neuropsichiatrico più
frequentemente
associato all’epilessia.
A differenza dell’ADHD classico non sono maggiormente interessati i maschi, ma ambedue i sessi
in misura
uguale e quando l’ADHD è in associazione con l’epilessia prevalgono solo le forme con disturbi
dell’attenzione.
Sono stati descritte alterazioni dell’attenzione verbale, uditiva, visiva, disturbi nella pro cessazione
delle
informazioni e nella capacità di elaborazione sequenziale;
2)DEPRESSIONE, la comorbidità tra epilessia e depressione è piuttosto comune, la domanda più
comune è
se le crisi depressive siano ad insorgenza autonoma o scaturiscono dalle crisi epilettiche: il
problema rimane
irrisolto!
Ciò che non sembra in relazione con disturbi depressivi sono l’epoca di insorgenza delle crisi, il
tipo delle
crisi e soprattutto le anomalie EEG che si evidenziano;
al contrario, ciò che sembra in relazione con la comorbidità depressiva sono la frequenza delle crisi,
la
durata e la ricorrenza della malattia.
I farmaci antiepilettici possono determinare disturbi depressivi; in questo ambito è da ricordare la
“normalizzazione forzata”, ovvero una reazione alla sensibilità (idiosincrisica) agli antiepilettici che
può
causare disturbi psichiatrici, tra cui reazioni depressive.
I sintomi quali manifestazioni di rabbia, calo del rendimento scolastico, iperattività ed irrequietezza
sono
presenti sia nella depressione classica che nella comorbidità, insieme a sintomi somatici di vario
tipo come
disturbi del sonno, nausea, dolori addominali e cefalea;
A seconda del quadro clinico individuale sono attuati sostegno psicoeducativo, psicoterapia,
farmacoterapia
con monitoraggio della terapia antiepilettica;
3)DISTURBI D’ANSIA, sono altrettanto frequenti in associazione all’epilessia; il sesso non ha un
ruolo
rilevante al contrario dell’età, infatti l’ansia è maggiormente frequente in età evolutiva.
Fattori influenti per tale comorbidità possono essere le reazioni dei genitori alle crisi epilettiche che
causano
disagio principalmente nei bambini, ò’insuccesso scolastico e le difficoltà di apprendimento
contribuiscono
ad aggravare il quadro;
4)AUTISMO, il ritardo mentale e il danno cerebrale diagnosticabile sono i due fattori principali di
rischio
per la comparsi di crisi epilettiche nell’autismo;le crisi epilettiche hanno due picchi, nell’infanzia e
nell’adolescenza, esse possono essere parziali o generalizzate; il trattamento non differisce
dall’epilessia
normale.
L’autismo si associa con maggiore frequenza alla sclerosi tuberosa e alla sindrome di Rett;
5)PSICOSI, si associano piuttosto raramente con l’epilessia in età evolutiva; i disturbi psicotici
nell’epilessia
possono essere:
-ictali o perictali, ovvero disturbi psicotici che avvengono in coincidenza o in prossimità con la crisi
epilettica; le psicosi perictali si caratterizzano per la presenza di disturbi dello stato di coscienza con
ridotta
vigilanza o per la presenza di disturbi dell’umore poco tempo dopo, alcune ore o il giorno dopo la
crisi
Anna Battista Sezione Appunti
Neuropsichiatria infantile Pagina 136 di 167
epilettica.
-intercritici, ovvero fenomeni indipendenti dall’episodio critico; le psicosi interictali compaiono di
solito con
una latenza di molti anni dall’esordio dell’epilessia e quindi in età adulta.
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135. Trattamento dell’epilessia
L’intervento psicoeducativo è necessario per avviare i genitori ad una corretta informazione
riguardo
all’epilessia, alla variabilità delle crisi e alle indicazione su come intervenire.
il tipo e le modalità variano in funzione del singolo caso.
IL DISTURBO OSSESSIVO-COMPULSIVO
Il disturbo ossessivo-compulsivo (DOC)viene spesso chiamato “disturbo nascosto”, in ragione del
fatto che
nella maggior parte dei casi chi ne soffre lo tiene nascosto; a tutt’oggi risulta difficile riconoscere di
aver
bisogno di aiuto, identificare il disturbo e trattarlo farmacologicamente e psicologicamente.
Si parla di “rituali cognitivi”, intendendo quegli atti mentali che hanno il fine di distrarre la mente
da
pensieri angoscianti.
Il DSM-IV definisce:
-le ossessioni, come pensieri,impulsi o immagini involontari, intrusivi e ricorrenti che provocano
un’elevata
ansietà;
-le compulsioni, come comportamenti o atti mentali volontari e ripetitivi che cercano di distrarre
l’attenzione
dall’ossessione o diminuire l’ansietà che essa provoca.
Potremmo, dunque, definire un pensiero “ossessione” se provoca angoscia o “compulsione” se la
riduce.
Vi è poi una classificazione del DOC, secondo un continuum del controllo degli impulsi:
-estremo compulsivo:il soggetto ha il controllo comportamentale, ansia anticipata, elusione del
rischio e del
danno massimi nel soggetto;
-estremo impulsivo: il soggetto ha il minimo controllo e si cerca il rischio senza ansia anticipata.
Questo continuum viene denominato “spettro ossessivo-compulsivo”.
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136. Epidemiologia del DOC
Le femmine presentano più ossessioni, e gli uomini più compulsioni.
Si calcola che l’età media di richiesta di aiuto è di 25 anni; si giunge a diagnosticare correttamente il
disturbo intorno ai 30 anni di età e due anni più tardi si è elaborato un suo trattamento adeguato.
L’età media di inizio è verso i 10 anni, anche se altri lo collocano intorno ai 15 anni, e molto
raramente
prima dei 7 anni.
per i maschi l’età media di inizio è 6/15 anni, mentre per le femmine 20/29 anni; inoltre, nei maschi
l’esordio sembra essere nell’età prepuberale.
La proporzione per sessi è di 2:1 per gli uomini rispetto alle donne.
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Neuropsichiatria infantile Pagina 139 di 167
137. Eziologia del DOC
Le diverse scuole psicologiche hanno fornito diverse spiegazioni sull’origine del DOC:
-la corrente psicoanalista sostiene che si tratta di un conflitto non risolto della fase anale, che si può
curare
solo con un trattamento psicoterapeutico orientato all’insight ed alla comprensione psicodinamica;
-la corrente cognitiva spiega il mantenimento dei sintomi, ma non la sua eziologia; il sistema
cibernetico
considera il DOC come la conseguenza di un errore nei sistemi di regolazione dei processi di
eccitazione ed
inibizione; il modello neuro comportamentale lo spiega attraverso 4 ipotesi:
1)ipotesi serotoninergica:implicazione della serotonina;
2)ipotesi genetica:alta prevalenza familiare e vulnerabilità biologica maggiore nei maschi;
3)ipotesi strutturale: l’EEG dimostra che questi pazienti hanno anomalie elettroencefalografiche a
livello
temporale; i potenziali evocati dimostrano l’iperattività corticale; la RM conferma l’implicazione
dei gangli
della base;
4)ipotesi autoimmune: infezioni da streptococco possono scatenare sintomi ossessivi producendo
anticorpi
contro le strutture dei gangli della base.
Autori parlano di un circuito implicato nel DOC, costituito da corteccia orbito frontale, striato,
talamo e
corteccia cingolata.
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138. Diagnosi e trattamento del DOC
Il DOC infantile si differenzia da quello adulto per alcune caratteristiche, quali:
-il bambino cerca di coinvolgere il genitore nei suoi rituali, richiedendo ripetutamente il loro
intervento
affinché essi risolvano i suoi frequenti dubbi;
-il bambino ha somatizzazioni, abbandona attività sportive o sociali, ha problemi di concentrazione
e di
applicazione nello studio e problemi di autostima;
-nel bambino ossessioni e compulsioni coesistono, sono rari i casi in cui si presentano isolatamente:
le
compulsioni più frequenti nei bambini sono le verifiche, le ripetizioni e la pulizia, invece le
ossessioni sono
idee riguardanti la morte dei genitori o di un familiare;
-le ossessioni e le compulsioni non sono considerate dai bambini irrazionali.
Il DOC deve essere distinto da:
depressione maggiore; fobie; disturbo d’ansia generalizzato; tic e movimenti stereotipati; disturbi
alimentari;
dipendenze; abuso di sostanze; disturbo ossessivo compulsivo della personalità; superstizione e
comportamenti ripetitivi di auto conferma.
PROGNOSI DEL DOC
I maschi sembrano manifestare i sintomi del DOC prima rispetto alle femmine; nelle donne
prevalgono le
ossessioni di contaminazione e le compulsioni di lavaggio e pulizia; nei maschi le ossessioni
sessuali e i
rituali di ripetizione.
