AVANT PROGRAMME STAGIONE TEATRALE 2014/2015 SHAKESPEARE’S VILLAINS di e con Steven Berkoff Steven Berkoff, regista, attore cinematografico e teatrale, autore inglese di culto, conosciuto al pubblico di Teatro Due per l’affascinante testo dedicato a Ofelia e interpretato da Michela Lucenti e Maurizio Camilli (L’amore segreto di Ofelia), arriva a Parma con una nuova creazione, che lo vede autore e protagonista, di nuovo alle prese con il bardo e con i suoi amati, o meglio in questo caso, odiati personaggi. Abituato a riscrivere i classici e a trasportarli dentro il violento mondo di oggi, Berkoff incontra Shakespeare e porta in scena una galleria di personaggi, che hanno scritto la storia del teatro con la loro anima nera: Shakespeare’s Villains è un’esplorazione e un’analisi dei più maligni protagonisti dei testi shakespeariani - da Iago a Macbeth, da Shylock a Riccardo III-, figure che appartengono ormai all’immaginario condiviso della cultura occidentale e che giungono al male spinti da dinamiche sociali o personali, universali e archetipiche. Alcuni di loro sono naturalmente infernali, altri vengono costretti dagli eventi a commettere azioni turpi, altri ancora si trovano in balia di una società maledetta e corruttrice: per ciascuno di loro, Berkoff sperimenta una modalità a sé, intrigando, incantando e divertendo il pubblico con le sue doti di attore acuto e incisivo, un talento anticonformista, dissacrante e ironico, spudoratamente anglosassone. Un vero “one man show”, dove gli occhi di ghiaccio del cattivo di tanti film di cassetta anni ’80 e ’90, contribuiscono a rendere ancora più profonde le complesse personalità dei “villains” più affascinanti della storia del teatro. Lo spettacolo è un virtuosismo di tecnica all’interno del quale il mimo incontra lo sguardo del pubblico, mentre la parola ci porta lontano. Si diverte Berkoff, e il suo divertirsi contagia la platea, con cui riesce a creare un’intesa particolare, che porta lo spettatore ad una specie di ascolto ipnotico totale. – Krapp’s Last Post Spazio Grande 8 novembre 2014, ore 20.30 9 novembre 2014, ore 16.00 A QUEEN OF HEART voce Rosemary Standley pianoforte Sylvain Griotto costumi Vanessa Sannino luci François Menou scene e regia Juliette Deschamps produzione Compagnie La Scène du Crime con il sostegno di Spedidam in co-produzione con Théâtre de la Bastille, Théâtre d'Arras - Scène conventionnée musique et théâtre Una donna conduce il pubblico in un viaggio nella storia della musica e nella sua storia d’amore, con un repertorio che attraversa le diverse epoche e stili musicali e accarezza l’anima della platea: direttamente da Parigi, Rosemary Standley, con la sua voce suadente e potente e la sua magica presenza retrò, incanterà il pubblico, accompagnata dalle note di Sylvain Griotto, una creazione di Juliette Deschamps, realizzata lo scorso anno al Théâtre de la Bastille. A Queen of Heart s‘ispira a donne forti, perdute e fatali dell’America degli anni ’30, in una scena dove il sipario porta ancora tracce di polvere e fasti di un tempo: interpretando celebri brani del passato - da Kurt Weill a Nina Simone, da Poulenc a Etta James, da Marilyn Monroe a Cole Porter, e ancora Leonard Bernstein, Johnny Guitar, Max Richter, George Gerschwin, Marlene Dietrich, Luigi Tenco, Peggy Lee, Nancy Sinatra, Billie Holiday - Rosemary Standley e Juliette Deschamps invitano il pubblico a partecipare ad un cabaret affascinante e malinconico, raccontando storie d’amore e di perdita, incontrando le dive e le icone della musica di inizio secolo, schiacciate tra il loro successo e la loro solitudine. Un progetto di teatro musicale che è un tributo alla femminilità, elegante e decadente, brutale e appassionata. Rosemary libera sulla scena qualcosa di raro: una fantasia, ma anche una specie di fragilità e inquietudine tipicamente femminile. - Macha Makeieff, Direttore Théâtre de la Criée – Centre Dramatique National, Marsiglia Rosemary Standley è la cantante del celebre gruppo musicale franco-americano Moriarty. Con la band ha registrato due album (Naïve e Air Rytmo) e ha girato tutto il mondo per i concerti dal vivo. Rosemary canta dall’età di 8 anni, da quando seguiva il padre e la sua band, scoprendo il loro repertorio tradizionale americano: Jimmy Rogers, the Carter Family, Woodie Guthrie, Patsy Cline, Chuck Berry, Johnny Cash, per citarne alcuni. La madre, irlandese, le ha poi trasmesso altre tradizioni, aggiungendo la musica celtica alle sue passioni. Questa educazione musicale eclettica ha formato la sua voce e il suo stile, generando una cantante originale e talentuosa, capace di affrontare molti generi diversi e di cantare in francese, tedesco, creolo, arabo, italiano