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Estratto da pag. 54
Rassegna stampa di “Due passi sono” di Carullo-Minasi
-Spettacolo Vincitore Premio Scenario per Ustica 2011-Spettacolo Vincitore Premio In-Box 2012Giuseppe Carullo e Cristiana Minasi sono la personificazione di una poesia imbarazzante (e tenera, e all'occasione
caustica) che si fa malattia del vivere e coscienza di ogni finale di partita insita nelle coppie umane e al limite del
disumano. La compagnia Carullo-Minasi va spiata in qualunque minima espressione di un minimalismo petulante e
divertente che non ha uguali. Non perdeteli. Diciamo davvero.
Rodolfo Di Giammarco -La Repubblica- 1.11.2012
[…] Un rapporto di apparente normalità tra un uomo e una donna minuscoli (Giuseppe Carullo e Cristiana Minasi), che
dal cicaleccio ossessivo di un linguaggio di coppia, elaborano una lingua tra Sicilia e Calabria, in cui va a consumarsi
l’insostenibile malattia dei rapporti. Divertenti quanto acidi. Con una consapevolezza che manca a tanto altro teatro.
Gianfranco Capitta -Il manifesto- 10.12.2011
[…]travolge con la sua delicata comicità il lavoro dei messinesi Giuseppe Carullo e Cristina Minasi. Un uomo e una
donna, molto piccoli, stanno abbarbicati a due sedie, in una stanza segnata da un pavimento a scacchi molto ristretta.
Anche per loro il nutrimento è fondamentale: ma tutti i sapori e le sostanze arrivano tramite pillole e non bisogna
toccarsi per evitare infezioni e non si può uscire nel mondo minaccioso. Qui, a differenza degli altri lavori visti, domina
il dialogo serrato, con tempi teatralissimi, pause, battute a ripetizione, in un vorticare che guarda al teatro dell’assurdo
attenendosi a un realismo paradossale.
E' la nostra stessa ansiogena realtà a essere esasperata, la paura come legge di vita, la rinuncia al sogno. Ma alla fine il
sentimento, l’amore, in modo smaccato, assolutamente consolatorio, da classico happy end al quale credere sino a un
certo punto, porterà a fare il grande passo e a sfidare il muro di buio. Per andare a capire quanto il mare da vicino sia
diverso, più vivo di movimento e odori che a guardarlo dalla finestra di una stanza. E così il mondo: più bello da
attraversare con un frusciante bianco abito da sposa. Questo lavoro coinvolge ed entusiasma il pubblico…
Massimo Marino -www.corrieredibologna.corriere.it - 10.12.11
Il mio preferito, lo dichiaro senza mezzi termini, è stato però l'irresistibile Due passi sono dei messinesi Giuseppe
Carullo e Cristiana Minasi, vincitori del premio Scenario per Ustica: i due giovanissimi attori traducono una densa
esperienza personale in una scrittura stralunata, dal taglio vagamente beckettiano (ma un Beckett “quotidianizzato”,
filtrato attraverso l'impronta dei loro concittadini Scimone e Sframeli). La storia vera di una malattia di cui lui ha
sofferto, e per la quale lei lo ha assiduamente curato, confluisce in una fitta trama di comportamenti patologici, di
attenzioni reciproche amenamente ossessive. In uno spazio miniaturizzato, dominato da una pianta di plastica che si
allunga a dismisura nel suo vaso, i due - bizzarramente sproporzionati, ridotti a puntigliosi adulti-bambini – siedono
rigidi, si toccano solo con guanti di lattice, non parlano che di cibi vietati o permessi, si interrogano maniacalmente sul
senso delle parole, e sognano di sfuggire a un'invisibile gabbia per raggiungere un vicinissimo ma inaccessibile altrove.
Soltanto nel toccante finale si comprende l'enorme sforzo di entrambi per riconquistare una piena libertà dei sentimenti.
E loro, fra ironia e tenerezza, sono bravissimi a mantenere questo clima sospeso, allusivo, mescolando un estro
allucinato a una totale verità umana.
Renato Palazzi -www.myword.it- 14.12.11
Uno spettacolo piccolo ma davvero prezioso […] delicato e ironico, malinconicamente beckettiano e teneramente
filosofico: Due passi sono […] va componendo un dialogo che con diverse ripetizioni via via differenziate nei toni,
nella reciproca sfida/arrendevolezza, rielabora esperienze, stati d'animo, desideri, in una dimensione universale. […]
Valeria Ottolenghi -Gazzetta di Parma- 25.7.2012
Un linoleum a scacchi bianco e nero, due sedie, un cuscino. Basta una scena così essenziale, per prendere lo slancio
verso la vita. Per un inno alla gioia che fiorisce da nessun grandeur. Perché in Due passi sono c’è l’opposto: una piccola
coppia di innamorati che insegue la più grande recherche: la semplicità (…)
Sono piccoli Pe e Cri, minuscoli nella premessa di una vita negata, paradossalmente, per preservarla dalla morte. Cri
controlla l’andare quotidiano di Pe. Trasfigurata dalla paura di perderlo ne gestisce l’alimentazione a base solo di
pillole, negandogli i sapori lo soffoca al suo cuscino. Ma i palpiti dell’amato, battuti con puntuale ironia,finiranno per
smantellare il disegno di potere sulla morte di Cri, liberandola alla vita. Dal guscio finirà per uscire lei offrendo
finalmente l’unica guarigione possibile ad entrambi: l’azione. Quei due passi verso la vita.
Una delicata, poetica pièce raggiunge il premio per l’impegno civile di Scenario. Perché alla fine della performance si
avvertiva il battito sospinto in avanti, al di là persino dell’azione, verso l’impegno primario: la vita.
Manuela Modica -L’Unità- 21.12.2011
Impossibile sarebbe stato non lasciarsi toccare da Due passi sono dei messinesi Giuseppe Carullo e Cristiana Minasi,
Premio Scenario per Ustica 2011. Qui la distanza tra il vissuto e l'immaginato si fa ancora più breve, perché è nel corpo
- piccolo, miniaturistico, dei due interpreti - che si impone la verità di una storia d'amore buffa e in miniatura anch'essa.
