n° 11 Marzo Aprile 2003 - Teatro Stabile di Genova

Spedizione in A.P. - 45% - Art.2 comma 20/b legge 662/96. Filiale di Genova
TGE12503 Giornale n°11
12-03-2003
11:03
Pagina 1
soci fondatori
COMUNE DI GENOVA
PROVINCIA DI GENOVA
REGIONE LIGURIA
socio sostenitore
marzo/aprile duemilatre numero undici
partner della stagione
Il cerchio di gesso
del Caucaso
Articoli di Zagrebelsky
e Buonaccorsi
Il teatro secondo Besson
pagine 2 e 3
“I L C E R C H I O
DI
GESSO
DEL
La storia immortale
Hellzapoppin
Dagli altri teatri
Karen Blixen di Berni
Orson Welles di Salotti
Le Associazioni culturali
e il Foyer della Corte
Italia e Europa
Intervista con Lavia
Calendario degli incontri
pagine 4 e 5
pagina 8
CAUCASO”
AL
DUSE
E
pagine 9, 10
La Scuola all’estero
pagina 11
“L A S T O R I A I M M O R TA L E ”
ALLA
CORTE
TEATRO D’ARTE, TEATRO DI IDEE
B e n n o B e s s o n e G a b r i e l e L a v i a f i r m a n o l e d u e n u o v e p r o d u z i o n i d e l Te a t r o d i G e n o v a
CARLO REPETTI
Il mondo del teatro non è un
mondo a parte, un’isola più o
meno felice come qualcuno
potrebbe essere tentato a credere.
Quanto più il teatro è vitale,
tanto più vive e soffre e cerca di
interpretare il momento, la società in cui opera.
Quindi anche noi oggi sentiamo
il nostro lavoro maggiormente
carico di responsabilità, dal
momento che parliamo a tanti
giovani e che le nostre sale sono
le “piazze coperte” di questa
città nelle quali la gente si
riunisce per incontrarsi e per
cercare di capire meglio il
mondo attraverso le parole dei
grandi poeti.
Ecco perché le due storie, i due
spettacoli che il Teatro di Genova produce e presenta in contemporanea alla Corte e al Duse
(impegno produttivo forte, segno
crediamo della nostra vitalità)
sono due spettacoli che, in maniera assolutamente diversa fra
loro, cercano entrambi di parlare della vita all’uomo di oggi.
Il primo, La storia immortale
di Gabriele Lavia da Karen
Blixen, produzione della Compagnia Lavia e del Teatro di
Genova, è un testo esistenziale
in quanto parla proprio dell’esistenza e mostra in un continuo
dialogo fra finzione e realtà
come “un uomo sia il racconto
della sua vita”, come dice lo
stesso Lavia. Questo spettacolo,
che è un’altra tappa della collaborazione del Teatro di Genova
con Gabriele Lavia, qui nella
duplice veste di regista e interprete, vede anche il felicissimo
ritorno con noi di un protagonista della cultura italiana sempre molto amato dal Teatro di
Genova: Carlo Cecchi.
Il secondo lavoro invece, Il cerchio di gesso del Caucaso di
Bertolt Brecht, prodotto dal
Teatro di Genova e dal Teatro
Stabile del Veneto, parla con la
leggerezza e la profondità che
sono proprie delle favole, di
quale sia la forza dei valori fondanti della vita (giustizia, eguaglianza, amore) soprattutto nei
momenti più difficili e dilanianti. Il cerchio di gesso del Caucaso segna anche il settimo
incontro della nostra città con
uno dei grandi maestri della
scena europea, Benno Besson,
(segue a pag. 2)
AUTOIRONIA
DELLA BLIXEN
A sinistra una scena di Il cerchio di gesso del Caucaso, durante le prove; a destra gli interpreti di La storia immortale in una scena d’insieme (foto Bepi Caroli e Tommaso Le Pera)
Benno Besson ritorna al teatro dell’amico e maestro Bertolt Brecht e Gabriele Lavia porta sul palcoscenico un affascinante racconto
di Karen Blixen. Sul palcoscenico del Duse (dal 14 marzo al 6 aprile), il regista tedesco mette «in maschera» la favola antica di Gruscha
e del giudice Azdak, protagonisti di Il cerchio di gesso del Caucaso, sortendone uno spettacolo che, con autorevole leggerezza, parla
di tempi calamitosi, caratterizzati dalla sopraffazione e dalla violenza, senza aver paura di costruirvi all’interno anche situazioni di travolgente comicità. Quasi contemporaneamente, l’attore e regista italiano narra alla Corte (dall’11 al 23 marzo) La storia immortale del
ricco mercante, Mr. Clay, che pretende, con l’aiuto del segretario Elishama, di far coincidere la vita e il suo racconto. Due nuovi spettacoli, rispettivamente prodotti insieme con il Teatro Stabile del Veneto e la Compagnia Lavia, nei quali il testo, la recitazione e tutti i contributi artistici convergono verso il piacere di raccontare una storia e di comunicare delle emozioni. Due sguardi, pur molto diversi e sottesi da un’autentica originalità autoriale, che guardano entrambi alla contemporaneità attraverso la lente d’ingrandimento del teatro.
Brecht: favola tra paure e speranza
Bertolt Brecht compose Il
cerchio di gesso del Caucaso nel 1944, in America,
quando ancora divampava
il secondo conflitto mondiale ma già le armate di
Hitler avevano subito pesanti sconfitte. Lo stato d’animo dello “scrittore di drammi” era un po’ cambiato. Si
sentiva più sollevato, anche
se non liberato dall’ansia
per i tragici eventi in corso.
La speranza per una prossima fine della lunga notte
di barbarie in cui era precipitata l’umanità si riverberò nel testo che allora scrisse. Com’era spesso suo costume, Brecht non inventò
ex novo l’intreccio. Trasse
spunto da un antico dramma cinese tradotto dal
poeta Klabund. Il drammaturgo di Augusta nutriva
un particolare interesse
verso la cultura dell’Oriente. Fin da giovane questo
mondo lo aveva affascinato.
Ma nel tempo aveva trova-
to motivazioni più precise a
questa attrazione, legate
anche allo sviluppo delle
tecniche formali della sua
arte. Così si era ispirato alle composizioni Nô e Kabuki per alcuni drammi didattici, aveva ambientato in
un’Asia immaginaria L’anima buona del Sezuan, aveva più volte fatto riferimento all’arte scenica cinese
per elaborare la teoria dello
“straniamento” e del teatro
epico. Inoltre, proprio a ridosso della nascita de Il
cerchio di gesso, aveva progettato un’opera su Confu-
cio. La protagonista del
Cerchio di gesso è Gruscha,
sguattera di cucina del
governatore di una città del
Caucaso, coinvolta in una
sommossa popolare. Il suo
padrone è messo a morte, il
palazzo è incendiato. La
giovane, nel trambusto di
quei gravi rivolgimenti, raccoglie il figlioletto abbandonato dalla moglie del
governatore in precipitosa
fuga. Va incontro così a una
travagliata peregrinazione,
che la porta in luoghi diversi a contatto con molte persone, per salvare se stessa e
il piccolo. A poco a poco si
affeziona fino a provare un
tenace sentimento materno.
Quando poi il periodo di
anarchia e violenze cessa, è
chiamata in tribunale a
difendere il suo ruolo di
madre contro la genitrice
carnale che, tornata, reclama il bambino.
Eugenio Buonaccorsi
(segue a pag. 2)
Poche volte, nella storia della letteratura, accade che uno scrittore riveli una vera identità fra la
vita e l’opera, anzi a tratti una
reale subordinazione della vita
all’opera, come nel caso di Karen
Blixen che, sentendosi privata
della possibilità di vivere a causa
della malattia e del fallimento
umano che la strappò all’Africa,
decise di sviluppare le premesse
di un’attività letteraria appena
abbozzata in gioventù e riversò
la sua intera esistenza nelle sue
opere narrative. E poche volte
uno scrittore, come nel caso
della Blixen, è a tal punto affascinato dai misteriosi legami fra
la fantasia letteraria e la realtà
della vita da porre al centro dell’intera sua produzione il ricorrente interrogativo sulla natura
e l’origine della storia, sul suo
rapporto con la realtà, sulla possibilità che fra la vita e la storia,
fra la realtà e la fantasia possa
esserci un punto di incontro.
Bruno Berni
(segue a pag. 4)
Al Teatro della Corte
dal 3 al 31 marzo
IDEA DI EUROPA
Grandi Parole alle radici di una civiltà
Attori
Laura Marinoni • Omero Antonutti
Gianpiero Bianchi • Ugo Maria Morosi
Valeria Moriconi • Andrea Giordana
Maddalena Crippa • Eros Pagni
Franca Nuti • Giancarlo Dettori
Relatori
Antonio Balletto • Ernesto Franco • Franco Cardini
Sergio Romano • Miriam Mafai
(programma a pag. 7)
TGE12503 Giornale n°11
2
12-03-2003
11:03
Pagina 2
Il cerchio di gesso del Caucaso
al Teatro Duse
Lo spunto è offerto da una storia biblica (il giudizio di Salomone), intrecciata con un antico
dramma cinese. Bertolt Brecht propone così
un’opera di ispirazione orientale, articolata in
due racconti paralleli: da una parte, la storia del
nobile figlio del governatore di Grusinia, abbandonato in fasce dalla madre nel corso di una
rivolta di palazzo e amorevolmente allevato
dalla serva Gruscha, la quale, quando la vita
politica si riassesta, rifiuta di riconsegnarlo alla
governatrice, venuta a reclamarlo; dall'altra,
quella del giudice Azdak, mentitore matricolato
e ubriacone, portato dagli sconvolgimenti politici su un trono da cui emana sentenze stravaganti. Una favola a doppio binario, quindi; in cui il
vagabondo Azdak, che si fa beffe delle conven-
zioni e della morale, diventa il simbolo della giustizia che si oppone alla legge e che, rivolgendo
la sua attenzione ai sentimenti e al dolore dell’individuo, capovolge le regole scritte e proprio
per questo, sottolinea Brecht, giudica meglio di
ogni altro. Una favola antica per parlare del
mondo moderno, pertanto. Un grande testo
appartenente ormai alla storia del teatro, fatto
rivivere da un regista che è stato a lungo al fianco di Brecht ai tempi del Berliner Ensemble,
Benno Besson, il quale si avvale della nuovissima traduzione approntata da Edoardo Sanguineti, sulla base di un adattamento voluto dallo stesso Besson, che esclude dall’allestimento
l’ormai datata cornice ambientata in un kolchoz
sovietico subito dopo la seconda guerra mondiale.
BRECHT: FAVOLA TRA PAURE E SPERANZA
La giustizia di Azdak
GUSTAVO ZAGREBELSKY
Bertolt Brecht mette in scena il
giudizio del Cerchio di gesso
davanti a un giudice che i benpensanti della giustizia per
diritto direbbero essere il contrario di quello che un giudice
dovrebbe essere. (...) Azdak era
uno che si serviva del codice,
ma per sedercisi sopra; uno che
si faceva pagare a caro prezzo
(...); uno che al denaro dava un
valore morale, come manifestazione di umanità; uno per il
quale tutto finiva nel mangiare
e bere e che una bella bevuta
non disdegnava nemmeno a
giudizio in corso; uno che
apprezzava le grazie di quelle
che venivano tratte in giudizio;
uno che aveva paura dei potenti e non lo nascondeva; uno che
non avrebbe fatto loro il piacere
di dimostrarsi un eroe.
scia, dove la superbia e il
sopruso si sono fatti legge. (...) A
questa piuttosto scontata conclusione se ne deve però
aggiungere un’altra, più nascosta, forse più profonda, che
Brecht suggerisce più come un
dubbio molto inquietante che
non come un’affermazione
certa. Che rapporto c’è tra l’ordine e la giustizia?
Azdak è giudice di un tempo di
confusione e disordine, quando
i rapporti sociali sono sconvolti.
(...) Dopo aver reso giustizia per
l’ultima volta, Azdak, toltasi la
toga perché fa troppo caldo e
perché non vuole fare l’eroe per
nessuno, (...) sparisce e non è
mai più visto da nessuno.
Questa è la fine del dramma e,
con essa, la fine di Azdak che
coincide con il ristabilimento
dell’ordine e il ritorno dei giudici per diritto. Forse la morale
(continua da pag. 1)
Designato a dirimere la causa è
Azdak, singolare figura di scrivano, ubriacone e parassita,
assurto, nel caos susseguito alla
rivolta, alla carica di amministratore della giustizia. Il suo
modo di gestire la legge risulta
chiaro quando in apertura di
ogni processo siede letteralmente sopra i codici e invita gli
avvocati a offrirgli denaro.
Azdak ritiene che la questione
possa essere regolata secondo il
giudizio di Salomone. Il bambino, collocato al centro di un cerchio segnato a terra col gesso,
sarà affidato a quella delle due
rivali che riuscirà, tirandolo per
un braccio, a farlo uscire dal
tracciato. Gruscha molla la
presa, perché teme di procurargli del male. La vedova del
governatore ha vinto la prova,
ma Azdak sentenzia che il bambino deve essere consegnato alla
serva, perché il suo comportamento dimostra che lei ha davvero a cuore la sua incolumità.
Nel Cerchio di gesso del Caucaso
è declinato un tema molto caro a
Brecht: la possibilità di praticare
la bontà in una società oppressa
da inique disuguaglianze. In
proposito, lo scrittore aveva
offerto in vari testi una visione
Insomma, l’indole di Azdak è
quanto di più comune ci sia
nella natura umana e quanto di
più contrario all’immagine del
giudice che non guarda in faccia nessuno (...). Azdak è sì un
briccone, ma di un genere particolare. (...) Un corrotto benedetto dai bricconi e dai poveretti che, se ha paura, è per essere
stato indulgente con i miserabili, per avere aiutato la povertà
a tenersi su con le sue deboli
gambe e per avere guardato
nelle tasche dei ricchi. Da questo giudice indegno (o degno, a
seconda che lo si guardi di diritto o di rovescio), viene una decisione che, a sua insaputa, eguaglia in saggezza e giustizia
quella del grande Salomone
(...). Finisce come ci si poteva
aspettare, con una decisione
che umilia la legalità dei potenti e premia l’umanità della
povera gente. La morale della
storia è che solo da un giudice
alla rovescia, come è il giudice
Azdak che mette il diritto sottosopra e porta in scena una
parodia della giustizia, può
venire una sentenza giusta,
quando la legalità esprime a
sua volta un mondo alla rovemarzo / aprile 2003
meno ovvia della storia non
sarà allora che far giustizia è
possibile solo nelle situazioni
che non sono né diritte né rovesce ma basculano, cioè nelle
situazioni instabili di vuoto di
potere? Non sarà forse che ogni
consolidamento sociale non
produce che prepotenza e
oltraggi mascherati da giustizia? La fine di Azdak è sconvolgente. Ci dice che la giustizia è
forse possibile ma solo in
momenti eccezionali di trapasso e quasi per errore. (...)
L’ordine, al quale tutti aspiriamo nei tempi del disordine, è
allora dunque incompatibile
con la giustizia? Se nell’ordine
c’è potere e non giustizia, gli
uomini vogliono due cose
incompatibili. Solo nei momenti aurorali o crepuscolari delle
società umane può sorgere la
giustizia, come la stella del
mattino o la stella della sera
che brillano per poco, prima di
essere oscurate dallo splendore
accecante e irridente o dalle
tenebre (il che è lo stesso) dell’ordine costituito?