e ovviamente inglese. Il suo interesse sempre costante in repertori alternativi e differenti, le permette di spaziare dal folk, al country, al blues, al bluegrass, al rock'n'roll fino alla musica classica e barocca, dalle canzoni yiddish alla poesia di Alain Peters dell’Isola di Reunion. Dal 2006, Juliette Deschamps ha diretto più di 30 produzioni: opera, prosa, performance, sfilate di moda, concerti di musica classica, pop e elettronica. Il suo lavoro in Francia è stato ospitato e prodotto da realtà eccellenti come il Théâtre des Champs‐Élysées, la Royal Opera di Versailles, l’Opéra‐Comique di Parigi, il Centre Georges Pompidou, l’Auditorium del Louvre, il Museo Quai Branly, il Cigale, l’Olympia e molti altri. All’estero, le sue produzioni sono state rappresentate a Vienna, Venezia, Taipei, Bilbao, Amsterdam, Città del Lussemburgo, e lo scorso autunno a New York ha messo in scena al Lincoln Center con il soprano Anna Caterina Antonacci l’opera barocca Era la notte. Nel 2007, Juliette Deschamps ha fondato la sua compagnia, La Scène du Crime. Nel 2011, ha vinto il premio di spettacolo dell’anno al concorso Victoires de la Musique per la produzione di «‐M‐ Les Saisons de passage» con il cantante francese Matthieu Chedid. Spazio Grande 11 e 12 novembre 2014, ore 20.30 EUROPA GALANTE / FABIO BIONDI Musiche di ANTONIO VIVALDI Programma Sinfonia per archi Il Coro delle Muse RV149 Concerto per due violini e archi RV522 Concerto per violino RV230 Sinfonia dall’opera Ercole sul Termodonte RV710 Concerto for viola d’amore e liuto RV540 Concerto per violino RV236 Concerto per quattro violini RV549 Sinfonia dall’Opera La Griselda RV718 Un concerto tributo a uno dei compositori più importanti di tutti i tempi: l’Ensemble Europa Galante, acclamato in tutto il mondo, diretto dal Maestro Fabio Biondi, porta a Teatro Due un programma tutto incentrato su Antonio Vivaldi. Da diversi anni Europa Galante è in residenza artistica a Fondazione Teatro Due, stringendo un sodalizio e una collaborazione che nel corso delle stagioni teatrali hanno portato a Parma il meglio della musica classica e barocca internazionale. Europa Galante nasce nel 1990 dal desiderio del suo direttore artistico, Fabio Biondi di fondare un gruppo strumentale italiano per le interpretazioni, su strumenti d’epoca, del grande repertorio barocco e classico. Orientando il repertorio verso una dimensione universale, incline alla riscoperta di compositori poco eseguiti, Europa Galante rivolge la propria attenzione a una letteratura che copre 300 anni di musica. L’ensemble ottiene un grande successo fin dalla pubblicazione del primo disco, dedicato proprio alla produzione concertistica vivaldiana (Premio Cini di Venezia, Choc de la Musique in Francia). Negli anni seguenti il gruppo colleziona un’eccezionale lista di riconoscimenti: 5 Diapason d’Oro, Diapason d’Oro dell’anno in Francia, premio RTL, nomina Disco dell’anno in Spagna, Canada, Svezia, Francia e Finlandia, Prix du disque, tra i tanti altri. Da allora Europa Galante si è esibita nelle più importanti sale da concerto e teatri del mondo. In Italia collabora con l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia nel recupero di opere vocali del ‘700 italiano. Europa Galante si è anche impegnata nella diffusione del repertorio scarlattiano. Con grande successo di pubblico e di critica, Europa Galante è stata presente a Venezia - in collaborazione con la Fondazione Teatro La Fenice - con le Opere Didone nel 2006, Bajazet ed Ercole sul Termodonte di Vivaldi nel 2007, e Virtù degli strali d'amori nel 2008. Nel 2002, Fabio Biondi ed Europa Galante hanno ottenuto il Premio Abbiati della critica musicale italiana per l’insieme dell’attività concertistica e per l’esecuzione del Trionfo dell’Onore. Di nuovo nel 2008 è stato assegnato a Fabio Biondi e Europa Galante, insieme alla Compagnia Colla, il premio speciale Abbiati per Filemone e Bauci di Haydn. Europa Galante vanta un’importante discografia, edita in collaborazione con OPUS111, e in seguito con VIRGIN CLASSICS, con cui ottiene regolarmente i massimi riconoscimenti internazionali. Oggi Europa Galante collabora con la casa discografica AGOGIQUE. Fabio Biondi, originario di Palermo, a sedici anni viene invitato al Musikverein di Vienna per interpretare i Concerti per violino di Bach. Da allora collabora quale primo violino con i più famosi ensemble specializzati nell'esecuzione di musica antica con strumenti e prassi esecutiva originali. Nel 1990 la svolta: fonda Europa Galante, che in pochissimi anni, grazie ad un'attività concertistica estesa in tutto il mondo e ad un incredibile successo discografico, diviene l'ensemble italiano specializzato in musica antica