Roberto Canziani -Hystrio- Gennaio 2012
E se davvero un limite non fosse la fine di tutto ma solo l'inizio di qualcosa di diverso? Se la crisi non spegnesse tutte le
speranze ma ci stimolasse a trovare alternative, a ripensarci, a ricostruirci? E così una malattia, un dolore, una paura? In
fondo, tra l'impossibile e il possibile, tra il sopravvivere e il vivere, forse non ci sono le distanze infinite che pensiamo e
che ci spaventano, ma solo due passi. Un piccolo gioiello questo spettacolo, che non a caso ha vinto il Premio Scenario
per Ustica nel 2011 e il Premio InBox quest'anno. Il palcoscenico sembra enorme, avvolto com'è in un buio fitto, nel
quale si staglia soltanto, illuminato da una lampadina, il rettangolo di un tappeto a scacchi, una sorta di zattera
nell'oceano dell'incertezza. Queste due creature buffe e tenere, grottesche e tragicomiche, si sono create il loro piccolo
universo coloratissimo ma finto, nel quale i fiori sono inevitabilmente belli perché sono di stoffa; nel quale il cibo non è
un problema, perché basta la pillola giusta all'ora giusta; e dove anche l'amore non può far male, perché basta
proteggersi le mani con i guanti di lattice prima di darsi una carezza che non ferirà. Pe e Cri condividono lo stesso
limite, ma lo vivono in maniera diametralmente opposta: lui ha le gambe molli, poche energie nel corpo, ma la sua
mente vola e vorrebbe uscire, vivere davvero; lei è un vulcano, ha la forza di un leone, ma si smorza, ha paura, vuole
avere tutto sotto controllo e l'incertezza della vita vera la terrorizza. Per lei concretizzare un'idea equivale a ucciderla,
aspettare è meglio che fare: "Se aspettassimo per sempre saremmo infiniti". Per lui, invece, per vincere il limite non
serve negarlo o evitarlo: occorre affrontarlo, entrarci dentro. "Hai mai visto le stelle?" chiede a Cri. "No - risponde lei -,
io guardavo le mattonelle". E il segreto è tutto lì: perché perdersi le stelle per paura di cadere? Alla fine, il bicchiere
mezzo pieno di lui riempirà quello mezzo vuoto di lei. Vivere avrà la meglio sul sopravvivere. Lei uscirà, convinta da
lui; lui la seguirà con le sue gambe molli e il suo cuore forte, e il sogno un po' impolverato ma ancora vivo di entrambi
prenderà il via. Dove li porterà? Non importa. Quel che conta è provarci, non farsi vincere dal limite. "Due passi sono"
è uno spettacolo che fa bene all'anima. Di quelli che rendono il teatro non solo "civile" ma anche "necessario". Carullo e
Minasi ne sono autori sensibili (il tutto è tra l'altro nato da un momento della loro vita: una lunga degenza in ospedale di
Giuseppe) e interpreti ideali, piccoli clown autoironici e potenti nella loro purezza. Una dimostrazione di come a teatro
si possano ancora dire grandi cose, senza bisogno di grandi allestimenti. I lunghi applausi alla fine sono il grazie degli
spettatori dell'Astra per questa pillola di ottimismo salva-vita. E chissà se qualcuno, uscito da teatro, avrà alzato gli
occhi al cielo a cercare le stelle... Ospite della serata è stata l'associazione Curare a casa per l'assistenza, l'ascolto e
l'accompagnamento dei malati inguaribili e per il sostegno alle famiglie. Appunto: gente che non si ferma davanti al
limite.
Alessandra Agosti, Il giornale di Vicenza- 5.12.2012
Delicatissimo dramma che fa proprio della tenerezza un'arma a doppio taglio che minaccia il coinvolgimento del
pubblico. Quello dei due personaggi è un amore "particolare", che mette in luce le mille manie del contemporaneo
(sull'igiene come sulla diversità) attraverso una drammaturgia della paranoia capace di modulare lentezza e
accelerazione, che si sgretola nel sogno: i due, certo, non nascondono le paure e le insicurezze dell'uomo moderno, ma
le possono trasformare in immagini surrealiste di una certa potenza. Tutto è semplice, in scena, essenziale: pochi tratti
cromatici (bianco, rosso, nero), qualche piccola magia teatrale (una bottiglia lunghissima, un cuscino che diventa abito
da sposa), due sedie su una scacchiera. E, ovviamente, il loro rapporto, in cui il fascino lirico, pur di rilievo, è
continuamente contrappuntato da calibrati slanci ironici e momenti di intelligente metateatralità.
Roberta Ferraresi -www.iltamburodikattrin.it- 13.07.2011
Ben recitato il "Due passi sono" di Giuseppe Carullo e Cristiana Minasi. Il loro ingresso nella comunità teatrale in
questi ultimi mesi non è stato in punta di piedi. Merito della focosa Cristiana, che si tira dietro Giuseppe nel negozio di
cristalli e inizia a rompere tutto. Nello spettacolo la dualità diventa la forza per rompere il guscio delle microinsicurezze
e cercare il respiro della vita. E’ un racconto tenue, che vale un lasciapassare per i prossimi tentativi. Dove vogliamo la
cattiveria. E quanto (da noi non) visto al Napoli Fringe parrebbe contenere questi germi. Due distruttive fragilità sono
una risorsa di particolare interesse per un teatro fatto invece di fragili distruttività.
Renzo Francabandera Krapp's Last Post, 14.8.2012
Carullo-Minasi, una relazione unita in un sol battito.
Un cuore pulsante che tratteggia con ironia poetica il dolce incedere di un viaggio a due.
Talvolta speciale, al di sopra delle potenzialità umane che distrugge il limite con incanto e intelligenza.
Altre volte la dialettica ci fa rispecchiare in una strana diatriba dove la similitudine è vicina. Giochi amorosi a parte, in
scena c’è un’alchimia infuocata. Hanno saputo rendere l’idea di un’ esperienza leggera e colorata di un gusto mai
quotidiano, pur essendo ispirata da esso.