Estratto dal saggio pubblicato nel
volume (edito da Il Melangolo) che
accompagna lo spettacolo
pessimistica. La tentazione di
fare il bene conduce ne L’anima
buona del Sezuan allo sdoppiamento di una gentile prostituta
in un alter ego brutale e in
Puntila e il suo servo Matti alla
scissione della personalità di
uno stravagante latifondista. Ne
L’eccezione e la regola, un coolie,
durante una marcia nel deserto
della Mongolia, è ucciso a colpi
di pistola dal mercante cui ha
tentato di allungare la propria
borraccia d’acqua: il commerciante viene assolto nel processo che gli è intentato, perché,
avendo incessantemente maltrattato il portatore, a buon
diritto poteva temerne la reazione e scambiare quindi quel
gesto di generosità per una
minaccia.
Per Brecht, in una società disumanata non era permesso
all’individuo di realizzare pienamente la propria umanità.
Gruscha in quest’ottica costituisce un’eccezione. L’happy end la
risarcisce delle disavventure
scaturite dal salvataggio del
bimbo abbandonato. La ragazza
tuttavia non agisce completamente d’impulso. Dapprima
esita, solo in un secondo momento si impietosisce per quel tenero
fagotto dimenticato. E comunque, in seguito, lotta, più che per
un innato senso di altruismo,
per una creatura che sente sua.
L’altro tema chiave del Cerchio
di gesso è l’insorgere di una
irresistibile vocazione materna.
La solidarietà col piccolo durante le traversie superate insieme
e la scoperta in sé di una gratificante attitudine protettiva
hanno trasformato la ragazza
in madre. Brecht propone una
concezione della maternità non
riducibile necessariamente a
una matrice biologica. Essa è
un valore prodotto dall’agire
umano, non soltanto un dato di
natura. Per questo, secondo
Azdak, il bambino deve essere
affidato a chi ha mostrato di
saperlo allevare e prendersene
cura: “Ogni cosa deve appartenere a chi le si conviene”, come
i terreni contesi dai due kolchoz
dell’antefatto. L’anomalo giudice sancisce il diritto di Gruscha
perché pratica una giustizia più
attenta ai sentimenti e alle sofferenze dell’individuo, secondo
valori nuovi e più alti rispetto a
quelli imposti da una legge cristallizzata.
Al tempo del Cerchio di gesso la
conversione di Brecht al marxismo, dopo una bohème nichili-
stica e anarchica, era un fatto
compiuto da almeno tre lustri.
Aveva adottato la “filosofia della
prassi” come uno strumento critico per decifrare il mondo. Non
suonò mai il piffero della rivoluzione. Si impegnò, invece, a
smontare certi meccanismi che
governavano il funzionamento
della società borghese. Solo nel
Cerchio di gesso assunse un
atteggiamento costruttivo e
ottimistico. La felice conclusione della storia di Gruscha
rimanda al prologo (tagliato nel
nuovo adattamento voluto da
Benno Besson, ndr) che si svolge, in epoca contemporanea, in
Unione Sovietica, dove due
comunità in contrasto si accordano perché le terre vengano
assegnate a chi ne ricaverà una
maggiore utilità sociale.
Insomma, il bene comune trionfa, e Brecht sembra quasi credere che, nell’URSS del 1944,
viga un ordine giusto e i dissidi
possano conciliarsi applicando
la virtù della ragionevolezza. È
un punto di vista imbarazzante
oggi. Inoltre lo schema del teatro nel teatro, in cui si inquadra
la storia di Gruscha, ha perso la
sua seduttività ed è scaduto in
abusato cliché. Per noi, invece,
posteri del “povero B.B.”, ha
acquistato maggiore importanza la componente fantastica,
anzi favolistica, che trova nell’ambientazione in una dimensione esotica il veicolo più
appropriato. Di qui deriva al
testo un meditato incanto, una
incisiva essenzialità di tocco e
una mirabile maturità d’invenzione poetica. Questa sapiente
leggerezza, in alcuni episodi
trascolorante in franca comicità, non stona con i calamitosi
tempi, traboccanti sangue e vio-
lenza, che flagellano gli antieroi
brechtiani. Lo stile epico, con la
plasticità particolarmente adatta a raccontare, come in un
romanzo, un lungo concatenarsi
di eventi, di cui le peripezie di
Gruscha e Azdak sono parte,
consente di ridere anche delle
cose tragiche perché, come
avvertiva Brecht, se ne sentono
i limiti ed è possibile criticarli.
Eugenio Buonaccorsi
Nelle foto: alcune scene di Il cerchio di
gesso del Caucaso durante le prove
con le maschere ancora provvisorie
(continua da pag.1)
ancora una volta assieme ai
“suoi” attori, a iniziare da Lello
Arena, Daniela Giordano, Orietta
Notari, Paolo Serra e molti altri.
Se a questo marzo al Duse e alla
Corte tutto targato Teatro di Genova si aggiunge la fortunatissima tournée de L’amore delle tre
melarance di Gozzi-Sanguineti
per la regia di Besson, e inoltre
la contemporanea presenza a
Roma e a Milano, con tournées
incrociate e con grandissimo
successo, de L’ispettore generale
di Gogol per la regia di Langhoff con Pagni e Ferrini e Quel
che sapeva Maisie di James,
regia di Ronconi con Mariangela Melato, si può vedere come
il Teatro di Genova faccia tutto
il possibile (almeno crediamo)
per meritarsi quel ruolo di preminenza nella cultura teatrale
italiana che, a detta di altri, ci
compete.
E questo è anche il nostro contributo per poter affermare, e
non solo nel prossimo anno, che
Genova ancora oggi è, come è
stata nel tempo, una delle capitali europee della cultura.
Carlo Repetti
TGE12503 Giornale n°11
3
12-03-2003
11:03
Pagina 3
Il cerchio di gesso del Caucaso
al Teatro Duse
B ENNO B ESSON : “C HI
HA CONOSCIUTO
B RECHT
SA CHE IL DIVERTIMENTO ERA PER LUI ESSENZIALE ”
Il teatro è un gioco affascinante
Lei lavorava al Berliner Ensemble quando, nel 1954, Brecht
mise in scena Il cerchio di gesso
del Caucaso e poi ne ha curato
personalmente la regia due
volte: nel 1978, a l’Atelier Théâtral de Louvains-la-Neuve in
Belgio e, nel 2001, al Théâtre
Vidy di Losanna.
Che cosa rappresenta per lei
questo terzo allestimento?
Dover rispondere a delle nuove
domande. Il difficile è che solo il
lavoro sul palcoscenico mi potrà
insegnare qualcosa. Nel 1954,
Brecht seguiva le ipotesi di
lavoro di Brecht. Nel 1978, io ho
cercato di attenermi a queste
stesse ipotesi. Ma il mondo
odierno non è più quello del
1978 e con gli ultimi sviluppi
della società capitalistica patriarcale, con l’esplosione tecnologica, con la globalizzazione,
l’“era scientifica” sognata da
Brecht ha rivelato il suo volto
concreto. Oggi si guarda in
modo molto diverso al progresso
della scienza e della tecnologia.
L’interesse per la lotta di classe
persiste, ma oggi non si può più
ignorare l’essenziale presenza
della “lotta dei sessi”.
Nei suoi spettacoli c'è una continua alternanza di comico e di
tragico, da dove deriva tutto
questo?
È stato Hegel a distinguere una
comicità “in sé” da una comicità
“per sé”. Nel primo caso - come
accade, ad esempio, nella maggior parte delle opere di Molière
- la comicità s’identifica con la
pura e semplice rappresentazione della realtà. È la commedia
dei caratteri: il mondo è tutto là,
agisce sul palcoscenico e si ride
di qualcosa che non ci coinvolge
immediatamente. Nel caso di
una comicità “per sé”, quale
quella di Aristofane, è invece la
relazione tra il palcoscenico e il
pubblico che conta soprattutto:
la stilizzazione scompare, in
favore della perfetta coincidenza della finzione scenica con la
realtà di quel complesso insieme rappresentato dal testo,
dagli attori, dalla scenografia e
dal pubblico. Cioè, dal teatro
stesso, il quale è sempre, inesorabilmente, una finzione; ma,
quando è ben fatto riesce a far sì
che quello che accade sul palcoscenico coinvolga tutta la realtà
dello spettatore: commuoverlo,
divertirlo, farlo pensare, appun-
to. È nel “per sé” che il comico e
il tragico cessano di essere dei
distinti, convergono e diventano
solo vero teatro.
È questa una concezione del teatro che nasce dal suo lungo
sodalizio con Brecht?
Chiunque abbia conosciuto
Brecht può testimoniare che il
divertimento era per lui essenziale. Se una messa in scena,
affermava sovente, non era in
sul palcoscenico. Il che ovviamente non vuol dire che non
abbia delle linee chiare da
seguire. Non amo assolutamente le prove a tavolino e voglio
andare subito sul palcoscenico:
possibilmente già con tutto ciò
che vi sarà durante la rappresentazione, dalla scenografia ai
costumi, dalle luci alle musiche,
a tutta l’attrezzeria. Solo così si
evita di essere registi visionari e
Nelle foto: Benno Besson dirige gli attori di Il cerchio di gesso del Caucaso
grado di procurare piacere voleva dire che qualcosa in lei non
funzionava. Il piacere del teatro non ha nulla a che fare con
le teorizzazioni accademiche:
consiste nell’apprendere qualcosa e nello stesso tempo dimostrare che questo processo di
apprendimento avviene nella
gioia e nel divertimento. Non
c’è mai nulla di punitivo nel
teatro di Brecht.
Qual è il suo modo di lavorare
sul palcoscenico?
Io sono un regista che lavora
innanzitutto con gli attori: non
ho idee preconcette da imporre
di illuderci che tutto il teatro
possa già esistere nella nostra
testa. Io non sono un visionario.
Non ho mai la visione di ciò che
voglio realizzare. La concretezza del teatro, per me, nasce solo
dal lavoro sul palcoscenico. È
questo l’unico modo in cui so
lavorare, mi piace lavorare,
credo che valga la pena di continuare a lavorare.
Che cosa è il teatro per lei?
Il mio modo di intendere il teatro non è fatto di “punti di
vista”, di “progetti a priori” o di
“teorizzazioni”. Ovviamento ho
delle opinioni: a volte anche opi-
nioni molto radicali; ma il teatro che faccio non è mai illustrazione di queste opinioni. Credo
che il fondamento del teatro sia
sempre l’osservazione della
realtà. Anche quando si ha a
che fare con personaggi assolutamente lontani dalla realtà, è
sempre la realtà che viene
messa in gioco dalla loro rappresentazione. Il teatro che mi
interessa non è un'imitazione
più o meno deformata della
realtà, ma è un gioco con la realtà stessa. Il teatro mette in
gioco la realtà, non si limita a
rappresentarla. Evidentemente
bisogna che lo spettatore riconosca ciò che viene messo in
scena, ma la realtà non è mai
l'oggetto essenziale della rappresentazione teatrale.
L'imitazione non c'entra. Così
come non mi interessa l'ironia,
non mi interessa neppure un
teatro psicologico che tenda a
imitare l'individuo. Non credo
che si debba partire da una
visione o da un'idea per fare del
teatro. Le idee sono necessarie,
ma sono anche sempre difettose. È per questo che preferisco
lavorare subito in palcoscenico.
L'attore scopre la realtà del proprio personaggio momento concreto dopo momento concreto. E
anch'io, che pur inizio sempre le
prove credendo di conoscere
bene il testo, scopro e riscopro i
personaggi solo via via che essi
si trasformano secondo la natura degli attori. È questo il fascino del teatro. Il teatro è un
gioco. O, almeno, io faccio teatro
perché vi si può giocare. Il teatro mi permette di rimanere
bambino e di continuare a
imparare giocando. È il massimo che si può desiderare.
L'ideale sarebbe, poi, di riprodurre questa urgenza esistenziale in giochi razionalmente
più strutturati, anche se non
necessariamente migliori, di
quelli infantili. Il gioco è un settore del mondo dei sogni. Esso
appare tanto più semplice,
quanto più è complesso. Proprio
come il teatro. So benissimo che
rispetto ai fatti della vita, il
gioco del teatrante è sempre un
gioco semplificato. Ma io amo
giocare. E credo di aver giocato
tutta la vita.
antologia di dichiarazioni
rilasciate da Benno Besson
compagnie ospiti
MISERIA E NOBILTÀ
ACOUSTIC NIGHT 3
di Eduardo Scarpetta
Corte, 1 / 8 aprile
Corte, 15 e 16 aprile
Due serate con quattro virtuosi
della chitarra acustica. Con
Beppe Gambetta, suonano lo
statunitense Dan Crary, lo scozzese Tony McManus e il canadese Don Ross.
Una delle opere più celebri del
teatro partenopeo, esaltata dal
ricordo dell’omonimo film con
Totò. Fame, travestimenti e gioia di vivere in uno spettacolo
diretto e interpretato da Carlo
Giuffré.
VOLPONE
di Ben Jonson
Corte, 8 / 13 aprile
GLI ALBUM DI MARCO PAOLINI PARLAMENTO CHIMICO
Corte, 25 / 30 marzo
di Marco Paolini e Francesco Niccolini
Sala Chiamata del Porto, 31 marzo
Una settimana con il teatro di affabulazione di Marco Paolini, il quale porta
alla Corte (a sere alterne) due dei suoi celebri Album, dedicati alla memoria degli anni Settanta (Aprile ’74 e ’75) e Ottanta (Stazione di transito),
e al Porto la storia dell’inquinamento di Marghera (Parlamento chimico).
marzo / aprile 2003
Una terribile farsa in cui una
risata feroce graffia il volto di
una società dominata dal Dio
denaro. Un classico post-elisabettiano. Con Glauco Mauri e
Roberto Sturno.
LA NEMICA
di Dario Niccodemi
Duse, 6 / 11 maggio
Una delle opere più famose del
teatro italiano del primo Novecento, cavallo di battaglia di
tante celebri attrici. Un “classico” a forti tinte, indossato ora
da Valeria Moriconi.
TGE12503 Giornale n°11
4
12-03-2003
11:03
Pagina 4
La storia immortale
al Teatro della Corte
Verso la metà dell'Ottocento, vive a Macao Mr.
Clay, un vecchio e ricchissimo mercante. La
grande e bella casa dove abita era appartenuta
al suo socio Mr. Ducrot, che fu costretto a svenderla all’avaro e avido Mr. Clay. Egli pretende
che il suo commesso Elishama lo intrattenga
tutte le sere leggendo gli unici libri che conosce:
registri contabili, raccolte di contratti, vecchi
preventivi d’azienda. Una sera Mr. Clay dice al
commesso di aver sentito parlare anche di altri
libri, che raccontano “storie” e così Elishama gli
legge un brano del profeta Isaia. Mr. Clay, che
non apprezza le profezie, narra a sua volta una
storia che ha sentito raccontare su una nave
diretta in Oriente: un giovane marinaio viene
avvicinato da un ricco signore e persuaso ad
andare nella sua bella casa, con la proposta di
passare una notte con la sua bellissima moglie;
in cambio il marinaio riceverà cinque ghinee
d’oro. Elishama fa presente al suo dispotico
padrone che quella storia la raccontano da sempre tutti i marinai, ma è solo una proiezione dei
loro sogni: non è mai accaduta. Mr. Clay decide
allora di darle realtà, e così ordina al commesso
di cercare i personaggi per far vivere concretamente quel racconto. Elishama trova come protagonista femminile Virginia, figlia di Ducrot, e un
biondo marinaio danese come protagonista maschile. Entrambi accettano la proposta e fanno
rivivere l’antica leggenda, mentre Mr. Clay spia
soddisfatto il mondo creato dalla sua volontà. Ma
nella realtà non tutto finisce come da lui previsto.