TRATTAMENTO
Attualmente la terapia più utilizzata nel DOC con esordio in età evolutiva è quella farmacologica
combinata
con quella cognitivo-comportamentale o familiare che prevede l’esposizione a situazioni ansiogene
e di
anticipazione della risposta da completare con terapie di rilassamento muscolare.
La risposta del DOC infantile ai farmaci è lenta, i primi risultati si hanno dopo almeno 6 mesi
dall’inizio del
trattamento farmacologico.
Anna Battista Sezione Appunti
Neuropsichiatria infantile Pagina 141 di 167
139. Fattori di rischio e fattori protettivi del DOC
Sono da considerare influenti gli stili educativi dei genitori ed i rapporti familiari, le situazioni
stressanti,
l’ambiente sociale e culturale, l’ambiente fisico e il disturbo psichiatrico degli stessi genitori.
Si considerano fattori positivi: l’assenza di disturbi di personalità e della condotta, la buona risposta
alla
farmacoterapia, un contesto familiare tranquillizzante ed infine il fatto che il paziente sia cosciente
della
non-logica delle sue ossessioni.
I fattori di rischio, invece, sono la scarsa motivazione nei confronti del trattamento farmacologico e
psicologico e il consumo di sostanze come alcool e barbiturici.
Bisogna evitare le tensioni familiari, scolastiche o sentimentali estreme che possono rendere il
paziente
maggiormente vulnerabile; applicare le tecniche psicologiche apprese a tutte le situazioni che il
soggetto
vuole evitare o temeva per non ricorrere di nuovo nelle ossessioni o compulsioni; continuare a
praticarle.
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Neuropsichiatria infantile Pagina 142 di 167
140. Le epilessie
Sono caratterizzate dal ripetersi di manifestazioni involontarie,impreviste ed imprevedibili che
interessano le
funzioni motorie, sensitivo-sensoriali e psichiche, costituite anche da perdita di coscienza presente
sin
dall’inizio della crisi o comparire nel suo evolversi.
La crisi epilettica è una scarica improvvisa,rapida ed eccessiva di una popolazione di neuroni che
fanno
parte della sostanza grigia dell’encefalo, i neuroni coinvolti nella scarica formano il cosiddetto
FOCOLAIO
EPILETTOGENO.
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Neuropsichiatria infantile Pagina 143 di 167
141. Epidemiologia e eziopatogenesi dell’epilessia
Circa il 75-80% dei casi di epilessia si origina entro i 20 anni di età e tra questi circa il 15% ha
inizio nel
primo anno di vita e il 33% nei primi 5 anni di vita!
L’analisi dell’EEG evidenzia uno spostamento di depolarizzazione parossistico(PDS)del potenziale
di
membrana a riposo, che attiva una breve scarica di potenziali d’azione che terminano con
un’iperpolarizzazione postuma costante;tale PDS può essere il risultato di uno squilibrio tra
neurotrasmettitori eccitatori ed inibitori o di un’anormalità dei canali ionici di membrana
voltaggiodipendenti.
Dato che attualmente distinguiamo tra due categorie di epilessie, FOCALE e GENERALIZZATA,
si ritiene
che --l’inizio dell’EPILETTOGENESI FOCALE sia diverso dall’inizio dell’EPILETTOGENESI
GENERALIZZATA:
il primo si pensa sia dovuto ad uno squilibrio dei neuro modulatori endogeni,dove l’acetilcolina
favorisce la
depolarizzazione e la dopamina potenzia la stabilità della membrana neuronale, dunque nelle
epilessie
focali,che una volta venivano classificate come epilessie parziali,l’inizio delle crisi è dovuto alla
perdita
dell’inibizione postsinaptica mediata dal GABA,infatti numerosi farmaci antiepilettici non fanno
altro che
invece potenziare l’inibizione mediata dal GABA; ma il PDS può essere dovuto anche ad
un’anormalità dei
canali ionici di membrana voltaggio-dipendenti,in questo senso importante si pensa sia il ruolo
nell’epilessia
dell’ NMDA,la cui stimolazione provoca un flusso cationico intracellulare,in particolare del
calcio,con una
rapida depolarizzazione ed un firing ripetitivo costante,infatti numerosi farmaci antiepilettici
agiscono
mediante modulazione voltaggio-dipendente dei canali del sodio;
-l’inizio dell’EPILETTOGENESI GENERALIZZATA è mediata dai canali T del calcio che sono
attivati da
soglie a voltaggio BASSO dopo depolarizzazione continuata,questa corrente di calcio a bassa soglia
induce i
ritmi talamici lenti che si osservano nelle CRISI TONICO-CLONICHE GENERALIZZATE e da
ASSENZA.
Dal punto di vista clinico e inerente all’eziologia si è soliti suddividere le epilessie in tre famiglie:
- sintomatiche:sono quelle epilessie la cui causa è riscontrabile anatomicamente in una LESIONE
PARENCHIMALE, dovuta a lesioni pre-perinatali,malattie cerebrovascolari,traumi cranici,malattie
infiammatorie o patologia degenerative,come ad esempio il morbo d’Alzheimer;
- genetiche o idiopatiche: sono quelle epilessie che compaiono in ragazzi che non hanno avuto un
ipotetico
antecedente lesionale e che hanno uno sviluppo psicomotorio e una funzionalità neurologica
normale;
-criptogenetiche:sono quelle epilessie che si presume siano dovute ad una lesione,ma ciò non si
riesce a
dimostrarlo tramite accertamenti diagnostici.
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Neuropsichiatria infantile Pagina 144 di 167
142. Diagnosi dell’epilessia
Innanzitutto il medico deve essere in grado di differenziare un reale episodio convulsivo da uno
ipotetico
dovuto ad un disturbo transitorio del sistema nervoso centrale; in più da solo l’EEG non può
autorizzare una
diagnosi epilettica,perché talvolta i parorrismi dell’EEG si possono registrare anche in soggetti
normali o
affetti da sonnambulismo,terrori notturni, emicrania,enuresi notturna,ecc.
Una diagnosi differenziale ha quindi la sua importanza nell’indagine amnesica;quando l’EEG è in
contrasto
con l’anamnesi,la presenza o l’assenza di parossismi non consentono di affermare né di escludere la
diagnosi di epilessia,invece un buon indicatore in tal senso è dato dalla coerenza tra l’EEG e
l’anamnesi.
E’ importante aver inquadrato bene la forma di epilessia prima di instaurare un certa terapia
antiepilettica,poiché alcuni farmaci potrebbero essere addirittura convulsivanti se usati per la cura di
una
sindrome non coerente con il loro principio attivo.
Anna Battista Sezione Appunti
Neuropsichiatria infantile Pagina 145 di 167
143. Epilessie parziali
O focali, caratterizzate dal coinvolgimento di una parte ben localizzata della corteccia
cerebrale,rimanendo
così localizzato o espandendosi fino al coinvolgimento di entrambi gli emisferi;
per quelle SINTOMATICHE è importante ascriverle in un determinato quadro clinico a seconda
della sede
della lesione,per quelle IDIOPATICHE la caratteristica più comune è la variabilità dei sintomi:si
hanno
manifestazioni diverse a seconda se compaiono in veglia o durante il sonno,in funzione dell’età e i
parossismi dell’EEG tendono a spostarsi col passare del tempo;la forma di EPILESSIA PARZIALE
IDIOPATICA più frequente è L’EPILESSIA ROLANDICA che ha l’esordio tra i 6 e i 10 anni in
bambini
senza alcun deficit e con uno sviluppo psicomotorio regolare,essa ha una remissione spontanea
nell’adolescenza;poi abbiamo L’EPILESSIA BENIGNA che si differenzia dalla precedente per le
“facies”(sguardo atterrito).
Anna Battista Sezione Appunti
Neuropsichiatria infantile Pagina 146 di 167
144. Epilessie generalizzate
Caratterizzate da un coinvolgimento dell’intera corteccia cerebrale fin dal principio della crisi sono
tutte
ETA’-DIPENDENTI,ovvero si manifestano in un determinato periodo di vita;la forma DI
EPILESSIA
GENERALIZZATA più frequente è il PICCOLO MALE o EPILESSIA ASSENZA, rappresentata
da
un’improvvisa perdita di coscienza, tale sintomo porta alla distinzione di tre sindromi epilettiche,
due
idiopatiche(EPILESSIA ASSENZA DELL’INFANZIA e DELL’ADOLESCENTE) ed una
sintomatica(EPILESSIA ASSENZA MIOCLONICA).
Distinguiamo anche EPILESSIE SIA PARZIALI CHE GENERALIZZATE come la sindrome di
LANDAUKLEFFNER,
caratterizzata da afasia acquisita, agnosia uditiva e attacchi epilettici.Le epilessie idiopatiche
sono tutte conseguenti ad una trasmissione genetica,quindi se in famiglia si ha un caso,il bambino è
probabile che possa sviluppare la sindrome;per quanto riguarda le epilessie sintomatiche non si ha
questa
trasmissione genetica.
Non è in alcun modo prevenire una sindrome epilettica, ma è possibile prevedere una situazione a
rischio
epilettico.