Sono la parabola della esistenza che incede divorandone a piccoli passi ogni momento.
Antonella Vercesi -www.niuodeon.it- 11.12.11
[…] È un piccolo rito, Due passi sono, a cui prendere parte anche più di una volta, per farsi la scorta di tenerezza e
semplicità. La disperazione, le impossibilità, le castrazioni, le apocalissi tracciate da decine di altri lavori teatrali hanno
qui il loro piccolo nemico casalingo. È per questo (e anche per quanto ci hanno fatto ridere) che invitiamo Cristiana e
Giuseppe a non stancarsi di questi due piccoli passi e a riproporli allo sguardo di tutti i disillusi che ancora non l’hanno
visto. Allo stesso tempo, però, siamo curiosi di cosa il duo stia covando per le prossime scene. Sperando partoriscano
presto.
Marta Ragusa -www.succoacido.net- 12.9.2012
[…] Cri. Questo il nome di lei, mentre il nome di lui fa Pé. Due acronimi sbucati fuori non tanto da alcuni protagonisti
del teatro di Beckett, quanto da quei personaggi raccontati da Giuliano Scabia nel suo Teatro Vagante o da quelli dei
fumetti. […] Sembrano soli al mondo, ma si fanno coraggio commentando le notizie sui giornali e disquisendo sulle
stelle e sul mare. […] Applausi oceanici alla Sala Laudamo di Messina […]
Gigi Giacobbe -Il Giornale di Sicilia- 6.5.2012
[…] un dialogo fresco e divertito ma come si può trovare in un testo dell'assurdo, attraversato da un sentimento di
incertezza, vaga paura, illogicità. […] Con una bella scia di applausi.
Valeria Ottolenghi -Gazzetta di Parma- 18.3.2012
[…] Il bello dello spettacolo è che lo spunto autobiografico (come il desiderio-timore di uscire all'aperto e di amarsi) sa
divertire (condito da una gestualità vivace e accenni di coreografie) e diventare messaggio universale. Non a caso la
pièce è vincitrice di due premi: Premio Scenario per Ustica 2011 e In-Box 2012.
Simone Tonelli -Giornale di Brescia- 5.11.2012
Proprio sui luoghi comuni, ma con dichiarato intento comico, si fonde lo spettacolo Due passi sono di Carullo-Minasi
(Messina), vincitore Premio Scenario per Ustica 2011. Unico lavoro in cui a dominare è il dialogo e una forte teatralità
essenziale e poetica, fatta di ripetizioni e semplici trovate sceniche, tra piccole manie e grandi insicurezze di una coppia
“piccina”, lieve e delicata, specchio di una generazione rassegnata (…)
Maddalena Peluso -www.iltamburodikattrin.it- 14.12.11
A far la differenza arriva però una tenera e poetica lezione di vita in “Due passi sono”.
Cristiana Minasi e Giuseppe Carullo, con leggerezza e dolcezza, propongono amore e dignità come armi per superare
un limite più forte di qualsiasi crisi sociale, quello del corpo e della malattia. Un grande esempio di come sia possibile
trasformare in vantaggio i problemi.
Su di un quadrato-casa i due attori dialogano, aprendo al pubblico una conversazione che ha un sapore intimo e
profondamente umano. E nella semplicità ecco emergere la poesia, ma è una semplicità che nasconde un messaggio
profondo e paradossalmente, essendo quello che più tocca la morte, ottimista.
Maria Vittoria Bellingieri -www.klpteatro.it- 18.12.11
[…] una pagina piccola, di grande leggerezza e di grande lirismo e al contempo rigonfia di contenuti e significati
universali che riguardano tutti noi. I due protagonisti, nella intensità delle parole e del dialogo ma anche dei gesti e dei
movimenti del corpo, riescono a crescere, nonostante siano piccoli, e ad espandersi nella cosmicità della libertà e
dell’amore, e fare solo due passi per varcare la soglia di quel bozzolo, chiuso e spiccare il volo per respirare l’aria pura
e vedere da vicino il mare perché da vicino è diverso. Un lavoro di grande forza drammaturgica e di grande impegno
etico. Un lavoro scritto in maniera teatralmente perfetta e realisticamente interpretato sia pure ai limiti dell’assurdo.
Un linguaggio teatrale semplice e asciutto ma corposamente incisivo.
Francesco Saija - www.nuovosoldo.it- 5.5.2012
[…] lui eternamente seduto con “le gambe molli” e lei a prendere l’iniziativa, ci si stuzzica verbalmente, si anela a un
futuro normale, si prova a varcare un’immaginaria soglia e ad avvicinarsi davvero: l’amore, niente di più, dicendosi
cose normali e banali ma vere. Come i due attori, anche lo spettacolo è “minuto”: tensioni minime aleggiano fra le righe
dei dialoghi, incrinature piccoline, scricchiolii sostenuti dal lavoro d’attore.
