Spedizione in A.P. - 45% - Art.2 comma 20/b legge 662/96. Filiale di Genova TGE12503 Giornale n°11 12-03-2003 11:03 Pagina 1 soci fondatori COMUNE DI GENOVA PROVINCIA DI GENOVA REGIONE LIGURIA socio sostenitore marzo/aprile duemilatre numero undici partner della stagione Il cerchio di gesso del Caucaso Articoli di Zagrebelsky e Buonaccorsi Il teatro secondo Besson pagine 2 e 3 “I L C E R C H I O DI GESSO DEL La storia immortale Hellzapoppin Dagli altri teatri Karen Blixen di Berni Orson Welles di Salotti Le Associazioni culturali e il Foyer della Corte Italia e Europa Intervista con Lavia Calendario degli incontri pagine 4 e 5 pagina 8 CAUCASO” AL DUSE E pagine 9, 10 La Scuola all’estero pagina 11 “L A S T O R I A I M M O R TA L E ” ALLA CORTE TEATRO D’ARTE, TEATRO DI IDEE B e n n o B e s s o n e G a b r i e l e L a v i a f i r m a n o l e d u e n u o v e p r o d u z i o n i d e l Te a t r o d i G e n o v a CARLO REPETTI Il mondo del teatro non è un mondo a parte, un’isola più o meno felice come qualcuno potrebbe essere tentato a credere. Quanto più il teatro è vitale, tanto più vive e soffre e cerca di interpretare il momento, la società in cui opera. Quindi anche noi oggi sentiamo il nostro lavoro maggiormente carico di responsabilità, dal momento che parliamo a tanti giovani e che le nostre sale sono le “piazze coperte” di questa città nelle quali la gente si riunisce per incontrarsi e per cercare di capire meglio il mondo attraverso le parole dei grandi poeti. Ecco perché le due storie, i due spettacoli che il Teatro di Genova produce e presenta in contemporanea alla Corte e al Duse (impegno produttivo forte, segno crediamo della nostra vitalità) sono due spettacoli che, in maniera assolutamente diversa fra loro, cercano entrambi di parlare della vita all’uomo di oggi. Il primo, La storia immortale di Gabriele Lavia da Karen Blixen, produzione della Compagnia Lavia e del Teatro di Genova, è un testo esistenziale in quanto parla proprio dell’esistenza e mostra in un continuo dialogo fra finzione e realtà come “un uomo sia il racconto della sua vita”, come dice lo stesso Lavia. Questo spettacolo, che è un’altra tappa della collaborazione del Teatro di Genova con Gabriele Lavia, qui nella duplice veste di regista e interprete, vede anche il felicissimo ritorno con noi di un protagonista della cultura italiana sempre molto amato dal Teatro di Genova: Carlo Cecchi. Il secondo lavoro invece, Il cerchio di gesso del Caucaso di Bertolt Brecht, prodotto dal Teatro di Genova e dal Teatro Stabile del Veneto, parla con la leggerezza e la profondità che sono proprie delle favole, di quale sia la forza dei valori fondanti della vita (giustizia, eguaglianza, amore) soprattutto nei momenti più difficili e dilanianti. Il cerchio di gesso del Caucaso segna anche il settimo incontro della nostra città con uno dei grandi maestri della scena europea, Benno Besson, (segue a pag. 2) AUTOIRONIA DELLA BLIXEN A sinistra una scena di Il cerchio di gesso del Caucaso, durante le prove; a destra gli interpreti di La storia immortale in una scena d’insieme (foto Bepi Caroli e Tommaso Le Pera) Benno Besson ritorna al teatro dell’amico e maestro Bertolt Brecht e Gabriele Lavia porta sul palcoscenico un affascinante racconto di Karen Blixen. Sul palcoscenico del Duse (dal 14 marzo al 6 aprile), il regista tedesco mette «in maschera» la favola antica di Gruscha e del giudice Azdak, protagonisti di Il cerchio di gesso del Caucaso, sortendone uno spettacolo che, con autorevole leggerezza, parla di tempi calamitosi, caratterizzati dalla sopraffazione e dalla violenza, senza aver paura di costruirvi all’interno anche situazioni di travolgente comicità. Quasi contemporaneamente, l’attore e regista italiano narra alla Corte (dall’11 al 23 marzo) La storia immortale del ricco mercante, Mr. Clay, che pretende, con l’aiuto del segretario Elishama, di far coincidere la vita e il suo racconto. Due nuovi spettacoli, rispettivamente prodotti insieme con il Teatro Stabile del Veneto e la Compagnia Lavia, nei quali il testo, la recitazione e tutti i contributi artistici convergono verso il piacere di raccontare una storia e di comunicare delle emozioni. Due sguardi, pur molto diversi e sottesi da un’autentica originalità autoriale, che guardano entrambi alla contemporaneità attraverso la lente d’ingrandimento del teatro. Brecht: favola tra paure e speranza Bertolt Brecht compose Il cerchio di gesso del Caucaso nel 1944, in America, quando ancora divampava il secondo conflitto mondiale ma già le armate di Hitler avevano subito pesanti sconfitte. Lo stato d’animo dello “scrittore di drammi” era un po’ cambiato. Si sentiva più sollevato, anche se non liberato dall’ansia per i tragici eventi in corso. La speranza per una prossima fine della lunga notte di barbarie in cui era precipitata l’umanità si riverberò nel testo che allora scrisse. Com’era spesso suo costume, Brecht non inventò ex novo l’intreccio. Trasse spunto da un antico dramma cinese tradotto dal poeta Klabund. Il drammaturgo di Augusta nutriva un particolare interesse verso la cultura dell’Oriente. Fin da giovane questo mondo lo aveva affascinato. Ma nel tempo aveva trova- to motivazioni più precise a questa attrazione, legate anche allo sviluppo delle tecniche formali della sua arte. Così si era ispirato alle composizioni Nô e Kabuki per alcuni drammi didattici, aveva ambientato in un’Asia immaginaria L’anima buona del Sezuan, aveva più volte fatto riferimento all’arte scenica cinese per elaborare la teoria dello “straniamento” e del teatro epico. Inoltre, proprio a ridosso della nascita de Il cerchio di gesso, aveva progettato un’opera su Confu- cio. La protagonista del Cerchio di gesso è Gruscha, sguattera di cucina del governatore di una città del Caucaso, coinvolta in una sommossa popolare. Il suo padrone è messo a morte, il palazzo è incendiato. La giovane, nel trambusto di quei gravi rivolgimenti, raccoglie il figlioletto abbandonato dalla moglie del governatore in precipitosa fuga. Va incontro così a una travagliata peregrinazione, che la porta in luoghi diversi a contatto con molte persone, per salvare se stessa e il piccolo. A poco a poco si affeziona fino a provare un tenace sentimento materno. Quando poi il periodo di anarchia e violenze cessa, è chiamata in tribunale a difendere il suo ruolo di madre contro la genitrice carnale che, tornata, reclama il bambino. Eugenio Buonaccorsi (segue a pag. 2) Poche volte, nella storia della letteratura, accade che uno scrittore riveli una vera identità fra la vita e l’opera, anzi a tratti una reale subordinazione della vita all’opera, come nel caso di Karen Blixen che, sentendosi privata della possibilità di vivere a causa della malattia e del fallimento umano che la strappò all’Africa, decise di sviluppare le premesse di un’attività letteraria appena abbozzata in gioventù e riversò la sua intera esistenza nelle sue opere narrative. E poche volte uno scrittore, come nel caso della Blixen, è a tal punto affascinato dai misteriosi legami fra la fantasia letteraria e la realtà della vita da porre al centro dell’intera sua produzione il ricorrente interrogativo sulla natura e l’origine della storia, sul suo rapporto con la realtà, sulla possibilità che fra la vita e la storia, fra la realtà e la fantasia possa esserci un punto di incontro. Bruno Berni (segue a pag. 4) Al Teatro della Corte dal 3 al 31 marzo IDEA DI EUROPA Grandi Parole alle radici di una civiltà Attori Laura Marinoni • Omero Antonutti Gianpiero Bianchi • Ugo Maria Morosi Valeria Moriconi • Andrea Giordana Maddalena Crippa • Eros Pagni Franca Nuti • Giancarlo Dettori Relatori Antonio Balletto • Ernesto Franco • Franco Cardini Sergio Romano • Miriam Mafai (programma a pag. 7) TGE12503 Giornale n°11 2 12-03-2003 11:03 Pagina 2 Il cerchio di gesso del Caucaso al Teatro Duse Lo spunto è offerto da una storia biblica (il giudizio di Salomone), intrecciata con un antico dramma cinese. Bertolt Brecht propone così un’opera di ispirazione orientale, articolata in due racconti paralleli: da una parte, la storia del nobile figlio del governatore di Grusinia, abbandonato in fasce dalla madre nel corso di una rivolta di palazzo e amorevolmente allevato dalla serva Gruscha, la quale, quando la vita politica si riassesta, rifiuta di riconsegnarlo alla governatrice, venuta a reclamarlo; dall'altra, quella del giudice Azdak, mentitore matricolato e ubriacone, portato dagli sconvolgimenti politici su un trono da cui emana sentenze stravaganti. Una favola a doppio binario, quindi; in cui il vagabondo Azdak, che si fa beffe delle conven- zioni e della morale, diventa il simbolo della giustizia che si oppone alla legge e che, rivolgendo la sua attenzione ai sentimenti e al dolore dell’individuo, capovolge le regole scritte e proprio per questo, sottolinea Brecht, giudica meglio di ogni altro. Una favola antica per parlare del mondo moderno, pertanto. Un grande testo appartenente ormai alla storia del teatro, fatto rivivere da un regista che è stato a lungo al fianco di Brecht ai tempi del Berliner Ensemble, Benno Besson, il quale si avvale della nuovissima traduzione approntata da Edoardo Sanguineti, sulla base di un adattamento voluto dallo stesso Besson, che esclude dall’allestimento l’ormai datata cornice ambientata in un kolchoz sovietico subito dopo la seconda guerra mondiale. BRECHT: FAVOLA TRA PAURE E SPERANZA La giustizia di Azdak GUSTAVO ZAGREBELSKY Bertolt Brecht mette in scena il giudizio del Cerchio di gesso davanti a un giudice che i benpensanti della giustizia per diritto direbbero essere il contrario di quello che un giudice dovrebbe essere. (...) Azdak era uno che si serviva del codice, ma per sedercisi sopra; uno che si faceva pagare a caro prezzo (...); uno che al denaro dava un valore morale, come manifestazione di umanità; uno per il quale tutto finiva nel mangiare e bere e che una bella bevuta non disdegnava nemmeno a giudizio in corso; uno che apprezzava le grazie di quelle che venivano tratte in giudizio; uno che aveva paura dei potenti e non lo nascondeva; uno che non avrebbe fatto loro il piacere di dimostrarsi un eroe. scia, dove la superbia e il sopruso si sono fatti legge. (...) A questa piuttosto scontata conclusione se ne deve però aggiungere un’altra, più nascosta, forse più profonda, che Brecht suggerisce più come un dubbio molto inquietante che non come un’affermazione certa. Che rapporto c’è tra l’ordine e la giustizia? Azdak è giudice di un tempo di confusione e disordine, quando i rapporti sociali sono sconvolti. (...) Dopo aver reso giustizia per l’ultima volta, Azdak, toltasi la toga perché fa troppo caldo e perché non vuole fare l’eroe per nessuno, (...) sparisce e non è mai più visto da nessuno. Questa è la fine del dramma e, con essa, la fine di Azdak che coincide con il ristabilimento dell’ordine e il ritorno dei giudici per diritto. Forse la morale (continua da pag. 1) Designato a dirimere la causa è Azdak, singolare figura di scrivano, ubriacone e parassita, assurto, nel caos susseguito alla rivolta, alla carica di amministratore della giustizia. Il suo modo di gestire la legge risulta chiaro quando in apertura di ogni processo siede letteralmente sopra i codici e invita gli avvocati a offrirgli denaro. Azdak ritiene che la questione possa essere regolata secondo il giudizio di Salomone. Il bambino, collocato al centro di un cerchio segnato a terra col gesso, sarà affidato a quella delle due rivali che riuscirà, tirandolo per un braccio, a farlo uscire dal tracciato. Gruscha molla la presa, perché teme di procurargli del male. La vedova del governatore ha vinto la prova, ma Azdak sentenzia che il bambino deve essere consegnato alla serva, perché il suo comportamento dimostra che lei ha davvero a cuore la sua incolumità. Nel Cerchio di gesso del Caucaso è declinato un tema molto caro a Brecht: la possibilità di praticare la bontà in una società oppressa da inique disuguaglianze. In proposito, lo scrittore aveva offerto in vari testi una visione Insomma, l’indole di Azdak è quanto di più comune ci sia nella natura umana e quanto di più contrario all’immagine del giudice che non guarda in faccia nessuno (...). Azdak è sì un briccone, ma di un genere particolare. (...) Un corrotto benedetto dai bricconi e dai poveretti che, se ha paura, è per essere stato indulgente con i miserabili, per avere aiutato la povertà a tenersi su con le sue deboli gambe e per avere guardato nelle tasche dei ricchi. Da questo giudice indegno (o degno, a seconda che lo si guardi di diritto o di rovescio), viene una decisione che, a sua insaputa, eguaglia in saggezza e giustizia quella del grande Salomone (...). Finisce come ci si poteva aspettare, con una decisione che umilia la legalità dei potenti e premia l’umanità della povera gente. La morale della storia è che solo da un giudice alla rovescia, come è il giudice Azdak che mette il diritto sottosopra e porta in scena una parodia della giustizia, può venire una sentenza giusta, quando la legalità esprime a sua volta un mondo alla rovemarzo / aprile 2003 meno ovvia della storia non sarà allora che far giustizia è possibile solo nelle situazioni che non sono né diritte né rovesce ma basculano, cioè nelle situazioni instabili di vuoto di potere? Non sarà forse che ogni consolidamento sociale non produce che prepotenza e oltraggi mascherati da giustizia? La fine di Azdak è sconvolgente. Ci dice che la giustizia è forse possibile ma solo in momenti eccezionali di trapasso e quasi per errore. (...) L’ordine, al quale tutti aspiriamo nei tempi del disordine, è allora dunque incompatibile con la giustizia? Se nell’ordine c’è potere e non giustizia, gli uomini vogliono due cose incompatibili. Solo nei momenti aurorali o crepuscolari delle società umane può sorgere la giustizia, come la stella del mattino o la stella della sera che brillano per poco, prima di essere oscurate dallo splendore accecante e irridente o dalle tenebre (il che è lo