PROGNOSI DELL’EPILESSIA
le epilessie idiopatiche guariscono nell’età adolescenziale,al contrario delle epilessie sintomatiche
caratterizzate da un danno alla corteccia cerebrale e in cui anche la sospensione dei farmaci o il
controllo
delle crisi risulta difficile.
La maggior parte dei bambini epilettici mostra problemi comportamentali,come irrequietezza,
inappetenza o
bulimia, capricciosità, disturbi qualitativi o quantitativi del sonno, difficoltà relazionali o di
apprendimento,ecc.
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145. Terapia dell’epilessia
Bisogna evitare di puntare su politerapie o sull’uso di farmaci con molti principi attivi; la scelta del
farmaco
è un qualcosa di estremamente importante poiché un bambino ha un metabolismo,uno psichismo ed
un
fisico da un adulto,dunque un farmaco che per l’adulto è sedativo,per il bambino non potrebbe
esserlo o
addirittura avere un effetto contrapposto;
-DIETA CHETOGENA: ad alto contenuto di grassi e a basso contenuto di proteine e carboidrati,
per
verificare l’efficacia di questo trattamento è necessario aspettare non meno di 6/8 settimane e deve
avere una
durata di un minimo di 18 mesi ed un massimo di 4 anni;
-TERAPIA DIETETICA:che priva del latte vaccino e dei suoi derivati per almeno due mesi;
-STIMOLAZIONE VAGALE:mediante uno stimolatore sottocutaneo ed un computer che regola la
frequenza degli impulsi cerebrali;
-TERAPIA CHIRURGICA: per asportare sottostanti lesioni che occupano spazio che producono le
crisi(tumori cerebrali,ascessi cerebrali,granulomi,ematomi intracranici,ecc).
CONVULSIONI FEBBRILI
Circa il 5% dei bambini presentano tra i 18 mesi e i 4/5 anni di età almeno un episodio
“convulsionale” dopo
una brusca variazione termica(in aumento o in diminuzione) che può provocare la perdita di
coscienza e un
rilassamento o irrigidimento diffuso per pochi secondi o qualche minuto; è importante distinguere le
convulsioni febbrili dalle convulsioni con febbre provocate dal un’ipertermia costante in soggetti
con una
certa predisposizione alla convulsività epilettica.
Anna Battista Sezione Appunti
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146. Paralisi cerebrali infantili
Sono un disordine del movimento, della postura e del tono muscolare dovuto ad un danno
dell’encefalo in
via di sviluppo; non rappresentano una malattia in atto bensì l’esito di un danno determinatosi in
precedenza!
Le lesioni non sono così selettive da colpire solo il tono muscolare,la postura e il movimento, ma
interessano
anche le funzioni sensitive e sensoriali,cognitive,ecc; a tal riguardo spesso vengono definite
ENCEFALOPATIE NON PROGRESSIVE,cioè una correlazione specifica tra il deficit nervoso e la
lesione
encefalica che non va incontro ad un peggioramento spontaneo dunque a fenomeni degenerativi, è
definito
anche un disturbo PERSISTENTE perché la lesione encefalica non è suscettibile a guarigione!Le
manifestazioni della malattia,comunque,non sono fisse perché i sintomi mutano nel corso del tempo
potendo
beneficiare di un trattamento riabilitativo o chirurgico.
Queste encefalopatie hanno come peculiarità la PRECOCITA’,in quanto l’evento lesivo può aver
avuto
origine in epoca prenatale,perinatale o postnatale,ma in ogni caso entro i primi 3 anni di età,in cui
viene
completata la maturazione cerebrale, tali lesioni infatti interferiscono con le funzioni in via di
sviluppo,piuttosto che causare la perdita di lesioni già apprese.
EPIDEMIOLOGIA DELLE PCI
Nei paesi sviluppati la loro incidenza è ridotta grazie al miglioramento dell’assistenza sanitaria;nei
paesi in
via di sviluppo la prevalenza è elevata e in alcuni addirittura in crescita!
Le gravidanze multiple sono particolarmente a rischio;nei nati pretermine e soprattutto in quelli con
un peso
inferiore ai 1500gr l’incidenza è più alta.
EZIOLOGIA DELLE PCI
In passato si pensava che fossero problemi nel parto o poco dopo la nascita la causa delle PCI;
oggi,invece,
grazie alle migliorate condizioni di assistenza sanitaria e al frequente ricorso del parto cesareo, si sa
che è
nel periodo prenatale che avvengono le più frequenti cause di PCI.
Si parla dunque di FATTORI PRENATALI,PERINATALI e POSTNATALI.
PATOGENESI DELLE PCI
-ridotto apporto di ossigeno e sangue;
-occlusione e lesione dei vasi sanguigni con conseguente emorragia che hanno un effetto lacerante
sui fragili
tessuti dell’encefalo;
-danno della corteccia cerebrale tra il quinto e il senso mese di vita intrauterina;
-la suscettibilità della sostanza bianca dei ventricoli laterali prima delle 34 settimane dal
concepimento.
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147. Classificazione delle Paralisi cerebrali infantili
1)Una prima classificazione viene fatta tra:
-danno piramidale: il sistema piramidale è deputato al controllo del movimento volontario, perciò il
danno
piramidale è quello correlato alla vera e proprio paralisi,anche se nelle PCI si parla di
paresi(limitazione del
movimento)e non paralisi(abolizione del movimento), vi è la contrazione contemporanea dei
muscoli
agonisti e antagonisti, la riduzione della forza della forza e un aumento del tono muscolare di tipo
spastico;
-danno extrapiramidale: il sistema extrapiramidale è deputato alla regolazione automatica del tono
durante
il movimento intenzionale; dunque un danno che interessa la variabilità del tono e i movimenti
involontari;
si distinguono MOVIMENTI ATETONICI:lenti e interessanti le estremità e MOVIMENTI
DISTONICI:rapidi e interessanti l’asse corporeo;
-danno cerebellare: il cervelletto è importante per la mira,l’equilibrio e la coordinazione.
Questa classificazione viene fatta dunque in base alle caratteristiche del movimento(classificazione
motoria):
-forme spastiche:aumento del tono;(danno piramidale)
-forme distoniche o discinetiche:fluttuazione continua del tono e movimenti parassiti;(danno
extrapiramidale)
-forme atassiche:disturbo dell’equilibrio e della coordinazione;(danno cerebellare)
-forme miste:sintomatologia combinata di una o più forme.
2)Una seconda classificazione fa riferimento agli arti coinvolti nel deficit:
-tetraparesi: deficit di tutti e quattro gli arti;
-paraparesi: deficit degli arti inferiori;
-emiparesi: deficit degli arti di un lato;
-monoparesi: emiparesi più lieve, che interessa quasi solo l’arto superiore;
-triparesi: associazione tra un’emiparesi e una monoparesi controlaterale.
Questa è dunque una classificazione in base alla sede del disturbo motorio(classificazione
topografica)
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Neuropsichiatria infantile Pagina 150 di 167
148. Diagnosi, prognosie e comorbidità delle Paralisi cerebrali
infantili
La diagnosi migliore viene effettuata con la RISONANZA MAGNETICA NUCLEARE,che
permette una
precisa evidenziazione del danno, ma dati i lunghi tempi e la poca collaborazione dei pazienti
costringe ad
una sedazione o anestesia generale; dunque spesso viene utilizzata la TOMOGRAFIA
COMPUTERIZZATA che richiede tempi più brevi consentendo di evitare l’anestesia,ma ci offre
una
visualizzazione del cervello meno dettagliata.
Una diagnosi precoce è fondamentale ai fini di un efficace intervento riabilitativo.
Tra gli accertamenti di routine nelle PCI ricordiamo: l’EEG, i POTENZIALI EVOCATI VISIVI, e
le varie
CONSULENZE(ODONTOIATRICHE, ORTOPEDICHE, OCULISTICHE,ECC);
il paziente deve essere poi sottoposto ad una VALUTAZIONE NEUROPSICOMOTORIA che deve
essere
ripetuta periodicamente per verificare il raggiungimento degli obiettivi a breve,medio e lungo
termine
prefissati;
importante è anche la VALUTAZIONE INTELLETTIVA, che pone delle difficoltà perché le
risposte ai test
richiedono abilità motorie che nelle Pci sono compromesse,ma per la fascia d’età 0-24 mesi su usa
la scala
Hunt poco influenzata dalla disabilità motoria, per i bambini più grandi possono essere utilizzati test
intellettivi che permettono di rispondere grazie a sguardi o gesti.
PROGNOSI DELLE PCI
Oggi la deambulazione autonoma è raggiunta da tutti i pazienti PARAPLEGICI e in oltre il 50% dei
TETRAPLEGICI, le deformità vengono prevenute con esercizi di stretching,le vere e proprie
immobilizzazioni articolatorie cono ormai sporadiche eccezioni;
dunque la prognosi motoria resta migliore nei PARAPLEGICI, poi negli EMIPLEGICI ed infine
nei
TETRAPLEGICI, le FORME EXTRPIRAMIDALI hanno la prognosi motoria peggiore perché
difficilmente
raggiungono il controllo del tronco, la deambulazione e il linguaggio comprensibile.