AUTOIRONIA DI KAREN BLIXEN
(continua da pag. 1)
È per questo che nella sua produzione esistono due correnti di
eguale intensità, rappresentate
da un lato dal filone autobiografico, basato sull’esperienza
africana scaturita da una dura
realtà ma consegnata al mito
con una narrazione fortemente
simbolica, e dall’altro da una
produzione narrativa popolata
di personaggi che come
Pellegrina Leoni dei Sognatori,
la grande cantante che aveva
perso la voce come la Blixen
aveva perso la fattoria, dalla
realtà biografica attingono
linfa, o che come Mr. Clay - il
protagonista della Storia
immortale - cercano di ricondurre alla realtà ciò che della
storia fa parte e nella storia
dovrebbe restare, in un costante gioco di specchi simbolicamente sottolineato nel racconto
e nella messinscena ora presentata al Teatro della Corte.«È
una terribile esperienza, per un
narratore, scoprire che la sua
storia è vera», scriveva Karen
Blixen nel 1954 nel racconto Il
pescatore di perle, ma ciò che
invece avviene - ciò che può
avvenire - quando un essere
umano, in un impeto di onnipotenza, si mette in testa di trasformare un’invenzione in un
fatto realmente accaduto, è il
nucleo della Storia immortale,
il racconto preferito dalla scrittrice danese fra i suoi testi più
tardi, quelli faticosamente composti negli anni Cinquanta,
pochi anni prima della morte.
La struttura quasi teatrale del
testo, caratterizzato da un’atmosfera intima, ambientato
quasi totalmente fra le quattro
pareti di una ricca dimora di
Canton e basato come pochi
altri della Blixen sul potere
della parola e sul valore simbolico dell’enunciato dei suoi protagonisti, ruota intorno a uno
schema estremamente semplice: un ricco mercante inglese,
Mr. Clay, vecchio e malato, abi-
tuato ad attribuire valore di
testo scritto unicamente ai dati
reali della sua contabilità, scopre con disappunto l’esistenza
di resoconti di storie mai avvenute, che nella loro essenza fantastica non lasciano a nessuno
il potere di influenzare il loro
corso. In particolare è colpito
quando apprende che una storia che credeva vera - quella del
marinaio che viene pagato dal
vecchio ricco affinché giaccia
con la moglie e gli procuri l’erede che egli non è in grado di
dare a se stesso - è solo una fan-
tasia, e così decide di renderla
reale per affermare il suo potere, e con l’aiuto del commesso
Elishama assolda i personaggi,
un giovane marinaio e una
donna, e ordina loro di trasformare la fantasia in realtà.
L’esito, come è naturale - e come
Karen Blixen sapeva bene - è
molto più fantastico della storia
stessa, e il sentimento che
nasce fra i due giovani impedisce la realizzazione dei piani del
vecchio.
Il tema, come si è detto, non è
nuovo nella produzione di
Karen Blixen, nella quale rappresenta anzi uno dei nuclei
ricorrenti, anticipato qualche
anno prima nel Poeta e ripreso
con toni fortemente autobiografici in Echi - in cui Pellegrina
Leoni cerca di plasmare secondo la sua volontà la vita del piccolo Emanuele -, ma anche in
Ehrengard, la «conclusione
trionfale» della sua opera narrativa, il breve romanzo in cui il
seduttore è sedotto e l’inganno
si ritorce contro l’ingannatore.
Ma il tema non è nuovo anche
nella realtà della Blixen, che
dell’intreccio di arte e vita, pro-
prio in quegli anni, aveva cercato di riportare gli schemi anche
nel suo rapporto con il giovane
poeta Thorkild Bjørnvig - e in
fondo con la vita nel suo complesso - il quale più tardi definì l’esperienza «un’idea brillante finché rimane legata alla
storia», ma «se la estendiamo
alla vita, diventa fatalmente
errata».
E di questo la grande scrittrice
era cosciente, perché proprio
nella Storia immortale dimostra di sapere bene quanto fosse
assurda l’ambizione di eliminare il confine fra la vita reale e la
fantasia: «Eppure le linee di un
disegno corrono talvolta in
senso inverso a quello che si
crede. Come in uno specchio»
afferma Elishama rivolto a
Virginie, anticipando simbolicamente quella che sarà la conclusione della storia. Perché una
sorta di autoironia della Blixen,
che rivela così di aver compreso
il pericolo di questa visione
della vita e del mondo, riesce a
trasformare il racconto in una
delle sue opere più compiute e
più perfettamente strutturate.
Bruno Berni
DALLA DANIMARCA ALL’AFRICA, E RITORNO
Vita
avventurosa
di
una
scrittrice
1885 Karen Dinesen nasce a Rungstedlund (Danimarca) il 17 aprile
figlia primogenita di Wilhelm e di Ingeborg Westenholz.
1903/1906 Frequenta l’Accademia di Belle Arti di Copenhagen.
1907 Con lo pseudonimo di Osceola, debutta come scrittrice
dei racconti Gli eremiti e L’aratore.
1909 Pubblica La famiglia de Cats con lo stesso pseudonimo.
1910 Soggiorna a Parigi per studiare pittura.
1912 Viaggia con il fratello Thomas e soggiorna a lungo anche
a Roma. In dicembre si fidanza con il cugino di secondo
grado Bror von Blixen-Finecke, suo coetaneo.
1913 Primo viaggio nell’Africa Orientale Inglese,
dove il fidanzato ha acquistato la fattoria M’Bagathi.
1914 Sposa a Mombasa Bror Blixen.
1915 Scrive in Danimarca le poesie Ex Africa.
1916 Compera la fattoria M’Bogani e vi si trasferisce.
1918 Incontra a Nairobi Denys Finch-Hatton.
1921 Si separa dal marito.
1923 Inizia a scrivere il saggio Il matrimonio moderno.
1926 Con il suo vero nome, pubblica la commedia di marionette
La rivincita della verità.
marzo / aprile 2003
che
predilige
l’intimità
1931 È costretta a vendere la fattoria africana
a causa del suo fallimento. Denys Finch-Hatton
precipita con il suo aereo il 14 maggio.
Il 31 agosto, Karen torna in Danimarca.
1934 Pubblica a New York e a Londra Sette storie gotiche,
con cui ottiene fama mondiale.
1937 Esce in Danimarca, e poi anche in Inghilterra
e negli Stati Uniti, La mia Africa.
1940 Da Berlino, scrive Lettera da un Paese in guerra.
1942 Pubblica Racconti d’inverno.
1944 Con lo pseudonimo di Pierre Andrézel,
pubblica I vendicatori angelici.
1957 Pubblica Ultimi racconti. Diventa membro onorario
dell’Accademia Americana.
1958 Pubblica la raccolta Capricci del destino, che contiene tra
l’altro il racconto La storia immortale.
1959 Soggiorna negli Stati Uniti.
1960 Pubblica Ombre sull’erba.
1961 Soggiorna a Parigi.
1962 Il 7 settembre muore a Rungstedlund.
“La Storia” di Orson Welles
Il grande regista la portò sullo schermo nel Sessantotto
Tratto dal racconto Storia
immortale di Karen Blixen contenuto in Capricci del Destino
(1956), il film di Orson Welles si
può considerare una sorta di
suo testamento artistico.
«…Quando si vuole qualcosa al
punto di non poterne fare a
meno se non si riesce ad ottenerla è tremendo, ma quando la
si ottiene diventa ancora più
tremendo…»: aggiungendo questa battuta al racconto, Welles
riflette sulla vanità e sul senso
di morte che è in ogni azione
umana e in particolare sulla
presunzione di dare realtà ai
sogni. Mr. Clay non è altri che
un regista cinematografico che
vuole corrompere la purezza
dell’immaginario ed è destinato
al fallimento. Comperare le
favole e riempirle di realtà è un
atto feroce di violenza che interrompe la catena ciclica della
fantasia e arresta la libera indeterminatezza del possibile.
Interpreti della messinscena
sono Virginie (Jeanne Moreau),
la figlia dell’uomo che l’avido
Mr. Clay (Orson Welles) ha
spinto al suicidio, e l’ignaro marinaio Paul (Norman Eshley).
Il film, girato in inglese in
Spagna nel 1966 e coprodotto
dalla televisione francese, dura
sessanta minuti ed è messo in
scena in forma essenziale in
una scenografia allusiva ed
austera. La relativa semplicità
del film è conforme allo stile
della Blixen, caratterizzato da
una prosa evocativa. Il risultato
è una “miniatura ammirevole”,
un film “piccolo, finissimo, che
ha l’incanto di una favola romantica raccontata a bassa
voce una sera d’inverno”, dove
alcuni fra i temi più cari al regista vengono riproposti e concentrati su scala ridotta. Il marinaio e la donna sono gli attori di
una “storia immortale” che
interpretano con la delicatezza
di chi non vuole occuparne
totalmente il senso, perché come dice il segretario Levinsky
(Roger Coggio) «nessuno ha il
diritto di impadronirsi di una
storia che la gente ha inventato
e racconta, e fare in modo che si
avveri». La storia del vecchio
signore e del marinaio riacquista l’ordine della ripetizione
simbolica e la favola si rende
ancora disponibile alla fantasia
dei marinai infrangendo la rigida certezza di un “fatto” che
vorrebbe totalizzarne il significato. Fuori del “testo”, e quindi
in relazione all’opera di Welles,
Storia immortale rivela l’eterno
ritorno di un modello simbolico:
il “realizzatore” e l’imperfetta circolarità dell’autarchia.
Personaggi dell’opera di Welles
quali Kane, Haki, Arkadin, Quinlan rappresentano con diverse
maschere la sua vocazione demiurgica. Il personaggio allude
al regista e l’ostentazione del
trucco, l’esibizione del travestimento che si “sposta” continuamente alla ricerca di un’immagine fisica, esorcizza l’ossessione totalitaria dell’autore. La
brevità della pellicola non impedisce a Storia immortale di
essere uno dei film più belli ed
importanti di Welles, che per la
prima volta usa il colore (la
fotografia è di Willy Kurant) e
rappresenta l’amore fisico: nessun realismo greve e nessun
facile simbolismo.
Marco Salotti
Nelle foto: in alto a sinistra Karen Blixen nel 1962; al centro Gabriele Lavia e Carlo
Cecchi in un momento dello spettacolo; sopra due scene del film di Orson Welles
TGE12503 Giornale n°11
5
12-03-2003
11:03
Pagina 5
La storia immortale
al Teatro della Corte
G A B R I E L E L AV I A : “O G N I
S E R A T O R N O A S T U P I R M I D E L L A T E AT R A L I T À D I Q U E S TA S T O R I A ”
Tutta la vita in un racconto
La storia immortale giunge
sul palcoscenico della Corte
dopo un lungo rodaggio in
tanti teatri italiani, dove lo
spettacolo è sempre stato
accolto con grande successo, sia di critica che di pubblico. «Avevo molta paura»
osserva Lavia, «pensando al
modo in cui avrebbe potuto
essere accolto questo spettacolo, in cui in fin dei conti
non succede mai nulla di
clamoroso e ciò che veramente conta sul palcoscenico sono solo degli attori che
dicono delle battute e che
raccontano una storia fatta
essenzialmente di parole.
Invece, è accaduto che sin
dalla “prima”, e poi sera
dopo sera, non cesso mai di
sorprendermi della partecipazione e dell'interesse
dimostrati dal pubblico, il
quale esce da teatro sempre
molto contento, se non altro
perché ha sentito narrare
una bellissima storia che
non conosceva». Come sottolinea Lavia, sono infatti
pochissimi coloro che vanno
a teatro avendo già letto il
racconto della Blixen: molti
più quelli che poi vanno in
libreria ad acquistarlo. «Ma
poi» sorride il regista-attore, «perché dovrei sorprendermi della capacità comunicativa di questo spettacolo con il pubblico: una bella
storia e degli attori che la
raccontano su un palcoscenico senza fare tante storie,
non è questa l'essenza stessa del teatro?». Molto fedele
allo svolgimento narrativo
del racconto della Blixen, il
testo teatrale di Gabriele
Lavia ne porta in primo
piano la struttura a scatole
cinesi, lasciando che un racconto nasca via via dentro
all'altro e facendo in modo
che il suo punto di forza
drammaturgica si esplichi
soprattutto nel rapporto tra
i due protagonisti, interpretati da due dei maggiori
interpreti della scena italiana. «Dapprima nel lavoro di
drammaturgia e poi in
quello di messa in scena»
dice Lavia, «ho sempre
tenuto ben presente il
modello classico della coppia composta da un personaggio e dal suo parassita.
Come Otello e Jago o Volpone e Mosca o anche Stanlio e Ollio, il capitalista Mr.
Clay e il servo Elishama non
possono fare a meno uno
dell'altro. Clay si fa servire
e sovente maltratta Elishama, che è un suo dipendente, ma nello stesso tempo dipende sempre più da
lui, che gli fa i massaggi, lo
aiuta nelle necessità della
vita quotidiana, fa in modo
di dare concretezza ai suoi
desideri. Quello che s’instaura tra loro è un rapporto teatralmente molto forte
che affonda le proprie radici nella drammaturgia elisabettiana e, da qui, si promarzo / aprile 2003
paga ancora più in profondità nella storia». Tutto bene, dunque? Il pubblico genovese vedrà uno spettacolo
al suo meglio? «Faremo il
possibile», conclude Lavia.
«Ma a teatro non c'è mai
nulla di certo e ogni rappresentazione deve essere vissuta come la prima volta.
Per questo, anche se mi
sembra che lo spettacolo si
sia mantenuto molto bene
nel tempo, ritorno sovente a
metterlo in prova. Durante
le repliche di uno spettacolo, e quindi anche di La storia immortale, ci sono sempre cose che si approfondiscono e altre che si usurano.
È su queste ultime che bisogna costantemente vigilare,
preoccupandosi di mantenere coerente il percorso dei
personaggi e rinfrescando
giorno dopo giorno il mondo
delle intenzioni. Durante le
repliche, a furia di fare sempre le stesse intonazioni,
può succedere che ci si dimentichi perché si aveva
scelto proprio quelle. Ed è
questo recupero di consapevolezza che si può fare solo
provando e riprovando, confrontandoci tra noi stessi
oltre che con il pubblico».
a.v.
Nelle foto: Gabriele Lavia e Carlo Cecchi in La storia immortale
a destra in basso tre momenti delle prove di Filottete alla Fiera del Mare di Genova
compagnie ospiti
ASPETTANDO “FILOTTETE”
Con la regia di Matthias Langhoff, sono iniziate le prove della tragedia di Heiner Müller
L’uomo di Arimatea
di Mario Bagnara al Teatro Duse dal 9 al 16 aprile
Perché L’uomo di Arimatea?
I Vangeli ufficiali citano
Giuseppe di Arimatea esclusivamente per un gesto:
avere chiesto a Pilato il corpo
di Gesù e
messo una
tomba di sua
proprietà a
disposizione
per garantirgli una sepoltura dignitosa. Di lui viene detto che
era persona
benestante e
rispettata,
faceva parte
del Sinedrio e
simpatizzava,
con discrezione, per Gesù.
Possibile che
un uomo giusto, rispettato e capace di un
simile gesto, che equivaleva a
una sfida rischiosissima, non si
fosse, già prima, adoperato per
salvarlo? Ho ritenuto, profondamente creduto il contrario; e
la storia immortale
ho lavorato a scandagliare,
tentare di connettere e ricostruire i retroscena di quei giorni, lasciando gli eventi più
famosi come sfondo. Un altro
non piccolo
interrogativo
riguarda la
fede dei cristiani: in questo caso dei
primissimi,
che frequentarono e amarono Gesù, ma
onestamente,
chi può dire
che noi saremmo stati meglio
di loro? I fatti
dimostrano
che averlo amato e frequentato non
bastò. Già i
vangeli ufficiali evidenziano,
senza possibilità di equivoci, la
desolante inconsistenza della
fede di tutti - o quasi - i suoi
seguaci.
