anno XX - numero 16 - 27 febbraio 2014
Questo allestimento
Un deserto dominante,
tra tante prove
e minacce di scioperi
A Pag.
2
La Storia dell’Opera
Una genesi complessa
per la terza opera pucciniana
A Pag.
6
L’Analisi Musicale
La Manon Lesacaut,
considerata il Tristano italiano
A Pag. 7
Adolf Hoenstein
Il rapporto con Puccini
del grande ed elegante
illustratore e bozzettista
A Pag.
8e9
Le due Manon
Confronto tra
l’opera di Massenet e
quella di Puccini
A Pag.
11
Manon Lescaut
di Giacomo Puccini
Manon Lescaut
2
Il
Giornale dei Grandi eventi
Questo allestimento di Manon Lescaut
Un deserto dominante, tra tante prove e minacce di scioperi
E
deserto, nei costumi di Alessandro Lai, di’ un deserto, non solo figurato, che
viene portante e concorre a simboleggiare
domina la scena di questa Manon
il deserto morale che gravita nell’animo
Lescaut. Deserto costante che tutto
della protagonista e nei fatti della vicenda.
fa emergere e tutto inghiotte. Così le sceLa regia di Chiara Muti appare un po’pone firmate da Carlo Centolavigna – che
co convincente per quel suo essere troppo
con la straordinaria voce di Anna Netrebcinematografica e mancando soprattutto,
ko nel ruolo della protagonista, sono siper un titolo come questo e
curamente la parte minonostante i ben 50 giorni
gliore di questo allestidi prove, di quel minimo di
mento - si muovono e si
fantasia, di lettura interiore
compongono su questa
dei personaggi, capace di
coltre desertica. Così anfarla divenire un’opera
che la stanza di Manon
d’arte.
nel secondo atto, sembra
A fronte di questo, grande
guardare a quella sabbia,
interpretazione c’è da attenmetafora ricercata dallo
dersi dal soprano russo
scenografo per sottolinea43enne Anna Netrebko al
re il vuoto interiore che
suo debutto in questo ruolo
nel palazzo di Geronte la
della Manon pucciniana.
protagonista sta vivendo,
Sembra, infatti, aver perceaccettando la soluzione di
pito ed assimilato complecomodo e reprimendo per
tamente ed alla perfezione
questo lo spontaneo, saluil personaggio. Mai imbatare e vivo fuoco delrazzata, ricorda la Kabail’amore provato per il giowansca con quel dosaggio
vane Des Grieux.
perfetto della maliziosità di
L’allestimento è di per se
Carlo Lepore (Geronte),
sobrio e non ricerca sensa- Anna Netrebko (Manon Lescaut) donna con l’innocenza della
bambina, apparendo ne imzionalismi, non sposta matura e ne ammaliatrice. Ricordiamo
diremmo “finalmente”! – la vicenda dal
che Manon, secondo il libretto del romansuo tempo. Tutto si svolge, come da libretzo di Prévost è una ragazza di 15 anni. E
to, nel ‘700, con costumi del ‘700. Così
la Netrebko riesce a conferire al persol’ambientazione del primo atto è con la Lonaggio l’aria sognante da bambina, aria
canda, dove la diligenza si ferma. Anche
che diviene drammatica e di donna solo
qui è sono state scelte soluzioni totalmennel 4° atto.
te teatrali, con la diligenza che entra come
Infine, è doloroso registrarlo, su questo
sagoma e citazioni che s’incastrano a forspettacolo pesa, pesante come un macimare la trama. Il secondo atto, come abgno, la minaccia di sciopero che potrebbe
biamo detto è in una stanza di Manon dofar saltare più di una recita, come succesminata da una grande vetrata affacciata
so con gli ultimi due titoli, il lago dei Cigni
sul deserto. Quando i soldati verranno per
andato in scena per la “prima” con l’acarrestarla, la vetrata, simbolo di trasparencompagnamento musicale al pianoforte
za, scomparirà e gli uomini emergeranno
al posto dell’orchestra, mentre del tutto
dalle dune. Anche la nave del terzo atto,
annullata è stata quella con il Dittico di
su cui vengono imbarcate le prostitute, è
Ravel il 30 maggio. Operazioni che certo
un modello che si staglia sul deserto, mennon fanno bene al Teatro, il cui sforzo più
tre nel quarto, aderentissimo al libretto, il
grosso ora – al di la anche dei soldi – è redeserto, da presenza ambigua, da elemencuperare credibilità, venuta a mancare
to costante, diviene protagonista, risuccon questi pareggi di bilancio sbandierati
chiando in se la vicenda ed i protagonisti,
ma frutto solo di alchimie contabili, di un
in una morte di Manon quasi catartica.
dissesto finanziario reale, di scarsa proAnche il cromatismo, grigio-sabbioso del
duttività e scioperi che paradossalmente finiscono non
Il G iornale dei G randi eventi
per amplificare le richieste,
Direttore responsabile
ma per ingigantire la cattiva
immagine che l’istituzione si
Andrea Marini
sta tirando addosso negli ultiDirezione Redazione ed Amministrazione
mi mesi. Questo, purtroppo,
Via Courmayeur, 79 - 00135 Roma
proprio in un momento di
e-mail: [email protected]
crisi, finirà per ritorcesi conEditore A. M.
tro gli stessi lavoratori, perStampa: Tipografica Renzo Palozzi
ché una cattiva immagine
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andrea Marini
stagione d’opera 2013 -2014
del teatro dell’opera di Roma
28 marzo - 8 aprile
MaoMetto II
Direttore
Regia, scene e costumi
di Gioachino Rossini
Roberto Abbado
Pier Luigi Pizzi
8 - 14 maggio
L’eLIsIR D’aMoRe
di Gaetano Donizetti
Donato Renzetti
Ruggero Cappuccio
Direttore
Regia
18 - 28 giugno
caRMen
Direttore
Regia
di Georges Bizet
Emmanuel Villaume
Emilio Sagi
4 luglio
the PRoDIgaL son
Direttore
Regia
di Benjamin Britten
James Conlon
Mario Martone
21 - 31 ottobre
RIgoLetto
di Giuseppe Verdi
Renato Palumbo
Leo Muscato
Direttore
Regia
~~
La Locandina ~ ~
Teatro Costanzi, 27 Febbraio - 8 marzo 2014
Manon Lescaut
Dramma lirico in 4 atti
Libretto di Giacomo Puccini,
con la collab. Marco Praga, Domenico Oliva,
Ruggero Leoncavallo, Luigi Illica, Giuseppe Giacosa
dal romanzo Historie du Chavalier Des Grieux et de Manon
Lescaut (1731) di Antoin-François Prévost d’Exiles
Prima rappresentazione: Torino, Teatro Regio 1. 2.1893 (Terza opera di Puccini)
Musica di Giacomo Puccini
Direttore
Regia
Maestro del coro
Scene
Costumi
Riccardo Muti
Chiara Muti
Robeto Gabbiani
Carlo Centolavigna
Alessandro Lai
Personaggi / Interpreti
Manon Lescaut (S) Anna Netrebko / Serena Farnocchia (4, 8)
Lescaut, (Bar)
Giorgio Caoduro / Francesco Landolfi (4, 8)
Il Cavaliere Renato Des Grieux (T)
Yusif Eyvazov
Geronte de Ravoir (B)
Carlo Lepore
Edmondo, studente (T)
Alessandro Liberatore
L’oste (B)
Stefano Meo
Un musico (Ms)
Roxana Constantinescu
Il maestro di ballo (T)
Andrea Giovannini
Sergente degli arcieri (B)
Gianfranco Montresor
Il lampionaio (T)
Giorgio Trucco
Il Comandante di Marina (B)
Paolo Battaglia
ORCHESTRA E CORO DEL TEATRO DELL’OPERA
Nuovo allestimento
~ ~ La Copertina ~ ~
Manon (nel terzo atto) in una illustrazione di A. Matignon
(Elaborazione grafica di Carlo Incisa di Camerana).