Il ritardo mentale è minimo nei PARAPLEGICI e nelle forme EXTRAPIRAMIDALI e maggiore
nelle
TETRAPARESi.
L’epilessia è più frequente nelle TETRAPARESI e nelle EMIPARESi.
COMORBITA’DELLE PCI
-deformità dello scheletro: a causa dell’anomalo carico sulla colonna e sugli arti inferiori; i muscoli
non
vengono mai stirati per l’azione dell’antagonista e finiscono per rimanere retratti,si accorciano e
perdono
elasticità;
-problemi di alimentazione: interessa i muscoli della masticazione e della deglutizione;
-problemi trofici e dell’accrescimento: asimmetrie di lunghezza negli emiplegici; in caso si
difficoltà di
alimentazione, i bambini ipomobili col tempo tendono all’obesità e la loro dieta dovrebbe esse
ipocalorica, i
bambini soggetti a movimento involontari o in riabilitazione vanno incontro ad un surplus di
esercizio fisico
quindi dovrebbero seguire una dieta ipercalorica;
-problemi odontoiatrici: i bambini che non masticano hanno le gengive che tendono ad accrescersi
fino a
coprire il contorno denti;
-problemi gastrointestinali: stipsi per bambini che non masticano,che hanno problemi di
deglutizione e
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ipomobili;
-problemi psicologici: l’autostima è compromessa; nei casi meno gravi è probabile il
disadattamento, in
quelli più gravi l’isolamento; l’impossibilità di esprimere fisicamente o verbalmente la rabbia può
tradursi in
comportamenti autoaggressivi.
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149. Trattamento delle Paralisi cerebrali infantili
verrà effettuato a misura del singolo paziente da un’equipe specializzata composta da un fisiatra,
odontoiatra, neuropsichiatra infantile, psicologo, assistente sociale, ecc.
Il programma individualizzato scaturirà dalla valutazione neuropsicomotoria;
saranno impiegate:
-manovre per la facilitazione neuromotoria e psicomotoria;
-tecniche operatorie per l’allungamento dei tendini soggetti a retrazione;
-uso della tossina botulinica A per ridurre l’eccesso di tono muscolare;
-l’uso dei farmaci nei bambino è poco utilizzato rispetto agli adulti;
-importante è il sostegno psicologico sia per i bambino che per i genitori;
-alcuni bambini necessitano di un assistente sociale per le loro necessità fisiche.
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150. Psicosi infantili
Le psicosi in età evolutiva sono un gruppo di disturbi in cui la schizofrenia rappresenta la principale
condizione patologica.
Le caratteristiche simili sono assimilabili a quelle dell’adulto, anche se sono presenti grandi
differenze.
In genere, le psicosi sono caratterizzate da: anomalie del processo del pensiero, scarsa
partecipazione
emotiva, disturbi di percezione, e, la compromissione della capacità di insight, ovvero della capacità
di auto
riflessione e organizzazione del vissuto personale, rappresenta la principale differenza rispetto alle
nevrosi
in cui è presente la consapevolezza e la sofferenza che deriva dai diversi disturbi.
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151. Schizofrenia
E’ la patologia psichiatrica di maggior rilievo, in quanto comprende le manifestazioni psicotiche più
gravi,
quali: delirio, allucinazioni, disordini del pensiero e alterazioni della motricità e della postura.
L’insorgenza avviene solitamente in età adulta, infatti l’esordio nei bambini e negli adolescenti è
molto
raro:quando insorge prima dei 18 anni si parla di SCHIZOFRENIA AD ESORDIO PRECOCE;
quando
invece insorge prima dei 13 anni si parla di SCHIZOFRENIA AD ESORDIO MOLTO PRECOCE.
Essa e le sindromi correlate sono definite “psicosi funzionali” poiché non sono riconoscibili
alterazioni
anatomiche a carico del sistema nervoso, anche se si ipotizza un’alterazione dei circuiti funzionali
delle aree
corticali e del sistema limbico.
L’eziologia comprende:una componente genetica, è opportuno, infatti, sottolineare che i parenti di
primo
grado dei soggetti con schizofrenia hanno un rischio di ammalarsi molto superiore rispetto alla
popolazione
normale; i gemelli monozigoti hanno un alto grado di concordanza per la schizofrenia rispetto ai
gemelli
dizigoti; i figli di parenti schizofrenici adottati o allontanati precocemente dalla famiglia originaria
hanno lo
stesso rischio di sviluppare la malattia di quelli che permangono nella famiglia di origine; tra i
fattori di
rischio psicosociali abbiamo modalità di interazione familiare come il “doppio legame” che consiste
in una
discrepanza tra i messaggi verbali e l’atteggiamento emotivo non verbali e l’ “emotività espressa”
all’interno
del nucleo familiare, infatti alti livelli di emotività hanno un ruolo nello sviluppo precoce della
malattia.
Le caratteristiche cliniche della schizofrenia possono essere schematizzate in:
-sintomi positivi,come:
1)il delirio, ovvero argomenti ed espressioni non condivisibili o inadeguati al contesto sociale e
relazionale,
esso può essere primario, quando ha origine nelle comuni esperienza di vita; secondario, quando
insorge nel
contesto delle allucinazioni; e paranoideo, quando il mondo circostante è avvertito minaccioso,
ostile,
amplificando tutto in modo abnorme rispetto alla reale entità;
2)i disturbi formali del pensiero, ovvero il rallentamento dei nessi logici, l’incoerenza
nell’esposizione e
nell’organizzazione delle idee, sono molto comuni nella schizofrenia evolutiva;
3) le allucinazioni, che nella schizofrenia sono prevalentemente uditive, mentre nell’epilessia sono
solitamente visive;
- e sintomi negativi come:
1)l’appiattimento affettivo, ovvero l’assenza di partecipazione affettiva e di empatia nell’interazione
sociale
ed è molto comune nella schizofrenia in età evolutiva;
2)i disturbi della motricità di tipo catatonico, ovvero posizioni catatoniche fisse vengono assunte e
mantenute per lungo tempo; esse sono molto rare nella schizofrenia dell’età evolutiva;
3)l’apatia;
4)e i disturbi della volizione.
I sintomi negativi sono di frequente riscontro nelle forme ad esordio precoce ad eccezione della
catatonia.
L’esordio della schizofrenia non coincide con l’insorgenza della malattia che può essere
antecedente di
molto tempo, fino a 4/5 anni prima.
In una prima fase abbiamo una povertà di sintomi psicotici; nella fase del prodomo, ovvero del
periodo che
intercorre tra l’esordio del cambiamento nell’individuo e l’esordio della psicosi, può comparire una
riduzione dell’attenzione e della concentrazione, modificazioni del tono dell’umore, sintomi
d’ansia, disturbi
del sonno, isolamento sociale, scarsa autostima e facile irritabilità; nella fase finale sono frequenti
sintomi di
tipo ansioso- depressivo, anomalie cognitive e disturbi del comportamento sociale
Anna Battista Sezione Appunti
Neuropsichiatria infantile Pagina 155 di 167
Per quanto riguarda la diagnosi, possono insorgere difficoltà in quanto il delirio e le allucinazioni
sono di
difficile verifica nel bambino poiché presentano caratteri poco strutturati e mutevoli che non ne
facilitano la
corretta individuazione.
Il limite inferiore di esordio per la schizofrenia è di 7/8anni, ciò la contraddistingue dall’autismo
che ha un
esordio entro i 3 anni;
PSICOSI SCHIZOAFFETTIVE E ATIPICHE
Che sono un’associazione tra disturbi affettivi e disturbi con componenti deliranti e/o allucinatorie.
Anna Battista Sezione Appunti
Neuropsichiatria infantile Pagina 156 di 167
152. Psicosi organiche
Sono l’espressione sintomatica di una malattia conosciuta; il riconoscimento della causa non è
sempre
immediato, ma è teoricamente definibile attraverso delle adeguate indagini strumentali.
Esse possono presentarsi durante malattie del sistema nervoso e/o intossicazioni; in particolare
devono
essere valutate le encefaliti subacute, l’astinenza da alcool o l’intossicazione da anfetamine.
Diverse ricerche hanno dimostrato che i pazienti affetti da schizofrenia ricevono il primo
significativo aiuto
in ritardo e che tutto ciò comporta una guarigione tardiva o incompleta; spesso si ci rivolge in
ritardo ai
servizi psichiatrici, dopo molti anni addirittura, ed uno dei compiti principale dei servizi psichiatrici
è il
sostegno dei paziento ma anche dei familiari; non vanno sottolineati alcuni elementi tipici della
malattia
quali sospettosità, ritiro sociale, idee persecutorie e ridotta capacità dell’insight che interferiscono
negativamente con le cure.
