anno XX - numero 16 - 27 febbraio 2014 Questo allestimento Un deserto dominante, tra tante prove e minacce di scioperi A Pag. 2 La Storia dell’Opera Una genesi complessa per la terza opera pucciniana A Pag. 6 L’Analisi Musicale La Manon Lesacaut, considerata il Tristano italiano A Pag. 7 Adolf Hoenstein Il rapporto con Puccini del grande ed elegante illustratore e bozzettista A Pag. 8e9 Le due Manon Confronto tra l’opera di Massenet e quella di Puccini A Pag. 11 Manon Lescaut di Giacomo Puccini Manon Lescaut 2 Il Giornale dei Grandi eventi Questo allestimento di Manon Lescaut Un deserto dominante, tra tante prove e minacce di scioperi E deserto, nei costumi di Alessandro Lai, di’ un deserto, non solo figurato, che viene portante e concorre a simboleggiare domina la scena di questa Manon il deserto morale che gravita nell’animo Lescaut. Deserto costante che tutto della protagonista e nei fatti della vicenda. fa emergere e tutto inghiotte. Così le sceLa regia di Chiara Muti appare un po’pone firmate da Carlo Centolavigna – che co convincente per quel suo essere troppo con la straordinaria voce di Anna Netrebcinematografica e mancando soprattutto, ko nel ruolo della protagonista, sono siper un titolo come questo e curamente la parte minonostante i ben 50 giorni gliore di questo allestidi prove, di quel minimo di mento - si muovono e si fantasia, di lettura interiore compongono su questa dei personaggi, capace di coltre desertica. Così anfarla divenire un’opera che la stanza di Manon d’arte. nel secondo atto, sembra A fronte di questo, grande guardare a quella sabbia, interpretazione c’è da attenmetafora ricercata dallo dersi dal soprano russo scenografo per sottolinea43enne Anna Netrebko al re il vuoto interiore che suo debutto in questo ruolo nel palazzo di Geronte la della Manon pucciniana. protagonista sta vivendo, Sembra, infatti, aver perceaccettando la soluzione di pito ed assimilato complecomodo e reprimendo per tamente ed alla perfezione questo lo spontaneo, saluil personaggio. Mai imbatare e vivo fuoco delrazzata, ricorda la Kabail’amore provato per il giowansca con quel dosaggio vane Des Grieux. perfetto della maliziosità di L’allestimento è di per se Carlo Lepore (Geronte), sobrio e non ricerca sensa- Anna Netrebko (Manon Lescaut) donna con l’innocenza della bambina, apparendo ne imzionalismi, non sposta matura e ne ammaliatrice. Ricordiamo diremmo “finalmente”! – la vicenda dal che Manon, secondo il libretto del romansuo tempo. Tutto si svolge, come da libretzo di Prévost è una ragazza di 15 anni. E to, nel ‘700, con costumi del ‘700. Così la Netrebko riesce a conferire al persol’ambientazione del primo atto è con la Lonaggio l’aria sognante da bambina, aria canda, dove la diligenza si ferma. Anche che diviene drammatica e di donna solo qui è sono state scelte soluzioni totalmennel 4° atto. te teatrali, con la diligenza che entra come Infine, è doloroso registrarlo, su questo sagoma e citazioni che s’incastrano a forspettacolo pesa, pesante come un macimare la trama. Il secondo atto, come abgno, la minaccia di sciopero che potrebbe biamo detto è in una stanza di Manon dofar saltare più di una recita, come succesminata da una grande vetrata affacciata so con gli ultimi due titoli, il lago dei Cigni sul deserto. Quando i soldati verranno per andato in scena per la “prima” con l’acarrestarla, la vetrata, simbolo di trasparencompagnamento musicale al pianoforte za, scomparirà e gli uomini emergeranno al posto dell’orchestra, mentre del tutto dalle dune. Anche la nave del terzo atto, annullata è stata quella con il Dittico di su cui vengono imbarcate le prostitute, è Ravel il 30 maggio. Operazioni che certo un modello che si staglia sul deserto, mennon fanno bene al Teatro, il cui sforzo più tre nel quarto, aderentissimo al libretto, il grosso ora – al di la anche dei soldi – è redeserto, da presenza ambigua, da elemencuperare credibilità, venuta a mancare to costante, diviene protagonista, risuccon questi pareggi di bilancio sbandierati chiando in se la vicenda ed i protagonisti, ma frutto solo di alchimie contabili, di un in una morte di Manon quasi catartica. dissesto finanziario reale, di scarsa proAnche il cromatismo, grigio-sabbioso del duttività e scioperi che paradossalmente finiscono non Il G iornale dei G randi eventi per amplificare le richieste, Direttore responsabile ma per ingigantire la cattiva immagine che l’istituzione si Andrea Marini sta tirando addosso negli ultiDirezione Redazione ed Amministrazione mi mesi. Questo, purtroppo, Via Courmayeur, 79 - 00135 Roma proprio in un momento di e-mail: [email protected] crisi, finirà per ritorcesi conEditore A. M. tro gli stessi lavoratori, perStampa: Tipografica Renzo Palozzi ché una cattiva immagine Via Vecchia di Grottaferrata, 4 - 00047 Marino (Roma) dell’Opera di Roma non riRegistrazione al Tribunale di Roma n. 277 del 31-5-1995 chiamerà, ma anzi allontane© Tutto il contenuto del Giornale è coperto da diritto d’autore rà risorse private, ormai sempre più indispensabili per la Visitate il nostro sito internet sopravvivenza del Teatro. www.ilgiornalegrandieventi.it dove potrete leggere e scaricare i numeri del giornale andrea Marini stagione d’opera 2013 -2014 del teatro dell’opera di Roma 28 marzo - 8 aprile MaoMetto II Direttore Regia, scene e costumi di Gioachino Rossini Roberto Abbado Pier Luigi Pizzi 8 - 14 maggio L’eLIsIR D’aMoRe di Gaetano Donizetti Donato Renzetti Ruggero Cappuccio Direttore Regia 18 - 28 giugno caRMen Direttore Regia di Georges Bizet Emmanuel Villaume Emilio Sagi 4 luglio the PRoDIgaL son Direttore Regia di Benjamin Britten James Conlon Mario Martone 21 - 31 ottobre RIgoLetto di Giuseppe Verdi Renato Palumbo Leo Muscato Direttore Regia ~~ La Locandina ~ ~ Teatro Costanzi, 27 Febbraio - 8 marzo 2014 Manon Lescaut Dramma lirico in 4 atti Libretto di Giacomo Puccini, con la collab. Marco Praga, Domenico Oliva, Ruggero Leoncavallo, Luigi Illica, Giuseppe Giacosa dal romanzo Historie du Chavalier Des Grieux et de Manon Lescaut (1731) di Antoin-François Prévost d’Exiles Prima rappresentazione: Torino, Teatro Regio 1. 