Lorenzo Donati -www.doppiozero.com- 18.12.11
C’è un luogo in cui i sogni sono serpenti. Strisciano come il silenzio e lo riempiono. Questo luogo è l’amore. Il teatro
diventa così l’unica vita e l’unica via quando le stelle non ci guardano perché sono già dentro di noi. Entrare dentro
qualcuno vuol dire raccogliere per lui, e solo per lui, una stella. L’amore è un suono. È lui. È il mare che non si vede,
ma si sente(…)
La drammaturgia di Due passi sono dei messinesi Giuseppe Carullo e Cristiana Minasi, spettacolo vincitore Premio
Scenario per Ustica 2011, segna un orizzonte nuovo. Una riflessione chiara e decisa sull’esistenza dei sogni, travestiti
da stelle. Una narrazione semplice nella sua complessità di dare voce ai desideri più oscuri. Un ballo dentro le parole
rivestite d’italiano, ma flettenti una lingua dialettale madre. Cosicché una masticante diventa un participio presente. E
un poeta diventa il simposio di un uomo. Non è la malattia a rendere folli. Ma la sua ricerca (…)
I due attori-narratori si presentano come sono, diventando testimonianza del loro essere testimoni. La citazione del sé e
dei propri vezzi, all’interno di una costruzione drammaturgica calcolata e chiusa, diventa la cifra stilistica più
interessante e vera di un panorama drammaturgico annacquato dalla riproposizione performante del corpo-parola come
strumento verbale dell’agire. Il testimone diventa così più importante della testimonianza, tanto da farla diventare
poesia. In questo spettacolo c’è Messina. C’è l’abbraccio del mare quando non sai se questi due passi sono le orme di
una spiaggia messinese o reggina. Quel confine che separa tanto da unire. Come la giusta distanza che hanno le mani
dentro guanti in lattice che sono misure precauzionali alla vita. La distanza che ha la parola quando è già scena. Il
verbo spostato e idioma diventa azione consequenziale della parola stessa (mi/ci ricorda Scimone –Sframeli); il silenzio,
corpo della parola, diventa il luogo della poesia (mi/ci ricorda Tino Caspanello) ...Il teatro dovrebbe essere un
terremoto quando frattura la coscienza e la rende viva(...)
Le parole sono importanti. Battezzano. Indicano la direzione di salvezza in caso di terremoto umano. È importante
conoscere le parole, questo ci dicono Carullo-Minasi. Lo dicono loro, Pe e Cri, non i personaggi. Perché qui i
personaggi non sono altro che loro stessi. Non c’è alcuna finzione commemorativa, alcuna aggiunta di significato al
proprio essere. Nessuna paura che si somma ad altra paura(…) Una malattia che, a volte, è semplicemente amore per
l’altro.
Maria Cristina Sarò -www.diecieventicique.it- 5.3.2012
[…] Il messaggio è forte, enorme, si posa delicatamente sull'animo di ognuno senza particolari sofismi. Con deliziosa
semplicità arriva fin dentro le nostre intime profondità, dove incatenati dalla paura cerchiamo appigli per non compiere
quei due passi: allora capita che due esseri minuscoli abbarbicati su una sedia riescano a dare una lezione a tutti.
[…] Due esistenze buffe, installate in un contesto assurdo dai richiami Beckettiani, ma che anziché attendere reagiscono
e compiono l'azione che li salva. Perché la felicità è lì, a portata di mano, per tutti, non si attende ma si conquista, nostri
sono i desideri e nostre sono le gambe con cui raggiungerli. E poco a poco loro diventano giganti, noi quelli minuscoli,
sempre più piccoli, sprofondati nelle nostre poltrone vorremmo sparire, nasconderci ancora, perché il mondo non ci
vuole. Ma il mondo è alla nostra portata, così come la felicità, Due passi sono, ce lo hanno insegnato Pe e Cri, o meglio
Giuseppe e Cristiana: già, perché questo è soprattutto il loro spettacolo, il quale ha una genesi autobiografica - tanto da
assegnare ai personaggi i propri nomi - ma che si è evoluto poi in qualcosa di più ampio, compiendo quel necessario
salto dal personale all'universale. Uno spettacolo è anche ciò che dentro rimane, oggi spesso l'attenzione è posta alla
pura forma, dimenticando la sostanza, o magari nascondendola in un involucro capibile da pochi: Pe e Cri fanno
l'inverso, con naturale genuinità hanno reso un messaggio fruibile a tutti.
Alessandro Giova -riflessialmargine.blogspot.it- 30.10.2012
A rapirci, lasciandoci il ricordo più teneramente poetico, è senza dubbio il duetto di Due Passi sono con Giuseppe
Carullo e Cristiana Minasi. Una coppia di anti-eroi, Romeo e Giulietta in miniatura, i due personaggi (Pè e Cri)
compiono davanti ai nostri occhi un cammino di dimensioni colossali: dei due passi del titolo si tratta, certo, ma servono
a condurli dal microcosmo ipocondriaco in cui vivono (due sedie di legno, pastiglie ipervitaminiche che sostituiscono i
pasti e centinaia di guanti in lattice per evitare qualsiasi contatto esterno) fino al mondo reale, in cui è possibile pensare
di sposarsi, avere dei figli e un cane, e in cui, più di tutto, si può riuscire ad accettare anche la presenza del male, del
pericolo e dolore, dal quale, comunque, non è mai possibile proteggersi del tutto.
Giulia Taddeo -vocidallasoffitta.blogspot.com-
L'atmosfera sospesa della scena, i caratteri delicati dei protagonisti e l'apparente assurdità del linguaggio richiamano
infatti marcatamente lo stile della regista palermitana Emma Dante. I due personaggi vivono in una specie di loculo, lui
ammalato e aggrappato a un cuscino, lei un po' più vitale ma comunque priva dell'energia sufficiente per mutare una
situazione di stallo emotivo che sembra irreversibile. Poi qualcosa si muove, un timido spirito di rivalsa fa capolino, i
due si sollevano dal loro giaciglio e cercano di uscire da quella casa che è diventata una prigione. Dal cuscino spunta un
velo nuziale, i due si sorridono, forse può iniziare una nuova vita. Una favola a lieto fine, alla quale pubblico tributa
scroscianti applausi.
Il Giornale di Vicenza- 02.09.2011
Due semplici passi che trasformano il quotidiano, fatto di complessità e paura, di precarietà e incertezza, in una vita
fatta di piccole cose, di coraggio, semplicità e speranza per rendere visibile l'invisibile. Messinese lei, reggino lui, i due
si sono imposti all'attenzione del panorama teatrale italiano con uno spettacolo che si immerge nella vita reale,
impersonando una sorta di moderni Giulietta e Romeo immersi in una realtà claustrofobica che trovano il modo di
vincere, invece di esserne vinti.
