NOBODADDY Ascanio Celestini . Fanny & Alexander . Motus . Lady Godiva . Alfonso Santagata-Blaine L. Reininger . Massimiliano Civica-Andrea Cosentino Compagnia Lombardi-Tiezzi . Artipigri . Kinkaleri . Tanti Cosi Progetti . Sud Costa Occidentale . non-scuola . Impunemente Woyzeck Sapnas . Canone 6+1 . Ravenna viso-in-aria . GiPi . Teatro delle Albe Ravenna Teatro-Teatro Stabile di Innovazione, Comune di Ravenna-Assessorato alla Cultura, ETI-Ente Teatrale Italiano, Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Regione Emilia Romagna Io fondo in un unico corpo il cabotin, il giullare, e il grande attore. Sospendo il tragico, liquido l’attore, sottraggo il corpo, lo riduco a voce e poi a fonema demente. Non rallegro nessuno e nessuna corte. Non permetto a nessuno di rallegrarmi. Il comico che mi interessa è cattiveria pura, lama gelida e affilata che trafigge i ben decorati presepi. Ai funerali ti scappa da ridere e questa è la vera tragedia. Le disgrazie altrui ti mettono sempre di buonumore, diventano caricatura un secondo dopo. Fare anche della propria disgrazia una spassosa e deforme caricatura, questo è il comico che si sposa al sublime. In quanto al “comico” non va mai confuso con la “commedia” o, peggio ancora con il “buffo”. Così come il sentimento del “tragico” non va mai confuso con la “tragedia”. Commedie e buffoni mi noiano e mi ripugnano. Sono ammiccanti, intrattengono la gente, sono schifosamente sociali e socievoli. Gonfiano le gote e strabuzzano gli occhi come i rospi da cortile e si gonfiano ad ogni applauso. Vogliono essere trasgressivi e sono consolatori. Repellenti. Il comico è tutto l’opposto. Quanto di più asociale e libertino si possa concepire, se mai fosse concepibile. Comico e porno hanno ingoiato la mia vita, tutte le mie vite, come un serpente a sangue freddo. Fissando il buio a occhi chiusi come scriba e come attore, ho riso fino a farmi male. Il comico è cianuro. Si libera nel corpo del tragico, lo cadaverizza e lo sfinisce in un ghigno sospeso. C’è niente di più comico di un cadavere o di un abbacchio a testa in giù, sospeso a un gancio, di qualunque macelleria? Carmelo Bene Giancarlo Dotto, Vita di Carmelo Bene, Bompiani gennaio . maggio 2003 Teatro Rasi Ravenna me 8, ve 10 gennaio ore 21, sa 11 gennaio ore 17.30 e 21 . Teatro Rasi AGRESTA RADIO CLANDESTINA Roma, le Fosse Ardeatine, la Memoria In Radio clandestina hai messo particolarmente in risalto il forte legame che c’è fra l’immaginario collettivo e la storia urbanistica di una città. (...) Come se ricostruendo la storia di una città attraverso i racconti privati, ogni racconto acquistasse una dimensione più ampia fino a divenire parte essenziale di una storia collettiva. scritto diretto e interpretato da Ascanio Celestini a partire da L'ordine è già stato eseguito. Roma, le fosse Ardeatine, la memoria di Alessandro Portelli musica originale Matteo D'Agostino aiuto regia Debora Pietrobono In Radio clandestina la narrazione di un evento storico importante, l’eccidio delle Fosse Ardeatine, avviene in un continuo scambio fra la storia “ufficiale” e le rielaborazioni dei personaggi, con le loro storie private. In altri lavori, come nella Fine del mondo, in Vita, morte e miracoli o nei racconti che hai presentato a Radio tre, emergono maggiormente gli aspetti grotteschi della cultura orale, le credenze e una religiosità superstiziosa tipica della tradizione popolare. Qual è il punto di contatto di questi vari aspetti? A me interessa l’evento storico non tanto come fatto di cronaca e non soltanto perché è realmente accaduto. Mi interessa la traccia che lascia nell’immaginario collettivo, non quindi l’evento in sé. Nell’immaginario collettivo c’è spazio sia per i grandi eventi storici