Mario Bagnara
Alla fine di gennaio scorso, si è
riunita alla Fiera del Mare la
compagnia del Filottete di
Heiner Müller, ultima produzione stagionale del Teatro di
Genova. Nel Padiglione C era
stata approntata la struttura
ad anfiteatro che, nel maggio
prossimo, accoglierà lo spettacolo sul palcoscenico della Corte
con una scenografia molto suggestiva. Il regista Matthias
Langhoff e gli interpreti Jurij
Ferrini, Antonio Zavatteri e
Federico Vanni hanno così iniziato le prove dello spettacolo,
alla presenza del traduttore del
testo, Peter Kammerer.
Le prove sono poi proseguite
nel corso della tournèe di
L’ispettore generale.
Liberamente ispirata a Sofocle,
la tragedia di Müller racconta il
dramma dell’arciere Filottete:
eroe sventurato e avvilito, tormentato dal dolore delle carni e
roso dal rancore nei confronti di
coloro che lo hanno abbandonato sull’isola di Lemno con la
gamba putrescente per il morso
di un serpente, e che ora lo rivogliono tra gli Achei per poter
espugnare la città nemica.
Heiner Müller ha rivisitato
questo grande personaggio teatrale, coniugando il tema dell'emarginazione e della solitudine
del "diverso" con la condanna
senza attenuanti della guerra,
di tutte le guerre, che imbestiano gli uomini e soffocano in loro
anche la più flebile parvenza di
dignità e di decenza.
TGE12503 Giornale n°11
12-03-2003
11:03
Pagina 6
Dalla scuola alla scena
6
“Cerchio” di emozioni e ricordi
Questa volta l'incontro avviene in casa, con quattro ex allievi della Scuola di Recitazione che, dopo di essere stati tra i protagonisti della lunga tournée di
L'amore delle tre melarance, tornano con Il cerchio di gesso nel Caucaso a recitare in una produzione del Teatro di Genova. Testimonianza del particolare legame
che, da sempre, unisce questo Teatro agli allievi della sua scuola. Tutti poi scelgono come si conviene la loro strada, partono per nuove esperienze professionali;
ma quando fanno ritorno, ciò avviene sempre con la particolare emozione di un ritorno a casa, con tutto il suo inevitabile bagaglio di aneddoti e di ricordi.
ORIETTA NOTARI
PAOLO SERRA
«Attore per gioco» «Che fatica la prima tournée»
marzo / aprile 2003
Orietta Notari si è diplomata
alla Scuola di recitazione del
Teatro di Genova, ha avuto numerose esperienze teatrali e ha
partecipato a diverse produzioni dello Stabile (da I due gemelli rivali di Farquhar con la
regia di Marco Sciaccaluga nel
1981, a L’amore delle tre melarance di Sanguineti con la regia
di Benno Besson nel 2001), con
il quale adesso ritorna al Duse.
Che percorso l’ha portata a frequentare la scuola di Genova?
Volevo fare l’attrice e avevo
deciso di iscrivermi a una scuola di recitazione. Provai quindi
ad entrare in quella dello Stabile e fui presa. Per me è stata
un’esperienza fantastica, molto
importante. Quella di Genova
è un’ottima scuola e ti dà un
buon bagaglio. All’inizio è stato
difficile ma la scuola mi ha
anche aiutata a superare alcune timidezze. Il teatro non è
terapeutico, però lavorare con
un materiale così bello ti mette
di fronte alle tue difese, alle tue
I servizi
NOICOM,
un vero
spettacolo!
resistenze, e devi cercare di
superarle per andare avanti.
E poi com’è stato l’incontro con
il mondo del lavoro?
Solo quando inizi a fare questo
lavoro ti rendi conto di che
cos’è. Il Teatro di Genova,
però, è davvero un po’ come
una famiglia e all’inizio si è
aiutati molto. Più duro è stato
l’impatto con la prima tournée,
in Re Lear: è stato molto faticoso.
Finché non fai una tournée
non sai che cosa significa: è
come salpare su una nave per
un lungo viaggio in mare,
senza sapere dove vai, con
compagni che non hai scelto
ma con i quali devi imparare a
convivere, e ogni sera è un’avventura diversa. Comunque
questo è un lavoro meraviglioso, sempre nuovo, e che ti
costringe ad essere umile.
Che cosa le ha insegnato la
scuola, oltre alla tecnica?
A coltivare una grande capacità di attenzione per il proprio
lavoro, ad ascoltare e a saper
vedere il lavoro degli altri e,
quindi, a vedere meglio anche
il proprio, e a saper leggere i
testi. Io credo che, tranne
qualche eccezione, oggi sia
necessario frequentare una
scuola di recitazione per fare
questo mestiere. Una volta era
diverso, c’era la possibilità
d’imparare, con gradualità,
nelle compagnie, ma adesso
senza una scuola che t’insegni
ad affrontare tanti testi diversi, è molto difficile.
Le sembra che l’atteggiamento
e le aspettative di chi va a teatro siano cambiate negli ultimi
anni?
Mi sembra che ci sia un pubblico che vuole soprattutto
divertirsi e un altro più
“impegnato”, che segue il teatro di prosa ed è più interessato alle proposte culturali. Io
trovo poi che ci sia una parte di
pubblico giovane molto amorevole, e mi pare che i ragazzi
abbiano anche le idee piuttosto chiare.
Secondo lei che cosa contraddistingue il pubblico genovese
rispetto a quello di altre città?
È un pubblico molto serio, che
se ne intende di teatro. Io sono
genovese e lo avverto meno ma
sento altri attori dire che, per
questi motivi, non è semplice
lavorare qui. Secondo me,
però, a Genova c’è un terreno
adattissimo per tentare qualsiasi esperimento. Già adesso
è una delle città che hanno più
proposte, da anni grandi registi di livello internazionale collaborano con lo Stabile e anche
nelle altre realtà teatrali cittadine il ventaglio delle proposte
è davvero ampio.
pagina a cura di
Annamaria Coluccia
MARCO AVOGADRO
«Quella volta che Orietta e io...»
Il debutto a diciotto anni con
Carlo Cecchi, in Il borghese
gentiluomo, poi il provino alla
Scuola di Recitazione del
Teatro di Genova, con un testo
tradotto, personalmente, dal
greco moderno. E’ iniziata così,
in modo piuttosto inconsueto,
la carriera teatrale di Marco
Avogadro, che affianca l’attività di attore a quella, prevalente, di assistente alla regia,
soprattutto per il Teatro di
Genova. A fare l’attore ci aveva pensato fin da bambino e
alla Scuola dello Stabile
approdò dopo aver già fatto
l’esperienza di una tournée
teatrale con Cecchi: «Dopo
quella tournée mi era rimasta
la voglia di imparare e così tentati di entrare nella scuola: la
prima volta non fui preso, poi
ritornai con una mia traduzione di un testo dal greco
moderno e ce la feci». Della
scuola parla come di «un’esperienza positiva, soprattutto
perché si impara a lavorare con
gli altri e con dei maestri», ma
un episodio in particolare gli è
rimasto impresso di quegli
anni: «La prima volta che feci
una scena assieme a una mia
compagna, Orietta Notari, e in
cui riuscimmo a far ridere i
nostri compagni di classe che ci
guardavano. Il riso - sottolinea
Avogadro - è la reazione più
immediata e consente di avere
subito la percezione dello stato
d’animo del pubblico. Noi ci eravamo preparati e ci divertimmo
molto ma quella reazione fu del
tutto inaspettata».
ROBERTO SERPI
MARK&THING
Per Paolo Serra l’incontro con il
teatro è avvenuto «per gioco,
per non studiare», nel 1978.
«Avevo finito da poco il liceo
scientifico - racconta - e mi sono
imbattuto in un mio amico che
mi ha proposto di provare ad
entrare nella scuola di recitazione dello Stabile. Io avevo
recitato qualche volta a livello
amatoriale ma non avevo mai
pensato che quella potesse diventare una professione. La
cosa, però, mi incuriosì, partecipai alla selezione, mi presero e
iniziai». Contemporaneamente
Serra s’iscrisse anche alla facoltà di Lettere e Filosofia ma per
dare soltanto tre esami in tre
anni. Già alla fine del primo
anno di scuola, infatti, il regista
Marcello Bartoli, dopo un seminario, chiese di poter utilizzare
lui e un suo compagno di classe,
Ugo Dighero, nel Gruppo della
Rocca. «Così all’inizio del secondo anno incominciai a lavorare
con loro nello spettacolo L’azzurro non si misura con la
mente» racconta Serra. «Lasciai
la tournée della Donna serpente, prodotta dal Teatro di Genova, terminai faticosamente il
secondo anno di scuola e detti
sempre a Marcello Bartoli la
responsabilità di avermi fatto
fare questa professione. Mio
padre mi chiese se mi mettevano in regola e quando gli dissi
di sì ebbi anche l’avallo paterno». L’impatto con il mondo del
lavoro, tuttavia, è stato graduale: «Mi sono fatto le ossa poco a
poco, incomiciando a fare la
comparsa e poi interpretando
via via ruoli più impegnativi.
La scuola mi ha aiutato a capire che cos’è il teatro, oltre ad
insegnarmi la tecnica. Ho
imparato ad ascoltare gli altri
prima di rispondere. Questo è
un insegnamento importantissimo che mi porto dietro: in
scena è fondamentale avere l’umiltà di ascoltare e rispondere
a tono, non pensare mai di
essere autosufficienti. Sta proprio qui il senso dell’essere
attore (a meno che, ovviamente, non si debbano interpretare
dei monologhi) e forse solo una
scuola te lo può insegnare, perché si fanno esercizi specifici e
anche per il tipo di rapporto che
si ha con gli altri». In questi
anni Serra ha lavorato con il
Teatro di Genova e con altre
compagnie e ha partecipato
anche a produzioni televisive e
cinematografiche. E, dal palcoscenico, osserva le reazioni di
un pubblico che appare sempre più “contagiato” dalla televisione: «La gente è abituata a
cambiare canale quando si
annoia e sempre più disabituata a mantenere la concentrazione per molto tempo». «A teatro aggiunge - le reazioni del pubblico sono molto legate all’età.
A questo elemento generazionale si aggiungono poi le caratteristiche tipiche di ogni città».
E quella del pubblico genovese,
secondo Serra, è di essere
molto equilibrato e, proprio per
questo, può essere considerato
una “cartina di tornasole”
attendibile per giudicare gli
spettacoli. «Il Teatro di Genova
- sottolinea - è uno dei pochi ad
aver sempre coltivato il rapporto con i giovani: qui, diversamente da altre città, si vedono molti ragazzi anche alle
prime, grazie alle politiche che
sono state fatte e che hanno
abituato i giovani ad assistere
agli spettacoli assieme agli
adulti, e viceversa.
Questo è un aspetto fondamentale: gli spettatori non devono
essere selezionati per categorie
omogenee, e credo che a Genova proprio l’eterogeneità del
pubblico lo abbia aiutato a
mantenere un giudizio sano».
Le principali opzioni incluse nel servizio telefonico NOICOM
che ricevono applausi a scena aperta in tutto il Nord-Ovest
NOICOM ottimizza la gestione della telefonia
dei Clienti che nel Nord-Ovest dispongono
di più Sedi aziendali o residenze di vacanza
anche temporanee, riunendo i costi di telefonia
in un unico contratto ed un’unica fattura.
Una indispensabile compagna di viaggio.
Gratuita, la carta per telefonare ed accedere
a servizi evoluti a tariffe agevolate
da qualsiasi telefono fisso o cellulare
in tutto il mondo, con addebito in fattura.
traNOI
Con il servizio traNOI, ogni Cliente
può scegliere da 2 a 8 numeri di Rete Mobile
tra quelli con i quali parla più spesso,
e chiamarli usufruendo di una speciale tariffa ridotta.
Attivazione gratuita - Nessun canone né anticipo di conversazione
Recupero progressivo del canone Telecom Italia - Tariffazione dei soli secondi netti di conversazione
Nessuno scatto alla risposta - Sconto del 5% su chiamate tra Clienti NOICOM
Venite a conoscerci e a navigare con noi
presso il punto NOICOMEVOI a Genova, in via Cesarea 64/66r.
Chiama
«Via del Campo, che magia»
NOIconTE
MultiCasa/MultiSede
Il suo esordio da attore professionista coincise con l’inaugurazione del Teatro della Corte, nel
1991, dove Roberto Serpi debuttò
con Mille franchi di ricompensa.
Alla Scuola di recitazione dello
Stabile era arrivato «in maniera
abbastanza casuale», nel 1986 e i
ricordi di quegli anni sono legati
per lui soprattutto a un’immagine: «Quella del vecchio appartamento di via del Campo dove
allora facevamo lezione. Per me
la scuola di recitazione - spiega è quell’appartamento molto par-
ticolare: era davvero suggestivo
lavorare lì, con la gente sotto che
urlava, c’era qualcosa di magico...». Quanto ai contenuti di
quelle lezioni: «La scuola ti insegna la tecnica e ti dà i mezzi per
poi affrontare il lavoro, quella
scuola vera che inizia quando si
comincia a lavorare con un pubblico vero. Per me il passaggio è
stato abbastanza immediato ma
solo dopo ci si rende conto, piano
piano, di quello che succede
realmente, e si prende coscienza di che cosa è questo lavoro».
TGE12503 Giornale n°11
7
12-03-2003
11:04
Pagina 7
Idea di Europa
al Teatro della Corte
Cinque serate alla ricerca delle radici di una civiltà
UN CICLO LUNGO VENT’ANNI
I lunedì sera dedicati alle Grandi
Parole hanno la loro preistoria al
Teatro di Genova nella stagione
1983/84 quando, per iniziativa di
Carlo Repetti, venne proposta la
lettura integrale dei 34 canti dell'Inferno dantesco. Lo straordinario successo dell'iniziativa,
portò nelle stagioni seguenti a
continuare con il Purgatorio e
con il Paradiso. La formula era
sempre la stessa e di assoluta
semplicità: prima l'introduzione
di un relatore, poi la lettura di
attori di primo piano della scena
italiana. Ogni sera quasi mille
spettatori, con alcuni tutto esaurito. Vennero poi, per due stagioni, le serate dedicate a Eugenio
Montale. Quindi, nel 1996, prese
il via la rassegna esplicitamente
dedicata alle Grandi Parole dell'Umanità, proposte secondo
una sempre nuova organizzazione tematica. I cicli delle Grandi
Parole sono stati più volte invitati dall'ETI a essere replicati
anche sul palcoscenico del
Teatro Quirino di Roma.
Questi i temi affrontati nelle ultime stagioni:
1996 Le parole e i giorni
I grandi discorsi della storia
dell'uomo
1997 Le parole e l'eternità
Le pagine delle grandi religioni
1998 L'identità del Novecento
Voci da un secolo breve
1999 Pro & Contro
Grandi parole a contrasto
2000 Lo stato e il cittadino
I grandi discorsi dell'Assemblea
Costituente
2001 Voci del Mediterraneo
Percorsi d'autore in un mare
inquieto
2002 Le ragioni del Mito
Grandi Parole alle radici della vita
Alle serate delle Grandi Parole
hanno partecipato quasi tutti i maggiori attori della scena italiana.
