AVANT PROGRAMME
STAGIONE TEATRALE 2014/2015
SHAKESPEARE’S VILLAINS
di e con Steven Berkoff
Steven Berkoff, regista, attore cinematografico e teatrale, autore inglese di culto, conosciuto al
pubblico di Teatro Due per l’affascinante testo dedicato a Ofelia e interpretato da Michela
Lucenti e Maurizio Camilli (L’amore segreto di Ofelia), arriva a Parma con una nuova creazione,
che lo vede autore e protagonista, di nuovo alle prese con il bardo e con i suoi amati, o meglio
in questo caso, odiati personaggi.
Abituato a riscrivere i classici e a trasportarli dentro il violento mondo di oggi, Berkoff incontra
Shakespeare e porta in scena una galleria di personaggi, che hanno scritto la storia del teatro
con la loro anima nera: Shakespeare’s Villains è un’esplorazione e un’analisi dei più maligni
protagonisti dei testi shakespeariani - da Iago a Macbeth, da Shylock a Riccardo III-, figure
che appartengono ormai all’immaginario condiviso della cultura occidentale e che giungono al
male spinti da dinamiche sociali o personali, universali e archetipiche. Alcuni di loro sono
naturalmente infernali, altri vengono costretti dagli eventi a commettere azioni turpi, altri
ancora si trovano in balia di una società maledetta e corruttrice: per ciascuno di loro, Berkoff
sperimenta una modalità a sé, intrigando, incantando e divertendo il pubblico con le sue doti di
attore acuto e incisivo, un talento anticonformista, dissacrante e ironico, spudoratamente
anglosassone.
Un vero “one man show”, dove gli occhi di ghiaccio del cattivo di tanti film di cassetta anni ’80
e ’90, contribuiscono a rendere ancora più profonde le complesse personalità dei “villains” più
affascinanti della storia del teatro. Lo spettacolo è un virtuosismo di tecnica all’interno del
quale il mimo incontra lo sguardo del pubblico, mentre la parola ci porta lontano. Si diverte
Berkoff, e il suo divertirsi contagia la platea, con cui riesce a creare un’intesa particolare, che
porta lo spettatore ad una specie di ascolto ipnotico totale. – Krapp’s Last Post
Spazio Grande
8 novembre 2014, ore 20.30
9 novembre 2014, ore 16.00
A QUEEN OF HEART
voce Rosemary Standley
pianoforte Sylvain Griotto
costumi Vanessa Sannino
luci François Menou
scene e regia Juliette Deschamps
produzione Compagnie La Scène du Crime
con il sostegno di Spedidam
in co-produzione con Théâtre de la Bastille, Théâtre d'Arras - Scène conventionnée musique et théâtre
Una donna conduce il pubblico in un viaggio nella storia della musica e nella sua storia
d’amore, con un repertorio che attraversa le diverse epoche e stili musicali e accarezza l’anima
della platea: direttamente da Parigi, Rosemary Standley, con la sua voce suadente e potente e
la sua magica presenza retrò, incanterà il pubblico, accompagnata dalle note di Sylvain
Griotto, una creazione di Juliette Deschamps, realizzata lo scorso anno al Théâtre de la
Bastille.
A Queen of Heart s‘ispira a donne forti, perdute e fatali dell’America degli anni ’30, in una
scena dove il sipario porta ancora tracce di polvere e fasti di un tempo: interpretando celebri
brani del passato - da Kurt Weill a Nina Simone, da Poulenc a Etta James, da Marilyn Monroe a
Cole Porter, e ancora Leonard Bernstein, Johnny Guitar, Max Richter, George Gerschwin,
Marlene Dietrich, Luigi Tenco, Peggy Lee, Nancy Sinatra, Billie Holiday - Rosemary Standley e
Juliette Deschamps invitano il pubblico a partecipare ad un cabaret affascinante e malinconico,
raccontando storie d’amore e di perdita, incontrando le dive e le icone della musica di inizio
secolo, schiacciate tra il loro successo e la loro solitudine. Un progetto di teatro musicale che è
un tributo alla femminilità, elegante e decadente, brutale e appassionata.
Rosemary libera sulla scena qualcosa di raro: una fantasia, ma anche una specie di fragilità e
inquietudine tipicamente femminile. - Macha Makeieff, Direttore Théâtre de la Criée – Centre
Dramatique National, Marsiglia
Rosemary Standley è la cantante del celebre gruppo musicale franco-americano Moriarty.
Con la band ha registrato due album (Naïve e Air Rytmo) e ha girato tutto il mondo per i
concerti dal vivo. Rosemary canta dall’età di 8 anni, da quando seguiva il padre e la sua band,
scoprendo il loro repertorio tradizionale americano: Jimmy Rogers, the Carter Family, Woodie
Guthrie, Patsy Cline, Chuck Berry, Johnny Cash, per citarne alcuni. La madre, irlandese, le ha
poi trasmesso altre tradizioni, aggiungendo la musica celtica alle sue passioni. Questa
educazione musicale eclettica ha formato la sua voce e il suo stile, generando una cantante
originale e talentuosa, capace di affrontare molti generi diversi e di cantare in francese,
tedesco, creolo, arabo, italiano e ovviamente inglese. Il suo interesse sempre costante in
repertori alternativi e differenti, le permette di spaziare dal folk, al country, al blues, al
bluegrass, al rock'n'roll fino alla musica classica e barocca, dalle canzoni yiddish alla poesia di
Alain Peters dell’Isola di Reunion.
