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Semestrale di Informazione Medica
Tratto dal sito web www.cristinaselvi.it
Psichiatria . Psicoterapia . Omotossicologia
#3 |
Dicembre 2014
Dottoressa Cristina Selvi
Medico Chirurgo, Psichiatra, Psicoterapeuta, Omotossicologa
Laurea del 1990 presso l’Università
Domicilio Professionale
. www.cristinaselvi.it
Statale di Milano.
Studio Psichiatria Integrata
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Ordine Medici Milano n° 30878.
Piazza Gorini, 6 - Milano
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Elenco Psicoterapeuti n° 1000.
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realizzato da
DOTT.SSA CRISTINA SELVI
Medico Chirurgo . Psichiatra . Psicoterapeuta . Omotossicologa
Ordine Medici Milano n. 30878
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© Copyright 2012-2014 . dott.ssa cristina selvi . Tutti i diritti sono riservati
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SEMESTRALE DI INFORMAZIONE MEDICA
TRATTO DAL PORTALE WEB WWW.CRISTINASELVI.IT
STUDIO PSICHIATRIA INTEGRATA - GIUGNO 2014
ARGOMENTI: PSICHIATRIA . PSICOTERAPIA . MEDICINA OMOTOSSICOLOGICA
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DOTT.SSA CRISTINA SELVI
Psichiatra, Psicoterapeuta e Omotossicologa
formazione
H
o scelto di occuparmi di psichiatria abbastanza avanti nel mio corso di
studi, anche grazie all’incontro con una persona speciale che mi ha preso per mano e mi ha portato verso questo mondo.
Ho iniziato la mia professione occupandomi di ragazzi tossicodipendenti e lavorando presso strutture di ricovero, strutture residenziali e comunità terapeutiche
per pazienti affetti da gravi patologie .
Nel corso degli anni ho poi scelto di specializzarmi nella cura della Depressione
e dei Disturbi d’Ansia perché ho potuto constatare come in queste situazioni si
possa davvero aiutare il paziente a superare una situazione di grande sofferenza e
ritornare allo stato di benessere.
Nel corso della mia formazione e della mia professione ho sempre sentito la
necessità personale e la curiosità di andare a conoscere diversi paradigmi per la
comprensione della sofferenza psichica e psicologica e per le possibili strategie di
terapia. Questo mi ha portato a considerare la cura della persona che soffre come
un percorso di comprensione a vari livelli del disagio del singolo paziente in un
modello di Psichiatria Integrata che mi permetta di utilizzare e modulare gli interventi di cura in modo più flessibile e quindi più efficace.
dove svolgo la mia professione
S
volgo attività libero professionale a Milano presso il mio studio in Piazzale Gorini 6, come medico psichiatra per quanto concerne la terapia
farmacologica dei Disturbi d’Ansia e della Depressione integrando, dove
è possibile, l’approccio tradizionale con quello acquisito nell’ambito della Medicina
non Convenzionale, e come psicoterapeuta ad orientamento analitico, modulando
la mia pratica clinica con le conoscenze acquisite all’estero riguardanti le tecniche
cognitivo-comportamentali.
Lavoro inoltre come medico psichiatra presso la Comunità Terapeutica Teseo
del Crest di Milano. Questa struttura residenziale si occupa della cura e della
riabilitazione di pazienti inviati dai servizi e affetti da disturbi psichici quali
Schizofrenia, Disturbo Schizoaffettivo e Disturbo Bipolare.
© Copyright 2015
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dott.ssa Cristina Selvi
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Disclaimer • Questo periodico, in formato digitale e cartaceo, contiene una raccolta degli
articoli informativi tratti dal sito web www.cristinaselvi.it | www.psichiatriaintegrata.it.
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e/o soggetti terzi nè avere qualsivoglia intento pubblicitario.
I contenuti hanno un carattere puramente informativo e NON devono essere in
alcun modo interpretati come sostituenti la visita medica, ossia consigli, diagnosi,
prognosi e/o indicazioni di trattamento da parte di medici, operatori sanitari e specialisti, ai quali è sempre opportuno e doveroso fare riferimento per qualsivoglia
problema di salute.
Il carattere esclusivamente informativo di questo periodico e del portale web associato è di libero accesso; le informazioni ivi contenute NON possono in alcun modo
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Copyright © 2012-2014 Dottoressa Cristina Selvi
Tutti i diritti sono riservati.
Gli articoli dello Studio Psichiatria Integrata e questo periodico, che ne presenta una raccolta, sono un’opera
della dott.ssa Cristina Selvi e sono distribuiti con una licenza Creative Commons di tipo CC BY-NC-ND 3.0.
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commerciale, se viene incluso questo box di copyright, il soprastante disclaimer e previa richiesta all’autore ([email protected]). Le immagini NON sono modificabili nè riproducibili nè redistribuibili.
Ulteriori permessi possono essere richiesti all’autrice via e-mail.
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a Giancristoforo Trogu
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Contenuti
Presentazione9
Introduzione11
Psichiatria14
Il Litio nella Depressione 16
Ansia e Alcolismo 20
I disturbi del sonno 25
Stress, infiammazione e depressione 30
Depressione autunnale 33
I Disturbi Psicotici e il disturbo Psicotico Breve 36
Dottoressa, ho poca serotonina? 40
Le droghe e la malattia mentale 43
Psicoterapia47
Curare le fobie 49
Il disturbo narcisistico di personalità 52
Omotossicologia56
Stato infiammatorio sistemico e depressione 59
La depressione, l’obesità e le malattie cardiovascolari 62
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Presentazione
Lo Studio Psichiatria Integrata
è presente sul web
all’indirizzo
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Sul Portale Web
sono presenti sezioni infromative
in materia di Psichiatria, Psicoterapia e Medicina
Omotossicologica.
Lo Studio di Psichiatria Integrata si prefigge lo scopo di
proporre un modello efficace e completo d’intervento per
il disagio sia psicologico che psichico.
Nell’incontro con il paziente ciò che conta è riconoscere
l’origine della sua sofferenza. Il malessere scaturisce da un
insieme di fattori BIO-PSICO-SOCIALI e su tutti questi versanti deve indirizzarsi l’attenzione e la competenza
dello psichiatra, al fine di poter scegliere la corretta impostazione terapeutica.
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dott.ssa Cristina Selvi
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La dott.ssa Cristina Selvi, Psichiatra e Psicoterapeuta,
integra l’approccio psicologico a quello farmacologico, e
all’interno di questo propone sia l’utilizzo della terapia
tradizionale allopatica che un’impostazione innovativa
secondo il paradigma della Medicina non Convenzionale
applicata alla psichiatria, sempre comunque tenendo presenti le corrette indicazioni terapeutiche e le inclinazioni
personali del paziente.
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Presentazione 10
La dott.ssa Cristina Selvi scrive
settimanalmente
articoli informativi sul portale
online.
E’ possibile ricevere gli articoli
dello Studio Psichiatria Integrata
comodamente
nella tua casella
e-mail, il giorno
stesso in cui vengono pubblicati.
Puoi cancellarti
dal servizio quando vuoi.
Introduzione
Ho desiderato un sito web che rispecchi la caratteristica
della mia preparazione professionale, che ha spaziato nel
tempo dalla psichiatria medica alla psicoterapia anaLa dottoressa
Cristina Selvi,
Medico Chirurgo, si occupa
di Psichiatria,
Psicoterapia e
Medicina Omotossicologica a
Milano, in Piazza
Paolo Gorini 6.
Tiene aggiornata
settimanalmente
una Sezione di
Articoli Informativi sul Portale
Web dello Studio
Psichatria Integrata.
litica, all’approccio cognitivo fino a, più recentemente,
l’omotossicologia, anche questa applicata alla cura del
disagio psichico o psicologico. Potrebbe sembrare una formazione un po’ eclettica e in effetti lo è, sebbene nell’accezione più positiva del termine.
In realtà anch’io cercando le parole giuste per presentarmi
ho riflettuto su come abbia sempre soddisfatto il mio bisogno di apprendere più modelli di cura che mi permettesse-
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11
dott.ssa Cristina Selvi
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ro di declinare al meglio la mia professione e poter fornire
una risposta terapeutica più ampia e più adattabile alla
soggettività delle persone che portano i loro problemi alla
mia attenzione.
Non ritengo necessario sapere applicare tutte le cure e le
terapie, è però essenziale essere in grado di fare una diagnosi corretta e sapere consigliare al paziente il professionista che si possa occupare al meglio del suo problema.
Questo è quello che io mi prefiggo di fare quotidianamente
e vorrei che Psichiatriaintegrata diventasse un raccoglitore d’informazioni fornite da me, ma anche da altri colleghi che si occupano del disagio psicologico e che offrono
altri tipi di intervento, i quali possono essere combinati e
integrati, quando è necessario, con gli interventi più noti
e tradizionali.
Gli articoli che ho scritto nelle tre sezioni del sito web in
questi mesi scaturiscono in parte da interesse personale e
in parte da richieste che mi sono pervenute dai miei pa-
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Introduzione 12
zienti, oltre che dall’osservazione delle più frequenti patologie che incontro nella mia pratica clinica quotidiana.
Vorrei nel tempo sempre più affinare questo modello d’intervento integrato che valorizzi una conoscenza globale
della persona, del suo malessere e della cura, senza scivolare in approcci superficiali e non scientificamente fondati che spesso e giustamente sono causa di un giudizio
svalutativo su ogni approccio di terapia che non sia accademicamente ortodosso.
DOTTORESSA CRISTINA SELVI
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Introduzione 13
Il sito internet
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soprattutto vi permette di navigare
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piena tranquillità!
SEZIONE I
Psichiatria
La Depressione, gli Attacchi di Panico e alcune forme di
Disturbo d’Ansia sono situazioni cliniche che richiedono
la prescrizione di una terapia farmacologica adeguata
che risolva o comunque permetta di attenuare in modo significativo i sintomi che disturbano il paziente. I farmaci
disponibili oggi sono molto più sofisticati di quelli di una
volta i quali erano altrettanto efficaci ma presentavano
un maggior numero di effetti collaterali e di controindicazioni.
14
dott.ssa Cristina Selvi
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La terapia medica dell’ansia e della depressione oggi si
basa su molecole molto evolute e selettive che risolvono,
nella maggioranza dei casi, la patologia. Una terapia prescritta nei modi e nei tempi corretti non da e non deve
dare alcun disturbo al paziente ma deve limitarsi a risol-
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riguardo agli ultimi articoli scritti
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Psichiatria tramite il Portale Web
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vere la sintomatologia. Purtroppo ancora troppo spesso
la terapia farmacologica dei disturbi psichiatrici subisce l’influenza negativa di antichi pregiudizi e soprattutto
dell’assenza di una corretta informazione.
Per questo il medico deve essere competente nel differenziare e diagnosticare correttamente quelle situazioni cliniche che, interferendo gravemente con la vita lavorativa
e personale del paziente, possono essere trattate con successo con i farmaci, associati eventualmente a seconda del
singolo caso, con una terapia di supporto psicologico.
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Psichiatria 15
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Il Litio nella Depressione
Il Litio è un metallo presente in natura con il quale si formulano i Sali di Litio,
farmaci utilizzati in alcune forme di depressione, soprattutto nelle Depressioni Bipolari o Ricorrenti.
Il cibo e l’acqua che assumiamo contengono Litio in minime quantità, per questo
motivo nel nostro organismo è riscontrabile soltanto in tracce, a meno che non venga assunto come farmaco.Il Litio si estrae da alcune rocce che ne sono ricche. Sotto
forma di Carbonato di Litio, è utilizzato in psichiatria come stabilizzatore del tono
dell’umore ed è un farmaco indispensabile per la cura dei Disturbi Affettivi.
Quando è possibile utilizzare il Litio come terapia
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Si intende per stabilizzatore del tono dell’umore una sostanza che ha la capacità
di evitare, o ridurre notevolmente, la possibilità che il paziente sviluppi Episodi di
Depressione o di Euforia. Esistono anche altri farmaci dotati di questa potenzialità
ma il Litio è senz’altro il più efficace.
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Il Carbonato di Litio può esser prescritto per controllare la fase acuta maniacale nel Disturbo Bipolare e può essere utilizzato come terapia di mantenimento e
di prevenzione delle ricadute. Il Litio non guarisce il Disturbo Bipolare ma agisce
bloccando o riducendo la ciclicità degli episodi, prevenendo quindi le ricadute. Per
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Psichiatria 16
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questo motivo è un farmaco che va assunto a lungo termine, per qualche anno, anche quando il paziente sta bene, i sintomi sono scomparsi e l’umore è rientrato nella
normalità. Se la terapia viene sospesa troppo presto e in modo brusco, aumenta
notevolmente la probabilità che gli episodi depressivi o maniacali si ripresentino. Si
calcola circa un 50% di rischio di ricaduta entro i sei mesi dalla sospensione; inoltre
va segnalato che alcuni pazienti che hanno sospeso il trattamento non hanno più
benefici, una volta che riprendono la terapia.
