Dintorni teatro La «Rosvita» di Ermanna Montanari A 17 anni di distanza l’attrice riveste i panni della monaca tedesca in uno spettacolo del tutto mutato E rmanna Montanari, geniale ed eclettiRosvita è nato nel ‘91, quando mi trovaca attrice ravennate è, insieme a Marvo in ospedale, dopo essermi ammalata Ravenna – Rocca Brancaleone co Martinelli, fondatrice e anima del di ritorno dall’Africa. In quel tempo mi 20 giugno, ore 21.30 Teatro delle Albe, recentemente pluripremiato interessavano certo i drammi di Rosvicon quattro Premi Ubu per Sterminio di Werner Schwab. Verso la fita, ma mi interessava forse anche di più la sua figura e quello ne di giugno proporrà Rosvita, uno spettacolo incentrato sulla monacache rappresentava. Nella prima edizione ero da sola in sceletterata che visse attorno all’anno mille nel convento di Gandersheim in na, e oltre a me c’era soltanto un suonatore di flauto, che staSassonia e che, con i suoi piccoli drammi, fu la prima scrittrice di teatro va nascosto. Però non ho più quella pelle, la stoffa è mutata e di cui si ha conoscenza. A questo personaggio Ermanna aveva, nel lonanche l’atteggiamento. Allora mi rapportavo a un modello. tano 1991, dedicato la sua prima drammaturgia. Le chiediamo di racInfatti in scena c’era un quadro grandissimo dove era riprocontarci come si è incontrata con Rosvita quella prima volta. dotta la religiosa di Konrad Witz, che teneva in mano le taAntonio Attisani, che conosceva bene il nostro lavoro, vole della legge e una lancia. Io ero vestita come il quadro, e un giorno mi disavevo in mano gli se che sarei stastessi oggetti. Ma ta adatta a lavoa me cadeva tutLa Mano rare su Rosvito, ero «rovinota. Fino ad allosa», era proprio ra neanche sapela rovina di non vo che esistesse. avere una fede, Ma appena l’ebquella fede che è bi conosciuta me l’unica condizione innamorai folne che ti può perlemente, come mettere di comse avessi trovato prendere i sistequalcosa che avemi planetari, di va a che fare con ascoltare la musime, con il mio ca celeste e di famodo di pregare parte di quelre, di essere: una l’armonia. Rosvicontinua instata dà per scontabilità, repentinita una cosa fontà delle situaziodamentale per i ni e delle emoziosuoi drammi: la ni. In uno dei drammi di Rosvita fede in Cristo. Siamo all’interno c’è una piccola prostituta, Maria, di un’atmosfera altissima, metafiche viene sedotta dal significato sica, filosofica, anche se lei è estredel suo nome, Stella maris, stella mamente ironica. Il mio rapporto del mare, svelatole da un eremita. con lei era questo: si può aderire, Per lei è un’estasi che invade tutto tendere a un’armonia anche senza il suo pensiero, è letteralmente inpresupporre questa fede? Si può vasa da questo nome. E quindi si avere un modello pur rovinando? converte, per ricadere poi un moPur cadendo continuamente? mento dopo. Maria incarna la posCome è nata l’idea di un ritorno a sibilità di essere invasi con ardore Rosvita? da una cosa che ci suggestiona e in A distanza di diciassette anni cui si ha fede in quel momento. Si Luca Doninelli mi ha chiesto di può essere un istante una prostiriprendere in mano quelle suggetuta e il secondo dopo una santa, stioni per il festival «deSidera» di non c’è differenza... Certo tra RoBergamo, e io ho accettato al vosvita e me c’è una distanza enorlo, come se, dopo tanto tempo, ci me: lei presuppone il Dio cristiafosse un terreno pronto ad accono, ha un nome da invocare. Per gliere di nuovo Rosvita. Da un anme non è così. Questa è la grande no sto lavorando con una decina differenza.Nel mio rapporto midi ragazze adolescenti, che avevasterioso con la fede non posseggo no cominciato a scrivermi poeL’isola di Alcina queste certezze. sie, racconti, pensieri e a confidar- 62 Dintorni teatro si con me. Con loro ci prendevamo una stanzetta del Teatro Rasi e stavamo insieme a leggere. Credevo che dopo i primi incontri avrebbero smesso di venire, invece no, tornavano ogni volta e si fermavano sempre di più. Allora ho proposto di creare un cd con le nostre canzoni preferite. Loro l’hanno preparato e siamo rimaste tutta una notte a ballare e a leggere. Lì ho cominciato a far fare loro dei piccoli esercizi vocali, mentre nel frattempo selezionavo delle parole che potessero piacere a ciascuna. E partendo da questi elementi ho composto delle piccole miniature drammaturgiche. Questo accadeva negli interstizi del Rasi: una si è presa una parte di corridoio, un’altra una parte di camerino, un’altra ancora una porta, una tenda... Tutte insieme ma allo stesso tempo tutte da sole: si trattava di un lavoro solitario, da monadi. Come guida io andavo da ognuna di loro per cercare di far risuonare il più possibile nei loro corpi una drammaturgia, intesa più che altro come insieme di gesti e movimenti danzati, dato che alcune di queste miniature sono completamente senza parole. E di notte tutto il Rasi risuonava di queste voci, di questi suoni, di questi rumori. In seguito abbiamo chiamato una poetessa ravennate e abbiamo lavorato su un suo poemetto. E anche lei ha cominciato a venire regolarmente. Allora come punto d’incontro ho costruito un coro vocale, perché quel poemetto si prestava perfettamente a un’operazione del genere. Racconto questa mia esperienza recente perché ha costruito il terreno giusto sul quale riprendere Rosvita. Anche i frammenti dei suoi drammi sono delle miniature surreali, delle piccole icone. Quindi quando lavoro con queste ragazze è come