Le fasi dell’intervento terapeutico sono così articolate:
1)terapia farmacologica dei sintomi acuti;
2)terapia farmacologica diretta alla prevenzione delle recidive;
3)intervento psicoterapeutico individuale col paziente;
4)intervento con la famiglia;
5)programma riabilitativo.
L’approccio terapeutico delle proporre diverse opportunità di cura: è consigliabile che i trattamenti
farmacologici siano associati a quelli psicoterapeutici, psicoeducativi e alle tecniche di problem
solving; un
percorso di cura ben coordinato deve prevedere uno spazio di ascolto e di sostegno anche dei
componenti
della famiglia del paziente.
Anna Battista Sezione Appunti
Neuropsichiatria infantile Pagina 157 di 167
153. Ritardo mentale
Non è una patologia a sé stante, ma è una categoria psicopatologica concomitante ad altri disturbi di
tipo
genetico, ambientale o di eziologia sconosciuta; ha un esordio precoce(entro i 18 anni) ed è
caratterizzato
da deficit cognitivo e deficit del funzionamento nelle autonomie; il confine tra normale e patologico
non è
un indice standard,a ma è un cutoff arbitrario deciso in base al contesto socioculturale.
E’ nei primi anni del Novecento che si definiscono meglio i confini del RM introducendo il
concetto di QI
grazie all’introduzione dei primi test cognitivi ( Binet nel 1905) e grazie all’identificazione di fattori
eziologici di base(le scoperte di Mendel e la nascita della genetica).
Sin dagli albori, l’intelligenza è stata definita come un’abilità cognitiva, quantificabile tramite il QI
o come
un’abilità pratica che permette di risolvere i problemi e dunque di adattarci al mondo; queste due
diverse
accezioni sono accolte dall’ICD-10, infatti attualmente è diagnosticato il RM quando si ha la
compromissione di entrambe queste competenze: quando il ritardo è grave sia il QI e sia le funzioni
adattive
sono compromesse; quando invece il ritardo è lieve le funzioni adattive possono essere integre o
parzialmente compromesse.
Anna Battista Sezione Appunti
Neuropsichiatria infantile Pagina 158 di 167
154. Nosografia del ritardo mentale
Entrambi i sistemi nosografici, DSM-IV e ICD-10 convergono per quel che riguarda i criteri
diagnostici del
RM:
-criterio A:le funzioni cognitive( o intellettive o semplicemente il QI) devono essere al di sotto della
media(70),ovvero due deviazioni standard al di sotto della media;tuttavia, si parla di un valore
approssimativo, cioè con un intervallo di confidenza di più o meno 5, per due motivi:
-non vi sarà mai la totale coerenza tra la somministrazione di due test diversi o tra due
somministrazioni
dello stesso test;
-il valore psicometrico è necessario ma non autosufficiente per diagnosticare il RM, si necessita
dunque di
altri paramenti;
ciò viene calcolato con test cognitivi standardizzati come la scala Wechsler, la Standford-Binet, ecc;
-criterio B:le funzioni adattive devono essere compromesse in almeno due aree: comunicazione,
cura della
persona, lavoro, tempo libero, sicurezza, salute, ecc;
-criterio C: l’esordio è prima dei 18 anni, poiché se il deficit cognitivo compare dopo i 18 anni si
parla di
demenza; a tal punto è importante considerare che non è importante l’età della diagnosi, piuttosto
quando le
caratteristiche deficitarie compaiono, ovvero la diagnosi di RM può essere fatta anche a 50 se le
caratteristiche deficitarie sono apparse prima dei 18 anni.
La diagnosi deve essere stabile, ovvero il QI di pazienti con RM rimarrà stabile nel tempo, ovvero il
QI
misurato con un test cognitivo a 6 anni sarà approssimativamente uguale a quando il paziente avrà
30 anni;
infatti il DSM-IV considera il RM come un disordine ad esordio infantile che rimane stabile fino
all’età
adulta,ma è necessario specificare alcuni aspetti:
- tanto più precoce è l’età in cui il test cognitivo viene somministrato e tanto meno correlazione con
le
successive valutazioni ci sarà; ma essi parlano di stabilità nel tempo perché a differenza dei
bambino sani,
nei bambini con RM il QI si dimostra stabile, soprattutto nei livelli più bassi (i bambini che hanno
un QI
inferiore a 50, continueranno ad averlo basso anche successivamente) e la stessa cosa vale per gli
adulti (
anche dopo 35 anni di valutazione il QI non mostrava un incremento significativo); tuttavia questo è
un dato
statistico e non significa che il QI non possa andare incontro a modifiche, infatti in alcuni bambini
con RM
lieve si può osservare una variazione durante il corso del tempo,aumentando o diminuendo, ma ciò
non
interessa certo i bambini con un ritardo severo; in conclusione: a differenza di quanto avviene nella
popolazione sana, nei bambini con RM il QI si dimostra un valore stabile lungo l’intero arco di
sviluppo;
-il secondo aspetto riguarda l’influenza che la patologia di base può avere sullo sviluppo cognitivo,
ad
esempio il QI dei bambino con sindrome di Down diminuisce col tempo; nella sindrome della X
fragile,
rimane stabile fino a 10/15anni e poi a partire dalla seconda adolescenza lo sviluppo cognitivo
rallenta
sensibilmente; tutto ciò dimostra come lo specifico tipo di ritardo mentale può influenzare lo
sviluppo
cognitivo durante la crescita, ma la stessa cosa avviene anche per le funzioni adattive, ad esempio
nella
sindrome di Down si osserva un plateau del funzionamento adattivo ad 11 anni, mentre in pazienti
senza
sindrome di Down ma con comunque un deficit cognitivo lo sviluppo delle funzioni adattive si
protrae fino a
30 anni, in conclusione: il ritardo mentale è una condizione RELATIVAMENTE stabile
dall’infanzia
all’adolescenza, perché tale stabilità è mediata dal grado e dal tipo di ritardo.
Anna Battista Sezione Appunti
Neuropsichiatria infantile Pagina 159 di 167
155. Eziologia del Ritardo mentale
Le categorie cliniche più frequenti sono: la sindrome di Down, la sindrome della X fragile e la
sindrome
feto-alcolica, infatti in circa il 30% dei casi si può riscontrare una di queste condizioni
eziopatologiche.
Non siamo in grado di identificare il fattore organico o il processo patologico di base in circa il 40%
dei
casi, nel 60% rimanente, invece, è possibile evidenziare un fattore organico chiaro e
diagnosticabile, dunque
abbiamo due gruppi:
1)il gruppo ad eziologia sconosciuta, circa il 40%, frequente nella popolazione con deficit cognitivi
lievi,
nelle minoranze e nella popolazione con un basso livello socioeconomico, e quando un altro
membro della
famiglia mostra lo stesso tipo di deficit cognitivo senza però un evidente fattore genetico;
2)il gruppo organico, circa il 60%, con la maggior parte dei processi patologici di base di natura
genetica, le
patologie genetiche sono alla base del 35% di tutti i RM, il danno genetico può interessare un
singolo gene o
più geni:
-SINDROME DI DOWN: interessa un bambino su 660 nati vivi, il rischio è maggiore per le madri
con più
di 40 anni; essa è causata dalla trisomia del cromosoma 21; le caratteristiche sono: bassa statura,
macroglossia(aumento della dimensione della lingua) ipotonia, naso piatto, orecchie piccole; la
crescita
cerebrale dopo la nascita appare diminuita con una riduzione del numero delle spine dendritiche e
l’aumento
delle aree di calcificazione nelle aree cerebrali come il processo d’invecchiamento nei normali
soggetti
anziani; l’asse cerebrale antero-posteriore appare diminuito, mentre quello laterale aumenta tanto da
determinare la tipica forma rotondeggiante dell’encefalo; deficit del processa mento visivo, delle
capacità
attentive, della comunicazione verbale e non verbale, che vengono acquisite con lentezza e ritardo,
e del
linguaggio espressivo in particolare; buone competenze sociali con comportamenti passivi, ma
pronti
all’interazione e alla comunicazione affettiva;
-SINDROME DELLA X FRAGILE: rara, originata dalla ripetizione anomala della tripletta CGG
nel DNA
del cromosa X, dunque è più frequente nei maschi che nelle femmine, perché nelle femmine il
corredo XX
permette la disattivazione degli alleli recessivi; faccia lunga, mandibola larga, orecchie sporgenti,
palato
arcuato, bassa statura; deficit a carico della memoria, delle abilità visuospaziali e della
coordinazione
visuomotoria; sono molto lenti nell’acquisizione del linguaggio;
-SINDROME DI PRADER WILLI: è dovuta alla delezione del braccio lungo del cromosoma 15
paterno;
ipotonia, obesità, mani e piedi piccoli, deficit dell’elaborazione sequenziale e della MBT; iperfagia
che si
presenta come una compulsione irrefrenabile per il cibo;
-SINDROME DI WILLIAMS: estremamente rara, causata da una mutazione che provoca la
delezione sul
cromosoma 7 del gene per l’elastina; tipica facies da “ELFO” con naso schiacciato, sopracciglia
folte,
orecchie piccole, bassa statura, vice profonda e metallica, malformazione dell’aorta e delle arterie
renali,
amichevoli, educate, aperte, altamente socievoli; compromissione delle competenze visuospaziali e
di
coordinazione motoria.