Molti pazienti ottengono ottimi risultati terapeutici dal Litio, che controlla completamente la sintomatologia e blocca la ricomparsa della malattia. Altri, più raramente, possono avere una risposta parziale, che consiste in crisi meno frequenti,
meno gravi dal punto di vista sintomatologico e più contenute nel tempo.
Quando si prescrive una terapia a base di sali di Litio, bisogna avvisare il paziente (e i suoi famigliari) che l’effetto clinico non sarà immediato, il miglioramento è,
infatti, graduale e si stabilizza nel giro di alcuni mesi. Perciò potrebbe inizialmente
essere necessario prescrivere altri farmaci. L’obiettivo nel tempo è di ridurre sempre
più le altre medicine e lasciare soltanto la terapia stabilizzante a base di Litio. Il
paziente deve informare il medico su eventuali terapie già assunte. Alcuni farmaci,
infatti, aumentano la concentrazione plasmatica del Litio, possono essere assunti
senza problemi in modo saltuario. Nel caso la terapia debba durare più a lungo, è
necessario ridurre temporaneamente il dosaggio di Litio assunto ogni giorno. Questo è molto importante perché il Litio ha una finestra terapeutica piuttosto ridotta,
ciò significa che sotto certi livelli non funziona e sopra può causare effetti collaterali
spiacevoli e a volte molto gravi diventando tossico per l’organismo.
Quali farmaci interferiscono con la concentrazione sanguigna del Litio
Tra i farmaci che aumentano la concentrazione del Litio, ci sono i diuretici che
agiscono aumentando l’eliminazione di sodio, farmaci spesso utilizzati nella terapia
dell’ipertensione. E’ inoltre necessario fare attenzione ai regimi dietetici iposodici
a volte prescritti in caso di aumento della pressione. Se l’organismo contiene meno
sodio, i reni filtrano il Litio più lentamente e di conseguenza la litiemia tende ad
aumentare. Altri farmaci di uso comune sono i FANS (farmaci antiinfiammatori
non steroidei), cioè i comuni farmaci da banco utilizzati in caso di febbre o dolori.
In questi casi è meglio utilizzare il paracetamolo che non interferisce con i livelli
plasmatici del Litio. L’associazione con ACE inibitori, utilizzati spesso in alcune patologie cardio-vascolari, può provocare una riduzione dell’eliminazione di Litio, con
conseguente aumento della litiemia. Anche l’assunzione di alcool può causare un
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Psichiatria 17
aumento del livello plasmatico del Litio.
Effetti collaterali della terapia con il Litio
Come tutti i farmaci anche il Litio può determinare alcuni effetti collaterali spiacevoli. Va innanzitutto chiarito che questi disagi possono essere tenuti sotto controllo, ridotti o eliminati, dosando bene la quantità di Litio che il paziente assume e che
deve essere personalizzata in base al monitoraggio plasmatico. Bisogna prescrivere
la giusta dose che controlli la malattia, causando il minor disagio possibile al paziente.
Gli effetti collaterali più frequenti sono l’aumento della sete e quindi dell’introito
di liquidi, da cui deriva una maggiore necessità di urinare durante la giornata. E’
importante segnalare al paziente che la sensazione di sete va placata esclusivamente
bevendo acqua, evitando bevande gasate e zuccherine, per non aumentare eccessivamente di peso. L’aumento ponderale, infatti, è uno dei possibili effetti collaterali
della terapia con sali di Litio e va quindi contrastato con una corretta alimentazione
e adeguato movimento. Un altro effetto collaterale abbastanza frequente è il tremore
fine delle mani, come tutti gli effetti dei farmaci, la sua comparsa o intensità non è
prevedibile, alcuni pazienti svilupperanno questo disturbo e altri no. Qualche paziente riferisce nausea, soprattutto all’inizio della terapia, nella pratica clinica questa
è un’evenienza piuttosto rara che può essere controllata assumendo il farmaco a stomaco pieno. Altri effetti possibili sono la debolezza muscolare, una lieve sonnolenza,
il peggioramento di acne o psoriasi, sapore metallico in bocca.
Quali esami sono necessari quando si assume il Litio
Prima di iniziare l’assunzione di Litio è buona regola eseguire alcuni esami. Questi
controlli dovranno poi essere ripetuti, a scadenza regolare, durante tutto il periodo
di assunzione del farmaco. Gli esami comprendono la funzionalità della tiroide e del
rene, con comuni esami ematochimici, e quella cardiaca con l’elettrocardiogramma.
Altri esami consigliati sono l’emocromo, gli elettroliti e l’esame delle urine.
Tra i controlli che è indispensabile eseguire, durante la terapia, c’è ovviamente
la litiemia. Questo esame consiste nel dosaggio della quantità di Litio nel sangue.
Mentre normalmente il Litio non è dosabile, lo diventa nei pazienti che lo assumono
a scopo terapeutico o preventivo. Il dosaggio deve rimanere entro un livello terapeutico che va da 0.5 a 1.0 mEq/l. Nelle fasi acute sono solitamente necessari livelli
leggermente più alti (0.6 – 1.2 mEq/L).
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Psichiatria 18
Il Litio deve essere dosato perché, a parità di dosaggio, la litiemia varia da paziente a paziente e perché come abbiamo già detto i suoi valori devono rimanere
nell’intervallo terapeutico. Episodi di vomito, diarrea, sudorazione profusa possono modificare i livelli di Litio a causa della disidratazione. Ad esempio, in alcuni
pazienti, nei mesi estivi si rileva un aumento della litiemia a causa della maggiore
dispersione di liquidi con il caldo. La litiemia deve essere eseguita settimanalmente
all’inizio della terapia, fino a che il livello plasmatico sarà stabilizzato, in seguito la
frequenza dell’esame va riducendosi fino ad un controllo ogni tre o quattro mesi.
Controindicazioni assolute all’utilizzo del Litio
Il Litio non deve essere assunto in gravidanza e durante l’allattamento. Può, infatti,
causare malformazioni a livello dell’apparato cardiovascolare. Nel caso si voglia programmare una gravidanza, il Litio andrà sospeso, gradualmente, alcuni mesi prima.
Le donne che assumono Litio, devono utilizzare metodi contraccettivi efficaci. E’
controindicato nei pazienti affetti da insufficienza renale o pazienti che abbiano da
poco avuto infarto del miocardio.
Intossicazione da Litio
E’ un’evenienza molto rara, che si determina soltanto nel caso in cui non siano
rispettate le semplici precauzioni di cui sopra, cioè assunzione del farmaco nel dosaggio prescritto, controllo regolare dei valori di litiemia, prevenzione e cura delle
situazioni che determinano disidratazione o perdita di sodio ( diarrea o vomito profusi, febbre alta, utilizzo di farmaci diuretici o di antiinfiammatori non steroidei). I
sintomi iniziali sono un peggioramento o la comparsa del tremore alle mani, astenia
profonda e vomito. Aggravandosi si va incontro a confusione mentale, fino a grave
compromissione dello stato di coscienza, convulsioni, disturbi del ritmo cardiaco,
insufficienza renale, fino al coma. L’intossicazione da Litio va curata in ambiente
ospedaliero.
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Psichiatria 19
Ansia e alcolismo
L’alcool è una sostanza psicotropa che agisce come sedativo a livello del sistema
nervoso centrale e facilità la disinibizione sociale, è quindi una sorta di anestetico
della sofferenza emotiva. È definita psicotropa una sostanza in grado di agire a livello cerebrale dando sintomi di dipendenza e fenomeni di tolleranza e assuefazione.
Per queste sue proprietà esiste un’importante relazione tra abuso di alcool e ansia.
Oltre ai disturbi dovuti all’abuso, l’alcool può indurre altri tipi di sindromi come
la dipendenza, l’astinenza e l’intossicazione acuta alcolica, condizione talvolta molto
grave, se non trattata in tempo, e potenzialmente mortale.
L’alcolismo richiede un intervento terapeutico integrato con lo psichiatra, lo psicologo e spesso il medico internista, a causa delle conseguenze che dell’uso incontrollato e prolungato possono avere anche a livello fisico, in particolare sul fegato
e sul sistema nervoso con la comparsa di sintomi neurologici, sugli apparati gastrointestinale e cardiovascolare.
I danni provocati non dipendono esclusivamente dalla quantità di alcool ingerita
ma anche da variabili soggettive, geneticamente determinate, come la capacità di
metabolizzare l’alcool etilico, che è variabile da soggetto a soggetto.
Dagli anni ’60 l’abuso di alcool è stato finalmente riconosciuto come una patolo-
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Psichiatria 20
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gia medica e di conseguenza non solo considerato un comportamento scorretto su
un piano morale e sociale. Certamente questo ha contribuito alla grande quantità di
studi clinici che indagano le cause, studiano la prevenzione e migliorano nel tempo
le conoscenze riguardo alla terapia.
Il fenomeno dell’alcolismo sta assumendo proporzioni molto preoccupanti dal
punto di vista sociale e sanitario, soprattutto si sta notevolmente abbassando l’età
in cui inizia il consumo di alcool e l’età in cui compaiono i primi problemi fisici e
psichici legati all’uso eccessivo di bevande alcoliche. L’alcool viene sempre più utilizzato dai giovani come disinibente sociale e, nel caso di una personalità fragile o di
ragazzi inclini ad ansia e depressione, la possibilità di sviluppare una vera e propria
dipendenza è elevatissima.
Si parla di Disturbo da Dipendenza quando insorgono sintomi fisici, psichici, cognitivi e comportamentali in seguito all’assunzione di alcool.
Sintomi psichici e comportamentali legati all’alcolismo
Da un punto di vista psichico il pensiero sull’alcool e la sua ricerca diventano
i contenuti prevalenti nella mente del soggetto, con le caratteristiche di pensiero
ossessivo che si accompagna all’incapacità di controllare o ridurre l’assunzione. Il
soggetto non riesce a moderare o ad astenersi dal bere nonostante la sua convinzione sia di potercela fare e nonostante ciò lo porti ad uno stato di alterazione evidente,
con ripercussioni a livello sociale o lo esponga a condotte rischiose, come la guida
in stato di ebrezza o lo svolgimento di attività di lavoro in cui è necessaria concentrazione e una presenza lucida.
Il paziente è inoltre costretto ad assumere via via quantità maggiori di alcool per
evitare i sintomi dell’astinenza, questo perché vi è un graduale aumento delle capacità del fegato di metabolizzare l’alcool, per il fenomeno della cosiddetta tolleranza.
Naturalmente l’evoluzione è verso una condizione in cui compaiono i sintomi caratteristici dell’astinenza alcolica.
Questo avviene soprattutto nelle ore mattutine a causa del calo del tasso etilico
durante il sonno. I disturbi dovuti all’astinenza scompaiono con l’assunzione di alcool e ciò produce un circolo vizioso per cui il paziente tende a bere già alla mattina
e poi durante tutta la giornata per evitare i sintomi della astinenza.
Altri sintomi tipici nei soggetti che abusano di alcool sono le modifiche del tono
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Psichiatria 21
dell’umore, che oscilla da stati depressivi a stati di disforia caratterizzata da irritabilità, aggressività e l’impulsività e lo sfasamento del ritmo sonno veglia.
Sintomi fisici dell’alcolismo
L’etanolo aumenta la secrezione acida dello stomaco e può provocare una gastrite
di tipo emorragico. L’esofago è un altro organo spesso danneggiato nei forti bevitori,
anche in questo caso si osservano erosioni della mucosa e un importante aumento
del cancro esofageo.
Sempre a livello esofageo nei pazienti in cui è già presente lo stato di grave sofferenza epatica, si possono formare delle varici, cioè delle dilatazioni di vasi venosi
che, in alcuni gravi casi rischiano di rompersi determinando delle profuse emorragie e talvolta condurre alla morte del paziente.
Una gravissima patologia conseguente all’assunzione esagerata di alcolici è la
pancreatite che causa necrosi e atrofia della ghiandola nei casi cronici ma può anche
manifestarsi in forme acute, fulminanti e mortali.
Molto nota l’epatite da alcool la cui evoluzione è nella cirrosi epatica e quindi nel
cancrocirrosi, cioè quella forma di tumore maligno che colpisce il fegato affetto da
cirrosi.
