CLÔTURE DE L’AMOUR
uno spettacolo di Pascal Rambert
traduzione Bruna Filippi
con Anna Della Rosa, Luca Lazzareschi
assistente alla regia Thea Dellavalle
direttore tecnico Robert John Resteghini
elettricista Roberto Riccò
cappelli realizzati da La Bourette
Emilia Romagna Teatro Fondazione
con il sostegno di Institut français nel quadro del progetto “Théâtre export”
Si ringraziano i cori di voci bianche Girasole, San Paolo Apostolo, La Giovane Rossini e
LIBERVOX Ensemble vocale e i Maestri di coro Claudia Rondelli e Francesca Nascetti
Teatro delle Passioni, Modena:
dal 30 ottobre al 15 novembre 2012. Feriali ore 21.00, festivi ore 15.30, lunedì riposo
Teatro Asioli, Correggio:
8 aprile 2013, ore 21.00
Teatro Vascello, Roma:
dal 18 al 28 aprile 2013
Clôture de l’amour (Finale d’amore) ha debuttato nel luglio 2011 al Festival d’Avignon
riscuotendo immediatamente uno strepitoso successo. Pascal Rambert, direttore del
Théâtre de Gennevilliers ha diretto il suo testo magistralmente interpretato da Audrey
Bonnet e Stanislas Nordey, e in questa versione originale è stato ospite dell’ultima
edizione di VIE Festival.
Emilia Romagna Teatro ha deciso di produrre la versione italiana dello spettacolo, e
Rambert ha scelto come protagonisti due tra gli interpreti più apprezzati della scena
italiana, Anna Della Rosa e Luca Lazzareschi.
In una grande stanza bianca, una donna ed un uomo si parlano attraverso due lunghi
monologhi – che non si faranno mai dialogo – interrogandosi sulle ragioni della fine
della loro storia d’amore. Il flusso ininterrotto di parole, le domande – risposte che si
scatenano e la respirazione bloccata creano una sorta di maratona tra paura e
liberazione: ecco, è lì, nel mezzo del momento doloroso, che Pascal Rambert ci porta,
senza temere di disturbare, di creare dubbio, di immergerci nei meandri di una storia
che porta inesorabilmente alla rottura.
Alla domanda “chi amiamo quando amiamo?” Pascal Rambert non dà nessuna
risposta, ma si aggira semplicemente nelle possibilità, senza rifiutare quei luoghi
comuni che usano almeno una volta due persone che si separano, che cercano
assieme le ragioni del proprio disamore.
Emilia Romagna Teatro Fondazione – Teatro Stabile Pubblico Regionale, Sede Legale: Teatro Storchi, Largo Garibaldi 15, 41124 Modena. Sede Organizzativa: Via Ganaceto, 129 ‐ 41121, Modena Centralino: Tel. 059 2136011, Biglietteria:. 059 2136021, e‐mail: [email protected] C.F. e P.IVA 01989060361 Due sguardi, due parole e due silenzi per raccontare la violenza di un amore che
muore.
Intervista a Pascal Rambert
Clôture de l'amour è composto da due monologhi che lei ha scritto specificatamente
per gli attori che ne hanno recitato lo scorso anno la versione francese, Nordey e
Bonnet.
Qui lei dirige due attori che ne recitano la versione italiana: come ha lavorato sul
corpo degli attori e come ha messo in relazione la sua scrittura con la metrica e la
sonorità linguistica della lingua italiana?
In tutte le versioni di Clôture ci siamo resi conto in effetti che le traduzioni, pur ottime
che fossero, dovevano essere rielaborate con gli attori. L’ho fatto in Croazia, negli
Stati Uniti, in Russia e lo farò per le prossime versioni in Germania e Giappone.
Il teatro infatti non può essere definito come una“letteratura in costume”, ma è corpo,
è “linguaggio verbalizzato”, quindi, come fa un costumista, bisognava aggiustare la
lingua nella “bocca”, è proprio questa l’espressione, nella “bocca” di Luca e nella
“bocca” di Anna.
Per esempio a New York l’attore ha rielaborato la traduzione insieme a me e alla
traduttrice, nonché attrice nello spettacolo, Kate Moran. L’attore, conoscendo il
francese, ha voluto quindi appropriarsi del testo.
Ed è quanto abbiamo fatto anche nella prima fase di prove a Modena, abbiamo
riparametrato il testo per frasarlo sul corpo e sull’intelligenza delle parole dei due
attori.
La critica ha definito il suo lavoro una sinfonia di parole. Che tipo di relazione ha lei
con la musica?
Non entro in relazione con la musica. E non amo per niente l’idea che i miei testi siano
considerati come delle sinfonie di parole. Non penso che sia questo il caso del resto.