se stessi lavorando inconsapevolmente su di lei. È da qui che mi è arrivata l’indicazione precisa del percorso da costruire, perché è così che ho lavorato in quest’anno ed è solo così che adesso potrei affrontare di nuovo Rosvita. Ora ho in mano molta materia, che dovrò elaborare attraverso le parole, il canto, i gesti... Adesso sto meditando su Una settimana di bontà di Max Ernst, che ha molto a che fare con i drammi di Rosvita, e soprattutto con l’ultimo, Sapienza: Sapienza è la madre di tre figlie che vengono seviziate, bruciate, fatte a pezzi. Ma non c’è nessun lamento: loro cantano, esultano. C’è una grande gioiosità, mentre tutto attorno l’ambiente è oscuro e mostruoso. E Sapienza parla della musica celeste, dell’armonia, della matematica, della geometria. È qualcosa che sta a metà tra un testo filosofico e una specie di opera lirica. Come tutti i drammi di Rosvita, anche questo è crudelissimo, e tutto succede all’improvviso e repentinamente. Quali caratteristiche avrà il nuovo spettacolo? Siamo ancora in una fase di studio, comunque sarà molto diverso dal precedente, anche visivamente, e presterà molta attenzione alla musica delle parole di Rosvita. Le attrici che lavoreranno con me – Cinzia Dezi, Michela Marangoni e Laura Redaelli – fanno tutte parte del gruppo delle Albe, e hanno partecipato a quel laboratorio notturno che chiamiamo «clandestino» perché possiamo riunirci solo le poche volte che il Rasi è vuoto. Importante sarà la parte musicale, che comprenderà una composizione di Davide Sacco. La regia, oggi come allora, sarà di Marco. Il debutto avverrà alla Rocca veneziana di Ravenna, però non sul palcoscenico. Alle spalle del palco c’è una piccola cabina da proiezione fatiscente, che sembra quasi tenuta su con gli spilli. Quello sarà il primo spazio, che poi cambierà di volta in volta. Saremo adattabili, la costante sarà la presenza dei nostri corpi e delle nostre voci. (l.m.) Dieci anni di Jarry per il Teatro delle Albe Di prossima uscita «Suburbia» edito da Ubulibri I l rapporto costante e proficuo tra il Teatro delle Albe e Alfred Jarry – che ha dato vita nell’arco di una decina d’anni a quattro spettacoli diversissimi ma sempre incentrati sul re-straccione Ubu – è ampiamente documentato dal volume Suburbia. Molti Ubu in giro per il pianeta, a cura di Marco Martinelli ed Ermanna Montanari, pubblicato da quella stessa Ubulibri che tempo prima aveva dato vita a Jarry 2000, ora esaurito, dove veniva documentata con dovizia di immagini e parole la prima tappa «jarryana» del gruppo, I polacchi, realizzata con gli scatenati allievi della non-scuola ravennate. Ora questo nuovissimo libro della prestigiosa collana dei Libri bianchi, illustrato a colori e provvisto di dvd, attraverso interviste, racconti, diari di bordo, riflessioni a posteriori e teorie offre – come recita la presentazione – «lo spaccato di un ricongiungimento tra il teatro e la società messo in atto dalle Albe attraverso una contaminazione nella quale confluiscono Shakespeare e Totò, Ariosto e Giordano Bruno, Elsa Morante e i Fratelli Marx, il Sud del mondo e i dialetti». Teatro delle Albe, Suburbia. Molti Ubu in giro per il pianeta, a cura di Marco Martinelli ed Ermanna Montanari, Ubulibri, Milano 2008, pp. 224, illustrato a colori, dvd allegato, euro 27.00, da settembre ufficialmente in libreria. 63 Dintorni Tra leggende antiche e impegno civile il teatro di Sandra Mangini S andra Mangini, poliedrica interprete e regista veneziana che si divide tra canto e teatro, nel numero scorso ha spiegato il suo approccio alla canzone popolare. Ora, come promesso allora, racconta i suoi variegati impegni teatrali, che tra maggio e giugno la vedranno protagonista su più fronti. Vorrei iniziare da uno spettacolo realizzato qualche tempo fa con il Teatro Stabile di Bolzano, La leggenda del regno dei Fanes. Il testo nasce dal lavoro di un’antropologa, Brunamaria Dal Lago, di cui il regista veneziano Paolo Bonaldi ha curato l’adattamento per le scene: è una leggenda molto nota nelle Alpi ladine, che narra il passaggio dal matriarcato al patriarcato. Questo passaggio implica la rottura dell’armonia precedente: la regina del regno dei Fanes viveva in pace con la natura e con gli animali, ma in seguito allo sposalizio con il re Aquila nascono tragedie e guerre fratricide che portano all’estinzione di questo regno. Io impersono una creatura dei fiuE noi siam lavoratore mi, metà umana metà animale, che assomiglia un po’ a una cernia. È stato un lavoro estremamente interessante, immerso in una dimensione magica, che mi ha permesso di mettere a frutto la mia esperienza con le maschere, che per l’occasione erano state disegnate da Carlo Setti. Sul versante del «teatro civile» invece il 23 aprile ho presentato un monologo sulla Resistenza basato su una ricerca di Maria Teresa Sega, rappresentante di una nuova associazione che si chiama Resistenze – Associazione per la memoria e la storia delle donne in Veneto. Affrontiamo in particolare il tema della cosiddetta «resistenza civile», mettendo in evidenza i gesti di disponibilità della gente comune, che trovandosi in casa prigionieri alleati li proteggeva e li aiutava a fuggire fuori Italia. Poi sono presenti anche donne che hanno partecipato attivamente alla Resistenza, come la veneziana Ida D’Este, che era una staf- fetta, e che – come molte altre – ha pagato per questo un prezzo durissimo, finendo prima in carcere e poi in campo di