2.1893 (Terza opera di Puccini) Musica di Giacomo Puccini Direttore Regia Maestro del coro Scene Costumi Riccardo Muti Chiara Muti Robeto Gabbiani Carlo Centolavigna Alessandro Lai Personaggi / Interpreti Manon Lescaut (S) Anna Netrebko / Serena Farnocchia (4, 8) Lescaut, (Bar) Giorgio Caoduro / Francesco Landolfi (4, 8) Il Cavaliere Renato Des Grieux (T) Yusif Eyvazov Geronte de Ravoir (B) Carlo Lepore Edmondo, studente (T) Alessandro Liberatore L’oste (B) Stefano Meo Un musico (Ms) Roxana Constantinescu Il maestro di ballo (T) Andrea Giovannini Sergente degli arcieri (B) Gianfranco Montresor Il lampionaio (T) Giorgio Trucco Il Comandante di Marina (B) Paolo Battaglia ORCHESTRA E CORO DEL TEATRO DELL’OPERA Nuovo allestimento ~ ~ La Copertina ~ ~ Manon (nel terzo atto) in una illustrazione di A. Matignon (Elaborazione grafica di Carlo Incisa di Camerana). Il M anon Lescaut di Puccini torna all’Opera di Roma dopo sette anni dall’ultima rappresentazione, ma soprattutto a 120 anni dal suo debutto romano, avvenuto proprio al Costanzi, il 10 novembre 1894 diretto da Edoardo Mascheroni. Un titolo che fu sconsigliato a Puccini dal suo editore 3 Manon Lescaut Giornale dei Grandi eventi Ricordi, poiché troppo popolare nel romanzo di Prévost, ma soprattutto perché musicato da Massenet (anche se con un libretto leggermente diverso) dieci anni prima. Ma il “Lucchese” fu irremovibile. Voleva ad ogni costo quel titolo come sua terza opera, e questa andò per la prima volta in scena al Regio di Torino il 1 febbraio 1893, quando lui aveva 35 anni, con le scene ed i costumi di quel genio del cartellonismo che fu Adolf Hohenstein. La scenografia di questo allestimento porta la firma di Carlo Centolavigna e scruta, forse più della regia stessa, sul deserto morale e sentimentale che pervade la vicenda in generale ed i personaggi in particolare. Deserto, dunque, non solo fisico come luogo di morte e catarsi della protagonista, ma anche metafora del vuoto interiore. Attesa per la voce suadente del soprano russo Anna Netrebko, la quale molto bene è entrata nel ruolo della protagonista che de- Le Repliche Domenica 2 marzo, h. 16,30 Martedì 4 marzo, h. 20,00 Giovedì 6 marzo, h. 20,00 Sabato 8 marzo, h. 18,00 butta proprio in questa occasione. Sul podio Riccardo Muti, mentre la regia è della figlia Chiara Muti. Il deserto interiore di Manon Questa Manon Lescaut verrà presentata con soli due intervalli, uno tra il 1° ed il 2° atto, e l’altro tra il 2° ed il 3°. Gli ultimi due atti, poi, verranno accorpati con un solo cambio scena. La Trama Nella seconda metà del XVIII secolo (1721) in Francia e poi in America atto I - Ad Amiens - Di sera, nel piazzale di fronte ad una locanda, un gruppo di studenti animato da Edmondo corteggia festosamente le ragazze. Tra loro Des Grieux irride all’amore intonando una canzonetta, quando si ferma una diligenza per il cambio dei cavalli. Ne discendono Manon, il fratello Lescaut, sergente delle Guardie Reali che la deve scortare al convento cui è destinata ed il ricco tesoriere generale Geronte de Ravoir, il quale, viaggiando con loro, è rimasto colpito dalla bellezza della ragazza. Appena scesa, tra Manon e Des Grieux scocca al primo sguardo, un vero coup de foudre. Il giovane si avvicina subito alla fanciulla, ma le loro prime parole sono interrotte dal fratello di lei. Rimasto solo Des Grieux riflette sul suo turbamento. Geronte, nel frattempo progetta di rapire Manon per sposarla, chiedendo all’Oste di preparare un’altra carrozza, ma Edmondo ha carpito le sue parole e rivela il piano all’amico Des Grieux, promettendogli aiuto. Dopo poco Manon ritorna dal giovane il quale, dopo averla messa al corrente dei progetti di Geronte, le propone di fuggire con lui. Così, mentre Lescaut è impegnato a giocare a carte, Edmondo fa lui preparare una carrozza su cui i due giovani salgono diretti a Parigi. Gli studenti, testimoni della scena, irridono Geronte che vorrebbe inseguire i fuggitivi, ma Lescaut lo invita a non disperarsi, poiché sa che Manon, amante del lusso, presto pianterà lo studente. atto II - A Parigi, nel palazzo di Geronte – Un parrucchiere sta sistemando l’accurata acconciatura di Manon: come aveva predetto il fratello si era presto stancata della vita misera con Des Grieux ed era divenuta l’amante di Geronte. Lescaut, passato a salutarla, nota che non è felice e rimpiange l’amore sensuale di Des Grieux, il quale passa i suoi giorni tentando la fortuna ai tavoli da gioco. Nel frattempo entrano due musichi che intonano un madrigale durante cui Lescaut esce per andare in cerca di Des Grieux e portarlo alla sorella. Inizia una lezione di ballo, al termine della quale Geronte esce per un passeggiata precedendo Manon intenta a sistemarsi. In casa entra Des Grieux: è pallido e freddo nei confronti di Manon, ma presto tra i due riscoppia la passione, portando il giovane a scordare il tradimento fra le braccia dell’amante. I due si abbracciano, ma Geronte torna improvvisamente e, trovandoli abbracciati, con dura ironia rimprovera Manon che a sua volta lo deride. Geronte esce. Manon è felice e per il momento pensa di poter avere Des Grieux e vivere nella bella casa di Geronte. Poco dopo giunge trafelato Lescaut, annunciando che Geronte ha denunciato Manon e dunque prospetta la necessità di fuggire. Manon riempie la mantiglia di gioielli. I tre stanno per lasciare la casa quando giungono gli arcieri: nella confusione a Manon cadono i gioielli ed ad un cenno di Geronte viene arrestata. Des Grieux tenta di tirare fuori la spada per difenderla, ma è fermato da Lescaut. atto III - Nel piazzale del porto di Le Havre. – Des Grieux e Lescaut aspettano che alla caserma ci sia il cambio della guardia. Lescaut tenta di corrompere un arciere, mentre Manon si affaccia ad una finestra e scambia dolci parole con l’amante. Torna Lescaut dicendo che il tentativo di comprare la guardia è stato scoperto. Nel frattempo la piazza si riempie di curiosi per l’appello che un sergente fa delle prostitute destinate ad imbarcarsi per l’America. Queste, una ad una, escono scortate dai marinai. Fra loro c’è Manon. Des Grieux uscendo dalla folla l’abbraccia. Il sergente tenta di portarla via ma la gente parteggia per i due giovani. Arriva il Comandante della nave e la folla si ritira rispettosa. Des Grieux si getta ai piedi del Comandante, implorandolo di essere imbarcato come mozzo. L’ufficiale ha un momento di esitazione, poi concede al giovane d’imbarcarsi. atto IV - In America. Una landa sterminata sui confini del territorio della Nuova Orléans. – Manon e Des Grieux, laceri e stanchi, si trascinano verso il confine. Lei si appoggia al braccio di lui, poi cade: la febbre la consuma. Chiede da bere. Des Grieux è ancora combattuto fra i diversi e forti sentimenti dell’amore e della mancanza di fiducia nella donna che l’ha tradito. Il ragazzo cerca di allontanarsi per cercare soccorso. Intorno però c’è il nulla. Manon è a terra mentre il cielo si oscura. Quando De Grieux torna a mani vuote, Manon si lascia lentamente morire tra le sue braccia, mentre il giovane, piangendo, cade su di lei. Il Giornale dei Grandi eventi Manon Lescaut 5 Yusif Eyvazov Anna Netrebko e Serena Farnocchia Des Grieux, combattuto tra amore e mancanza di fiducia Manon, colpita dall’amore ma amante della bella vita E ’ il tenore Yusif eyvazov a cantare nel ruolo del giovane cavaliere Des Grieux. Nato ad Algeri Yusif eyvazov ha compiuto gli studi musicali al Conservatorio “Čaikovskij” di Mosca e da alcuni anni si è trasferito in Italia dove si è perfezionato con Franco Corelli e Ghena Dimitrova. Finalista e vincitore di numerosi Concorsi tra cui l’Internazionale di Capriolo, il Concorso Internazionale Pertile Martinelli e il Concorso Internazionale Opera in Canto di Milano. Si è esibito in numerosi recital e produzioni interpretando un repertorio con titoli di Verdi (Aida, Il trovatore, Un ballo in maschera, Macbeth), Puccini (Tosca,Turandot, Il tabarro), Bizet (Carmen) e Giordano (Andrea Chenier). Di particolare interesse il recente i debutti al Teatro Bolscioj di Mosca in Tosca come Cavaradossi e quello in Aida nel circuito estivo di Opera Fiesole. Anna Netrebko e Yusiv Eyvazov Giorgio Caoduro e Francesco Landolfi Lescaut, fratello di Manon e