Elisabetta Reale -Gazzetta del Sud- 07.09.2011
Carullo-Minasi è un duo che trova la sua forza nella complementarità, una coppia teatrale che lavora da diversi anni con
base su Messina e che l’estate scorsa ha vinto il Premio Scenario – Ustica per il Teatro. C’è una distanza lunghissima
coperta dalle tre parole di “Due passi sono”, che sono i centimetri-chilometri che passano tra avere il pane e non poterne
mangiare, tra curare e trascurarsi, tra libertà e disorientamento. I due personaggi, Cri e Pe, sono giovani figure che si
compensano e scompensano a vicenda: vivono lo stesso luogo, Cri nel terrore dei microbi e nel panico di non farsi
venire l’ansia, mentre al contempo Pe, battuta dopo battuta, lascia spazio alla voglia di guarire, di mangiare, di uscire,
come uno spiraglio in penombra che diventa luce piena. Bisogni primari, richieste quotidiane, bisogni che servono come
solo quelli vitali sanno fare. In fondo, il desiderio di immaginarsi, a occhi aperti ma non solo, una vita differente, che si
ritrovi nei luoghi della nostra infanzia, con le persone di sempre e le stesse parole, che negli anni azioni non diventano
mai; per inciampare poi, verso il finale, nell’immagine di una bambina, di un cane, di una famiglia felice “olio su tela
incorniciata nel legno”, come un quadro sul muro della sala da pranzo, sempre un po’ sbilenco ma simmetrico nelle
geometrie. Cri e Pe, chi se lo sarebbe mai aspettato: Pe e Cri, alla fine si fanno delle promesse. E si giurano le cose più
semplici del mondo. “È bello prendersi cura di te”. È bello che questo possa ancora accadere ed è bello che accada a
tutt’oggi a teatro.
Nunzia Lo Presti - www.lavika.it
Un'opera intensa, incisiva, che in poco tempo riesce a trafiggere la mente e il cuore degli spettatori. I due personaggi,
lambiti dalla malattia, vivono sotto una campana di vetro. […] A lenire le ferite, la cura e l'amore che provano l'uno per
l'altra. Ma non basta, non può bastare, al cospetto della bellezza che pullula là fuori. Ci vogliono coraggio e autoironia,
per spezzare le gabbie della prigione dorata in cui questa coppia si è relegata. Ma quando la vita irrompe, tutto diventa
possibile, persino superare i propri limiti e afferrare quei sogni costantemente negati, coronando il desiderio di un amore
“particolare”.
Annalice Furfari -Il Quotidiano della Calabria - 4.12.11
Un ritaglio di pavimento a scacchi. Due sedie colorate. Un filoncino di pane, un blister di pillole-cibo, giornali. Un fiore
di velluto il cui gambo può essere allungato all’inverosimile. Una lampada, un cuscino. Due passi sono, per balzare
fuori dalla scatoletta in cui vivono Pé e Crì. Due passi per uscire da un microcosmo in cui la natura non è che un fiore
finto, in cui non si vedono le stelle, in cui abbracciarsi non si può perché non è igienico e accarezzarsi diventa
un’operazione che necessita di guanti sterili, in cui per sposarsi non si deve andare in chiesa ma in banca. Ma se è vero
che dai diamanti non nasce nulla, e che non si può apprezzare un mare che si muove se non lo si è visto prima da
lontano piatto e privo di vita, allora il carillon che imprigiona i due piccoli amanti è una soglia, un’anticamera della vita
vera in cui è possibile immaginare lunghe braccia che conducano fuori mani libere di toccare e in cui si sogna un figlio
e un cane.
Due passi sono per “sognare davvero”, per infilarsi scarpe riposte da tempo e attraversare la soglia della felicità, per
tirare fuori da un cuscino un velo bianco e un abito da sposa e scambiarsi inedite promesse d’amore al gusto di poesia.
Uno spettacolo delicatamente ironico. Minuto e perfetto come una bambola di porcellana dal viso levigato. La
coppia Carullo-Minasi racconta la rivincita di chi, pur avendo visto la morte, si è tuffato nella vita. Una vera rarità nel
teatro del pessimismo.
Rossella Menna –vocidallasoffitta- 9.3.2012
Intervista di Mario Bianchi per Krapp’s Last Post
Lo spettacolo di Giuseppe Carullo e Cristiana Minasi, mette in scena una storia d'amore molto particolare, di due esseri
molto particolari, un uomo e una donna dal corpo minuscolo che, abbarbicati su due sedie, vivono in uno spazio
anch'esso piccolo. Il loro rapporto, tra pillole e guanti antimicrobi, è punteggiato dalla paura di dover uscire in un
mondo che potrebbe non accoglierli.
Solo alla fine troveranno il coraggio di fare quei due passi che li porteranno forse verso la felicità tanto sognata.
Lo spettacolo, oltre che sulla particolare espressiva corporeità dei due protagonisti, vive sul ritmo di un dialogo
tenerissimo, di grande teatralità nella sua apparente assurdità paradossale. Ed anche il finale, assolutamente consolatorio
con tanto di abito da sposa che esce a sorpresa da un cuscino, si innesta perfettamente con tutto il contesto, conferendo
allo spettacolo uno spessore tutto particolare, alieno da ogni facile retorica.
Per approfondire il lavoro di questi due giovani artisti abbiamo voluto far loro qualche domanda.
Raccontateci innanzitutto qualcosa delle vostre attività prima di Scenario, e come è avvenuto il vostro incontro.
Il nostro incontro, data la collaborazione d'entrambi con due compagnie messinesi, è stato proprio in teatro e in quei
suoi dintorni fatti di parole e poesia: è facile che le tavole del palcoscenico abbiano la forte ed imprudente presa
galeotta. Il nostro incontro risale a circa cinque anni fa; lì si è cominciato a disquisire e a valorizzare l'uno la poetica
dell'altro. In realtà, però, la forza per cominciare a stare nella medesima scena ci è stata in prima istanza offerta da altri.