Con il ruolo di relatori sono intervenuti: Lucia Annunziata, Giovanni
Arpino, Attilio Bertolucci, Maurizio
Bettini, Giorgio Caproni, Giulietto
Chiesa, Franco Croce Bermondi, Guido Davico Bonino, Enrico Deaglio,
Giovanni Filoramo, Anna Finocchiaro, Domenico Fisichella, Ernesto
Franco, Paolo Giuranna, Margherita
Hack, Lionello Lanciotti, Gad Lerner,
Claudio Lojacono, Mario Luzi, Miriam
Mafai, Maurizio Maggiani, Igor Man,
Quinto Marini, Predrag Matvejevic,
Gianni Mura, Giorgio Napolitano,
Moni Ovadia, Mario Piantelli, Mario
Pomilio, Carlo Rognoni, Sergio Romano, Edoardo Sanguineti, Oscar
Luigi Scalfaro, Enzo Siciliano,
Cardinale Giuseppe Siri, Luigi Surdich, Younis Tawfik, Massimo Teodori, Roberto Vacca, Gianni Vattimo,
Stefano Verdino, Aldo Viganò, Luciano Violante, Gustavo Zagrebelsky.
marzo / aprile 2003
Grandi Parole per l’Europa
Iniziato con Voci del Mediterraneo e proseguito lo scorso anno con Le Ragioni del Mito, il viaggio nelle Grandi Parole dell’Umanità alla ricerca delle radici della nostra realtà contemporanea prosegue ora verso l’Idea di Europa. Un continente, un incrocio di culture e di popoli, una civiltà, una storia comune di conflitti e di alleanze, un progetto politico in
via di realizzazione: l’Europa è tutto questo insieme, ma ci sono anche tante altre cose ancora che concorrono a formare la sua identità. Il progetto è quello di tracciarne un identikit. In cinque serate, caratterizzata ciascuna dalla presenza di un conduttore che ha un ruolo di primo piano nella cultura odierna e dalla lettura di attori scelti tra i più significativi della scena italiana. Avendo cura di portare sempre in primo piano sul palcoscenico della Corte la forza squisitamente teatrale dell’intrecciarsi di prospettive testuali anche
molto diverse tra loro, affidate a voci narranti tese a trovarne un’originale sintesi sullo sfondo “anacronistico” e sempre ricco di fascino della comunicazione orale. E, proprio come
si usa fare negli identikit, nel corso dei cinque incontri si procederà per angolazioni diverse e processi di avvicinamento successivo: dal mitico sfondo delle origini (Antonio
Balletto), alla scelta di dare voce a chi l’Europa guarda dall’esterno o per appartenenza a una diversa matrice culturale o privilegiando lo sguardo del parente prossimo (Ernesto
Franco); dall’indagine delle sue radici storiche (Franco Cardini) all’evocazione dei sogni, dei progetti e delle usurpazioni succedutesi nel corso dei secoli (Sergio Romano) e all’affacciarsi sulla realtà attuale e sulle attese del futuro (Miriam Mafai). Nessuna soluzione programmata, ovviamente. Ma solo cinque occasioni di riflettere sul passato e sul presente, sulla storia e sulla realtà, con i mezzi propri di un teatro aperto sul mondo, sulle sue idee, sui suoi drammi e, perché no?, anche sulle sue emozioni. Il ciclo Idea di Europa
s’inserisce nell’alveo delle iniziative dedicate alle Grandi Parole dell’Umanità, che il Teatro di Genova organizza ormai da otto anni grazie anche al sostegno della Banca Carige.
3 marzo ore 20.30
10 marzo ore 20,30
17 marzo ore 20,30
24 marzo ore 20,30
31 marzo ore 17,30
ORIGINI E MITI
INCROCI DI DIVERSITÀ
IDENTITÀ DI UN CONTINENTE
SOGNI, PROGETTI, USURPAZIONI
REALTÀ E ATTESE
Testi di Leopardi, Orazio,
Coudenohove-Kalergi, Virgilio,
Novalis e da La Bibbia,
I Nibelunghi, Perceval il gallese
Testi di Ibn Munqidh,
Testi di Eschilo, Gibbon,
Testi di Napoleone, Manzoni,
Testi di Einaudi,
Montesquieu, Tolstoj,
Dostoevskij, Borges, Cadícamo,
James, Hemingway, Cortázar
Liutprando, Urbano II, Ibn alGiawzi, San Francesco, Lessing
e dalla Donazione di Costantino
Hugo, Agnelli-Cabiati,
Spinelli, Hitler,
Giscard d’Estaing
Giovanni Paolo II, Thatcher,
Saramago, Havel e dal
Manifesto paneuropeo
Attori: Laura Marinoni
Omero Antonutti
Attori: Gianpiero Bianchi
Ugo Maria Morosi
Attori: Valeria Moriconi
Andrea Giordana
Attori: Maddalena Crippa
Eros Pagni
Attori: Franca Nuti
Giancarlo Dettori
Relatore: Antonio Balletto
Relatore: Ernesto Franco
Relatore: Franco Cardini
Relatore: Sergio Romano
Relatore: Miriam Mafai
Nasce a Genova, dove frequenta le scuole superiori. Subito
dopo la guerra si trasferisce a
Torino per studiare teologia. Da
sempre legato agli ideali dell’impegno sociale e del messaggio cristiano, scopre la vocazione religiosa e sceglie la via del
sacerdozio. Nel 1953, fa ritorno
a Genova, dove per molti anni è
protagonista della vita culturale non solo cittadina, trovandosi a volte anche in dissenso con
le gerarchie ecclesiastiche. Dal
1966 al 1972 si autoesilia ad
Albenga, a causa di alcuni dissensi con il vescovado. Tra le
sue numerose attività hanno
notevole importanza gli anni di
direzione della casa editrice
Marietti, che ha contribuito a
indirizzare verso l’approfondimento di tematiche riguardanti
l’integrazione culturale, elevandola a una delle realtà di dibattito più significative della città.
Attualmente si occupa della
difesa dei diritti dei più deboli
ed è insegnante di teologia fondamentale.
Numerose le sue pubblicazioni,
che riguardano in modo particolare il rapporto tra il cristianesimo e la cultura islamica.
Nasce a Genova, città nella
quale compie gli studi e intraprende i primi passi nel campo
editoriale, essendo tra l’altro
uno dei fondatori della casa editrice Il Melangolo. Trasferitosi a
Torino, inizia a lavorare per
l’Einaudi, ricoprendovi diversi
ruoli sino a quello attuale di
Direttore editoriale. Ha insegnato Letteratura ispano-americana presso le Università di Genova e Siena. Collabora a diverse riviste ed è autore di numerosi saggi e traduzioni che hanno
confermato la sua particolare
attenzione per gli autori ispanoamericani, occupandosi in modo
approfondito di autori quali Julio Cortázar, Juan Rulfo, Octavio
Paz, Jorge Luis Borges, Alvaro
Mutis, Mario Vargas Llosa.
Appassionato cultore del tango
argentino, vi ha dedicato ampie
riflessioni anche in forma spettacolare. Scrittore, giornalista e
operatore culturale, ha curato e
pubblicato numerosi libri, tra i
quali i racconti di Julio Cortázar
per i tipi della Pléiade (1994).
Presso Einaudi ha pubblicato
Isolario (1994) e Vite senza fine
(1999), romanzo con il quale ha
vinto il Premio Viareggio.
Nasce a Firenze. Laureato in
Lettere presso l'Università della
sua città natale, per qualche
tempo è stato professore di scuola superiore; in seguito ha insegnato in diverse università
anche straniere, quali, ad esempio, quelle di Middlebury, di
Barcellona e di Parigi. Divenuto
Professore Ordinario, dal 1985
al 1989 ha insegnato Storia
Medievale all'Università di Bari
e, dal 1989, ha ottenuto la cattedra di Storia dell'Insegnamento
presso l'Università di Firenze.
Nel 1994 ha vinto il Premio
"Tevere" per la Storia. Attualmente è professore ordinario di
Storia Medievale presso l'Università di Firenze. Oltre a
numerosi libri di storia medievale, Franco Cardini ha pubblicato anche due romanzi: Il giardino d'inverno, Camunia (1996)
e L'avventura di un povero crociato, Mondadori (1997). Tra i
suoi volumi più recenti si ricordano le biografie dedicate a
Francesco d’Assisi, Barbarossa,
Carlomagno e Giovanna d’Arco.
Numerosi sono stati e continuano a essere i suoi contributi
all’Enciclopedia Multimediale
delle Scienze Filosofiche.
Nasce a Vicenza. Dal 1954 ha
intrapreso la carriera diplomatica, da cui si è dimesso nel
1989, dopo essere stato ambasciatore alla Nato e a Mosca.
Giornalista e studioso, nei suoi
libri si è occupato con occhio critico prevalentemente di storia
italiana e francese tra Otto e
Novecento. Tra le sue numerose
pubblicazioni si ricordano:
Crispi, 1986; La Russia in bilico, 1989; Guida alla politica
estera italiana, 1993; Tra due
repubbliche, 1994; Lo scambio
ineguale, 1995; Italie parallele,
1996; Giovanni Gentile, 1996;
Lettera a un amico ebreo, 1997;
Giuseppe Volpi, 1997; Storia
d'Italia dal Risorgimento ai
nostri giorni, 1998; Manoscritto
pervenuto da Sant'Elena, 1999;
I luoghi della storia, 2000;
Mussolini, 2000; La pace perduta, 2001; I volti della storia. I
protagonisti e le questioni aperte
del nostro passato, 2001; Memorie di un conservatore, 2002.
Attualmente è opinionista sulle
pagine del Corriere della Sera,
ma collabora anche con altre
testate italiane e straniere,
sovente interpellato dalle televisioni pubbliche e private.
Giornalista professionista è
stata tra i fondatori di «La
Repubblica» di cui è ancora oggi
editorialista, dopo di essere stata anche presidente della Federazione Nazionale della Stampa. Nel 1994 è stata eletta alla
Camera dei Deputati nella lista
dei Progressisti. Da sempre molto attenta alla questione ebraica e sensibile alle problematiche politico-sociali, accanto alla
sua intensa attività giornalistica, ha scritto anche numerosi
volumi che rivelano una particolare attenzione per i diritti
delle minoranze e la condizione
della donna. Tra le sue opere si
ricordano Pietro Secchia. L’uomo che sognava la lotta armata,
1984; Pane nero. Donne e vita
quotidiana nella Seconda guerra mondiale, 1987; Il lungo
freddo. Storia di Bruno Pontecorvo, lo scienziato che scelse
l’Urss, 1992; Chi è delle donne
italiane del Novecento, 1993;
Botteghe oscure, addio, 1996.
Tra i suoi impegni giornalistici
di testimone del proprio tempo,
riserva anche un ruolo non
marginale alla cura di una
rubrica di corrispondenza con i
lettori sul settimanale “Grazia”.
TGE12503 Giornale n°11
12-03-2003
11:04
Pagina 8
8
«H ELLZAPOPPIN »: E SPERIENZE , C OMMENTI , P ROSPETTIVE
DI TRE
A NNI
DI
ATTIVITÀ
Un teatro come casa
Inaugurato nel 2000 come progetto di aggregazione delle forze artistiche giovanili, il Progetto
Foyer ha avuto per due anni nel Centro della Creatività del Comune il suo partner privilegiato,
anche nel momento in cui da progetto si è trasformato in stabile realtà, assumendo la denominazione di Hellzapoppin. Arte e artisti nel Foyer della Corte. Da sempre, comunque, per il buon
esito dell’iniziativa è stata fondamentale l’adesione propositiva di alcune delle più significative
associazioni culturali cittadine, alle quali abbiamo chiesto di commentare la loro esperienza.
Accademia di Belle Arti
P
R
O
G
R
A
M
M
Giovedì 13 marzo - ore 17.30
Signore e signori... a teatro!
Intervista-aperitivo con Gabriele Lavia
organizzazione “I Buonavoglia”, in collaborazione con
l’Associazione per il Teatro di Genova
Venerdì 14 marzo - ore 17.30
Rassegna «Masterizzare il tempo»
Giorni e Notti Versi poetici tra ombra e luci
organizzazione Circolo dei Viaggiatori nel Tempo
Mercoledì 19 marzo - ore 18
Incontro con l’artista Francesco Arena
Laboratorio con gli allievi dell’Accademia di Belle Arti
I Buonavoglia
Giovedì 20 marzo - ore 19.15
Giunti al terzo anno di collaborazione con il Progetto Foyer, è
possibile tirare una sorta di
bilancio. Inizialmente, l’Accademia aderì a un invito rivolto
dalla Direzione del Teatro a
varie realtà culturali cittadine:
utilizzare il foyer della Corte
come uno spazio libero nel quale
sperimentare, esporre, discutere… Il «teatro come una casa»,
ricordo quest’espressione di
Marco Sciaccaluga e ricordo
l’impatto che ebbe sugli studenti che parteciparono al progetto
sempre numerosi e motivati.
L’espressione fu recepita quasi
alla lettera e tutti i partecipanti
al progetto si sentirono liberi di
sperimentare forme di comunicazione che di solito entrano con
difficoltà in un’Accademia di
Belle Arti, anche semplicemente
per mancanza di un luogo, di un
tempo ,di un pubblico. Il lavoro
era in progress, ogni volta
imprevedibile e spesso imprevisto in alcuni aspetti. Lo scorso
anno, forti del precedente successo, si cercò di ricalcare quella
formula che però, ormai, non
aveva più freschezza e fu interessante osservare che mentre
per un docente, un artista, in
ogni caso un soggetto culturalmente già formato, lavorare
nuovamente su un modello sperimentato ha la funzione di
approfondire, di perfezionare o
scoprire elementi di novità, lo
studente, specialmente fuori dal
suo naturale habitat, ha bisogno
di stimoli sempre diversi che
possa recepire e rapidamente
elaborare. Lo spazio del foyer è
stato utilizzato anche come
luogo di discussione, di confronto e di scambio su questi temi.
Così si va avanti: quest’anno il
coordinamento del lavoro è stato
affidato al prof. Cesare Viel che
ha alternato momenti di laboratorio a incontri con artisti. È
auspicabile che in futuro, il
prossimo anno o quando i tempi
saranno maturi, i giovani artisti
riescano a gestire autonomamente un progetto, a presentarlo al Teatro direttamente o attraverso l’Accademia: sarebbe la
dimostrazione che si è riusciti a
creare una consuetudine, a comunicare l’idea che la città non
è fatta solo di contenitori inaccessibili ma di spazi fruibili, aperti. L’impegno dell’Accademia è
di sollecitare i giovani a questo
stile di rapporto con i luoghi
della città, là dove si incontri
una sensibilità tesa a “rifondare”
i luoghi per la realizzazione di
un progetto di città più favorevole a incontri reali, meno virtuali.