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Neuropsichiatria infantile Pagina 160 di 167
156. Diagnosi del Ritardo mentale
Ai fini del processo diagnostico, è importante lo studio approfondito della storia clinica del paziente
a partire
dal concepimento, dello sviluppo del processo psicomotorio e dell’anamnesi familiare, la
consulenza
genetica, la somministrazione dei test cognitivi per programmare un intervento riabilitativo mirato
sulle
competenze riabilitative del paziente.
Il DSM-IV categorizza il RM a seconda del punteggio di QI in 4 categorie più un ritardo non
specificato:
-QI: 50/69=rappresenta l’85% dei casi, sviluppo adeguato delle competenze sociali e di
comunicazione,
deficit delle abilità senso motorie;
la diagnosi viene fatta nell’età scolare, quando il bambino si trova di fronte ai primi problemi
cognitivi
complessi; a seconda del Qi tali soggetti possono avere una vita sociale normale, sposarsi, avere
figli,
mantenere un lavoro, frequenti sono le sindrome epilettiche e i deficit motori;
-QI:35/49=rappresenta il 10% dei casi, necessitano di supporto scolastico continuo, circa il 60% ha
bisogno
di assistenza continua per tutta la vita;
la diagnosi è precoce, in età prescolare, per il grave ritardo psicomotorio, il linguaggio varia in base
al QI;
-QI:25/40=rappresenta il 3/4% dei caso, scarse capacità comunicative, ritardi dello sviluppo
psicomotorio;
la diagnosi è precocissima,solo una piccola parte sviluppano un linguaggio limitato a frasi
semplici(S-VO),
infatti nella maggior parte dei casi il linguaggio è assente; hanno bisogno di assistenza continua per
tutta
la vita anche per i bisogni primari ed una continua terapia di riabilitazione; si osserva
un’oscillazione delle
competenze(si raggiungono e si perdono);
-QI: < 25 =rappresenta l’1/2% dei casi; danni e anomalie cerebrali nella maggior parte dei soggetti;
costante è la presenza di una patologia neurologica(epilessia,ecc) motoria(PCI,ecc) e
sensoriale(cecità,
sordità,ecc);
la diagnosi è precocissima,spesso prenatale; bisogno di una continua assistenza;
-ritardo mentale di gravità non specificata: quando il paziente non è testabile ma vi è una ragione
che fa
presumere un deficit cognitivo; più è precoce la diagnosi e più difficile è determinare la gravità del
deficit;
in questa categoria vi sono anche tutti quei bambini che sono stati testati con test cognitivi che non
forniscono QI.
Anna Battista Sezione Appunti
Neuropsichiatria infantile Pagina 161 di 167
157. Separazione e divorzio: effetti sui bambini
La società occidentale è pervasa da ciò che viene definita “instabilità matrimoniale” che mette in
luce
quanto fragile stia diventando il legame coniugale a fronte della valorizzazione dell’individuo e
dell’autorealizzazione.
La separazione e il divorzio vengono considerati fatti individuali, familiari e sociali e rappresentano
qualcosa ad alto impatto sul benessere delle persone che vi sono coinvolte, sia adulti che bambini.
La rottura coniugale è considerata una transizione stressante rispetto alla quale adulti e bambini
devono
adattarsi; per “transizione” si intende ogni passaggio cruciale in cui la famiglia mostra i suoi punti
di forza e
di debolezza e si declina con il “coping”, ossia la capacità delle persone di fronteggiare un evento
critico
utilizzando le risorse disponibili, mettendo in atto opportune strategie cognitive-emotive e
pragmatichecomportamentali
per governare le tensioni.
Per i bambini, tutto ciò si può tradurre in un declino sia del sostegno sia del controllo genitoriale sul
loro
comportamento e in alcuni casi si può verificare una vera e propria rottura con uno dei due genitori,
perlopiù
il padre, per gli aspetti affettivi, educativi ed economici.
I figli con genitori separati mostrano bassi livelli di benessere generale: rendimento scolastico,
problemi
comportamentali, adattamento psicologico e qualità delle relazioni con entrambi i genitori;
non sono state riscontrate differenze significative di genere, ad eccezione dei problemi
comportamentali
associati all’aggressività, più presenti nei maschi.
Vi è una minore intimità tra le madri e i figli poiché in seguito al divorzio le madri preoccupare per
le
conseguenze immediate di tale evento tendono ad allontanarsi emotivamente dal bambino;
in relazione al padre, i figli mostrano una maggiore distanza emotiva, soprattutto per i più grandi.
I bambini in età prescolare non riescono a comprendere i motivi del divorzio dei loro genitori:
-i bambini con un’età compresa tra i 2 e i 3 anni non esprimono né a livello verbale né nel gioco la
consapevolezza che esita un conflitto tra i genitori, nonostante mostrino un distress emotivo;
-i bambini con un’età compresa tra i 4 e i 5 anni si chiedono i sentimenti che i genitori provano
l’uno per
l’altro, il perché i genitori vivano in due case separate, una possibile loro riunificazione e una scarsa
frequentazione del padre.
Le difficoltà psicoemotive, come depressione, tendono ad aumentare con l’età, evidenziando un
picco
nell’adolescenza; le difficoltà di relazione con i genitori si presentano in primo luogo nell’infanzia e
successivamente nell’adolescenza; l’adattamento sociale e scolastico è più carente nella
preadolescenza.
Il divorzio porta anche a delle conseguenze a lungo termine specie quando i figli sono chiamati a
progettare
il loro futuro:
-per i maschi si ha una difficoltà ad assumere un ruolo genitoriale appropriato;
-per le femmine si evidenzia la sfiducia e la paura di abbandoni sul fronte sentimentale.
Sono più disposti ad amare gli adolescenti di famiglie unite, mentre colore che provengono da una
famiglia
separata vi vanno più cauti, tendono questi ultimi a relazioni sentimentali di breve durata per paura
dell’abbandono, della sofferenza e della solitudine.
Importante è la CTU( consulenza tecnica d’ufficio) disposta dal giudice per valutare ulteriormente
la
situazione e decidere in maniera accurata sulle modalità di affidamento, la frequentazione con i
genitori e il
mantenimento economico; vi sono anche programmi di “parent training” volti a migliorare e
sostenere la
relazione tra figli e genitori sia affidatati che non; a tal proposito riportiamo come esempio “lo
spazio
neutro” e/o spazio d’incontro: quest’ultimo facilita la prosecuzione del rapporto dei figli con
entrambi i
Anna Battista Sezione Appunti
Neuropsichiatria infantile Pagina 162 di 167
genitori, sono spazi istituzionali, aperti anche i giorni festivi, al fine di facilitare soprattutto
l’incontro col
padre, ciò avviene in situazioni protette e con la presenza degli operatori a seguito di un invito
giudiziario;
solo se vi è buon accordo con l’altro genitore è possibile una richiesta spontanea; tali spazi rendono
possibile
un minimo di dialogo anche tra i genitori divorziati e agevolano il passaggio del bambino da un
genitore
all’altro.
La mediazione familiare per la riorganizzazione dei legami in seguito a divorzio/separazione
permette di:
-migliorare la comunicazione tra i membri della famiglia;
-ridurre il conflitto per giungere ad accordi soddisfacenti;
-dare continuità ai rapporti tra genitori e figli;
-ridurre i tempi necessari per la soluzione dei conflitti.
La pratica della mediazione si avvale di un “mediatore” che è imparziale ed utile a traghettare l’ex
coppia
coniugale verso accordi genitoriali in grado di fronteggiare la transizione del divorzio.
Anna Battista Sezione Appunti
Neuropsichiatria infantile Pagina 163 di 167
158. Somatizzazioni
Con il tema delle somatizzazioni si fa riferimento al rapporto tra mente e corpo;
oggi il termine “psicosomatico” può assumere diversi significati:
-può riferirsi alla convinzione che una patologia somatica abbia un’origine psichica;
-può indicare l’influenza che i fattori psicologici hanno sui processi corporei;
-può indicare l’influenza che i fattori corporei hanno sui processi psicologici;
-può indicare la modalità di approccio al paziente in cui si tiene presente la componente corporea e
la
componente psicologica e sociale.
Il primo autore a mettere in discussione l’adeguatezza del termine “psicosomatica” è stato Franz
Alexander,
che sostiene per ogni processo morboso una pluricausale eziologia: non esistono malattie
psicosomatiche ed
altre non psicosomatiche, così come non esistono malattie con eziologia puramente psicogena ed
afferma
che ogni malattia è psicosomatica.