Anzitutto da Adele Tirante, che ci ha reso partecipi del suo progetto "Euphorìa" prodotto dai Teatri del Sacro e, in un
secondo momento, da Tino Caspanello (celebre drammaturgo oggi felicemente tradotto e rappresentato anche in
Francia) con il suo "Fragile". Sono state entrambe delle ottime possibilità per condividere desideri e voglie reciproche e,
nel confronto continuo dei diversi mesi di lavoro, elaborare l'idea di un possibile gusto condiviso da mettere al più
presto in "atto". A questo atto di vero amore, perché di creazione, si è aggiunto quello dell'associazione Il Castello di
Sancio Panza, da sempre compagna di lavoro e di vita, oggi nelle vesti di produzione, organizzazione e distribuzione
dello spettacolo.
Com'è nata l'idea dello spettacolo?
Non è stata un'idea a muoverci, ma più propriamente la forte necessità di far qualcosa di concreto, di riscattare la voglia
e la forza di essere vivi. Volevamo, tramite il limite in cui ci siamo trovati immersi per uno stato di momentanea
difficoltà fisica di Giuseppe, raccontare l'indescrivibile forza di cui è portatore l'uomo. Più che per concetti, abbiamo
avuto l'intuizione di operare per giochi di relazione, d'improvvisazione scenica che poi hanno costituito la base di
elaborazione del testo. I primi cinque minuti, previsti per la prima selezione di Scenario a Palermo, sono stati elaborati
con forte gioia ed incanto, solo seduti al tavolo di un bar con un piccolo taccuino dove, con perizia, abbiamo segnato i
punti di una struttura in possibile divenire. Parlavamo di una quotidianità, che poi era quella che al momento ci capitava
di vivere, estremamente patologizzata, caratterizzata da una miriade di prescrizioni e divieti, che rendevano la possibile
guarigione di Pe, assolutamente invivibile.
Per certi versi lo spettacolo è quindi autobiografico.
Sì, ma la vicenda della malattia è poi solo divenuta un pretesto per potere raccontare un qualcosa di più ampio, che certo
non doveva ridursi a mera vicenda personale. Siamo dell’avviso che, chi opera nel settore dell'arte, intesa in ogni senso,
deve poter essere in grado di riuscire a decodificare i propri accadimenti in virtù d'una missione più alta. L’obiettivo cui
aspirare è quello di promuovere messaggi poetici, il più possibile universali, validi per ogni essere, ciascuno col proprio
singolare modo di sentire, validi per ogni tempo.
La comunicazione, così come la sua etimologia suggerisce, è e deve rimanere cum-munis, dunque condivisione di doni
reciproci: noi ci mettiamo il nostro, il pubblico il suo, cosicchè se l’operazione riesce, se la magia del teatro accade, il
risultato può rilevarsi quale dato obiettivo.
Abbiamo voluto condividere, con i forti tratti dell'autoironia, il nostro convincimento tratto dallo studio su Kantor, in
forza del quale “è proprio dal limite che vien fuori l'opera d'arte”. Abbiamo trasformato la malattia in qualcosa di
estremamente divertente, nascostamente invertendo i ruoli e rendendo colei che avrebbe dovuto aiutare, la vera
ammalata da dirigere verso la giusta rotta del fuori e della libertà.
Il fatto che il vostro spettacolo abbia vinto il Premio Ustica vi ha stupito o lo avete vissuto come un arricchimento
di quello che volevate dire?
È motivo di grande orgoglio poter far coincidere il nostro impegno autoriale con l'impegno del risveglio delle coscienze.
Crediamo che solo questa sia la strada possibile in un'era quale la nostra, volta all'aggregazione acritica e al
disconoscimento dell'attività del pensiero. Spegnendo la candelina della nostra rinascita, speriamo che ciascuna
coscienza abbia la forza e la voglia di venire fuori, che i desideri possano ancora essere espressi. Il teatro altro non è che
impegno civile, questo è il più bel premio che il teatro ci poteva consegnare.
Così come un dottore crea un danno oggettivamente riconoscibile e deprecabile se erroneamente taglia una parte sana al
posto di un'altra, così l'attore/autore/regista che sia, ha la grande responsabilità di rivolgersi al pubblico senza creare né
indifferenza o incomprensione verso l'oggetto di cui si tratta, né danno. Un danno alla coscienza è stimabile come un
grande e grave danno all'umanità tutta.
Il teatro è per tutti e di tutti, non si può certo accettare che la gente non vada a teatro perché dice di non poterlo capire.
Se non lo si capisce vuol dire che non funziona, e se non funziona bisogna che migliori. Se non comunica vuol dire che
non assolve alla sua funzione prima. Chi fa teatro ha una grande responsabilità, così come chi lo promuove e chi lo
gestisce. In Russia, in Polonia, chi fa teatro è considerato un grande uomo, quasi un eletto, ci si inchina dinnanzi a tal
tipo di maestri perché promotori di idee, strumenti di innovazione del pensiero, esseri unici, irripetibili nella loro
essenza.
E' indubbio che ciò che colpisce lo spettatore è la vostra corporeità del tutto particolare. Voi sentite questo
aspetto? E come lo avete valorizzato?
Noi diversi gli uni dagli altri, noi molteplici rispetto a noi stessi. La società nel suo complesso sta compiendo questo
grave delitto d'uniformazione delle menti e dei corpi. Molti investono la propria intera esistenza “a dimenticarsi, a
cancellarsi”, per compiere questo strano rito del “rassomigliarsi” tutti fra tutti. In una società tecnicamente organizzata
come la nostra si declinano le identità di ciascuno in vista dell'idoneità e funzionalità del sistema di appartenenza. Così,
come Galimberti dice intorno all’attuale degrado, "nella nostra epoca l'amore diventa indispensabile per la propria
realizzazione, divenendo l'unico spazio in cui l'individuo può esprimere davvero se stesso, e al tempo stesso impossibile
perchè nella relazione d'amore, ciò che si cerca non è l'altro, ma attraverso l'altro la realizzazione di sè". Non ci
dedichiamo all’amore nel giusto e dovuto modo: strumentalizziamo sia l’amore sia l’altro, così fingiamo di trovare e
promuovere noi stessi. Noi, invece, tentiamo di non essere due singoli, ma coppia: ci interessa sapere che è possibile
l’incontro di uomini, che si trovino uniti non da un’attività comune, ma da una qualità dell’anima: la grandezza, forse?