Dal 2006, Juliette Deschamps ha diretto più di 30 produzioni: opera, prosa, performance,
sfilate di moda, concerti di musica classica, pop e elettronica. Il suo lavoro in Francia è stato
ospitato e prodotto da realtà eccellenti come il Théâtre des Champs‐Élysées, la Royal Opera di
Versailles, l’Opéra‐Comique di Parigi, il Centre Georges Pompidou, l’Auditorium del Louvre, il
Museo Quai Branly, il Cigale, l’Olympia e molti altri. All’estero, le sue produzioni sono state
rappresentate a Vienna, Venezia, Taipei, Bilbao, Amsterdam, Città del Lussemburgo, e lo
scorso autunno a New York ha messo in scena al Lincoln Center con il soprano Anna Caterina
Antonacci l’opera barocca Era la notte. Nel 2007, Juliette Deschamps ha fondato la sua
compagnia, La Scène du Crime. Nel 2011, ha vinto il premio di spettacolo dell’anno al concorso
Victoires de la Musique per la produzione di «‐M‐ Les Saisons de passage» con il cantante
francese Matthieu Chedid.
Spazio Grande
11 e 12 novembre 2014, ore 20.30
EUROPA GALANTE / FABIO BIONDI
Musiche di ANTONIO VIVALDI
Programma
Sinfonia per archi Il Coro delle Muse RV149
Concerto per due violini e archi RV522
Concerto per violino RV230
Sinfonia dall’opera Ercole sul Termodonte RV710
Concerto for viola d’amore e liuto RV540
Concerto per violino RV236
Concerto per quattro violini RV549
Sinfonia dall’Opera La Griselda RV718
Un concerto tributo a uno dei compositori più importanti di tutti i tempi: l’Ensemble Europa
Galante, acclamato in tutto il mondo, diretto dal Maestro Fabio Biondi, porta a Teatro Due un
programma tutto incentrato su Antonio Vivaldi.
Da diversi anni Europa Galante è in residenza artistica a Fondazione Teatro Due, stringendo un
sodalizio e una collaborazione che nel corso delle stagioni teatrali hanno portato a Parma il
meglio della musica classica e barocca internazionale.
Europa Galante nasce nel 1990 dal desiderio del suo direttore artistico, Fabio Biondi di
fondare un gruppo strumentale italiano per le interpretazioni, su strumenti d’epoca, del grande
repertorio barocco e classico. Orientando il repertorio verso una dimensione universale,
incline alla riscoperta di compositori poco eseguiti, Europa Galante rivolge la propria attenzione
a una letteratura che copre 300 anni di musica.
L’ensemble ottiene un grande successo fin dalla pubblicazione del primo disco, dedicato proprio
alla produzione concertistica vivaldiana (Premio Cini di Venezia, Choc de la Musique in
Francia). Negli anni seguenti il gruppo colleziona un’eccezionale lista di riconoscimenti: 5
Diapason d’Oro, Diapason d’Oro dell’anno in Francia, premio RTL, nomina Disco dell’anno in
Spagna, Canada, Svezia, Francia e Finlandia, Prix du disque, tra i tanti altri.
Da allora Europa
Galante si è esibita nelle più importanti sale da concerto e teatri del mondo. In Italia collabora
con l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia nel recupero di opere vocali del ‘700 italiano.
Europa Galante si è anche impegnata nella diffusione del repertorio scarlattiano.
Con grande
successo di pubblico e di critica, Europa Galante è stata presente a Venezia - in collaborazione
con la Fondazione Teatro La Fenice - con le Opere Didone nel 2006, Bajazet ed Ercole sul
Termodonte di Vivaldi nel 2007, e Virtù degli strali d'amori nel 2008.
Nel 2002, Fabio Biondi ed
Europa Galante hanno ottenuto il Premio Abbiati della critica musicale italiana per l’insieme
dell’attività concertistica e per l’esecuzione del Trionfo dell’Onore. Di nuovo nel 2008 è stato
assegnato a Fabio Biondi e Europa Galante, insieme alla Compagnia Colla, il premio speciale
Abbiati per Filemone e Bauci di Haydn. Europa Galante vanta un’importante discografia, edita
in collaborazione con OPUS111, e in seguito con VIRGIN CLASSICS, con cui ottiene
regolarmente i massimi riconoscimenti internazionali. Oggi Europa Galante collabora con la
casa discografica AGOGIQUE.
Fabio Biondi, originario di Palermo, a sedici anni viene invitato al Musikverein di Vienna per
interpretare i Concerti per violino di Bach. Da allora collabora quale primo violino con i più
famosi ensemble specializzati nell'esecuzione di musica antica con strumenti e prassi esecutiva
originali. Nel 1990 la svolta: fonda Europa Galante, che in pochissimi anni, grazie ad
un'attività concertistica estesa in tutto il mondo e ad un incredibile successo discografico,
diviene l'ensemble italiano specializzato in musica antica più famoso e più premiato in campo
internazionale. Con Europa Galante Fabio Biondi è invitato nei più importanti Festival e nelle
sale da concerto più famose del mondo.