Il
M
anon Lescaut di
Puccini torna all’Opera di Roma
dopo sette anni dall’ultima
rappresentazione, ma soprattutto a 120 anni dal
suo debutto romano, avvenuto proprio al Costanzi, il
10 novembre 1894 diretto
da Edoardo Mascheroni.
Un titolo che fu sconsigliato a Puccini dal suo editore
3
Manon Lescaut
Giornale dei Grandi eventi
Ricordi, poiché troppo popolare nel romanzo di Prévost, ma soprattutto perché musicato da Massenet
(anche se con un libretto
leggermente diverso) dieci
anni prima. Ma il “Lucchese” fu irremovibile. Voleva
ad ogni costo quel titolo
come sua terza opera, e
questa andò per la prima
volta in scena al Regio di
Torino il 1 febbraio 1893,
quando lui aveva 35 anni,
con le scene ed i costumi di
quel genio del cartellonismo che fu Adolf Hohenstein.
La scenografia di questo
allestimento porta la firma
di Carlo Centolavigna e
scruta, forse più della regia
stessa, sul deserto morale e
sentimentale che pervade
la vicenda in generale ed i
personaggi in particolare.
Deserto, dunque, non solo
fisico come luogo di morte
e catarsi della protagonista, ma anche metafora del
vuoto interiore.
Attesa per la voce suadente del soprano russo Anna
Netrebko, la quale molto
bene è entrata nel ruolo
della protagonista che de-
Le Repliche
Domenica 2 marzo, h. 16,30
Martedì 4 marzo, h. 20,00
Giovedì 6 marzo, h. 20,00
Sabato 8 marzo, h. 18,00
butta proprio in questa occasione. Sul podio Riccardo Muti, mentre la regia è
della figlia Chiara Muti.
Il deserto interiore di Manon
Questa Manon Lescaut verrà presentata con soli due intervalli, uno tra il 1° ed il 2° atto, e l’altro tra il 2° ed il
3°. Gli ultimi due atti, poi, verranno accorpati con un solo
cambio scena.
La Trama
Nella seconda metà del XVIII secolo (1721) in Francia e poi in America
atto I - Ad Amiens - Di sera, nel piazzale di fronte ad una locanda, un
gruppo di studenti animato da Edmondo corteggia festosamente le ragazze.
Tra loro Des Grieux irride all’amore intonando una canzonetta, quando si ferma una diligenza per il cambio dei cavalli. Ne discendono Manon, il fratello
Lescaut, sergente delle Guardie Reali che la deve scortare al convento cui è
destinata ed il ricco tesoriere generale Geronte de Ravoir, il quale, viaggiando con loro, è rimasto colpito dalla bellezza della ragazza. Appena scesa, tra
Manon e Des Grieux scocca al primo sguardo, un vero coup de foudre. Il giovane si avvicina subito alla fanciulla, ma le loro prime parole sono interrotte
dal fratello di lei. Rimasto solo Des Grieux riflette sul suo turbamento. Geronte, nel frattempo progetta di rapire Manon per sposarla, chiedendo all’Oste di preparare un’altra carrozza, ma Edmondo ha carpito le sue parole e
rivela il piano all’amico Des Grieux, promettendogli aiuto.
Dopo poco Manon ritorna dal giovane il quale, dopo averla messa al corrente dei progetti di Geronte, le propone di fuggire con lui. Così, mentre
Lescaut è impegnato a giocare a carte, Edmondo fa lui preparare una carrozza su cui i due giovani salgono diretti a Parigi. Gli studenti, testimoni
della scena, irridono Geronte che vorrebbe inseguire i fuggitivi, ma Lescaut lo invita a non disperarsi, poiché sa che Manon, amante del lusso,
presto pianterà lo studente.
atto II - A Parigi, nel palazzo di Geronte – Un parrucchiere sta sistemando
l’accurata acconciatura di Manon: come aveva predetto il fratello si era presto stancata della vita misera con Des Grieux ed era divenuta l’amante di Geronte. Lescaut, passato a salutarla, nota che non è felice e rimpiange l’amore
sensuale di Des Grieux, il quale passa i suoi giorni tentando la fortuna ai tavoli da gioco. Nel frattempo entrano due musichi che intonano un madrigale durante cui Lescaut esce per andare in cerca di Des Grieux e portarlo alla
sorella. Inizia una lezione di ballo, al termine della quale Geronte esce per un
passeggiata precedendo Manon intenta a sistemarsi.
In casa entra Des Grieux: è pallido e freddo nei confronti di Manon, ma presto tra i due riscoppia la passione, portando il giovane a scordare il tradimento fra le braccia dell’amante.
I due si abbracciano, ma Geronte torna improvvisamente e, trovandoli abbracciati, con dura ironia rimprovera Manon che a sua volta lo deride. Geronte esce. Manon è felice e per il momento pensa di poter avere Des Grieux
e vivere nella bella casa di Geronte. Poco dopo giunge trafelato Lescaut, annunciando che Geronte ha denunciato Manon e dunque prospetta la necessità di fuggire. Manon riempie la mantiglia di gioielli. I tre stanno per lasciare
la casa quando giungono gli arcieri: nella confusione a Manon cadono i gioielli ed ad un cenno di Geronte viene arrestata. Des Grieux tenta di tirare fuori la spada per difenderla, ma è fermato da Lescaut.
atto III - Nel piazzale del porto di Le Havre. – Des Grieux e Lescaut aspettano che alla caserma ci sia il cambio della guardia. Lescaut tenta di corrompere un arciere, mentre Manon si affaccia ad una finestra e scambia dolci parole con l’amante. Torna Lescaut dicendo che il tentativo di comprare la guardia è stato scoperto. Nel frattempo la piazza si riempie di curiosi per l’appello che un sergente fa delle prostitute destinate ad imbarcarsi per l’America.
Queste, una ad una, escono scortate dai marinai. Fra loro c’è Manon. Des
Grieux uscendo dalla folla l’abbraccia. Il sergente tenta di portarla via ma la
gente parteggia per i due giovani. Arriva il Comandante della nave e la folla
si ritira rispettosa. Des Grieux si getta ai piedi del Comandante, implorandolo di essere imbarcato come mozzo. L’ufficiale ha un momento di esitazione,
poi concede al giovane d’imbarcarsi.
atto IV - In America. Una landa sterminata sui confini del territorio della
Nuova Orléans. – Manon e Des Grieux, laceri e stanchi, si trascinano verso il
confine. Lei si appoggia al braccio di lui, poi cade: la febbre la consuma. Chiede da bere. Des Grieux è ancora combattuto fra i diversi e forti sentimenti dell’amore e della mancanza di fiducia nella donna che l’ha tradito. Il ragazzo
cerca di allontanarsi per cercare soccorso. Intorno però c’è il nulla. Manon è a
terra mentre il cielo si oscura. Quando De Grieux torna a mani vuote, Manon
si lascia lentamente morire tra le sue braccia, mentre il giovane, piangendo,
cade su di lei.
Il
Giornale dei Grandi eventi
Manon Lescaut
5
Yusif Eyvazov
Anna Netrebko e Serena Farnocchia
Des Grieux, combattuto
tra amore
e mancanza di fiducia
Manon, colpita dall’amore
ma amante della bella vita
E
’ il tenore Yusif eyvazov a cantare nel ruolo del giovane cavaliere Des Grieux. Nato ad Algeri Yusif eyvazov
ha compiuto gli studi musicali al Conservatorio “Čaikovskij” di Mosca e da alcuni anni
si è trasferito in Italia dove si è perfezionato con Franco Corelli e
Ghena Dimitrova. Finalista e vincitore di numerosi Concorsi tra cui
l’Internazionale di Capriolo, il
Concorso Internazionale Pertile
Martinelli e il Concorso Internazionale Opera in Canto di Milano.
Si è esibito in numerosi recital e
produzioni interpretando un repertorio con titoli di Verdi (Aida, Il
trovatore, Un ballo in maschera, Macbeth), Puccini (Tosca,Turandot, Il tabarro), Bizet (Carmen) e Giordano
(Andrea Chenier).
Di particolare interesse il recente i
debutti al Teatro Bolscioj di Mosca
in Tosca come Cavaradossi e quello in Aida nel circuito estivo di
Opera Fiesole.