Non abbiamo paura di noi e quindi semplicemente stiamo e facciamo. Tanti maestri spiegano che la semplicità sia
faccenda che richiede anni e anni di lavoro. E' per questo che non ci sforziamo di essere diversi da quello che siamo. Ed
è per questo che, usciti da teatro, una piccola ragazza sorridendo ha detto: "Vi ho invidiato, avrei voluto, uscita da
teatro, essere un pò più bassina come voi, per essere tanto alta quanto voi". Chi impara ad amare la vita, con le sue mille
straordinarie diversità, sarà in grado di creare e dunque di rimanere con una piccola orma, in questo mondo che di orme
ne segna poche, perchè tutte uguali. E' la diversità che accomuna gli uomini, che li rende tutti sostanzialmente, e non
solo formalmente, liberi!
Progetti per il futuro?
Le idee sono tante, troppe, bisogna fare ordine, capire con responsabilità la spinta che tenti di non tradire la poetica
della sottrazione e della verità. Forse dei monologhi per entrambi, così che la regia sottenda anche una buona
visualizzazione esterna del materiale, forse un nuovo dialogo per una trilogia, forse un atto senza parole, forse un lavoro
del tutto nuovo con nuovi compagni, forse teatro ragazzi.
Insomma molte le idee in cantiere, ma tutte da lavorare con la giusta calma e i giusti tempi, gli stessi che abbiamo avuto
per la realizzazione di "Due passi sono". Giocheremo, come i bambini che prendono sul serio i propri giochi, fingendo
magari di partecipare ad un altro premio, dandoci le medesime scadenze, così da concederci il giusto tempo, senza
correre troppo né andare troppo lenti.
Cristiana concluderà il progetto triennale di Pedagogia della Scena con il maestro Vassiliev, percorso che è servito ad
entrambi, ha messo entrambi davanti alle regole del teatro, dell'azione e dell'accadimento scenico, verso cui tenteremo
di mirare per l'intero percorso che ancora ci attende.
Così, come in una battuta dello spettacolo ("se il verme è verme perchè striscia, fa, striscia"), cosa mai dovrà fare
l'uomo per fare e non fingere di essere uomo?
Racconto della coppia Carullo-Minasi a cura di Josella Calantropo
Il nostro incontro risale a circa sei anni fa a Messina, avendo collaborato entrambi con due compagnie di ricerca della
città. Così, ci si è cominciati a frequentare in teatro e in quei suoi dintorni fatti di parole e poesia; così, per gioco ed
incanto, si è cominciato a disquisire e a valorizzare l'uno la poetica dell'altro, a condividere desideri e voglie reciproche.
Dopo diverse esperienze comuni –tra cui Fragile di Tino Caspanello- e gli instancabili confronti per i diversi spettacoli
insieme visionati, è nata l’idea di elaborare un possibile gusto condiviso da mettere al più presto in "atto".
Per Due passi sono, prima nostra vera opera, siamo stati mossi dalla forte necessità di concretezza, di riscattare la voglia
e la forza di essere vivi. Volevamo, tramite il limite in cui ci siamo trovati immersi per uno stato di momentanea
difficoltà fisica di Giuseppe, raccontare l'indescrivibile forza di cui è portatore l'uomo. Più che per concetti, abbiamo
avuto l'intuizione di operare per giochi di relazione, d' improvvisazione scenica che, poi, hanno costituito la base di
elaborazione del testo.
In tal senso è stato fondamentale, oltre che estremamente formativo, il percorso di elaborazione del lavoro per tramite
delle tre fasi di Scenario. Il premio “obbliga” ad una continua messa in discussione del materiale: passare dai 5 ai 20
minuti sino al raggiungimento della definizione dell’intero spettacolo, significa sorprendersi di continuo circa le
potenzialità di un percorso che, se sinceramente vissuto come tale, deve nutrirsi dei principi del processo e non dei
principi meramente risultativi. Abbiamo proceduto per sottrazione: più si è tolto, più ci è stato restituito dalla logica
intrinseca allo spettacolo medesimo. In tal senso, nonostante si fosse partiti dal tema della malattia, della quotidianità
patologizzata in vista di un’ipotetica salvezza fatta di prescrizioni e negazioni, lo spettacolo è misteriosamente -quasi
per opposizione- approdato ai temi dell’amore, della creazione, della libertà, della conoscenza, del potere desiderare
nonostante l’apparente impossibilità.
I molteplici confronti con la giuria, con gli spettatori dei 20 minuti della finale di Santarcangelo, con il pubblico che ha
visionato al Franco Parenti la prima dello spettacolo intero, con i giornalisti, con le interviste post spettacolo di questa
attivissima tournée, hanno fatto sì che lo spettacolo crescesse sempre e di più non tanto nella forma, ma nei contenuti.
Al livello orizzontale della vita/non vita dei due protagonisti, si è reso necessario aggiungere una linea verticale
“filosofica/clandestina” che creasse un congiungimento con le vicende dell’amore. Prendendo in prestito l’immagine
della scala infinita del Simposio di Platone, il nostro testo passa in rassegna - frammento per frammento, scalino per
scalino- piccoli ma infiniti varchi di luce, molecole di polvere di stelle che illuminano dando luogo, forma, diritto e
giustezza all’aspirare ad un percorso di conoscenza condiviso. Amore non è vicenda personale tra due, sia pure
formalmente appaia come tale, ma è vicenda universale, che deve attenere poeticamente ciascun uomo.
Quanto alla nostra vittoria di un premio dedicato all’impegno civile, è motivo di grande orgoglio poter avere fatto
coincidere il nostro impegno autorale con l'impegno del risveglio delle coscienze. Crediamo che solo questa sia la strada
possibile in un'era quale la nostra, volta all'aggregazione acritica e al disconoscimento dell'attività del pensiero. Il teatro
altro non è che impegno civile, il nostro è il più bel premio che il teatro ci poteva consegnare. Il teatro è per tutti, il
teatro è di tutti.