concentramento. Queste signore, finita la guerra, si sono chiuse nel silenzio per dimenticare, ma grazie agli stimoli di ricercatrici come Maria Teresa hanno iniziato a raccontare. Io utilizzo questi documenti per creare i miei spettacoli. Se volessi fare un paragone, direi che il mio è un po’ come il lavoro dello scultore, che dalla materia trae la sua opera. Quello che esce è il mio punto di vista su questi racconti. Tra pochi giorni, nell’ambito delle celebrazioni del Primo Maggio, il 10 riallestirai anche E noi siam lavoratore, un altro lavoro incentrato sulle donne. Questo è uno spettacolo che metto in scena insieme a Giuseppina Casarin, e che nasce ancora una volta da una ricerca storica di Maria Teresa: da molto tempo lei si occupa di incontrare e intervistare lavoratrici veneziane o donne che hanno partecipato in qualsiasi modo alla Resistenza. A partire da questo materiale qualche tempo fa ho creato E noi siam lavoratore, che come asse temporale ricopre un secolo e racconta tre storie. La prima, ambientata nella prima parte del Novecento, riguarda le «tabacchine», cioè le lavoratrici del tabacchificio di Venezia. La seconda si sposta nelle campagne del cavarzerano intorno agli anni cinquanta, dove si è verificato uno dei primi grandi scioperi della provincia di Venezia, al successo del quale le donne hanno concorso massicciamente. La terza storia è ambientata nel ‘68 in una piccola fabbrica del padovano: la protagonista è una giovane operaia. A questi tre racconti si alternano dei canti che eseguiamo Giuseppina e io. C’è poi un altro elemento, rappresentato dalle Venezia – Teatro Aurora 10 maggio, ore 20.30 immagini. Abbiamo utilizzato le fotografie 64 Don Giovanni burattino di Antonella Zaggia Dintorni della veneziana Marina Luzzoli, cercando di creare anche per loro una drammaturgia: al principio sono poche, poi mano a mano crescono e nell’ultimo periodo diventano a colori. Tra la narrazione e la proiezione alle nostre spalle si instaura un vero e proprio dialogo. Si tratta di un lavoro estremamente semplice ma allo stesso tempo di forte impatto. Come sempre il mio metodo di lavoro implica un processo di immedesimazione totale in questi racconti, che recito in prima persona incarnando questi personaggi direttamente. Sono molto contenta di fare una replica di questo spettacolo, che La leggenda del regno dei Fanes vani che andavano in bicicletta azienda per azienda a convincere i braccianti a scioperare. L’ultimo racconto ritrae un mondo del lavoro più alienato (e quindi più moderno...), però colto in un momento di svolta come il ‘68. Altri progetti in corso? A giugno sarò al Teatro Festival Italia di Napoli con Don Giovanni o sia Il convitato di pietra di Giovanni Bertati e Giuseppe Gazzaniga, nell’allestimento di Pier Mario Vescovo e Antonella Zaggia: si tratta di uno spettacolo di burattini con cantanti e orchestra, dove io faccio la burattinaia. Il cast Mala Aria è nato un anno fa e ha girato molto nel Veneto ma non è mai è tutto al femminile, perché l’idea di Pier Mario è raccontare stato a Venezia. In particolare la storia che riguarda la maniDon Giovanni dal punto di vista delle sue donne. Le arie sofattura tabacchi si riferisce da vicino alla nostra città. Veneno in parte recitate dai burattini e in parte cantate. Poi contizia era una città industriale e la manifattura era una delle sue nua a girare Mala aria, una produzione per il Teatro Fondagrandi fabbriche, con mamenta Nuove realizzata da nodopera quasi esclusivaValentina Fornetti a partire mente femminile. Le «tadall’omonimo romanzo di bacchine» erano una caAntonella Benvenuti. È la dalla testimonianza di Giovanna Tramontin, vedova Volpe tegoria di donne molto fastoria di una famiglia pove«...E dopo ti gavevi sto latte, sto latte... e ti ndavi lavorar! aea matina ti ghe damosa in città, in primo luorissima che viveva intorno a vi il petto (dai, dai cocco, dai, dai che sé tardi!) E via!... de quee corse! tuti ne cogo perché andavano fuori Quarto d’Altino, e tutto conosseva madonna, ma chi xe che no conosseva e tabachine! Tuti! parché vapoa lavorare e portavano lo mincia con la scena di un reti noialtri no ne ciapevimo, vaporeto gera pe i siori, impiegati! e quando che gerimo in Rio Terà San Leonardo che corevimo, “vara poarete – fasseva – le tastipendio a casa, e poi perparto. Sono infatti le nascibachine!” Eeeh, ne conosseva tuti, ne conosseva dae corse! E ti pol imaginarte ché, pur lavorando in conte a scandire la vicenda, perquando che ti ndavi su pal ponte de fero, aea stasion, d’inverno, col giasso, coa dizioni molto dure, avevachè si tratta di un percorso neve, ste povere done coi fioi uno in brasso, uno tacà ae cottoe, e noialtre ciapa no sviluppato una forte somatrilineare, che attraversa sti fioi, ti queo, mi quest’altro, fa il ponte de fero, co ea paura de cascar che gavevimo se tacavimo una a man de chealtra co sti fantoini. Par portarli a l´asilo, ai lidarietà tra loro. Anche la le generazioni. Ma è sopratlatanti, che gera vissin a fabrica. Li portava là, li meteva dentro ne l’ascensor, e e storia dello sciopero del catutto una storia di miseria e suore se i rancurava. E dopo a ora de magnar ghe dava un quarto de ora a ste dovarzerano è toccante, perimmigrazione. (l.m.) ne, poarete, siché e ndava a torse ea ciotola de fero coa minestra, e magnava sta ché si tratta di ragazze gioroba in pie, e via! cori! vaghe dar el late ai fioi!» 65 teatro Dintorni Alla ricerca dello