più famoso e più premiato in campo internazionale. Con Europa Galante Fabio Biondi è invitato nei più importanti Festival e nelle sale da concerto più famose del mondo. In pochi anni vende quasi un milione di dischi, e Le quattro stagioni vivaldiane incise per Opus 111 diventano un vero caso internazionale, conquistando tutti i più importanti premi e vendendo oltre 500.000 copie. Oggi, Fabio Biondi incarna il simbolo della perpetua ricerca dello stile, uno stile libero da condizionamenti dogmatici e interessato alla ricerca del linguaggio originale. Questa inclinazione lo porta a collaborare in veste di solista e direttore con orchestre quali: Santa Cecilia a Roma, Orchestra da Camera di Rotterdam, Opera di Nizza, Opera di Halle, Orchesta da Camera di Zurigo, Orchestra da Camera di Norvegia, Orchestra Mozarteum di Salisburgo, la Mahler Chamber Orchestra, etc. Fabio Biondi è diventato, da Marzo 2005, direttore stabile per la musica antica della Stavanger Symphony Orchestra. Nella stagione 2013-2014, Fabio Biondi ha diretto l'Orchestra del Maggio Musicale, la Finnish Radio Symphony Orchestra, la Real Philarmonica de Galicia, l'Orchestra dell'Accademia di Santa Cecilia e l'English Concert. Nel 2014, in duo con il cembalista Kenneth Weiss, presenterà un programma di Sonate di J.S.Bach in Europa e negli Stati Uniti. Dal 2011, è Accademico dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Fabio Biondi suona un violino Andrea Guarneri (Cremona, 1686). Suona anche un violino Carlo Ferdinando Gagliano del 1766, già appartenuto al suo Maestro Salvatore Cicero, e affettuosamente messo a disposizione dalla omonima fondazione. Spazio Grande 11 e 12 novembre 2014, ore 20.30 IL MERCANTE DI VENEZIA di William Shakespeare con Silvio Orlando e con Popular Shakespeare Kompany in ordine alfabetico Andrea Di Casa, Fabrizio Contri, Milvia Marigliano, Simone Luglio Elena Gigliotti, Nicola Pannelli, Fulvio Pepe, Sergio Romano Barbara Ronchi, Roberto Turchetta, Ivan Zerbinati scene Carlo de Marino luci Pasquale Mari costumi Sandra Cardini musiche originali Arturo Annecchino regia Valerio Binasco produzione Oblomov Films e Fondazione del Teatro Stabile di Torino in collaborazione con Estate Teatrale Veronese Dopo il successo di Romeo e Giulietta e La Tempesta, la Popular Shakespeare Kompany ha scelto un nuovo classico del repertorio shakespeariano, affidando a Silvio Orlando il ruolo del protagonista. Opera ambigua e complessa, in cui s’intrecciano conflitti sociali e culturali, valori come legalità e giustizia, passioni e intrighi amorosi, Il mercante di Venezia è tra i capolavori shakespeariani di più forte impatto etico. Un’opera in cui a prevalere è il potere del denaro: tutto si compra e si vende, anche un brandello di carne umana, anche l’amore. La storia è nota: siamo a Venezia, è il XVI secolo. Bassanio vorrebbe la mano di Porzia. Per corteggiarla degnamente, chiede al suo carissimo amico Antonio, il mercante di Venezia, tremila ducati in prestito. Antonio non può prestargli il denaro poiché ha investito in traffici marittimi. Garantirà per lui presso Shylock, usuraio ebreo, che non sopporta lo stesso Antonio, poiché presta denaro gratuitamente, facendo abbassare il tasso d'interesse nella città. Nonostante ciò, Shylock accorda il prestito a Bassanio. L'ebreo però, in caso di mancato pagamento, vuole una libbra della carne di Antonio, richiesta che alla fine gli si rivolgerà contro…. Il Mercante è per Valerio Binasco l’occasione per indagare le categorie di ‘bene’ e di ‘male’, fino a rimescolarle: fondamentale diventa lo scontro tra una moltitudine di uguali - i cristiani di Antonio -, e il singolo diverso - l’ebreo Shylock. Il male c’è, ma è il denaro in sé. “Il testo appare come una cupa ‘contro-favola’ – ha scritto il regista -, una storia che sembra una favola, ma che fa sorridere solo gli adulti, perché hanno perso ogni speranza. Noi non dobbiamo cedere a questa tentazione. Anzi: dobbiamo fare del Mercante una grande favola e una festa del teatro. Cioè della speranza. La terribile, umiliante, meschina sconfitta di Shylock, giusta o non giusta che sia, mi mette a disagio. Annuncio fin d’ora che starò dalla sua parte. Del resto, il bene e il male si spostano di continuo nel corso della pièce. Dipende dalle circostanze. Questa è una verità moderna e inattaccabile. La verità di una favola che rivela che non c’è nessuna verità. Eppure la vita può essere lo stesso una festa”. Binasco propone dunque una rilettura tra realismo e oniricità, in cui il primo è incarnato nel sinistro Shylock di Silvio Orlando e la seconda ondeggia fra i lunghi capelli di Porzia e i suoi misteriosi scrigni. A fare da collante fra i due, la potenza della