Dopo Le Signore del Teatro nel
2001-2002, I Buonavoglia ripetono la felice esperienza degli
incontri nel Foyer della Corte
con i protagonisti degli spettacoli in cartellone anche per la stagione 2002-2003 con la serie
Signore e signori… a Teatro! Un
pubblico numeroso e attento, i
protagonisti disponibili e interessanti, gli intervistatori, scelti
tra i redattori dei mezzi di informazione cittadini, preparati e
coinvolgenti e un aperitivo, a
sostegno della Lega Tumori,
sempre diverso e allettante che
ha permesso di assaggiare
molte specialità gastronomiche
grazie all’associazione nazionale
Donne del Vino, hanno fatto sì
Emilia Marasco
Nuccia Ciffarelli
Viaggiatori nel Tempo
Masterizzare il tempo, lo spazio
e le vibrazioni delle idee che
stiamo vivendo e dividerlo con
la sensibilità degli altri: è questo, in sostanza, il concetto alla
base della rassegna che i Viaggiatori nel Tempo stanno proponendo nel Foyer del Teatro
della Corte. In una "piazza co-
Conservatorio Niccolò Paganini
Darsi appuntamento nel Foyer
di un teatro per confrontare
esperienze didattiche ed artistiche è stata un’idea vincente,
coronata dal successo e soprattutto da interessanti scambi
interdisciplinari tra il Conservatorio Niccolò Paganini e le
altre scuole d’arte della Città
nella precedente edizione di
Hellzapoppin. Programmare
attività musicale in luoghi
diversi da quelli cosiddetti
“deputati”, consente di incontrare un pubblico nuovo, in
questo caso il pubblico della
prosa piuttosto che quello della
marzo / aprile 2003
che questo secondo anno di
incontri sia stato di grande successo. Per molte delle persone
che seguono I Buonavoglia sono
diventati gli appuntamenti a cui
non mancare: per sapere qualcosa in più dei protagonisti e dei
loro spettacoli, per il momento
conviviale dell’aperitivo a cui gli
attori intervistati non si sono
sottratti e in ultimo, ma non per
ultimo, l’occasione di acquistare,
in quanto soci, il biglietto a prezzo ridotto per uno spettacolo su
cui ormai si sentono un po’ preparati. E alla base di tutto questo la disponibilità del Teatro di
Genova con la professionalità e
l’efficiente organizzazione di
quanti vi lavorano che lo contraddistingue. Ricorderemo con
piacere la favola napoletana
raccontata con maestria da
Peppe Barra, la gradevolezza di
Paola Gassman e Ugo Pagliai, il
centesimo incontro dalla nascita
de I Buonavoglia festeggiato nel
Foyer con Massimo Dapporto…
ma sempre aspettando con
curiosità e interesse l’incontro
successivo.
musica. La differenza è però
più apparente che reale: la
musica come tutte le arti è
comunicazione diretta, capace
di interagire con le diverse
espressioni e di potenziarne al
tempo stesso la trasmissione
del “messaggio”. Per i nostri allievi Hellzapoppin è quindi una
preziosa occasione di confronto
e di verifica, che consente loro
di esprimersi fuori dagli schemi ordinari per un pubblico
“curioso” e attento, disponibile
ad accoglierci nella sfera dei
suoi interessi culturali.
Angelo Guaragna
perta" formicolante intuizioni,
ecco filtrati alcuni concetti del
nostro quotidiano come caos,
silenzio, inferno, giorno, notte,
velocità, e presentati senza
orpelli. C'è solo l'artista e la sua
poesia detta, cantata, mimata,
esposta, filmata, danzata. Dopo
tre anni e grazie all'iniziativa
del Teatro di Genova, considero
questo Foyer il sostituto adulto
del giardinetto o della piazza
sotto casa: là ci portavo il pallone e i miei giocattoli, qui la poesia e l'arte: i balocchi sono cambiati ma la voglia di divertirmi
e creare è sempre la stessa. La
poesia... L'hanno data tante
volte per morta... Attenzione
che a morire non sia la nostra
sensibilità e la voglia di giocare
e pensare.
Claudio Pozzani
Musica nel Foyer
Trio d’archi con flauto: Matteo Brasciolu (violino), Valentina
Giacosa (violoncello), Antonella Bini (flauto)
a cura del Conservatorio Musicale “Niccolò Paganini”
Venerdì 21 marzo - ore 19.15
Quartetto di violoncelli “Giorgio Lippi”
con Chiara Alberti, Raffaele Ottonello, Valentina Giacosa
e Luigi Gatti musiche di Gabrieli, Schostakovich, Giacosa,
Briasco, Basevi e Damerini
a cura del Conservatorio Musicale “Niccolò Paganini”
Mercoledì 26 marzo - ore 17.30
Signore e signori... a teatro!
Intervista-aperitivo con Marco Paolini
organizzazione “I Buonavoglia”, in collaborazione con
l’Associazione per il Teatro di Genova
Giovedì 27 marzo - ore 19.15
Duo di violoncelli
con Chiara Alberti e Cesarina Bignami
musiche di Bach e Boccherini
a cura del Conservatorio Musicale “Niccolò Paganini”
Venerdì 28 marzo - ore 17.30
Rassegna «Masterizzare il tempo»
Velocità immobile
Happening con artisti e poeti italiani contemporanei
organizzazione Circolo dei Viaggiatori nel Tempo
Martedì 1 aprile - ore 18
Incontro con l’artista Cesare Pietroiusti
Laboratorio con gli allievi dell’Accademia di Belle Arti
Mercoledì 2 aprile - ore 17,30
Intorno a “L’uomo di Arimatea”
Alla ricerca del Sacro Graal
Intervengono Mario Bagnara e don Antonio Balletto
organizzazione Associazione per il Teatro di Genova
e Valore Liguria
Giovedì 3 aprile - ore 17,30
Signore e signori... a teatro!
Intervista-aperitivo con Carlo Giuffrè
organizzazione “I Buonavoglia”,
in collaborazione con l’Associazione per il Teatro di Genova
Venerdì 11 aprile - ore 17,30
Rassegna «Masterizzare il tempo»
Inferno
Teatro da camera con Luigi Maio. Al pianoforte Enrico Grillotti
organizzazione Circolo dei Viaggiatori nel Tempo
Martedì 6 maggio - ore 17,30
Intorno a “La nemica”
Madre e figlio: conflitti psicanalitici
Intervengono Roberto Speziale Bagliacca e Flavio Baroncelli
organizzazione Associazione per il Teatro di Genova
e Valore Liguria
Giovedì 8 maggio - ore 17,30
Signore e signori... a teatro!
Intervista-aperitivo con Valeria Moriconi
organizzazione “I Buonavoglia”, in collaborazione con
l’Associazione per il Teatro di Genova
A
TGE12503 Giornale n°11
12-03-2003
11:04
Pagina 9
9
dagli altri teatri: vademecum per gli spettatori che guardano alla scena internazionale
NUOVE PROPOSTE E GRANDI EVENTI
Tom Courtenay in Pretending to be Me
Il termometro del teatro inglese
continua a segnare, nel panorama europeo della scena, alcune
tra le temperature pubbliche e
private che più comportano contagio, che più producono contaminazione e che più adottano
linguaggi, culture e anche cambi di vertice nei propri meccanismi istituzionali e non. Certo, fa
un clamoroso effetto anticipato,
la notizia del ritorno di Kenneth Branagh su un palcoscenico londinese, atteso quest’estate
al National Theatre in Edmond
di David Mamet. E fa non meno
rumore la novità di Kevin Spacey che passa l’oceano e passa
di nuovo al teatro dopo l’altra
puntata a Londra del 1998 con
Arriva l’uomo di ghiaccio di
O’Neill, coinvolto ora (insieme
ad Elton John chiamato alla
presidenza) nella direzione artistica dell’OldVic, uno spazio con
185 anni di storia, salvato dalla
demolizione ma navigante in
brutte acque: Spacey s’è tra l’altro impegnato a recitare all’Old
Vic due volte l’anno, e a dirigere più spettacoli (tra i quali non
è da escludere una versione teatrale di Billy Elliot). Da parte
sua, la nuova direzione artistica
del National Theatre cui Nicholas Hytner garantirà un ben
pronosticabile scossone gioca
una carta provocatoria per aprile, quando verrà proposta la
“prima” ufficiale di Jerry Springer - The Opera fondato sull’imbarazzantissimo omonimo talk
show americano a base di feticismi, transessualità feconde,
segrete e indicibili vocazioni e
altri casi-al-limite, un lavoro
già rodato in veste provvisoria
all’ultimo Fringe di Edimburgo.
Nel frattempo, a LONDRA, lo
spettacolo da vedere assolutamente è Dance of Death (Danza
di morte) di Strindberg al Lyric
Theatre, una serata memorabile con il grande Ian McKellen
alle prese con la brava Frances
De La Tour. E tra gli appuntamenti da non perdere annette-
marzo / aprile 2003
remmo anche, di rigore, un one
man show d’una pietra miliare
del teatro britannico, Tom Courtenay, protagonista al Comedy
Theatre di Pretending To Be
Me avente per soggetto la poesia, gli umori intellettuali e il
profilo umano di Philip Larkin.
C’è comprensibile attesa, ma si
è ancora privi di esatte date di
riferimento, per la performance
all’Albery Theatre di Joan
Plowright in Absolutely (Perhaps) ovvero Così è (se vi pare)
di Pirandello con regia di
Franco Zeffirelli che già la
diresse in un’edizione di Sabato, domenica e lunedì. E tra
gli eventi londinesi che suscitano curiosità è opportuno citare
il Macbeth del catalano Calixto
Bieto approdante l’8 aprile al
Barbican, Ghosts (Spettri) di
Ibsen nella versione di Ingmar
Bergman per la compagnia dello Stockolm Theatre in arrivo
sempre al Barbican l’1 maggio, il nuovo impegno teatrale di
Ralph Fiennes che il 4 giugno
debutterà all’Haymarket in
Brand di Ibsen con regia di
Adrian Noble, e la “prima” europea di The Late Henry Moss
di Sam Shepard apparso l’anno
passato a New York, un’altra
disputa fratello-contro-fratello
in calendario a giugno all’Almeida. Mette a fuoco autori
russi, intanto, il Royal Court
Theatre, e dopo Black Milk di
Vassily Sigarev è la volta di
Terrorism dei fratelli Presnyakov. Poi si cambierà pagina e
scenario con Hitchcock Blonde
di Terry Johnson.
PARIGI si conferma capitale di
esperimenti testuali più che
attorali, di proposte algebriche
Malaga sulla scena parigina
più che marcatamente registiche, di revisioni di qualità più
che di collaudi di rischio. Il cartellone presente e prossimo contiene indistintamente La Preuve di David Auburn, il testo portato al successo dalla Paltrow a
Londra, ora al Théâtre des Mathurins con Michel Aumont e
Elsa Zylberstein, Ritter, Dene,
Voss di Bernhard, con Pierre
Vaneck, Catherine Rich e Edith
Scob (dal 9 aprile al 10 maggio)
all’Athénée Louis Jouvet; La
cour des grands di Jérôme
Deschamps e Macha Makaïeff
(dal 10 aprile al 4 maggio) al
Théâtre National de Chaillot.
Georges Wilson torna in scena
in Le vente des peupliers di
Gérard Sibleyras al Montparnasse, una commedia fondata
sulla malinconia misantropa di
tre ospiti di una casa per anziani combattenti. Il panorama
prosegue con Pylada (Pilade) di
Pasolini nella messinscena di
Arnaud Meunier (fino al 15
marzo) alla Paris-Villette,
Andromaque di Racine con re-
gia di Louis Martinelli (fino al 6
aprile) al Théâtre des Amandiers, Malaga di Paul Emond
diretto da Jean-Paul Denizon
(fino al 5 aprile) al Théâtre
Daniel-Sorano, Les cercueils
de zinc di Svetlana Alexeievitch
ad opera di Jacques Nichet
(fino al 29 marzo) al Théâtre
de la Commune di Aubervilliers, Petit Eyolf di Ibsen con
allestimento di Dominique
Valadié (fino al 6 aprile) al
Théâtre National de la Colline, De ceux qui sont restés, de
ceux qui son partis. BalkansTransit di François Maspero e
Klavdij Sluban su regia di Anne
Dimitriadis (fino al 30 marzo)
all’MC 93 -Bobigny, Hoffmanniana da Andreï Tarkovski con
messinscena di Dietrich Sagert
(fino al 30 marzo) al Théâtre
National de Chaillot, Antigone di Anouilh con Barbara
Sculz e Robert Hossein diretti
da Nicolas Briançon al Théâtre
Marigny, Les innocents coupables di Ostrovskij con regia di
Bernard Sobel (fino al 6 aprile)
al Théâtre de Gennevilliers,
Quatre quatuors pour un weekend scritto e diretto da Gao
Xingjian (fino al 17 aprile) al
Théâtre du Vieux-Colombier della Comédie Française,
The Power Book di Jeanette
Winterson con messinscena di
Deborah Warner (dal 19 al 29
marzo) al Théâtre National
de Chaillot, Le malade imaginaire di Molière con regia di
Philippe Adrien (dal 21 marzo
al 13 aprile) alla Cartoucherie-Tempête, El Pelele di JeanChristophe Bailly con allestimento di Georges Lavaudant
dal 16 maggio al 17 giugno
all’Odéon-Théâtre de l’Europe, spazio che poi ha in serbo
dal 17 al 21 giugno Materiau
Platonov.
A STRASBURGO il cartellone
del TNS mescola raffinatamente la già programmata Sarah
Kane e Gildas Milin, Leonid
Andreiev e Oriza Hirata, Paul
Claudel e Molière, e torna per
la seconda volta (in questa stagione 2002-2003) a Ibsen. È in
marzo che c’è spazio per La
Pensée di Andreiev con regia di
Georges Gagneré, e per la montagna magica di parole nel
sanatorio sorgente nei pressi di
Tokyo di Nouvelles du plateau
S di Hirata diretto da Laurent
Gutmann. È in marzo-aprile
che al TNS si può assistere a Le
soulier de satin di Paul Claudel
ad opera di Olivier Py. È in
aprile-maggio che torna qui a
gran richiesta Le Festin de pierre dal Don Giovanni di Molière
nella messinscena fatta di
assemblaggio di materiali fantastici, attori, marionette e
video di Giorgio Barberio Corsetti. Ed è in maggio che Alain
Françon adotta la saga del Petit
Eyolf di Ibsen.
Come sempre, gettiamo uno
sguardo ad alcuni lavori in
corso o in cantiere a BERLINO
cominciando a esaminare l’attività della Schaubühne. A testimoniare la forte e costante
comunicativa della drammaturgia inglese anche (come in
Una scena di Tattoo
Achim Buch e Christiane Roßbach in Nora (Casa di bambola) di Ibsen
Italia, d’altronde) in Germania,
risaltano Phaedra’s Love di
Sarah Kane nella lettura messa
a segno da Christina Paulhofer,
e il bellissimo e implicante A
Number di Caryl Churchill con
regia di James Macdonald (la
stessa autrice è anche chiamata
in causa nella proposta del suo
Die Kopien sempre a firma realizzativa di Macdonald), oltre al
Crave (Gier, in tedesco) concepito da Ostermeier. Gli spettacoli
siglati da quest’ultimo, direttore artistico della Schaubühne,
sono il tragico Wunschkonzert
di Franz Xavier Kroetz, Nora
da Casa di bambola di Ibsen, e
appunto Crave (Gier) della Kane. C’è un Brecht in arrivo, e
quanto al comparto Danza i lavori sono Foi di Sidi Larbi
Cherkaoui, Seriously di Luc
Dunberry, il noto Zweiland di
Sasha Waltz.
Il Deutschestheater ha ancora
in repertorio Emilia Galotti di
Lessing a firma di Michael
Thalheimer, e Tristano scritto e
diretto da Lars Norén, oltre a
una Lolita dovuta a Oliver
Reese, al Doktor Caligari di
Robert Wilson, e a Cechov,
Strindberg, Mann, Wedekind,
David Foster Wallace. La
Volksbühne fa leva su L’idiota
da Dostoevskij adattato alla
scena da Frank Castorfs, su
Cristoph Schlingensief, su Sex
di Mae West, su Welsh, su
Pollesch.
A DUSSELDORF la Schauspielhaus mette in gioco Norway.today e anche Tattoo di Igor
Bauersima, e Der Würgeengel
da L’angelo sterminatore di
Buñuel, ma anche Schwab, La
Bute, Garçia Marquez, Jelinek,
Roth.
Nei programmi del Burgtheater di VIENNA compare
(anche qui) Emilia Galotti con
regia di Andrea Breth, il revival
di The Entertainer di John
Osborne a firma di Karin Beier,
La foresta di Ostrowskij con
allestimento di Tamàs Ascher,
un curioso Die Sunshine Boys di
Neil Simon con regia di Gert
Voss, un Oblomov ad opera di
Stephan Müller, e la materia
contemporanea da leggere a
fronte è garantita da The Shape
of Things di Neil LaBute con
messinscena, eccolo di nuovo
meritatamente menzionato, di
Igor Bauersima.