In pochi anni vende quasi un milione di dischi, e Le
quattro stagioni vivaldiane incise per Opus 111 diventano un vero caso internazionale,
conquistando tutti i più importanti premi e vendendo oltre 500.000 copie.
Oggi, Fabio Biondi incarna il simbolo della perpetua ricerca dello stile, uno stile libero da
condizionamenti dogmatici e interessato alla ricerca del linguaggio originale. Questa
inclinazione lo porta a collaborare in veste di solista e direttore con orchestre quali: Santa
Cecilia a Roma, Orchestra da Camera di Rotterdam, Opera di Nizza, Opera di Halle, Orchesta
da Camera di Zurigo, Orchestra da Camera di Norvegia, Orchestra Mozarteum di Salisburgo, la
Mahler Chamber Orchestra, etc. Fabio Biondi è diventato, da Marzo 2005, direttore stabile per
la musica antica della Stavanger Symphony Orchestra.
Nella stagione 2013-2014, Fabio Biondi
ha diretto l'Orchestra del Maggio Musicale, la Finnish Radio Symphony Orchestra, la Real
Philarmonica de Galicia, l'Orchestra dell'Accademia di Santa Cecilia e l'English Concert. Nel
2014, in duo con il cembalista Kenneth Weiss, presenterà un programma di Sonate di J.S.Bach
in Europa e negli Stati Uniti. Dal 2011, è Accademico dell'Accademia Nazionale di Santa
Cecilia.
Fabio Biondi suona un violino Andrea Guarneri (Cremona, 1686).
Suona anche un
violino Carlo Ferdinando Gagliano del 1766, già appartenuto al suo Maestro Salvatore Cicero, e
affettuosamente messo a disposizione dalla omonima fondazione. Spazio Grande
11 e 12 novembre 2014, ore 20.30
IL MERCANTE DI VENEZIA
di William Shakespeare con Silvio Orlando e con Popular Shakespeare Kompany
in ordine alfabetico Andrea Di Casa, Fabrizio Contri, Milvia Marigliano, Simone Luglio
Elena Gigliotti, Nicola Pannelli, Fulvio Pepe, Sergio Romano
Barbara Ronchi, Roberto Turchetta, Ivan Zerbinati scene Carlo de Marino luci Pasquale Mari costumi Sandra Cardini musiche originali Arturo Annecchino regia Valerio Binasco produzione Oblomov Films e Fondazione del Teatro Stabile di Torino
in collaborazione con Estate Teatrale Veronese
Dopo il successo di Romeo e Giulietta e La Tempesta, la Popular Shakespeare Kompany ha
scelto un nuovo classico del repertorio shakespeariano, affidando a Silvio Orlando il ruolo del
protagonista. Opera ambigua e complessa, in cui s’intrecciano conflitti sociali e culturali, valori
come legalità e giustizia, passioni e intrighi amorosi, Il mercante di Venezia è tra i capolavori
shakespeariani di più forte impatto etico. Un’opera in cui a prevalere è il potere del denaro:
tutto si compra e si vende, anche un brandello di carne umana, anche l’amore.
La storia è nota: siamo a Venezia, è il XVI secolo. Bassanio vorrebbe la mano di Porzia. Per
corteggiarla degnamente, chiede al suo carissimo amico Antonio, il mercante di Venezia,
tremila ducati in prestito. Antonio non può prestargli il denaro poiché ha investito in traffici
marittimi. Garantirà per lui presso Shylock, usuraio ebreo, che non sopporta lo stesso Antonio,
poiché presta denaro gratuitamente, facendo abbassare il tasso d'interesse nella città.
Nonostante ciò, Shylock accorda il prestito a Bassanio. L'ebreo però, in caso di mancato
pagamento, vuole una libbra della carne di Antonio, richiesta che alla fine gli si rivolgerà
contro….
Il Mercante è per Valerio Binasco l’occasione per indagare le categorie di ‘bene’ e di ‘male’, fino
a rimescolarle: fondamentale diventa lo scontro tra una moltitudine di uguali - i cristiani di
Antonio -, e il singolo diverso - l’ebreo Shylock. Il male c’è, ma è il denaro in sé.
“Il testo appare come una cupa ‘contro-favola’ – ha scritto il regista -, una storia che sembra
una favola, ma che fa sorridere solo gli adulti, perché hanno perso ogni speranza. Noi non
dobbiamo cedere a questa tentazione. Anzi: dobbiamo fare del Mercante una grande favola e
una festa del teatro. Cioè della speranza. La terribile, umiliante, meschina sconfitta di Shylock,
giusta o non giusta che sia, mi mette a disagio. Annuncio fin d’ora che starò dalla sua parte.
Del resto, il bene e il male si spostano di continuo nel corso della pièce. Dipende dalle
circostanze. Questa è una verità moderna e inattaccabile. La verità di una favola che rivela che
non c’è nessuna verità. Eppure la vita può essere lo stesso una festa”.
Binasco propone dunque una rilettura tra realismo e oniricità, in cui il primo è incarnato nel
sinistro Shylock di Silvio Orlando e la seconda ondeggia fra i lunghi capelli di Porzia e i suoi
misteriosi scrigni. A fare da collante fra i due, la potenza della scrittura shakespeariana, che
riesce a scavalcare il limite temporale e a fornirci materia per riflettere su di noi e sul nostro
presente.