stesso) dell’ordine costituito? Estratto dal saggio pubblicato nel volume (edito da Il Melangolo) che accompagna lo spettacolo pessimistica. La tentazione di fare il bene conduce ne L’anima buona del Sezuan allo sdoppiamento di una gentile prostituta in un alter ego brutale e in Puntila e il suo servo Matti alla scissione della personalità di uno stravagante latifondista. Ne L’eccezione e la regola, un coolie, durante una marcia nel deserto della Mongolia, è ucciso a colpi di pistola dal mercante cui ha tentato di allungare la propria borraccia d’acqua: il commerciante viene assolto nel processo che gli è intentato, perché, avendo incessantemente maltrattato il portatore, a buon diritto poteva temerne la reazione e scambiare quindi quel gesto di generosità per una minaccia. Per Brecht, in una società disumanata non era permesso all’individuo di realizzare pienamente la propria umanità. Gruscha in quest’ottica costituisce un’eccezione. L’happy end la risarcisce delle disavventure scaturite dal salvataggio del bimbo abbandonato. La ragazza tuttavia non agisce completamente d’impulso. Dapprima esita, solo in un secondo momento si impietosisce per quel tenero fagotto dimenticato. E comunque, in seguito, lotta, più che per un innato senso di altruismo, per una creatura che sente sua. L’altro tema chiave del Cerchio di gesso è l’insorgere di una irresistibile vocazione materna. La solidarietà col piccolo durante le traversie superate insieme e la scoperta in sé di una gratificante attitudine protettiva hanno trasformato la ragazza in madre. Brecht propone una concezione della maternità non riducibile necessariamente a una matrice biologica. Essa è un valore prodotto dall’agire umano, non soltanto un dato di natura. Per questo, secondo Azdak, il bambino deve essere affidato a chi ha mostrato di saperlo allevare e prendersene cura: “Ogni cosa deve appartenere a chi le si conviene”, come i terreni contesi dai due kolchoz dell’antefatto. L’anomalo giudice sancisce il diritto di Gruscha perché pratica una giustizia più attenta ai sentimenti e alle sofferenze dell’individuo, secondo valori nuovi e più alti rispetto a quelli imposti da una legge cristallizzata. Al tempo del Cerchio di gesso la conversione di Brecht al marxismo, dopo una bohème nichili- stica e anarchica, era un fatto compiuto da almeno tre lustri. Aveva adottato la “filosofia della prassi” come uno strumento critico per decifrare il mondo. Non suonò mai il piffero della rivoluzione. Si impegnò, invece, a smontare certi meccanismi che governavano il funzionamento della società borghese. Solo nel Cerchio di gesso assunse un atteggiamento costruttivo e ottimistico. La felice conclusione della storia di Gruscha rimanda al prologo (tagliato nel nuovo adattamento voluto da Benno Besson, ndr) che si svolge, in epoca contemporanea, in Unione Sovietica, dove due comunità in contrasto si accordano perché le terre vengano assegnate a chi ne ricaverà una maggiore utilità sociale. Insomma, il bene comune trionfa, e Brecht sembra quasi credere che, nell’URSS del 1944, viga un ordine giusto e i dissidi possano conciliarsi applicando la virtù della ragionevolezza. È un punto di vista imbarazzante oggi. Inoltre lo schema del teatro nel teatro, in cui si inquadra la storia di Gruscha, ha perso la sua seduttività ed è scaduto in abusato cliché. Per noi, invece, posteri del “povero B.B.”, ha acquistato maggiore importanza la componente fantastica, anzi favolistica, che trova nell’ambientazione in una dimensione esotica il veicolo più appropriato. Di qui deriva al testo un meditato incanto, una incisiva essenzialità di tocco e una mirabile maturità d’invenzione poetica. Questa sapiente leggerezza, in alcuni episodi trascolorante in franca comicità, non stona con i calamitosi tempi, traboccanti sangue e vio- lenza, che flagellano gli antieroi brechtiani. Lo stile epico, con la plasticità particolarmente adatta a raccontare, come in un romanzo, un lungo concatenarsi di eventi, di cui le peripezie di Gruscha e Azdak sono parte, consente di ridere anche delle cose tragiche perché, come avvertiva Brecht, se ne sentono i limiti ed è possibile criticarli. Eugenio Buonaccorsi Nelle foto: alcune scene di Il cerchio di gesso del Caucaso durante le prove con le maschere ancora provvisorie (continua da pag.1) ancora una volta assieme ai “suoi” attori, a iniziare da Lello Arena, Daniela Giordano, Orietta Notari, Paolo Serra e molti altri. Se a questo marzo al Duse e alla Corte tutto targato Teatro di Genova si aggiunge la fortunatissima tournée de L’amore delle tre melarance di Gozzi-Sanguineti per la regia di Besson, e inoltre la contemporanea presenza a Roma e a Milano, con tournées incrociate e con grandissimo successo, de L’ispettore generale di Gogol per la regia di Langhoff con Pagni e Ferrini e Quel che sapeva Maisie di James, regia di Ronconi con Mariangela Melato, si può vedere come il Teatro di Genova faccia tutto il possibile (almeno crediamo) per meritarsi quel ruolo di preminenza nella cultura teatrale italiana che, a detta di altri, ci compete. E questo è anche il nostro contributo per poter affermare, e non solo nel prossimo anno, che Genova ancora oggi è, come è stata nel tempo, una delle capitali europee della cultura. Carlo Repetti TGE12503 Giornale n°11 3 12-03-2003 11:03 Pagina 3 Il cerchio di gesso del Caucaso al Teatro Duse B ENNO B ESSON : “C HI HA CONOSCIUTO B RECHT SA CHE IL DIVERTIMENTO ERA PER LUI ESSENZIALE ” Il teatro è un gioco affascinante Lei lavorava al Berliner Ensemble quando, nel 1954, Brecht mise in scena Il cerchio di gesso del Caucaso e poi ne ha curato personalmente la regia due volte: nel 1978, a l’Atelier Théâtral de Louvains-la-Neuve in Belgio e, nel 2001, al Théâtre Vidy di Losanna. Che cosa rappresenta per lei questo terzo allestimento? Dover rispondere a delle nuove domande. Il difficile è che solo il lavoro sul palcoscenico mi potrà insegnare qualcosa. Nel 1954, Brecht seguiva le ipotesi di lavoro di Brecht. Nel 1978, io ho cercato di attenermi a queste stesse ipotesi. Ma il mondo odierno non è più quello del 1978 e con gli ultimi sviluppi della società capitalistica patriarcale, con l’esplosione tecnologica, con la globalizzazione, l’“era scientifica” sognata da Brecht ha rivelato il suo volto concreto. Oggi si guarda in modo molto diverso al progresso della scienza e della tecnologia. L’interesse per la lotta di classe persiste, ma oggi non si può più ignorare l’essenziale presenza della “lotta dei sessi”. Nei suoi spettacoli c'è una continua alternanza di comico e di tragico, da dove deriva tutto questo? È stato Hegel a distinguere una comicità “in sé” da una comicità “per sé”. Nel primo caso - come accade, ad esempio, nella maggior parte delle opere di Molière - la comicità s’identifica con la pura e semplice rappresentazione della realtà. È la commedia dei caratteri: il mondo è tutto là, agisce sul palcoscenico e si ride di qualcosa che non ci coinvolge immediatamente. Nel caso di una comicità “per sé”, quale quella di Aristofane, è invece la relazione tra il palcoscenico e il pubblico che conta soprattutto: la stilizzazione scompare, in favore della perfetta coincidenza della finzione scenica con la realtà di quel complesso insieme rappresentato dal testo, dagli attori, dalla scenografia e dal pubblico. Cioè, dal teatro stesso, il quale è sempre, inesorabilmente, una finzione; ma, quando è ben fatto riesce a far sì che quello che accade sul palcoscenico coinvolga tutta la realtà dello spettatore: commuoverlo, divertirlo, farlo pensare, appun- to. È nel “per sé” che il comico e il tragico cessano di essere dei distinti, convergono e diventano solo vero teatro. È questa una concezione del teatro che nasce dal suo lungo sodalizio con Brecht? Chiunque abbia conosciuto Brecht può testimoniare che il divertimento era per lui essenziale. Se una messa in scena, affermava sovente, non era in sul palcoscenico. Il che ovviamente non vuol dire che non abbia delle linee chiare da seguire. Non amo assolutamente le prove a tavolino e voglio andare subito sul palcoscenico: possibilmente già con tutto ciò che vi sarà durante la rappresentazione, dalla scenografia ai costumi, dalle luci alle musiche, a tutta l’attrezzeria. Solo così si evita di essere registi visionari e Nelle foto: Benno Besson dirige gli attori di Il cerchio di gesso del Caucaso grado di procurare piacere voleva dire che qualcosa in lei non funzionava. Il piacere del teatro non ha nulla a che fare con le teorizzazioni accademiche: consiste nell’apprendere qualcosa e nello stesso tempo dimostrare che questo processo di apprendimento avviene nella gioia e nel divertimento. Non c’è mai nulla di punitivo nel teatro di Brecht. Qual è il suo modo di lavorare sul palcoscenico? Io sono un regista che lavora innanzitutto con gli attori: non ho idee preconcette da imporre di illuderci che tutto il teatro possa già esistere nella nostra testa. Io non sono un visionario. Non ho mai la visione di ciò che voglio realizzare. La concretezza del teatro, per me, nasce solo dal lavoro sul palcoscenico. È questo l’unico modo in cui so lavorare, mi piace lavorare, credo che valga la pena di continuare a lavorare. Che cosa è il teatro per lei? Il mio modo di intendere il teatro non è fatto di “punti di vista”, di “progetti a priori” o di “teorizzazioni”. Ovviamento ho delle opinioni: a volte anche opi- nioni molto radicali; ma il teatro che faccio non è mai illustrazione di queste opinioni. Credo che il fondamento del teatro sia sempre l’osservazione della realtà. Anche quando si ha a che fare con personaggi assolutamente lontani dalla realtà, è sempre la realtà che viene messa in gioco dalla loro rappresentazione. Il teatro che mi interessa non è un'imitazione più o meno deformata della realtà, ma è un gioco con la realtà stessa. Il teatro mette in gioco la realtà, non si limita a rappresentarla. Evidentemente bisogna che lo spettatore riconosca ciò che viene messo in scena, ma la realtà non è mai l'oggetto essenziale della rappresentazione teatrale. L'imitazione non c'entra. Così come non mi interessa l'ironia, non mi interessa neppure un teatro psicologico che tenda a imitare l'individuo. Non credo che si debba partire da una visione o da un'idea per fare del teatro. Le idee sono necessarie, ma sono anche sempre difettose. È per questo che preferisco lavorare subito in palcoscenico. L'attore scopre la realtà del proprio personaggio momento concreto dopo momento concreto. E anch'io, che pur inizio sempre le prove credendo di conoscere bene il testo, scopro e riscopro i personaggi solo via via che essi si trasformano secondo la natura degli attori. È questo il fascino del teatro. Il teatro è un gioco. O, almeno, io faccio teatro perché vi si può giocare. Il teatro mi permette di rimanere bambino e di continuare a imparare giocando. È il massimo che si può desiderare. L'ideale sarebbe, poi, di riprodurre questa urgenza esistenziale in giochi razionalmente più strutturati, anche se non necessariamente migliori, di quelli infantili. Il gioco è un settore del mondo dei sogni. Esso appare tanto più semplice, quanto più è complesso. Proprio come il teatro. So benissimo che rispetto ai fatti della vita, il gioco del teatrante è sempre un gioco semplificato. Ma io amo giocare. E credo di aver giocato tutta la vita. antologia di dichiarazioni rilasciate da Benno Besson compagnie ospiti MISERIA E NOBILTÀ ACOUSTIC NIGHT 3 di Eduardo Scarpetta Corte, 1 / 8 aprile Corte, 15 e 16 aprile Due serate con quattro virtuosi della chitarra acustica. Con Beppe Gambetta, suonano lo statunitense Dan Crary, lo scozzese Tony McManus e il canadese Don Ross. Una delle opere più celebri del teatro partenopeo, esaltata dal ricordo dell’omonimo film con Totò. Fame, travestimenti e gioia di vivere in uno spettacolo diretto e interpretato da Carlo Giuffré. VOLPONE di Ben Jonson Corte, 8 / 13 aprile GLI ALBUM DI MARCO PAOLINI PARLAMENTO CHIMICO Corte, 25 / 30 marzo di Marco Paolini e Francesco Niccolini Sala Chiamata del Porto, 31 marzo Una settimana con il teatro di affabulazione di Marco Paolini, il quale porta alla Corte (a sere alterne) due dei suoi celebri Album, dedicati alla memoria degli anni Settanta (Aprile ’74 e ’75) e Ottanta (Stazione di transito), e al Porto la storia dell’inquinamento di Marghera (Parlamento chimico). marzo / aprile 2003 Una terribile farsa in cui una risata feroce graffia il volto di una società dominata dal Dio denaro. Un classico post-elisabettiano. Con Glauco Mauri e Roberto Sturno. LA NEMICA di Dario Niccodemi Duse, 6 / 11 maggio Una delle opere più famose del teatro italiano del primo Novecento, cavallo di battaglia di tante celebri attrici. Un “classico” a forti tinte, indossato ora da Valeria Moriconi. TGE12503 Giornale n°11 4 12-03-2003 11:03 Pagina 4 La storia immortale al Teatro della Corte Verso la metà dell'Ottocento, vive a Macao Mr. Clay, un vecchio e ricchissimo mercante. La grande e bella casa dove abita era appartenuta al suo socio Mr. Ducrot, che fu costretto a svenderla all’avaro e avido Mr. Clay. Egli pretende che il suo commesso Elishama lo intrattenga tutte le sere leggendo gli unici libri che conosce: registri contabili, raccolte di contratti, vecchi preventivi d’azienda. Una sera Mr. Clay dice al commesso di aver sentito parlare anche di altri libri, che raccontano “storie” e così Elishama gli legge un brano del profeta Isaia. Mr. Clay, che non apprezza le profezie, narra a sua volta una storia che ha sentito raccontare su una nave diretta in Oriente: un giovane marinaio viene avvicinato da un ricco signore e persuaso ad andare nella sua bella casa, con la proposta di passare una notte con la sua bellissima moglie; in cambio il marinaio riceverà cinque ghinee d’oro. Elishama fa presente al suo dispotico padrone che quella storia la raccontano da sempre tutti i marinai, ma è solo una proiezione dei loro sogni: non è mai accaduta. Mr. Clay decide allora di darle realtà, e così ordina al commesso di cercare i personaggi per far vivere concretamente quel racconto. Elishama trova come protagonista femminile Virginia, figlia di Ducrot, e un biondo marinaio danese come protagonista maschile. Entrambi accettano la proposta e fanno rivivere l’antica leggenda, mentre Mr. Clay spia soddisfatto il mondo creato dalla sua volontà. Ma nella realtà non tutto finisce come da lui previsto. AUTOIRONIA DI KAREN BLIXEN (continua da pag. 1) È per questo che nella sua produzione esistono due correnti di eguale intensità, rappresentate da un lato dal filone autobiografico, basato sull’esperienza africana scaturita da una dura realtà ma consegnata al mito con una narrazione fortemente simbolica, e dall’altro da una produzione narrativa popolata di personaggi che come Pellegrina Leoni dei Sognatori, la grande cantante che aveva perso la voce come la Blixen aveva perso la fattoria, dalla realtà biografica attingono linfa, o che come Mr. Clay - il protagonista della Storia immortale - cercano di ricondurre alla realtà ciò che della storia fa parte e nella storia dovrebbe restare, in un costante gioco di specchi simbolicamente sottolineato nel racconto e nella messinscena ora presentata al Teatro della Corte.