scrittura shakespeariana, che riesce a scavalcare il limite temporale e a fornirci materia per riflettere su di noi e sul nostro presente. Regista e attore di punta della scena italiana, Valerio Binasco, dopo essersi confrontato con la drammaturgia contemporanea (Ginzburg, Fosse, Paravidino), ha iniziato un coraggioso percorso di rilettura dei classici, che gli è valso un Premio Ubu nel 2011 e che da più di tre stagioni lo impegna in giro per i teatri italiani con la compagnia da lui creata e diretta. Spazio Grande 9, 10 dicembre 2014 CLÔTURE DE L’AMOUR di Pascal Rambert traduzione Bruna Filippi con Luca Lazzareschi, Tamara Balducci con la partecipazione del Coro delle Voci Bianche della Società Corale Guido Monaco e del Maestro del Coro Barbara Zuccaro scene Daniel Jeanneteau direttore tecnico Robert John Resteghini regia Pascal Rambert assistente alla regia Thea Dellavalle produzione Emilia Romagna Teatro Fondazione con il sostegno di Institut français nel quadro del progetto "Théâtre export" In una grande stanza bianca, una donna e un uomo si parlano attraverso due lunghi monologhi – due parallele che non s’incontrano mai e mai si fanno dialogo - interrogandosi sulle ragioni della fine della loro storia d’amore. Siamo davanti a una rottura tra due amanti; il confronto finale, quello da cui si cercano di trarre conclusioni e motivazioni. Un flusso ininterrotto di parole, taglienti, precise, ordinate, fatto di domande-risposte, di respiri bloccati, una sorta di maratona in bilico tra la paura della solitudine e l’attrazione per la libertà: è proprio lì, nel mezzo del momento doloroso, che Pascal Rambert conduce il pubblico, immergendolo nei meandri di una storia e della sua rottura. Due sguardi, due parole, due corpi e due silenzi per raccontare la violenza di un amore che muore, cercando di far emergere il più possibile l’universalità di questa circostanza, come afferma lo stesso regista e autore: "Il mio lavoro è ispirato da elementi della realtà perché sono un grande 'ascoltatore'. Il mio appartamento è al primo piano di un palazzo e molto spesso ascolto quello che dicono i passanti. In quel momento divento un registratore umano: tra tutto quello che ho ascoltato ci sono spesso momenti di separazione, momenti che ho dovuto affrontare personalmente tre o quattro volte. Quello che volevo descrivere era l’idea della separazione, ma non una delle mie separazioni. Quello che importa è la lingua che scappa, che fugge, che si ripete, la lingua che racconta la violenza del distacco, che la maggior parte di noi un giorno o l’altro si trova ad affrontare." Ponendosi e ponendoci la domanda "chi amiamo, quando amiamo?", Pascal Rambert non dà risposta, ma si aggira nelle svariate possibilità, includendo i luoghi comuni che almeno una volta chi si è separato da qualcun altro ha usato, alla ricerca delle ragioni del disamore. L’autore e regista Pascal Rambert è protagonista di spicco della scena francese e attualmente direttore del Théâtre de Gennevilliers – centro nazionale di produzione contemporanea nell’area parigina. Con la pièce Clôture de l’amour, che ha debuttato al Festival di Avignone nel 2011, ha vinto in Francia il Premio della Critica 2012 per la "Miglior creazione di un testo teatrale in lingua francese" e il Gran Premio della Drammaturgia 2012. Lo spettacolo è stato tradotto e rappresentato in tutto il mondo. Spazio Bignardi 12, 13 , 14 dicembre 20 GYULA – PICCOLA STORIA D’AMORE scritto e diretto da Fulvio Pepe con Alberto Astorri, Alessia Bellotto, Ilaria Falini, Gianluca Gobbi Orietta Notari, Enzo Paci, Tania Rocchetta, Massimiliano Sbarsi Nanni Tormen, Antonio Zavatteri, Ivan Zerbinati luci Pasquale Mari assistente alla regia Carlo Orlando produzione Fondazione Teatro Due Vincitore nel 2009 del premio "Enrico Maria Salerno" per la drammaturgia, Gyula è quasi una favola. In un paese lontano vive un ragazzo con sindrome di Down, amorevolmente cresciuto e protetto da mamma Rosa; il vicinato è raccolto intorno a poche strade, un piccolo bar, una vecchia cava di pietra; i nomi dei personaggi rimandano a una provincia dell’est Europa: Herda e Banda, i cavatori, Laci il capo cantiere, Karez il tranviere, Bela il barista, Vizty l’ubriacona, il povero Maestro Jani, violinista con l’artrite alle mani e sua moglie Marika, infine il mitico governatore della provincia, da cui dipendono buona parte dei destini della comunità… Con questi elementi Fulvio Pepe mette in scena le piccolissime avventure della vita quotidiana di una comunità: le speranze, i timori, le gioie, persino l’amore, tutto in scala ridotta, più piccola del reale. Quasi un plastico giocattolo della scena della vita. Una favola minima, leggera, che riesce