complice dello spasimante I baritoni giorgio caoduro (27 febbraio, 2 e 6 marzo) e Francesco Landolfi (4 ed 8 marzo) si alternano nel ruolo di Lescaut, Sergente delle Guardie del Re. giorgio caoduro è nato a Monfalcone nel 1980, studia canto dal 1998. Nel 2000 è vincitore della 50esima edizione del concorso lirico internazionale As.Li.Co. Ha cantato i principali ruoli baritonali e nei più prestigiosi teatri, quali Figaro (Il barbiere di Siviglia) alla Scala di Milano, all’Opera di Parigi, a Stuttgart, a Dallas, alla Sydney Opera House; Dandini (La Cenerentola) all’Opera di Parigi. Ha recentemente preso parte alla produzione televisiva “Rigoletto a Mantova” con Placido Domingo e Zubin Metha, in mondovisione, nel ruolo di Marullo. È stato insignito del Green Room Award di Melbourne per la categoria Best Opera Male Principal per la sua interpretazione di Enrico Ashton nella Lucia di Lammermoor al Melbourne State Theater. È stato pubblicato da BelAir Classic il DVD della produzione L’Italiana in Algeri da Aix en Provence con la regia di Toni Servillo e la direzione di Riccardo Frizza. Francesco Landolfi, nato a Caserta nel 1977, si è diplomato in Canto al Conservatorio Statale di Benevento. Ha partecipato a vari corsi di perfezionamento al CUBEC di Vignola, l’Accademia Internazionale della Voce di Torino e quella della Lirica di Sulmona e a masterclass d’interpretazione scenico-vocale. Ha vinto numerosi concorsi lirici internazionali ed ha collaborato con numerosi direttori d’orchestra . Tra i suoi ultimi impegni: Nabucco al Theater di Erfurt e Tosca (Scarpia) allo Stadttheater di Klagenfurt. Ha cantato come Alfio la scorsa estate nella Cavalleria rusticana diretta da Gaetano D’Espinosa alle Terme di Caracalla nella stagione estiva dell’Opera di Roma. S ono i soprano anna netrebko (27 febbraio, 2 e 6 marzo) e serena Farnocchia (4 ed 8 marzo) a dividersi il ruolo di Manon Lescaut. Nata nel 1971 a Krasnodar, in Russia, anna netrebko ha studiato canto al Conservatorio di San Pietroburgo. Nel 2007 è stata nominata nella “Time 100 list”. Dal suo debutto al Festival di Salisburgo nel 2002 nei panni di Donna Anna nel Don Giovanni di Mozart, ha continuato a esibirsi con quasi tutte le grandi compagnie del mondo. Altri ruoli interpretati Mimì ne La bohème di Puccini; Violetta ne La traviata di Verdi; Giulietta ne I Capuleti e i Montecchi di Bellini; il ruolo principale in Manon di Massenet e Juliette in Roméo et Juliette di Gounod. Nel 2007 ha cantato una serenata al regista Martin Scorsese nel Trentesimo “Kennedy Center Honors”, trasmissione della CBS, e l’anno successivo alla BBC al fianco di Andrea Bocelli. A Settembre 2013 è entrata nella storia come il primo soprano a essere stata protagonista in tre prime consecutive al Metropolitan. Molti i premi, tra i quali le nomination ai Grammy per la sua registrazione di Violetta e Russian Album; nel 2008 quella del Musical America come Musicista dell’anno e molti altri riconoscimenti internazionali. Nel 2005 è stata premiata con il Russian State Prize dal Presidente Vladimir Putin che nel 2008 le ha conferito il titolo di Artista del popolo della Russia. Nata a Pietrasanta, serena Farnocchia è uno dei soprani più interessanti della sua generazione. Ha cantato in teatri di rilievo quali la Scala, l’Opera di Roma, Festival Pucciniano di Torre del Lago, Regio di Torino, La Fenice di Venezia. Il suo repertorio include personaggi come Mimi nella Bohème, il ruolo del titolo in Manon Lescaut, Cio-Cio-San in Madama Butterfly, Desdemona nell’Otello, Amelia nel Simon Boccanegra, il ruolo del titolo in Anna Bolena. Ha inaugurato la stagione 2013/14 del Petruzzelli di Bari nel personaggio del titolo in Anna Bolena. Fra i suoi prossimi impegni La bohème (Mimì), Don Giovanni (Donna Anna) , Don Giovanni (Donna Elvira), Simon Boccanegra (Amelia, Madama Butterfly (Cio-Cio-San), Il viaggio a Reims (Madama Cortese). Carlo Lepore L’anziano Geronte, terzo incomodo con poche speranze I l ruolo del tesoriere generale Geronte de Ravoir è affidato al basso carlo Lepore. carlo Lepore si è esibito nei più importanti Teatri e Festival. Interprete di ruoli come Mustafà ne L’Italiana in Algeri (Dresda, Torino, Colonia, Liegi), Selim ne Il Turco in Italia (Roma, Genova, Torino), Basilio e Bartolo ne Il barbiere di Siviglia (Palermo, Dresda, Parigi, Madrid), Magnifico ne La Cenerentola (La Scala di Milano, Buenos Aires), Faraone in Mosè in Egitto (Montecarlo) e tanti altri. Il suo repertorio include inoltre La bohème, La Sonnambula, Don Pasquale, L’elisir d’amore, ma anche moltissime opere barocche. Ha debuttato al Teatro Regio di Parma come protagonista in Falstaff, riprendendolo poi al Teatro Petruzzelli di Bari, con la regia di Luca Ronconi e ne La forza del destino (Melitone) e ha preso parte al film di Andrea Andermann Cenerentola, una favola in diretta, con la regia di Carlo Verdone per RAI1 e trasmesso in oltre quaranta paesi. Tra le incisioni Nina, o sia la pazza per amore di Paisiello su libretto di Giovanni Battista Lorenzi diretto da Riccardo Muti (Ricordi). Pagina a cura di Tina Alfieri Manon Lescaut 6 Il Giornale dei Grandi eventi Storia dell’opera Una genesi complessa per la terza opera pucciniana M anon Lescaut andò in scena al Teatro Regio di Torino il 1 febbraio 1893, esattamente otto giorni prima del Falstaff di Verdi alla Scala. Non è certo casuale. L’editore Giulio Ricordi ci vedeva lungo: fu lui che individuò nel giovane compositore lucchese il successore del “Cigno di Busseto”, l’erede che avrebbe preso il testimone ed aperto una nuova epoca del melodramma italiano. Ci credeva fermamente, contro il parere di gran parte dei suoi soci, anche dopo la tiepida accoglienza data all’Edgar, a Milano nell’aprile 1889. Il rapido avvicendarsi delle due “prime” fu calcolato, preparato e annunciato nei minimi dettagli: certo, per Manon si cambiò palcoscenico per rispetto a Verdi e, soprattutto, per non sfidare la comprensibile diffidenza del pubblico scaligero, ancora fresco di delusione per l’opera pucciniana di quattro anni prima. E la si allestì prima del Falstaff per darle il giusto rilievo. Il cast era formato da Cesira Ferrani nel ruolo della protagonista (sarebbe stata anche la prima Mimì), Giuseppe Cremonini in quello di Des Grieux, Achille Moro nei panni di Lescaut e Alessandro Polonini come Geronte. Sul podio Alessandro Pomè. Il lungimirante editore fu premiato da un successo trionfale: Puccini fu chiamato sulla ribalta almeno trenta volte, la critica fu entusiasta, il pubblico pure e la tradizione musicale italiana era, a ben vedere, sana e salva. «Il Puccini – scriveva Colombani su Il Corriere della Sera – è veramente un genio italiano. Il suo canto è quello del nostro paganesimo, del nostro sensualismo artistico». un “parto” difficile Ma quante amarezze per Puccini prima di arrivare al successo con Manon! Le lettere datate 1890 che il compositore scrisse al fratello Michele, emigrato in Argentina dove morirà nel 1891, testimoniano una situazione difficile, una vita assillata da debiti e preoccupazioni, che non gli facevano chiudere occhio. Manon Lescaut faceva parte di questi tormentati pensieri. E’ nota infatti la genesi assai