«È una terribile esperienza, per un narratore, scoprire che la sua storia è vera», scriveva Karen Blixen nel 1954 nel racconto Il pescatore di perle, ma ciò che invece avviene - ciò che può avvenire - quando un essere umano, in un impeto di onnipotenza, si mette in testa di trasformare un’invenzione in un fatto realmente accaduto, è il nucleo della Storia immortale, il racconto preferito dalla scrittrice danese fra i suoi testi più tardi, quelli faticosamente composti negli anni Cinquanta, pochi anni prima della morte. La struttura quasi teatrale del testo, caratterizzato da un’atmosfera intima, ambientato quasi totalmente fra le quattro pareti di una ricca dimora di Canton e basato come pochi altri della Blixen sul potere della parola e sul valore simbolico dell’enunciato dei suoi protagonisti, ruota intorno a uno schema estremamente semplice: un ricco mercante inglese, Mr. Clay, vecchio e malato, abi- tuato ad attribuire valore di testo scritto unicamente ai dati reali della sua contabilità, scopre con disappunto l’esistenza di resoconti di storie mai avvenute, che nella loro essenza fantastica non lasciano a nessuno il potere di influenzare il loro corso. In particolare è colpito quando apprende che una storia che credeva vera - quella del marinaio che viene pagato dal vecchio ricco affinché giaccia con la moglie e gli procuri l’erede che egli non è in grado di dare a se stesso - è solo una fan- tasia, e così decide di renderla reale per affermare il suo potere, e con l’aiuto del commesso Elishama assolda i personaggi, un giovane marinaio e una donna, e ordina loro di trasformare la fantasia in realtà. L’esito, come è naturale - e come Karen Blixen sapeva bene - è molto più fantastico della storia stessa, e il sentimento che nasce fra i due giovani impedisce la realizzazione dei piani del vecchio. Il tema, come si è detto, non è nuovo nella produzione di Karen Blixen, nella quale rappresenta anzi uno dei nuclei ricorrenti, anticipato qualche anno prima nel Poeta e ripreso con toni fortemente autobiografici in Echi - in cui Pellegrina Leoni cerca di plasmare secondo la sua volontà la vita del piccolo Emanuele -, ma anche in Ehrengard, la «conclusione trionfale» della sua opera narrativa, il breve romanzo in cui il seduttore è sedotto e l’inganno si ritorce contro l’ingannatore. Ma il tema non è nuovo anche nella realtà della Blixen, che dell’intreccio di arte e vita, pro- prio in quegli anni, aveva cercato di riportare gli schemi anche nel suo rapporto con il giovane poeta Thorkild Bjørnvig - e in fondo con la vita nel suo complesso - il quale più tardi definì l’esperienza «un’idea brillante finché rimane legata alla storia», ma «se la estendiamo alla vita, diventa fatalmente errata». E di questo la grande scrittrice era cosciente, perché proprio nella Storia immortale dimostra di sapere bene quanto fosse assurda l’ambizione di eliminare il confine fra la vita reale e la fantasia: «Eppure le linee di un disegno corrono talvolta in senso inverso a quello che si crede. Come in uno specchio» afferma Elishama rivolto a Virginie, anticipando simbolicamente quella che sarà la conclusione della storia. Perché una sorta di autoironia della Blixen, che rivela così di aver compreso il pericolo di questa visione della vita e del mondo, riesce a trasformare il racconto in una delle sue opere più compiute e più perfettamente strutturate. Bruno Berni DALLA DANIMARCA ALL’AFRICA, E RITORNO Vita avventurosa di una scrittrice 1885 Karen Dinesen nasce a Rungstedlund (Danimarca) il 17 aprile figlia primogenita di Wilhelm e di Ingeborg Westenholz. 1903/1906 Frequenta l’Accademia di Belle Arti di Copenhagen. 1907 Con lo pseudonimo di Osceola, debutta come scrittrice dei racconti Gli eremiti e L’aratore. 1909 Pubblica La famiglia de Cats con lo stesso pseudonimo. 1910 Soggiorna a Parigi per studiare pittura. 1912 Viaggia con il fratello Thomas e soggiorna a lungo anche a Roma. In dicembre si fidanza con il cugino di secondo grado Bror von Blixen-Finecke, suo coetaneo. 1913 Primo viaggio nell’Africa Orientale Inglese, dove il fidanzato ha acquistato la fattoria M’Bagathi. 1914 Sposa a Mombasa Bror Blixen. 1915 Scrive in Danimarca le poesie Ex Africa. 1916 Compera la fattoria M’Bogani e vi si trasferisce. 1918 Incontra a Nairobi Denys Finch-Hatton. 1921 Si separa dal marito. 1923 Inizia a scrivere il saggio Il matrimonio moderno. 1926 Con il suo vero nome, pubblica la commedia di marionette La rivincita della verità. marzo / aprile 2003 che predilige l’intimità 1931 È costretta a vendere la fattoria africana a causa del suo fallimento. Denys Finch-Hatton precipita con il suo aereo il 14 maggio. Il 31 agosto, Karen torna in Danimarca. 1934 Pubblica a New York e a Londra Sette storie gotiche, con cui ottiene fama mondiale. 1937 Esce in Danimarca, e poi anche in Inghilterra e negli Stati Uniti, La mia Africa. 1940 Da Berlino, scrive Lettera da un Paese in guerra. 1942 Pubblica Racconti d’inverno. 1944 Con lo pseudonimo di Pierre Andrézel, pubblica I vendicatori angelici. 1957 Pubblica Ultimi racconti. Diventa membro onorario dell’Accademia Americana. 1958 Pubblica la raccolta Capricci del destino, che contiene tra l’altro il racconto La storia immortale. 1959 Soggiorna negli Stati Uniti. 1960 Pubblica Ombre sull’erba. 1961 Soggiorna a Parigi. 1962 Il 7 settembre muore a Rungstedlund. “La Storia” di Orson Welles Il grande regista la portò sullo schermo nel Sessantotto Tratto dal racconto Storia immortale di Karen Blixen contenuto in Capricci del Destino (1956), il film di Orson Welles si può considerare una sorta di suo testamento artistico. «…Quando si vuole qualcosa al punto di non poterne fare a meno se non si riesce ad ottenerla è tremendo, ma quando la si ottiene diventa ancora più tremendo…»: aggiungendo questa battuta al racconto, Welles riflette sulla vanità e sul senso di morte che è in ogni azione umana e in particolare sulla presunzione di dare realtà ai sogni. Mr. Clay non è altri che un regista cinematografico che vuole corrompere la purezza dell’immaginario ed è destinato al fallimento. Comperare le favole e riempirle di realtà è un atto feroce di violenza che interrompe la catena ciclica della fantasia e arresta la libera indeterminatezza del possibile. Interpreti della messinscena sono Virginie (Jeanne Moreau), la figlia dell’uomo che l’avido Mr. Clay (Orson Welles) ha spinto al suicidio, e l’ignaro marinaio Paul (Norman Eshley). Il film, girato in inglese in Spagna nel 1966 e coprodotto dalla televisione francese, dura sessanta minuti ed è messo in scena in forma essenziale in una scenografia allusiva ed austera. La relativa semplicità del film è conforme allo stile della Blixen, caratterizzato da una prosa evocativa. Il risultato è una “miniatura ammirevole”, un film “piccolo, finissimo, che ha l’incanto di una favola romantica raccontata a bassa voce una sera d’inverno”, dove alcuni fra i temi più cari al regista vengono riproposti e concentrati su scala ridotta. Il marinaio e la donna sono gli attori di una “storia immortale” che interpretano con la delicatezza di chi non vuole occuparne totalmente il senso, perché come dice il segretario Levinsky (Roger Coggio) «nessuno ha il diritto di impadronirsi di una storia che la gente ha inventato e racconta, e fare in modo che si avveri». La storia del vecchio signore e del marinaio riacquista l’ordine della ripetizione simbolica e la favola si rende ancora disponibile alla fantasia dei marinai infrangendo la rigida certezza di un “fatto” che vorrebbe totalizzarne il significato. Fuori del “testo”, e quindi in relazione all’opera di Welles, Storia immortale rivela l’eterno ritorno di un modello simbolico: il “realizzatore” e l’imperfetta circolarità dell’autarchia. Personaggi dell’opera di Welles quali Kane, Haki, Arkadin, Quinlan rappresentano con diverse maschere la sua vocazione demiurgica. Il personaggio allude al regista e l’ostentazione del trucco, l’esibizione del travestimento che si “sposta” continuamente alla ricerca di un’immagine fisica, esorcizza l’ossessione totalitaria dell’autore. La brevità della pellicola non impedisce a Storia immortale di essere uno dei film più belli ed importanti di Welles, che per la prima volta usa il colore (la fotografia è di Willy Kurant) e rappresenta l’amore fisico: nessun realismo greve e nessun facile simbolismo. Marco Salotti Nelle foto: in alto a sinistra Karen Blixen nel 1962; al centro Gabriele Lavia e Carlo Cecchi in un momento dello spettacolo; sopra due scene del film di Orson Welles TGE12503 Giornale n°11 5 12-03-2003 11:03 Pagina 5 La storia immortale al Teatro della Corte G A B R I E L E L AV I A : “O G N I S E R A T O R N O A S T U P I R M I D E L L A T E AT R A L I T À D I Q U E S TA S T O R I A ” Tutta la vita in un racconto La storia immortale giunge sul palcoscenico della Corte dopo un lungo rodaggio in tanti teatri italiani, dove lo spettacolo è sempre stato accolto con grande successo, sia di critica che di pubblico. «Avevo molta paura» osserva Lavia, «pensando al modo in cui avrebbe potuto essere accolto questo spettacolo, in cui in fin dei conti non succede mai nulla di clamoroso e ciò che veramente conta sul palcoscenico sono solo degli attori che dicono delle battute e che raccontano una storia fatta essenzialmente di parole. Invece, è accaduto che sin dalla “prima”, e poi sera dopo sera, non cesso mai di sorprendermi della partecipazione e dell'interesse dimostrati dal pubblico, il quale esce da teatro sempre molto contento, se non altro perché ha sentito narrare una bellissima storia che non conosceva». Come sottolinea Lavia, sono infatti pochissimi coloro che vanno a teatro avendo già letto il racconto della Blixen: molti più quelli che poi vanno in libreria ad acquistarlo. «Ma poi» sorride il regista-attore, «perché dovrei sorprendermi della capacità comunicativa di questo spettacolo con il pubblico: una bella storia e degli attori che la raccontano su un palcoscenico senza fare tante storie, non è questa l'essenza stessa del teatro?». Molto fedele allo svolgimento narrativo del racconto della Blixen, il testo teatrale di Gabriele Lavia ne porta in primo piano la struttura a scatole cinesi, lasciando che un racconto nasca via via dentro all'altro e facendo in modo che il suo punto di forza drammaturgica si esplichi soprattutto nel rapporto tra i due protagonisti, interpretati da due dei maggiori interpreti della scena italiana. «Dapprima nel lavoro di drammaturgia e poi in quello di messa in scena» dice Lavia, «ho sempre tenuto ben presente il modello classico della coppia composta da un personaggio e dal suo parassita. Come Otello e Jago o Volpone e Mosca o anche Stanlio e Ollio, il capitalista Mr. Clay e il servo Elishama non possono fare a meno uno dell'altro. Clay si fa servire e sovente maltratta Elishama, che è un suo dipendente, ma nello stesso tempo dipende sempre più da lui, che gli fa i massaggi, lo aiuta nelle necessità della vita quotidiana, fa in modo di dare concretezza ai suoi desideri. Quello che s’instaura tra loro è un rapporto teatralmente molto forte che affonda le proprie radici nella drammaturgia elisabettiana e, da qui, si promarzo / aprile 2003 paga ancora più in profondità nella storia». Tutto bene, dunque? Il pubblico genovese vedrà uno spettacolo al suo meglio? «Faremo il possibile», conclude Lavia. «Ma a teatro non c'è mai nulla di certo e ogni rappresentazione deve essere vissuta come la prima volta. Per questo, anche se mi sembra che lo spettacolo si sia mantenuto molto bene nel tempo, ritorno sovente a metterlo in prova. Durante le repliche di uno spettacolo, e quindi anche di La storia immortale, ci sono sempre cose che si approfondiscono e altre che si usurano. È su queste ultime che bisogna costantemente vigilare, preoccupandosi di mantenere coerente il percorso dei personaggi e rinfrescando giorno dopo giorno il mondo delle intenzioni. Durante le repliche, a furia di fare sempre le stesse intonazioni, può succedere che ci si dimentichi perché si aveva scelto proprio quelle. Ed è questo recupero di consapevolezza che si può fare solo provando e riprovando, confrontandoci tra noi stessi oltre che con il pubblico». a.v. Nelle foto: Gabriele Lavia e Carlo Cecchi in La storia immortale a destra in basso tre momenti delle prove di Filottete alla Fiera del Mare di Genova compagnie ospiti ASPETTANDO “FILOTTETE” Con la regia di Matthias Langhoff, sono iniziate le prove della tragedia di Heiner Müller L’uomo di Arimatea di Mario Bagnara al Teatro Duse dal 9 al 16 aprile Perché L’uomo di Arimatea? I Vangeli ufficiali citano Giuseppe di Arimatea esclusivamente per un gesto: avere chiesto a Pilato il corpo di Gesù e messo una tomba di sua proprietà a disposizione per garantirgli una