Regista e attore di punta della scena italiana, Valerio Binasco, dopo essersi confrontato con
la drammaturgia contemporanea (Ginzburg, Fosse, Paravidino), ha iniziato un coraggioso
percorso di rilettura dei classici, che gli è valso un Premio Ubu nel 2011 e che da più di tre
stagioni lo impegna in giro per i teatri italiani con la compagnia da lui creata e diretta.
Spazio Grande
9, 10 dicembre 2014
CLÔTURE DE L’AMOUR
di Pascal Rambert
traduzione Bruna Filippi
con Luca Lazzareschi, Tamara Balducci
con la partecipazione del Coro delle Voci Bianche della Società Corale Guido Monaco
e del Maestro del Coro Barbara Zuccaro
scene Daniel Jeanneteau
direttore tecnico Robert John Resteghini
regia Pascal Rambert
assistente alla regia Thea Dellavalle
produzione Emilia Romagna Teatro Fondazione
con il sostegno di Institut français nel quadro del progetto "Théâtre export"
In una grande stanza bianca, una donna e un uomo si parlano attraverso due lunghi monologhi
– due parallele che non s’incontrano mai e mai si fanno dialogo - interrogandosi sulle ragioni
della fine della loro storia d’amore. Siamo davanti a una rottura tra due amanti; il confronto
finale, quello da cui si cercano di trarre conclusioni e motivazioni. Un flusso ininterrotto di
parole, taglienti, precise, ordinate, fatto di domande-risposte, di respiri bloccati, una sorta di
maratona in bilico tra la paura della solitudine e l’attrazione per la libertà: è proprio lì, nel
mezzo del momento doloroso, che Pascal Rambert conduce il pubblico, immergendolo nei
meandri di una storia e della sua rottura.
Due sguardi, due parole, due corpi e due silenzi per raccontare la violenza di un amore che
muore, cercando di far emergere il più possibile l’universalità di questa circostanza, come
afferma lo stesso regista e autore: "Il mio lavoro è ispirato da elementi della realtà perché
sono un grande 'ascoltatore'. Il mio appartamento è al primo piano di un palazzo e molto
spesso ascolto quello che dicono i passanti. In quel momento divento un registratore umano:
tra tutto quello che ho ascoltato ci sono spesso momenti di separazione, momenti che ho
dovuto affrontare personalmente tre o quattro volte. Quello che volevo descrivere era l’idea
della separazione, ma non una delle mie separazioni. Quello che importa è la lingua che
scappa, che fugge, che si ripete, la lingua che racconta la violenza del distacco, che la maggior
parte di noi un giorno o l’altro si trova ad affrontare."
Ponendosi e ponendoci la domanda "chi amiamo, quando amiamo?", Pascal Rambert non dà
risposta, ma si aggira nelle svariate possibilità, includendo i luoghi comuni che almeno una
volta chi si è separato da qualcun altro ha usato, alla ricerca delle ragioni del disamore.
L’autore e regista Pascal Rambert è protagonista di spicco della scena francese e attualmente
direttore del Théâtre de Gennevilliers – centro nazionale di produzione contemporanea
nell’area parigina. Con la pièce Clôture de l’amour, che ha debuttato al Festival di Avignone nel
2011, ha vinto in Francia il Premio della Critica 2012 per la "Miglior creazione di un testo
teatrale in lingua francese" e il Gran Premio della Drammaturgia 2012. Lo spettacolo è stato
tradotto e rappresentato in tutto il mondo.
Spazio Bignardi
12, 13 , 14 dicembre 20
GYULA – PICCOLA STORIA D’AMORE
scritto e diretto da Fulvio Pepe
con
Alberto Astorri, Alessia Bellotto, Ilaria Falini, Gianluca Gobbi
Orietta Notari, Enzo Paci, Tania Rocchetta, Massimiliano Sbarsi
Nanni Tormen, Antonio Zavatteri, Ivan Zerbinati
luci Pasquale Mari
assistente alla regia Carlo Orlando
produzione Fondazione Teatro Due
Vincitore nel 2009 del premio "Enrico Maria Salerno" per la drammaturgia, Gyula è quasi una
favola. In un paese lontano vive un ragazzo con sindrome di Down, amorevolmente cresciuto e
protetto da mamma Rosa; il vicinato è raccolto intorno a poche strade, un piccolo bar, una
vecchia cava di pietra; i nomi dei personaggi rimandano a una provincia dell’est Europa: Herda
e Banda, i cavatori, Laci il capo cantiere, Karez il tranviere, Bela il barista, Vizty l’ubriacona, il
povero Maestro Jani, violinista con l’artrite alle mani e sua moglie Marika, infine il mitico
governatore della provincia, da cui dipendono buona parte dei destini della comunità…
Con questi elementi Fulvio Pepe mette in scena le piccolissime avventure della vita quotidiana
di una comunità: le speranze, i timori, le gioie, persino l’amore, tutto in scala ridotta, più
piccola del reale. Quasi un plastico giocattolo della scena della vita. Una favola minima,
leggera, che riesce a parlare agli spettatori, rivelando in pochi tratti un intero universo:
psicologie, rapporti, destini intrecciati, frammenti compiuti di umanità.