spettatore (s)perduto A lla ricerca dello spettatore perduto» è il titolo che ho voluto dare alla seconda edizione del progetto «Capire il teatro o l’arte dello spettatore». In realtà forse sarebbe più giusto parlare di spettatore «sperduto»: quest’anno le richieste di partecipare agli incontri che facciamo nelle scuole sono state così numerose che alla fine di tutti gli interventi incontreremo circa 3000 persone tra bambini, ragazzi e insegnanti. Ho iniziato questo progetto perché mi ero accorto che il Teatro può essere percepito dai giovani spettatori come uno spazio totalmente estraneo, nel quale è difficile entrare, per la complessità dei suoi codici e segni specifici, per la relazione e la comunicazione che instaura, di difficile partecipazione sensoriale. Il giovane pubblico rimane disorientato, abituato al consumo dispersivo della televisione che lo sta portando a una sorta di analfabetizzazione: in molte trasmissioni televisive, competizioni, pianti, sentimenti costruiti e artefatti ostruiscono la circolazione delle intelligenze. Invece bisogna distinguere tra le emozioni naturali e quelle artificiali. È naturale e auspicabile che il teatro possa anche disorientare e provocare, ma spesso è costellato da cerimonie intime segrete. Il teatro non è mai completamente acquisito. Dipende sempre dalla testimonianza degli spettatori, dalla loro disponibilità al momento della rappresentazione. In genere il pubblico all’inizio di uno spettacolo crea un alone di attesa esigente. La qualità dello spettatore è un processo volontario, un’attitudine cosciente. Secondo Eugenio Barba «lo spetScuola e teatro tatore deve essere cullato da mille sotterfugi, dall’intrattenimento del piacere sensoriale, della qualità artistica, della raffinatezza estetica. Ma l’essenziale risiede nella durata effimera dello spettacolo, in una scheggia di vita conficcata nel costato dello spettatore che lo accompagnerà negli anni». Penso sia fondamentale, per la vita del teatro contemporaneo, trovare convergenze tra la scrittura scenica e lo spettatore pensante. Ci sarebbe bisogno di uno studio approfondito su come Bertolt Brecht nel suo tempo abbia formato il pubblico con il suo teatro politico e pedagogico. È necessario proporre una nuova arte dell’essere spettatore per dare inizio a un dialogo con lui e non lasciarlo isolato nel caotico groviglio dei linguaggi «elettroemozionali». Manca una vera pedagogia del teatro, che viene usato in maniera indiretta, senza alcuna preoccupazione artistica, perché si lascia «ignorare» ciò che è essenziale alla sua arte: nessuno si preoccupa di offrire strumenti a questi nuovi spettatori. E devo dire che è davvero soltanto questione di volontà, vista la parte- « di Gianni De Luigi cipazione palpabile dei ragazzi e dei bambini durante gli incontri che facciamo insieme agli insegnanti, e la gratitudine espressa nei loro componimenti e disegni. Questi incontri sono diventati una sorta di anatomia teatrale, che offre la possibilità di addentrarsi nel corpo dello spettacolo e analizzare e classificare i segni costitutivi della rappresentazione. Capire il funzionamento dello spettacolo significa cogliere come si articolano gli elementi scelti al momento dell’elaborazione e della creazione, identificare il significato e il significante senza tralasciare l’emozione. Bisogna innanzi a tutto far comprendere il confronto tra «il corpo» dell’attore e quello dello spettatore: l’arte di stare seduti e quella della comunicazione attraverso il gesto e la parola, la musica e la scenografia. La richiesta di adoperare il cellulare come mezzo di documentazione per fissare i movimenti degli attori e girare dei brevi video ha permesso di decontestualizzare quello strumento e poi ricontestualizzarlo. Molte sono le domande che rivolgo ai ragazzi. Tra le più frequenti chiedo loro come occupano lo spazio gli attori, qual è il loro tipo di movimen- to, come è situato lo spettatore nello spazio, qual è la sua visione... Ma anche quante televisioni hanno, o play station, i-pod, computer... Discutiamo dei loro programmi preferiti... Gli attori uno alla volta si presentano con i loro nomi e poi si trasformano senza costume nei personaggi della commedia dell’arte, con il movimento e la voce. Mentre poi indossano i costumi invito uno dei ragazzi a provare il movimento. In seguito lo spettacolo viene rappresentato e smontato insieme a loro. Devo ammettere che i commenti e i disegni di questi giovanissimi nuovi spettatori meriterebbero una pubblicazione: scegliere fra 3000 è un’impresa impossibile. Concludo con una citazione barbiana: «Lo spettatore viene con un dono straordinario per te e i tuoi attori – ti regala due, tre ore della sua vita e si affida fiducioso nelle tue mani. Tu devi ricambiare la sua generosità con l’eccellenza, ma con un’esigenza devi anche metterlo al lavoro». 