sepoltura dignitosa. Di lui viene detto che era persona benestante e rispettata, faceva parte del Sinedrio e simpatizzava, con discrezione, per Gesù. Possibile che un uomo giusto, rispettato e capace di un simile gesto, che equivaleva a una sfida rischiosissima, non si fosse, già prima, adoperato per salvarlo? Ho ritenuto, profondamente creduto il contrario; e la storia immortale ho lavorato a scandagliare, tentare di connettere e ricostruire i retroscena di quei giorni, lasciando gli eventi più famosi come sfondo. Un altro non piccolo interrogativo riguarda la fede dei cristiani: in questo caso dei primissimi, che frequentarono e amarono Gesù, ma onestamente, chi può dire che noi saremmo stati meglio di loro? I fatti dimostrano che averlo amato e frequentato non bastò. Già i vangeli ufficiali evidenziano, senza possibilità di equivoci, la desolante inconsistenza della fede di tutti - o quasi - i suoi seguaci. Mario Bagnara Alla fine di gennaio scorso, si è riunita alla Fiera del Mare la compagnia del Filottete di Heiner Müller, ultima produzione stagionale del Teatro di Genova. Nel Padiglione C era stata approntata la struttura ad anfiteatro che, nel maggio prossimo, accoglierà lo spettacolo sul palcoscenico della Corte con una scenografia molto suggestiva. Il regista Matthias Langhoff e gli interpreti Jurij Ferrini, Antonio Zavatteri e Federico Vanni hanno così iniziato le prove dello spettacolo, alla presenza del traduttore del testo, Peter Kammerer. Le prove sono poi proseguite nel corso della tournèe di L’ispettore generale. Liberamente ispirata a Sofocle, la tragedia di Müller racconta il dramma dell’arciere Filottete: eroe sventurato e avvilito, tormentato dal dolore delle carni e roso dal rancore nei confronti di coloro che lo hanno abbandonato sull’isola di Lemno con la gamba putrescente per il morso di un serpente, e che ora lo rivogliono tra gli Achei per poter espugnare la città nemica. Heiner Müller ha rivisitato questo grande personaggio teatrale, coniugando il tema dell'emarginazione e della solitudine del "diverso" con la condanna senza attenuanti della guerra, di tutte le guerre, che imbestiano gli uomini e soffocano in loro anche la più flebile parvenza di dignità e di decenza. TGE12503 Giornale n°11 12-03-2003 11:03 Pagina 6 Dalla scuola alla scena 6 “Cerchio” di emozioni e ricordi Questa volta l'incontro avviene in casa, con quattro ex allievi della Scuola di Recitazione che, dopo di essere stati tra i protagonisti della lunga tournée di L'amore delle tre melarance, tornano con Il cerchio di gesso nel Caucaso a recitare in una produzione del Teatro di Genova. Testimonianza del particolare legame che, da sempre, unisce questo Teatro agli allievi della sua scuola. Tutti poi scelgono come si conviene la loro strada, partono per nuove esperienze professionali; ma quando fanno ritorno, ciò avviene sempre con la particolare emozione di un ritorno a casa, con tutto il suo inevitabile bagaglio di aneddoti e di ricordi. ORIETTA NOTARI PAOLO SERRA «Attore per gioco» «Che fatica la prima tournée» marzo / aprile 2003 Orietta Notari si è diplomata alla Scuola di recitazione del Teatro di Genova, ha avuto numerose esperienze teatrali e ha partecipato a diverse produzioni dello Stabile (da I due gemelli rivali di Farquhar con la regia di Marco Sciaccaluga nel 1981, a L’amore delle tre melarance di Sanguineti con la regia di Benno Besson nel 2001), con il quale adesso ritorna al Duse. Che percorso l’ha portata a frequentare la scuola di Genova? Volevo fare l’attrice e avevo deciso di iscrivermi a una scuola di recitazione. Provai quindi ad entrare in quella dello Stabile e fui presa. Per me è stata un’esperienza fantastica, molto importante. Quella di Genova è un’ottima scuola e ti dà un buon bagaglio. All’inizio è stato difficile ma la scuola mi ha anche aiutata a superare alcune timidezze. Il teatro non è terapeutico, però lavorare con un materiale così bello ti mette di fronte alle tue difese, alle tue I servizi NOICOM, un vero spettacolo! resistenze, e devi cercare di superarle per andare avanti. E poi com’è stato l’incontro con il mondo del lavoro? Solo quando inizi a fare questo lavoro ti rendi conto di che cos’è. Il Teatro di Genova, però, è davvero un po’ come una famiglia e all’inizio si è aiutati molto. Più duro è stato l’impatto con la prima tournée, in Re Lear: è stato molto faticoso. Finché non fai una tournée non sai che cosa significa: è come salpare su una nave per un lungo viaggio in mare, senza sapere dove vai, con compagni che non hai scelto ma con i quali devi imparare a convivere, e ogni sera è un’avventura diversa. Comunque questo è un lavoro meraviglioso, sempre nuovo, e che ti costringe ad essere umile. Che cosa le ha insegnato la scuola, oltre alla tecnica? A coltivare una grande capacità di attenzione per il proprio lavoro, ad ascoltare e a saper vedere il lavoro degli altri e, quindi, a vedere meglio anche il proprio, e a saper leggere i testi. Io credo che, tranne qualche eccezione, oggi sia necessario frequentare una scuola di recitazione per fare questo mestiere. Una volta era diverso, c’era la possibilità d’imparare, con gradualità, nelle compagnie, ma adesso senza una scuola che t’insegni ad affrontare tanti testi diversi, è molto difficile. Le sembra che l’atteggiamento e le aspettative di chi va a teatro siano cambiate negli ultimi anni? Mi sembra che ci sia un pubblico che vuole soprattutto divertirsi e un altro più “impegnato”, che segue il teatro di prosa ed è più interessato alle proposte culturali. Io trovo poi che ci sia una parte di pubblico giovane molto amorevole, e mi pare che i ragazzi abbiano anche le idee piuttosto chiare. Secondo lei che cosa contraddistingue il pubblico genovese rispetto a quello di altre città? È un pubblico molto serio, che se ne intende di teatro. Io sono genovese e lo avverto meno ma sento altri attori dire che, per questi motivi, non è semplice lavorare qui. Secondo me, però, a Genova c’è un terreno adattissimo per tentare qualsiasi esperimento. Già adesso è una delle città che hanno più proposte, da anni grandi registi di livello internazionale collaborano con lo Stabile e anche nelle altre realtà teatrali cittadine il ventaglio delle proposte è davvero ampio. pagina a cura di Annamaria Coluccia MARCO AVOGADRO «Quella volta che Orietta e io...» Il debutto a diciotto anni con Carlo Cecchi, in Il borghese gentiluomo, poi il provino alla Scuola di Recitazione del Teatro di Genova, con un testo tradotto, personalmente, dal greco moderno. E’ iniziata così, in modo piuttosto inconsueto, la carriera teatrale di Marco Avogadro, che affianca l’attività di attore a quella, prevalente, di assistente alla regia, soprattutto per il Teatro di Genova. A fare l’attore ci aveva pensato fin da bambino e alla Scuola dello Stabile approdò dopo aver già fatto l’esperienza di una tournée teatrale con Cecchi: «Dopo quella tournée mi era rimasta la voglia di imparare e così tentati di entrare nella scuola: la prima volta non fui preso, poi ritornai con una mia traduzione di un testo dal greco moderno e ce la feci». Della scuola parla come di «un’esperienza positiva, soprattutto perché si impara a lavorare con gli altri e con dei maestri», ma un episodio in particolare gli è rimasto impresso di quegli anni: «La prima volta che feci una scena assieme a una mia compagna, Orietta Notari, e in cui riuscimmo a far ridere i nostri compagni di classe che ci guardavano. Il riso - sottolinea Avogadro - è la reazione più immediata e consente di avere subito la percezione dello stato d’animo del pubblico. Noi ci eravamo preparati e ci divertimmo molto ma quella reazione fu del tutto inaspettata». ROBERTO SERPI MARK&THING Per Paolo Serra l’incontro con il teatro è avvenuto «per gioco, per non studiare», nel 1978. «Avevo finito da poco il liceo scientifico - racconta - e mi sono imbattuto in un mio amico che mi ha proposto di provare ad entrare nella scuola di recitazione dello Stabile. Io avevo recitato qualche volta a livello amatoriale ma non avevo mai pensato che quella potesse diventare una professione. La cosa, però, mi incuriosì, partecipai alla selezione, mi presero e iniziai». Contemporaneamente Serra s’iscrisse anche alla facoltà di Lettere e Filosofia ma per dare soltanto tre esami in tre anni. Già alla fine del primo anno di scuola, infatti, il regista Marcello Bartoli, dopo un seminario, chiese di poter utilizzare lui e un suo compagno di classe, Ugo Dighero, nel Gruppo della Rocca. «Così all’inizio del secondo anno incominciai a lavorare con loro nello spettacolo L’azzurro non si misura con la mente» racconta Serra. «Lasciai la tournée della Donna serpente, prodotta dal Teatro di Genova, terminai faticosamente il secondo anno di scuola e detti sempre a Marcello Bartoli la responsabilità di avermi fatto fare questa professione. Mio padre mi chiese se mi mettevano in regola e quando gli dissi di sì ebbi anche l’avallo paterno». L’impatto con il mondo del lavoro, tuttavia, è stato graduale: «Mi sono fatto le ossa poco a poco, incomiciando a fare la comparsa e poi interpretando via via ruoli più impegnativi. La scuola mi ha aiutato a capire che cos’è il teatro, oltre ad insegnarmi la tecnica. Ho imparato ad ascoltare gli altri prima di rispondere. Questo è un insegnamento importantissimo che mi porto dietro: in scena è fondamentale avere l’umiltà di ascoltare e rispondere a tono, non pensare mai di essere autosufficienti. Sta proprio qui il senso dell’essere attore (a meno che, ovviamente, non si debbano interpretare dei monologhi) e forse solo una scuola te lo può insegnare, perché si fanno esercizi specifici e anche per il tipo di rapporto che si ha con gli altri». In questi anni Serra ha lavorato con il Teatro di Genova e con altre compagnie e ha partecipato anche a produzioni televisive e cinematografiche. E, dal palcoscenico, osserva le reazioni di un pubblico che appare sempre più “contagiato” dalla televisione: «La gente è abituata a cambiare canale quando si annoia e sempre più disabituata a mantenere la concentrazione per molto tempo». «A teatro aggiunge - le reazioni del pubblico sono molto legate all’età. A questo elemento generazionale si aggiungono poi le caratteristiche tipiche di ogni città». E quella del pubblico genovese, secondo Serra, è di essere molto equilibrato e, proprio per questo, può essere considerato una “cartina di tornasole” attendibile per giudicare gli spettacoli. «Il Teatro di Genova - sottolinea - è uno dei pochi ad aver sempre coltivato il rapporto con i giovani: qui, diversamente da altre città, si vedono molti ragazzi anche alle prime, grazie alle politiche che sono state fatte e che hanno abituato i giovani ad assistere agli spettacoli assieme agli adulti, e viceversa. Questo è un aspetto fondamentale: gli spettatori non devono essere selezionati per categorie omogenee, e credo che a Genova proprio l’eterogeneità del pubblico lo abbia aiutato a mantenere un giudizio sano». Le principali opzioni incluse nel servizio telefonico NOICOM che ricevono applausi a scena aperta in tutto il Nord-Ovest NOICOM ottimizza la gestione della telefonia dei Clienti che nel Nord-Ovest dispongono di più Sedi aziendali o residenze di vacanza anche temporanee, riunendo i costi di telefonia in un unico contratto ed un’unica fattura. Una indispensabile compagna di viaggio. Gratuita, la carta per telefonare ed accedere a servizi evoluti a tariffe agevolate da qualsiasi telefono fisso o cellulare in tutto il mondo, con addebito in fattura. traNOI Con il servizio traNOI, ogni Cliente può scegliere da 2 a 8 numeri di Rete Mobile tra quelli con i quali parla più spesso, e chiamarli usufruendo di una speciale tariffa ridotta. 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Per me la scuola di recitazione - spiega è quell’appartamento molto par- ticolare: era davvero suggestivo lavorare lì, con la gente sotto che urlava, c’era qualcosa di magico...». Quanto ai contenuti di quelle lezioni: «La scuola ti insegna la tecnica e ti dà i mezzi per poi affrontare il lavoro, quella scuola vera che inizia quando si comincia a lavorare con un pubblico vero. Per me il passaggio è stato abbastanza immediato ma solo dopo ci si rende conto, piano piano, di quello che succede realmente, e si prende coscienza di che cosa è questo lavoro». TGE12503 Giornale n°11 7 12-03-2003 11:04 Pagina 7 Idea di Europa al Teatro della Corte Cinque serate alla ricerca delle radici di una civiltà UN CICLO LUNGO VENT’ANNI I lunedì sera dedicati alle Grandi Parole hanno la loro preistoria al Teatro di Genova nella stagione 1983/84 quando, per iniziativa di Carlo Repetti, venne proposta la lettura integrale dei 34 canti dell'Inferno dantesco. Lo straordinario successo dell'iniziativa, portò nelle stagioni seguenti a continuare con il Purgatorio e con il Paradiso. La formula era sempre la stessa e di assoluta semplicità: prima l'introduzione di un relatore, poi la lettura di attori di primo piano della scena italiana. Ogni sera quasi mille spettatori, con alcuni tutto esaurito. Vennero poi, per due stagioni, le serate dedicate a Eugenio Montale. Quindi, nel 1996, prese il via la rassegna esplicitamente dedicata alle Grandi Parole dell'Umanità, proposte secondo una sempre nuova organizzazione tematica. I cicli delle Grandi Parole sono stati più volte invitati dall'ETI a essere replicati anche sul palcoscenico del Teatro Quirino di Roma. Questi i temi affrontati nelle ultime stagioni: 1996 Le parole e i giorni I grandi discorsi della storia dell'uomo 1997 Le parole e l'eternità Le pagine delle grandi religioni 1998 L'identità del Novecento Voci da un secolo breve 1999 Pro & Contro Grandi parole a contrasto 2000 Lo stato e il cittadino I grandi discorsi dell'Assemblea Costituente 2001 Voci del Mediterraneo Percorsi d'autore in un mare inquieto 2002 Le ragioni del Mito Grandi Parole alle radici della vita Alle serate delle Grandi Parole hanno partecipato quasi tutti i maggiori attori della scena