a parlare agli spettatori, rivelando in pochi tratti un intero universo: psicologie, rapporti, destini intrecciati, frammenti compiuti di umanità. Fulvio Pepe (Bari, 1972) si è diplomato al Teatro Stabile di Genova e ha lavorato in teatro con registi come Peter Stein (I demoni), Giuseppe Patroni Griffi (Il Vizietto), Valerio Binasco (Nocciolne, Romeo e Giulietta, La Tempesta, Il Mercante di Venezia), Jurij Ferrini (Cymbeline), Marco Sciaccaluga. Attore cinematografico per Fulvio Ottaviano (Una talpa al bioparco) e Citto Maselli (Il fuoco e la cenere) e in diversi film televisivi e serie Tv (Romanzo Criminale, Montessori, Borsellino, Nati ieri), nel 2008 ha vinto al Torino Film Festival il premio come migliore cortometraggio con A chi è già morto a chi sta per morire, da lui scritto e diretto. Spazio Bignardi Dal 7 al 18 gennaio 2015 IVANOV di Anton Cechov regia Filippo Dini produzione Fondazione Teatro Due Prima opera teatrale composta da Cechov, testo tagliente di un autore amatissimo e fondamentale per la drammaturgia contemporanea, Ivanov investiga con grande lucidità i momenti topici della vita di un eroe negativo, modello esemplare di "uomo comune" che, nell'incapacità di affrontare la crisi riflette perfettamente le nevrosi e le tensioni di un'epoca. Ivanov, titolo dell’opera e cognome fra i più diffusi ieri e oggi in Russia, è un uomo “superfluo”, alle prese con il vuoto che lo circonda; le sue aspirazioni intellettuali, unite al senso d’impotenza, fanno di lui un eroe negativo, incapace d’affrontare la crisi. Anna, sua moglie, per sposarlo ha abbandonato la propria famiglia e la religione ebraica in cui è nata, quando si ammala di tubercolosi lui l’abbandona senza occuparsi di rimettere in sesto l’amministrazione della sua proprietà. Saša, giovane figlia di proprietari che vivono nel circondario, ama Ivanov, e dopo la morte di Anna tutto è pronto per le nuove nozze. Ivanov però avverte la propria inadeguatezza di fronte a questo amore, che pur condivide, e sente il peso del sacrificio che la giovane donna sta per affrontare sposandolo. All’ultimo momento sfugge al nuovo impegno sparandosi un colpo di pistola. Intorno a questi personaggi si muove un’umanità disillusa, priva di ideali e senza speranze nel futuro. L’unica loro attività consiste nel ritrovarsi a giocare a carte o organizzare tristi feste dove si mangiano aringhe e cetrioli e si sparla di tutto e di tutti. Neppure i personaggi positivi come Anna, Saša e il medico L’vov Evgenij Konstantìnovič si salvano da questo naufragio e il bene che pensano di fare riesce ad essere ancor più negativo dell’indifferenza e cinismo degli altri. E’ un piccolo mondo senza speranza dove gli uomini sono condannati a vivere e neppure la decisione di Ivanov d’uccidersi assurge a dramma, ma si stempera nel non-sens di un’ultima, inutile, fuga dalle proprie responsabilità. Filippo Dini ha frequentato la Scuola di Recitazione del Teatro Stabile di Genova dal 1994 al 1996. Nel 1998, insieme ad Andrea Di Casa, Sergio Grossini, Fausto Paravidino e Giampiero Rappa fonda la compagnia Gloriababbi Teatro, con cui collabora tuttora. È stato diretto, fra gli altri, da Carlo Cecchi, Giorgio Barberio Corsetti e Valerio Binasco. Ha vinto il premio "Le Maschere del Teatro Italiano 2011" come migliore attore non protagonista nel ruolo di Padre Lorenzo in Romeo e Giulietta di Shakespeare diretto da Valerio Binasco. Spazio Grande 22, 23 gennaio, 2015 LO ZOO DI VETRO di Tennessee Williams traduzione Gerardo Guerrieri con Milvia Marigliano, Monica Piseddu, Arturo Cirillo, Edoardo Ribatto costumi Gianluca Falaschi luci Mario Loprevite scene Dario Gessati assistenti scenografo Elena Beccaro e Denise Carnini regia Arturo Cirillo assistente alla regia Giorgio Castagna produzione TieffeTeatro Ormai un habitué delle Stagioni di Fondazione Teatro Due, torna a Parma Arturo Cirillo, regista e attore napoletano, adorato da critica e pubblico, geniale lettore dei classici del teatro internazionale. Dopo averlo visto cimentarsi, fra gli altri, con Molière e Ruccello, eccolo affrontare con alcuni dei suoi attori storici un classico della drammaturgia americana del ’900 (divenuto anche un lungometraggio diretto da Paul Newman nell’87), con sguardo acuto e visionario, mostrando meccanismi familiari sempre attuali e personaggi reali nell’Italia di oggi come negli Stati Uniti degli anni ‘40. “Lo zoo di vetro è un dramma di memoria, secondo la definizione dello stesso Tennessee Williams, cioè è un testo dalla doppia natura: realistico nella descrizione dei rapporti tra i personaggi, ma totalmente onirico rispetto al tempo della vicenda e al tempo della sua rappresentazione. Potente messa in scena dell’atto