67 teatro Dintorni La «Sposa persiana» di Gianni De Luigi Dopo la Biennale 2007 continua la tournée dell’opera goldoniana G ià presente con il suo Istituto della commedia delci della commedia dell’arte, dove il padre Pantalone esercital’arte al campus che lo scorso anno Maurizio Scava il diritto assoluto sulle decisioni amorose della figlia. C’è parro ha fortemente voluto per la propria seconda quindi in questo lavoro una forma che non vuole essere stoedizione della Biennale, Gianni De Luigi continua a indagarica, ma vuole invece esasperare simbolicamente la condire il rapporto tra Venezia e l’Oriente, nel modo in cui si perzione femminile in genere. cepisce attraverso la scrittura in versi martelliani della Spo«Si tratta di una delle commedie più riconosciute di Goldosa persiana (cfr. VeneziaMusica e dintorni n. 17, p. 33), trani, quella che ha avuto più successo a Venezia» continua De gedia in versi scritta da Goldoni nel 1753. Il titolo inusuale, Luigi. «La donna, pur in una cultura dove sono il marito e il Conviene che si volga all’Oriente, faceva pensare più a un pamphlet o a un saggio che a uno spettacolo teatrale, ma il testo di Goldoni c’era tutto. Un misto tra pedagogia, scuola dello spettatore e produzione professionale per un allestimento di notevole freschezza e forte tensione etica, non disgiunte dal desiderio di divertire. Questa regia di De Luigi è andata di recente in trasferta in Francia, lo scorso 1 aprile a Marsiglia, dove ha ottenuto un riscontro notevole. «I francesi, forse con un occhio più aperto rispetto al nostro» – spiega De Luigi – «hanno colto non solo tutto il sistema della rappresentazione ma anche le sue sonorità. Buoni i segnali anche da parte degli organizzatori del festival di Avignone, che sono rimasti molto colpiti dalla forza espressiva e dal gioco del gesto danzato, della poesia come danza della parola». L’evento teatrale ha voluto e vuole indagare il complesso rapporto con l’Oriente della città di Venezia nel Settecento, secolo in cui la vicinanza commerciale e politica nell’alleanza con la Persia era fortemente sentita. «Anche per questo, attualizzare il tema secondo me è sbagliato. Nel mio lavoro non c’è dunque alcun tipo di attualizzazione, né dal punto di vista dei costumi né da quello della scenografia: ho voluto mantenere lo spirito e la visiopadre a decidere i comportamenti femminili, si ribella, manne di Goldoni, l’idea che Venezia poteva avere dell’Oriente. tenendo quindi sempre una posizione centrale. Sono preIl disegno e il costume dovevano essere quelli dell’epoca. Il senti dei bellissimi monologhi in cui si inneggia a ruoli rivotutto diventa comunque attuale, perché l’evento vuole essere luzionari che istigano a ribellarsi a quel tipo di leggi che conla messinscena del problema ancora oggi esistente del Burka siderano la donna solo parte del serraglio, dell’harem. Queideologico indossato spiritualmente e realmente dalle donsta forma di matrimonio ripresa da Goldoni diventa interesne nel corso dei secoli. In scena, gli attori uomini portano le santissima. Ho trovato un testo di ricca energia, una commaschere della commedia dell’arte, mentre le donne, oltre media intensa, che mi è piaciuta molto. È inoltre presente il alla maschera, hanno anche il velo». verso martelliano, un verso poetico che ha la stessa energia L’intreccio pone un’attenzione particolare alla posizione dei versi poetici dei grandi autori. Ho così deciso di unire il di Goldoni, che vedeva nell’analisi dei costumi persiani e ritmo di questo tipo di verso ai gesti. Ne scaturiscono riferinella riscrittura in trilogia drammaturgica – detta appunto menti alla danza indiana e a quella giapponese, con dei ral«persiana» – un modo per uscire dallo stretto stereotipo dellentamenti e delle accelerazioni, dove il gesto si lega al suono l’oriente che dilagava in quegli anni. La tematica della donna e alla poetica, alla poesia». costretta a vincoli di matrimonio forzato Lo spettacolo sarà al festival di Forlì – o concubinaggio in Oriente, non si distacCantiere Internazionale Teatro Giovani – ca molto dalla situazione delle «putte» del il 27 maggio, in Corsica a fine settembre Forlì – Cantiere Internazionale Settecento incarnate nelle commedie gole il prossimo anno, con ogni probabilità, Teatro Giovani doniane e addirittura nei vecchi canovac27 maggio, 20.30 nuovamente in Francia. (i.p.) 69 Dintorni danza L’«Omaggio a Maurice Béjart» di Sylvie Guillem Al Ravennafestival con il Tokyo Ballet, «Le Sacre du Printemps», «La Luna», «Bugaku» e «Bolero» È una creatura a parte, Sylvie Guillem, una sorta di fulgida anomalia. Star della danza e profondamente «diva» – per unicità, carisma, eterogeneità di pubblico – non ha «solo» una tecnica strepitosa, un corpo miracolosamente fluido e vibrante, braccia regalmente espressive, piedi arcuati e flessibili come mani e doti teatrali «umanizzanti», capaci di restituire emozioni vive e sentimen- Sylvie Guillem con Maurice Béjart di Leonetta Bentivoglio direttore della compagnia), simile a lei nel temperamento volubile, bizzoso e impaziente. Dall’Opéra, e dall’amatoodiato Nureyev, Sylvie divorziò artisticamente nell’88 con un gesto che suscitò scalpore, al punto che il ministro della cultura Jack Lang dovette rispondere della sua partenza dalla Francia con un’interrogazione parlamentare. Emigrò a Londra come stella del Royal Ballet, rimasta a tutt’oggi una delle sue compagnie di elezione, frequentata in veste di artista-ospite, come fa con l’Opéra di Parigi e altri prestigiosi ensemble, quale il Tokyo Ballet, il complesso giapponese (plasmato al «credo» classico-accademico europeo) insieme a cui si presenta il 24 giugno al Ravenna Festival per un Omaggio a Maurice Béjart. E forse è proprio da Béjart che Guillem è stata più compresa ed esaltata come artista. Per lei il coreografo marsigliese, scomparso qualche mese fa, compose il balletto Sissi, ritratto dell’Imperatrice Elisabetta d’Austria di vastissime ambizioni: quasi una dedica amorosa alla sua musa ispiratrice. A Ravenna Sylvie danzerà capolavori «storici» dell’indimenticabile Maurice: sensuale incarnazione della melodia nel Bolero (svettante su un tavolo tondo, magnifica preda di uomini che riflettono il ritmo della musica di Ravel, e la sommergono in un irresistibile crescendo); fanciulla primitiva sospinta dalla natura al congiungimento con l’uomo nel Sacre du printemps stravinskiano; apparizione evanescente e prodiga di sortilegi ne La luna. luna Né mancherà una coreografia, Bugaku,, che Béjart, coreografofilosofo alla costante ricerca di ponti significativi tra Oriente e Occidente, creò nell’88 apposta per il Tokyo Ballet. ti contemporanei ai grandi ruoli femminili del repertorio, da Giselle a Giulietta e a Manon. In lei c’è altro: intelligenza acuta, senso imperioso della propria immagine, spiccato anticonformismo, curiosità culturale, voglia di confrontarsi con zone diverse dalla danza (come la fotografia: è autrice di una sensazionale galleria di autoritratti) e di montare coreografie in prima persona (firmò una trasgressiva Giselle nel ’98 per il Balletto Nazionale Finlandese). C’è anche un’urgenza di evadere dai canoni del classicismo per misurarsi con i campioni del balletto moderno, come Béjart e Forsythe, e spingersi fino ai territori più sperimentali della coreografia, come ha mostrato di recente collaborando con Russell Maliphant, autore d’avanguardia della scena inglese: pezzi rarefatti, danze pulsanti in gabbie di luce, astrazioni ideali per il suo corpo onirico. Ha avuto una carriera precoce e fulminante: nata nel 1965, a dieci anni era campionessa di ginnastica e a undici scoprì la sua vocazione per la danza. A sedici entrava nel corpo di ballo dell’Opéra di Parigi, di cui tre anni dopo era Ravenna étoile, eletta «sul campo», dopo uno strepitoPalazzo Mauro de André so Lago dei cigni, da Rudolf Nureyev (all’epoca 24 giugno, ore 21.00 71 Dintorni cinema «The Ludwig Van Picture Show» Rassegna di proiezioni musicali «secondo le quattro stagioni» D opo il successo delle rassegne video musicali a Palazzo Cini, si susseguono anche quest’anno gli appuntamenti per gli amanti delle rarità musicali. Il ciclo di incontri iniziato nel 2005 con il titolo Trenta giorni ha settembre, ovvero i pellegrini alla mecca della musica rara, offriva riproduzioni, documenti fonici per lo più introvabili, ve- Ogni sabato pomeriggio alle ore 17.00 hanno infatti luogo proiezioni di opere rare di videografia e cinematografia musicale. Programmi di 60’-100’ introdotti da esaurienti schede curate da Giovanni Morelli. Dopo Sweet Charity di Bob Fosse, che ha inaugurato la rassegna, dopo From Zero: John Cage, di Frank Scheffer, Notre musique di Jean-Luc Godard e Super 8 Stories di Emir Kusturica – solo per citare alcuni dei preziosi appuntamenti già avvenuti – tra maggio e giugno ancora molti i titoli di richiamo. Il 3 maggio è difatti la volta dell’Occhio del diavolo di Ingmar Bergman, rondò capriccioso su alcune sonate di Domenico Scarlatti, con Jark Kulle, Bibi Andersson e Stig Jarrel. Rea- lizzato tra il 1959 e il 1960, si tratta di un’opera misconosciuta di Bergman, forse ritenuta non intonata, per il suo assetto ironico e galante, alle più consuete aure meditabonde e profonde della filmografia del grande cineasta. «Si tratta di un film che gli specialisti considerano una delle opere decisamente minori di Ingmar Bergman» spiega Giovanni Morelli «pur essendo ricco di spunti di riflessione per un approfondimento etico-spirituale, pur nella graziosità e legre e proprie perle musicali. Nel 2006 la rassegna prese il nogerezza dell’argomento, trattato, sulla scorta dell’ispiraziome di La porta sul retro, ovvero Le Salon des Refusés, ovvero Tutne scarlattiana, musicalmente come “un rondò”, rondò cate le feste al tempio (della musica rara), svolgendosi in 53 sedute priccioso, un gioco di rimandi e ammiccamenti farseschi». di ascolti di musiche poco note o «neglette» dalla storia. Il Da un romanzo e una commedia di Jacques Deval, il 10 2007 fu la volta di Hello Mr. Fogg! Giro musicale del mondo in cinmaggio viene proiettato Marie Galante, film del 1934 di Henquantadue sabati, rassegna ispirata questa volta a una panorary King con Spencer Tracy e Ketti Gallian. «Il film tenta di mica geografica di musiche di epoche disparatissime e a seessere un polisenso di genere» continua Morelli. «Si tratdi, città e ambienti. ta infatti di un mélo, che tende al thrilling-gangsteristicoNel 2008 un’accattivante novità: iniziata il 22 marzo scorspionistico-poliziesco, in salsa di musical per l’invadenza so, la rassegna The Ludwig Van Pictudel suo assetto musicale d’ambientaziore Show ha una scansione «stagionale» ne prevalentemente circoscritta al club e comprende cinquantadue proieziodi malaffare». Il lieto fine a scongiurare Venezia – Palazzo Cini (San Vio) ni settimanali nel corso dell’anno. Non l’intrusione della connotazione tragiogni sabato alle ore 17.00 solo musica, dunque, ma video e film. co-drammatica, l’operazione cinema(fino al 13 settembre) 72 cinema Dintorni tografica fu un tentativo abbastanza riuscito di lanciare come diva Ketti Gallian e riuscì in pieno ad avviare la carriera del giovanissimo Spencer Tracy. Il 17 maggio è il turno di Francis Ford Coppola e del suo Cotton Club (1984)– da The Cotton Club di James Haskins – con le musiche di John Barry e con Richard Gere, Diane Lane, Bob Hoskins, Nicolas Cage e molti altri attori di spicco. Otar Iosseliani è di scena il 24 maggio con il suo Jardins en automne (2006), con Severin Blanchet, Lily Lavina, Michel Piccoli e con le musiche di Nicholas Zourabichvili. «Il film, e con questo si esplicita la ragione della sua inclusione in questa rassegna, non dispone una narrativa ma un dispiegamento di forme musicali che ricevono come pretesto fondante d’esistenza la visualizzazione di una costellazione di vicende ordinate in una serrata tessitura di temporalità. Molta musica incide nel film, ininterrottamente, sbucando da ogni anfratto della peripezia, e altrettanta musica visuale crea la rappresentazione nelle sue prospettive polifoniche: polifonie d’immagini in irregolari dispiegamenti di contrappunti formali» sottolinea ancora Morelli. «E in più a cascata: pezzi caratteristici, allegri di sonata, antifone gnoso, fantastico e surreale. Per inquadrare in maniera pesantemente anti-illusionistica, Lubitsch abusa di cornici nere di forma sguaiatamente disparata: ovali, rotonde, merlettate, ondulate, sinuose, asimmetriche e non, rohrsachiane, poste davanti all’obbiettivo della macchina da presa, dando sfoggio a una congerie di bizzarrie visuali che rimarrà un punto di riferimento del cinema. Lo segue con puntualità l’inventiva di Ernst Stern, già scenografo di Max Reinhardt, così come la fotografia sofisticata di Theodor Sparkuhl. E poi ancora: il 14 giugno John Adams e El niño, il 21 l’attesissimo Prova d’orchestra per il celeberrimo duo Fellini-Rota, film in cui il regista sembra lasciarsi alle spalle il suo mondo per scendere fra gli umani a raccontarne le gesta. E tuttavia i diversi livelli di lettura presentati nel testo mescolano perfettamente l’alchimia felliniana fra sogno, memoria e realtà, in un mondo che rimpiange il mondo. I musicisti del film sono pieni di ricordi, di sogni, qualcuno fa addirittura i tarocchi su un pianoforte. Ma Fellini non smette neanche per un attimo di sottolineare la presenza dell’inautentico, dell’obiettivo della telecamera che riprende in toto i loro comportamenti. non di raro toccate dalla grazia dell’ebbrezza etilica, rondò capricciosi, variazioni con e senza tema, rincorse bitematiche, sviluppi più o meno conclusi, infinite ricapitolazioni e riprese. Un esercizio di stile secondo il vangelo del buon gusto e della stravaganza». Si arriva così al 31 maggio e a Pas sur la bouche, film di Alain Resnais del 2003. Si tratta di una sceneggiatura dall’operetta di André Barde e Maurice Yvain, con Pierre Arditi, Sabine Azema, Darry Cowl, Audrey Tatou e le musiche di Maurice Yvain riprese da Bruno Fontaine. Da una frivola commedia musicale iperparigina, Resnais realizza uno dei suoi film più vaporosi e spensierati, una «pura messa in scena filmata» ricercata e pomposa, la cui complessità poetica è inversamente proporzionale alla semplicità del testo. Il 7 giugno il progetto presenta un film muto del 1921 di Ernst Lubitsch: Die Bergkatze, con Paola Negri, Paul Heidemann, Victor Janson e le musiche d’invenzione di Marco Dalpane. È stato il primo film del Maestro a non godere di un vero successo di pubblico. Il regista gira un «grottesco in quattro atti» che verte sulla guerra. La trama prevede un susseguirsi di battaglie a palle di neve, inseguimenti, scene di caserma e di seduzione, il tutto in un paesaggio monta- Il 28 giugno, il Rocky Horror Picture Show di Jim Sharman, con Tim Curry, Susan Sarandon, Barry Bostwick, Richard O’Brien, Patricia Quinn, Nell Campbell, Peter Hinwood. La qualità della playlist delle canzoni performate nel film ne fa il musical rock migliore della storia del cinema. Questo, infine, il calendario estivo nella sua interezza: Werner Herzog, Death for 5 voices. Gesualdo (5 luglio); Schumacher – Webber, The Phantom of the Opera (12 luglio); François Girard, Thirty Two Short Films About Glenn Gould (19 luglio); Fratelli Marx, Una notte all’opera (26 luglio); Benjamin Britten, Death in Venice (2 agosto); Alexander Hammid, The Men of Music (9 agosto); Agnieszka Holland, Copying Beethoven (16 agosto); Wim Wenders, Chambre 666 (23 agosto); Nino Rota – Eduardo De Filippo, Lo scoiattolo in gamba (30 agosto); Michael Obst, Solaris (6 settembre); István Gaál, Orfeusz es Eurydikee (13 settembre). (i.p.) Nelle immagini: Tim Curry con Patricia Quinn, Nell Campbell e Richard O’Brien in Rocky Horror Picture Show (1975) di Jim Sharman; locandina di Pas sur la bouche (2003) di Alain Resnais; scena da Jardins en automne (2006) di Otar Iosseliani; Richard Gere e Diane Lane in Cotton Club (1984) di Francis Ford Coppola. 73 arte Dintorni Arrivò Peggy e l’arte non fu più la stessa Alla Guggenheim mostre e film per i 60 anni in laguna della collezionista americana A di Manuela Pivato rrivò a Vesmo astratto amerinezia sescano e portavano le sant’anni fa, firme di Jackson Polcon bauli di abiti, il lock, Arshile Gorky, suo fiuto da bracco Mark Rothko. e la certezza che non Ma Peggy arrivò si sarebbe più mossa. in laguna con molDopo aver vissuto to di più. Arrivò con a spasso per il monl’intenzione di restado osando con l’arre e di portare le opete contemporanea re che aveva collequello che nessuzionato fino a quale no aveva mai osato momento. Opere di prima, Peggy GugBrancusi, Duchamp, genheim decise che Picabia, Braque, avrebbe vissuto in Dalí, ma anche di riva al Canal GranMax Ernst, che per de insieme ai suoi due anni era stato il John Sloan, Sunday Women Drying Their Hair, 1912 cani e ai suoi quasuo secondo maridri, come la regina to, e di Mondrian. assoluta di un regno Un anno dopo il suo che aveva creato a arrivo acquistò Pasua immagine e somiglianza. Avelazzo Venier dei Leoni, lungo, larva cinquant’anni, lo sguardo impago basso e incompiuto, nel cui giarvido e un carattere terribile, quindi dino fece installare un trono di pieindimenticabile. tra su cui amava sedersi per ricevere Sessant’anni dopo, la Peggy Gugi suoi ospiti e farsi fotografare. Per la genheim Collection celebra l’ancamera da letto scelse invece pareti niversario con un fitto programturchesi e, per il letto, una testiera in ma di eventi dal titolo «E poi arriargento commissionata ad Alexanvò Peggy. 