sia per i santi e per immagini a volte estremamente grottesche. Anzi spesso questi vari aspetti si ritrovano uniti: eventi storici mischiati a fatti religiosi o che nascono direttamente dall’immaginario religioso. A me interessa un’immagine quando ha una presenza, una sua forza, all’interno dell’immaginario collettivo. In questo senso, sia la bomba di Hiroshima che la Madonna che lacrima sangue son eventi che le persone riconoscono immediatamente, in modo profondo, quasi archetipico. Anche se non si può parlare proprio di archetipo perché comunque sono immagini che appartengono a un passato recente. A me interessa, appunto, questo tipo di passato, che non è né ancestrale né indagabile come fatto di cronaca. Proprio per questo dicevo che reputo molto importanti le immagini e meno importanti le parole. Più è interessante il lavoro sulla parola più chi lo ascolta riesce a perdersi, ad andare oltre. Sentendo le persone raccontare le proprie storie ci si rende conto di quanto realmente siano poco importanti le parole che dicono. Tanto che a un certo punto non le senti più, segui le immagini. Le senti ancora perché non c’è la telepatia, perché chi ti sta davanti sta parlando e non si esprime suonando uno strumento o danzando... Per esempio quando ascoltavo Mario Fiorentini raccontare della lotta partigiana a Roma mi sono reso conto che lui non stava parlando né della sua storia né della storia del suo paese, lui stava raccontando la storia di strade, case, finestre, porte. Portava una testimonianza, e una testimonianza è fatta di immagini. È come se a ogni frase si sottintendesse: questa storia è vera, infatti vedi quella casa... E allora il racconto si sposta sulla casa e poi sulle strade fino all’intera città. L’oralità è questo: la parola non è più un susseguirsi di suoni, diventa direttamente una cosa, una cosa che accade. da un’intervista di Simone Pappalardo, nello “Straniero” anno VI numero 23, maggio 2000 La ripetizione nella parola detta serve a definire dei campi, a ricordare in continuazione sia gli elementi fondamentali del discorso che il soggetto. Questo tipo di ripetizione può diventare ossessiva al punto che la parola arrivi a essere qualche altra cosa o addirittura a diventare soltanto un suono. A me interessa appunto questa ripetizione ossessiva, nel momento in cui diventa un loop. Il rischio che c’è nel racconto orale è che uno comunichi troppe immagini. Per me invece è importante riuscire ad arrivare a comunicare una sola immagine. Meno sono le immagini e più sono definite, chiare, più diventano incisive. Per questo il lavoro sulla parola è così legato alla ripetizione. È un po’ come se il centro del racconto fosse impossibile da dire perché appunto il centro non è la parola, ma l’immagine a cui le parole girano intorno cercando continuamente di definirla in qualche maniera. Nel momento in cui il lavoro funziona, lo spettatore vede quindi cose che non sono in scena. In alcuni momenti lo spettatore e l’attore vedono le stesse immagini o comunque vedono tutti e due delle immagini. La cartolina dello spettacolo La lingua che usi nei tuoi spettacoli è molto diretta e in apparenza semplice e quotidiana. In realtà sono molte le strutture stranianti come ad esempio la ripetizione ostinata di certi concetti. ve 17 sa 18 do 19 me 22 gio 23 ve 24 sa 25 do 26 gennaio ore 21 . Ardis Hall FANNY & ALEXANDER ALICE VIETATO > 18 ANNI testo Chiara Lagani con Virginiasofia Casadio e Sara Masotti regia Luigi de Angelis macchinista e tecnica Marco Molduzzi luci, scene e musiche Luigi de Angelis costumi Chiara Lagani realizzazione scenotecnica Claudio Pamelin, Sara Masotti produzione Fanny & Alexander, CRT-Centro di Ricerca per il Teatro, Milano con