Rodolfo di Giammarco
TGE12503 Giornale n°11
12-03-2003
11:04
Pagina 10
10
dagli altri teatri: alla scoperta degli spettacoli rappresentati in Italia
ITINERARI DI SCENA
(inevitabilmente incompleta) delle nuove produzioni che gli appassionati di
teatro dovrebbero cercare di non perdere o almeno tenere in agenda anche in
considerazione di una loro possibile tournée nel 2003 - 2004. Via dunque
al viaggio regione per regione attraverso i palcoscenici italiani, muovendo
ancora una volta dal nord al sud come si conviene per chi parte da Genova
Mentre la stagione 2002 - 2003 si sta avviando al termine e tutti i teatri italiani
stanno mettendo a punto il cartellone per l’anno prossimo, ancora numerose
sono le novità che stanno per andare in scena in questi ultimi mesi, in attesa
della consueta esplosione di nuove proposte nei festival estivi. Con un occhio
di riguardo agli Stabili nazionali proviamo pertanto a tracciare una mappa
Piemonte
Trentino - Alto Adige
Allo Stabile di Torino (Teatro Gobetti) è annunciato per
il 9 aprile il debutto di Gianduja per la regia e l’interpretazione di Eugenio Allegri, mentre a maggio (Teatro
Carignano) prenderà il via il progetto internazionale
“Tre storie d’amore”, che comprende la messa in scena di
tre opere di Shakespeare: Romeo e Giulietta (6/12: regia
di Jean Christophe Saïs), Il sogno di una notte di mezza
estate (13/18: regia di Mamadou Dioume) e Pene d’amore
perdute (20/25: regia di Dominique Pitoiset).
A giugno/luglio, sempre per lo Stabile torinese, Mauro
Avogadro dirigerà alle Fonderie Teatrali di Moncalieri
Il genio buono e il genio cattivo di Carlo Goldoni, per la
recitazione degli allievi della Scuola di recitazione.
Lo Stabile di Bolzano ripropone al Teatro Comunale di
Gries Coppia aperta, quasi spalancata di Franca Rame e
Dario Fo (17 e 18 marzo).
Lombardia
Al Teatro Studio il Piccolo di Milano presenta dal 25
marzo al 17 aprile Riccardo III di Shakespeare per la
regia del giovanissimo regista ungherese Árpád Schilling, considerato l’astro nascente del teatro internazionale; interpreti dello spettacolo sarà uno stuolo di attori di
primo piano, tra i quali Massimo Popolizio, Laura Marinoni, Giovanni Crippa, Pia Lanciotti, Paola Mannoni.
Dopo il successo della scorsa stagione, il Piccolo di Milano
ripropone (dal 5 maggio al 1° giugno) nei suggestivi spazi
archeo-industriali della Bovisa Infinities di John D.
Barrow, gioco teatrale nel labirinto della scienza firmato
da Luca Ronconi. Da parte loro, i responsabili del milanese Teatridithalia annunciano al Teatro Leonardo,
dal 21 marzo al 13 aprile, Chi ruba un piede è fortunato
in amore di Dario Fo, per la regia di Andrea Taddei, e
all’Elfo dal 29 aprile all’11 maggio Le donne di Trachis,
dalle Trachinie di Sofocle nella versione di Ezra Pound,
uno studio di Roberto Valerio, con Cristina Crippa e
Ruggero Dondi. Nella Sala Grande del Franco Parenti,
sempre a Milano, l’11 marzo (repliche sino al 30) va in
scena La doppia incostanza di Marivaux, per la regia di
Andrée Ruth Shammah; mentre nella Sala Pirelli viene
proposto, dal 25 marzo al 6 aprile, La felicità coniugale
da Cechov, per la messa in scena di Roberto Trifirò, cui
faranno seguito, dall’8 al 17 aprile, I creditori di
Strindberg, diretto da Mario Morini e interpretato da
Milena Vukotic, e, dal 6 al 28 maggio, Leda alla finestra,
novità assoluta di Alberto Milazzo, scritta appositamente
per la Compagnia Giovani del Teatro Franco Parenti:
regia di Andrée Ruth Shammah.
Al Teatro Carcano, Giulio Bosetti annuncia dal 2 al 16
aprile La scuola delle mogli di Molière per la regia di
Jacques Lassalle e nella nuova traduzione di Giovanni
Raboni. Intanto a Brescia, nell’altro teatro Stabile pubblico della Lombardia, il CTB diretto da Cesare Lievi, è
in scena sino al 23 marzo (Teatro S. Chiara) Il caso rue
de Lourcine di Eugène Labiche, a cura di Andrea Taddei.
Veneto
Al Teatro Giuseppe Verdi di Padova, dall’1 al 6 aprile,
lo Stabile del Veneto presenta il suo nuovo allestimento
di La bottega del caffè di Carlo Goldoni, che ha debuttato
nelle settimane scorse a Venezia con la regia di Giancarlo
de Fusco e l’interpretazione di un ricco cast comprendente tra gli altri Ugo Pagliai, Paola Gassman, Stefano
Lescovelli, Gaia Aprea, Daniele Salvo.
Friuli - Venezia Giulia
Mentre due delle nuove produzioni dello Stabile di
Trieste, Pallido oggetto del desiderio con la regia di
Alfredo Arias e Otello con Michele Placido e Sergio
Romano completano le loro tournée stagionali rispettivamente a Napoli, nei teatri del Friuli e a Biella, il primo, e
sui palcoscenici di Palermo, Agrigento, Civitavecchia,
Thiene, Torino, Alessandria e Alba, il secondo, al Politeama Rossetti sono annunciati La mostra di Claudio
Magris, con Roberto Herlitzka (dal 26 marzo al 7 aprile);
Sonno di Enrico Luttmann per la regia di Marco Casazza
(aprile/maggio); e Molly Cara con Piera Degli Esposti
(maggio). Due novità anche al Teatro Stabile Sloveno, che
annuncia per marzo la messa in scena di Giulietta e
Romeo (regia di Dusan Javanovic) e per aprile quella di
La divisa, che forza, commedia musicale di Jaka Stoka,
con la regia di Mario Ursic.
Emilia Romagna
All’Arena del Sole, Teatro Stabile di Bologna è in scena,
dall’11 marzo al 6 aprile, la commedia “all’italiana” in
due atti di Francesco Freyrie, Se perdo te, per la regia di
Daniele Sala e l’interpretazione di Vito.
Alla Fondazione Teatro Due di Parma è in scena
dall’11 al 30 marzo Aspettando Godot per la regia di
Michele de’ Marchi, che ne è anche interprete insieme a
Roberto Abbati, Paolo Bocelli, Cristiano Caldironi e
Marcello Vazzoler.
Toscana
Al Teatro Metastasio di Prato va in scena dall’8 al 16
aprile Le pareti della solitudine che Massimo Luconi ha
liberamente tratto dall’opera di Tahar Ben Jelloun.
Umbria
S A P E R
V E D E R E
I L
T E AT R O
Anche quest’anno, il Teatro di Genova ha dedicato una particolare attenzione all’attività didattica, organizzando per studenti e per insegnanti seminari sul lavoro dell’attore e sull’interpretazione del testo, finalizzati soprattutto a favorire
la formazione di spettatori consapevoli, offrendo ai partecipanti gli strumenti idonei alla conoscenza dei caratteri specifici del linguaggio teatrale. Destinatari naturali di questi
seminari, curati da Sandro Baldacci e Mauro Pirovano, sono
i giovani, ma numerose sono anche le iniziative rivolte agli
insegnanti, che nel corso della stagione 2002/2003 hanno già
partecipato a tre appositi seminari tenuti da Baldacci (per
un totale di 60 ore) alla Scuola Media Boccanegra,
all’Istituto Champagnat e al Liceo D’Oria.
Con i ragazzi, si sono svolti o sono in via di svolgimento
seminari per un totale di 354 ore, con il coinvolgimento
diretto di quasi 300 studenti. Articolati in moduli di cinque o
dieci incontri di due ore ciascuno, i seminari hanno interessato l’Istituto Champagnat (referente prof.sa Laura
Scrursatone), il Liceo D’Oria (referente prof.sa Carla
Caroggio), l’Istituto Barletti di Ovada (prof.sa Emanuela
Palazzo), la Scuola Americana (prof.sa Valentina Abrami), il
Liceo Colombo (referente prof.sa Patrizia Serra), il Liceo
Klee serale (referente prof. Franco Arato), il Liceo Cassini
(prof.sa Silvia Allegro), l’Istituto Immacolatine (prof.sa
Renata Galderisi), ), l’Istituto Calasanzio (prof.sa Laura
Vozza), l’Istituto Emiliani (prof.sa Alba Chicco).
T E A T R O
E
U N I V E R S I T À
Proseguendo in una consuetudine ormai ben radicata, numerosi sono stati e saranno ancora nel corso di stagione gli
incontri con gli attori, i registi e i collaboratori artistici
degli spettacoli presenti nel cartellone del Teatro di Genova.
Mercoledì 19 marzo, ore 15, Carlo Cecchi e Gabriele Lavia
parleranno con studenti e docenti di La storia immortale.
L’incontro si svolgerà presso l’Aula Magna della Facoltà
di Lettere, via Balbi 4. L’ingresso è libero e aperto a tutti.
A Perugia, nei Cantieri Teatrali Koreja va in scena dal
25 al 27 marzo Brecht’s Dance di Gianluigi Gherzi e
Salvatore Tramacere.
Marche
Il Teatro Stabile delle Marche, in coproduzione con il
Teatro Nuovo di Milano, propone ad Ancona, dal 4 al 6
aprile, Giorgio Panariello in Il borghese gentiluomo di
Molière, regia di Giampiero Solari; mentre a Macerata va
in scena, dall’1 al 3 aprile, Lear ovvero Tutto su mio
padre, drammaturgia di Laura Curino e regia di Serena
Sinigaglia.
Lazio
All’Argentina di Roma è annunciata la messa in scena
di Il mondo di Mr. Peters di Arthur Miller (dall’8 al 25
maggio 2003) con la regia di Enrico Lamanna e l’interpretazione di Giorgio Albertazzi nel ruolo del protagonista. Ancora Arthur Miller in primo piano anche all’Eliseo, dove il 15 aprile (repliche sino all’11 maggio) debutta Uno sguardo dal ponte nella produzione del Teatro
Stabile di Messina, con Sebastiano Lo Monaco.
Sicilia
Al Biondo di Palermo, lo Stabile ha in cartellone tre
sue produzioni: oltre a La nemica di Niccodemi, che sarà
anche a Genova in maggio, vengono annunciati sul prestigioso palcoscenico siciliano anche L’amante di Harold
Pinter per la regia di Furio Bordon (sino al 6 aprile) e Il
martirio di Padre Puglisi di Mario Luzi per la regia di di
Pippo Spicuzza. Sempre a Palermo al Teatro Bellini
sono in corso le rappresentazioni di Don Giovanni
Tenorio di José Zorilla y Moral, regia di Umberto Cantone, ed è annunciato per il 7 maggio Serata Campanile
con la regia di Pippo Spicuzza.
Al Teatro Verga di Catania è in programma per maggio
il debutto della nuova produzione dello Stabile locale:
Retablo dal romanzo di Vincenzo Consolo, messo in scena
da Daniela Ardini; mentre subito dopo sarà la volta di
Miseria e dissolutezze di Micio Tempio, poeta di Filippo
Arriva, regia di Romano Bernardi.
TAGLIO E COLORE PERSONALIZZATI
MARTEDÌ - MERCOLEDÌ E GIOVEDÌ
Promozione per i giovani
Corso Buenos Aires, 18/1
16129 GENOVA
TEL. 010 5707177
marzo / aprile 2003
TGE12503 Giornale n°11
12-03-2003
11:04
A M A S C O
A D
Pagina 11
11
D
A
D
A
L G E R I
:
L A
S
C U O L A
D I
R
E C I T A Z I O N E
A L L
’
E S T E R O
Mediterraneo crocevia di teatro
Damasco, 22 - 27 aprile 2000:
la Scuola di Recitazione del
Teatro Stabile di Genova partecipa al primo Convegno Internazionale di Scuole di Arte
Drammatica del Mediterraneo
organizzato dall’ECUME (Exchanges Culturels en Méditerranée), associazione nata a
Marsiglia per impulso del suo
direttore Omar Daniel Belli. È
l’inizio di una collaborazione
che si confermerà nel tempo.
In quell’incontro di Damasco
per la prima volta vengono a
trovarsi attorno allo stesso
tavolo dirigenti di scuole teatrali di Algeria, Libano, Francia,
Kuwait, Egitto, Italia, Tunisia,
Giordania, Spagna, Marocco.
Ognuno fa conoscere le caratteristiche della propria istituzione e espone il proprio punto di
vista sulla possibilità di fondare
una rete di scuole di teatro in
vista di uno scambio di idee, di
lavori e di potenziale umano. A
conclusione del Convegno si
avanza il progetto di ripetere
l’incontro ogni anno in un paese
diverso in modo da conoscere
più da vicino le varie realtà e di
allargare l’invito agli allievi
delle varie scuole. I frutti si
sarebbero cominciati a vedere
l’anno successivo a Tunisi.
Tunisi, 20 - 24 giugno 2001. Il
Convegno si articola in tre
sezioni: Séminaires - Atéliers Représentations. Nella prima i
dirigenti delle varie scuole s’incontrano per discutere sulle
finalità pedagogiche e i problemi organizzativi, nella seconda
ogni insegnante svolge una
breve serie di lezioni su di un
tema particolare con gli allievi
delle altre scuole, nella terza tre
allievi rappresentanti di ciascuna scuola presentano un loro
saggio - campione. Genova presenta Chez Pinter, collage di
brevi pièces di Harold Pinter
(Questo è il tuo guaio, Intervista, Silenzio e due canzoni)
con Fiammetta Bellone, Flavio
Parenti e Gaetano Sciortino;
Damasco porta La morte dell’usignolo, dramma di guerriglia
di Walid Ehlassi; Marsiglia
porta un estratto da un adattamento teatrale di Terra e cenere
di Atiq Rahimi; la scuola di Tunisi che ci ospita presenta il suo
saggio di fine anno Chi ha
paura di Virginia Woolf? di
Edward Albee. Ogni spettacolo
è parlato nella lingua d’origine
degli allievi, il luogo della recita
è un vasto spazio multifunzionale ricavato all’interno di un
antico complesso monastico, sede dell’ISAD (Istituto Superiore
d’Arte Drammatica).
Ci si conosce meglio, ma sono
l’atélier e il dopo spettacolo i
momenti più vivaci: ci si scontra, ci s’intende, si discute, si
fraternizza. I ragazzi sono tutti
coinvolti; a volte sconcertati, a
volte polemici, a volte entusiasti. Si parla arabo e francese, le
lingue dominanti; quando non è
possibile, si ricorre all’inglese e,
in casi estremi, al solito esperanto gestuale. Ma non c’è argomento che resti inespresso o
incompreso.
Si capisce che il dialogo è appena aperto e dovrà proseguire.
Marsiglia, 13-17 febbraio 2002
Si ripete e si approfondisce la
formula su tre sezioni. I temi
delle discussioni nel Séminaire
si fanno più tecnici e specifici
investendo l’impostazione pedagogica, gli atéliers hanno un
programma più fitto e intenso,
docenti e allievi, nel confronto
reciproco, fanno proficue scoperte. Ci ospita il Conservatoire
National de Région “Pierre
Barbizet” che vede i seguenti
saggi: per la Francia Salvador
di Suzanne Lebeau con gli allievi dello stesso Conservatorio -
Sezione Teatro; per l’Algeria La
casa della follia di Tawfik
Fayadh; per il Libano un estratto da The good doctor di Neil
Simon (recitato in francese); per
la Spagna una scena dalle
Preziose ridicole di Molière e da
El mayor encanto, amor di Calderon de la Barca; per l’Italia
(Genova) Tre pezzi facili, collage
comprendente Contrasto di
Cielo d’Alcamo, La Cantambanchessa (estratto dalla Fiera)
di Michelangelo Buonarroti il
Giovane e Il nostro ospite di
oggi di Luca de Bei, tre momenti della drammaturgia e della
lingua italiana - con i nostri
allievi Roberta Andreoni, Eva
Cambiale e Andrea Pierdicca.