complessa dell’opera, a partire dalla stesura del libretto, che passò attraverso molte mani: così tante, che alla fine venne presentato come anonimo. Senza contare che sul titolo pesava il confronto con l’opera omonima (o quasi – quella era solo Manon) di Julies Massenet, andata in scena con esito straordinario a Parigi nel 1884 e tratta dalla identica fonte, il romanzo libertino L’historie du Chevalier Des Grieux e de Manon Lescaut dell’abate Prévost (1732), episodio conclusivo del ciclo Mémoires et aventures d’un homme de qualitè. Un rapporto con l’originale francese di Prevost e giustificarne le eventuali distanze. In realtà, le differenze con Prévost sono parecchie, a partire dalla semplificazione estrema della trama e dei personaggi e con l’omissione di alcune complesse tessiture psicologiche che arricchi- Marco Praga (1862-1929) uno degli autori del Libretto della Manon pucciniana (Parma, Collezione R. Rosati) Cesira Ferrari, prima interprete di Manon al Regio di Torino (1893) lavoro che aveva riscosso grande entusiasmo all’epoca e anche dopo, prova ne siano i numerosi adattamenti teatrali che si avvicendarono nel corso dell’Ottocento. La storia originale è ambientata nella Francia della reggenza e racconta della travolgente passione di un giovane di buona famiglia (Des Grieux) per una ragazza di umili origini (Manon), amante di lusso e ricchezze. Puccini la voleva a tutti i costi, Massenet o non Massenet. Ricordi non era della stessa idea. E’ vero, l’editore non era riuscito a portare a termine le trattative con Victorien Sardou per la sua Tosca (bisognerà aspettare il 1900) e con la proposta alternativa, un soggetto ambientato in Russia (per il libretto era già individuato Giuseppe Giacosa), non aveva convinto il compositore. Ma proprio Manon? Dopo l’intramontabile esempio di Massenet, questa decisione era, senza alcun dubbio, un rischio. «Una donna come Manon può avere più di un amante!», aveva risposto Puccini a Ricordi. E comunque, la sua sarebbe stata un’opera di «passione disperata», totalmente diversa, nello spirito, dalla «cipria e minuetti» dell’ “ingombrante” musicista francese. Così si diede un gran da fare per evitare di ripetere Massenet: antepose al libretto una premessa (forse voluta proprio da Ricordi, per tutelarsi) per chiarire il vano il romanzo: Puccini scarifica, si avvale anche di “ellissi” temporali, puntando i riflettori sul personaggio di Manon. Il libretto Problematica la stesura del libretto, che si prolungò ben oltre la “Prima” dello spettacolo. Pare che il primo a dare a Puccini il suggerimento di trarre un’opera dal romanzo di Prévost sia stato il commediografo Marco Praga (figlio del poeta scapigliato Emilio), ma altri dicono il contrario, cioè che fu Puccini a proporlo a Praga, andandolo a scovare al Caffè Savini mentre giocava a carte con Boito. La data dovrebbe essere 1890, o tardo 1889. In realtà, c’è anche una lettera di Ferdinando Fontana (sfortunato autore del libretto dell’Edgar) datata 1885 quindi ben 5 anni prima - in cui il librettista accenna a Manon e all’impasto elegante e tragico che ne sarebbe emerso con la musica. Poi, ad intricare la situazione è anche il ruolo di Ruggero Leoncavallo, di cui non è sicuro quando entrò (e uscì) nel lavoro. Il compositore napoletano aveva da poco (luglio 1889) un contratto con Ricordi per comporre i Medici e l’editore aveva sperato di trovare in lui pure un valido sostegno per Puccini, sullo stile Verdi/Boito. Ma Puccini non era mai contento: una prima versione del libretto fu respinta, tanto da indurre Praga a ritirarsi, non d’accordo sull’assetto logico-consequenziale degli avvenimenti voluta dal compositore (derivata, in primis, dall’abolizione del secondo atto, la vita a due dei giovani protagonisti). Oliva invece continuò, tagliando, modificando, riscrivendo, ora assecondando le “artistiche” turbolenze, ora cercando di contestarle. Ma nel 1891 il testimone passò definitivamente a Luigi Illica (il futuro librettista di Tosca), che, insieme a Ricordi e allo stesso Puccini, diede, più o meno, l’assetto definitivo al lavoro. Anche se - e questo è curioso - il 1° novembre 1923 – siamo 30 anni dopo la “Prima” - Puccini scrisse a Giuseppe Adami, altro suo fedele collaboratore (autore dei libretti de la Rondine, Il Tabarro, Turandot) chiedendogli di modificare l’aria di Manon al IV atto. Insomma, mancava solo un anno alla sua morte e ancora le titubanze ed i ripensamenti non mancavano. composta tra la svizzera, Lucca e torre del Lago Puccini, amante della tranquillità, chiese a Leoncavallo di indicargli un luogo, lontano dalla «orribile Milano» dove risiedeva dai primi anni ’80, in cui potesse ritirarsi per comporre. Così, dall’estate 1890 si ritrovò a Vacallo, vicino a Chiasso, dove si era trasferito anche il compositore napoletano, intento alla stesura di Pagliacci. Questo sulla porta del suo chalet, di fronte a quello di Puccini, aveva appeso una tela con un pagliaccio. Per tutta risposta, il toscano mise davanti alla propria abitazione un disegno con una grande mano, una “manona”. I due poi, per non disturbarsi a vicenda, si misero d’accordo sugli orari di lavoro: Leoncavallo scrivendo di giorno, Puccini di notte. La composizione dell’opera proseguì quindi a Lucca, a Milano, infine a Torre del Lago, dove il compositore si stabilì a partire dai primi del 1892. Puccini aveva calcolato un anno di lavoro, ma per completare Manon ce ne vollero tre: l’opera fu conclusa nell’ottobre 1892. Quattro mesi dopo era in scena al Regio di Torino, con sacrificio della Wally di Catalani. Del resto, la dittatura degli impresari era cosa nota e Puccini rappresentava, al momento, l’astro nascente. Barbara catellani Il Giornale dei Grandi eventi Manon Lescaut 7 Analisi Musicale Manon Lescaut, il Tristano italiano I n una particolare classifica relativa alle “annate d’oro” del teatro italiano, il 1893 dovrebbe essere sicuramente posizionato sul podio. Il 1° febbraio di quell’anno, infatti il Regio di Torino ospitò Manon Lescaut di Puccini. Otto giorni dopo, il 9 febbraio, la Scala proponeva la prima assoluta del Falstaff verdiano. Nel giro di una settimana si realizzava un ideale passaggio di consegne fra il grande vecchio del teatro italiano e l’astro emergente, che si affiancava ad un altro giovane di talento, Mascagni, già esploso tre anni prima con Cavalleria rusticana. Nello stesso 1893, in ottobre, al Teatro Carcano di Milano, approdava in Italia la Manon di Massenet (affidata per la messa in scena a Ruggero Leoncavallo, che fu anche tra i collaboratori di Puccini per la sua Manon), in realtà composta e rappresentata quasi dieci anni prima, il 19 gennaio 1884 all’ Opéra-Comique di Parigi. I salti narrativi pucciniani per allontanarsi da Massenet Se l’artista francese si era avvicinato al romanzo di Prevost nella maturità, per Puccini questo testo costituì l’autentico lancio, la prima opera in cui poté esprimere davvero in maniera quasi compiuta il proprio talento. Di musicista, certamente; di uomo di teatro, in realtà, in maniera ancora non completa. I pregi indiscutibili dell’opera stanno, infatti, tutti nella partitura. Il Puccini “drammaturgo” si rivelerà in tutta la sua