del ricordare e del rapporto con il passato come luogo del rimpianto: il futuro diventa presente, il presente passato, e il passato un eterno rimpianto, si dice nel testo. Al centro della vicenda il fallimento di una famiglia, una madre che vive ancorata al ricordo di una giovinezza dorata, un gruppo di ex-giovani ormai senza più età. Lo zoo di vetro di Williams rappresenta l’inganno dell’immaginario, non è casuale la grande importanza, data dall’autore, all’atto del proiettare. Il riflettore teatrale che il narratore/figlio punta sui personaggi, i molteplici film nei cinema dove si rifugia Tom per sfuggire alla realtà, e anche gli stessi animaletti di vetro che compongono lo zoo del titolo sono l’emblema della fragilità e della finzione: sono essenze quasi prossime all’assenza, non a caso trasparenti. Immagino dunque un luogo abitato da pochi elementi, molto concreti ma immersi in una luce non realistica, quasi pittorica, dove la vicenda venga narrata senza divisioni in quadri, ma in un unico luogo, come se ci trovassimo all’interno di un album di famiglia troppe volte sfogliato. I testi di Williams, e in particolar modo Lo zoo di vetro, mi ricordano il teatro di un autore a me molto caro: Annibale Ruccello, che infatti cita spesso lo scrittore americano tra i suoi amori letterari. Come in Ruccello vedo qui dei personaggi violentemente attaccati alle proprie illusioni, come la madre, la signora Amanda Wingfield, centro e origine di tutte le patologie, ma vittima lei stessa del confronto con le spietate leggi della realtà. Troviamo poi l’alcolismo, la solitudine, l’assenza del padre, la giovinezza come un tempo perduto, tutti temi universali, che la maestria dell’autore rende condivisibili dal pubblico di oggi come del passato, in America, come in Italia. Credo che come per tutti gli autori teatrali molto autobiografici, anche se in un modo misterioso e metaforico, si debba ricercare una propria personale narrazione, fare dei personaggi degli altri possibili noi stessi. Come credo che facesse Tennessee Williams, soprattutto con le sue eroine, eroine destinate all’insuccesso e alla solitudine, relegate a vivere nel teatro, e a risplendere a ogni nuova accensione della luce su di loro”. Arturo Cirillo Spazio Grande 21, 22 febbraio 2015 HOTEL PARADISO di Anna Kistel, Sebastian Kautz, Thomas Rascher, Frederik Rohn Hajo Schuler, Michael Vogel, Nicolas Witte con Sebastian Kautz, Anna Kistel, Daniel Matheus, Thomas Rascher maschere Hajo Schüler, Thomas Rascher costumi Eliseu R. Weide musiche Dirk Schröder luci Reinhard Hubert direttore di produzione Gianni Bettucci regia Michael Vogel produzione Familie Flöz, Theaterhaus Stuttgart, Theater Duisburg Sono il gruppo di punta del teatro di figura contemporaneo europeo. Sono adorati dai pubblici di tutte le età e hanno conquistato la critica di tutto il mondo. Sono una delle più clamorose rivelazioni internazionali degli ultimi 10 anni, riuscendo a fare un teatro sorprendente, che pone lo spettatore di fronte ai grandi e piccoli momenti della vita grazie a un linguaggio fisico e a delle maschere originalissime, legandosi alla migliore tradizione della clownerie e del mimo. Loro sono i Familie Flöz e arrivano a Parma con Hotel Paradiso, offrendo agli spettatori un momento di vera poesia e potente comicità. Strane cose accadono nel tranquillo Hotel Paradiso, un piccolo albergo di montagna gestito con pugno di ferro dall’anziana capo-famiglia. Ci sono quattro stelle che orgogliosamente troneggiano sull‘entrata e una fonte che promette la guarigione di malattie fisiche e psichiche. Ma s’intravedono nubi all‘orizzonte. Il figlio sogna il vero amore mentre combatte una dura battaglia con la sorella per mantenere il controllo sulla gestione dell‘albergo. La donna del piano ha un problema di cleptomania e il cuoco ha una passione, quella di macellare, non solo animali... Quando il primo cadavere affiora, tutto l‘albergo scivola in un vortice di strani avvenimenti. Fra le alte vette delle Alpi si aprono abissi da cui è impossibile fuggire. La chiusura dell‘albergo sembra a questo punto solo una questione di tempo. Si sa, un cadavere non porta mai bene... Superando ogni convenzione linguistica, Familie Flöz porta la realtà a sconfinare nell'onirico in un grande, appassionante, delicato e coinvolgente spettacolo, che un po’ più in là le infinite possibilità del gioco teatrale. Familie Flöz in versione noir! Un giallo sulle Alpi pieno di umorismo, sentimenti travolgenti e un tocco di melanconia. Familie Flöz, al secolo Björn Leese, Benjamin Reber, Hajo Schüler e Michael Vogel, è un gruppo nato nel 1994 dall’unione di artisti tedeschi della scuola Folkwang-Hochschule di recitazione e mimo ed