Fulvio Pepe (Bari, 1972) si è diplomato al Teatro Stabile di Genova e ha lavorato in teatro con
registi come Peter Stein (I demoni), Giuseppe Patroni Griffi (Il Vizietto), Valerio Binasco
(Nocciolne, Romeo e Giulietta, La Tempesta, Il Mercante di Venezia), Jurij Ferrini (Cymbeline),
Marco Sciaccaluga. Attore cinematografico per Fulvio Ottaviano (Una talpa al bioparco) e Citto
Maselli (Il fuoco e la cenere) e in diversi film televisivi e serie Tv (Romanzo Criminale,
Montessori, Borsellino, Nati ieri), nel 2008 ha vinto al Torino Film Festival il premio come
migliore cortometraggio con A chi è già morto a chi sta per morire, da lui scritto e diretto.
Spazio Bignardi
Dal 7 al 18 gennaio 2015
IVANOV
di Anton Cechov
regia Filippo Dini
produzione Fondazione Teatro Due
Prima opera teatrale composta da Cechov, testo tagliente di un autore amatissimo e
fondamentale per la drammaturgia contemporanea, Ivanov investiga con grande lucidità i
momenti topici della vita di un eroe negativo, modello esemplare di "uomo comune" che,
nell'incapacità di affrontare la crisi riflette perfettamente le nevrosi e le tensioni di un'epoca.
Ivanov, titolo dell’opera e cognome fra i più diffusi ieri e oggi in Russia, è un uomo “superfluo”,
alle prese con il vuoto che lo circonda; le sue aspirazioni intellettuali, unite al senso
d’impotenza, fanno di lui un eroe negativo, incapace d’affrontare la crisi. Anna, sua moglie, per
sposarlo ha abbandonato la propria famiglia e la religione ebraica in cui è nata, quando si
ammala di tubercolosi lui l’abbandona senza occuparsi di rimettere in sesto l’amministrazione
della sua proprietà. Saša, giovane figlia di proprietari che vivono nel circondario, ama Ivanov,
e dopo la morte di Anna tutto è pronto per le nuove nozze. Ivanov però avverte la propria
inadeguatezza di fronte a questo amore, che pur condivide, e sente il peso del sacrificio che la
giovane donna sta per affrontare sposandolo. All’ultimo momento sfugge al nuovo impegno
sparandosi un colpo di pistola. Intorno a questi personaggi si muove un’umanità disillusa, priva
di ideali e senza speranze nel futuro. L’unica loro attività consiste nel ritrovarsi a giocare a
carte o organizzare tristi feste dove si mangiano aringhe e cetrioli e si sparla di tutto e di tutti.
Neppure i personaggi positivi come Anna, Saša e il medico L’vov Evgenij Konstantìnovič si
salvano da questo naufragio e il bene che pensano di fare riesce ad essere ancor più negativo
dell’indifferenza e cinismo degli altri. E’ un piccolo mondo senza speranza dove gli uomini sono
condannati a vivere e neppure la decisione di Ivanov d’uccidersi assurge a dramma, ma si
stempera nel non-sens di un’ultima, inutile, fuga dalle proprie responsabilità.
Filippo Dini ha frequentato la Scuola di Recitazione del Teatro Stabile di Genova dal 1994 al
1996. Nel 1998, insieme ad Andrea Di Casa, Sergio Grossini, Fausto Paravidino e Giampiero
Rappa fonda la compagnia Gloriababbi Teatro, con cui collabora tuttora. È stato diretto, fra gli
altri, da Carlo Cecchi, Giorgio Barberio Corsetti e Valerio Binasco. Ha vinto il premio "Le
Maschere del Teatro Italiano 2011" come migliore attore non protagonista nel ruolo di Padre
Lorenzo in Romeo e Giulietta di Shakespeare diretto da Valerio Binasco.
Spazio Grande
22, 23 gennaio, 2015
LO ZOO DI VETRO
di Tennessee Williams
traduzione Gerardo Guerrieri
con Milvia Marigliano, Monica Piseddu, Arturo Cirillo, Edoardo Ribatto
costumi Gianluca Falaschi
luci Mario Loprevite
scene Dario Gessati
assistenti scenografo Elena Beccaro e Denise Carnini
regia Arturo Cirillo
assistente alla regia Giorgio Castagna
produzione TieffeTeatro
Ormai un habitué delle Stagioni di Fondazione Teatro Due, torna a Parma Arturo Cirillo, regista
e attore napoletano, adorato da critica e pubblico, geniale lettore dei classici del teatro
internazionale. Dopo averlo visto cimentarsi, fra gli altri, con Molière e Ruccello, eccolo
affrontare con alcuni dei suoi attori storici un classico della drammaturgia americana del ’900
(divenuto anche un lungometraggio diretto da Paul Newman nell’87), con sguardo acuto e
visionario, mostrando meccanismi familiari sempre attuali e personaggi reali nell’Italia di oggi
come negli Stati Uniti degli anni ‘40.