genialità solo con Bohéme. Qui, evidentemente preoccupato, insieme alla sua nutrita schiera di librettisti, di non passare per un imitatore di Massenet, aggroviglia e complica la trama, con salti narrativi che rendono il tutto poco coerente e compresentazione: “Manon prensibile. Lescaut mi chiamo”. Tema «Per fortuna - si diceva che nel corso dell’opera c’è la musica». E Puccini muta, si sviluppa diverspande lirismo a piene samente pur rimanendo mani, assume toni tristase stesso. Ma è interesniani nell’esaltazione di sante la sua trasformaun amore impossibile, zione “cromatica” che rende omaggio al Settecento più garbato e malizioso, canta disinvolto e fremente. Si pensi nel I° atto a “Donna non vidi mai” intonata da Des Grieux, nel primo duetto Des Grieux e Manon, trasportata una terza sopra una maggiore lucentezza. Il tenore innamorato si era presentato poco prima con “Tra voi, belle, brune e bionde”, un’arietta garbata e brillante, che richiama alla mente il “Catalogo” mo- Manon Lescaut in una stmpina ottocentesca zartiano del Don Giovanni. Più avanti Pucrende appieno nel IV° atcini regala a Des Grieux to il senso di sfinimento pagine di forte tensione della protagonista; opemotiva, facendone un pure la sua apparizione innamorato senza speimprovvisa nel II° al moranza. Così, nel II° atto, mento dell’arrivo di Des c’è la disperazione in Grieux, a preannunciare “Ah Manon mi tradisce”, la tragedia che sta per nel III°, un’atmosfera fuabbattersi. nebre anima “L’ansia L’uso di temi ricorrenti eterna” e quando il giorimanda naturalmente a vane si rivolge all’amata Wagner. Era impossibile, dietro le sbarre, Puccini allora, per un giovane recupera un tema dai compositore europeo Crisantemi un suo Quarnon rapportarsi con il tetto d’archi di particolateatro del grande tedere intensità espressiva. sco. Puccini proprio in L’altra grande aria di Manon Lescaut pagò il Des Grieux arriva verso suo maggior tributo al la fine del III° atto (“Ah genio germanico, prima non v’avvicinate!”) e ridi sterzare (con Bohéme) manda al “Suicidio” delverso altri lidi (come la la Gioconda di Ponchielli. musica francese). A portarlo verso Wagner, oltre Il tema dell’amore alla “moda europea”, impossibile anche il tema dell’amore impossibile. Non a caso A Manon (come sarebbe Manon Lescaut è stata depoi accaduto alla protafinita il «Tristano italiagonista in Bohéme con no»: «Un Tristano istintivo quel “Mi chiamano Mi– scrisse Fedele D’Amico mì”) Puccini attribuisce – non problematico, senza una sorta di Leitmotiv riimplicazioni cosmiche, formato ridotto; precisamente cavato dall’inflessione quel tipo di Tristano che della frase verbale di l’opera italiana poteva produrre. Ossia una cosa irripetibile, un unicum: e garantito da una violenza inventiva che Puccini, con tutte le sue perfezioni di poi, non avrebbe ritrovato mai più». In questa visione, si delinea anche il trattamento del personaggio centrale Manon, che sin dall’inizio appare come una fanciulla priva di certezze e futuro, una vittima. Non certo la piccola “coquette” di Prevost che rimanda a ben altre donne del teatro musicale successivo (su tutte la Lulu di Berg, capace di mandare in rovina chiunque le si avvicini). In questo tratto caratteriale sta un atteggiamento tipico anche del Puccini futuro: la sua vocazione a trasformare le sue protagoniste (anche quelle moralmente più discutibili) in eroine, vittime spesso delle situazioni, indotte a sbagliare dagli eventi e dagli altri. Sarà così, ad esempio, anche per Mimì. Questo spiega anche la mancanza in Manon Lescaut di un “atto d’amore” come ci si attenderebbe in un musicista come Puccini, così sensibile al sentimentalismo. Lo spazio per la frivolezza e la leggerezza è limitato: si pensi al “madrigale” e alla scena del “minuetto” del II° atto (lo stesso in cui compare una delle arie più famose “In quelle trine morbide”), mezzi musicali e drammaturgici per creare un’atmosfera di forte contrasto. Incombe, invece, il senso della tragedia sui due innamorati, consci di vivere una passione irrisolvibile come i loro “antenati”, Tristano e Isotta. Le accensioni “tristania- ne” si avvertono fin dalla prima scena d’amore del secondo atto (“Vieni colle tue braccia, stringi Manon che t’ama”) in cui Puccini cita l’accordo di Tristano e usa intensi cromatismi. E a Wagner rimanda ancora l’intermezzo orchestrale tra II° e III° atto. Vale la pena segnalare ancora due momenti importanti dell’opera. Il primo è il coro dell’imbarco che ha in sé una forza espressiva straordinaria. Puccini riesce a creare un crescendo di tensione lavorando su diversi piani narrativi: il popolo di Le Havre che schernisce e insulta le prostitute in procinto di partire per l’America, Lescaut che aizza la folla contro i soldati, il sergente che fa l’appello delle ragazze, Manon e Des Grieux che vivono con disperazione il momento della partenza: una delle scene corali più geniali di Puccini. E, infine, l’atto finale, un unico, lungo, interminabile duetto di morte. Non succede più nulla, perché Manon è condannata da tempo, ma Puccini ne celebra la morte (e la catarsi attraverso la morte) in una pagina di estrema desolazione e di toccante umanità. «Sola, perduta, abbandonata», canta Manon in un lamento senza fine, in un languire melodico che si sviluppa per l’intera scena, sostenuto da Puccini con armonie lugubri, con andamenti cromatici (la sensualità ancora in primo piano). E’ un’agonia lenta e travolgente quella di Manon, così come sarà rapida e sorprendente quella di Mimì, tre anni dopo. In entrambi i casi, con mezzi differenti, Puccini ottiene lo scopo di commuovere e di celebrare le proprie, piccole, affascinanti donnine, come se fossero regine d’altri tempi. Roberto Iovino 8 Manon Lescaut Il Giornale dei Grandi eventi La collaborazione tra Puccini ed La genialità di un cartellonista da Liberty I n quel periodo magico per la produzione musicale italiana che fu la seconda metà dell’800 e l’inizio del ‘900, l’editore musicale Giulio Ricordi, tra i più attivi e lungimiranti, mise a disposizione dei compositori della propria “scuderia” servizi all’avanguardia per il periodo, come ad esempio un settore grafico destinato a curare scene e costumi, ma soprattut- to l’immagine, con cartoline e manifesti, delle nuove opere. Nel 1889, dopo nove anni che lavorava a La Scala come scenografo e costumista inizia a lavorare per le Officine Grafiche Ricordi Adolf Hohenstein che firmerà alcuni dei disegni più belli ed eleganti, non solo della Casa Musicale, ma anche della cartellonistica pubblicitaria del periodo. Per la Ricordi lavorò intensamente, illustrando le opere di Verdi, Puccini, Catalani, tanto per indicarne alcuni. Con Puccini Hohenstein ebbe un rapporto molto intenso, lavorando fin dalla sua seconda opera teatrale, l’Edgard. Proprio da Giulio Ricordi ricevette il comando per ideare il manifesto, la copertina, il libretto ma soprattutto i figurini per l’allestimento di quest’opera che andò in scena al Teatro alla Scala il 21 aprile 1889. E’ in questi disegni dei costumi di scena, più che nel manifesto o li- bretto, risultanti ancora didascalici, che Hohenstein concentrò la sua attenzione e con grande originalità