è oggi una delle compagnie più amate in Europa. Le straordinarie maschere che utilizzano, creazioni di Hajo Schüler, sono state da subito parte integrante della loro ricerca sul linguaggio teatrale: una continua esplorazione dell’uso di mezzi non verbali, ossia le azioni e gesti fisici da cui nascono i conflitti, a loro volta origine dell’azione drammatica. Da questa premessa deriva la scelta di escludere la parola dalle loro performance, per sottolineare la capacità di comunicazione più immediata del movimento e delle maschere, con la loro sconvolgente espressività. Teatro di maschera, danza, clownerie, acrobazia, magia, improvvisazione, Familie Flöz crea esperienze teatrali di una poesia incomparabile. Spazio Grande 25, 26, 27 febbraio 2015 IL RITORNO A CASA di Harold Pinter traduzione Alessandra Serra con Max Lenny Sam Joey Teddy Ruth Paolo Graziosi Alessandro Averone Elia Schilton Rosario Lisma Andrea Nicolini Arianna Scommegna scenografia Ferdinand Woegerbauer costumi Anna Maria Heinreich luci Roberto Innocenti regia Peter Stein assistente alla regia Carlo Bellamio produzione Teatro Metastasio Stabile della Toscana e Spoleto56 Festival dei 2mondi Il ritorno a casa (The Homecoming) ha debuttato all’Aldwych Theatre con la Royal Shakespeare Company e la regia di Peter Hall nel ‘65, anno particolarmente esaltante per la scena inglese, nel corso del quale esordirono testi innervati da una forte vena polemica nei confronti della società e della politica. Ma fra tutti, Il ritorno a casa è stato l’unico ad avere la capacità di stabilire un collegamento diretto con il subconscio collettivo, grazie alla sua rappresentazione della cieca violenza familiare e dell’irresistibile, atavico potere della femminilità. Interpretato dalla critica secondo i più disparati punti di vista (psicologico, etologico, linguistico, biografico), il suo pretesto narrativo è estremamente semplice: Ted, docente di un’università americana, porta la moglie Ruth a Londra per presentarla alla famiglia, composta dal padre Max, dallo zio Sam e dai fratelli Lenny e Joey, scatenando in questo nucleo familiare proletario reazioni sorprendenti. Peter Stein vide Il ritorno a casa al suo debutto, rimanendo conquistato dalle possibilità espressive del testo, dai suoi dialoghi arguti e intelligenti e da una storia in cui i ruoli tradizionali venivano sovvertiti dall’unico personaggio femminile in scena. Il grande regista tedesco dirige oggi questo viaggio divertente e terribile costruito da Pinter come un “giallo”, nel quale lo spettatore è chiamato a scoprire le verità nascoste. In scena Alessandro Averone, fresco di Premio della Critica e parte integrante dell’Ensemble Stabile degli Attori di Teatro Due, con il quale da diversi anni porta avanti un progetto artistico che lo ha visto anche regista oltre che protagonista di numerose produzioni. Con lui un cast d’interpreti di altissima qualità e talento, già parte del vasto progetto scenico di Stein I demoni. Il ritorno a casa è forse il lavoro più cupo di Pinter, trattando dei profondi pericoli insiti nelle relazioni umane e soprattutto nel rapporto precario tra i sessi. La giungla nella quale si combatte è, naturalmente, la famiglia. I comportamenti formali, più o meno stabili, si tramutano in aggressività fatale e violenza sessuale quando uno dei fratelli con la sua nuova moglie ritorna dall'America. Tutte le ossessioni sessuali maschili in questa famiglia di serpenti si proiettano sull’unica donna presente. Nelle fantasie degli uomini, e nel loro comportamento, viene trasformata in puttana e non le rimane che la possibilità della vendetta, assumendo quel ruolo e soddisfacendo la loro bramosia più del previsto. Come sempre nei finali di Pinter tutto rimane aperto. Peter Stein Spazio Grande 17, 18 marzo 2015 LA DODICESIMA NOTTE di William Shakespeare traduzione Patrizia Cavalli con Carlo Cecchi, Tommaso Ragno, Antonia Truppo, Eugenia Costantini Dario Iubatti Barbara Ronchi, Remo Stella, Loris Fabiani Federico Brugnone Andrea Bellesso, Rino Marino, Giuliano Scarpinato musicisti Luigi Lombardi d’Aquino (tastiere e direzione musicale), Ivan Gambini (strumenti a percussione) e un musicista in via di definizione musiche Nicola Piovani scene Sergio Tramonti costumi Nanà Cecchi luci Paolo Manti per Spazio Scenico snc regia Carlo Cecchi assistente alla regia Dario Iubatti produzione Marche Teatro in collaborazione con Estate Teatrale Veronese Equivoci e scambi d’identità per un gioco attoriale straordinario: il ritorno di Carlo Cecchi al suo amato Shakespeare lo vede cimentarsi con una commedia corale fondata sugli equivoci, esaltata dalla traduzione della poetessa Patrizia Cavalli, dalle musiche di Nicola Piovani