“Lo zoo di vetro è un dramma di memoria, secondo la definizione dello stesso Tennessee
Williams, cioè è un testo dalla doppia natura: realistico nella descrizione dei rapporti tra i
personaggi, ma totalmente onirico rispetto al tempo della vicenda e al tempo della sua
rappresentazione. Potente messa in scena dell’atto del ricordare e del rapporto con il passato
come luogo del rimpianto: il futuro diventa presente, il presente passato, e il passato un
eterno rimpianto, si dice nel testo. Al centro della vicenda il fallimento di una famiglia, una
madre che vive ancorata al ricordo di una giovinezza dorata, un gruppo di ex-giovani ormai
senza più età.
Lo zoo di vetro di Williams rappresenta l’inganno dell’immaginario, non è casuale la grande
importanza, data dall’autore, all’atto del proiettare. Il riflettore teatrale che il narratore/figlio
punta sui personaggi, i molteplici film nei cinema dove si rifugia Tom per sfuggire alla realtà, e
anche gli stessi animaletti di vetro che compongono lo zoo del titolo sono l’emblema della
fragilità e della finzione: sono essenze quasi prossime all’assenza, non a caso trasparenti.
Immagino dunque un luogo abitato da pochi elementi, molto concreti ma immersi in una luce
non realistica, quasi pittorica, dove la vicenda venga narrata senza divisioni in quadri, ma in un
unico luogo, come se ci trovassimo all’interno di un album di famiglia troppe volte sfogliato.
I testi di Williams, e in particolar modo Lo zoo di vetro, mi ricordano il teatro di un autore a me
molto caro: Annibale Ruccello, che infatti cita spesso lo scrittore americano tra i suoi amori
letterari. Come in Ruccello vedo qui dei personaggi violentemente attaccati alle proprie
illusioni, come la madre, la signora Amanda Wingfield, centro e origine di tutte le patologie, ma
vittima lei stessa del confronto con le spietate leggi della realtà. Troviamo poi l’alcolismo, la
solitudine, l’assenza del padre, la giovinezza come un tempo perduto, tutti temi universali, che
la maestria dell’autore rende condivisibili dal pubblico di oggi come del passato, in America,
come in Italia. Credo che come per tutti gli autori teatrali molto autobiografici, anche se in un
modo misterioso e metaforico, si debba ricercare una propria personale narrazione, fare dei
personaggi degli altri possibili noi stessi. Come credo che facesse Tennessee Williams,
soprattutto con le sue eroine, eroine destinate all’insuccesso e alla solitudine, relegate a vivere
nel teatro, e a risplendere a ogni nuova accensione della luce su di loro”.
Arturo Cirillo
Spazio Grande
21, 22 febbraio 2015
HOTEL PARADISO
di
Anna Kistel, Sebastian Kautz, Thomas Rascher, Frederik Rohn
Hajo Schuler, Michael Vogel, Nicolas Witte
con Sebastian Kautz, Anna Kistel, Daniel Matheus, Thomas Rascher
maschere Hajo Schüler, Thomas Rascher
costumi Eliseu R. Weide
musiche Dirk Schröder
luci Reinhard Hubert
direttore di produzione Gianni Bettucci
regia Michael Vogel
produzione Familie Flöz, Theaterhaus Stuttgart, Theater Duisburg
Sono il gruppo di punta del teatro di figura contemporaneo europeo. Sono adorati dai pubblici
di tutte le età e hanno conquistato la critica di tutto il mondo. Sono una delle più clamorose
rivelazioni internazionali degli ultimi 10 anni, riuscendo a fare un teatro sorprendente, che
pone lo spettatore di fronte ai grandi e piccoli momenti della vita grazie a un linguaggio fisico e
a delle maschere originalissime, legandosi alla migliore tradizione della clownerie e del mimo.
Loro sono i Familie Flöz e arrivano a Parma con Hotel Paradiso, offrendo agli spettatori un
momento di vera poesia e potente comicità.
Strane cose accadono nel tranquillo Hotel Paradiso, un piccolo albergo di montagna gestito con
pugno di ferro dall’anziana capo-famiglia. Ci sono quattro stelle che orgogliosamente
troneggiano sull‘entrata e una fonte che promette la guarigione di malattie fisiche e psichiche.
Ma s’intravedono nubi all‘orizzonte. Il figlio sogna il vero amore mentre combatte una dura
battaglia con la sorella per mantenere il controllo sulla gestione dell‘albergo. La donna del
piano ha un problema di cleptomania e il cuoco ha una passione, quella di macellare, non solo
animali... Quando il primo cadavere affiora, tutto l‘albergo scivola in un vortice di strani
avvenimenti. Fra le alte vette delle Alpi si aprono abissi da cui è impossibile fuggire. La
chiusura dell‘albergo sembra a questo punto solo una questione di tempo. Si sa, un cadavere
non porta mai bene...
Superando ogni convenzione linguistica, Familie Flöz porta la realtà a sconfinare nell'onirico in
un grande, appassionante, delicato e coinvolgente spettacolo, che un po’ più in là le infinite
possibilità del gioco teatrale. Familie Flöz in versione noir! Un giallo sulle Alpi pieno di
umorismo, sentimenti travolgenti e un tocco di melanconia.