Sono sempre diffidente quando mi si dice che si tratta di un testo musicale. Non è di
tipo musicale la relazione che ho con il linguaggio, ma piuttosto è formale,
intellettuale ed energetica. Tre concetti, tre oggetti molto concreti che strutturano il
lavoro sulla scena. Quando lavoro unisco i corpi sulla scena, porto avanti una ricerca
formale di teatro che sia differente dall’approccio realista o neo-realista del teatro,
quell’approccio abituale - convenzionale che dalla fine del XXIX secolo fino al XX
secolo consiste nell’approcciarsi nel modo più verosimile possibile al modo di
comportarsi, parlare, mangiare, camminare.
Il teatro è una questione di forma. Non ha nessuna relazione con la musica. Se ascolto
un’opera intera, non mento se dico che piango, la musica ha per me un effetto simile
a quello che si sente quando nella libreria si prende un libro che abbiamo già letto e si
trova dentro una lettera, una cartolina che ci riporta ad un momento del nostro
passato e fa sì che la lettura venga datata.
La musica ha esattamente questo effetto in me ed è per questo che mi premunisco da
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professionale, quando faccio la regia di un’opera lì ho l’impressione di sapere
contenere l’emozione.
Sono un po’ come un vecchio alcolizzato - cosa che nella vita non potrebbe essermi
più lontana - che non può più bere alcool; non posso più ascoltare la musica perché
provo veramente un’emozione molto forte, fortissima. Quindi per concludere non
cerco questo nel mio teatro.
In questo lavoro lei è autore della regia, della drammaturgia e delle luci. È una scelta
poetica, una necessità o un’esigenza espressa dalla particolarità del lavoro?
Non è una scelta poetica, un artista è effettivamente il figlio delle sue idee, siamo
sotto il giogo della necessità.
Io non ho scelto di essere autore di testi teatrali, né di essere regista, è qualcosa che
mi si è imposto.
C’è stato un movimento dall’esterno e dall’interno che mi ha costretto a fare questo,
ma non ne ho mai trovato le ragioni profonde.
Non sono un regista che mette in scena testi di altri autori, da tantissimo tempo porto
in scena spettacoli con i miei testi, quindi per me fare un oggetto d’arte non è soltanto
scrivere, non è solo fare le luci, fare la regia, per me fare un oggetto d’arte, come una
pièce teatrale, è concepire tutto dalla A alla Z, cercare di proporre una coerenza
formale, energetica allo spettatore.
Nello spazio spesso c’è la necessità di reinventare a seconda del luogo dove ci si
trova, siamo ogni volta in uno spazio diverso, ed ora saremo al Teatro delle Passioni,
uno spazio reale, siamo davvero in un teatro, in una sala prove. Questi due artisti
proveranno davvero in questo posto. Bisogna quindi saper trovare ogni volta la verità
del luogo, io non uso delle scenografie finte, bisogna mostrare – cosa che a mio
avviso è la cosa più difficile a farsi - due esseri umani che parlano, che si parlano e
fare in modo che questo sia appassionante, emozionante, sconvolgente ed anche
divertente a volte.
La violenza del dialogo, di alcune situazioni di Clôture ci rimandano ad alcune pellicole
di Godard o di Pialat. A questo proposito qual è il suo rapporto con il cinema?
La relazione con il cinema è forte, non soltanto perché la mia generazione viene dai
film della Nouvelle Vague, in una forma di Trinità che vede Godard, Pasolini,
Fassbinder. Questi film degli anni ‘80 mi hanno molto influenzato, penso a Cassavetes
per il cinema americano.
C’è la violenza dei corpi, c’è la violenza sessuale di Fassbinder; la poesia, la violenza e
la sessualità dei corpi di Pasolini; tutta la ricerca formale di Godard e dall’altro lato la
vita come uno stream, come un fiume di Cassavetes.
Ho costruito i miei film proprio a partire da questi artisti che mi piacevano, non ho
cercato di creare dei film che assomigliassero ai loro, ma ne sono stato influenzato per
le ragioni di cui ho parlato prima. Per esempio Clôture de l’amour è la versione scritta
di un mio film che si chiama Car wash dove si vede una coppia uscire dalla propria
macchina perché possa essere lavata, mentre la loro figlioletta rimane all’interno
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Avvicinandoci al quadro, apprendiamo che i due stanno parlando della loro
separazione e quando l’autolavaggio è terminato la bambina domanda ai genitori: “Di
cosa state parlando?” e si capisce che la bambina non è al corrente del fatto che i suoi
si stanno separando. È un lungo piano-sequenza, di 15 minuti circa, senza tagli, senza
montaggio.
Allo stesso modo la coreografia Libido Sciendi viene direttamente da un altro mio film
che si chiama Début, ma il titolo viene da un’altra pièce che si chiama Début de l’A.
Quindi tutti i nomi dei miei film, l’ultimo si chiama Premier anniversaire mentre il
penultimo Avant que tu reviennes o anche Quans nous étions punk, tutti questi film
sono delle estensioni dei miei spettacoli, così come le mie coreografie di danza sono
delle estensioni delle mie pièce di teatro e viceversa.