ritrasse individui e non solo manichini con vesti colorate. Erano vere e proprie persone che lui raffigurava nell’atto di camminare o di fermarsi, improvvisamente, oppure per accennare un inchino. Essi compivano sempre un’azione: non c’era in loro staticità o rigidità, ma movimento. I loro corpi erano vivi, sotto i ricchi costumi che l’artista metteva loro indosso, s’intravedevano le forme. Nonostante ciò, l’opera non ottenne il successo sperato, ma Giulio Ricordi continuò a sostenere il 30enne Giacomo Puccini, certo di riuscire a portarlo all’affermazione. realizzare gli abiti di scena. Hohenstein oltre a far muovere i suoi figurini, amava anche caratterizzarli con fisionomie ben precise. Manon La Bohéme Siamo nel 1892. Puccini si appresta a portare in scena al Regio di Torino la Manon Lescault, la quale questa volta il 1febbraio 1893sarà accolta da un successo di pubblico. Quando il critico teatrale, Marco Praga che stava collaborando nella stesura di questo libretto, gli fece notare che avrebbe dovuto affrontare il confronto con la fortunata opera di Massenet, Puccini rispose: «Lui la sentirà alla francese, con cipria e i minuetti. Io la sentirò all’italiana, con passione disperata». Hohenstein disegnò oramai con una certa maestria e velocità, cinquantasette figurini originali e quattro tavole di attrezzeria. Tornarono i suoi personaggi “viventi”. Difficile dimenticare il figurino della Manon, che riccamente vestita con un abito rosa e bianco, con merletti e un grande fiocco rosso a chiudere la mantellina, si osservava con civetteria allo specchio, prima di recarsi ad un ricevimento per esibirsi nel canto e nel ballo. Oppure Geronte, il banchiere, ricco ma vecchio che sperava nella compagnia della bella giovane: l’artista lo raffigurò pensieroso mentre guardava verso il basso con spada al fianco e occhiali in mano. Nuovamente qui Hohenstein diede prova della sua delicatezza e velocità nell’uso dell’acquarello, tecnica che permise di evidenziare, attraverso piccoli tocchi e guizzi di colore, la ricchezza dell’abito di Geronte, elementi utilissimi poi alle sarte per Nella Bohéme, per esempio, proposta in scena nel 1896, il pittore realizzò sessanta figurini, anche se alla fine tra tutti, quelli risultati più singolari, furono tre “comparse”: un borghese, uno studente e un venditore, le cui fisionomie erano, ironicamente e non casualmente, quelle dello stesso Puccini e dei due librettisti, Illica e Giacosa. Curioso che l’artista volesse affermare, oltre che la sua innata dote per il disegno e il colore, anche la sua originalità nel giocare scherzosamente con i personaggi a lui contemporanei, creatori e collaboratori dell’opera stessa. Sembra essersi quasi ispirato agli artisti rinascimentali che negli affreschi, nei dipinti a tema religioso o profano, amavano inserire il proprio autoritratto o quello di amici e colleghi, se non del committente. Vezzi d’artista. Per la parte grafica dell’opera invece, Hohenstein questa volta scelse di recarsi a Parigi per ispirarsi, in quel periodo di art nouveau, alle creazioni francesi per i manifesti delle opere teatrali. Sicuramente rimase colpito dal grande maestro grafico, Jules Chèret, da cui riprese il dinamismo, l’integrazione tra l’immagine e la scritta, ma soprattutto l’idea di disegnare le figure che sembravano scavalcare il piano del manifesto. Questo fu ben visibile nel progetto finale del cartellone della Bohéme, anche perché quello precedente (Manon Lescaut), pur presentando una certa originalità e pur essendo stato lodato da Giulio Ricordi, era stato ideato rettangolare ed aveva trovato non pochi problemi nella ricerca degli spazi per affiggerlo. Non dimentichiamo lo splendido bozzetto per la scenografia che Ho- Il Manon Lescaut Giornale dei Grandi eventi 9 il grande illustratore Adolf Hohenstein e Déco al servizio del mondo dell’Opera henstein disegnò per questa opera pucciniana: è una notte stellata, su una piazza si affacciano case colorate, illuminate da lanterne appese ai muri che rimandano a un gioco di ombre e luci. Tutte le stanze sono illuminate, possiamo immaginare la vita familiare all’interno, ma ciò che maggiormente colpisce è una splendida prospettiva che sottolinea la profondità della scena attraverso due stradine che snodandosi lungo i palazzi, si perdono nel buio. La collaborazione con Giacomo Puccini e Giulio Ricordi proseguì con la fortunata Tosca. E’ il 14 gennaio 1900, l’alba del nuovo secolo. Nella rappresentazione di Tosca, per Puccini, la scenografia rivestì un peso ancora più importante. Dopo svariate esperienze, aveva compreso che prima di misurarsi realmente con le esigenze del teatro di regia, doveva studiare lo spettacolo in tutte le sue componenti. Così Puccini non avrebbe potuto immaginare dei bozzetti migliori che quelli preparati da Adolf Hohen- stein. Parliamo dei due interni, Sant’Andrea della Valle e la sala di Palazzo Farnese, ma soprattutto l’ariosa piattaforma finale di Castel Sant’Angelo che lega indissolubilmente la vicenda a Roma ed alla sua particolare atmosfera: uno sfondo connotato con le campane che intonano il mattutino, il suono del flauto del pastorello, spargendo un’ironia tragica sull’epilogo della vicenda. Per questo, non possiamo tralasciare la locandina sempre eseguita da Hohenstein, che raffigurava il momento centrale dell’opera, l’assassinio del perfido Scarpia. Lei, bellissima, fasciata in un meraviglioso vestito di seta, si china per posare con pietà un crocifisso sul corpo esanime dell’uomo che ha ucciso. Hohenstein che sempre ha amato il colore e i giochi di luce, qui approfondì ulteriormente quest’interesse. Due candelieri affiancano il corpo del barone capo della Polizia, la luce delle candele si aggancia a tutte le intonazioni di quel bianco caldo che quasi sembra oro, ma che soprattutto contrasta con il rosso violento che fa da fondo alla triste scena. Sotto la scritta “Tosca”, l’invito ad accedere al teatro. Madama Butterfly Nel 1904 compì per il compositore l’ultimo manifesto, quello per la Madama Butterfly che fu forse il più grande gioco di luci e ombre in cui l’artista sperimentò la sua maestria, tornando al formato orizzontale. Cio-Cio-San sta per compiere il gesto estremo, Hohenstein la raffigurò nell’oscurità, nel buio, monito di morte che sta per rapirla; lei, in un vano ed ultimo anelito, allunga un braccio per carezzare per l’ultima volta il figlio, raffigurato invece, più lontano, in un cono di calda luce, seduto con una bandierina americana in mano, bendato per non guardare verso la mamma, mentre solo un tappeto di dolci petali rosa li unisce. Due mondi, due culture lontane che l’artista rese con un’infinita e coinvolgente commozione. Hohenstein non fu il più grande scenografo e grafico di quel tempo, ma certamente, se oggi ci recassimo all’archivio Ricordi, potremmo ammirare il meraviglioso percorso che ha visto nelle sue opere, siamo essi manifesti, locandine, bozzetti o figurini, un graduale distacco dagli schemi più accademici per giungere a quelli più maturi, densi della sua grande personalità e abilità. Ciò fu permesso anche grazie all’intenso e solidale rapporto con il grande compositore Giacomo Puccini e l’editore