Familie Flöz, al secolo Björn Leese, Benjamin Reber, Hajo Schüler e Michael Vogel, è un
gruppo nato nel 1994 dall’unione di artisti tedeschi della scuola Folkwang-Hochschule di
recitazione e mimo ed è oggi una delle compagnie più amate in Europa. Le straordinarie
maschere che utilizzano, creazioni di Hajo Schüler, sono state da subito parte integrante della
loro ricerca sul linguaggio teatrale: una continua esplorazione dell’uso di mezzi non verbali,
ossia le azioni e gesti fisici da cui nascono i conflitti, a loro volta origine dell’azione
drammatica. Da questa premessa deriva la scelta di escludere la parola dalle loro performance,
per sottolineare la capacità di comunicazione più immediata del movimento e delle maschere,
con la loro sconvolgente espressività. Teatro di maschera, danza, clownerie, acrobazia, magia,
improvvisazione, Familie Flöz crea esperienze teatrali di una poesia incomparabile.
Spazio Grande
25, 26, 27 febbraio 2015
IL RITORNO A CASA
di Harold Pinter
traduzione Alessandra Serra
con
Max
Lenny
Sam
Joey
Teddy
Ruth
Paolo Graziosi Alessandro Averone
Elia Schilton
Rosario Lisma
Andrea Nicolini
Arianna Scommegna
scenografia Ferdinand Woegerbauer
costumi Anna Maria Heinreich
luci Roberto Innocenti
regia Peter Stein
assistente alla regia Carlo Bellamio
produzione Teatro Metastasio Stabile della Toscana e Spoleto56 Festival dei 2mondi
Il ritorno a casa (The Homecoming) ha debuttato all’Aldwych Theatre con la Royal
Shakespeare Company e la regia di Peter Hall nel ‘65, anno particolarmente esaltante per la
scena inglese, nel corso del quale esordirono testi innervati da una forte vena polemica nei
confronti della società e della politica. Ma fra tutti, Il ritorno a casa è stato l’unico ad avere la
capacità di stabilire un collegamento diretto con il subconscio collettivo, grazie alla sua
rappresentazione della cieca violenza familiare e dell’irresistibile, atavico potere della
femminilità. Interpretato dalla critica secondo i più disparati punti di vista (psicologico,
etologico, linguistico, biografico), il suo pretesto narrativo è estremamente semplice: Ted,
docente di un’università americana, porta la moglie Ruth a Londra per presentarla alla
famiglia, composta dal padre Max, dallo zio Sam e dai fratelli Lenny e Joey, scatenando in
questo nucleo familiare proletario reazioni sorprendenti.
Peter Stein vide Il ritorno a casa al suo debutto, rimanendo conquistato dalle possibilità
espressive del testo, dai suoi dialoghi arguti e intelligenti e da una storia in cui i ruoli
tradizionali venivano sovvertiti dall’unico personaggio femminile in scena. Il grande regista
tedesco dirige oggi questo viaggio divertente e terribile costruito da Pinter come un “giallo”,
nel quale lo spettatore è chiamato a scoprire le verità nascoste.
In scena Alessandro Averone, fresco di Premio della Critica e parte integrante dell’Ensemble
Stabile degli Attori di Teatro Due, con il quale da diversi anni porta avanti un progetto artistico
che lo ha visto anche regista oltre che protagonista di numerose produzioni. Con lui un cast
d’interpreti di altissima qualità e talento, già parte del vasto progetto scenico di Stein I
demoni.
Il ritorno a casa è forse il lavoro più cupo di Pinter, trattando dei profondi pericoli insiti nelle
relazioni umane e soprattutto nel rapporto precario tra i sessi. La giungla nella quale si
combatte è, naturalmente, la famiglia. I comportamenti formali, più o meno stabili, si
tramutano in aggressività fatale e violenza sessuale quando uno dei fratelli con la sua nuova
moglie ritorna dall'America. Tutte le ossessioni sessuali maschili in questa famiglia di serpenti
si proiettano sull’unica donna presente. Nelle fantasie degli uomini, e nel loro comportamento,
viene trasformata in puttana e non le rimane che la possibilità della vendetta, assumendo quel
ruolo e soddisfacendo la loro bramosia più del previsto. Come sempre nei finali di Pinter tutto
rimane aperto.
Peter Stein
Spazio Grande
17, 18 marzo 2015
LA DODICESIMA NOTTE
di William Shakespeare
traduzione Patrizia Cavalli
con
Carlo Cecchi, Tommaso Ragno, Antonia Truppo, Eugenia Costantini
Dario Iubatti Barbara Ronchi, Remo Stella, Loris Fabiani
Federico Brugnone Andrea Bellesso, Rino Marino, Giuliano Scarpinato
musicisti Luigi Lombardi d’Aquino (tastiere e direzione musicale), Ivan Gambini (strumenti a
percussione) e un musicista in via di definizione
musiche Nicola Piovani
scene Sergio Tramonti
costumi Nanà Cecchi
luci Paolo Manti per Spazio Scenico snc
regia Carlo Cecchi
assistente alla regia Dario Iubatti
produzione Marche Teatro
in collaborazione con Estate Teatrale Veronese
Equivoci e scambi d’identità per un gioco attoriale straordinario: il ritorno di Carlo Cecchi al suo
amato Shakespeare lo vede cimentarsi con una commedia corale fondata sugli equivoci,
esaltata dalla traduzione della poetessa Patrizia Cavalli, dalle musiche di Nicola Piovani e dai
sontuosi costumi di Nanà Cecchi. Il regista, anche interprete nelle vesti di Malvolio, ha lavorato
sulla stilizzazione e sull’essenza dei personaggi, attraverso quella maestria che ha fatto di lui il
più moderno tra i grandi registi-interpreti del teatro italiano.