Per la prima volta partecipa la
Grecia con Chara Baconicola,
direttrice della Scuola d’Arte
Drammatica del Teatro Nazionale di Atene che mostra un
video sull’attività della sua
scuola dove si privilegia - com’era da aspettarsi - l’educazione
alla pratica dei cori danzati e
cantati.
Proprio in questo emergere, a
volte addirittura quasi inconsapevole, delle diversità storiche,
si conferma il senso e il fascino
dell’iniziativa che nonostante
questo e forse proprio per questo, offre anche la possibilità di
un’integrazione che travalica
gli abissi delle culture e libera
insospettate energie. Ciò è
avvenuto proprio a Marsiglia
quando a sorpresa e fuori programma, una nostra allieva,
Eva Cambiale, è salita in palcoscenico accanto a Justo Ruiz,
attore e direttore della Scuola
Superiore d’Arte Drammatica
di Siviglia per fargli da spalla in
una scena dalla Vita è sogno di
Calderòn de la Barca; e quando
un altro nostro allievo, Andrea
Pierdicca ha spontaneamente
preparato insieme allo studente
algerino Samir El Hakim Zoo
Story di Albee imparando le indispensabili repliche in arabo, e
senza avere con lui una lingua
in comune, conoscendo l’uno un
po’ d’inglese e l’altro un po’ di
francese. La Scuola di Genova,
unica rappresentante per l’Italia, è ormai una presenza fissa a
questi incontri e confida di
poter contribuire sempre meglio al loro successo. Prossimo
appuntamento: Algeri, 10/16
maggio 2003.
Anna Laura Messeri
numero undici • marzo - aprile duemilatre.
Edizioni Teatro di Genova, Piazza Borgo Pila 42, 16129 Genova.
Presidente Avv. Giovanni Salvarezza • Direzione Carlo Repetti e Marco Sciaccaluga
Direttore responsabile Aldo Viganò - Collaborazione Annamaria Coluccia
Segretaria di redazione Monica Speziotto
Autorizzazione del Tribunale di Genova n° 34 del 17/11/2000
Progetto grafico
www.firma.it• art: Bruna Arena, Genova (125/03)
Stampa: Arti grafiche bicidi, Genova
Senza ERG
all’energia
mancherebbe
qualcosa.
ERG frequenta, da oltre 60 anni, con passione e profitto, il mondo
dell’energia: ne conosce i segreti, i rischi, le opportunità.
Raffinazione del greggio, distribuzione e vendita di prodotti
petroliferi, produzione di energia elettrica. Questi sono i mestieri
del primo gruppo petrolifero indipendente italiano. Questo è il
nostro mondo, un mondo di energie.
marzo / aprile 2003
TGE12503 Giornale n°11
12-03-2003
11:04
Pagina 12
12
Il teatro e la città: confronto sul rapporto fra istituzioni teatrali e comunità sociale
CERCANDO NUOVE IDENTITÀ
A Genova però alcune cose sono state fatte: si pensi agli
spettacoli allestiti dalla Tosse in spazi non teatrali, alla
ristrutturazione del Modena a Sampierdarena, alla creazione dell’anfiteatro sul palcoscenico della Corte, ai
seminari dello Stabile nelle scuole.
CASTELLANO Sono tutti fatti positivi. Il problema del luogo
secondo me è molto importante. A mio avviso il Teatro della
Tosse, sotto questo profilo, è riuscito ad esprimere la capacità di
portare il teatro fuori. Non tutte le soluzioni sono state felici ma
mi sembra che quella linea sia stata molto interessante. A me
pare che il teatro oggi stia attraversando una fase analoga a
quella vissuta dai musei che stanno cercando di cambiare, perché se restano statici, “ingessati”, non riescono ad essere una
realtà viva. Nei grandi musei del mondo si sente questa volontà di aprirsi, di diventare spazi usufruibili per l’intera giornata.
Il rapporto fra teatro e città è stato il tema di una conversazione, organizzata dal Teatro di Genova, con alcuni protagonisti
della vita cittadina: Annalisa Maniglio Calcagno, preside della facoltà di Architettura, Alessandro Dal Lago, docente di
Sociologia dei processi culturali e di Discipline dello spettacolo alla facoltà di Scienze della Formazione, Carlo Castellano,
presidente e amministratore delegato di Esaote spa, Gaetano Cuozzo, dirigente generale del Ministero dell’Istruzione,
dell’Università e della Ricerca, don Antonio Balletto, docente di Teologia fondamentale.
In una città come Genova, con una presenza teatrale
molto ricca e varia, qual è secondo voi la percezione che
si ha del teatro, nelle sue molteplici realtà?
BALLETTO È desiderio inconscio di moltissime persone che il
teatro ci sia e che conti, anche se tanti lo considerano un passatempo, in parte per effetto, credo, di una concezione del teatro
come “divagazione” che si è diffusa dal ‘700-‘800 in poi. Ritengo
che una città dovrebbe educare, anche attraverso la scuola, a
capire che cos’è il teatro, perché altrimenti una comunità, piccola o grande che sia, perde uno dei modi fondamentali di esprimersi, di recepire la realtà e di riflettere sulle problematiche
fondamentali dell’esistenza che si ritrovano in tutti i grandi
autori: nelle tragedie greche, in Shakespeare, in Racine. Penso
che dovremmo far emergere questo desiderio inconscio delle
persone, in modo che ne siano consapevoli.
CUOZZO L’educazione scolastica è fondamentale. Il teatro non
è entrato nel circolo virtuoso delle materie
d’insegnamento, perché considerato frivolo e
perché la scelta fatta con la riforma della scuola di Gentile non ha consentito a materie come
la pittura, la scultura, il teatro, la musica, di
avere la stessa dignità di altre. Questo aspetto
non si è mai modificato e anche oggi credo che
ci sia difficoltà a cambiare, perché si sono create abitudini e
meccanismi “lobbistici” molto forti. Ma il teatro è anche una
grandissima fonte di integrazione, fra persone e culture, e come
tale dovrebbe essere sfruttato, dal punto di vista sociale e didattico, non solo per la sua fruizione passiva ma anche per il coinvolgimento attivo delle persone.
MANIGLIO CALCAGNO Secondo me il teatro non può essere più
solo il luogo della rappresentazione, dev’essere anche uno spazio d’incontro. Il problema è che questo spazio si trova nel cuore
della città, lontano dalle periferie. E allora bisogna domandarsi
che cos’è il teatro oggi rispetto a una città che è cambiata come
dimensione e come popolazione, e che tipo di teatro dobbiamo
dare alle nostre città e alle nostre periferie. Inoltre a teatro i
condizionamenti sono forti per lo spettatore. Non è un caso che
oggi i pienoni di pubblico ci siano per i concerti negli stadi, dove
uno è libero di muoversi, di partecipare.
DAL LAGO La mia impressione è che a Genova il teatro sia presente più che in altre città. Anche l’offerta è maggiore rispetto a
quella di città magari più celebrate. Un elemento importante è
però l’assenza di una cultura giovanile: i ragazzi non sanno che
cos’è il teatro, ne hanno un’idea estremamente “ingessata”. Io ho
avuto un’esperienza divertente, in questo senso, a Savona.
Quando ho scoperto che Judith Malina abitava in zona, l’ho invitata all’Università perché raccontasse ai miei studenti di
Comunicazione le sue esperienze: loro sono rimasti sconvolti dal
fatto che in un’altra epoca, che sembra lontanissima anche se
non lo è, si facessero teatro di strada e altre forme di spettacolo
non tradizionali. Ecco, a me sembra che a Genova manchi completamente un luogo di elaborazione e, soprattutto, di trasmissione di forme teatrali diverse. Se si vuole togliere al teatro il
carattere di mero luogo di svago, anche intelligente, lo si dovrebbe considerare come luogo di produzione e di circolazione di idee.
MANIGLIO CALCAGNO Credo che il teatro sia ancora fortemente
elitario. È già elitario il fatto che lo spettacolo cominci alle otto
marzo / aprile 2003
e mezza: chi lavora e sta lontano dal centro ha difficoltà ad arrivare in tempo, e poi c’è il costo del biglietto.
DAL LAGO Genova è, però, una delle poche città ad avere teatri periferici, ad esempio a Sampierdarena. Altra considerazione: uno dei pochi tipi di teatro praticati socialmente oggi è lo
stadio, i ragazzi vanno lì a “fare teatro” e spendono dai 15 ai 40
euro, quindi non è un problema di disponibilità economica.
CASTELLANO Genova ha una tradizione teatrale molto forte,
ricca. La domanda se mai è: oggi, rispetto al passato, è diventato più elitario il teatro o no?
BALLETTO A me pare che oggi i teatri genovesi siano vivaci,
portino delle novità. Noi vecchi ormai abbiamo
visto tantissime rappresentazioni dei testi classici, non ne possiamo più, a meno che non arrivi uno come Tadeusz Kantor: in quel caso vai a
teatro e senti veramente un mondo che si rinnova. Che poi sia un fatto elitario, è dovuto alla
cultura generale. Per questo credo che sia indispensabile un’attività di educazione al teatro.
CUOZZO Un modo potrebbe essere quello di preparare un
“pezzo” di cartellone assieme alle componenti della scuola. Molti
insegnanti sono sensibili all’utilità del teatro e potrebbero sfruttare al meglio questo strumento per la loro attività didattica. Si
potrebbe creare un collegamento interattivo organico fra scuole
e teatri sui cartelloni. Ma mi sembra importante anche un altro
aspetto: le attività di chi fa teatro sono molto legate a quelle che
si fanno a scuola. L’uso della voce, per esempio, è importantissimo per un attore ma anche per un insegnante, e così pure la
mimica, la memoria. Sono tutti strumenti che, se portati nel
patrimonio di chi insegna e degli studenti, possono diventare
elemento forte di aggregazione.
DAL LAGO Questo vale per tutta la scena comunicativa. Faccio
un esempio parallelo: a Genova si legge moltissimo, credo anche
per l’età media piuttosto alta della popolazione, però non si
dibatte, non esiste un circuito di dibattiti culturali, che non
siano presentazioni di libri. Al di là di cose molto piccole e di luoghi un po’ “ingessati”, non c’è nulla. La stessa cosa avviene a
teatro: la gente ci va, secondo me più che in altre città, ma resta
un consumo privato.
MANIGLIO CALCAGNO Secondo me si dovrebbe far aumentare
la partecipazione, inventando anche “buchi
neri” nelle periferie, dove portare il teatro. Ma
c’è anche un altro elemento significativo: il teatro oggi non è più visibile all’esterno. Una volta
aveva forme con una tipologia riconoscibile,
come la scuola, la chiesa, il municipio. Adesso si
mimetizza con il resto, forma e funzione non
hanno più una relazione e questo, secondo me, lo allontana dai
cittadini. Al cambiamento d’immagine dovrebbe corrispondere
quindi un arricchimento delle funzioni: oltre ad essere il luogo
in cui si va come spettatori, dovrebbe diventare anche il luogo
dove, chi vuole, può fare attività teatrali o musicali. Così diventerebbe uno spazio davvero vissuto.
CUOZZO Questo a scuola è più semplice, perché ci sono spazi
utilizzabili per queste forme di attività e di aggregazione. Far
entrare in un sistema didattico l’utilizzo di spazi scolastici per
attività teatrali potrebbe favorire una partecipazione interattiva.
Come sta succedendo da qualche anno nel Foyer della
Corte con i giovani artisti.
DAL LAGO I musei hanno scoperto la teatralità, l’animazione.
Secondo me, manca anche l’educazione alla teatralizzazione
della vita. Una volta in facoltà venne una persona molto brava
a tenere una lezione di educazione musicale: fece ascoltare
diversi brani (di Demetrios Stratos per esempio e di altri) e i
bambini delle elementari, che erano lì, sentendo le urla incominciarono a urlare a loro volta, mentre le maestre dicevano:
«Bambini non gridate!». Questa frase significa una totale mancanza di educazione di queste persone a certe forme di espressione. Il teatro dovrebbe promuovere la diffusione di queste
forme, non basta offrire lo spettacolo, anche se mi rendo conto
che tutto questo ha dei costi.
Quindi lo spettacolo dovrebbe diventare solo uno degli
eventi che accadono in teatro?
DAL LAGO Altre attività culturali dovrebbero essere teatralizzate. Penso ai dibattiti ma anche all’arte contemporanea che
oggi, in quanto performativa, è molto vicina al teatro.
Avete in mente qualche spettacolo che a Genova abbia
segnato un momento di dibattito importante, di partecipazione ampia?
BALLETTO Madre Courage e i suoi figli di Brecht, con Lina
Volonghi e la regia di Luigi Squarzina, e l’8 Settembre tutti e
due prodotti dallo Stabile. Anche alcune commedie di Pinter
hanno suscitato dibattiti interessanti.
CASTELLANO Io ricordo con straordinario interesse la rappresentazione dei Persiani di Eschilo allestita dal Teatro della Tosse nell’ex fabbrica alla Fiumara. Per
una persona come me che conosce poco il teatro,
quello spettacolo, in quel posto, è stato una cosa
straordinaria, un evento emozionante, ed è stato
un vero “omicidio” aver distrutto quel contenitore che avrebbe potuto essere usato per altre cose.
Il fatto che recentemente non ci siano stati grossi dibattiti “attorno” al teatro, dipende, secondo voi, anche dai
cartelloni?
DAL LAGO Il punto è che c’è una decadenza del teatro di idee:
ci sono spettacoli bellissimi ma poche idee. Prima è stato citato
Madre Courage: quello sì che è un teatro di idee, condivisibile o
meno, non importa. Nello stesso tempo bisogna sottolineare,
però, che, curiosamente, Genova è una fucina per talenti comici. Metà dei comici nazionali sono di origine genovese.
CUOZZO Per altro verso, però, i giovani si avvicinano di più al
teatro, anche se c’è ancora uno spazio enorme da riempire. Per
questo io farei uno sforzo per cercare di realizzare palinsesti
“partecipati”.
CASTELLANO Io penso che soprattutto il filone delle scuole
superiori sia importantissimo per avvicinare i giovani al teatro.
Perché non fare per esempio un concorso di rappresentazioni
teatrali fra scuole di Genova e della provincia?
CUOZZO L’ottanta per cento delle scuole genovesi e liguri ha già
una sua compagnia. Il problema è che queste attività devono entrare a far parte del sistema. Credo che l’idea di una manifestazione
event, come un concorso, sia da proporre ai teatri genovesi.
CASTELLANO Ci sono anche altre opportunità. Tra pochi mesi
a Genova si terrà il festival della scienza che pure ha un aspetto
teatrale, di comunicazione del messaggio: perché non cogliere questa occasione? A Edimburgo, dove ogni anno si svolge il festival
della scienza, si dà spazio anche alla sua dimensione teatrale.
DAL LAGO C’è anche il problema della rivitalizzazione del teatro, che non può vivere solo con la compagnia di
giro che viene qui o con le produzioni dello
Stabile e degli altri teatri cittadini. Bisogna
mettere anche il teatro “di base” in condizione
di funzionare, con strutture e risorse. Genova
ha grande disponibilità di spazi potenziali,
soprattutto a ponente, ma bisogna elaborare
una strategia: non si tratta solo di portare il teatro in periferia
ma di alimentare l’attività culturale in basso.
a cura di Annamaria Coluccia