il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna in collaborazione con Ravenna Teatro Questo mondo delle meraviglie è una wunderkammer, una piccola stanza, quasi tremenda e trasfigurata aula scolastica, è il dispositivo della vera soggettiva di Alice: offre protezione, ma contemporaneamente espone incondizionatamente allo sguardo. È un’impeccabile struttura del terrore e del fantastico: esiste un solo punto di vista un solo territorio dal quale ogni immagine sognata, fondendosi con il reale, appare intrisa sempre di nemica e frodolenta onnipotenza: l’infanzia Qualcuno avrà notato con quale ipnotica lentezza battano le ciglia di un bambino che ascolta, come le labbra si schiudano febbrili, la saliva passi lenta attraverso la gola. C’è in lui la tensione immobile degli animali in muda, degli insetti in metamorfosi; è forse simile agli usignoli in pieno canto che, si dice, hanno una forte temperatura e il fragile piumaggio tutto arruffato. Gli oggetti che il bambino chiede con tale ansia di “vedere“ circondano dopotutto anche lui, sono a portata della sua mano; e tuttavia egli sembra incapace di stabilire il rapporto, niente gli appare comune tra le cose di cui si sta narrando - semplici fino a spaventarlo e così allettanti da sfuggirgli continuamente - e le cose che egli tocca e vede ogni giorno, che tornerà a toccare e vedere tra poco, terminata o interrotta la narrazione. C’è qualcosa di brutale, o forse di animale soltanto, nella repentinità con la quale un bambino torna ai suoi giuochi dopo uno di questi attimi che hanno sospeso sulla sua testa il moto delle sfere. Pareva impossibile vederlo sciogliersi dal rapimento senza lacrime e ribellioni. Ma quasi ridestato da un sogno, al modo degli animali o dei miracolati che appena aperti gli occhi cercano il cibo, anche lui dirà subito “ho fame“, e presa avidamente la sua fetta di merenda correrà via, su un piede solo, a mangiarsela altrove: quasi protervo, quasi ostentando il distacco con piccole grida o canti strepitosi. (...) Non che il fanciullo non viva in un rapporto perfetto con gli oggetti che lo circondano. Al contrario. Immerso nella grazia di una sensualità senza mende, le sue mani afferrano l’arancia, si tuffano nella ricchezza del pelame o dell’acqua con la velocità, con l’apiombo di un angelo. Ma egli non lo sa. Solo quando la sua memoria si richiuderà come un cerchio sopra i suoi stessi inizi, potrà saperlo. (...) Rebus di limiti illimitati, l’infanzia. Di confini malcerti, magnificati dalla piccola statura. da Cristina Campo, Gli imperdonabili, Adelphi Alice a sei anni (1858) fotografata da Charles L. Dodgson (Lewis Carrol) nei panni di “piccola accattona” ve 31 gennaio, sa 1, do 2 febbraio ore 19 e 21,30 . Albergo Cappello0 MOTUS SPLENDID’S uno spettacolo ideato e diretto da Daniela Nicolò e Enrico Casagrande ispirato a Splendid's di Jean Genet traduzione Franco Quadri consulenza letteraria e musicale Luca Scarlini personaggi e interpreti Jean Dany Greggio, Scott Enrico Casagrande, Bravo Renaud Chauré, Bob Vladimir Aleksic, Riton Damir Todorovic, Rafale Tommaso Maltoni, Pierrot Daniele Quadrelli, il poliziotto Francesco Montanari la voce della radio è di Luca Scarlini ideazione e regia Daniela Nicolò e Enrico Casagrande abiti Ennio Capasa per Costume National selezione musicale a cura di Daniela Nicolò e Enrico Casagrande organizzazione e ufficio stampa Marco Galluzzi, Sandra Angelini logistica Roberta Celati produzione Motus, Kampnagel Internationale Kulturfabrik di Amburgo, Santarcangelo dei Teatri, Teatro Sanzio-Comune di Urbino in collaborazione con ETI-Ente Teatrale Italiano, Infinito ltd Gallery di Torino, Xing di Bologna, Comune di Rimini, Provincia di Rimini, Regione Emilia Romagna In Splendid's s'intrecciano