L’attuale prospettiva, che considera tali disturbi il risultato dell’interazione tra fattori psicologiciemotivi ed
una predisposizione costituzionale, ha portato alla necessità di introdurre un nuovo termine,
maggiormente
adeguato, “somatizzazione” invece di “disturbo psicosomatico”.
Si deve ad Alexander, l’introduzione del continuum mente-corpo; ma rilevante è anche il contributo
di
Winnicott che spiega come inizialmente il bambino si trovi in uno “stato primario non integrato”: il
processo
di maturazione dipende dall’atteggiamento della madre, che se sarà positivo gli permetterà di
sviluppare
“l’integrazione psicomotoria”, cioè la psiche riuscirà ad abitare nel soma, se negativo lo condurrà
alla
depersonalizzazione con un’insicurezza ad abitare dentro.
DIAGNOSI DELLE SOMATIZZAZIONI
Nel DSM-IV il disturbo di somatizzazione viene inserito fra i disturbi somatomorfi, ovvero pattern
di
complicanze fisiche multiple per le quali non è possibile rinvenire alcuna causa organica,
nonostante i
ripetuti accertamenti medici; in altre parole, la somatizzazione è un processo che si manifesta con
uno o più
sintomi fisici senza che appropriati esami medici rilevino alcuna patologia fisica né un meccanismo
fisiopatologico, oppure quando correlati ad una patologia organica, i sintomi fisici sembrano essere
in
eccesso rispetto a quanto si ci aspetterebbe dai risultati medici.
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Neuropsichiatria infantile Pagina 164 di 167
159. Alcuni disturbi riguardo alle somatizzazioni
-dolori addominali ricorrenti o DAR, sono una sindrome di dolore ricorrente localizzato in zona
ombelicale,
spesso accompagnato da cefalea, vomito, diarrea o costipazione;
affinchè venga diagnosticata, c’è bisogno che per 12 settimane ci sia: dolore addominale
persistente, senza
alcuna relazione con eventi fisiologici o con altri disturbi gastrointestinali che potrebbero spiegare il
dolore e
deve interferire con le attività quotidiane.
I disturbi sono presenti maggiormente nelle ragazze rispetto ai ragazzi; sono da tenere in
considerazione
fattori psicologici e psicosociali:fattori che compromettono la qualità della vita a vari livelli ed in
diversi
aspetti;
-asma, è una patologia infiammatoria cronica delle vie aeree che provoca ripetuti episodi di affanno,
mancanza di respiro, pressione toracica, tosse, specialmente la notte e/o la mattina presto.
Si attribuisce un importante ruolo alla componente ereditaria,ma nonostante questo, non è un
disturbo
genetico riconducibile ad una trasmissione mendeliana di caratteri dominanti, recessivi o legati al
sesso.
Il principale sintomo è l’affanno; si possono individuare 3 fenotipi:
1)affanno transitorio, presente nei bambini al di sotto dei 3 anni con successiva scomparsa, dovuto
ad una
diminuzione funzionale dei polmoni alla nascita che tende poi a normalizzarsi;
2)affanno persistente, presente già prima dei 3 anni e che perdura oltre tale età; sembra essere
presente in
bambini con genitori asmatici: tale bambini hanno normali livelli di funzionalità polmonare alla
nascita che
poi decresce significativamente;
3)affanno ad esordio tardivo, che compare tra i 3 e i 6 anni, e con una stabilizzazione polmonare
dopo i 10
anni.
Bambini con almeno 3 episodi all’anno e con un criterio maggiore(presenza di un genitore con
asma,
sensibilità allergica, ecc) o con due criteri minori(sensibilità al cibo, affanni legati ad infezioni,ecc)
hanno il
65% di possibilità di sviluppare l’asma all’età di 6 anni, senza nessuno di questi criteri la
percentuale si
abbassa al 5%.
Negli ultimi vent’anni, vi è stato un incremento significativo nella popolazione mondiale.
Essa è correlata ad aspetti di natura psicologica e psicosociale; sono ritenuti fattori responsabili lo
stress
cronico o acuto; fondamentale è il rapporto con i coetanei, che comunque risulta compromesso a
causa delle
ridotte possibilità di partecipare ad eventi sociali e ad attività fisiche.
Alcune semplici raccomandazioni per bambini con un genitore asmatico:
1)prevenzione primaria: prolungare l’allattamento al seno, ritardare l’introduzione di cibi solidi,
arieggiare
la casa, evitare il contatto con gli animali domestici e l’esposizione al fumo passivo;
2)prevenzione secondaria:quando il sintomo è già comparso è necessaria una farmacoterapia
preventiva con
antistaminici e antiinfiammatori;
3)prevenzione terziaria: quando il disturbo ormai è diventato cronico è necessario evitare la
disabilità e
permettere una buona qualità della vita;
-mal di schiena:nonostante l’alta prevalenza, rimane ancora poco conosciuto e trattato:
Vi sono alcuni criteri clinici che permettono di categorizzare i pazienti in base alla localizzazione
del dolore
e ai risultati dell’esame clinico:
1)categoria 1: pazienti con dolore localizzato alla schiena senza irradiazione alle gambe e senza
segni
neurologici;
2)categoria 2: pazienti con dolore alla schiena fino alle gambe senza segni neurologici;
Anna Battista Sezione Appunti
Neuropsichiatria infantile Pagina 165 di 167
3)categoria 3: pazienti con dolore che si estende fino alle ginocchia senza segni neurologici;
4)categoria 4: pazienti con dolore che coinvolge la schiena, le gambe, le ginocchia e con segni
neurologici
positivi.
Vi è una relazione tra il mal di schiena e il BMI (indice di massa corporea) in donne che sono
significativamente aumentate di peso negli ultimi 10 anni.
Vi è una prevalenza maggiore nelle femmine rispetto ai maschi e un’interferenza con le normali
attività di
routine. Tra i fattori di rischio ricordiamo: abusi fisici e violenze sessuali da parte delle figure di
attaccamento, tossicodipendenza o alcolismo dei genitori, morte o perdita di una figura significativa
per il
bambino, abuso psicologico o rifiuto.
La qualità della vita di tali soggetti risulta altamente compromessa a vari livelli;
-sindrome da fatica cronica o SFC: è una malattia caratterizzata da una stanchezza non spiegata da
alcuna
causa nota, debilitante a tal punto da causare una riduzione dell’attività lavorativa o scolastica di
oltre il50%
e superiore ai 6 mesi e da altri sintomi quali: mal di testa, febbre, mal di gola, confusione mentale,
perdita
della memoria, disturbi del sonno, depressione, ecc e che non si allevia con il riposo.
I criteri maggiori sono:
sfatica mento persistente e debilitante in una persona senza una precedente storia per spiegare tale
sintomo,
che non si risolve col riposo e che dura almeno 6 mesi, esclusione di altre condizione fisiche come:
malattie
autoimmuni, tumori, dipendenza da farmaci, abuso di sostanze tossiche,ecc;
I sintomi sono:
febbre tra 37.5 e 38.6 ° C o brividi, cefalea, dolori muscolari, stanchezza muscolare generalizzata
non
spiegata, dolori alla gola, disturbi del sonno, i sintomi compaiono e scompaiono periodicamente in
poche
ore o in pochi giorni.
Il tipico paziente con SFC sia un adulto tra i 30 e i 40 anni di età, questa malattia è stata
diagnosticata in
soggetti di tutte le età, compresi adolescenti, bambini e anziani, di entrambi i sessi, si tutte le razze
ed ogni
gruppo socioeconomico.
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Neuropsichiatria infantile Pagina 166 di 167
160. Trattamento delle somatizzazioni
La diagnosi è espressa grazie all’interazione tra fattori fisici, sociali ed emozionali; il ruolo delle
componenti
psicologiche è particolarmente rilevante nel mantenimento della condizione.
Le regole da seguire nella pratica clinica dovrebbero essere:
- mostrare interesse, sin dalla prima consultazione, nei confronti della storia sintomatologica del
bambino,
evitando di dare l’impressione che non gli si creda;
-dopo aver escluso possibili cause organiche, rassicurare i genitori ed incoraggiarli;
-con tatto ed accortezza, condurre una graduale individuazione e o modificazione degli aspetti
ambientali
che potrebbero essere dannosi per il bambino;
-creare un collegamento con la scuola in caso di rifiuto scolastico.
Il trattamento dovrebbe coinvolgere bambino genitori e scuola.