Anna Netrebko e Yusiv Eyvazov
Giorgio Caoduro e Francesco Landolfi
Lescaut, fratello di Manon
e complice dello spasimante
I
baritoni giorgio caoduro (27 febbraio, 2 e 6 marzo) e Francesco Landolfi (4 ed 8 marzo) si alternano nel ruolo di Lescaut, Sergente delle Guardie del Re.
giorgio caoduro è nato a Monfalcone nel 1980, studia canto
dal 1998. Nel 2000 è vincitore della 50esima edizione del concorso lirico internazionale As.Li.Co. Ha cantato i principali
ruoli baritonali e nei più prestigiosi teatri, quali Figaro (Il barbiere di Siviglia) alla Scala di Milano, all’Opera di Parigi, a
Stuttgart, a Dallas, alla Sydney Opera House; Dandini (La Cenerentola) all’Opera di Parigi. Ha recentemente preso parte alla produzione televisiva “Rigoletto a Mantova” con Placido Domingo e Zubin Metha, in mondovisione, nel ruolo di Marullo.
È stato insignito del Green Room Award di Melbourne per la
categoria Best Opera Male Principal per la sua interpretazione
di Enrico Ashton nella Lucia di Lammermoor al Melbourne State Theater. È stato pubblicato da BelAir Classic il DVD della
produzione L’Italiana in Algeri da Aix en Provence con la regia
di Toni Servillo e la direzione di Riccardo Frizza.
Francesco Landolfi, nato a Caserta nel 1977, si è diplomato in
Canto al Conservatorio Statale di Benevento. Ha partecipato a
vari corsi di perfezionamento al CUBEC di Vignola, l’Accademia Internazionale della Voce di Torino e quella della Lirica di
Sulmona e a masterclass d’interpretazione scenico-vocale. Ha
vinto numerosi concorsi lirici internazionali ed ha collaborato
con numerosi direttori d’orchestra . Tra i suoi ultimi impegni:
Nabucco al Theater di Erfurt e Tosca (Scarpia) allo Stadttheater
di Klagenfurt. Ha cantato come Alfio la scorsa estate nella Cavalleria rusticana diretta da Gaetano D’Espinosa alle Terme di
Caracalla nella stagione estiva dell’Opera di Roma.
S
ono i soprano anna netrebko (27 febbraio, 2 e 6 marzo) e serena Farnocchia (4 ed 8 marzo) a dividersi il ruolo di Manon
Lescaut.
Nata nel 1971 a Krasnodar, in Russia, anna netrebko ha studiato
canto al Conservatorio di San Pietroburgo. Nel 2007 è stata
nominata nella “Time 100 list”. Dal suo debutto al Festival
di Salisburgo nel 2002 nei panni di Donna Anna nel Don
Giovanni di Mozart, ha continuato a esibirsi con quasi tutte
le grandi compagnie del mondo. Altri ruoli interpretati Mimì ne La bohème di Puccini; Violetta ne La traviata di Verdi;
Giulietta ne I Capuleti e i Montecchi di Bellini; il ruolo principale in Manon di Massenet e Juliette in Roméo et Juliette di
Gounod. Nel 2007 ha cantato una serenata al regista Martin
Scorsese nel Trentesimo “Kennedy Center Honors”, trasmissione della CBS, e l’anno successivo alla BBC al fianco
di Andrea Bocelli.
A Settembre 2013 è entrata nella storia come il primo soprano a essere stata protagonista in tre prime consecutive al Metropolitan.
Molti i premi, tra i quali le nomination ai Grammy per la sua
registrazione di Violetta e Russian Album; nel 2008 quella del
Musical America come Musicista dell’anno e molti altri riconoscimenti internazionali. Nel 2005 è stata premiata con il
Russian State Prize dal Presidente Vladimir Putin che nel
2008 le ha conferito il titolo di Artista del popolo della Russia.
Nata a Pietrasanta, serena Farnocchia è uno dei soprani più interessanti della sua generazione. Ha cantato in teatri di rilievo quali
la Scala, l’Opera di Roma, Festival Pucciniano di Torre del Lago,
Regio di Torino, La Fenice di Venezia. Il suo repertorio include personaggi come Mimi nella Bohème, il ruolo del titolo in Manon Lescaut, Cio-Cio-San in Madama Butterfly, Desdemona nell’Otello,
Amelia nel Simon Boccanegra, il ruolo del titolo in Anna Bolena. Ha
inaugurato la stagione 2013/14 del Petruzzelli di Bari nel personaggio del titolo in Anna Bolena. Fra i suoi prossimi impegni La bohème (Mimì), Don Giovanni (Donna Anna) , Don Giovanni (Donna Elvira), Simon Boccanegra (Amelia, Madama Butterfly (Cio-Cio-San), Il
viaggio a Reims (Madama Cortese).
Carlo Lepore
L’anziano Geronte,
terzo incomodo
con poche speranze
I
l ruolo del tesoriere generale Geronte de Ravoir è affidato al basso
carlo Lepore. carlo Lepore si è esibito nei più importanti Teatri e
Festival. Interprete di ruoli come Mustafà ne L’Italiana in Algeri
(Dresda, Torino, Colonia, Liegi), Selim ne Il Turco in Italia (Roma, Genova, Torino), Basilio e Bartolo ne Il barbiere di Siviglia (Palermo, Dresda, Parigi, Madrid), Magnifico ne La Cenerentola (La Scala di Milano,
Buenos Aires), Faraone in Mosè in Egitto (Montecarlo) e tanti altri. Il
suo repertorio include inoltre La bohème, La Sonnambula, Don Pasquale, L’elisir d’amore, ma anche moltissime opere barocche.
Ha debuttato al Teatro Regio di Parma come protagonista in Falstaff,
riprendendolo poi al Teatro Petruzzelli di Bari, con la regia di Luca
Ronconi e ne La forza del destino (Melitone) e ha preso parte al film di
Andrea Andermann Cenerentola, una favola in diretta, con la regia di
Carlo Verdone per RAI1 e trasmesso in oltre quaranta paesi.
Tra le incisioni Nina, o sia la pazza per amore di Paisiello su libretto di
Giovanni Battista Lorenzi diretto da Riccardo Muti (Ricordi).
Pagina a cura di Tina Alfieri
Manon Lescaut
6
Il
Giornale dei Grandi eventi
Storia dell’opera
Una genesi complessa per la terza opera pucciniana
M
anon Lescaut andò in scena al Teatro Regio di Torino il 1 febbraio 1893, esattamente otto giorni prima del Falstaff di Verdi alla Scala.
Non è certo casuale. L’editore Giulio Ricordi ci vedeva lungo: fu lui
che individuò nel giovane compositore lucchese il successore del
“Cigno di Busseto”, l’erede che
avrebbe preso il testimone ed aperto una nuova epoca del melodramma italiano. Ci credeva fermamente, contro il parere di gran parte dei
suoi soci, anche dopo la tiepida accoglienza data all’Edgar, a Milano
nell’aprile 1889.
Il rapido avvicendarsi delle due
“prime” fu calcolato, preparato e
annunciato nei minimi dettagli:
certo, per Manon si cambiò palcoscenico per rispetto a Verdi e, soprattutto, per non sfidare la comprensibile diffidenza del pubblico
scaligero, ancora fresco di delusione per l’opera pucciniana di
quattro anni prima. E la si allestì
prima del Falstaff per darle il giusto rilievo.
Il cast era formato da Cesira Ferrani nel ruolo della protagonista (sarebbe stata anche la prima Mimì),
Giuseppe Cremonini in quello di
Des Grieux, Achille Moro nei panni di Lescaut e Alessandro Polonini come Geronte. Sul podio Alessandro Pomè. Il lungimirante editore fu premiato da un successo
trionfale: Puccini fu chiamato sulla
ribalta almeno trenta volte, la critica fu entusiasta, il pubblico pure e
la tradizione musicale italiana era,
a ben vedere, sana e salva. «Il Puccini – scriveva Colombani su Il Corriere della Sera – è veramente un genio
italiano. Il suo canto è quello del nostro
paganesimo, del nostro sensualismo
artistico».
un “parto” difficile
Ma quante amarezze per Puccini
prima di arrivare al successo con
Manon! Le lettere datate 1890 che il
compositore scrisse al fratello Michele, emigrato in Argentina dove
morirà nel 1891, testimoniano una
situazione difficile, una vita assillata da debiti e preoccupazioni, che
non gli facevano chiudere occhio.