A livello del sistema nervoso l’alcool determina una poli-nevrite cioè un’infiammazione e poi una degenerazione delle fibre nervose dovuta all’effetto tossico dell’alcool e alle carenze vitaminiche. I sintomi sono inizialmente di tipo sensitivo come
crampi o parestesie e poi sono alterate anche le funzioni motorie.
L’apparato cardio-vascolare anche è leso dall’azione tossica dell’acetaldeide, che
deriva dal metabolismo dell’alcool etilico, sulle fibre cardiache, ciò può portare a
insufficienza del muscolo cardiaco con tachiaritmie, difficoltà respiratorie, edemi
alle caviglie e ipertensione arteriosa.
Disturbi della sfera cognitiva nell’alcolismo
L’abuso cronico di alcool si accompagna ad evidenti disturbi della memoria, soprattutto quella a breve termine, che viene definita come memoria di fissazione. Altri deficit cognitivi sono le evidenti difficoltà di concentrazione e di attenzione che
possono gravemente interferire con le quotidiane attività lavorative o personali.
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Psichiatria 22
Cause dell’alcolismo
Fattori predisponenti all’abuso di sostanze psicoattive sono la struttura della personalità e la presenza di un disturbo psichiatrico maggiore, come i Disturbi d’Ansia
e la Depressione, non adeguatamente riconosciuti e curati. Gli alcolisti utilizzano la
sostanza per automedicarsi.
Spesso i pazienti con abuso e dipendenza da alcool hanno una famigliarità positiva per Disturbi dell’Umore o d’Ansia e frequentemente nella famiglia di origine altri
hanno sofferto di alcolismo. I pazienti presentano una struttura caratteriale incline
a vissuti di tipo ansioso o depressivo, hanno personalità dipendenti e fragili, inclini
a impulsività e bassa autostima, difficoltà relazionali, poche capacità di problem solving e di gestione emotiva della frustrazione. Tutte queste caratteristiche rendono
il paziente più esposto alla sofferenza di fronte alle inevitabili difficoltà e ai disagi
esistenziali. A volte l’alcolismo è la conseguenza dell’impossibilità di elaborare un
grave evento traumatico come può tipicamente accadere dopo un grave lutto non
elaborato.
La percentuale di disturbi psichici riscontrata negli alcolisti disintossicati è notevolmente maggiore rispetto alla popolazione generale, confermando come l’alcool
venga utilizzato a scopo automedicazione per lenire, non soltanto sentimenti spiacevoli come la tensione o il senso di vuoto e solitudine o problemi relazionali, ma
anche veri e propri sintomi di patologie come gli attacchi di panico, la fobia sociale,
il disturbo d’ansia generalizzato, l’agorafobia, la depressione e la distimia. Anche nella fase euforica del Disturbo Bipolare può esserci abuso di alcool come conseguenza
della disinibizione, dell’impulsività e della scarsa capacità di valutare le conseguenze
del proprio comportamento che caratterizza questa patologia.
La Sindrome da Astinenza Alcolica
E’ un’importante situazione clinica caratterizzata da sintomi e segni molto evidenti e che richiede un corretto e tempestivo intervento medico. Si instaura dopo alcune ora dalla brusca interruzione o dalla drastica riduzione del consumo di alcool.
I sintomi principali sono una forte ansia e stato di agitazione psichica e motoria, tremori evidenti soprattutto alle mani, irritabilità, sintomi depressivi, grave insonnia e
un senso di angoscia profonda con paura della morte. Una sintomatologia che per
molti aspetti è simile a quella di un attacco di panico. Spesso sono presenti nausea,
vomito, sudorazione profusa, tachicardia. Nei casi più gravi si hanno allucinazioni,
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Psichiatria 23
soprattutto visive, stato confusionale, disorientamento spazio temporale e convulsioni (Delirium Tremens).
Trattamento dell’alcolismo
La terapia medico-psichiatrica dell’alcolismo richiede un buon inquadramento
diagnostico. Innanzitutto vanno valutate le reali possibilità di disintossicare il soggetto senza ricorrere ad un ricovero. Spesso, infatti, la prima fase della terapia richiede un breve periodo in ambiente protetto allo scopo di disintossicare il paziente e
gestire l’astinenza.
Ad ogni modo, sia che l’approccio sia ambulatoriale o residenziale, il paziente
deve essere supportato nella fase di disassuefazione alla sostanza sia da un punto di
vista farmacologico che psicologico.
La terapia farmacologica è necessaria, inizialmente, per ridurre i sintomi dell’astinenza fisica che indurrebbero il paziente a ricadere nel comportamento di abuso
e deve essere effettuata sotto stretto controllo medico-psichiatrico. Il medico internista si dovrà occupare della valutazione e della terapia dei danni che l’alcool ha
causato all’organismo del paziente.
Solo dopo questa fase sarà possibile una valutazione dello stato psichico e della
struttura di personalità, i cui risultati non siano inquinati dallo stato di alterazione
causato dall’alcool o dai sintomi dell’astinenza. La maggior parte dei soggetti mostrerà una patologia di tipo depressivo o un disturbo d’ansia che dovranno essere
curate in modo adeguato sia con la terapia farmacologica sia con la psicoterapia.
Anche in assenza di una patologia psichiatrica conclamata il più delle volte il paziente alcolista presenta una struttura di personalità caratterizzata da tratti disfunzionali
e fragile che richiederà un lungo intervento di psicoterapia.
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I disturbi del sonno
La classificazione dei disturbi del sonno è molto ampia e complessa comprendendo situazioni di lieve entità e transitorie come il Jat-lag fino alle forme gravissime e
fortunatamente rarissime di Insonnia Fatale Famigliare.
Una prima distinzione va comunque fatta tra forme primarie, legate cioè proprio alla disregolazione dei meccanismi che sono alla base delle funzioni di sonno
e veglia e forme secondarie a malattie organiche in genere, in particolare malattie
neurologiche e psichiatriche.
Il sonno può essere definito come uno stato d’incoscienza momentaneo e reversibile, caratterizzato dalla sospensione delle facoltà sensoriali e della motilità volontaria. Rimangono invariate alcune funzioni autonome quindi involontarie come il
respiro, il battito cardiaco, l’attività cerebrale e il metabolismo, che però subiscono
importanti modifiche durante il sonno.
In un adulto sano il sonno medio è di circa sette ore, discostarsi eccessivamente
da questa media, sia in difetto sia in eccesso, può determinare problemi di salute.
Forse non tutti sanno che un eccesso di ore di sonno può essere correlato a una
maggiore probabilità di patologie cardiovascolari e a stati di esaurimento di tipo
depressivo.
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Vi sono diverse teorie sulle funzioni biologiche del sonno che verosimilmente in
futuro saranno approfondite e integrate da nuove conoscenze.
Durante il sonno aumenta la produzione di alcuni ormoni anabolici come ormone della crescita e il testosterone mentre, al contrario, diminuiscono ormoni catabolici come il cortisolo, questo segnalerebbe che durante il periodo di sonno vengono
messi in atto processi di recupero e riparazione di tessuti dell’organismo, è stato ad
esempio dimostrato che viene aumentata la sintesi proteica a livello muscolare e a
livello del sistema nervoso centrale.
Studi condotti sugli effetti della deprivazione di sonno sulla memoria, permettono di ipotizzare che durante il sonno avvenga la sintesi di proteine cerebrali implicate con la fissazione dei ricordi.
Alcuni autori segnalano anche l’influenza del sonno sui processi di termoregolazione che, infatti, sono molto alterati nei casi di grave deprivazione di sonno.
Ovviamente la durata e la qualità del sonno influenza lo stato di veglia e vigilanza
diurna e funzioni come l’attenzione, la concentrazione e la gestione emotiva. Non
dormire a sufficienza può favorire una riduzione delle prestazioni cognitive durante
la veglia, umore instabile e labilità emotiva.
Il sonno, per essere riposante, deve avere una sua architettura precisa, divisa in
fasi con caratteristiche differenti e individuabili all’EEG. Il rispetto della sequenza e
della durata di queste fasi assicura un sonno valido e ristorante.
Esso può essere diviso in due fasi: sonno REM e sonno non-REM a seconda che
sia associato o meno ad attività onirica (sogni), a un’elevata attività cerebrale e a movimenti oculari rapidi o lenti,REM infatti, significa appunto Rapid Eyes Movement.
L’insonnia nei disturbi psichiatrici
In questa sede segnalo in modo particolare la presenza d’insonnia come uno dei
sintomi della Depressione e di molti Disturbi d’Ansia. Spesso, anzi, l’insonnia è il
primo sintomo a manifestarsi e precede tutti gli altri che caratterizzano l’Episodio
Depressivo. D’altro canto alcuni studi segnalano che chi soffre d’insonnia ha una
probabilità maggiore di sviluppare ansia e depressione rispetto a chi dorme un numero sufficiente di ore.
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Psichiatria 26
Nel 90% dei casi di Depressione Maggiore vi sono alterazioni della struttura e
della durata del sonno: da un punto di vista clinico possiamo avere difficoltà di addormentamento con latenze eccessive o insonnia iniziale, risveglio precoce o insonnia terminale oppure un sonno interrotto da un eccessivo numero di risvegli non
seguiti da rapido ri-addormentamento.
Anche l’ipersonnia, cioè un aumentato bisogno di sonno e numero di ore totali
di addormentamento, può essere parte del quadro clinico della Depressione. Ciò
avviene in circa il 10% dei casi e soprattutto in alcune forme specifiche che vengono
definite Depressioni Atipiche proprio per la peculiarità di alcune manifestazioni
sintomatologiche o nelle forme di Disturbo Affettivo Stagionale chiamate anche
SAD o Winter-blues. Spesso in queste forme è anche presente l’iperfagia cioè un
aumento dell’appetito, sintomo raro nelle altre forme di Disturbo Depressivo.
I pazienti con Disturbi d’Ansia tendono ad avere soprattutto difficoltà di addormentamento (insonnia iniziale) e presentano risvegli notturni. Il 70% dei pazienti
affetti da attacchi di panico ha insonnia con risvegli multipli. In questo caso è essenziale trattare il disturbo del sonno perché esso favorisce la comparsa dell’attacco di
panico, sia diurno che notturno.
Anche nel Disturbo Ossessivo Compulsivo sono presenti disturbi del sonno in
particolare una riduzione del numero complessivo di ore con un aumento dei risvegli notturni.
Il Disturbo Post Traumatico da Stress è caratterizzato da ritardo dell’addormentamento e soprattutto dalla presenza di sogni terrifici in cui il paziente rivive le
esperienze traumatiche vissute o sogni che generano stati emotivi che il paziente ha
vissuto durante il trauma.
Durante l’Episodio Euforico del Disturbo Bipolare i pazienti mostrano una notevole riduzione delle ore di sonno senza influenza sulla qualità della veglia, riescono
cioè a mantenere la vigilanza diurna valida nonostante la mancanza di sonno e non
riferiscono stanchezza né sonnolenza diurna.
Nell’Episodio Euforico del Disturbo Bipolare è sempre indispensabile trattare i
disturbi del sonno poiché la mancanza di sonno rallenta la risoluzione dell’episodio
stesso.
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Psichiatria 27
In alcune forme di Depressione, infatti, la deprivazione di sonno è utilizzata come
strategia di potenziamento accanto alla terapia con i farmaci, per il suo potere antidepressivo.
Terapia
In tutti i disturbi psichiatrici, l’insonnia è secondaria alla presenza della malattia
di fondo, per questo motivo si assiste quasi invariabilmente alla ripresa di un sonno
regolare non appena la terapia risolve il quadro clinico principale.
Ciò nonostante è sempre buona strategia terapeutica favorire un sonno adeguato
e riposante, allo scopo di accelerare la guarigione del disturbo psichiatrico.
E’ essenziale indagare con il paziente i dettagli del disturbo del sonno: le modalità
di insorgenza, la frequenza e la gravità, nonché la sua evoluzione nel tempo ed eventuali situazioni ambientali concomitanti alla comparsa dell’insonnia. Ciò permette
al medico di scegliere tra le molecole e i farmaci a disposizione quelli più adatti al
singolo paziente.
La scelta del farmaco, l’orario e la modalità di somministrazione vanno valutate
in base al periodo in cui il sonno è disturbato.
In linea di massima questi farmaci andranno assunti per un periodo limitato e
poi gradualmente sospesi quando il sonno riprende in modo adeguato, invece i farmaci prescritti per la terapia del disturbo d’ansia o depressivo andranno assunti più
a lungo.
Secondo la gravità del disturbo del sonno possono essere utilizzati farmaci più o
meno potenti, modulandone inoltre il dosaggio.