italiana. Con il ruolo di relatori sono intervenuti: Lucia Annunziata, Giovanni Arpino, Attilio Bertolucci, Maurizio Bettini, Giorgio Caproni, Giulietto Chiesa, Franco Croce Bermondi, Guido Davico Bonino, Enrico Deaglio, Giovanni Filoramo, Anna Finocchiaro, Domenico Fisichella, Ernesto Franco, Paolo Giuranna, Margherita Hack, Lionello Lanciotti, Gad Lerner, Claudio Lojacono, Mario Luzi, Miriam Mafai, Maurizio Maggiani, Igor Man, Quinto Marini, Predrag Matvejevic, Gianni Mura, Giorgio Napolitano, Moni Ovadia, Mario Piantelli, Mario Pomilio, Carlo Rognoni, Sergio Romano, Edoardo Sanguineti, Oscar Luigi Scalfaro, Enzo Siciliano, Cardinale Giuseppe Siri, Luigi Surdich, Younis Tawfik, Massimo Teodori, Roberto Vacca, Gianni Vattimo, Stefano Verdino, Aldo Viganò, Luciano Violante, Gustavo Zagrebelsky. marzo / aprile 2003 Grandi Parole per l’Europa Iniziato con Voci del Mediterraneo e proseguito lo scorso anno con Le Ragioni del Mito, il viaggio nelle Grandi Parole dell’Umanità alla ricerca delle radici della nostra realtà contemporanea prosegue ora verso l’Idea di Europa. Un continente, un incrocio di culture e di popoli, una civiltà, una storia comune di conflitti e di alleanze, un progetto politico in via di realizzazione: l’Europa è tutto questo insieme, ma ci sono anche tante altre cose ancora che concorrono a formare la sua identità. Il progetto è quello di tracciarne un identikit. In cinque serate, caratterizzata ciascuna dalla presenza di un conduttore che ha un ruolo di primo piano nella cultura odierna e dalla lettura di attori scelti tra i più significativi della scena italiana. Avendo cura di portare sempre in primo piano sul palcoscenico della Corte la forza squisitamente teatrale dell’intrecciarsi di prospettive testuali anche molto diverse tra loro, affidate a voci narranti tese a trovarne un’originale sintesi sullo sfondo “anacronistico” e sempre ricco di fascino della comunicazione orale. E, proprio come si usa fare negli identikit, nel corso dei cinque incontri si procederà per angolazioni diverse e processi di avvicinamento successivo: dal mitico sfondo delle origini (Antonio Balletto), alla scelta di dare voce a chi l’Europa guarda dall’esterno o per appartenenza a una diversa matrice culturale o privilegiando lo sguardo del parente prossimo (Ernesto Franco); dall’indagine delle sue radici storiche (Franco Cardini) all’evocazione dei sogni, dei progetti e delle usurpazioni succedutesi nel corso dei secoli (Sergio Romano) e all’affacciarsi sulla realtà attuale e sulle attese del futuro (Miriam Mafai). Nessuna soluzione programmata, ovviamente. Ma solo cinque occasioni di riflettere sul passato e sul presente, sulla storia e sulla realtà, con i mezzi propri di un teatro aperto sul mondo, sulle sue idee, sui suoi drammi e, perché no?, anche sulle sue emozioni. Il ciclo Idea di Europa s’inserisce nell’alveo delle iniziative dedicate alle Grandi Parole dell’Umanità, che il Teatro di Genova organizza ormai da otto anni grazie anche al sostegno della Banca Carige. 3 marzo ore 20.30 10 marzo ore 20,30 17 marzo ore 20,30 24 marzo ore 20,30 31 marzo ore 17,30 ORIGINI E MITI INCROCI DI DIVERSITÀ IDENTITÀ DI UN CONTINENTE SOGNI, PROGETTI, USURPAZIONI REALTÀ E ATTESE Testi di Leopardi, Orazio, Coudenohove-Kalergi, Virgilio, Novalis e da La Bibbia, I Nibelunghi, Perceval il gallese Testi di Ibn Munqidh, Testi di Eschilo, Gibbon, Testi di Napoleone, Manzoni, Testi di Einaudi, Montesquieu, Tolstoj, Dostoevskij, Borges, Cadícamo, James, Hemingway, Cortázar Liutprando, Urbano II, Ibn alGiawzi, San Francesco, Lessing e dalla Donazione di Costantino Hugo, Agnelli-Cabiati, Spinelli, Hitler, Giscard d’Estaing Giovanni Paolo II, Thatcher, Saramago, Havel e dal Manifesto paneuropeo Attori: Laura Marinoni Omero Antonutti Attori: Gianpiero Bianchi Ugo Maria Morosi Attori: Valeria Moriconi Andrea Giordana Attori: Maddalena Crippa Eros Pagni Attori: Franca Nuti Giancarlo Dettori Relatore: Antonio Balletto Relatore: Ernesto Franco Relatore: Franco Cardini Relatore: Sergio Romano Relatore: Miriam Mafai Nasce a Genova, dove frequenta le scuole superiori. Subito dopo la guerra si trasferisce a Torino per studiare teologia. Da sempre legato agli ideali dell’impegno sociale e del messaggio cristiano, scopre la vocazione religiosa e sceglie la via del sacerdozio. Nel 1953, fa ritorno a Genova, dove per molti anni è protagonista della vita culturale non solo cittadina, trovandosi a volte anche in dissenso con le gerarchie ecclesiastiche. Dal 1966 al 1972 si autoesilia ad Albenga, a causa di alcuni dissensi con il vescovado. Tra le sue numerose attività hanno notevole importanza gli anni di direzione della casa editrice Marietti, che ha contribuito a indirizzare verso l’approfondimento di tematiche riguardanti l’integrazione culturale, elevandola a una delle realtà di dibattito più significative della città. Attualmente si occupa della difesa dei diritti dei più deboli ed è insegnante di teologia fondamentale. Numerose le sue pubblicazioni, che riguardano in modo particolare il rapporto tra il cristianesimo e la cultura islamica. Nasce a Genova, città nella quale compie gli studi e intraprende i primi passi nel campo editoriale, essendo tra l’altro uno dei fondatori della casa editrice Il Melangolo. Trasferitosi a Torino, inizia a lavorare per l’Einaudi, ricoprendovi diversi ruoli sino a quello attuale di Direttore editoriale. Ha insegnato Letteratura ispano-americana presso le Università di Genova e Siena. Collabora a diverse riviste ed è autore di numerosi saggi e traduzioni che hanno confermato la sua particolare attenzione per gli autori ispanoamericani, occupandosi in modo approfondito di autori quali Julio Cortázar, Juan Rulfo, Octavio Paz, Jorge Luis Borges, Alvaro Mutis, Mario Vargas Llosa. Appassionato cultore del tango argentino, vi ha dedicato ampie riflessioni anche in forma spettacolare. Scrittore, giornalista e operatore culturale, ha curato e pubblicato numerosi libri, tra i quali i racconti di Julio Cortázar per i tipi della Pléiade (1994). Presso Einaudi ha pubblicato Isolario (1994) e Vite senza fine (1999), romanzo con il quale ha vinto il Premio Viareggio. Nasce a Firenze. Laureato in Lettere presso l'Università della sua città natale, per qualche tempo è stato professore di scuola superiore; in seguito ha insegnato in diverse università anche straniere, quali, ad esempio, quelle di Middlebury, di Barcellona e di Parigi. Divenuto Professore Ordinario, dal 1985 al 1989 ha insegnato Storia Medievale all'Università di Bari e, dal 1989, ha ottenuto la cattedra di Storia dell'Insegnamento presso l'Università di Firenze. Nel 1994 ha vinto il Premio "Tevere" per la Storia. Attualmente è professore ordinario di Storia Medievale presso l'Università di Firenze. Oltre a numerosi libri di storia medievale, Franco Cardini ha pubblicato anche due romanzi: Il giardino d'inverno, Camunia (1996) e L'avventura di un povero crociato, Mondadori (1997). Tra i suoi volumi più recenti si ricordano le biografie dedicate a Francesco d’Assisi, Barbarossa, Carlomagno e Giovanna d’Arco. Numerosi sono stati e continuano a essere i suoi contributi all’Enciclopedia Multimediale delle Scienze Filosofiche. Nasce a Vicenza. Dal 1954 ha intrapreso la carriera diplomatica, da cui si è dimesso nel 1989, dopo essere stato ambasciatore alla Nato e a Mosca. Giornalista e studioso, nei suoi libri si è occupato con occhio critico prevalentemente di storia italiana e francese tra Otto e Novecento. Tra le sue numerose pubblicazioni si ricordano: Crispi, 1986; La Russia in bilico, 1989; Guida alla politica estera italiana, 1993; Tra due repubbliche, 1994; Lo scambio ineguale, 1995; Italie parallele, 1996; Giovanni Gentile, 1996; Lettera a un amico ebreo, 1997; Giuseppe Volpi, 1997; Storia d'Italia dal Risorgimento ai nostri giorni, 1998; Manoscritto pervenuto da Sant'Elena, 1999; I luoghi della storia, 2000; Mussolini, 2000; La pace perduta, 2001; I volti della storia. I protagonisti e le questioni aperte del nostro passato, 2001; Memorie di un conservatore, 2002. Attualmente è opinionista sulle pagine del Corriere della Sera, ma collabora anche con altre testate italiane e straniere, sovente interpellato dalle televisioni pubbliche e private. Giornalista professionista è stata tra i fondatori di «La Repubblica» di cui è ancora oggi editorialista, dopo di essere stata anche presidente della Federazione Nazionale della Stampa. Nel 1994 è stata eletta alla Camera dei Deputati nella lista dei Progressisti. Da sempre molto attenta alla questione ebraica e sensibile alle problematiche politico-sociali, accanto alla sua intensa attività giornalistica, ha scritto anche numerosi volumi che rivelano una particolare attenzione per i diritti delle minoranze e la condizione della donna. Tra le sue opere si ricordano Pietro Secchia. L’uomo che sognava la lotta armata, 1984; Pane nero. Donne e vita quotidiana nella Seconda guerra mondiale, 1987; Il lungo freddo. Storia di Bruno Pontecorvo, lo scienziato che scelse l’Urss, 1992; Chi è delle donne italiane del Novecento, 1993; Botteghe oscure, addio, 1996. Tra i suoi impegni giornalistici di testimone del proprio tempo, riserva anche un ruolo non marginale alla cura di una rubrica di corrispondenza con i lettori sul settimanale “Grazia”. TGE12503 Giornale n°11 12-03-2003 11:04 Pagina 8 8 «H ELLZAPOPPIN »: E SPERIENZE , C OMMENTI , P ROSPETTIVE DI TRE A NNI DI ATTIVITÀ Un teatro come casa Inaugurato nel 2000 come progetto di aggregazione delle forze artistiche giovanili, il Progetto Foyer ha avuto per due anni nel Centro della Creatività del Comune il suo partner privilegiato, anche nel momento in cui da progetto si è trasformato in stabile realtà, assumendo la denominazione di Hellzapoppin. Arte e artisti nel Foyer della Corte. Da sempre, comunque, per il buon esito dell’iniziativa è stata fondamentale l’adesione propositiva di alcune delle più significative associazioni culturali cittadine, alle quali abbiamo chiesto di commentare la loro esperienza. Accademia di Belle Arti P R O G R A M M Giovedì 13 marzo - ore 17.30 Signore e signori... a teatro! Intervista-aperitivo con Gabriele Lavia organizzazione “I Buonavoglia”, in collaborazione con l’Associazione per il Teatro di Genova Venerdì 14 marzo - ore 17.30 Rassegna «Masterizzare il tempo» Giorni e Notti Versi poetici tra ombra e luci organizzazione Circolo dei Viaggiatori nel Tempo Mercoledì 19 marzo - ore 18 Incontro con l’artista Francesco Arena Laboratorio con gli allievi dell’Accademia di Belle Arti I Buonavoglia Giovedì 20 marzo - ore 19.15 Giunti al terzo anno di collaborazione con il Progetto Foyer, è possibile tirare una sorta di bilancio. Inizialmente, l’Accademia aderì a un invito rivolto dalla Direzione del Teatro a varie realtà culturali cittadine: utilizzare il foyer della Corte come uno spazio libero nel quale sperimentare, esporre, discutere… Il «teatro come una casa», ricordo quest’espressione di Marco Sciaccaluga e ricordo l’impatto che ebbe sugli studenti che parteciparono al progetto sempre numerosi e motivati. L’espressione fu recepita quasi alla lettera e tutti i partecipanti al progetto si sentirono liberi di sperimentare forme di comunicazione che di solito entrano con difficoltà in un’Accademia di Belle Arti, anche semplicemente per mancanza di un luogo, di un tempo ,di un pubblico. Il lavoro era in progress, ogni volta imprevedibile e spesso imprevisto in alcuni aspetti. Lo scorso anno, forti del precedente successo, si cercò di ricalcare quella formula che però, ormai, non aveva più freschezza e fu interessante osservare che mentre per un docente, un artista, in ogni caso un soggetto culturalmente già formato, lavorare nuovamente su un modello sperimentato ha la funzione di approfondire, di perfezionare o scoprire elementi di novità, lo studente, specialmente fuori dal suo naturale habitat, ha bisogno di stimoli sempre diversi che possa recepire e rapidamente elaborare. Lo spazio del foyer è stato utilizzato anche come luogo di discussione, di confronto e di scambio su questi temi. Così si va avanti: quest’anno il coordinamento del lavoro è stato affidato al prof. Cesare Viel che ha alternato momenti di laboratorio a incontri con artisti. È auspicabile che in futuro, il prossimo anno o quando i tempi saranno maturi, i giovani artisti riescano a gestire autonomamente un progetto, a presentarlo al Teatro direttamente o attraverso l’Accademia: sarebbe la dimostrazione che si è riusciti a creare una consuetudine, a comunicare l’idea che la città non è fatta solo di contenitori inaccessibili ma di spazi fruibili, aperti. L’impegno dell’Accademia è di sollecitare i giovani a questo stile di rapporto con i luoghi della città, là dove si incontri una sensibilità tesa a “rifondare” i luoghi per la realizzazione di un progetto di città più favorevole a incontri reali, meno virtuali. Dopo Le Signore del Teatro nel 2001-2002, I Buonavoglia ripetono la felice esperienza degli incontri nel Foyer della Corte con i protagonisti degli spettacoli in cartellone anche per la stagione 2002-2003 con la serie Signore e signori… a Teatro! Un pubblico numeroso e attento, i protagonisti disponibili e interessanti, gli intervistatori, scelti tra i redattori dei mezzi di informazione cittadini, preparati e coinvolgenti e un aperitivo, a sostegno della Lega Tumori, sempre diverso e allettante che ha permesso di assaggiare molte specialità gastronomiche grazie all’associazione nazionale Donne del Vino, hanno fatto sì Emilia Marasco Nuccia Ciffarelli Viaggiatori nel Tempo Masterizzare il tempo, lo spazio e le vibrazioni delle idee che stiamo vivendo e dividerlo con la sensibilità degli altri: è questo, in sostanza, il concetto alla base della rassegna che i Viaggiatori nel Tempo stanno proponendo nel Foyer del Teatro della Corte. In una "piazza co- Conservatorio Niccolò Paganini Darsi appuntamento nel Foyer di un teatro per confrontare esperienze didattiche ed artistiche è