Manon Lescaut faceva parte di questi tormentati pensieri. E’ nota infatti la genesi assai complessa dell’opera, a partire dalla stesura del
libretto, che passò attraverso molte
mani: così tante, che alla fine venne
presentato come anonimo. Senza
contare che sul titolo pesava il confronto con l’opera omonima (o
quasi – quella era solo Manon) di
Julies Massenet, andata in scena
con esito straordinario a Parigi nel
1884 e tratta dalla identica fonte, il
romanzo libertino L’historie du Chevalier Des Grieux e de Manon Lescaut
dell’abate Prévost (1732), episodio
conclusivo del ciclo Mémoires et
aventures d’un homme de qualitè. Un
rapporto con l’originale francese di
Prevost e giustificarne le eventuali
distanze. In realtà, le differenze
con Prévost sono parecchie, a partire dalla semplificazione estrema
della trama e dei personaggi e con
l’omissione di alcune complesse
tessiture psicologiche che arricchi-
Marco Praga (1862-1929) uno degli
autori del Libretto della Manon
pucciniana (Parma, Collezione R. Rosati)
Cesira Ferrari, prima interprete di
Manon al Regio di Torino (1893)
lavoro che aveva riscosso grande
entusiasmo all’epoca e anche dopo, prova ne siano i numerosi
adattamenti teatrali che si avvicendarono nel corso dell’Ottocento.
La storia originale è ambientata
nella Francia della reggenza e racconta della travolgente passione di
un giovane di buona famiglia (Des
Grieux) per una ragazza di umili
origini (Manon), amante di lusso e
ricchezze. Puccini la voleva a tutti i
costi, Massenet o non Massenet.
Ricordi non era della stessa idea. E’
vero, l’editore non era riuscito a
portare a termine le trattative con
Victorien Sardou per la sua Tosca
(bisognerà aspettare il 1900) e con
la proposta alternativa, un soggetto ambientato in Russia (per il libretto era già individuato Giuseppe Giacosa), non aveva convinto il
compositore. Ma proprio Manon?
Dopo l’intramontabile esempio di
Massenet, questa decisione era,
senza alcun dubbio, un rischio.
«Una donna come Manon può avere
più di un amante!», aveva risposto
Puccini a Ricordi. E comunque, la
sua sarebbe stata un’opera di «passione disperata», totalmente diversa,
nello spirito, dalla «cipria e minuetti» dell’ “ingombrante” musicista
francese. Così si diede un gran da
fare per evitare di ripetere Massenet: antepose al libretto una premessa (forse voluta proprio da Ricordi, per tutelarsi) per chiarire il
vano il romanzo: Puccini scarifica,
si avvale anche di “ellissi” temporali, puntando i riflettori sul personaggio di Manon.
Il libretto
Problematica la stesura del libretto, che si prolungò ben oltre la
“Prima” dello spettacolo.
Pare che il primo a dare a Puccini
il suggerimento di trarre un’opera dal romanzo di Prévost sia stato il commediografo Marco Praga
(figlio del poeta scapigliato Emilio), ma altri dicono il contrario,
cioè che fu Puccini a proporlo a
Praga, andandolo a scovare al
Caffè Savini mentre giocava a carte con Boito. La data dovrebbe essere 1890, o tardo 1889. In realtà,
c’è anche una lettera di Ferdinando Fontana (sfortunato autore del
libretto dell’Edgar) datata 1885 quindi ben 5 anni prima - in cui il
librettista accenna a Manon e all’impasto elegante e tragico che
ne sarebbe emerso con la musica.
Poi, ad intricare la situazione è
anche il ruolo di Ruggero Leoncavallo, di cui non è sicuro quando
entrò (e uscì) nel lavoro. Il compositore napoletano aveva da poco (luglio 1889) un contratto con
Ricordi per comporre i Medici e
l’editore aveva sperato di trovare
in lui pure un valido sostegno per
Puccini, sullo stile Verdi/Boito.
Ma Puccini non era mai contento:
una prima versione del libretto fu
respinta, tanto da indurre Praga a
ritirarsi, non d’accordo sull’assetto logico-consequenziale degli avvenimenti voluta dal compositore
(derivata, in primis, dall’abolizione del secondo atto, la vita a due
dei giovani protagonisti). Oliva
invece continuò, tagliando, modificando, riscrivendo, ora assecondando le “artistiche” turbolenze,
ora cercando di contestarle.
Ma nel 1891 il testimone passò
definitivamente a Luigi Illica (il
futuro librettista di Tosca), che,
insieme a Ricordi e allo stesso
Puccini, diede, più o meno, l’assetto definitivo al lavoro. Anche
se - e questo è curioso - il 1° novembre 1923 – siamo 30 anni dopo la “Prima” - Puccini scrisse a
Giuseppe Adami, altro suo fedele
collaboratore (autore dei libretti
de la Rondine, Il Tabarro, Turandot)
chiedendogli di modificare l’aria
di Manon al IV atto. Insomma,
mancava solo un anno alla sua
morte e ancora le titubanze ed i ripensamenti non mancavano.
composta tra la svizzera,
Lucca e torre del Lago
Puccini, amante della tranquillità,
chiese a Leoncavallo di indicargli
un luogo, lontano dalla «orribile
Milano» dove risiedeva dai primi
anni ’80, in cui potesse ritirarsi per
comporre. Così, dall’estate 1890 si
ritrovò a Vacallo, vicino a Chiasso,
dove si era trasferito anche il compositore napoletano, intento alla
stesura di Pagliacci. Questo sulla
porta del suo chalet, di fronte a
quello di Puccini, aveva appeso
una tela con un pagliaccio. Per tutta risposta, il toscano mise davanti
alla propria abitazione un disegno
con una grande mano, una “manona”. I due poi, per non disturbarsi a vicenda, si misero d’accordo sugli orari di lavoro: Leoncavallo scrivendo di giorno, Puccini
di notte. La composizione dell’opera proseguì quindi a Lucca, a
Milano, infine a Torre del Lago,
dove il compositore si stabilì a partire dai primi del 1892.
Puccini aveva calcolato un anno
di lavoro, ma per completare Manon ce ne vollero tre: l’opera fu
conclusa nell’ottobre 1892. Quattro mesi dopo era in scena al Regio di Torino, con sacrificio della
Wally di Catalani. Del resto, la dittatura degli impresari era cosa
nota e Puccini rappresentava, al
momento, l’astro nascente.
Barbara catellani
Il
Giornale dei Grandi eventi
Manon Lescaut
7
Analisi Musicale
Manon Lescaut, il Tristano italiano
I
n una particolare classifica relativa alle “annate d’oro” del teatro
italiano, il 1893 dovrebbe
essere sicuramente posizionato sul podio.
Il 1° febbraio di quell’anno, infatti il Regio di Torino ospitò Manon Lescaut di Puccini. Otto
giorni dopo, il 9 febbraio,
la Scala proponeva la
prima assoluta del Falstaff verdiano. Nel giro
di una settimana si realizzava un ideale passaggio di consegne fra il
grande vecchio del teatro italiano e l’astro
emergente, che si affiancava ad un altro giovane
di talento, Mascagni, già
esploso tre anni prima
con Cavalleria rusticana.
Nello stesso 1893, in ottobre, al Teatro Carcano
di Milano, approdava in
Italia la Manon di Massenet (affidata per la messa
in scena a Ruggero Leoncavallo, che fu anche tra i
collaboratori di Puccini
per la sua Manon), in realtà composta e rappresentata quasi dieci anni
prima, il 19 gennaio 1884
all’ Opéra-Comique di
Parigi.