Le categorie di farmaci utilizzati possono essere diverse. Il classico “sonnifero” appartiene solitamente alla categoria delle benzodiazepine ipnotico-sedative, ma l’induzione del sonno può anche avvenire con l’utilizzo di antistaminici, antidepressivi
dotati di attività sedativa, anticonvulsivanti e antipsicotici.
E’ molto importante valutare la durata d’azione dei farmaci in modo da non interferire con il risveglio. Questo soprattutto nei soggetti anziani i quali più frequentemente soffrono di insonnia. Con gli anni il metabolismo rallenta ed è meno efficace
e questi soggetti possono andare incontro a fenomeni di accumulo con gravi riper-
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Psichiatria 28
cussioni al risveglio e durante la giornata.
Il paziente deve essere quindi monitorato nel tempo per evitare che sviluppi effetti collaterali o assuefazione dovuta a un uso eccessivo o troppo prolungato del
farmaco.
Igiene del sonno
Rappresenta l’insieme delle abitudini e dei comportamenti quotidiani che favoriscono un buon sonno e quindi un adeguato rendimento diurno.
Se un buon dormitore può non prestare troppa attenzione a queste regole i soggetti che soffrono d’insonnia devono imparare invece a rispettarle.
Ricordiamo che alcuni cibi e bevande hanno un forte potere eccitante e devono
quindi essere consumanti con moderazione o temporaneamente evitati se si ha un
disturbo del sonno, soprattutto nelle ore serali.
Anche l’assunzione di alcolici può avere, in chi soffre d’insonnia, un effetto paradosso di tipo stimolante, sebbene infatti tenda a favorire l’addormentamento può
indurre un numero eccessivo di risvegli notturni.
Dormire durante il giorno è sconsigliato, benchè aiuti a mantenere una vigilanza
efficiente influenza negativamente la capacità di addormentarsi e mantenere il sonno. L’abitudine a un breve pisolino, con orario di sveglia prefissato, non è necessariamente dannosa in chi non presenta disturbi del sonno.
L’Attività fisica disturba il sonno ed è quindi sconsigliata nelle ore serali, contraddicendo la diffusa idea che stancarsi fisicamente favorisca il sonno. E’ invece utile a
questo scopo lo svolgimento di un’attività aerobica moderata nelle ore diurne.
Non esagerare con i liquidi nei pasti serali poiché molti soggetti insonni se risvegliati dalla necessità di urinare faticheranno a riprendere il sonno.
Creare condizioni esterne di calma, comodità e buio, in un ambiente silenzioso e
con una temperatura non eccessiva.
Importante anche mantenere una certa regolarità negli orari in cui ci si corica.
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Stress, infiammazione
e depressione
Lo stress infiamma il cervello
Gli effetti negativi di uno stato depressivo sul sistema immunitario sono conosciuti da molto tempo, negli ultimi anni i ricercatori di tutto il mondo hanno però
dimostrato che il percorso può essere inverso, hanno quindi confermato che un’attivazione del sistema immunitario può generare depressione, ansia e disturbi cognitivi, passando attraverso una condizione di infiammazione sistemica, cioè che
interessa tutto l’organismo.
Infatti è oramai chiaramente dimostrato che i processi infiammatori sono alla
base di molte patologie moderne, tra cui le malattie cardiovascolari come l’infarto e
l’arteriosclerosi, l’ipertensione, il diabete, alcune forme reumatiche e malattie degenerative come la demenza senile.
Lo stato infiammatorio generale può essere alla base della depressione
Anche nella comparsa della Depressione è implicata un’infiammazione generale
dell’organismo che è definita low grade chronic inflammation. Siamo generalmente
abituati ad immaginare l’infiammazione come un evento patologico che provoca
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sintomi evidenti e conclamati, come ad esempio in una artrite o in una sinusite;
queste sono infiammazioni focali, cioè situate in un luogo specifico del corpo. L’infiammazione sistemica invece è una condizione in cui i processi infiammatori sono
cronicamente stimolati a bassi livelli, interessando l’intero organismo. In questo
modo, per lungo tempo, possono non comparire sintomi, avvengono però continue
piccole alterazioni a livello metabolico, immunitario, endocrino, che possono alla
fine esitare in patologie anche gravi.
Questa connessione tra stato infiammatorio generale e malattia può spiegare perché in molte patologie vi è un’associazione con la depressione. Non si tratta soltanto
di una demoralizzazione psicologica di chi si trova a soffrire di una malattia importante, la depressione è la manifestazione psichica dello stato infiammatorio sistemico che ha causato anche la malattia.
Le sostanze proinfiammatorie presenti nei pazienti depressi
Come prova a favore di ciò le ricerche segnalano che nei pazienti depressi vi è
un’elevata concentrazione nel sangue e nel liquido cerebrospinale di sostanze che
l’organismo produce quando si trova in uno stato infiammatorio. Queste sostanze
sono note con il nome di citochine e sono molecole che permettono la connessione
e la comunicazione tra le cellule del sistema immunitario. Questi pazienti presentano un aumento delle citochine pro-infiammatorie (IL-6, IL1, TNF alfa) e di altre
sostanze che confermano lo stato infiammatorio generale dell’organismo.
Inoltre, i pazienti depressi che non rispondo alla terapia farmacologica mostrano
concentrazioni ancora più elevate di citochine pro-infiammatorie.
Studi su animali hanno chiarito che queste citochine, agendo a livello cerebrale, inducono una condizione nota come Sickness Behavior che è molto simile alla
depressione e che consiste in stanchezza e grande faticabilità, problemi di sonno e
di appetito, riduzione della attività motoria, e isolamento sociale. Alcuni di questi
sintomi come la fatica, la stanchezza e il rallentamento psico-motorio sono inoltre
molto frequenti in corso d’infezioni virali e nella convalescenza dalla febbre, situazioni in cui l’organismo produce citochine infiammatorie.
Un tipico esempio di depressione indotta dalle citochine è quella che si osserva
nei pazienti sottoposti a terapia con interferone.
Probabilmente alcuni sanno che i pazienti che assumono interferone hanno un’
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Psichiatria 31
elevata probabilità di sviluppare un quadro clinico che è sovrapponibile alla depressione, in corso di terapia. Questo farmaco è prescritto ad esempio nelle epatiti
da virus e in alcune forme di tumore. L’interferone è un potente induttore di quelle
citochine pro-infiammatorie che abbiamo elencato prima e cioè IL1, IL6, TNF alfa.
Se vi è un rapporto tra infiammazione e depressione va segnalato che lo stress
cronico induce nell’organismo uno stato infiammatorio, le citochine endogene prodotte in condizioni di stress inducono infiammazione e poi depressione.
Lo stress cronico, attraverso stimoli deboli, multipli e persistenti, genera low grade chronic inflammation con la mediazione dell’Asse Ipotalamo-Ipofisi-Surrene e la
cronica ipersecrezione di cortisolo, fino a che la naturale capacità dell’organismo di
adattarsi si esaurisce e compare la malattia in modo evidente.
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La depressione autunnale
Il Disturbo Affettivo Stagionale (SAD) è un sottotipo di Depressione che compare
tipicamente in autunno o in inverno, con remissione nei mesi primaverili.
E’ proprio in questo periodo dell’anno, infatti, che le giornate si accorciano, la
riduzione dell’esposizione alla luce solare ha profonde ripercussioni su alcune nostre funzioni biologiche, sottoponendo l’organismo, in particolare al nostro sistema
PNEI (psico-neuro-immuno-endocrino), ad uno sforzo adattivo importante che in
alcuni soggetti non ha buon esito.
Quando ciò accade, accanto a forme che presentano la sintomatologia tipica della
depressione, esistono casi definiti atipici in cui i sintomi prevalenti più caratteristici
sono ipersonnia, iperfagia (aumento della fame) con desiderio per i carboidrati e
aumento di peso, una profonda anergia cioè mancanza di energia sia psichica sia
fisica. Sono frequenti anche dolori fisici come problemi allo stomaco ed emicrania.
La prevalenza di queste forme varia con la zona geografica, essendo ovviamente
più frequenti alle latitudini più alte, con l’età e il sesso, circa il 70-80% dei pazienti
sono donne e la probabilità è più alta nelle persone più giovani.
Questo accade perché con l’autunno le giornate si accorciano, la quantità di ore
di luce solare che colpisce la nostra retina diminuisce, come si riduce l’intensità dei
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raggi, e questo influisce sulla regolazione dei nostri ritmi biologici e sulla secrezione
dei neuro-ormoni.
In altre specie animali ciò genera profonde modifiche in questo senso, basti pensare agli animali che vanno in letargo.
E, in effetti, questo tipo di depressione ha qualche tratto in comune con il fenomeno del letargo, soprattutto il senso di grande fatica e stanchezza e l’ipersonnia, cioè
un notevole aumento del bisogno di sonno, sia notturno che diurno.
Esistono casi in cui la sintomatologia è tanto marcata da caratterizzare un vero
e proprio Episodio Depressivo, ma anche casi che possiamo definire sotto-soglia,
forme sub-cliniche che comunque rappresentano una condizione disagio personale
per il soggetto che le sperimenta.
Depressione autunnale: il ruolo di melatonina, serotonina, dopamina e BDNF
nella depressione stagionale
Si è visto attraverso studi scientifici, che alcuni soggetti sono più sensibili alle modifiche neuro-ormonali indotte dalla carenza di luce come, ad esempio, l’aumento
della produzione di melatonina (ormone del letargo).
Tutti noi siamo oramai abituati a conoscere il ruolo positivo di questa sostanza
nei soggetti che soffrono di disturbi del sonno.
E, in effetti, una delle terapie consigliate per la depressione stagionale è proprio la
Light Therapy, che colpendo la retina, con una determinata lunghezza d’onda, modifica la quantità e la circadianità nella produzione di quest’ormone.
La serotonina gioca pure un ruolo importante nella SAD.
Gli studi chiarificano che, misurando i metaboliti di questo neurotrasmettitore, si
nota una variazione stagionale che è correlata con la comparsa di sintomi depressivi.
Pongo l’accento sempre sul concetto che queste modifiche sono fisiologiche, avvengono cioè in tutti gli individui sani, possono però avere un effetto negativo in un
certo numero di soggetti più sensibili e predisposti ad ammalare.
D’altronde vi sono anche studi che evidenziano come nel disturbo bipolare sia più
frequente la comparsa di depressione durante i mesi bui e la comparsa di euforia du-
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Psichiatria 34
rante la primavera-estate, confermando un ruolo della stagionalità nella comparsa
di sintomi depressivi. Questo accadrebbe perché i soggetti Bipolari sono ipersensibili alla luce che sopprime la produzione di melatonina.
Sempre l’esposizione alla luce, secondo altri studi, aumenta la produzione di Dopamina, sostanza nota per avere un effetto attivante.
Un altro dato che conferma la stagionalità della secrezione di sostanze che agendo
a livello del sistema nervoso possono influenzare le funzioni cerebrali, quindi anche
l’umore, è la variazione della produzione di BDNF (brain derived neurotrophic
factor) la cui concentrazione nel sangue varia in relazione al livello di luce e di insolazione. Ricordo che questa sostanza è una neurotrofina (trofòs = nutrimento) è
cioè una proteina che influenza positivamente la creazione di nuove connessioni tra
le cellule nervose e la plasticità neuronale attraverso lo sviluppo e la sopravvivenza
dei neuroni.
Quale è il trattamento della depressione autunnale
Esistono diversi approcci di trattamento , tutti validi ma non interscambiabili,
cioè il consiglio di effettuare una terapia piuttosto che un’altra va personalizzato dal
medico che visita il paziente.
Light Therapy è un trattamento non farmacologico, naturale e semplice da attuare,
non invasivo in nessun modo e priva di effetti collaterali.
Semplificando possiamo dire che funziona perché la luce che colpisce la retina
mette in moto una serie di eventi biologici complessi che portano alla riduzione di
produzione di melatonina. A questa terapia risponde circa il 70% dei soggetti. In
particolare è indicata nei soggetti affetti da Disturbo Bipolare che soffrono di sintomi depressivi.
Se i sintomi sono severi è invece indicata la terapia farmacologica la quale ricalca
le linee guida per l’Episodio Depressivo, quindi l’utilizzo di farmaci antidepressivi
per lo più di ultima generazione, cioè i serotoninergici.
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I Disturbi Psicotici e il
disturbo Psicotico Breve
I Disturbi Psicotici sono le patologie più gravi ed significative della clinica psichiatrica.
La malattia psicotica più conosciuta è la Schizofrenia. Sebbene oggi la terapia
abbia fatto molti progressi importanti, questa rimane una patologia grave e cronica,
curabile ma non guaribile. I Disturbi Psicotici sono però numerosi e si differenziano
per la gravità dei sintomi, per la durata delle manifestazioni e per il decorso.