musicale Giulio Ricordi. claudia Lancellotti Adolf Hohenstein A dolf Hohenstein nacque a San Pietroburgo il 18 marzo del 1854 da genitori tedeschi. La famiglia si spostò subito a Vienna, dove lui crebbe e studiò. Scelse la strada dell’arte e qui, frequentando l’accademia delle belle arti, iniziò a realizzare i primi dipinti che rappresentavano la città e dintorni. Compì numerosi viaggi, anche in India, dove decorò palazzi di nobili locali e in Siam in cui ritrasse molti principi e lo stesso Re. Nel 1879, giunse in Italia e scelse di stabilirsi a Milano, che nello stato appena unificato, si proponeva come capitale economica, industriale e di cultura. Qui collaborò come costumista e scenografo con la Scala e altri teatri. L’ambiente lo portò a conoscere importanti compositori, tra cui lo stesso Puccini che sarà poi la sua fortuna. La fama salì alle stelle in seguito all’incontro con l’editore musicale Giulio Ricordi: nel 1889 Hohenstein iniziò a lavorare per le Officine Grafiche Ricordi e vista la sua competenza, assunse poi il ruolo di direttore artistico. Adolf Hohenstein è considerato oggi uno dei primi padri del cartellonismo pubblicitario italiano. Curò diverse campagne, come quella della Campari, della Buitoni, del Corriere della Sera e molte altre che rimangono ancora oggi nella memoria collettiva, magari se non per il nome, per le eleganti immagini. La sua competenza di grafico, disegnatore e pittore, si distinse ancor più nella parte teatrale: progettò scenografie, disegnò bozzetti per spartiti e libretti e dipinse delicati figurini per i costumi di scena di molte opere di diversi musicisti. Per le opere di Puccini lavorò a Le Villi, Edgar, Bohème, Tosca, Manon Lescaut e Madama Butterfly, non trascurando però contemporaneamente lavori musicali di altri compositori, come Wagner, Verdi, Mascagni e altri. Fu’ un lavoro continuo, intenso che durò per quasi venti anni. Nei primi anni del ‘900 sposò la vedova Edwig Plaskuda e dopo aver assiduamente lavorato in Italia, si recò spesso in Germania, finché non si stabilì definitivamente a Bonn nel 1918. Nell’ultimo periodo della sua vita, Hohenstein tornò al suo amore iniziale, la pittura. Partecipò a diverse esposizioni e decorò numerosi locali ed edifici tra cui uno, in Renania, forse il più famoso, progettato dall’architetto Richard Bauer, nell’allora avvenieristico cemento armato, purtroppo andato poi distrutto nel 1970. Morì a Bonn il 12 aprile 1928. c. L. Manon Lescaut 10 Il Giornale dei Grandi eventi Scandali e fortune del libro alla base del libretto di Manon Un romanzo sul mistero della femminilità «L ’eroe è un mascalzone, e l’eroina una donnaccia», questo fu il giudizio decisamente tranchant di Montesquieu, dopo aver letto il romanzo L’Histoire du chevalier Des Grieux et de Manon Lescaut, dell’inquieto Abate Prévost. Quando il libro fu pubblicato per la prima volta, in Olanda nel 1731, fu subito bandito, ma al contempo divenne molto popolare, anche grazie alle copie clandestine che circolavano con ampia diffusione. Sebbene in una delle edizioni successive, quella definitiva del 1753, Prévost avesse attenuato alcuni aspetti ritenuti scandalosi e introdotto maggiori considerazioni moralistiche, Manon Lescaut, vista con gli occhi del Settecento, risultava quella che si direbbe una rovina famiglie, una donna leggera e pericolosa. Tuttavia l’eroina uscita dalla penna dell’Abate, è anche il simbolo, l’archetipo di quella capacità umana di abbandonarsi alla passione, al senso irrazionale più dolce e struggente, di consegnarsi all’amore che consuma, senza pudori, censure, razionalità. La rovina di Manon nasce dal fatto di non saper scegliere fra l’attrazione verso la ricchezza ed il benessere da un lato e, dall’altro, il calore della passione amorosa con i sentimenti più veri. Un anelito verso l’assoluto, una fame di vita che le fa desiderare non solo le deliranti dichiarazioni d’amore del bel cavaliere des Grieux, ma anche gli orecchini d’oro del vecchio Geronte de Ravoir, tesoriere generale. Manon incarna quella dimensione femminile che da sempre sfugge al maschio: «misteriosa e imperscrutabile come una sfinge e incantatrice come una sirena», per dirla con de Musset. L’ambiguità del personaggio è anche quella che si ritrova nella magistrale scrittura dell’autore, il quale riuscì a descrivere una vicenda - in sé abbastanza misera – innalzandola con un’aura di nobiltà e con mira- La tomba di Prévost bile semplicità classica, tale da portare ad una difficile condanna dei protagonisti da parte del lettore. Per Prévost, infatti, la passione non è qualcosa d’immorale. Nello scontro tra il mondo delle regole, del pudore e della rispettabilità, l’autore assolve senza troppi complimenti quei “diritti del cuore” che la società si affanna a limitare e reprimere. Se la visione dell’amore di Prévost, per la sua intensità, è paragonabile a quella di Racine (per il quale l’amore era “la” passione tragica per eccellenza) tuttavia essa è priva di quel senso di colpa e di quel pessimismo profondo che, a quest’ultimo, derivavano dalla formazione giansenista. Nonostante Manon Lescaut sia un piccolo romanzo, di poche pagine, subito si impose per la sua impostazione rivoluzionaria e per l’originalità della scrittura. La voce narrante nel romanzo è, appunto, quella di des Griuex: questa strategia narrativa offre al lettore il solo punto di vista maschile sulla seducente fanciulla. Tutta- via, al contrario di quanto spesso accade quando l’uomo tenta di capire il mistero della femminilità, la visione del narratore è ricca di sensibilità e sfumature, ben lontana da qualsiasi rozzo schematismo, segno di quella grande confidenza che lo stesso autore aveva con la rarefatta materia sentimentale. La narrazione in prima persona fa sì che Manon rimanga avvolta nel segreto e nel mistero, tanto da non essere nemmeno descritta fisicamente. La scrittura è rapida, quasi sbrigativa, ma estremamente raffinata e scorrevole e, all’essenzialità delle descrizioni, è capace di unire un coinvolgente afflato patetico. Una citazione, più delle altre, riassume la filosofia di vita di Prévost: “Nel modo in cui siamo creati, è certo che la felicità consiste nel piacere; sfido chiunque a formarsene un’altra idea; e dunque il cuore non ha bisogno di scrutare a lungo le proprie inclinazioni per sentire che, di tutti i piaceri, il più soave è quello dell’amore”. andrea cionci L’autore del romanzo Antoine François Prévost, abate inquieto e donnaiolo L a veridicità dei sentimenti descritti nel romanzo è diretta esperienza dell’autore. Scrittore, storico e traduttore, Antoine François Prévost, condusse un’esistenza irrequieta e ambigua - non ancora del tutto indagata dagli studiosi - che costituì la prima fonte di ispirazione della sua originale opera narrativa. Più noto con il titolo ecclesiastico di Abbé (abate) Prévost, nacque a Hesdin, presso Artois, nel 1697 in una buona famiglia borghese. E’ anche noto con l’ironico predicato nobiliare di “d’Exiles” che lui stesso si aggiunse a causa del suo interminabile peregrinare. Figlio del procuratore del Re d’Hesdin, fu avviato alla carriera ecclesiastica già da scolaro presso i gesuiti di La Flèche e