1948-2008: 60 anni delder Calder. Un puro e sofisticato la collezione Peggy Guggenheim a vezzo che le faceva ripetere: «Non Venezia». Due mostre – «Coming sono solo l’unica donna al monof Age, Arte americana dal 1850 al do che dorme in un letto di Calder, 1950, dal 28 giugno al 12 ottobre» ma anche l’unica a indossare i suoi e «Carlo Cardazzo. Una nuova vienormi orecchini mobile». sione dell’arte», dall’1 novembre al La sua casa, il suoi giardino, le sue 9 febbraio 2009) – conferenze, dicene e i bagni di sole sul tetto del pabattiti, proiezioni di film nel giarlazzo divennero ben presto leggendino di Palazzo Venier dei Leoni, dari. «Inizialmente poche persone un concerto per il compleanno di venivano a Palazzo Venier dei LeoPegg y Guggenheim Peggy il 26 agosto e un annullo fini – annotava la collezionista – ora prima mostra, latelico dedicato alla collezionista vengono qui ancor prima di andare settembre 1949 americana. in Piazza San Marco». Con gli anni, Sei mesi di manifestazioni per riPeggy continuò ad arricchire le pacambiare quello che la Guggenheim reti della sua dimora al punta da popensava della sua città adottiva. «Si è sempre dato per sconter dire di se stessa: «Non sono una collezionista. Sono un tato che Venezia sia la città ideale per una luna di miele, maè· museo». Ma il destino di quello che aveva raccolto nell’arco un grave errore – disse –. Venire a Venezia, o semplicemendella sua vita la preoccupava. Così, nel 1969, Peggy decise di te visitarla, significa innamorarsene e nel cuore non resta più donare il palazzo e le opere d’arte alla Fondazione Solomon posto per altro». Così accadde a lei, quando nel 1948 fu inGuggenheim, creata nel 1937 dallo zio Solomon per ammiviata da Rodolfo Pallucchini, allora segretario generale delnistrare la propria collezione e il museo di New York. Dal la Biennale, a esporre la propria collezione al Padiglione del1980, un anno dopo la scomparsa della collezionista, Palazla Grecia. Per la prima volta in Europa il pubblico poté amzo Venier dei Leoni è diventato un museo che conta quasi mirare opere mai viste. Erano i capolavori dell’Espressioni400.000 visitatori all’anno. 75 Dintorni arte L’ispirazione che viene dalla carta Caterina Crepax alla galleria d’arte Arké A lla Galleria d’arte Arké sono in moin carta avviene nel 1995 al Salone Internastra le creazioni in carta di Caterina zionale del Mobile di Milano. Da allora le Crepax. Figlia del noto disegnatore sue oniriche creazioni cominciano a esseVenezia – Galleria d’arte Arké difumettiGuidoCrepax,creatoredell’indifino al 10 giugno re riconosciute e richieste in Italia e all’estementicabileValentina,CaterinanasceaMiro: servizi fotografici su importanti testate lanonel1964.EalPolitecnicodiMilanosilaureain di moda e design, mostre e fiere, spettacoli teatrali Progettazione Architettonica e lavora come ar(come l’l’Eliogabalo di Fanny & Alexander), evenchitetto d’interni svolgendo attività parallele ti di moda, sfilate, ecc. Tra le mostre più recennel campo della grafica e dell’allestimento di ti possiamo ricordare una personale a Porcari spaziespositivi.Dalpadreereditala passio(Lucca) all’interno della Biennale Cartaria, e ne per il disegno e soprattutto l’abilità mauna collettiva, «Mai dire Mao», a Parma. La nuale e la fantasia nel trasformare un semcarta, questo fragile materiale, sfida la creaplice foglio di carta bianca in una fantastitività spingendo alla sperimentazione, stica costruzione tridimensionale. molandolefantasieprogettuali.ECaterina Il suo rapporto con la carta è un indissoCrepax è straordinaria interprete delle qualubile filo che dall’infanzia la porta, oggi, lità espressive di questo materiale. (i.p.) ad affacciarsi sul composito e sorprendenCa te te panorama dell’arte contemporanea. Caterir ina Crepax La galleria d’arte Arké nasce il 21 giugno 2005 dalla volontà na ama l’ironico gioco della metamorfosi, della della moglie Leila e delle figlie Renata e Giovanna di riproportrasformazione dei materiali cartacei di uso comure, una volta all’anno, le opere del marito e padre, l’artista veneziano ne,chetramitetagli,pieghe,arricciatureesbuffidanno Ezio Rizzetto, e con lui tutti gli amici operanti dagli anni 1935 circa in poi, che hanno prodotto e arricchito la città tramite le loro proposte/ricerche esposte vita a sculture fragili e aggressive, che prendono spesso ispinelle varie manifestazioni (Arco, Fronte delle Arti, Bevilacqua La Masa, Biennarazione dal mondo animale, vegetale, da elementi di decoraziole, Triennale, Quadriennale, mostre personali nazionali e internazionali). Il prone architettonica… Quasi crisalidi svuotate di un corpo del quagramma della galleria si articola usualmente in 4/5 esposizioni l’anno, prevalentemente personali di artisti affermati e giovani emergenti. le conservano la memoria. Il debutto ufficiale delle sue creazioni 76