Il Disturbo Psicotico Breve è una situazione di scompenso grave, drammatica,
che insorge in modo improvviso. Spesso, ma non sempre, può essere la risposta ad
un evento stressante. Il soggetto manifesta una crisi acuta, con sintomi di tipo psicotico, perde cioè il normale rapporto con la realtà e sviluppa allucinazioni, deliri e
un comportamento strano, bizzarro e disorganizzato, aggressivo o violento, potenzialmente pericoloso per sé o per gli altri.
E’ una condizione relativamente rara da osservare nella pratica clinica, anche perché spesso i sintomi hanno una durata troppo breve perché il paziente arrivi alla
osservazione del medico. Anche senza terapia il Disturbo Psicotico Breve si risolve
spontaneamente. Ciò nonostante è molto importante riconoscere correttamente e
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trattare questi episodi perché il mancato intervento terapeutico aumenta la possibilità di recidive.
Una caratteristica di questa malattia è l’assenza di critica: il paziente non è consapevole della sua condizione, non riconosce di avere una patologia e resiste ai tentativi dei famigliari, allarmati, di rivolgersi al medico.
A volte la consapevolezza che qualcosa non sta funzionando nel modo giusto può
essere parzialmente acquisita nei soggetti che hanno avuto precedenti episodi, il
riconoscimento tempestivo dei sintomi dovrebbe proprio essere uno degli obiettivi
della terapia psicologica di questo disturbo.
La sintomatologia è, per certi aspetti, simile a quella della malattia psichiatrica per
eccellenza e cioè la Schizofrenia, sono quindi presenti allucinazioni e deliri. Il Disturbo Psicotico Breve si differenzia però per la durata molto contenuta dei sintomi
che va da un giorno ad un massimo di un mese. La risoluzione del quadro clinico
che è generalmente completa e riporta alle condizioni psichiche del soggetto prima
dello sviluppo della crisi.
Le cause del Disturbo Psicotico Breve
Di fronte ad una persona che sviluppa sintomi psicotici gravi, in modo acuto ed
improvviso, è innanzitutto indispensabile determinarne la causa. Bisogna discriminare, quindi, le situazioni in cui la comparsa della malattia è dovuta all’abuso
stupefacenti (cocaina, anfetamine, alcool, marijuana, cannabis o da altre sostanze
tossiche o allucinogene), o quelle dovute ad una malattia che può alterare il funzionamento dell’encefalo. Ad esempio il medico deve accertare che i sintomi non siano
dovuti ad una patologia neurologica come una neoplasia o un ematoma cerebrale
o a disturbi del metabolismo che possono compromettere il funzionamento del Sistema Nervoso Centrale.
Per questo il medico specialista dovrà valutare la necessità di prescrivere controlli
ematologici, esami tossicologici o altri approfondimenti radiologici come una Tac
o una Risonanza Magnetica Nucleare. A volte la comparsa dei sintomi è correlata
temporalmente con situazione importanti di stress che possono causare, in soggetti
predisposti, questa reazione psichica acuta. Potrebbe ad esempio trattarsi di un lutto,
un evento naturale grave o un incidente. Altre volte lo stress non è così facilmente
riconoscibile e obiettivabile ma è rappresentato da una situazione stressante per il
singolo soggetto, lavorativa o relazionale. Questo accade soprattutto se è già presente un Disturbo di Personalità o comunque in soggetti con una struttura fragile e
quindi più esposti alle conseguenze emotive degli stress psicosociali. Da segnalare
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Psichiatria 37
anche la possibilità che questo tipo di risposta acuta e breve si generi nel periodo
del post-partum. Il disturbo dura un periodo breve ma solitamente compromette in
modo evidente e grave il funzionamento socio-lavorativo della persona.
Accanto alla comparsa di ideazione delirante sono spesso presenti allucinazioni, cioè percezioni in assenza dell’oggetto. Le allucinazioni sono prevalentemente
uditive, sotto forma di voci udite dal soggetto, spesso con contenuto persecutorio. I
deliri, invece, sono convinzioni erronee, profondamente radicate e non criticate dal
soggetto che resiste ad ogni ragionamento logico.
In psichiatria si distinguono deliri cosiddetti bizzarri, quando le convinzioni riguardano situazioni assolutamente non possibili nella realtà, come ad esempio la
paura di essere rapito dagli extraterrestri o avere un microchip nel cervello attraverso il quale essere controllato. Oppure possono essere deliri non bizzarri quando,
per quanto non reali, riguardano condizioni possibili in altri contesti ( per esempio
il timore di essere controllato o seguito o che qualcuno voglia aggredire o nuocere
al soggetto).
Accanto a questi due sintomi cardine può essere presente ansia, agitazione psichica e motoria, iperattività. Al contrario può evidenziarsi un blocco motorio e mutacismo, in questo caso la persona si blocca fisicamente, non parla e non risponde agli
stimoli. La persona può gridare per strada o spogliarsi in pubblico o chiudersi in
casa. Percepisce ed evidenzia un senso di confusione, disturbi del sonno, alterazioni
evidenti del tono dell’umore. L’eloquio, cioè il modo di parlare ed esprimersi verbalmente, può essere seriamente compromesso. Diventa confuso, strano, bizzarro, il
paziente tende a non rispondere alle domande in modo finalizzato o a fornire una
risposta attinente, passa da un argomento all’altro senza nesso associativo fino, nei
casi più gravi, esprimersi in modo totalmente incomprensibile con un insieme di
parole senza nesso logico, che in psichiatria viene definito “ insalata di parole”.
La Terapia del Disturbo Psicotico Breve
Nei casi più gravi, soprattutto se non esiste un supporto famigliare quotidiano e
costante o dove vi sia un comportamento francamente pericoloso, dannoso per il
paziente o per il contesto, è necessaria l’ospedalizzazione.
La terapia farmacologica è comunque sempre indispensabile. Si prescrivono antipsicotici classici o atipici, preferiti per la maggiore tollerabilità oltre che per un
profilo di effetti terapeutici più ampio. Questi farmaci hanno la capacità di risolvere
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Psichiatria 38
i sintomi psicotici più evidenti e di ripristinare quindi il contatto della persona con
la realtà. Agiscono inoltre sull’ansia, sulla agitazione psicomotoria e sull’insonnia.
E’ indispensabile affiancare alla cura farmacologica una terapia psicologica supportiva i cui obiettivi siano il riconoscimento e la gestione migliore delle condizioni
di stress che hanno portato alle manifestazioni e che possono causare una ricaduta,
il supporto all’autostima della persona che può avere agito in modo incontrollato e
che sicuramente è spaventata e preoccupata, nonché imbarazzata da ciò che è accaduto. E’ inoltre essenziale favorire l’adesione corretta alle terapie prescritte e il
riconoscimento precoce di eventuali ricadute.
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Psichiatria 39
Dottoressa, ho poca
serotonina?
Non di rado i pazienti si presentano alla visita portando con sé preziosi ritagli di
giornali o riviste divulgative in cui si parla della serotonina e del fatto che una sua
mancanza o carenza sia la causa della Depressione.
Il ragionamento sotteso è: se sono depresso o ansioso vuole dire che mi manca la
serotonina, se la introduco nel mio organismo starò bene. Alcuni pazienti, addirittura, mi chiedono se è possibile fare indagini mediche per scoprire se il loro organismo è povero di questo neurotrasmettitore. In effetti, i non addetti ai lavori possono
essere tratti in errore dall’abitudine di dosare sostanze di cui possiamo essere carenti,
nel sangue o nelle urine, come ad esempio il ferro o alcuni ormoni. Per alcune di
queste sostanze è valido il principio di ristabilire i giusti livelli nel corpo assumendole come vere e proprie medicine. Purtroppo tutto ciò non vale per la serotonina.
La serotonina non può esser assunta come tale ma gli antidepressivi ne aumentano la disponibilità attraverso diversi meccanismi. Esiste la possibilità di assumere
serotonina in diluizione low-dose, utilizzabile solo in alcune specifiche situazioni
e comunque mai nella Depressione Maggiore. I livelli plasmatici della serotonina
possono anche essere misurati ma è un’indagine che non si fa mai nella Depressione
perché non ha alcun valore clinico o predittivo. Questo neurotrasmettitore gioca
senza dubbio un ruolo importante in diverse funzioni cerebrali e indubbiamente è
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implicato nella genesi di alcuni disturbi psichici come l’ansia e la Depressione.
Si tratta ovviamente di una grande semplificazione. Nella Depressione e nei Disturbi d’Ansia le modifiche che avvengono a livello del cervello, e in generale in tutto
l’organismo, sono numerose ed eterogenee. L’insorgenza di queste malattie è cioè
determinata da un insieme di cause e da alterazioni di meccanismi complessi, e non
può essere semplicemente ricondotta alla mancanza di un unico neurotrasmettitore.
Dire che una mancanza di serotonina causa depressione è una semplificazione
scientificamente non corretta, ma anche se non è esatta su un piano scientifico, può
tornare utile per cercare di avvicinare alla comprensione di ciò che accade in un
organismo malato. È inoltre vero che i farmaci che aumentano la disponibilità di
questa sostanza danno beneficio e hanno potere antidepressivo.
Un fatto importante, che deve essere chiaro, è che gli antidepressivi funzionano
solo nei soggetti clinicamente depressi, quelli che il medico psichiatra, attraverso
la raccolta delle informazioni e la valutazione qualitativa e quantitativa dei sintomi,
riconosce come affetti da Depressione Maggiore, Unipolare o Bipolare. Tutti gli altri
soggetti, che pur possono sperimentare, anche con discreta frequenza, sentimenti di
tonalità depressiva, ma non sono clinicamente depressi, non avranno alcuna modifica del loro umore assumendo questi farmaci.
Che cosa è la serotonina
La serotonina è un neurotrasmettitore, cioè una sostanza che viene liberata da
una cellula nervosa nello spazio tra un neurone e l’altro. Agendo su recettori delle
cellule nervose vicine trasmette un messaggio. Normalmente è prodotta dal nostro
organismo dall’amminoacido triptofano, che deve essere introdotto con il cibo, poiché non lo possiamo sintetizzare. La produzione di serotonina avviene per la maggior parte al livello dell’intestino e in minore percentuale proprio nel cervello.
A cosa serve la serotonina?
Da tempo si sa che la serotonina è implicata in molteplici funzioni biologiche ed
è in qualche modo alterata durante malattie come la depressione e l’ansia.
La serotonina interviene nella regolazione del tono dell’umore e del ciclo sonno-veglia. E’ implicata nel controllo dell’appetito e nella regolazione del senso di sazietà. Anche il comportamento sessuale è regolato dalla trasmissione di serotonina,
infatti, la mancanza di desiderio sessuale è uno dei sintomi cardine della Depres-
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Psichiatria 41
sione, così come la riduzione dell’appetito. Questo neurotrasmettitore regola anche
i tempi di eiaculazione. Gli antidepressivi che agiscono sulla serotonina spesso si
utilizzano nei casi di eiaculazione precoce. E’ ovviamente indispensabile affiancare
alla terapia sintomatica, indagini mediche e approfondimenti psicologici che portino alla vera comprensione e soluzione del problema. Ciò nonostante, almeno temporaneamente, può essere un buon approccio di supporto, soprattutto nei soggetti
giovani che patiscono molto questa problematica che interferisce profondamente
con la loro vita affettivo-relazionale.
Altre importanti funzioni regolate dalla serotonina sono la percezione del dolore
e la peristalsi intestinale. Si ritiene che parte della sintomatologia nella fibromialgia
sia legata ad una carenza di questo neurotrasmettitore, in effetti uno dei sintomi
cardine della malattia è proprio il dolore.
Quando le vie nervose che utilizzano serotonina non funzionano nel modo giusto è possibile avere sintomi o patologie come Depressione, Attacchi di Panico o altri tipi di ansia, insonnia e disturbi alimentari. Anche i disturbi legati alla Sindrome
Premestruale si ritiene possano essere, almeno in parte, dovuti ad alterazioni della
serotonina, a volte questa sindrome si riduce con l’assunzione di farmaci serotoninergici.
Depressione: diagnosi e terapie
La Depressione rimane comunque una malattia complessa nella sua genesi e le
alterazioni nell’organismo malato sono altrettanto complesse, sicuramente ad oggi
ancora non del tutto note. Si intrecciano conoscenze di tante discipline per capire
come mai alcuni soggetti soffrano di depressione e come mai, talvolta, questa si
ripresenti con più episodi nella vita di una persona. Sono importanti gli studi sulla
genetica ma anche sulle esperienze precoci di attaccamento e relazione con le figure
di accudimento, su esperienze precoci di trauma, inteso anche e soprattutto come
eventi relazionali, non macroscopici o eclatanti, ma che hanno minato nella loro
cronicità lo sviluppo armonioso della personalità e un io adeguatamente strutturato
da resistere e rispondere in modo adeguato agli stress che la vita impone.