e si scontrano i temi di due grandi fasi dell'evoluzione genettiana, che conflagrano in uno stadio non ancora completamente risolto e formalizzato. Da un lato ci sono il fascino e la bellezza del male, il culto della trasgressione e dell'inversione legati alla poetica del carcere e all'epopea del delinquente (mentre è già passata in secondo piano la rivolta individuale contro la violenza dei rapporti sociali). Ma questa fascinazione spinge con forza sempre maggiore verso l'autorappresentazione, la teatralizzazione dell'esistenza del gangster. A essere in gioco in Splendid's, infatti, non è il culto del male in sé: la scena è occupata da un gruppo di banditi di mezza tacca che recita la parte della gang di duri, utilizzando i cliché comportamentali e linguistici dell'hard boiled e del noir. Nel frattempo la radio e i giornali inventano la loro sanguinaria leggenda. A questo punto, data la trasformazione del bandito in attore che recita la parte del bandito, la riflessione sulla spettacolarizzazione dell'intera società è un passo breve e obbligato. C'è di più: la gang di Splendid's si ritrova asserragliata all'ultimo piano del grande albergo che dà il titolo alla pièce. In questa situazione claustrofobica, in attesa della fine inevitabile, del massacro che tentano rozzamente di rinviare, le dinamiche del gruppo seguono la logica del tradimento, della trasgressione di ogni regola, portando a una totale imprevedibilità dei comportamenti, nel segno di una libertà assoluta ma apparente, del rifiuto del ruolo sia esso imposto o scelto. Fino all'estremo tradimento della propria immagine: la vigliaccheria, la resa. Se non che le due strade, quella di farsi ammazzare dalla polizia e quella della resa, appaiono ugualmente consone al loro ruolo di fuorilegge: eroi e martiri del male, oppure preda di quella galera e di quel boia che li affascinano e li attirano. In Splendid's il poliziotto - colui che opera contro il male - se vuole restare tale ha un'unica possibilità di comportamento, rigida e obbligata; e un unico grado di libertà, un’enorme alternativa: il tradimento. Ma tra guardie e ladri il ruolo sociale, anche quello più apparentemente trasgressivo, resta sempre una trappola. E alla fine, nella sarabanda conclusiva, il poliziotto traditore riprenderà la propria parte, e per di più con l'apparenza dell'eroe. da Oliviero Ponte di Pino, Una nota su Splendid’s. In occasione della pubblicazione del testo, in “www.olivieropdp.it” ve 7 febbraio ore 21 . Teatro Rasi LADY GODIVA FILOTTETE di Heiner Müller con incursioni di Eugenio Sideri con Enrico Caravita, Fabrizio Ferracane, Edis Livnjak, Stefano Minguzzi regia Eugenio Sideri Foto di Enrico Fedrigoli sguardi e scene Gianni Plazzi sgadora da guerra Claudio Caravita È la storia del calvario di Filottete, l’escluso e il ripescato. In viaggio verso Troia, dieci anni prima quando, agli albori della guerra, Filottete viene abbandonato da Ulisse sull’isola di Lemno… Poi, dieci anni dopo, la ragion di stato lo rivuole a Troia. Qui comincia la riscrittura di Müller dentro la tragedia di Sofocle. Un viaggio verso la morte che attraversa una Lemno in cui i giorni sono sempre uguali, come il destino dei protagonisti, costretti a una quotidianità che trova la forza di vivere solo nelle parole del mito. Il resto è ricordo, fuori dal campo di Lemno, dieci anni prima. Ulisse, Neottolemo, Filottete sono i protagonisti della vicenda che ora si ripete attraverso un gruppo di giovani rinchiusi su Lemno, condannati a pagare le colpe dei padri. Dentro e fuori il mito i giovani tragicamente giocano a sopravvivere. Un gioco crudele ad attraversare la Storia per raccontare una storia. Formazione diretta dal regista Eugenio Sideri, Lady Godiva porta