LA POTATURA DELLE PIANTE ORNAMENTALI la potatura in sintesi (Testo ispirato al “decalogo delle potature” della Scuola di Agraria del Parco di Monza, modificato e integrato) a cura di GIOVANNI NALIN TRA ERRATE CONVINZIONI E RECENTI ACQUISIZIONI: ECCO ALCUNE SEMPLICI REGOLE DA TENERE A MENTE • Non è vero che una pianta deve essere potata. Una pianta ornamentale, se messa al posta giusto, solo in particolari casi può richiedere interventi di potatura. • Non è vero neanche che una pianta più la si pota e più si rinforza: la produzione di rami vigorosi in seguito ad una drastica potatura non è segno di salute ma è il tentativo disperato della pianta di ripristinare la chioma eliminata (le piante si nutrono soprattutto attraverso le foglie con la "fotosintesi”). • Quando una pianta è messa al posto sbagliato (com’è purtroppo frequente) è meglio intervenire subito, fin che è giovane. A volte però è più conveniente l’eliminazione o la sostituzione con specie più adatte. • Sono da preferire tanti piccoli tagli che pochi grossi tagli (capitozzi): una ferita piccola si rimargina meglio; dalle ferite entrano infezioni di patogeni. Esempi di potature di mantenimento, eseguite praticando tanti piccoli tagli, anziché poche e drastiche asportazioni. Alcune di queste pratiche appartengono alla tradizione. Potatura obbligata a candelabro Potature in forme obbligate regolari Sviluppo di carie del legno e successive cavità a seguito di ferite da tagli errati Dopo una capitozzatura la pianta reagisce emettendo, dalle gemme avventizie, nuovi germogli epicormici, che crescono rapidamente e si rompono con facilità nel punto di connessione con il tronco. L’albero capitozzato, visto in sezione longitudinale: la carie invade il fusto e dal legno sano si sviluppano rami vigorosi, inseriti però in un punto di debolezza A seguito della capitozzatura di una grossa branca consegue l’insorgenza di carie e lo sviluppo di numerosi ricacci, inseriti superficialmente e in competizione tra loro Conseguenze estreme ma frequenti delle capitozzature di grosse branche Non lasciare moncherini di ramo: l’accorciamento va operato mediante il “taglio di ritorno”, lasciando cioè degli apici vegetativi di sostituzione, che facciano da richiamo alla linfa, consentendo la cicatrizzazione della ferita e una rapida ripresa. Eseguire tagli netti, evitando slabbrature e scortecciature. QUAL è IL TAGLIO CORRETTO A. taglio che rimuove completamente la zona del collare, con formazione di ferita più ampia: difficoltà di formazione del callo che avviene sono ai lati; B. taglio corretto: nella successiva stagione vegetativa si formerà un anello completo di tessuti cicatriziali; C. taglio troppo alto, con residuo moncone: difficoltà di formazione di callo e di chiusura della ferita; IL TAGLIO DI RITORNO La tecnica del taglio di ritorno consiste nell’eliminazione di rami o branche che sono localizzate sopra un segmento di ordine inferiore a quello che si elimina. La parte che rimane deve avere dimensioni analoghe o di poco inferiori a quella asportata e non deve essere in alcun caso cimata in quanto sostituisce le parti tagliate nella funzione di cima; perciò è chiamata in termine pratico tirasucchio o tiralilnfa. Le gemme apicali infatti diventano quelle dominanti la branca e richiamano gli ormoni e la linfa che in caso contrario resterebbero confinati nell’area della ferita, interrompendo la latenza delle gemme avventizie e favorendo così il riscoppio dei rami epicormici. COLLARE • Non fare tagli a filo tronco. Qualora si eliminasse un ramo rispettare il “collare” (ingrossamento alla base del ramo): in questa zona sono concentrate le difese naturali e i tessuti in grado di rimarginare la ferita. • Non “cimare” mai le piante, tanto meno le conifere: al grave squilibrio che si produce, le piante tentano di reagire producendo tante cime di sostituzione, disordinate e male inserite, quindi pericolose. Le piante alte, se sane e ben sviluppate, non sono pericolose, lo diventano di solito in seguito alle potature. Se una pianta è più alta dell’abitazione può “attirare” i fulmini; una volta abbassata sarà l’antenna TV dell’abitazione a fare da parafulmini! Come reagisce una conifera all’asportazione della cima Pianta di Ginkgo biloba a seguito di potatura di ricostruzione; sono evidenti i precedenti tagli di capitozzatura praticati. Nelle Gimnosperme (conifere) non vanno mai eliminati i cimali. • Le piante spoglianti (caducifolie), possono essere potate durante le fasi di riposo (stasi vegetative), che avvengono in autunnoinverno (dopo la caduta delle foglie), ma anche d’estate, in corrispondenza del periodo più caldo. La più consigliata è la “potatura invernale”. • Si evitino comunque i periodi in cui le piante “buttano” nuove foglie (sarebbe un grave stress per loro), e quando stanno perdendo le foglie (ottobre), essendovi nell’ambiente una elevata concentrazione di spore fungine che potrebbero infettare le ferite. • Il mastice è come un cerotto: non si mette su una grande ferita o su un’amputazione! In ogni caso rallenta ed ostacola la formazione di una cicatrice. E’ importante, caso mai, soprattutto per le specie a rischio (cipressi, platano, olmo, ecc.), disinfettare attrezzi di taglio e ferite con prodotti semplici ma efficaci, quali i sali di rame, varechina o alcol. • Ricordate infine che le potature migliori sono quelle che non si vedono, che richiedono più tempo e professionalità, ma rispettano l’equilibrio, il portamento naturale e la bellezza delle piante. In ogni caso l’entità dell’asportazione non dovrebbe mai superare il 30% della chioma, pena gravi squilibri, infezioni, riscoppi vegetativi, ecc. La pratica tradizionale del taglio “a capitozza alta” trovava applicazione e giustificazione in passato nelle nostre campagne, per l’ottenimento di pali, pertiche, vimini, foraggio; per il contenimento dell’ombreggiamento sulle colture agrarie, per il sostegno vivo della vite. Non trova dunque giustificazione nelle specie arboree ornamentali. • Non affidarsi, quindi, al primo venuto ma assicurarsi di avere a che fare con un giardiniere professionista e aggiornato. Arrivederci …