Le esperienze precoci sono in grado di modificare le connessioni e il funzionamento del cervello e anche quello delle vie serotoninergiche.
Il livello di complessità dello stimolo stressante dovrebbe essere sempre adeguato
al grado di maturità affettiva e cognitiva del piccolo bambino, altrimenti questi
eventi diventano patogeni e traumatizzanti, cioè espongono ad una maggiore pro-
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Psichiatria 42
babilità di ammalare di disturbo depressivo o ansioso.
Il mio parere è favorevole all’utilizzo del farmaco, che non va demonizzato, anzi,
come dico sempre ai miei pazienti, vissuto come un buon alleato. La terapia farmacologica va però integrata all’interno di una strategia di cura seriamente attenta a
fattori causali anche di altro tipo.
Modificare i pensieri e i comportamenti, elaborare i ricordi, sciogliere alcune sensazioni emotive, in modo che il passato non entri continuamente nel nostro presente, è altrettanto importante e questi processi avvengono in psicoterapia. La Depressione è in parte un evento biologico e in parte un evento psicologico reattivo, le due
cose non possono essere scisse e separate ma si influenzano reciprocamente.
Tantissime persone hanno un’esistenza inquinata da frequenti stati di tristezza e
insoddisfazione che non raggiunge la gravità per essere diagnosticata come Depressione e che verosimilmente non può beneficiare di un farmaco miracoloso. Sebbene
ogni caso rappresenti la realtà di una persona e non possa essere curato senza conoscerne bene i dettagli, è probabile che in queste persone le disfunzioni che portano
all’umore spesso cupo e infelice richiedano altri tipi di interventi o comunque MAI
solo il farmaco.
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Le droghe e la
malattia mentale
Nonostante quanto viene da alcuni costantemente sostenuto, il consumo delle cosiddette “droghe leggere” è chiaramente associato all’aumento di rischio di malattia
mentale. Molti studi hanno correlato gli effetti dell’uso di cannabis, nei soggetti in
età adolescenziale, con l’insorgenza di disturbi psichiatrici. La frequenza di attacchi
di panico, disturbo ossessivo compulsivo e depressione è maggiore negli utilizzatori
di sostanze derivanti dalla Cannabis. In alcuni casi addirittura si possono manifestare stati di psicosi.
Le azioni del THC (tetraidrocannabitolo) sul sistema nervoso
Marjuana e Hashish derivano ambedue dalla Cannabis Sativa ma sono prodotti
attraverso procedimenti diversi che utilizzano differenti parti della pianta. Queste
droghe vengono prevalentemente fumate ma possono essere consumate anche in
altri modi, ad esempio in preparazioni di cibi o tè. Il principio psico-attivo responsabile degli effetti è il Tetraidrocannabinolo (D9-THC). E’ la quantità di questo allucinogeno che determina gli effetti mentali e fisici che conseguono all’assunzione
della droga.
Nel corso degli ultimi anni sono state selezionate e prodotte piante modificate
geneticamente che ne contengono quantità notevolmente maggiori. Queste Nuove
droghe derivate da specie selezionate ad alto contenuto di principio attivo, sono
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molto differenti da quelle de mitici anni ‘70, ed è insensato continuare a considerare
l’uso dei derivati della Cannabis innocuo. Esso anzi, rappresenta un sicuro fattore
di rischio rispetto alla probabilità di diventare tossicodipendente da eroina e altre
droghe “pesanti”.
Il THC agisce su recettori cerebrali e influenza l’attività del cervello. Poco tempo
dopo l’assunzione, il esso raggiunge una concentrazione sanguigna tale per cui iniziano gli effetti, che si protraggono per alcune ore. Aumenta la frequenza cardiaca,
si dilatano le pupille e gli occhi si arrossano, si percepisce una sensazione di secchezza in bocca. Sul piano psichico si può avere uno stato di euforia, un aumento delle sensazioni piacevoli, rilassamento e disinibizione sociale. Le sensazioni emotive
possono essere piacevolmente amplificate. Quando l’effetto si esaurisce il soggetto
può, al contrario, sentire stanchezza e depressione.
I disturbi psichiatrici più frequenti negli utilizzatori di droghe
Sempre più frequentemente si rivolgono a noi psichiatri persone che dopo l’uso
sviluppano forti stati di ansia, fino a veri e propri attacchi di panico. E’ plausibile
che l’utilizzo della sostanza slatentizzi un disturbo d’ansia che non si sarebbe altrimenti presentato. In generale gli effetti dipendono da diversi fattori, non solo dalla
dose assunta ma anche dalle caratteristiche biologiche, psichiche e dalla struttura
di personalità di chi ne fa uso, dal suo ambiente culturale e dalla sua integrazione
sociale. Non è comunque mai prevedibile quale sarà l’entità delle conseguenze legate all’uso di una sostanza psicoattiva, anche un consumo occasionale può indurre
forti episodi di ansia e depersonalizzazione. Sebbene i danni da utilizzo occasionale
differiscano da quelli legati all’abuso cronico, non sono comunque mai prevedibili la
vulnerabilità e la predisposizione ad ammalare del cervello che è esposto all’azione
di una sostanza psico- attiva.
L’uso di Cannabis compromette la memoria a breve termine, la capacità di apprendere e peggiora la capacità di ricordare le informazioni. Altera funzioni come
la concentrazione e l’attenzione e anche abilità motorie come la coordinazione e
l’equilibrio, tutte funzioni cerebrali indispensabili per la sicurezza alla guida.
Se l’assunzione è massiccia, è possibile sviluppare stati psicotici temporanei ma
anche duraturi con allucinazioni, deliri, perdita del senso di realtà, alterazioni del
comportamento, aggressività e irritabilità. Si possono manifestare comportamenti
bizzarri, eloquio poco comprensibile con nessi associativi vaghi e pensieri paranoidi.
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Psichiatria 45
L’utilizzo di droghe in adolescenza altera lo sviluppo
del sistema nervoso centrale
L’utilizzo di Hashish e Marjuana è particolarmente pericoloso in adolescenza.
Questa è, infatti, la fascia di età in cui spontaneamente più spesso compaiono i disturbi mentali. Il sistema nervoso centrale in maturazione è particolarmente sensibile e suscettibile verso stimoli di natura psicologica ma anche chimica. L’esposizione al THC altera lo sviluppo del cervello in un periodo di grande vulnerabilità
e gli studi confermano che chi ha usato cannabis da adolescente ha una maggiore
probabilità di ammalare di disturbi psichiatrici anche in età adulta.
La probabilità di avere conseguenze psichiatriche dopo uso di cannabis aumenta
esponenzialmente se vi è una famigliarità per ansia, depressione o altri disturbi psichiatrici. Contenendo agenti irritanti e cancerogeni il fumo di cannabinoidi aumenta la possibilità di sviluppare malattie dell’apparato respiratorio, con danni maggiori
di quelli causati dal tabacco: bronchiti croniche, infezioni frequenti e aumentata
incidenza di cancro polmonare. Tutto ciò probabilmente anche attraverso un effetto
negativo sul sistema immunitario. Le sensazioni positive favoriscono lo sviluppo di
dipendenza e il desiderio di ripetere l’assunzione, anche perché l’astinenza procura
sintomi spiacevoli come ansia diffusa, tensione, agitazione e alterazioni del sonno.
A lungo andare gli effetti dei cannabinoidi sul cervello sono molto dannosi. L’utilizzo cronico sembra indurre una maggiore apoptosi, cioè degenerazione e morte
neuronale, quindi un invecchiamento cerebrale precoce e una perdita di neuroni. I
danni al tessuto cerebrale sono confermati dagli studi di neuroimaging come la TAC
e la PET e sono permanenti, soprattutto se l’utilizzo è cronico e associato ad alcool,
evenienza tutt’altro che rara. Queste alterazioni strutturali portano ad un deterioramento cognitivo in chi utilizza queste sostanze stupefacenti cronicamente.
La sindrome amotivazionale negli utilizzatori cronici di cannabis
E’ uno degli effetti a lungo termine dell’uso di cannabis. Consiste in una perdita
d’interessi generalizzata, apatia, abulia, demotivazione, senza quella sofferenza psichica tipica della depressione, anzi con una sorta d’indifferenza emotiva e quindi di
passiva rassegnazione. In questi casi la persona non si dichiara depressa ma nemmeno prova benessere e felicità, non riesce a provare interesse in nulla e diventa progressivamente sempre più ritirata e passiva. Ne consegue una grave compromissione
del funzionamento sociale, scolastico o lavorativo.
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Psichiatria 46
SEZIONE II
Psicoterapia
Il termine psicoterapia indica, in senso ampio, una modalità di cura che si basa sull’incontro tra due individui
e che utilizza la parola e la comunicazione interpersonale,
in un clima di alleanza terapeutica, per affrontare le difficoltà che il paziente porta alla attenzione del terapeuta.
Esistono diversi modelli di psicoterapia.
La Psicoterapia Psicodinamica agisce sul profondo e su
aree inconsce del mondo psichico permettendo alla persona una più profonda conoscenza di sé, una maggiore consapevolezza del proprio disagio psicologico e delle
sue origini. Mira a sviluppare un cambiamento stabile e
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dott.ssa Cristina Selvi
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strutturale che sostenga a lungo termine e risolva i conflitti psicologici alla base della sofferenza.
La Psicoterapia Cognitivo – Comportamentale si indirizza maggiormente ad una modulazione dei sintomi at-
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traverso un approfondimento di modelli di pensiero e di
comportamento che sono disfunzionali, analizza inoltre
lo stile relazionale della persona e le emozioni negative
che da esso derivano al fine di sviluppare migliori capacità interpersonali.
Personalmente ritengo che, a parte alcuni specifici casi,
debba esistere uno spazio di flessibilità tecnica che permetta di comprendere quali sono le vere esigenze del paziente in ogni momento del percorso di cura e quale tipo
di approccio egli sia in grado di utilizzare con efficacia
per il cambiamento verso il ben-essere.
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Curare le fobie
Cosa sono le fobie?
Le fobie sono i più frequenti Disturbi d’Ansia nella popolazione. La fobia è una
paura incontrollabile, di elevata intensità e non giustificabile dallo stimolo che la
provoca. Le fobie sono causate da situazioni o da oggetti che non sono realmente pericolosi o minacciosi quanto la persona fobica crede. Ogni tipo di ragionamento e di
spiegazione razionale non può rassicurare a lungo la persona che soffre di una fobia.
Gli adulti possono avere la consapevolezza che lo stimolo fobico non è così pericoloso come da loro percepito, ciò nonostante l’esposizione alla situazione temuta
induce una reazione neurovegetativa e psichica che può variare dall’attacco di panico a forme più moderate e lievi di sofferenza emotiva. Spesso, invece, i bambini non
possono riconoscere la infondatezza dalla loro forte paura.
Un paziente affetto da fobia svilupperà, di fronte all’oggetto o alla situazione che
lo spaventa, una serie di sintomi fisici dovuti all’alterazione dell’equilibrio neurovegetativo: tremore, tachicardia, sudorazione, problemi intestinali o anche maggiore
necessità di urinare, mancanza di aria e respirazione veloce e superficiale, rossore
del volto. Questi disturbi sono così spiacevoli che inducono la persona a evitare di
confrontarsi con la situazione che li determina; si creano così le condotte di evitamento, caratteristiche del disturbo.
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Le condotte di evitamento sono, infatti, obiettivo primario della terapia delle fobie, poiché hanno il potere di rinforzare e incrementare la paura e di influire negativamente sull’autostima del soggetto il quale si percepisce via via sempre meno in
grado di fare fronte alla sua paura. Talvolta, invece, lo stimolo fobico è tollerato dal
paziente ma a spese di un forte sforzo emotivo e di volontà.
Anche l’ansia anticipatoria è tipica dei disturbi fobici e consiste nel fatto che la
persona inizia a percepire pensieri di paura e reazioni fisiche anche soltanto al pensiero della situazione che a breve dovrà affrontare.
Esempi frequenti di fobia sono: paura degli animali, specie di insetti, topi e serpenti, la paura dei cani, la paura di volare, di svenire, di arrossire, la paura dell’ascensore, del sangue, delle ferite, delle iniezioni, del dentista, dei temporali, dell’altezza,
del buio, della velocità, dei luoghi chiusi, di attraversare un ponte, la paura di soffocare o di vomitare. Si parla di Fobia Specifica in quanto la paura e l’ansia che ne
consegue, non è generalizzata ma riguarda appunto una situazione particolare.