I salti narrativi
pucciniani per
allontanarsi da Massenet
Se l’artista francese si era
avvicinato al romanzo di
Prevost nella maturità,
per Puccini questo testo
costituì l’autentico lancio, la prima opera in cui
poté esprimere davvero
in maniera quasi compiuta il proprio talento.
Di musicista, certamente; di uomo di teatro, in
realtà, in maniera ancora
non completa. I pregi indiscutibili
dell’opera
stanno, infatti, tutti nella
partitura. Il Puccini
“drammaturgo” si rivelerà in tutta la sua genialità solo con Bohéme. Qui,
evidentemente preoccupato, insieme alla sua
nutrita schiera di librettisti, di non passare per un
imitatore di Massenet,
aggroviglia e complica
la trama, con salti narrativi che rendono il tutto
poco coerente e compresentazione: “Manon
prensibile.
Lescaut mi chiamo”. Tema
«Per fortuna - si diceva che nel corso dell’opera
c’è la musica». E Puccini
muta, si sviluppa diverspande lirismo a piene
samente pur rimanendo
mani, assume toni tristase stesso. Ma è interesniani nell’esaltazione di
sante la sua trasformaun amore impossibile,
zione “cromatica” che
rende omaggio
al Settecento più
garbato e malizioso, canta disinvolto e fremente. Si pensi
nel I° atto a
“Donna non vidi
mai” intonata da
Des Grieux, nel
primo duetto
Des Grieux e
Manon, trasportata una terza
sopra una maggiore lucentezza. Il tenore innamorato si era
presentato poco
prima con “Tra
voi, belle, brune e
bionde”, un’arietta garbata e brillante, che richiama alla mente il
“Catalogo” mo- Manon Lescaut in una stmpina ottocentesca
zartiano del Don
Giovanni. Più avanti Pucrende appieno nel IV° atcini regala a Des Grieux
to il senso di sfinimento
pagine di forte tensione
della protagonista; opemotiva, facendone un
pure la sua apparizione
innamorato senza speimprovvisa nel II° al moranza. Così, nel II° atto,
mento dell’arrivo di Des
c’è la disperazione in
Grieux, a preannunciare
“Ah Manon mi tradisce”,
la tragedia che sta per
nel III°, un’atmosfera fuabbattersi.
nebre anima “L’ansia
L’uso di temi ricorrenti
eterna” e quando il giorimanda naturalmente a
vane si rivolge all’amata
Wagner. Era impossibile,
dietro le sbarre, Puccini
allora, per un giovane
recupera un tema dai
compositore europeo
Crisantemi un suo Quarnon rapportarsi con il
tetto d’archi di particolateatro del grande tedere intensità espressiva.
sco. Puccini proprio in
L’altra grande aria di
Manon Lescaut pagò il
Des Grieux arriva verso
suo maggior tributo al
la fine del III° atto (“Ah
genio germanico, prima
non v’avvicinate!”) e ridi sterzare (con Bohéme)
manda al “Suicidio” delverso altri lidi (come la
la Gioconda di Ponchielli.
musica francese). A portarlo verso Wagner, oltre
Il tema dell’amore
alla “moda europea”,
impossibile
anche il tema dell’amore
impossibile. Non a caso
A Manon (come sarebbe
Manon Lescaut è stata depoi accaduto alla protafinita il «Tristano italiagonista in Bohéme con
no»: «Un Tristano istintivo
quel “Mi chiamano Mi– scrisse Fedele D’Amico
mì”) Puccini attribuisce
– non problematico, senza
una sorta di Leitmotiv riimplicazioni cosmiche, formato ridotto; precisamente
cavato dall’inflessione
quel tipo di Tristano che
della frase verbale di
l’opera italiana poteva produrre. Ossia una cosa irripetibile, un unicum: e garantito da una violenza inventiva che Puccini, con
tutte le sue perfezioni di
poi, non avrebbe ritrovato
mai più».
In questa visione,
si delinea anche
il trattamento del
personaggio centrale Manon, che
sin dall’inizio appare come una
fanciulla priva di
certezze e futuro,
una vittima. Non
certo la piccola
“coquette”
di
Prevost che rimanda a ben altre donne del teatro musicale successivo (su tutte
la Lulu di Berg,
capace di mandare in rovina
chiunque le si avvicini). In questo
tratto caratteriale
sta un atteggiamento tipico anche del Puccini
futuro: la sua vocazione a trasformare le
sue protagoniste (anche
quelle moralmente più
discutibili) in eroine, vittime spesso delle situazioni, indotte a sbagliare
dagli eventi e dagli altri.
Sarà così, ad esempio,
anche per Mimì.
Questo spiega anche la
mancanza in Manon Lescaut di un “atto d’amore” come ci si attenderebbe in un musicista come Puccini, così sensibile al sentimentalismo.
Lo spazio per la frivolezza e la leggerezza è limitato: si pensi al “madrigale” e alla scena del
“minuetto” del II° atto
(lo stesso in cui compare
una delle arie più famose “In quelle trine morbide”), mezzi musicali e
drammaturgici per creare un’atmosfera di forte
contrasto. Incombe, invece, il senso della tragedia sui due innamorati,
consci di vivere una passione irrisolvibile come i
loro “antenati”, Tristano
e Isotta.
Le accensioni “tristania-
ne” si avvertono fin dalla prima scena d’amore
del secondo atto (“Vieni
colle tue braccia, stringi
Manon che t’ama”) in cui
Puccini cita l’accordo di
Tristano e usa intensi
cromatismi. E a Wagner
rimanda ancora l’intermezzo orchestrale tra II°
e III° atto.
Vale la pena segnalare
ancora due momenti importanti dell’opera. Il
primo è il coro dell’imbarco che ha in sé una
forza espressiva straordinaria. Puccini riesce a
creare un crescendo di
tensione lavorando su
diversi piani narrativi: il
popolo di Le Havre che
schernisce e insulta le
prostitute in procinto di
partire per l’America,
Lescaut che aizza la folla
contro i soldati, il sergente che fa l’appello
delle ragazze, Manon e
Des Grieux che vivono
con disperazione il momento della partenza:
una delle scene corali
più geniali di Puccini. E,
infine, l’atto finale, un
unico, lungo, interminabile duetto di morte.
Non succede più nulla,
perché Manon è condannata da tempo, ma Puccini ne celebra la morte
(e la catarsi attraverso la
morte) in una pagina di
estrema desolazione e di
toccante umanità. «Sola,
perduta, abbandonata»,
canta Manon in un lamento senza fine, in un
languire melodico che si
sviluppa per l’intera
scena, sostenuto da Puccini con armonie lugubri, con andamenti cromatici (la sensualità ancora in primo piano).
E’ un’agonia lenta e travolgente quella di Manon, così come sarà rapida e sorprendente
quella di Mimì, tre anni
dopo. In entrambi i casi,
con mezzi differenti,
Puccini ottiene lo scopo
di commuovere e di celebrare le proprie, piccole, affascinanti donnine,
come se fossero regine
d’altri tempi.
Roberto Iovino
8
Manon Lescaut
Il
Giornale dei Grandi eventi
La collaborazione tra Puccini ed
La genialità di un cartellonista da Liberty
I
n quel periodo magico per la produzione
musicale italiana che
fu la seconda metà
dell’800 e l’inizio del
‘900, l’editore musicale
Giulio Ricordi, tra i più
attivi e lungimiranti, mise a disposizione dei
compositori della propria “scuderia” servizi
all’avanguardia per il
periodo, come ad esempio un settore grafico
destinato a curare scene
e costumi, ma soprattut-
to l’immagine, con cartoline e manifesti, delle
nuove opere.
Nel 1889, dopo nove anni che lavorava a La Scala come scenografo e costumista inizia a lavorare per le Officine Grafiche Ricordi Adolf Hohenstein che firmerà alcuni dei disegni più belli ed eleganti, non solo
della Casa Musicale, ma
anche della cartellonistica pubblicitaria del periodo. Per la Ricordi lavorò intensamente, illustrando le opere di Verdi, Puccini, Catalani,
tanto per indicarne alcuni.