Questo spettacolo è un inno alla semplicità, vuole glorificare la vita e lo fa parlando del desiderio. Ma figlio di questo
spettacolo non è il desiderio dell’effimero, della cruda materia ma il desiderio fatto di valore, di quel valore unico che è
la vita. Amore è creazione: ci son mille modi di creare, bisogna a ciò educarsi, bisogna trarre insegnamento dalla vita
per giustificare la vita stessa, di ciascuno, per tutti.
È solo in questa direzione che stiamo compiendo il passo per la prossima produzione.
Conversazione di Giada Russo con Cristiana Minasi per www.ateatro.org
Un titolo in cui c’è già tutto: rivela la sicilianità dei due protagonisti, Giuseppe Carullo e Cristiana Minasi, due artisti
messinesi che esplorano con sensibilità e ironia temi universali, come la malattia e l’amore; tradotto in italiano vuol dire
che “bastano appena due piccoli passi” per raggiungere la felicità. E la felicità per questa straordinaria coppia (nell’arte
e nella vita) è nascosta nelle cose semplici.
Due passi sono. Due: perché siamo una coppia, bisogna essere in due per incontrarsi; passi: è l’azione, il mistero,
l’epifania dell’azione; sono: è l’essere, l’esistenza.
Due individui stravaganti rinchiusi dentro una scatola immaginaria di tre metri per tre discutono, si pizzicano e giocano
intorno a una quotidianità a tratti soffocante. C’è tanto di Beckett in questa dimensione claustrofobica da cui si cerca di
uscire, ma c’è poi un modo del tutto originale di concepire la vita dentro la scatola. Ci specchiamo, noi spettatori, in
un’immagine stralunata, che è questo stralcio di linoleum in bianco e nero dove due piccoli individui giocano la loro
partita a scacchi. Sono giocatori e pedine al tempo stesso, Pe e Cri. Lei, mentre cerca di controllare la vita di lui, diventa
a sua volta pedina della vita, controllata e controllante. Si impara a conoscere il mistero della malattia sul palcoscenico
dei Carullo-Minasi: è vero che la paura della morte fa scattare un’incontenibile smania di controllare tutto, come se
all’improvviso si potesse diventare onnipotenti. Cri supervisiona Pe, e per paura di perderlo lo schiavizza; lo gestisce
perfino nell’alimentazione, negandogli il gusto della vita. Quel blister di pillole sembra l’unica via di salvezza. Ma sarà
proprio lui, ammalato, a trovare la guarigione per entrambi. Pe riesce a comprendere una dimensione della vita vera e
conduce lei a vedere, per la prima volta.
È in fondo una metafora della realtà contemporanea, dove il controllo del pensiero e delle azioni non ci permette di
autodeterminarci. Avviene anche nell’alimentazione questa forma di schiavitù: le pillole rappresentano le medicine, a
cui tutti ci affidiamo sperando che ci salvino, e anche gli integratori, un surrogato del cibo.
Basta guardare fuori dalla finestra un paesino con le case che si tuffano sul mare per immaginarsi lì dentro e guardarsi
con occhi nuovi. Varcata la soglia del tappetino c’è tutto un mondo straordinario da vivere. E così Pe e Cri, incapaci di
abbracciarsi, ingabbiati nelle loro seggioline rosse, riscoprono la ricchezza di una vita semplice e autentica.
La semplicità è la cosa più difficile da raggiungere. Finalmente “si impara a sognare per davvero dopo non aver fatto
altro che dormire per finta”.
Nonostante si fosse partiti dal tema della malattia, della quotidianità patologizzata in vista di un’ipotetica salvezza fatta
di prescrizioni e negazioni, lo spettacolo è misteriosamente - quasi per opposizione - approdato ai temi dell’amore, della
creazione, della libertà, della conoscenza, del potere desiderare nonostante l’apparente impossibilità.
“L’amante, amando, anche se muore lascia al suo posto qualcosa di nuovo e simile a lui”. Prendendo in prestito
l’immagine della scala infinita del Simposio di Platone, il testo passa in rassegna - frammento per frammento, scalino
per scalino- piccoli, infiniti varchi di luce, molecole di polvere di stelle che messe tutte insieme danno luogo, forma,
diritto e giustezza alla creazione. Amore non è vicenda personale tra due, sia pure formalmente appaia come tale, ma è
vicenda universale, che deve attenere poeticamente a ciascun uomo.
Il dramma della malattia lascia spazio al trionfo dell’amore e così dal cuscino saltano fuori un velo bianco e un abito da
sposa, come nei migliori happy ending. Per fortuna qualche volta le cose finiscono bene a teatro, e anche nella vita.
“E se volessimo che questo durasse per sempre? Non per tutta la vita, ma per sempre”.
Chi crede ancora nel “felici e contenti” non può che avere grandi sogni e speranze. Quali sono le tue, le vostre
aspettative?
Scenario ha rappresentato una grande possibilità di conoscenza e ci ha aperto un mondo che non avremmo mai visto
altrimenti. Ci siamo ritrovati ogni volta, dai 5 ai 20 fino ai 45 minuti, a discutere il nostro percorso con gente molto
preparata.
Il più bel regalo di Scenario (a parte il premio)?
Non è il premio in sé, ma è l’incontro, che ti consente di crescere e di farti conoscere. Il premio consente gli incontri. E
sei finalmente libero di poterti esprimere.
Dietro la vittoria del Premio Ustica c’è una responsabilità civile: te ne senti portatrice?
Ci sono tutta una serie di responsabilità a cui non ero abituata. Il Premio Ustica per noi è il premio più importante,
perché il teatro deve essere civile: il teatro è di tutti e per tutti. Se viene meno l’impegno civile vuol dire che la società
ha smesso di essere civile. Pur non essendo uno spettacolo storico, il nostro guarda alla società, prova a spiegare dei
temi universali come la malattia, l’amore, la libertà e la dignità.
Se con una parola dovessi descrivere la tua esperienza a Scenario?
Formativa.
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