stata un’idea vincente, coronata dal successo e soprattutto da interessanti scambi interdisciplinari tra il Conservatorio Niccolò Paganini e le altre scuole d’arte della Città nella precedente edizione di Hellzapoppin. Programmare attività musicale in luoghi diversi da quelli cosiddetti “deputati”, consente di incontrare un pubblico nuovo, in questo caso il pubblico della prosa piuttosto che quello della marzo / aprile 2003 che questo secondo anno di incontri sia stato di grande successo. Per molte delle persone che seguono I Buonavoglia sono diventati gli appuntamenti a cui non mancare: per sapere qualcosa in più dei protagonisti e dei loro spettacoli, per il momento conviviale dell’aperitivo a cui gli attori intervistati non si sono sottratti e in ultimo, ma non per ultimo, l’occasione di acquistare, in quanto soci, il biglietto a prezzo ridotto per uno spettacolo su cui ormai si sentono un po’ preparati. E alla base di tutto questo la disponibilità del Teatro di Genova con la professionalità e l’efficiente organizzazione di quanti vi lavorano che lo contraddistingue. Ricorderemo con piacere la favola napoletana raccontata con maestria da Peppe Barra, la gradevolezza di Paola Gassman e Ugo Pagliai, il centesimo incontro dalla nascita de I Buonavoglia festeggiato nel Foyer con Massimo Dapporto… ma sempre aspettando con curiosità e interesse l’incontro successivo. musica. La differenza è però più apparente che reale: la musica come tutte le arti è comunicazione diretta, capace di interagire con le diverse espressioni e di potenziarne al tempo stesso la trasmissione del “messaggio”. Per i nostri allievi Hellzapoppin è quindi una preziosa occasione di confronto e di verifica, che consente loro di esprimersi fuori dagli schemi ordinari per un pubblico “curioso” e attento, disponibile ad accoglierci nella sfera dei suoi interessi culturali. Angelo Guaragna perta" formicolante intuizioni, ecco filtrati alcuni concetti del nostro quotidiano come caos, silenzio, inferno, giorno, notte, velocità, e presentati senza orpelli. C'è solo l'artista e la sua poesia detta, cantata, mimata, esposta, filmata, danzata. Dopo tre anni e grazie all'iniziativa del Teatro di Genova, considero questo Foyer il sostituto adulto del giardinetto o della piazza sotto casa: là ci portavo il pallone e i miei giocattoli, qui la poesia e l'arte: i balocchi sono cambiati ma la voglia di divertirmi e creare è sempre la stessa. La poesia... L'hanno data tante volte per morta... Attenzione che a morire non sia la nostra sensibilità e la voglia di giocare e pensare. Claudio Pozzani Musica nel Foyer Trio d’archi con flauto: Matteo Brasciolu (violino), Valentina Giacosa (violoncello), Antonella Bini (flauto) a cura del Conservatorio Musicale “Niccolò Paganini” Venerdì 21 marzo - ore 19.15 Quartetto di violoncelli “Giorgio Lippi” con Chiara Alberti, Raffaele Ottonello, Valentina Giacosa e Luigi Gatti musiche di Gabrieli, Schostakovich, Giacosa, Briasco, Basevi e Damerini a cura del Conservatorio Musicale “Niccolò Paganini” Mercoledì 26 marzo - ore 17.30 Signore e signori... a teatro! Intervista-aperitivo con Marco Paolini organizzazione “I Buonavoglia”, in collaborazione con l’Associazione per il Teatro di Genova Giovedì 27 marzo - ore 19.15 Duo di violoncelli con Chiara Alberti e Cesarina Bignami musiche di Bach e Boccherini a cura del Conservatorio Musicale “Niccolò Paganini” Venerdì 28 marzo - ore 17.30 Rassegna «Masterizzare il tempo» Velocità immobile Happening con artisti e poeti italiani contemporanei organizzazione Circolo dei Viaggiatori nel Tempo Martedì 1 aprile - ore 18 Incontro con l’artista Cesare Pietroiusti Laboratorio con gli allievi dell’Accademia di Belle Arti Mercoledì 2 aprile - ore 17,30 Intorno a “L’uomo di Arimatea” Alla ricerca del Sacro Graal Intervengono Mario Bagnara e don Antonio Balletto organizzazione Associazione per il Teatro di Genova e Valore Liguria Giovedì 3 aprile - ore 17,30 Signore e signori... a teatro! Intervista-aperitivo con Carlo Giuffrè organizzazione “I Buonavoglia”, in collaborazione con l’Associazione per il Teatro di Genova Venerdì 11 aprile - ore 17,30 Rassegna «Masterizzare il tempo» Inferno Teatro da camera con Luigi Maio. Al pianoforte Enrico Grillotti organizzazione Circolo dei Viaggiatori nel Tempo Martedì 6 maggio - ore 17,30 Intorno a “La nemica” Madre e figlio: conflitti psicanalitici Intervengono Roberto Speziale Bagliacca e Flavio Baroncelli organizzazione Associazione per il Teatro di Genova e Valore Liguria Giovedì 8 maggio - ore 17,30 Signore e signori... a teatro! Intervista-aperitivo con Valeria Moriconi organizzazione “I Buonavoglia”, in collaborazione con l’Associazione per il Teatro di Genova A TGE12503 Giornale n°11 12-03-2003 11:04 Pagina 9 9 dagli altri teatri: vademecum per gli spettatori che guardano alla scena internazionale NUOVE PROPOSTE E GRANDI EVENTI Tom Courtenay in Pretending to be Me Il termometro del teatro inglese continua a segnare, nel panorama europeo della scena, alcune tra le temperature pubbliche e private che più comportano contagio, che più producono contaminazione e che più adottano linguaggi, culture e anche cambi di vertice nei propri meccanismi istituzionali e non. Certo, fa un clamoroso effetto anticipato, la notizia del ritorno di Kenneth Branagh su un palcoscenico londinese, atteso quest’estate al National Theatre in Edmond di David Mamet. E fa non meno rumore la novità di Kevin Spacey che passa l’oceano e passa di nuovo al teatro dopo l’altra puntata a Londra del 1998 con Arriva l’uomo di ghiaccio di O’Neill, coinvolto ora (insieme ad Elton John chiamato alla presidenza) nella direzione artistica dell’OldVic, uno spazio con 185 anni di storia, salvato dalla demolizione ma navigante in brutte acque: Spacey s’è tra l’altro impegnato a recitare all’Old Vic due volte l’anno, e a dirigere più spettacoli (tra i quali non è da escludere una versione teatrale di Billy Elliot). Da parte sua, la nuova direzione artistica del National Theatre cui Nicholas Hytner garantirà un ben pronosticabile scossone gioca una carta provocatoria per aprile, quando verrà proposta la “prima” ufficiale di Jerry Springer - The Opera fondato sull’imbarazzantissimo omonimo talk show americano a base di feticismi, transessualità feconde, segrete e indicibili vocazioni e altri casi-al-limite, un lavoro già rodato in veste provvisoria all’ultimo Fringe di Edimburgo. Nel frattempo, a LONDRA, lo spettacolo da vedere assolutamente è Dance of Death (Danza di morte) di Strindberg al Lyric Theatre, una serata memorabile con il grande Ian McKellen alle prese con la brava Frances De La Tour. E tra gli appuntamenti da non perdere annette- marzo / aprile 2003 remmo anche, di rigore, un one man show d’una pietra miliare del teatro britannico, Tom Courtenay, protagonista al Comedy Theatre di Pretending To Be Me avente per soggetto la poesia, gli umori intellettuali e il profilo umano di Philip Larkin. C’è comprensibile attesa, ma si è ancora privi di esatte date di riferimento, per la performance all’Albery Theatre di Joan Plowright in Absolutely (Perhaps) ovvero Così è (se vi pare) di Pirandello con regia di Franco Zeffirelli che già la diresse in un’edizione di Sabato, domenica e lunedì. E tra gli eventi londinesi che suscitano curiosità è opportuno citare il Macbeth del catalano Calixto Bieto approdante l’8 aprile al Barbican, Ghosts (Spettri) di Ibsen nella versione di Ingmar Bergman per la compagnia dello Stockolm Theatre in arrivo sempre al Barbican l’1 maggio, il nuovo impegno teatrale di Ralph Fiennes che il 4 giugno debutterà all’Haymarket in Brand di Ibsen con regia di Adrian Noble, e la “prima” europea di The Late Henry Moss di Sam Shepard apparso l’anno passato a New York, un’altra disputa fratello-contro-fratello in calendario a giugno all’Almeida. Mette a fuoco autori russi, intanto, il Royal Court Theatre, e dopo Black Milk di Vassily Sigarev è la volta di Terrorism dei fratelli Presnyakov. Poi si cambierà pagina e scenario con Hitchcock Blonde di Terry Johnson. PARIGI si conferma capitale di esperimenti testuali più che attorali, di proposte algebriche Malaga sulla scena parigina più che marcatamente registiche, di revisioni di qualità più che di collaudi di rischio. Il cartellone presente e prossimo contiene indistintamente La Preuve di David Auburn, il testo portato al successo dalla Paltrow a Londra, ora al Théâtre des Mathurins con Michel Aumont e Elsa Zylberstein, Ritter, Dene, Voss di Bernhard, con Pierre Vaneck, Catherine Rich e Edith Scob (dal 9 aprile al 10 maggio) all’Athénée Louis Jouvet; La cour des grands di Jérôme Deschamps e Macha Makaïeff (dal 10 aprile al 4 maggio) al Théâtre National de Chaillot. Georges Wilson torna in scena in Le vente des peupliers di Gérard Sibleyras al Montparnasse, una commedia fondata sulla malinconia misantropa di tre ospiti di una casa per anziani combattenti. Il panorama prosegue con Pylada (Pilade) di Pasolini nella messinscena di Arnaud Meunier (fino al 15 marzo) alla Paris-Villette, Andromaque di Racine con re- gia di Louis Martinelli (fino al 6 aprile) al Théâtre des Amandiers, Malaga di Paul Emond diretto da Jean-Paul Denizon (fino al 5 aprile) al Théâtre Daniel-Sorano, Les cercueils de zinc di Svetlana Alexeievitch ad opera di Jacques Nichet (fino al 29 marzo) al Théâtre de la Commune di Aubervilliers, Petit Eyolf di Ibsen con allestimento di Dominique Valadié (fino al 6 aprile) al Théâtre National de la Colline, De ceux qui sont restés, de ceux qui son partis. BalkansTransit di François Maspero e Klavdij Sluban su regia di Anne Dimitriadis (fino al 30 marzo) all’MC 93 -Bobigny, Hoffmanniana da Andreï Tarkovski con messinscena di Dietrich Sagert (fino al 30 marzo) al Théâtre National de Chaillot, Antigone di Anouilh con Barbara Sculz e Robert Hossein diretti da Nicolas Briançon al Théâtre Marigny, Les innocents coupables di Ostrovskij con regia di Bernard Sobel (fino al 6 aprile) al Théâtre de Gennevilliers, Quatre quatuors pour un weekend scritto e diretto da Gao Xingjian (fino al 17 aprile) al Théâtre du Vieux-Colombier della Comédie Française, The Power Book di Jeanette Winterson con messinscena di Deborah Warner (dal 19 al 29 marzo) al Théâtre National de Chaillot, Le malade imaginaire di Molière con regia di Philippe Adrien (dal 21 marzo al 13 aprile) alla Cartoucherie-Tempête, El Pelele di JeanChristophe Bailly con allestimento di Georges Lavaudant dal 16 maggio al 17 giugno all’Odéon-Théâtre de l’Europe, spazio che poi ha in serbo dal 17 al 21 giugno Materiau Platonov. A STRASBURGO il cartellone del TNS mescola raffinatamente la già programmata Sarah Kane e Gildas Milin, Leonid Andreiev e Oriza Hirata, Paul Claudel e Molière, e torna per la seconda volta (in questa stagione 2002-2003) a Ibsen. È in marzo che c’è spazio per La Pensée di Andreiev con regia di Georges Gagneré, e per la montagna magica di parole nel sanatorio sorgente nei pressi di Tokyo di Nouvelles du plateau S di Hirata diretto da Laurent Gutmann. È in marzo-aprile che al TNS si può assistere a Le soulier de satin di Paul Claudel ad opera di Olivier Py. È in aprile-maggio che torna qui a gran richiesta Le Festin de pierre dal Don Giovanni di Molière nella messinscena fatta di assemblaggio di materiali fantastici, attori, marionette e video di Giorgio Barberio Corsetti. Ed è in maggio che Alain Françon adotta la saga del Petit Eyolf di Ibsen. Come sempre, gettiamo uno sguardo ad alcuni lavori in corso o in cantiere a BERLINO cominciando a esaminare l’attività della Schaubühne. A testimoniare la forte e costante comunicativa della drammaturgia inglese anche (come in Una scena di Tattoo Achim Buch e Christiane Roßbach in Nora (Casa di bambola) di Ibsen Italia, d’altronde) in Germania, risaltano Phaedra’s Love di Sarah Kane nella lettura messa a segno da Christina Paulhofer, e il bellissimo e implicante A Number di Caryl Churchill con regia di James Macdonald (la stessa autrice è anche chiamata in causa nella proposta del suo Die Kopien sempre a firma realizzativa di Macdonald), oltre al Crave (Gier, in tedesco) concepito da Ostermeier. Gli spettacoli siglati da quest’ultimo, direttore artistico della Schaubühne, sono il tragico Wunschkonzert di Franz Xavier Kroetz, Nora da Casa di bambola di Ibsen, e appunto Crave (Gier) della Kane. C’è un Brecht in arrivo, e quanto al comparto Danza i lavori sono Foi di Sidi Larbi Cherkaoui, Seriously di Luc Dunberry, il noto Zweiland di Sasha Waltz. Il Deutschestheater ha ancora in repertorio Emilia Galotti di Lessing a firma di Michael Thalheimer, e Tristano scritto e diretto da Lars Norén, oltre a una Lolita dovuta a Oliver Reese, al Doktor Caligari di Robert Wilson, e a Cechov, Strindberg, Mann, Wedekind, David Foster Wallace. La Volksbühne fa leva su L’idiota da Dostoevskij adattato alla scena da Frank Castorfs, su Cristoph Schlingensief, su Sex di Mae West, su Welsh, su Pollesch. A DUSSELDORF la Schauspielhaus mette in gioco Norway.today e anche Tattoo di Igor Bauersima, e Der Würgeengel da L’angelo sterminatore di Buñuel, ma anche Schwab, La Bute, Garçia Marquez, Jelinek, Roth. Nei programmi del Burgtheater di VIENNA compare (anche qui) Emilia Galotti con regia di Andrea Breth, il revival di The Entertainer di John Osborne a firma di Karin Beier, La foresta di Ostrowskij con allestimento di Tamàs Ascher, un curioso Die Sunshine Boys di Neil Simon con regia di Gert Voss, un Oblomov ad opera di Stephan Müller, e la materia contemporanea da leggere a fronte è garantita da The Shape of Things di Neil LaBute con messinscena, eccolo di nuovo meritatamente menzionato, di Igor Bauersima. Rodolfo di Giammarco TGE12503 Giornale n°11 12-03-2003 11:04 Pagina 10 10 dagli altri teatri: alla scoperta degli spettacoli rappresentati in Italia ITINERARI DI SCENA (inevitabilmente incompleta) delle nuove produzioni che gli appassionati di teatro dovrebbero cercare di non perdere o almeno tenere in agenda anche in considerazione di una loro