Con Puccini Hohenstein
ebbe un rapporto molto
intenso, lavorando fin
dalla sua seconda opera
teatrale, l’Edgard. Proprio da Giulio Ricordi
ricevette il comando per
ideare il manifesto, la
copertina, il libretto ma
soprattutto i figurini per
l’allestimento di quest’opera che andò in scena al Teatro alla Scala il
21 aprile 1889.
E’ in questi disegni dei
costumi di scena, più
che nel manifesto o li-
bretto, risultanti ancora
didascalici, che Hohenstein concentrò la sua attenzione e con grande
originalità ritrasse individui e non solo manichini con vesti colorate.
Erano vere e proprie
persone che lui raffigurava nell’atto di camminare o di fermarsi, improvvisamente, oppure
per accennare un inchino. Essi compivano
sempre un’azione: non
c’era in loro staticità o rigidità, ma movimento. I
loro corpi erano vivi,
sotto i ricchi costumi che
l’artista metteva loro indosso, s’intravedevano
le forme. Nonostante
ciò, l’opera non ottenne
il successo sperato, ma
Giulio Ricordi continuò
a sostenere il 30enne
Giacomo Puccini, certo
di riuscire a portarlo all’affermazione.
realizzare gli abiti di
scena.
Hohenstein oltre a far
muovere i suoi figurini,
amava anche caratterizzarli con fisionomie ben
precise.
Manon
La Bohéme
Siamo nel 1892. Puccini
si appresta a portare in
scena al Regio di Torino
la Manon Lescault, la
quale questa volta il
1febbraio 1893sarà accolta da un successo di
pubblico. Quando il critico teatrale, Marco Praga che stava collaborando nella stesura di questo libretto, gli fece notare che avrebbe dovuto
affrontare il confronto
con la fortunata opera di
Massenet, Puccini rispose: «Lui la sentirà alla
francese, con cipria e i minuetti. Io la sentirò all’italiana, con passione disperata».
Hohenstein
disegnò
oramai con una certa
maestria e velocità, cinquantasette figurini originali e quattro tavole di
attrezzeria. Tornarono i
suoi personaggi “viventi”. Difficile dimenticare
il figurino della Manon,
che riccamente vestita
con un abito rosa e bianco, con merletti e un
grande fiocco rosso a
chiudere la mantellina,
si osservava con civetteria allo specchio, prima
di recarsi ad un ricevimento per esibirsi nel
canto e nel ballo. Oppure Geronte, il banchiere,
ricco ma vecchio che
sperava nella compagnia della bella giovane:
l’artista lo raffigurò pensieroso mentre guardava verso il basso con
spada al fianco e occhiali in mano. Nuovamente
qui Hohenstein diede
prova della sua delicatezza e velocità nell’uso
dell’acquarello, tecnica
che permise di evidenziare, attraverso piccoli
tocchi e guizzi di colore,
la ricchezza dell’abito di
Geronte, elementi utilissimi poi alle sarte per
Nella Bohéme, per esempio, proposta in scena
nel 1896, il pittore realizzò sessanta figurini, anche se alla fine tra tutti,
quelli risultati più singolari, furono tre “comparse”: un borghese,
uno studente e un venditore, le cui fisionomie
erano, ironicamente e
non casualmente, quelle
dello stesso Puccini e
dei due librettisti, Illica e
Giacosa. Curioso che
l’artista volesse affermare, oltre che la sua innata dote per il disegno e il
colore, anche la sua originalità nel giocare
scherzosamente con i
personaggi a lui contemporanei, creatori e
collaboratori dell’opera
stessa. Sembra essersi
quasi ispirato agli artisti
rinascimentali che negli
affreschi, nei dipinti a
tema religioso o profano, amavano inserire il
proprio autoritratto o
quello di amici e colleghi, se non del committente. Vezzi d’artista.
Per la parte grafica dell’opera invece, Hohenstein
questa
volta scelse di
recarsi a Parigi
per ispirarsi, in
quel periodo di
art nouveau, alle
creazioni
francesi per i
manifesti delle
opere teatrali.
Sicuramente
rimase colpito
dal
grande
maestro grafico, Jules Chèret, da cui riprese il dinamismo, l’integrazione tra
l’immagine e la
scritta, ma soprattutto l’idea
di disegnare le
figure che sembravano
scavalcare il piano del
manifesto. Questo fu
ben visibile nel progetto
finale del cartellone della Bohéme, anche perché
quello precedente (Manon Lescaut), pur presentando una certa originalità e pur essendo stato
lodato da Giulio Ricordi, era stato ideato rettangolare ed aveva trovato non pochi problemi nella ricerca degli
spazi per affiggerlo.
Non dimentichiamo lo
splendido bozzetto per
la scenografia che Ho-
Il
Manon Lescaut
Giornale dei Grandi eventi
9
il grande illustratore Adolf Hohenstein
e Déco al servizio del mondo dell’Opera
henstein disegnò per
questa opera pucciniana: è una notte stellata,
su una piazza si affacciano case colorate, illuminate da lanterne appese ai muri che rimandano a un gioco di ombre e luci. Tutte le stanze
sono illuminate, possiamo immaginare la vita
familiare all’interno, ma
ciò che maggiormente
colpisce è una splendida
prospettiva che sottolinea la profondità della
scena attraverso due
stradine che snodandosi
lungo i palazzi, si perdono nel buio.
La collaborazione con
Giacomo Puccini e Giulio Ricordi proseguì con
la fortunata Tosca. E’ il
14 gennaio 1900, l’alba
del nuovo secolo.
Nella rappresentazione
di Tosca, per Puccini, la
scenografia rivestì un
peso ancora più importante. Dopo svariate
esperienze, aveva compreso che prima di misurarsi realmente con le
esigenze del teatro di regia, doveva studiare lo
spettacolo in tutte le sue
componenti. Così Puccini non avrebbe potuto
immaginare dei bozzetti
migliori che quelli preparati da Adolf Hohen-
stein. Parliamo dei due
interni,
Sant’Andrea
della Valle e la sala di
Palazzo Farnese, ma soprattutto l’ariosa piattaforma finale di Castel
Sant’Angelo che lega
indissolubilmente la vicenda a Roma ed alla
sua particolare atmosfera: uno sfondo connotato con le campane che
intonano il mattutino, il
suono del flauto del pastorello,
spargendo
un’ironia tragica sull’epilogo della vicenda.
Per questo, non possiamo tralasciare la locandina sempre eseguita
da Hohenstein, che raffigurava il momento
centrale dell’opera, l’assassinio del perfido
Scarpia. Lei, bellissima,
fasciata in un meraviglioso vestito di seta, si
china per posare con
pietà un crocifisso sul
corpo esanime dell’uomo che ha ucciso. Hohenstein che sempre ha
amato il colore e i giochi di luce, qui approfondì
ulteriormente
quest’interesse.
Due
candelieri affiancano il
corpo del barone capo
della Polizia, la luce
delle candele si aggancia a tutte le intonazioni
di quel bianco caldo che
quasi sembra oro, ma
che soprattutto contrasta con il rosso violento
che fa da fondo alla triste scena. Sotto la scritta
“Tosca”, l’invito ad accedere al teatro.
Madama Butterfly
Nel 1904 compì per il
compositore l’ultimo
manifesto, quello per la
Madama Butterfly che fu
forse il più grande gioco di luci e ombre in cui
l’artista sperimentò la
sua maestria, tornando
al formato orizzontale.
Cio-Cio-San sta per
compiere il gesto estremo, Hohenstein la raffigurò nell’oscurità, nel
buio, monito di morte
che sta per rapirla; lei,
in un vano ed ultimo
anelito, allunga un
braccio per carezzare
per l’ultima volta il figlio, raffigurato invece,
più lontano, in un cono
di calda luce, seduto con
una bandierina americana in mano, bendato per
non guardare verso la
mamma, mentre solo un
tappeto di dolci petali
rosa li unisce. Due mondi, due culture lontane
che l’artista rese con
un’infinita e coinvolgente commozione.