1)terapia comportamentale: si basa sulla premessa che gli individui imparino a comportarsi in un
certo
modo, influenzati dalla situazione, dagli eventi e dai rinforzi; tale tecnica è,dunque, utile per
modificare
comportamenti inappropriati;
2)terapia cognitivo-comportamentale: cerca di aiutare i pazienti ad identificare i loro “errori
mentali” ed i
comportamenti automatici negativi al fine di accompagnare il bambino alla corretta comprensione e
al
controllo della sua ansia;
3)terapia familiare: i dialoghi tra tutti i membri della famiglia per far emergere un’immagine delle
relazioni
e degli stili comunicativi presenti nel nucleo familiare;
4)terapie individuali ad orientamento psicodinamico che sono più rare in età evolutiva rispetto
al’età adulta,
non solo per la difficoltà del bambino piccolo ad utilizzare il linguaggio verbale come strumento per
le
libere associazione, ma anche per l’esistenza o meno del transfert da parte dei bambini nei confronti
del
terapista.
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Indice
1. Esame neurologico del neonato 1
2. Primo item dell'esame neurologico del neonato: gli stati comportamentali e il loro 2
3. Secondo item dell'esame neurologico del neonato: la habituation: stimolo luminunoso 3
4. Terzo item dell'esame neurologico del neonato - la postura 4
5. Quarto item dell'esame neurologico del neonato: l’attivita’ motoria - i gms e l’attività 5
6. Quinto item dell'esame neurologico del neonato: il tono muscolare - passivo e attivo 6
7. Sesto item dell'esame neurologico del neonato: i riflessi arcaici 7
8. Settimo item dell'esame neurologico del neonato: i riflessi osteotendinei 8
9. Ottavo item dell'esame neurologico del neonato: le funzioni sensopercettive - visive e 9
10. Nono item dell'esame neurologico del neonato: il diario comportamentale 10
11. Prima visita e colloquio clinico in psichiatria dell’età evolutiva 11
12. Prima visita in psichiatria dell’età evolutiva 12
13. Colloquio clinico in psichiatria dell’età evolutiva 13
14. Sviluppo sensomotorio e relazionale del feto 14
15. Sviluppo della sensibilità tattile, termica e dolorifica 15
16. Sviluppo della sensibilità vestibolare 16
17. Sviluppo della sensibilità uditiva 17
18. Sviluppo della sensibilità visiva 18
19. I movimenti fetali 19
20. Relazione prenatale a rischio 20
21. Disadattamento scolastico 21
22. Le manifestazione del disadattamento scolastico 22
23. Disturbi del sonno 23
24. Insonnia nel primo anno di vita 24
25. Insonnia da un anno all’età scolare 25
26. Parasonnie 26
27. Disturbi del ritmo circadiano 27
28. Disturbi respiratori nel sonno 28
29. Disturbi da eccessiva sonnolenza 29
30. Disturbo bipolare 30
31. Il disturbo bipolare in età pediatrica 31
32. Encefaliti 32
33. Complesso TORCH 33
34. Il cytomegalovirus 34
35. La rosolia 35
36. L’immunodeficienza umana da HIV 36
37. Mutismo elettivo 37
38. I criteri diagnostici del mutismo 38
39. Patologie croniche organiche 39
40. La fibrosi cistica 40
41. Il diabete mellino insulino-dipendente 41
42. Sequele della nascita pretermine 42
43. Intelligenza nei bambini pretermine 43
44. Linguaggio nei bambini pretermine 44
45. Abilità visuomotorie nei bambini pretermine 45
46. Difficoltà di apprendimento nei bambini pretermine 46
47. Lateralità e disturbi di apprendimento nei bambini pretermine 47
48. Memoria e attenzione nei bambini pretermine 48
49. ADHD nei bambini pretermine 49
50. Sindrome di munchausen by proxy 50
51. Diagnosi differenziale della sindrome by proxy 51
52. Traumi cranici ed emorragie: emorragia extracranica 53
53. Traumi cranici ed emorragie: fratture del cranio 54
54. Traumi cranici ed emorragie: contusioni cerebrali 55
55. Traumi cranici ed emorragie: emorragie intracraniche 56
56. Incidenza, origine e diagnosi di emorragia 57
57. Tumori cerebrali infantili 58
58. Tumori sottotentoriali 59
59. Tumori sopratentoriali 60
60. Idrocefalo 61
61. Abusi e maltrattamenti 62
62. Fenomenologia degli abusi: maltrattamento fisico 63
63. Fenomenologia degli abusi: maltrattamento psicologico 64
64. Fenomenologia degli abusi: abuso sessuale 65
65. Fenomenologia degli abusi: patologie delle cure 66
66. Adozione 67
67. Fattori di rischio e fattori protettivi dell’adozione 69
68. Prognosi e trattamento dell’adozione 70
69. Cefalea primaria 71
70. Cefalea secondaria 72
71. Eziologia, prognosi e terapia della cefalea infantile 73
72. Deficit di attenzione e iperattività - ADHD 74
73. Comorbilità dell’ADHD 75
74. Eziologia dell’ADHD 76
75. Diagnosi e trattamentp dell'ADHD 77
76. Depressione infantile 78
77. Epidemiologia della depressione infantile 79
78. Eziologia della depressione infantile 80
79. Classificazione nosografica della depressione infantile 81
80. Diagnosi della depressione infantile 82
81. Comorbidità della depressione infantile 83
82. Prognosi della depressione infantile 84
83. Suicidio e depressione infantile 85
84. Prevenzione della depressione infantile 86
85. Trattamento della depressione infantile 87
86. Disturbi della condotta: definizione 88
87. Diagnosi dei disturbi della condotta 89
88. Diagnosi differenziale ed epidemiologi dei disturbi della condotta 90
89. Eziologia dei disturbi della condotta 91
90. Comorbità dei disturbi della condotta 92
91. Prognosi e trattamento dei disturbi della condotta 93
92. Disturbi d’ansia: definizione 94
93. Disturbi d’ansia: epidemiologia e comorbidità 95
94. Diagnosi dei disturbi d’ansia 96
95. Disturbo d’ansia da separazione 97
96. Disturbo d’ansia generalizzato 98
97. Disturbo da panico 99
98. Fobie semplici 100
99. Fobia sociale 101
100. Disturbi del comportamento alimentare 102
101. Anoressia nervosa 103
102. Bulimia nervosa 104
103. Disturbo alimentare non altrimenti specificato 105
104. Disturbi alimentari prepuberali 106
105. Diagnosi dei disturbi alimentari 107
106. Epidemiologia dei disturbi alimentari 108
107. Disturbi dell’apprendimento 109
108. Disturbi dell’apprendimento: dislessia 110
109. Disturbi dell’apprendimento: disgrafia 111
110. Disturbi dell’apprendimento: discalculia 112
111. Disturbi dell’attaccamento 113
112. Eziologia dei disturbi dell’attaccamento 114
113. Sistemi di classificazione dei disturbi dell’attaccamento 115
114. Diagnosi dei disturbi dell’attaccamento 116
115. Fattori di rischio e fattori protettivi dei disturbi dell’attaccamento 117
116. Disturbi associati ai disturbi dell’attaccamento 118
117. Disturbi dell’evacuazione 119
118. Epidemiologia, eziologia e trattamento dei disturbi di evacuazione 120
119. Disturbi pervasivi dello sviluppo 121
120. Autismo 122
121. Sindrome di Rett 123
122. Disturbo disintegrativo dell’infanzia 124
123. Disturbo di asperger 125
124. Disturbo pervasivo dello sviluppo non altrimenti specializzato 126
125. Terapia e prognosi dei disturbi pervasivi dello sviluppo 127
126. Disturbi specifici del linguaggio 128
127. Eziologia dei disturbi specifi del linguaggio 129
128. Nosografia dei disturbi specifi del linguaggio 130
129. Diagnosi dei disturbi specifi del linguaggio 131
130. Disturbo d’adattamento 132
131. Disturbo postraumatico da stress 133
132. Sintomatologia del disturbo postraumatico da stress 134
133. Comorbidità e diagnosi del disturbo postraumatico da stress 135
134. L’epilessia e i disturbi neuropsichiatrici 136
135. Trattamento dell’epilessia 138
136. Epidemiologia del DOC 139
137. Eziologia del DOC 140
138. Diagnosi e trattamento del DOC 141
139. Fattori di rischio e fattori protettivi del DOC 142
140. Le epilessie 143
141. Epidemiologia e eziopatogenesi dell’epilessia 144
142. Diagnosi dell’epilessia 145
143. Epilessie parziali 146
144. Epilessie generalizzate 147
145. Terapia dell’epilessia 148
146. Paralisi cerebrali infantili 149
147. Classificazione delle Paralisi cerebrali infantili 150
148. Diagnosi, prognosie e comorbidità delle Paralisi cerebrali infantili 151
149. Trattamento delle Paralisi cerebrali infantili 153
150. Psicosi infantili 154
151. Schizofrenia 155
152. Psicosi organiche 157
153. Ritardo mentale 158
154. Nosografia del ritardo mentale 159
155. Eziologia del Ritardo mentale 160
156. Diagnosi del Ritardo mentale 161
157. Separazione e divorzio: effetti sui bambini 162
158. Somatizzazioni 164
159. Alcuni disturbi riguardo alle somatizzazioni 165
160. Trattamento delle somatizzazioni 167