possibile tournée nel 2003 - 2004. Via dunque al viaggio regione per regione attraverso i palcoscenici italiani, muovendo ancora una volta dal nord al sud come si conviene per chi parte da Genova Mentre la stagione 2002 - 2003 si sta avviando al termine e tutti i teatri italiani stanno mettendo a punto il cartellone per l’anno prossimo, ancora numerose sono le novità che stanno per andare in scena in questi ultimi mesi, in attesa della consueta esplosione di nuove proposte nei festival estivi. Con un occhio di riguardo agli Stabili nazionali proviamo pertanto a tracciare una mappa Piemonte Trentino - Alto Adige Allo Stabile di Torino (Teatro Gobetti) è annunciato per il 9 aprile il debutto di Gianduja per la regia e l’interpretazione di Eugenio Allegri, mentre a maggio (Teatro Carignano) prenderà il via il progetto internazionale “Tre storie d’amore”, che comprende la messa in scena di tre opere di Shakespeare: Romeo e Giulietta (6/12: regia di Jean Christophe Saïs), Il sogno di una notte di mezza estate (13/18: regia di Mamadou Dioume) e Pene d’amore perdute (20/25: regia di Dominique Pitoiset). A giugno/luglio, sempre per lo Stabile torinese, Mauro Avogadro dirigerà alle Fonderie Teatrali di Moncalieri Il genio buono e il genio cattivo di Carlo Goldoni, per la recitazione degli allievi della Scuola di recitazione. Lo Stabile di Bolzano ripropone al Teatro Comunale di Gries Coppia aperta, quasi spalancata di Franca Rame e Dario Fo (17 e 18 marzo). Lombardia Al Teatro Studio il Piccolo di Milano presenta dal 25 marzo al 17 aprile Riccardo III di Shakespeare per la regia del giovanissimo regista ungherese Árpád Schilling, considerato l’astro nascente del teatro internazionale; interpreti dello spettacolo sarà uno stuolo di attori di primo piano, tra i quali Massimo Popolizio, Laura Marinoni, Giovanni Crippa, Pia Lanciotti, Paola Mannoni. Dopo il successo della scorsa stagione, il Piccolo di Milano ripropone (dal 5 maggio al 1° giugno) nei suggestivi spazi archeo-industriali della Bovisa Infinities di John D. Barrow, gioco teatrale nel labirinto della scienza firmato da Luca Ronconi. Da parte loro, i responsabili del milanese Teatridithalia annunciano al Teatro Leonardo, dal 21 marzo al 13 aprile, Chi ruba un piede è fortunato in amore di Dario Fo, per la regia di Andrea Taddei, e all’Elfo dal 29 aprile all’11 maggio Le donne di Trachis, dalle Trachinie di Sofocle nella versione di Ezra Pound, uno studio di Roberto Valerio, con Cristina Crippa e Ruggero Dondi. Nella Sala Grande del Franco Parenti, sempre a Milano, l’11 marzo (repliche sino al 30) va in scena La doppia incostanza di Marivaux, per la regia di Andrée Ruth Shammah; mentre nella Sala Pirelli viene proposto, dal 25 marzo al 6 aprile, La felicità coniugale da Cechov, per la messa in scena di Roberto Trifirò, cui faranno seguito, dall’8 al 17 aprile, I creditori di Strindberg, diretto da Mario Morini e interpretato da Milena Vukotic, e, dal 6 al 28 maggio, Leda alla finestra, novità assoluta di Alberto Milazzo, scritta appositamente per la Compagnia Giovani del Teatro Franco Parenti: regia di Andrée Ruth Shammah. Al Teatro Carcano, Giulio Bosetti annuncia dal 2 al 16 aprile La scuola delle mogli di Molière per la regia di Jacques Lassalle e nella nuova traduzione di Giovanni Raboni. Intanto a Brescia, nell’altro teatro Stabile pubblico della Lombardia, il CTB diretto da Cesare Lievi, è in scena sino al 23 marzo (Teatro S. Chiara) Il caso rue de Lourcine di Eugène Labiche, a cura di Andrea Taddei. Veneto Al Teatro Giuseppe Verdi di Padova, dall’1 al 6 aprile, lo Stabile del Veneto presenta il suo nuovo allestimento di La bottega del caffè di Carlo Goldoni, che ha debuttato nelle settimane scorse a Venezia con la regia di Giancarlo de Fusco e l’interpretazione di un ricco cast comprendente tra gli altri Ugo Pagliai, Paola Gassman, Stefano Lescovelli, Gaia Aprea, Daniele Salvo. Friuli - Venezia Giulia Mentre due delle nuove produzioni dello Stabile di Trieste, Pallido oggetto del desiderio con la regia di Alfredo Arias e Otello con Michele Placido e Sergio Romano completano le loro tournée stagionali rispettivamente a Napoli, nei teatri del Friuli e a Biella, il primo, e sui palcoscenici di Palermo, Agrigento, Civitavecchia, Thiene, Torino, Alessandria e Alba, il secondo, al Politeama Rossetti sono annunciati La mostra di Claudio Magris, con Roberto Herlitzka (dal 26 marzo al 7 aprile); Sonno di Enrico Luttmann per la regia di Marco Casazza (aprile/maggio); e Molly Cara con Piera Degli Esposti (maggio). Due novità anche al Teatro Stabile Sloveno, che annuncia per marzo la messa in scena di Giulietta e Romeo (regia di Dusan Javanovic) e per aprile quella di La divisa, che forza, commedia musicale di Jaka Stoka, con la regia di Mario Ursic. Emilia Romagna All’Arena del Sole, Teatro Stabile di Bologna è in scena, dall’11 marzo al 6 aprile, la commedia “all’italiana” in due atti di Francesco Freyrie, Se perdo te, per la regia di Daniele Sala e l’interpretazione di Vito. Alla Fondazione Teatro Due di Parma è in scena dall’11 al 30 marzo Aspettando Godot per la regia di Michele de’ Marchi, che ne è anche interprete insieme a Roberto Abbati, Paolo Bocelli, Cristiano Caldironi e Marcello Vazzoler. Toscana Al Teatro Metastasio di Prato va in scena dall’8 al 16 aprile Le pareti della solitudine che Massimo Luconi ha liberamente tratto dall’opera di Tahar Ben Jelloun. Umbria S A P E R V E D E R E I L T E AT R O Anche quest’anno, il Teatro di Genova ha dedicato una particolare attenzione all’attività didattica, organizzando per studenti e per insegnanti seminari sul lavoro dell’attore e sull’interpretazione del testo, finalizzati soprattutto a favorire la formazione di spettatori consapevoli, offrendo ai partecipanti gli strumenti idonei alla conoscenza dei caratteri specifici del linguaggio teatrale. Destinatari naturali di questi seminari, curati da Sandro Baldacci e Mauro Pirovano, sono i giovani, ma numerose sono anche le iniziative rivolte agli insegnanti, che nel corso della stagione 2002/2003 hanno già partecipato a tre appositi seminari tenuti da Baldacci (per un totale di 60 ore) alla Scuola Media Boccanegra, all’Istituto Champagnat e al Liceo D’Oria. Con i ragazzi, si sono svolti o sono in via di svolgimento seminari per un totale di 354 ore, con il coinvolgimento diretto di quasi 300 studenti. Articolati in moduli di cinque o dieci incontri di due ore ciascuno, i seminari hanno interessato l’Istituto Champagnat (referente prof.sa Laura Scrursatone), il Liceo D’Oria (referente prof.sa Carla Caroggio), l’Istituto Barletti di Ovada (prof.sa Emanuela Palazzo), la Scuola Americana (prof.sa Valentina Abrami), il Liceo Colombo (referente prof.sa Patrizia Serra), il Liceo Klee serale (referente prof. Franco Arato), il Liceo Cassini (prof.sa Silvia Allegro), l’Istituto Immacolatine (prof.sa Renata Galderisi), ), l’Istituto Calasanzio (prof.sa Laura Vozza), l’Istituto Emiliani (prof.sa Alba Chicco). T E A T R O E U N I V E R S I T À Proseguendo in una consuetudine ormai ben radicata, numerosi sono stati e saranno ancora nel corso di stagione gli incontri con gli attori, i registi e i collaboratori artistici degli spettacoli presenti nel cartellone del Teatro di Genova. Mercoledì 19 marzo, ore 15, Carlo Cecchi e Gabriele Lavia parleranno con studenti e docenti di La storia immortale. L’incontro si svolgerà presso l’Aula Magna della Facoltà di Lettere, via Balbi 4. L’ingresso è libero e aperto a tutti. A Perugia, nei Cantieri Teatrali Koreja va in scena dal 25 al 27 marzo Brecht’s Dance di Gianluigi Gherzi e Salvatore Tramacere. Marche Il Teatro Stabile delle Marche, in coproduzione con il Teatro Nuovo di Milano, propone ad Ancona, dal 4 al 6 aprile, Giorgio Panariello in Il borghese gentiluomo di Molière, regia di Giampiero Solari; mentre a Macerata va in scena, dall’1 al 3 aprile, Lear ovvero Tutto su mio padre, drammaturgia di Laura Curino e regia di Serena Sinigaglia. Lazio All’Argentina di Roma è annunciata la messa in scena di Il mondo di Mr. Peters di Arthur Miller (dall’8 al 25 maggio 2003) con la regia di Enrico Lamanna e l’interpretazione di Giorgio Albertazzi nel ruolo del protagonista. Ancora Arthur Miller in primo piano anche all’Eliseo, dove il 15 aprile (repliche sino all’11 maggio) debutta Uno sguardo dal ponte nella produzione del Teatro Stabile di Messina, con Sebastiano Lo Monaco. Sicilia Al Biondo di Palermo, lo Stabile ha in cartellone tre sue produzioni: oltre a La nemica di Niccodemi, che sarà anche a Genova in maggio, vengono annunciati sul prestigioso palcoscenico siciliano anche L’amante di Harold Pinter per la regia di Furio Bordon (sino al 6 aprile) e Il martirio di Padre Puglisi di Mario Luzi per la regia di di Pippo Spicuzza. Sempre a Palermo al Teatro Bellini sono in corso le rappresentazioni di Don Giovanni Tenorio di José Zorilla y Moral, regia di Umberto Cantone, ed è annunciato per il 7 maggio Serata Campanile con la regia di Pippo Spicuzza. Al Teatro Verga di Catania è in programma per maggio il debutto della nuova produzione dello Stabile locale: Retablo dal romanzo di Vincenzo Consolo, messo in scena da Daniela Ardini; mentre subito dopo sarà la volta di Miseria e dissolutezze di Micio Tempio, poeta di Filippo Arriva, regia di Romano Bernardi. TAGLIO E COLORE PERSONALIZZATI MARTEDÌ - MERCOLEDÌ E GIOVEDÌ Promozione per i giovani Corso Buenos Aires, 18/1 16129 GENOVA TEL. 010 5707177 marzo / aprile 2003 TGE12503 Giornale n°11 12-03-2003 11:04 A M A S C O A D Pagina 11 11 D A D A L G E R I : L A S C U O L A D I R E C I T A Z I O N E A L L ’ E S T E R O Mediterraneo crocevia di teatro Damasco, 22 - 27 aprile 2000: la Scuola di Recitazione del Teatro Stabile di Genova partecipa al primo Convegno Internazionale di Scuole di Arte Drammatica del Mediterraneo organizzato dall’ECUME (Exchanges Culturels en Méditerranée), associazione nata a Marsiglia per impulso del suo direttore Omar Daniel Belli. È l’inizio di una collaborazione che si confermerà nel tempo. In quell’incontro di Damasco per la prima volta vengono a trovarsi attorno allo stesso tavolo dirigenti di scuole teatrali di Algeria, Libano, Francia, Kuwait, Egitto, Italia, Tunisia, Giordania, Spagna, Marocco. Ognuno fa conoscere le caratteristiche della propria istituzione e espone il proprio punto di vista sulla possibilità di fondare una rete di scuole di teatro in vista di uno scambio di idee, di lavori e di potenziale umano. A conclusione del Convegno si avanza il progetto di ripetere l’incontro ogni anno in un paese diverso in modo da conoscere più da vicino le varie realtà e di allargare l’invito agli allievi delle varie scuole. I frutti si sarebbero cominciati a vedere l’anno successivo a Tunisi. Tunisi, 20 - 24 giugno 2001. Il Convegno si articola in tre sezioni: Séminaires - Atéliers Représentations. Nella prima i dirigenti delle varie scuole s’incontrano per discutere sulle finalità pedagogiche e i problemi organizzativi, nella seconda ogni insegnante svolge una breve serie di lezioni su di un tema particolare con gli allievi delle altre scuole, nella terza tre allievi rappresentanti di ciascuna scuola presentano un loro saggio - campione. Genova presenta Chez Pinter, collage di brevi pièces di Harold Pinter (Questo è il tuo guaio, Intervista, Silenzio e due canzoni) con Fiammetta Bellone, Flavio Parenti e Gaetano Sciortino; Damasco porta La morte dell’usignolo, dramma di guerriglia di Walid Ehlassi; Marsiglia porta un estratto da un adattamento teatrale di Terra e cenere di Atiq Rahimi; la scuola di Tunisi che ci ospita presenta il suo saggio di fine anno Chi ha paura di Virginia Woolf? di Edward Albee. Ogni spettacolo è parlato nella lingua d’origine degli allievi, il luogo della recita è un vasto spazio multifunzionale ricavato all’interno di un antico complesso monastico, sede dell’ISAD (Istituto Superiore d’Arte Drammatica). Ci si conosce meglio, ma sono l’atélier e il dopo spettacolo i momenti più vivaci: ci si scontra, ci s’intende, si discute, si fraternizza. I ragazzi sono tutti coinvolti; a volte sconcertati, a volte polemici, a volte entusiasti. Si parla arabo e francese, le lingue dominanti; quando non è possibile, si ricorre all’inglese e, in casi estremi, al solito esperanto gestuale. Ma non c’è argomento che resti inespresso o incompreso. Si capisce che il dialogo è appena aperto e dovrà proseguire. Marsiglia, 13-17 febbraio 2002 Si ripete e si approfondisce la formula su tre sezioni. I temi delle discussioni nel Séminaire si fanno più tecnici e specifici investendo l’impostazione pedagogica, gli atéliers hanno un programma più fitto e intenso, docenti e allievi, nel confronto reciproco, fanno proficue scoperte. Ci ospita il Conservatoire National de Région “Pierre Barbizet” che vede i seguenti saggi: per la Francia Salvador di Suzanne Lebeau con gli allievi dello stesso Conservatorio - Sezione Teatro; per l’Algeria La casa della follia di Tawfik Fayadh; per il Libano un estratto da The good doctor di Neil Simon (recitato in francese); per la Spagna una scena dalle Preziose ridicole di Molière e da El mayor encanto, amor di Calderon de la Barca; per l’Italia (Genova) Tre pezzi facili, collage comprendente Contrasto di Cielo d’Alcamo, La Cantambanchessa (estratto dalla Fiera) di Michelangelo Buonarroti il Giovane e Il nostro ospite di oggi di Luca de Bei, tre momenti della drammaturgia e della lingua italiana - con i nostri allievi Roberta Andreoni, Eva Cambiale e Andrea Pierdicca. Per la prima volta partecipa la Grecia con Chara Baconicola, direttrice della Scuola d’Arte Drammatica del Teatro Nazionale di Atene che mostra un video sull’attività della sua scuola dove si privilegia - com’era da aspettarsi - l’educazione alla pratica dei cori danzati e cantati. Proprio in questo emergere, a volte addirittura quasi inconsapevole, delle diversità storiche, si conferma il senso e il fascino dell’iniziativa che nonostante questo e forse proprio per questo, offre anche