E quindi ora ho compreso, ho capito che il mio territorio di lavoro è: in primo luogo il
Tempo; in secondo luogo i momenti cruciali delle relazioni umane: fare l’amore per la
prima volta, provare il vero grande amore e l’impressione meravigliosa del suo inizio,
interessarsi alla vecchiaia, quando ci si rende conto che le cose si stanno disperdendo,
la fine dell’amore come in Clôture.
Mi sono reso conto ad un certo punto che lavoravo su questi momenti, dei momenti
agli incroci della vita, dei momenti cruciali dove spesso i personaggi si ritrovano
davanti a se stessi, davanti a dei cambiamenti che li fanno passare da uno status ad
un altro. Alla fine credo di interessarmi ai ribaltamenti/momenti di passaggio di un
individuo da uno stato all’altro, in alcuni momenti forti della loro vita. Sì mi sono reso
conto di questo, non l’ho fatto apposta, ma a forza di vedere i titoli dei miei film, dei
miei spettacoli e delle mie coreografie mi sono reso conto che da una quindicina d’anni
i titoli erano sempre legati a queste cesure temporali.
Lei lavora in Francia come direttore di un teatro, il Theatre de Genevilliers la cui
attività è focalizzata sulla drammaturgia contemporanea: vogliamo entrare nel merito
delle scelte artistiche della programmazione?
Sono sì un Direttore e un Direttore artistico, ma essendo anche uno scrittore e un
regista, ho un approccio simile a quello da scrittore, cineasta, coreografo. Intendo dire
che per me si tratta di scrivere, una stagione si scrive, quando rifletto con Nicole
Martin, che coodirige il T2G con me, cerco di far sì che gli artisti siano quelli che, dal
mio punto di vista, hanno un pensiero sulle forme. Non penso al fatto di invitare il
teatro italiano, giapponese, americano, norvegese. Quello che mi interessa sono gli
individui, non le istituzioni, quello che mi interessa sono gli artisti che creano a partire
da loro stessi e da forme estremamente personali. Per parlare dell’Italia cito Romeo
Castellucci, per la Spagna Rodrigo Garcia, per il Giappone Toshiki Okada, tutti artisti
che sono stati accolti anche qui a Modena. Forse il mio piacere di venire a lavorare a
Modena con ERT dipende anche dal fatto che condivido con Pietro Valenti la sua
visione sull’arte contemporanea, sullo spettacolo dal vivo, teatro o danza che sia.
Quello che facciamo a Gennevilliers è essenzialmente questo, non presentiamo dei
testi classici messi in scena dai contemporanei, facciamo solo autori viventi sia nel
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contemporanea. Ho cercato di ridefinire, riparametrare su quello che poteva essere un
Centro Drammatico nazionale d’Arte Contemporanea, ho cercato di mostrare che le
arti non sono separate. È sempre un peccato fare solo del teatro o solo della danza nel
proprio angolino, quello che è bello con l’arte è far sì che ci siano mondi aperti che si
penetrano, che si influenzano e che si mischiano. Quindi c’è una vera ricerca su chi
oggigiorno a mio avviso sono i veri artisti, gli artisti della mia generazione, ovvero
coloro che hanno circa tra i 35 e i 50 anni e che producono nel mondo delle opere che
io penso siano uniche, è questo il mio modo di cercare gli artisti.
Pascal Rambert
È a Nizza che Pascal Rambert realizza la sua prima regia, ancora studente al liceo.
Inizia così un percorso atipico che, di tappa in tappa, lo porterà a fondare una propria
compagnia teatrale, Side One Posthume Théâtre, e che sfocerà nella pubblicazione dei
suoi primi lavori drammaturgici, Désir e Les Lits. Successivamente intraprenderà una
personalissima indagine nei diversi campi artistici, in Francia e all’estero: è un curioso
esploratore del mondo e degli uomini che lo popolano, si sposta dagli Stati Uniti alla
Siria fino in Giappone, realizzando spettacoli a partire dalle proprie scoperte. Nel corso
degli anni, ovunque si trovi, porta avanti una multidisciplinare attività di formazione
attraverso laboratori di gioco, di scrittura e di danza, rivolti ad amatori e giovani
professionisti.
Invitato per la prima volta al Festival di Avignon nel 1989, scrive e dirige Les
Parisiens, prima di collaborare insieme a Jeanne-Pierre Vincent al Théâtre NanterreAmandiers. Nel 1992 presenta due suoi testi, John et Mary, e De mes propres mains,
rappresentativi di una scrittura che alterna opere intime come dialoghi a due o
monologhi, ad opere corali, come L’Épopée de Gilgamesh presentato nel 2000 al
Festival di Avignon in un campo di girasoli, oppure After/Before ospitato nel 2005, e
ancora Une (micro)histoire économique du monde che vedrà la luce nel 2010.
Attuale direttore del Théâtre de Gennevilliers, centro nazionale di produzione
contemporanea, continua un costante lavoro sul territorio senza però rinunciare ad
esplorare il mondo, avido di un confronto permanente dell’estetica e delle pratiche
sociali. Torna ad Avignon nel 2011 con Cloture de l’amour, un testo che riprende
l’opera presentata nel 2005, Le Debut de l’A.
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