Le fobie specifiche sono più frequenti nel sesso femminile con un rapporto di 2
a 1 circa. Sebbene siano i disturbi d’ansia e psichiatrici più diffusi, raramente la loro
gravità è tale da compromettere seriamente la vita della persona che ne soffre. Il trattamento si rende necessario soltanto nei casi in cui il disagio personale o la menomazione della quotidianità è tale da interferire con la vita del paziente. Ad esempio,
la paura di volare potrebbe interferire in modo rilevante in alcune professioni in cui
gli spostamenti aerei sono indispensabili, inducendo quindi la persona a rinunciare
alla posizione lavorativa proposta.
Spesso i pazienti che chiedono aiuto hanno fobie multiple e comunque nel corso
della loro vita possono sperimentare diversi tipi di Disturbo d’Ansia come gli Attacchi di Panico o anche altre forme come il Disturbo Ossessivo Compulsivo.
Quali sono le cause delle fobie?
Lo sviluppo di una fobia di gravità tale da rappresentare un disturbo avviene per
l’interazione di una vulnerabilità biologica con uno stimolo ambientale. A volte il
paziente può avere sperimentato nella sua vita un evento traumatico che ha indotto
lo sviluppo della fobia, come ad esempio, essere stato morso da un cane. Non tutte
le persone che subiscono un evento traumatico andranno incontro però alla sintomatologia ansiosa, perché è necessaria l’inclinazione biologica allo sviluppo dei
sintomi. E’ anche decisivo il modo in cui il soggetto è in grado di elaborare cogniti-
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Psicoterapia 50
vamente l’accaduto, le sue strategie di gestione dello stato d’ansia, nonché l’ambiente
relazionale che supporta il soggetto nelle fasi di sperimentazione ed elaborazione del
trauma. Un’elevata percentuale di soggetti fobici viene da famiglie in cui un membro
soffre di fobia o altri disturbi d’ansia, confermando sia la dimensione biologica sia
quella psicologica dell’ansia.
Come si curano le fobie?
Il trattamento delle fobie richiede sempre un intervento di Psicoterapia. Sebbene
la valutazione del più corretto approccio psicologico si debba basare sulla valutazione specifica e personalizzata del singolo paziente, in linea generale i disturbi fobici rispondono bene alla terapia cognitivo-comportamentale. Nelle fobie specifiche
spesso sono sufficienti alcuni mesi di terapia per estinguere la fobia, l’ansia anticipatoria e i comportamenti di evitamento associati.
A seconda della frequenza con cui il soggetto deve confrontarsi con lo stimolo
fobico, e quindi dell’entità e della frequenza della sua ansia, si potrà valutare l’utilizzo di una terapia farmacologica. Nel caso in cui vi sia la necessità di affrontare
una situazione ansiogena solo saltuariamente, si possono prescrivere farmaci che il
paziente potrà utilizzare al bisogno. Questi farmaci non sono curativi ma agiscono
sulle manifestazioni mentali e fisiche dell’ansia. A questo scopo si usano le benzodiazepine, i classici farmaci ansiolitici.
A volte può essere utile prescrivere un beta-bloccante cioè un farmaco che riduce
soprattutto le manifestazioni somatiche e neurovegetative della paura. Negli altri
casi, cioè quando l’esposizione allo stimolo fobico è più frequente e può effettivamente creare disagi nella vita del paziente, la terapia corretta consiste nell’utilizzo di
farmaci serotoninergici che hanno un ottimo potere anti ansia, sempre comunque
in associazione alla psicoterapia, al fine di poter in seguito sospendere l’assunzione
delle medicine.
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Il Disturbo Narcisistico
di Personalità
Nell’uso comune della nostra lingua siamo abituati a dare alla parola “narcisista”
una connotazione negativa. In verità ci sono periodi della vita e dello sviluppo in
cui essere narcisisti è sano ed opportuno e il piccolo narcisista deve essere adeguatamente accolto, riconosciuto ed apprezzato dai genitori. Ciò significa che i comportamenti grandiosi, egoisti ed egocentrici del bambino non devono essere potenziati
in modo eccessivo ma nemmeno respinti, inibiti o ignorati. La parola giusta, direi, è
regolati nella relazione con i genitori.
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Anche nel periodo dell’adolescenza è piuttosto comune e fisiologico mostrare
tratti e comportamenti di tipo narcisistico, ciò non è necessariamente patologico o
certamente indicativo di un futuro disturbo della personalità.
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Cosa è il disturbo narcisistico di personalità
Il Disturbo Narcisistico di Personalità è una struttura caratterizzata dall’ipersensibilità al giudizio e al rifiuto affettivo.
Si può manifestare con modalità differenti, che vengono definite narcisista overt,
cioè evidente e narcisista covert, nascosto, che potremmo tradurre come il tipo arrogante e il tipo timido. Il modo di percepirsi, di apparire agli altri e di relazionarsi
dei soggetti affetti dalle due modalità di presentazione del Disturbo Narcisistico
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sono apparentemente molto diverse ma ambedue sono accomunate da sentimenti
di scarsa autostima, paura della umiliazione e del rifiuto.
Oggi parliamo del primo tipo di struttura narcisistica.
Il disturbo narcisistico overt
Il Disturbo Narcisistico Overt caratterizza persone che appaiono decise, autonome, forti e affascinanti, adeguatamente inserite a livello sociale e lavorativo. Purtroppo queste persone non hanno capacità di entrare in intimità con gli altri, evitano il coinvolgimento profondo e le relazioni stabili e quindi appaiono spesso egoiste
e presuntuose, paradossalmente fin troppo sicure di sé. Di fatto si tratta di persone
fragili, sensibili, molto bisognose di ammirazione, che hanno costruito, inconsapevolmente, una barriera di difesa rispetto alla possibilità di sentirsi feriti ed emotivamente vulnerabili.
La loro caratteristica tipica è la mancanza di capacità empatica, cioè la difficoltà di
riconoscere che anche gli altri hanno desideri, sentimenti e bisogni e stati d’animo.
Per questo non amano essere coinvolti in situazioni in cui l’altro possa avere bisogno
di loro o del loro aiuto e sono spesso inconsapevoli del disagio e del dolore che il
loro atteggiamento può determinare a chi cerca di entrare in relazione con loro.
Per queste persone è difficile confrontarsi con possibili critiche o disapprovazioni,
a volte anche di poco conto. Si sentono molto facilmente svalutati e sminuiti e preferiscono relazioni che non li mettano in discussione. La loro tendenza è di reagire
alla critica, o a ciò che loro vivono come una critica, con rabbia e rottura della relazione. Si comportano, quindi, in modo difensivo ogni volta che percepiscono una,
se pur velata, minaccia al loro senso di valore personale.
Senza saperlo sono alla disperata ricerca di situazioni interpersonali in cui ricevono approvazione e nelle quali possano soddisfare i loro bisogni e le loro priorità con
l’obiettivo primario di mantenere la loro autonomia e autosufficienza, attraverso il
non coinvolgimento emotivo e il ritiro affettivo. Queste persone sono molto restie a
comunicare qualsiasi disagio fisico o psicologico, spesso non sono capaci di manifestazioni affettive e sono controllati e rigidi.
Raramente la persona affetta da questo tipo struttura di carattere richiede un aiuto e una terapia. Sebbene possano avere difficoltà a livello relazionale raramente ne
sono consapevoli e sentono il desiderio di risolvere le loro difficoltà. Può però ac-
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cadere che alcuni eventi di vita come una malattia o il fisiologico progredire dell’invecchiamento possano causare una ferita che questi pazienti, abituati al loro senso
di efficacia, autonomia e di competenza non sono in grado di tollerare, sviluppando
depressione. Altre volte la crisi consegue all’abbandono a cui possono andare incontro date le difficoltà che generano nella relazione.
Circa il 75% dei soggetti con questo tipo di disturbo narcisistico è di sesso maschile.
Le cause del disturbo narcisistico di personalità
I Disturbi della Personalità originano dall’interazione del temperamento del bambino con l’ambiente relazionale nel quale cresce, hanno cioè un’origine biologica e
psico-sociale.
Ogni bambino rappresenta una sfida per i genitori quando nasce con un temperamento difficile e la regolazione dell’emotività e dei tratti di personalità, che vanno
formandosi, avviene all’interno della relazione con chi si prende cura del bambino.
Ciò che è veramente determinante è il tipo di interazione reciproca che si genera tra
il bambino e il suo ambiente, rappresentato soprattutto dalle figure di accudimento.
I pazienti narcisisti hanno vissuto esperienze precoci di attaccamento poco rassicuranti e accoglienti affettivamente e hanno reagito con un forte disinvestimento emotivo verso l’altro e rivolgendo le proprie attenzioni verso di sé. Ma dietro
all’apparente autonomia del narcisista overt c’è in verità un vissuto (inconscio) di
sé come di una persona spaventata dal rifiuto e dal bisogno di attenzioni che non
è stato soddisfatto in modo adeguato, equilibrato. Nella convinzione di non poter
ricevere le attenzioni necessarie e desiderate, questo tipo di persona sviluppa una
difesa nell’autonomia, rifiutando l’amore e non chiedendo alcun tipo di sostegno,
imparando a rinunciare alla vicinanza affettiva e all’intimità per difendersi dalla
ferita del potenziale rifiuto.
Come si cura il disturbo narcisistico di personalità
Come abbiamo in precedenza detto è più frequente che il trattamento venga richiesto in situazioni di emergenza emotiva scatenate da eventi di vita che mettono a
dura prova il fittizio e delicato equilibrio del narcisista.
La terapia è in primo luogo la psicoterapia individuale ad orientamento psico-
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Psicoterapia 54
dinamico, attraverso la quale si cerca di mediare da una visione di sé grandiosa o
svalutata ad una più realistica dove possano essere considerate fragilità, risorse e
capacità. Tutto ciò migliora le modalità con cui questi pazienti entrano in relazione
e la loro sensibilità interpersonale che li fa arrabbiare o a volte vergognare e ritirarsi.
La terapia farmacologica può essere di sostegno soltanto in situazioni in cui il
paziente va incontro ad Episodi Depressivi o forme di Ansia Sociale. Per questo i
farmaci più frequentemente prescritti sono gli Antidepressivi Serotoninergici e le
Benzodiazepine.
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Psicoterapia 55
SEZIONE III
Omotossicologia
La Medicina Omotossicologica è l’evoluzione moderna
dell’Omeopatia, basata su evidenze scientifiche e sulle attuali conoscenze biochimiche e biofisiche dell’organismo
umano.
E’ stata di recente riconosciuta dall’Ordine dei Medici di
Milano come una delle sette Medicine Non Convenzionali dotate di efficacia terapeutica comprovata da studi
scientifici.
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Omotossicologia 56
Molte situazioni che presentano una sintomatologia psichica associata ad un corredo di sintomi fisici sono trattabili attraverso questa strategia che si fonda su principi di
base che fanno da ponte tra la Medicina Omeopatica e la
Medicina Accademica.
Condizioni mediche quali la Sindrome Premestruale, la
Menopausa, la Sindrome del Colon Irritabile, alcuni tipi
di cefalea, stanchezza cronica non attribuibile ad alcuna causa medica, la Fibromialgia, possono essere trattate
con un approccio di tipo omotossicologico.
Mentre le terapie tradizionali si indirizzano maggiormente al controllo e alla soppressione del sintomo, l’ Omotossicologia mira a stimolare e a ripristinare le condizioni
fisiologiche dell’organismo e la sua capacità di autoguarigione, al fine di prevenire l’insorgenza della malattia.
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Non tutte le situazioni di Depressione ed Ansia possono
essere trattate con questa metodica e la base di una terapia efficace rimane sempre e comunque una diagnosi iniziale corretta. In psichiatria questo approccio può essere
molto utile nella fase di riduzione e di sospensione della
terapia allopatica, allo scopo di mantenere lo stato di benessere e ridurre l’utilizzo di terapie che, se in alcune fasi
della malattia sono indubbiamente utili, dall’altra sovraccaricano gli organi deputati al metabolismo dei farmaci
come il fegato e i reni.
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Stato infiammatorio
sistemico e depressione
Il legame tra infiammazione e depressione: prospettive di cura e prevenzione
In questo precedente articolo è stato descritto a fondo il legame tra infiammazione, depressione, ansia e disturbi cognitivi. Vediamo ora cosa implica questo a livello
di prospettive di cura e prevenzione.