la possibilità di un’integrazione che travalica gli abissi delle culture e libera insospettate energie. Ciò è avvenuto proprio a Marsiglia quando a sorpresa e fuori programma, una nostra allieva, Eva Cambiale, è salita in palcoscenico accanto a Justo Ruiz, attore e direttore della Scuola Superiore d’Arte Drammatica di Siviglia per fargli da spalla in una scena dalla Vita è sogno di Calderòn de la Barca; e quando un altro nostro allievo, Andrea Pierdicca ha spontaneamente preparato insieme allo studente algerino Samir El Hakim Zoo Story di Albee imparando le indispensabili repliche in arabo, e senza avere con lui una lingua in comune, conoscendo l’uno un po’ d’inglese e l’altro un po’ di francese. La Scuola di Genova, unica rappresentante per l’Italia, è ormai una presenza fissa a questi incontri e confida di poter contribuire sempre meglio al loro successo. Prossimo appuntamento: Algeri, 10/16 maggio 2003. Anna Laura Messeri numero undici • marzo - aprile duemilatre. Edizioni Teatro di Genova, Piazza Borgo Pila 42, 16129 Genova. Presidente Avv. Giovanni Salvarezza • Direzione Carlo Repetti e Marco Sciaccaluga Direttore responsabile Aldo Viganò - Collaborazione Annamaria Coluccia Segretaria di redazione Monica Speziotto Autorizzazione del Tribunale di Genova n° 34 del 17/11/2000 Progetto grafico www.firma.it• art: Bruna Arena, Genova (125/03) Stampa: Arti grafiche bicidi, Genova Senza ERG all’energia mancherebbe qualcosa. ERG frequenta, da oltre 60 anni, con passione e profitto, il mondo dell’energia: ne conosce i segreti, i rischi, le opportunità. Raffinazione del greggio, distribuzione e vendita di prodotti petroliferi, produzione di energia elettrica. Questi sono i mestieri del primo gruppo petrolifero indipendente italiano. Questo è il nostro mondo, un mondo di energie. marzo / aprile 2003 TGE12503 Giornale n°11 12-03-2003 11:04 Pagina 12 12 Il teatro e la città: confronto sul rapporto fra istituzioni teatrali e comunità sociale CERCANDO NUOVE IDENTITÀ A Genova però alcune cose sono state fatte: si pensi agli spettacoli allestiti dalla Tosse in spazi non teatrali, alla ristrutturazione del Modena a Sampierdarena, alla creazione dell’anfiteatro sul palcoscenico della Corte, ai seminari dello Stabile nelle scuole. CASTELLANO Sono tutti fatti positivi. Il problema del luogo secondo me è molto importante. A mio avviso il Teatro della Tosse, sotto questo profilo, è riuscito ad esprimere la capacità di portare il teatro fuori. Non tutte le soluzioni sono state felici ma mi sembra che quella linea sia stata molto interessante. A me pare che il teatro oggi stia attraversando una fase analoga a quella vissuta dai musei che stanno cercando di cambiare, perché se restano statici, “ingessati”, non riescono ad essere una realtà viva. Nei grandi musei del mondo si sente questa volontà di aprirsi, di diventare spazi usufruibili per l’intera giornata. Il rapporto fra teatro e città è stato il tema di una conversazione, organizzata dal Teatro di Genova, con alcuni protagonisti della vita cittadina: Annalisa Maniglio Calcagno, preside della facoltà di Architettura, Alessandro Dal Lago, docente di Sociologia dei processi culturali e di Discipline dello spettacolo alla facoltà di Scienze della Formazione, Carlo Castellano, presidente e amministratore delegato di Esaote spa, Gaetano Cuozzo, dirigente generale del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, don Antonio Balletto, docente di Teologia fondamentale. In una città come Genova, con una presenza teatrale molto ricca e varia, qual è secondo voi la percezione che si ha del teatro, nelle sue molteplici realtà? BALLETTO È desiderio inconscio di moltissime persone che il teatro ci sia e che conti, anche se tanti lo considerano un passatempo, in parte per effetto, credo, di una concezione del teatro come “divagazione” che si è diffusa dal ‘700-‘800 in poi. Ritengo che una città dovrebbe educare, anche attraverso la scuola, a capire che cos’è il teatro, perché altrimenti una comunità, piccola o grande che sia, perde uno dei modi fondamentali di esprimersi, di recepire la realtà e di riflettere sulle problematiche fondamentali dell’esistenza che si ritrovano in tutti i grandi autori: nelle tragedie greche, in Shakespeare, in Racine. Penso che dovremmo far emergere questo desiderio inconscio delle persone, in modo che ne siano consapevoli. CUOZZO L’educazione scolastica è fondamentale. Il teatro non è entrato nel circolo virtuoso delle materie d’insegnamento, perché considerato frivolo e perché la scelta fatta con la riforma della scuola di Gentile non ha consentito a materie come la pittura, la scultura, il teatro, la musica, di avere la stessa dignità di altre. Questo aspetto non si è mai modificato e anche oggi credo che ci sia difficoltà a cambiare, perché si sono create abitudini e meccanismi “lobbistici” molto forti. Ma il teatro è anche una grandissima fonte di integrazione, fra persone e culture, e come tale dovrebbe essere sfruttato, dal punto di vista sociale e didattico, non solo per la sua fruizione passiva ma anche per il coinvolgimento attivo delle persone. MANIGLIO CALCAGNO Secondo me il teatro non può essere più solo il luogo della rappresentazione, dev’essere anche uno spazio d’incontro. Il problema è che questo spazio si trova nel cuore della città, lontano dalle periferie. E allora bisogna domandarsi che cos’è il teatro oggi rispetto a una città che è cambiata come dimensione e come popolazione, e che tipo di teatro dobbiamo dare alle nostre città e alle nostre periferie. Inoltre a teatro i condizionamenti sono forti per lo spettatore. Non è un caso che oggi i pienoni di pubblico ci siano per i concerti negli stadi, dove uno è libero di muoversi, di partecipare. DAL LAGO La mia impressione è che a Genova il teatro sia presente più che in altre città. Anche l’offerta è maggiore rispetto a quella di città magari più celebrate. Un elemento importante è però l’assenza di una cultura giovanile: i ragazzi non sanno che cos’è il teatro, ne hanno un’idea estremamente “ingessata”. Io ho avuto un’esperienza divertente, in questo senso, a Savona. Quando ho scoperto che Judith Malina abitava in zona, l’ho invitata all’Università perché raccontasse ai miei studenti di Comunicazione le sue esperienze: loro sono rimasti sconvolti dal fatto che in un’altra epoca, che sembra lontanissima anche se non lo è, si facessero teatro di strada e altre forme di spettacolo non tradizionali. Ecco, a me sembra che a Genova manchi completamente un luogo di elaborazione e, soprattutto, di trasmissione di forme teatrali diverse. Se si vuole togliere al teatro il carattere di mero luogo di svago, anche intelligente, lo si dovrebbe considerare come luogo di produzione e di circolazione di idee. MANIGLIO CALCAGNO Credo che il teatro sia ancora fortemente elitario. È già elitario il fatto che lo spettacolo cominci alle otto marzo / aprile 2003 e mezza: chi lavora e sta lontano dal centro ha difficoltà ad arrivare in tempo, e poi c’è il costo del biglietto. DAL LAGO Genova è, però, una delle poche città ad avere teatri periferici, ad esempio a Sampierdarena. Altra considerazione: uno dei pochi tipi di teatro praticati socialmente oggi è lo stadio, i ragazzi vanno lì a “fare teatro” e spendono dai 15 ai 40 euro, quindi non è un problema di disponibilità economica. CASTELLANO Genova ha una tradizione teatrale molto forte, ricca. La domanda se mai è: oggi, rispetto al passato, è diventato più elitario il teatro o no? BALLETTO A me pare che oggi i teatri genovesi siano vivaci, portino delle novità. Noi vecchi ormai abbiamo visto tantissime rappresentazioni dei testi classici, non ne possiamo più, a meno che non arrivi uno come Tadeusz Kantor: in quel caso vai a teatro e senti veramente un mondo che si rinnova. Che poi sia un fatto elitario, è dovuto alla cultura generale. Per questo credo che sia indispensabile un’attività di educazione al teatro. CUOZZO Un modo potrebbe essere quello di preparare un “pezzo” di cartellone assieme alle componenti della scuola. Molti insegnanti sono sensibili all’utilità del teatro e potrebbero sfruttare al meglio questo strumento per la loro attività didattica. Si potrebbe creare un collegamento interattivo organico fra scuole e teatri sui cartelloni. Ma mi sembra importante anche un altro aspetto: le attività di chi fa teatro sono molto legate a quelle che si fanno a scuola. L’uso della voce, per esempio, è importantissimo per un attore ma anche per un insegnante, e così pure la mimica, la memoria. Sono tutti strumenti che, se portati nel patrimonio di chi insegna e degli studenti, possono diventare elemento forte di aggregazione. DAL LAGO Questo vale per tutta la scena comunicativa. Faccio un esempio parallelo: a Genova si legge moltissimo, credo anche per l’età media piuttosto alta della popolazione, però non si dibatte, non esiste un circuito di dibattiti culturali, che non siano presentazioni di libri. Al di là di cose molto piccole e di luoghi un po’ “ingessati”, non c’è nulla. La stessa cosa avviene a teatro: la gente ci va, secondo me più che in altre città, ma resta un consumo privato. MANIGLIO CALCAGNO Secondo me si dovrebbe far aumentare la partecipazione, inventando anche “buchi neri” nelle periferie, dove portare il teatro. Ma c’è anche un altro elemento significativo: il teatro oggi non è più visibile all’esterno. Una volta aveva forme con una tipologia riconoscibile, come la scuola, la chiesa, il municipio. Adesso si mimetizza con il resto, forma e funzione non hanno più una relazione e questo, secondo me, lo allontana dai cittadini. Al cambiamento d’immagine dovrebbe corrispondere quindi un arricchimento delle funzioni: oltre ad essere il luogo in cui si va come spettatori, dovrebbe diventare anche il luogo dove, chi vuole, può fare attività teatrali o musicali. Così diventerebbe uno spazio davvero vissuto. CUOZZO Questo a scuola è più semplice, perché ci sono spazi utilizzabili per queste forme di attività e di aggregazione. Far entrare in un sistema didattico l’utilizzo di spazi scolastici per attività teatrali potrebbe favorire una partecipazione interattiva. Come sta succedendo da qualche anno nel Foyer della Corte con i giovani artisti. DAL LAGO I musei hanno scoperto la teatralità, l’animazione. Secondo me, manca anche l’educazione alla teatralizzazione della vita. Una volta in facoltà venne una persona molto brava a tenere una lezione di educazione musicale: fece ascoltare diversi brani (di Demetrios Stratos per esempio e di altri) e i bambini delle elementari, che erano lì, sentendo le urla incominciarono a urlare a loro volta, mentre le maestre dicevano: «Bambini non gridate!». Questa frase significa una totale mancanza di educazione di queste persone a certe forme di espressione. Il teatro dovrebbe promuovere la diffusione di queste forme, non basta offrire lo spettacolo, anche se mi rendo conto che tutto questo ha dei costi. Quindi lo spettacolo dovrebbe diventare solo uno degli eventi che accadono in teatro? DAL LAGO Altre attività culturali dovrebbero essere teatralizzate. Penso ai dibattiti ma anche all’arte contemporanea che oggi, in quanto performativa, è molto vicina al teatro. Avete in mente qualche spettacolo che a Genova abbia segnato un momento di dibattito importante, di partecipazione ampia? BALLETTO Madre Courage e i suoi figli di Brecht, con Lina Volonghi e la regia di Luigi Squarzina, e l’8 Settembre tutti e due prodotti dallo Stabile. Anche alcune commedie di Pinter hanno suscitato dibattiti interessanti. CASTELLANO Io ricordo con straordinario interesse la rappresentazione dei Persiani di Eschilo allestita dal Teatro della Tosse nell’ex fabbrica alla Fiumara. Per una persona come me che conosce poco il teatro, quello spettacolo, in quel posto, è stato una cosa straordinaria, un evento emozionante, ed è stato un vero “omicidio” aver distrutto quel contenitore che avrebbe potuto essere usato per altre cose. Il fatto che recentemente non ci siano stati grossi dibattiti “attorno” al teatro, dipende, secondo voi, anche dai cartelloni? DAL LAGO Il punto è che c’è una decadenza del teatro di idee: ci sono spettacoli bellissimi ma poche idee. Prima è stato citato Madre Courage: quello sì che è un teatro di idee, condivisibile o meno, non importa. Nello stesso tempo bisogna sottolineare, però, che, curiosamente, Genova è una fucina per talenti comici. Metà dei comici nazionali sono di origine genovese. CUOZZO Per altro verso, però, i giovani si avvicinano di più al teatro, anche se c’è ancora uno spazio enorme da riempire. Per questo io farei uno sforzo per cercare di realizzare palinsesti “partecipati”. CASTELLANO Io penso che soprattutto il filone delle scuole superiori sia importantissimo per avvicinare i giovani al teatro. Perché non fare per esempio un concorso di rappresentazioni teatrali fra scuole di Genova e della provincia? CUOZZO L’ottanta per cento delle scuole genovesi e liguri ha già una sua compagnia. Il problema è che queste attività devono entrare a far parte del sistema. Credo che l’idea di una manifestazione event, come un concorso, sia da proporre ai teatri genovesi. CASTELLANO Ci sono anche altre opportunità. Tra pochi mesi a Genova si terrà il festival della scienza che pure ha un aspetto teatrale, di comunicazione del messaggio: perché non cogliere questa occasione? A Edimburgo, dove ogni anno si svolge il festival della scienza, si dà spazio anche alla sua dimensione teatrale. DAL LAGO C’è anche il problema della rivitalizzazione del teatro, che non può vivere solo con la compagnia di giro che viene qui o con le produzioni dello Stabile e degli altri teatri cittadini. Bisogna mettere anche il teatro “di base” in condizione di funzionare, con strutture e risorse. Genova ha grande disponibilità di spazi potenziali, soprattutto a ponente, ma bisogna elaborare una strategia: non si tratta solo di portare il teatro in periferia ma di alimentare l’attività culturale in basso. a cura di Annamaria Coluccia