Figura di primo piano nel panorama teatrale nazionale, Carlo Cecchi frequenta l’Accademia
Nazionale d’Arte Drammatica come attore all’inizio degli anni ‘60, successivamente viene
influenzato dal Living Theatre, lavora a lungo con Eduardo De Filippo. Stringe un sodalizio
artistico con la scrittrice Elsa Morante e con il critico Cesare Garboli. Memorabili le sue
interpretazioni di numerose opere Shakespeariane; il suo repertorio è però vastissimo e spazia
da Beckett a Pirandello, da Cechov a Molière, a numerosi altri autori contemporanei portati da
lui per la prima volta in scena in Italia. Analoghe considerazioni valgono per il cinema, dove va
ricordato in particolare per Morte di un matematico napoletano di Mario Martone e dove ha
lavorato con registi come Bernardo Bertolucci (Io ballo da sola), Pupi Avati, Ferzan Ozpetek e
Cristina Comencini e nell’opera prima di Valeria Golino Miele. È vincitore di 5 Premi Ubu,
l'ultimo dei quali nel 2013 come miglior attore protagonista per La serata a Colono di Elsa
Morante, diretto da Mario Martone.
“Shakespeare è il Teatro assoluto. Un’attualità che va al di là dell’attualità. È talmente
universale Shakespeare… che quasi miracolosamente, diventa sempre, immediatamente,
Teatro”.
Carlo Cecchi
Spazio Grande
24, 25 marzo 2015
PANTANI
di Marco Martinelli
ideazione Marco Martinelli e Ermanna Montanari
con
Alessandro Argnani, Francesco Catacchio, Luigi Dadina
Fagio, Roberto Magnani, Michela Marangoni, Ermanna Montanari
Francesco Mormino, Laura Redaelli
in video Pino Roncucci
incursione scenica Francesco Catacchio, Fagio
itinerari in Romagna Luigi Dadina
fisarmonica e composizione musiche Simone Zanchini
cante romagnole Michela Marangoni, Laura Redaelli
ideazione spazio scenico Alessandro Panzavolta-Orthographe
ideazione e realizzazione elementi di scena Fabio Ceroni, Enrico Isola, Danilo Maniscalco,
Ermanna Montanari
montaggio ed elaborazione video Alessandro e Francesco Tedde – Black Box Film
costumi Teatro delle Albe
realizzazione costumi Laura Graziani Alta Moda, A.N.G.E.L.O., Les Jolies Sposi
regia Marco Martinelli
coproduzione
Teatro
delle
Albe/Ravenna
Teatro,
Transfrontalière de création et de diffusion asbl (Belgio)
le
manège.mons-Scène
14 febbraio 2004: Marco Pantani viene ritrovato senza vita in un residence di Rimini. Aveva
appena compiuto 34 anni. Dopo i trionfi al Giro d'Italia e al Tour de France, le accuse di doping
a Madonna di Campiglio, rivelatesi poi infondate, lo hanno condotto a un lento ma inevitabile
crollo psicologico fino a una morte forse tragicamente annunciata. Tra il campione adulato,
l'icona di chi ha fatto rinascere il ciclismo come sport dell'impresa e della fantasia, e il morto di
Rimini, che giaceva in mezzo alla cocaina nei panni di un vagabondo, vi è tutta la complessità
di un'epoca al tempo stesso sublime e crudele che si esercita senza pudore. Senza vergogna.
L’idolo del ciclismo internazionale, il "pirata" imbattibile in salita; poi il campione drogato, il
"mostro" distrutto e infangato dai mass-media: il successo e l’infamia, in una parabola breve e
imprevista che è stata anche e soprattutto un dramma personale e famigliare. Quella di
Pantani secondo il Teatro delle Albe di Ravenna non è solo una questione sportiva, ma
un’autentica passione moderna. Il sacrificio di un simbolo sull’altare mediatico per ripulire le
coscienze di un intero paese.
La scrittura di Marco Martinelli affonda nelle viscere dei nostri giorni e della società di massa
che chiede sacrifici e capri espiatori: attorno alle figure di Tonina e Paolo, i genitori di Marco,
che ancora oggi stanno chiedendo giustizia per la memoria infangata del figlio, Martinelli mette
in scena una veglia funebre e onirica, affollata di personaggi, che, come un rito antico,
ripercorre le imprese luminose dell'eroe. I genitori di Marco, figure archetipiche di una
Romagna anarchica e carnale, sono sospese come l'Antigone di Sofocle davanti al cadavere
insepolto dell'amato: cercano verità, e non avranno pace finché non l'avranno ottenuta.
Pantani costruisce un affresco sull'Italia degli ultimi trent'anni, l'enigma di una società malata
di delirio televisivo e mediatico, affannata a creare dal nulla e distruggere quotidianamente i
suoi divi di plastica, ma anche capace di mettere alla gogna i suoi eroi di carne, veri, come
Marco Pantani da Cesenatico, lo scalatore che veniva dal mare.
Spazio Grande
18, 19 aprile 2015