La scoperta del link tra infiammazione e depressione ha indotto i medici e i ricercatori a valutare interventi di tipo farmacologico e strategie non farmacologico per
ridurre l’infiammazione.
L’interpretazione di questi dati sta portando il mondo scientifico alla consapevolezza che la depressione è una malattia sistemica e così dovrebbe essere trattata, integrando tra loro approcci terapeutici differenti che agiscano a vari livelli del nostro
organismo.
Se è vero che la somministrazione di antidepressivi è spesso risolutiva, è altrettanto vero che la loro azione si limita a risolvere la parte più visibile del problema, senza
influire sui meccanismi infiammatori di fondo. Questo fatto potrebbe spiegare le
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forme di Depressione Maggiore Ricorrente nella quale gli episodi si risolvono con la
terapia, ma tendono a ricomparire con la sospensione del farmaco.
Queste osservazioni suggeriscono che l’utilizzo di molecole che possano modulare le citochine pro-infiammatorie debba essere valutato come futura strategia di
cura della depressione.
Da un punto di vista della prevenzione queste scoperte sono molto importanti
perché danno valore scientifico ad una serie di strategie non farmacologiche che
sono note per regolare l’asse Ipotalamo Surrene e per avere effetto anti-infiammatorio sistemico, riconoscendo a queste la dignità di veri e propri interventi di prevenzione.
Come ridurre lo stato infiammatorio sistemico
L’infiammazione è un processo che avviene normalmente nel nostro organismo,
quando rimane a livelli fisiologicamente bassi è anzi un meccanismo difensivo attraverso il quale l’organismo mantiene la sua omeostasi, si difende da virus e batteri
e dalle tossine esogene ed endogene.
Per modulare la naturale tendenza dell’organismo all’infiammazione e permettere
che questa rimanga a livelli non patologici è necessario prevenire l’insorgenza di
situazioni di stress cronico ed eccessivo e contrastare le alterazioni psico-neuro-immuno-endocrine indotte dai meccanismi di risposta allo stress.
Per modulare la naturale tendenza dell’organismo all’infiammazione e permettere
che questa rimanga a livelli non patologici è necessario prevenire l’insorgenza di
situazioni di stress cronico ed eccessivo e contrastare le alterazioni psico-neuro-immuno-endocrine indotte dai meccanismi di risposta allo stress.
Si può modulare la risposta alle situazioni che noi percepiamo come eccessivamente stressanti attraverso modifiche comportamentali indotte da pratiche di rilassamento, psicoterapia o counseling.
Una pratica molto efficace per la riduzione dello stress è la Mindfulness che è stata
applicata con successo in molte patologie croniche e anche nei pazienti depressi.
Alcuni studi di neuroimaging (tecnologie in grado di misurare l’attività e il metabolismo di specifiche aree cerebrali) hanno dimostrato che la pratica quotidia-
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na di tecniche di rilassamento induce modificazioni rilevabili a livello di strutture
anatomiche del cervello come l’amigdala e l’ippocampo che sono deputate a molte
funzioni tra cui la gestione delle emozioni.
Una via complementare è quella che riguarda lo stile alimentare. Nutrirsi seguendo alcune semplici regole può ridurre lo stato infiammatorio cronico. La dieta antiinfiammatoria prevede la eliminazione o la netta riduzione di cibi che liberano istamina o sono ricchi di istamina e di cibi contenenti proteine che stressano il sistema
immunitario come il glutine, la caseina e l’albumina. Queste proteine si trovano nei
latticini, nelle uova e nelle farine dei diversi cereali, particolarmente disturbante per
il sistema immunitario è quella di frumento da farine raffinate.
Si può inoltre assumere integratori che riducano lo stato di acidosi e di ossidazione che sono sempre presenti in corso d’infiammazione cronica. Tutti questi presidi
rappresentano quindi fattori importanti al fine di mantenere lo stato di salute, indicati per tutte le persone ma necessari nei pazienti che hanno già sviluppato malattia.
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La depressione, l’obesità e
le malattie cardiovascolari
È oramai accertato che i pazienti affetti da Depressione presentano un rischio
maggiore di sviluppare malattie fisiche, soprattutto patologie cardiovascolari, come
infarti e ictus cerebrali.
Alcuni studi calcolano che la Depressione Maggiore incrementi di 4 volte il rischio
di morte per patologia cardiovascolare. Il collegamento tra la malattia depressiva e
il rischio di patologia cardiovascolare è stato individuato in un disturbo complesso,
noto come Sindrome Metabolica.
Depresione e obesità: collegamento con la sindrome metabolica
La Sindrome Metabolica è caratterizzata da obesità, con tessuto adiposo localizzato soprattutto a livello addominale, ipertensione sanguigna, iperglicemia e resistenza all’insulina, aumento del colesterolo ed è significativamente più frequente nei
pazienti depressi che nella popolazione generale. La Sindrome Metabolica colpisce
circa un quarto della popolazione adulta mondiale, rappresenta, quindi, una grave emergenza sanitaria ed economica. Nel suo sviluppo sono determinanti fattori
genetici ed epi-genetici, cioè tutto ciò che va ad agire sulla possibilità che l’inclinazione genetica diventi effettivamente malattia, tra questi citiamo la sedentarietà, le
abitudini alimentari, il sovrappeso e lo stress psicologico.
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La connessione tra Depressione e Sindrome Metabolica è, però, bidirezionale, ciò
significa che anche la Sindrome Metabolica espone ad un più alto rischio di sviluppare Depressione. Mettere in atto comportamenti e stili di vita che contrastino lo
sviluppo delle alterazioni che si hanno nella Sindrome Metabolica, riduce la possibilità di ammalare di Depressione.
Depressione e obesità: stress e infiammazione sistemica
A differenza di quanto verrebbe da pensare in un
primo momento la Depressione è una malattia che
compromette l’organismo in toto, la mente, ma anche
il corpo e va considerata quindi, una patologia sistemica, nel corso della quale l’organismo va incontro a
molteplici alterazioni e ad uno stato di infiammazione
cronica generalizzata.
Il concetto di Low Grade Inflammation è relativamente nuovo in medicina. Processi infiammatori di basso grado, che non causano cioè sintomi o malattia, si svolgono in continuazione durante tutto l’arco della nostra esistenza, sono determinati
dalla vita stessa e dal metabolismo. Questi processi danno origine a un lieve stato d’infiammazione dell’organismo a cui fanno seguito, in condizioni di normalità,
processi di riparazione e di controllo. In alcune malattie si è osservato che il corpo
perde la capacità di mantenere l’infiammazione a livelli fisiologici e va incontro ad
uno stato infiammatorio di livello tale da causare la malattia e i suoi sintomi.
In questi casi sono liberate citochine pro-infiammatorie ed è stato dimostrato che
queste sono elevate nei pazienti depressi: la Depressione è una malattia con un’importante componente sistemica infiammatoria.
Moltissimi studi attualmente stanno identificando il ruolo di questa infiammazione sistemica in patologie psichiatriche e neurologiche anche come, appunto, la
Depressione, il Morbo di Alzheimer e altre malattie neurologiche.
Anche la Sindrome Metabolica e le conseguenti malattie a livello dell’apparato
cardiovascolare presentano uno stato infiammatorio sistemico e un’aumentata produzione di citochine pro-infiammatorie.
Curare la depressione e l’obesità
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Curare la Depressione significa, quindi, mettere in atto terapie e strategie terapeutiche che si occupino sia mente che del corpo. Guarire e prevenire la Depressione
riduce la possibilità di sviluppare altre gravi patologie come ictus, infarti, demenze,
diabete, malattie autoimmuni e degenerative.
La Depressione può favorire l’insorgenza di patologie metaboliche e cardiovascolari anche a causa di alcuni fattori comportamentali. Il paziente depresso si chiude
in se stesso, rallenta i suoi processi mentali e i movimenti del corpo, evita gli stimoli
sociali, fuma di più, a volte beve per lenire il disagio emotivo, presenta cioè quello
che viene definito rallentamento psico-motorio.
Da tempo è stato dimostrato che l’attività fisica ed intellettuale sono protettive nei
confronti di molte patologie e sicuramente anche nei confronti dei Disturbi dell’Umore, come la Depressione. Il più delle volte l’appetito si riduce ma in alcune forme
di Depressione si può avere un sintomo definito craving per i carboidrati, cioè uno
smodato desiderio di cibi dolci e calorici o insonnia con fame notturna.
Sia nella Depressione sia nella Sindrome Metabolica si ha la disregolazione dell’asse dello stress, Ipotalamo-Ipofisi-Surrene, con iperproduzione di cortisolo che porta
a modifiche a livello cerebrale come l’ipertrofia dell’amigdala, struttura del cervello
deputata alla gestione delle emozioni e delle memorie emotive.
Alcune pratiche di rilassamento e concentrazione possono essere utili nei pazienti
depressi perché agiscono moderando le risposte allo stress e determinando modifiche dell’amigdala proprio riducendo lo stato infiammatorio generalizzato.
Lo stress ossidativo che si ha in corso di Depressione può risentire positivamente
dell’utilizzo di Omega 3, che hanno un’importante azione anti-infiammatoria. Sono
numerosi gli studi che stanno cercando di comprendere l’utilità di una supplementazione di acidi grassi poli-insaturi nella cura e nella prevenzione della Depressione,
proprio partendo dalla consapevolezza che il paziente depresso ha uno stato d’infiammazione sistemica. Inoltre, la scarsa introduzione alimentare di queste sostanze è chiaramente correlata con obesità viscerale e Sindrome Metabolica. Il grasso
raccolto a livello addominale è un vero e proprio organo secernente sostanze che
inducono lo stato infiammatorio dell’organismo che a sua volta facilità la patologia
cardiaca e vascolare.
Se la Depressione è una malattia sistemica anche la terapia deve essere sistemica,
e non dovrebbe limitarsi alla semplice prescrizione di psico-farmaci antidepressivi.
È necessario curare la psiche con i farmaci, la mente con la psicoterapia, con le relazioni e gli interessi, il corpo con il movimento e la giusta alimentazione, e nel caso,
supplementando i nutrienti che non possono essere introdotti in modo adeguato o
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sufficiente. Solo così non ci si limita a “spegnere” la Depressione senza curarsi dei
motivi per cui è comparsa.
Diagnosi della depressione nella medicina sistemica: il rischio metabolico
Per la diagnosi di Depressione non servono e non esistono esami specifici, a volte
può essere indicato valutare il funzionamento della tiroide, poiché alcuni sintomi di
un mal funzionamento di questa ghiandola possono mimare la sintomatologia della
Depressione. Lavorando con il paradigma della medicina sistemica, invece, diventa buona pratica prescrivere, nei casi necessari, accertamenti che valutino lo stato
dell’organismo e quindi il suo rischio di slatentizzare una malattia a seguito di un
episodio di Depressione, fare cioè una valutazione del rischio metabolico in pazienti
depressi.
Ecco alcuni degli accertamenti che possono essere prescritti:
• Esami di routine ematochimici e delle urine;
• Esami di valutazione della funzionalità tiroidea;
• Controllo della funzionalità renale ed epatica, utile anche per valutare l’efficacia di questi organi di metabolizzare ed eliminare il farmaco antidepressivo.
• Glicemia;
• Pro­filo lipi­dico, cioè il dosaggio del colesterolo totale e dei trigliceridi;
• Dosaggio dell’Omocisteina, indice di rischio cardiovascolare e di deficit cognitivi;
• Proteina C-reattiva, indice d’infiammazione e rischio cardiaco;
• Vitamina-D, spesso bassa nei pazienti adulti ed associata a Depressione, deficit cognitivi o patologie neurologiche come il morbo di Parkinson e la Malattia di Alzheimer.
•
Altri parametri importanti di rischio per la Sindrome Metabolica sono il peso
corporeo con la valutazione della massa grassa e la pressione arteriosa.
Questi esami possono rendersi necessari soprattutto per monitorare quei pazienti
che assumono terapie antidepressive che possono avere come effetto collaterale l’aumento del peso corporeo. Questo non avviene in tutti i pazienti e non è causato da
tutte le molecole antidepressive ma, a volte, il quadro clinico presentato dal paziente
richiede l’utilizzo di una molecola specifica che potrebbe causare l’aumento del peso.
Questi pazienti vanno avvisati e accompagnati a promuovere stili di vita salutari che
riducano e contrastino questo effetto indesiderato, oltre ad essere adiuvanti nella
cura della depressione.
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DOTT.SSA CRISTINA SELVI
Medico Chirurgo . Psichiatra . Psicoterapeuta . Omotossicologa
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© Copyright 2012-2014 . dott.ssa cristina selvi . Tutti i diritti sono riservati
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