Hohenstein non fu il più
grande scenografo e
grafico di quel tempo,
ma certamente, se oggi
ci recassimo all’archivio
Ricordi, potremmo ammirare il meraviglioso
percorso che ha visto
nelle sue opere, siamo
essi manifesti, locandine, bozzetti o figurini,
un graduale distacco dagli schemi più accademici per giungere a
quelli più maturi, densi
della sua grande personalità e abilità. Ciò fu
permesso anche grazie
all’intenso e solidale
rapporto con il grande
compositore Giacomo
Puccini e l’editore musicale Giulio Ricordi.
claudia Lancellotti
Adolf Hohenstein
A
dolf Hohenstein nacque a San Pietroburgo il 18 marzo del 1854 da genitori tedeschi. La famiglia si spostò
subito a Vienna, dove lui crebbe e studiò.
Scelse la strada dell’arte e qui, frequentando l’accademia delle belle arti, iniziò a realizzare i primi dipinti che rappresentavano
la città e dintorni. Compì numerosi viaggi,
anche in India, dove decorò palazzi di nobili locali e in Siam in cui ritrasse molti
principi e lo stesso Re.
Nel 1879, giunse in Italia e scelse di stabilirsi a Milano, che nello stato appena unificato, si proponeva come capitale economica, industriale e di cultura.
Qui collaborò come costumista e scenografo con la Scala e altri teatri. L’ambiente lo portò a conoscere importanti compositori, tra cui lo stesso Puccini
che sarà poi la sua fortuna. La fama salì alle stelle in seguito all’incontro con
l’editore musicale Giulio Ricordi: nel 1889 Hohenstein iniziò a lavorare per le
Officine Grafiche Ricordi e vista la sua competenza, assunse poi il ruolo di direttore artistico. Adolf Hohenstein è considerato oggi uno dei primi padri del
cartellonismo pubblicitario italiano.
Curò diverse campagne, come quella della Campari, della Buitoni, del Corriere della Sera e molte altre che rimangono ancora oggi nella memoria collettiva, magari se non per il nome, per le eleganti immagini.
La sua competenza di grafico, disegnatore e pittore, si distinse ancor più nella parte teatrale: progettò scenografie, disegnò bozzetti per spartiti e libretti e
dipinse delicati figurini per i costumi di scena di molte opere di diversi musicisti. Per le opere di Puccini lavorò a Le Villi, Edgar, Bohème, Tosca, Manon Lescaut e Madama Butterfly, non trascurando però contemporaneamente lavori
musicali di altri compositori, come Wagner, Verdi, Mascagni e altri.
Fu’ un lavoro continuo, intenso che durò per quasi venti anni. Nei primi anni del ‘900 sposò la vedova Edwig Plaskuda e dopo aver assiduamente lavorato in Italia, si recò spesso in Germania, finché non si stabilì definitivamente
a Bonn nel 1918. Nell’ultimo periodo della sua vita, Hohenstein tornò al suo
amore iniziale, la pittura. Partecipò a diverse esposizioni e decorò numerosi
locali ed edifici tra cui uno, in Renania, forse il più famoso, progettato dall’architetto Richard Bauer, nell’allora avvenieristico cemento armato, purtroppo andato poi distrutto nel 1970. Morì a Bonn il 12 aprile 1928.
c. L.
Manon Lescaut
10
Il
Giornale dei Grandi eventi
Scandali e fortune del libro alla base del libretto di Manon
Un romanzo sul mistero della femminilità
«L
’eroe è un mascalzone, e l’eroina una
donnaccia», questo fu il giudizio
decisamente tranchant di Montesquieu, dopo aver letto il romanzo L’Histoire du chevalier Des Grieux et de Manon
Lescaut, dell’inquieto Abate Prévost. Quando il libro fu pubblicato per la prima volta,
in Olanda nel 1731, fu subito bandito, ma al
contempo divenne molto popolare, anche
grazie alle copie clandestine che circolavano con ampia diffusione. Sebbene in una
delle edizioni successive, quella definitiva
del 1753, Prévost avesse attenuato alcuni
aspetti ritenuti scandalosi e introdotto
maggiori considerazioni moralistiche, Manon Lescaut, vista con gli occhi del Settecento, risultava quella che si direbbe una
rovina famiglie, una donna leggera e pericolosa. Tuttavia l’eroina uscita dalla penna
dell’Abate, è anche il simbolo, l’archetipo
di quella capacità umana di abbandonarsi
alla passione, al senso irrazionale più dolce
e struggente, di consegnarsi all’amore che
consuma, senza pudori, censure, razionalità. La rovina di Manon nasce dal fatto di
non saper scegliere fra l’attrazione verso la
ricchezza ed il benessere da un lato e, dall’altro, il calore della passione amorosa con
i sentimenti più veri. Un anelito verso l’assoluto, una fame di vita che le fa desiderare non solo le deliranti dichiarazioni
d’amore del bel cavaliere des Grieux, ma
anche gli orecchini d’oro del vecchio Geronte de Ravoir, tesoriere generale. Manon
incarna quella dimensione femminile che
da sempre sfugge al maschio: «misteriosa e
imperscrutabile come una sfinge e incantatrice
come una sirena», per dirla con de Musset.
L’ambiguità del personaggio è anche quella che si ritrova nella magistrale scrittura
dell’autore, il quale riuscì a descrivere una
vicenda - in sé abbastanza misera – innalzandola con un’aura di nobiltà e con mira-
La tomba di Prévost
bile semplicità classica, tale da portare ad
una difficile condanna dei protagonisti da
parte del lettore.
Per Prévost, infatti, la passione non è qualcosa d’immorale. Nello scontro tra il mondo delle regole, del pudore e della rispettabilità, l’autore assolve senza troppi complimenti quei “diritti del cuore” che la società
si affanna a limitare e reprimere. Se la visione dell’amore di Prévost, per la sua intensità, è paragonabile a quella di Racine
(per il quale l’amore era “la” passione tragica per eccellenza) tuttavia essa è priva di
quel senso di colpa e di quel pessimismo
profondo che, a quest’ultimo, derivavano
dalla formazione giansenista.
Nonostante Manon Lescaut sia un piccolo
romanzo, di poche pagine, subito si impose per la sua impostazione rivoluzionaria e
per l’originalità della scrittura.
La voce narrante nel romanzo è, appunto,
quella di des Griuex: questa strategia narrativa offre al lettore il solo punto di vista
maschile sulla seducente fanciulla. Tutta-
via, al contrario di quanto spesso accade
quando l’uomo tenta di capire il mistero
della femminilità, la visione del narratore è
ricca di sensibilità e sfumature, ben lontana
da qualsiasi rozzo schematismo, segno di
quella grande confidenza che lo stesso autore aveva con la rarefatta materia sentimentale. La narrazione in prima persona fa
sì che Manon rimanga avvolta nel segreto e
nel mistero, tanto da non essere nemmeno
descritta fisicamente. La scrittura è rapida,
quasi sbrigativa, ma estremamente raffinata e scorrevole e, all’essenzialità delle descrizioni, è capace di unire un coinvolgente
afflato patetico. Una citazione, più delle altre, riassume la filosofia di vita di Prévost:
“Nel modo in cui siamo creati, è certo che la felicità consiste nel piacere; sfido chiunque a formarsene un’altra idea; e dunque il cuore non ha
bisogno di scrutare a lungo le proprie inclinazioni per sentire che, di tutti i piaceri, il più soave è quello dell’amore”.
andrea cionci
L’autore del romanzo
Antoine François Prévost,
abate inquieto e donnaiolo
L
a veridicità dei sentimenti descritti nel romanzo è
diretta esperienza dell’autore. Scrittore, storico e
traduttore, Antoine François Prévost, condusse
un’esistenza irrequieta e ambigua - non ancora del tutto
indagata dagli studiosi - che costituì la prima fonte di
ispirazione della sua originale opera narrativa.
Più noto con il titolo ecclesiastico di Abbé (abate) Prévost, nacque a Hesdin, presso Artois, nel 1697 in una
buona famiglia borghese. E’ anche noto con l’ironico predicato nobiliare di “d’Exiles” che lui stesso si aggiunse a
causa del suo interminabile peregrinare.