Rouen, prima di arruolarsi come soldato nell’armata francese, tra le cui file rimase fino al 1711. Insofferente alla disciplina, smanioso di libertà, trovò nell’effervescente atmosfera parigina della Reggenza un ambiente congeniale che lo segnò profondamente. Insoddisfatto dalla vita militare, iniziò un noviziato presso i benedettini, per poi fuggire in Olanda. In quel periodo fece l’insegnante, il predicatore, s’impegnò in lavori di erudizione. Nel 1721 tornò volontariamente alla vita religiosa e, negli otto anni trascorsi in convento, Prévost scoprì la propria vocazione di scrittore, producendo un’opera erudita (Gallia Christiana) e i primi quattro (dei sette) volumi delle Mémoires et aventures d’un homme de qualité, pubblicati anonimi nel 1728. Dopo aver abbandonato il monastero senza permesso, inseguito da un ordine di cattura, fuggì a Londra, esperienza che gli permise di acquisire una grande conoscenza della cultura anglosassone. Nel 1729, uno scandalo amoroso lo costrinse a recarsi in Olanda dove iniziò una relazione con un’avventuriera di nome Elena Eckhardt. Nel 1731 e 1732, a Utrecht, diede alle stampe i tomi I e IV del Filosofo inglese. Nel frattempo, si concentrò sulla pubblicazione del seguito in tre volumi delle Mémoires et aventures d’un homme de qualité, dei quali l’ultimo è, appunto, dell’Histoire du chevalier des Grieux et de Manon Lescaut, forse ispirato ad una personale avventura. Nel 1736, divenne l’elemosiniere del principe di Bourbon-Conti che accettò di proteggerlo. Prevost pubblicherà ancora altri romanzi, tra cui Il Decano di Killerine (1735–‘40) e Storia d’una Greca moderna (1740). Trascorse i suoi ultimi anni tra Parigi e Saint Firmin, vicino Chantilly, morendo nel 1763 di un colpo apoplettico nella foresta di Chantilly, di ritorno da una visita ai benedettini di Saint-Nicolas-d’Acy. a. c. Il Giornale dei Grandi eventi Manon Lescaut 11 Le differenze tra le due Manon Donna colpevole in Massenet, vittima degli eventi in Puccini «L ui la sentirà alla francese, con la cipria e i minuetti. Io la sentirò all’italiana con passione disperata». Puccini scrisse così a Marco Praga quando insieme iniziarono a progettare Manon Lescaut. «Lui», naturalmente, era Jules Massenet la cui Manon costituiva per il giovane lucchese motivo di preoccupazione non trascurabile: l’opera (che sarebbe sbarcata in Italia proprio nello stesso 1893) riscuoteva successi a livello europeo ed aveva consacrato l’autore musicista di prima grandezza. Entrambe le opere si ispirano al romanzo Les aventures du chevalier des Grieux et de Manon Lescaut pubblicato nel 1731, settimo e ultimo volume dei Memoires d’un homme de qualité dell’abate Antoine-François Prevost (1697 - 1763). Lo stesso Prevost ne curò poi una revisione nel 1753, intitolata Histoire du chevalier des Grieux et de Manon Lescaut. Il romanzo è, probabilmente, almeno in parte, autobiografico. Prevost ebbe vita avventurosa: novizio gesuita, poi uomo d’arme, poi benedettino ed infine, dopo altre peripezie, definitivamente uomo di Chiesa. Al di là dei suoi valori letterari, il lavoro di Prevost è stato considerato l’apripista di un genere di romanzo psicologico e moralistico che nella letteratura francese ebbe una certa fortuna nell’Ottocento. Questo probabilmente spiega il successo che il personaggio di Manon incontrò presso i musicisti. Prima di Massenet lo avevano già affrontato Fromental Halevy in un balletto del 1830 e soprattutto Auber in un’opéra-comique del 1856. La Manon di Massenet Le origini della Manon massenetiana risalgono al 1881. Il librettista Meilhac su commissione di Carvalho, direttore dell’OpéraComique, aveva proposto al musicista il libretto di una Phoebé che Massenet aveva rifiutato, optando invece per Manon. Il giorno dopo, secondo la testimonianza di Massenet, i due si sarebbero rincontrati ad un caffè e Meilhac gli avrebbe fatto trovare sotto il tovagliolo i due primi atti. La Manon di Massenet è ben diversa da quella dell’abate Prevost. Nel romanzo, Des Grieux è una figura cinica, il suo rapporto con Manon può dirsi “paritetico”. Nell’opera, invece, il male sta tutto dalla parte della donna. Des Grieux è un giovane nobile perdutamente innamorato, le cui uniche colpe sono colpe d’amore. Con un esemplare lavoro di sforbiciatura, il librettista Henry Meilhac (autore, con Halevy, di molti testi per Offenbach oltre che di Carmen per Bizet) coadiuvato da Philippe Gille, sfrondò le situazioni, semplificò la vicenda, puntò essenzialmente sul carattere di Manon, una creatura egoista per la quale gli amanti non sono che un mezzo per esaudire i propri capricci. Personaggio sventurato e portatore di sventure, dunque, nel quale Des Grieux si perde, sognante, appassionato. E con lui, Massenet che risparmiò alla sua eroina la morte nel deserto della Louisiana secondo il destino assegnatole da Prevost (e seguito da Puccini), facendola morire sulla strada di Le Havre. Le differenze tra le due opere Nell’epilogo e nel trattamento del personaggio femminile centrale si riscontrano significative differenze fra le due letture di Massenet e di Puccini. Con il personaggio di Manon si apre la galleria pucciniana di donnine angelicate. Manon, Mimì, Ciociosan sono prima di tutto “vittime”, se sbagliano (e le prime due di errori ne commettono) lo fanno non per malanimo, ma perché costrette dal destino, dalla situazione, dagli altri. L’analisi psicologica dei personaggi, dunque, diverge dandoci una interpretazione dell’intera vicenda assai differente. Le due opere sono in quattro atti. Ma fortemente differente appare il terzo. In Massenet, Des Grieux si fa abate e Manon lo va a incontrare (e a sedurre) nel Seminario di San Sulpizio da dove ci si sposta, con un contrasto ambientale assai marcato, in una casa da gioco dove il ragazzo viene arrestato; in Puccini l’azione avviene direttamente a Le Havre all’imbarco. Diverso, come si è detto, anche l’epilogo. Entrambi i lavori si chiudono con un appassionato duetto fra Des Grieux e Manon. Ma Massenet lo colloca a Le Havre nella strada che porta la sventurata a imbarcarsi insieme alle prostitute; Puccini ambienta il duetto nel deserto americano di New Orleans con un effetto drammaturgico interessante: l’isolamento della coppia è ancor più profondo, geografico, il loro dolore e il loro amore si chiudono in una terra lontana in un estremo, ultimo tentativo di fuga. Differenze musicali Diverge, anche, la struttura musicale. Il lavoro di Massenet è nella forma dell’opéra-comique, dunque nella struttura tipicamente francese che prevedeva parti musicali e parti recitate in prosa. Le parti recitate sono sostenute dall’orchestra secondo la forma del melologo, il che conferisce una notevole compattezza musicale alla partitura. Puccini mantiene invece la tipica struttura italiana, interamente musicale. Va riconosciuto, infine, un punto di contatto fra i due autori, riscontrabile non solo nelle due Manon, ma in tutto il loro repertorio: la vena lirica, raffinata e sempre impreziosita da un sostegno armonico e orchestrale di prim’ordine. Qualità che ha assicurato ai due artisti la popolarità immensa di cui hanno goduto in vita e continuano a godere ancora oggi. Roberto Iovino