e dai sontuosi costumi di Nanà Cecchi. Il regista, anche interprete nelle vesti di Malvolio, ha lavorato sulla stilizzazione e sull’essenza dei personaggi, attraverso quella maestria che ha fatto di lui il più moderno tra i grandi registi-interpreti del teatro italiano. Figura di primo piano nel panorama teatrale nazionale, Carlo Cecchi frequenta l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica come attore all’inizio degli anni ‘60, successivamente viene influenzato dal Living Theatre, lavora a lungo con Eduardo De Filippo. Stringe un sodalizio artistico con la scrittrice Elsa Morante e con il critico Cesare Garboli. Memorabili le sue interpretazioni di numerose opere Shakespeariane; il suo repertorio è però vastissimo e spazia da Beckett a Pirandello, da Cechov a Molière, a numerosi altri autori contemporanei portati da lui per la prima volta in scena in Italia. Analoghe considerazioni valgono per il cinema, dove va ricordato in particolare per Morte di un matematico napoletano di Mario Martone e dove ha lavorato con registi come Bernardo Bertolucci (Io ballo da sola), Pupi Avati, Ferzan Ozpetek e Cristina Comencini e nell’opera prima di Valeria Golino Miele. È vincitore di 5 Premi Ubu, l'ultimo dei quali nel 2013 come miglior attore protagonista per La serata a Colono di Elsa Morante, diretto da Mario Martone. “Shakespeare è il Teatro assoluto. Un’attualità che va al di là dell’attualità. È talmente universale Shakespeare… che quasi miracolosamente, diventa sempre, immediatamente, Teatro”. Carlo Cecchi Spazio Grande 24, 25 marzo 2015 PANTANI di Marco Martinelli ideazione Marco Martinelli e Ermanna Montanari con Alessandro Argnani, Francesco Catacchio, Luigi Dadina Fagio, Roberto Magnani, Michela Marangoni, Ermanna Montanari Francesco Mormino, Laura Redaelli in video Pino Roncucci incursione scenica Francesco Catacchio, Fagio itinerari in Romagna Luigi Dadina fisarmonica e composizione musiche Simone Zanchini cante romagnole Michela Marangoni, Laura Redaelli ideazione spazio scenico Alessandro Panzavolta-Orthographe ideazione e realizzazione elementi di scena Fabio Ceroni, Enrico Isola, Danilo Maniscalco, Ermanna Montanari montaggio ed elaborazione video Alessandro e Francesco Tedde – Black Box Film costumi Teatro delle Albe realizzazione costumi Laura Graziani Alta Moda, A.N.G.E.L.O., Les Jolies Sposi regia Marco Martinelli coproduzione Teatro delle Albe/Ravenna Teatro, Transfrontalière de création et de diffusion asbl (Belgio) le manège.mons-Scène 14 febbraio 2004: Marco Pantani viene ritrovato senza vita in un residence di Rimini. Aveva appena compiuto 34 anni. Dopo i trionfi al Giro d'Italia e al Tour de France, le accuse di doping a Madonna di Campiglio, rivelatesi poi infondate, lo hanno condotto a un lento ma inevitabile crollo psicologico fino a una morte forse tragicamente annunciata. Tra il campione adulato, l'icona di chi ha fatto rinascere il ciclismo come sport dell'impresa e della fantasia, e il morto di Rimini, che giaceva in mezzo alla cocaina nei panni di un vagabondo, vi è tutta la complessità di un'epoca al tempo stesso sublime e crudele che si esercita senza pudore. Senza vergogna. L’idolo del ciclismo internazionale, il "pirata" imbattibile in salita; poi il campione drogato, il "mostro" distrutto e infangato dai mass-media: il successo e l’infamia, in una parabola breve e imprevista che è stata anche e soprattutto un dramma personale e famigliare. Quella di Pantani secondo il Teatro delle Albe di Ravenna non è solo una questione sportiva, ma un’autentica passione moderna. Il sacrificio di un simbolo sull’altare mediatico per ripulire le coscienze di un intero paese. La scrittura di Marco Martinelli affonda nelle viscere dei nostri giorni e della società di massa che chiede sacrifici e capri espiatori: attorno alle figure di Tonina e Paolo, i genitori di Marco, che ancora oggi stanno chiedendo giustizia per la memoria infangata del figlio, Martinelli mette in scena una veglia funebre e onirica, affollata di personaggi, che, come un rito antico, ripercorre le imprese luminose dell'eroe. I genitori di Marco, figure archetipiche di una Romagna anarchica e carnale, sono sospese come l'Antigone di Sofocle davanti al cadavere insepolto dell'amato: cercano verità, e non avranno pace finché non l'avranno ottenuta. Pantani costruisce un affresco sull'Italia degli ultimi trent'anni, l'enigma di una società malata di delirio televisivo e mediatico, affannata a creare dal nulla e distruggere quotidianamente i suoi divi di plastica, ma anche capace di mettere alla gogna i suoi eroi di carne, veri, come Marco Pantani da Cesenatico, lo scalatore che veniva dal mare. Spazio Grande 18, 19 aprile 2015