Figlio del procuratore del Re d’Hesdin, fu avviato alla
carriera ecclesiastica già da scolaro presso i gesuiti di La
Flèche e Rouen, prima di arruolarsi come soldato nell’armata francese, tra le cui file rimase fino al 1711. Insofferente alla disciplina, smanioso di libertà, trovò nell’effervescente atmosfera parigina della Reggenza un ambiente congeniale che lo segnò profondamente. Insoddisfatto
dalla vita militare, iniziò un noviziato presso i benedettini, per poi fuggire in Olanda. In
quel periodo fece l’insegnante, il predicatore, s’impegnò in lavori di erudizione. Nel 1721
tornò volontariamente alla vita religiosa e, negli otto anni trascorsi in convento, Prévost
scoprì la propria vocazione di scrittore, producendo un’opera erudita (Gallia Christiana) e
i primi quattro (dei sette) volumi delle Mémoires et aventures d’un homme de qualité, pubblicati anonimi nel 1728. Dopo aver abbandonato il monastero senza permesso, inseguito
da un ordine di cattura, fuggì a Londra, esperienza che gli permise di acquisire una grande conoscenza della cultura anglosassone.
Nel 1729, uno scandalo amoroso lo costrinse a recarsi in Olanda dove iniziò una relazione con un’avventuriera di nome Elena Eckhardt. Nel 1731 e 1732, a Utrecht, diede alle
stampe i tomi I e IV del Filosofo inglese. Nel frattempo, si concentrò sulla pubblicazione del
seguito in tre volumi delle Mémoires et aventures d’un homme de qualité, dei quali l’ultimo
è, appunto, dell’Histoire du chevalier des Grieux et de Manon Lescaut, forse ispirato ad una
personale avventura. Nel 1736, divenne l’elemosiniere del principe di Bourbon-Conti che
accettò di proteggerlo. Prevost pubblicherà ancora altri romanzi, tra cui Il Decano di Killerine (1735–‘40) e Storia d’una Greca moderna (1740). Trascorse i suoi ultimi anni tra Parigi e
Saint Firmin, vicino Chantilly, morendo nel 1763 di un colpo apoplettico nella foresta di
Chantilly, di ritorno da una visita ai benedettini di Saint-Nicolas-d’Acy.
a. c.
Il
Giornale dei Grandi eventi
Manon Lescaut
11
Le differenze tra le due Manon
Donna colpevole in Massenet,
vittima degli eventi in Puccini
«L
ui la sentirà alla francese, con la cipria e i minuetti. Io la sentirò all’italiana con passione disperata».
Puccini scrisse così a Marco Praga quando insieme iniziarono a
progettare Manon Lescaut. «Lui»,
naturalmente, era Jules Massenet la cui Manon costituiva per il
giovane lucchese motivo di preoccupazione non trascurabile:
l’opera (che sarebbe sbarcata in
Italia proprio nello stesso 1893)
riscuoteva successi a livello europeo ed aveva consacrato l’autore musicista di prima grandezza. Entrambe le opere si ispirano al romanzo Les aventures du
chevalier des Grieux et de Manon
Lescaut pubblicato nel 1731, settimo e ultimo volume dei Memoires d’un homme de qualité dell’abate Antoine-François Prevost (1697 - 1763). Lo stesso Prevost ne curò poi una revisione
nel 1753, intitolata Histoire du
chevalier des Grieux et de Manon
Lescaut.
Il romanzo è, probabilmente, almeno in parte, autobiografico.
Prevost ebbe vita avventurosa:
novizio gesuita, poi uomo d’arme, poi benedettino ed infine,
dopo altre peripezie, definitivamente uomo di Chiesa.
Al di là dei suoi valori letterari,
il lavoro di Prevost è stato considerato l’apripista di un genere
di romanzo psicologico e moralistico che nella letteratura francese ebbe una certa fortuna nell’Ottocento.
Questo probabilmente spiega il
successo che il personaggio di
Manon incontrò presso i musicisti. Prima di Massenet lo avevano già affrontato Fromental Halevy in un balletto del 1830 e soprattutto Auber in un’opéra-comique del 1856.
La Manon di Massenet
Le origini della Manon massenetiana risalgono al 1881. Il librettista Meilhac su commissione di
Carvalho, direttore dell’OpéraComique, aveva proposto al
musicista il libretto di una Phoebé che Massenet aveva rifiutato,
optando invece per Manon. Il
giorno dopo, secondo la testimonianza di Massenet, i due si
sarebbero rincontrati ad un caffè e Meilhac gli avrebbe fatto
trovare sotto il tovagliolo i due
primi atti.
La Manon di Massenet è ben diversa da quella dell’abate Prevost. Nel romanzo, Des Grieux è
una figura cinica, il suo rapporto con Manon può dirsi “paritetico”.
Nell’opera, invece, il male sta
tutto dalla parte della donna.
Des Grieux è un giovane nobile
perdutamente innamorato, le
cui uniche colpe sono colpe
d’amore. Con un esemplare lavoro di sforbiciatura, il librettista Henry Meilhac (autore, con
Halevy, di molti testi per Offenbach oltre che di Carmen per Bizet) coadiuvato da Philippe Gille, sfrondò le situazioni, semplificò la vicenda, puntò essenzialmente sul carattere di Manon,
una creatura egoista per la quale gli amanti non sono che un
mezzo per esaudire i propri capricci.
Personaggio sventurato e portatore di sventure, dunque, nel
quale Des Grieux si perde, sognante, appassionato. E con lui,
Massenet che risparmiò alla sua
eroina la morte nel deserto della
Louisiana secondo il destino assegnatole da Prevost (e seguito
da Puccini), facendola morire
sulla strada di Le Havre.
Le differenze
tra le due opere
Nell’epilogo e nel trattamento
del personaggio femminile centrale si riscontrano significative
differenze fra le due letture di
Massenet e di Puccini.
Con il personaggio di Manon si
apre la galleria pucciniana di
donnine angelicate. Manon, Mimì, Ciociosan sono prima di tutto “vittime”, se sbagliano (e le
prime due di errori ne
commettono) lo fanno
non per malanimo, ma
perché costrette dal destino, dalla situazione,
dagli altri. L’analisi psicologica dei personaggi,
dunque, diverge dandoci una interpretazione
dell’intera vicenda assai
differente.
Le due opere sono in
quattro atti. Ma fortemente differente appare
il terzo. In Massenet, Des
Grieux si fa abate e Manon lo va a incontrare (e
a sedurre) nel Seminario
di San Sulpizio da dove
ci si sposta, con un contrasto ambientale assai
marcato, in una casa da
gioco dove il ragazzo
viene arrestato; in Puccini l’azione avviene direttamente a Le Havre all’imbarco.
Diverso, come si è detto,
anche l’epilogo. Entrambi i lavori si chiudono
con un appassionato duetto fra
Des Grieux e Manon. Ma Massenet lo colloca a Le Havre nella
strada che porta la sventurata a
imbarcarsi insieme alle prostitute; Puccini ambienta il duetto
nel deserto americano di New
Orleans con un effetto drammaturgico interessante: l’isolamento della coppia è ancor più profondo, geografico, il loro dolore
e il loro amore si chiudono in
una terra lontana in un estremo,
ultimo tentativo di fuga.
Differenze musicali
Diverge, anche, la struttura musicale. Il lavoro di Massenet è
nella forma dell’opéra-comique,
dunque nella struttura tipicamente francese che prevedeva
parti musicali e parti recitate in
prosa. Le parti recitate sono sostenute dall’orchestra secondo
la forma del melologo, il che
conferisce una notevole compattezza musicale alla partitura.
Puccini mantiene invece la tipica struttura italiana, interamente musicale.
Va riconosciuto, infine, un punto di contatto fra i due autori, riscontrabile non solo nelle due
Manon, ma in tutto il loro repertorio: la vena lirica, raffinata e
sempre impreziosita da un sostegno armonico e orchestrale di
prim’ordine. Qualità che ha assicurato ai due artisti la popolarità immensa di cui hanno goduto in vita e continuano a godere ancora oggi.
Roberto Iovino