il proprio teatro a scavare nella drammaturgia contemporanea tedesca, ovvero in un repertorio di macerie, di brandelli della Storia e di una mitologia perduta. Giovanissimi gli attori impegnati a dar corpo, in un paesaggio lunare e postatomico, alle parole di Müller, erede di Brecht e faro doloroso nel teatro europeo. Le colpe dei padri nel destino dei figli: annodato a una riflessione sul tragico e sui conflitti di questa società, il nuovo spettacolo di Lady Godiva è legato da un filo emotivo e segreto all’intenso Ella andato in scena lo scorso anno. produzione Lady Godiva, Santarcangelo dei Teatri con il patrocinio della Regione Emilia Romagna con il contributo di Comune di Ravenna, Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna, Banca Popolare dell’Emilia Romagna Müller fa reagire tra loro i termini incompatibili dell’esistenza e dell’ideologia che scindono la realtà sua e del mondo, ottenendo sontuose chimere estetiche. Questi mostri dell’immaginazione non sono però né vani né gratuiti. Al contrario, sono l’apparenza della realtà e della sua miseria, oggetti inesistenti che pure significano l’esistenza. E ancora: Müller riveste il fossile di una grande utopia della speranza con le spoglie inerti del nichilismo, e cioè di una disperazione totale ormai ridotta alla maniera, e restituisce così un barlume di vita e di verità sia alla speranza sia alla disperazione. Chiude la ferocia esplosiva, la rivolta irrazionale, la balbuzie, il brusio aperto all’espressività indefinita dell’avanguardia (da Lautréamont a Artaud, da Genet a Beckett) nella camera a scoppio, ben sigillata, del verso classico, nella razionalità della forma, e così rigenera classicismo e avanguardia. Tesse una fitta ragnatela di nessi tra individualismo e ragion di Stato (Filottete), rivoluzione e morte (Mauser, La missione), realtà e linguaggio (L’Orazio), sesso identità e finzione (Quartett); ma solo per romperla subito dopo e sostituirla con la logica della discontinuità e della sconnessione. Utilizza Sofocle, Solokhov, Brecht, Anna Seghers, Tito Livio, Choderlos de Laclos (e in altre opere anche Euripide, Eschilo, Tacito, Lessing, Racine, Shakespeare) per arrivare a se stesso, e se stesso per tornare a Sofocle, Euripide, Laclos, eccetera. Crocifigge la Storia sui palcoscenici di teatro, e smonta i palcoscenici negli spazi siderali (Medea). Tiene conto di tutto, divora tutto, divaga su tutto e restituisce un teatro eclettico, che sembra una ricapitolazione di ogni stile possibile, ma che è segnato dalla cicatrice profonda di un dissidio vinto dalla forma anche a favore del contenuto. Con Müller il teatro torna a toccare il fondo duro dell’esistenza, che il piatto e ipocrita naturalismo della letteratura socialista non ha mai toccato e che l’avanguardia occidentale ha perduto. da Saverio Vertone, Introduzione a Heiner Müller. Teatro I, Ubulibri ve 14, sa 15 febbraio ore 21 . Ardis Hall Associazione P.LE.I.ADI. IMPUNEMENTE Woyzeck con Jacopo Aldiccioni, Barbara Bertuccelli, Simone Bianchi, Daniele Cerretti, Martina Ciani, Eleonora Diofili, Roberta Ferrari, Anna Francesconi, Marisa Gazzini, Luca Gola, Leonardo Lancia, Maria Laura Liberati, Pierfilippo Macchiavelli, Gianni Nardi, Luana Perroni, Roberta Rosini, Linda Siano, Federico Sorba aiuto regia Roberto Magnani regia Maurizio Lupinelli Foto di Alessandro Ragusa consulenza drammaturgica Renato Bandoli assistente alla regia Silvia Loddo collaborazione tecnica Bruno Nardi con il contributo del Comune di Lerici in collaborazione con Teatro Comunale Civico della Spezia, Teatro Impavidi di Sarzana, Ravenna Teatro Lasciato incompiuto per la prematura morte dell’autore nel 1837, Woyzeck è un testo che si può rielaborare, decostruire, ricomporre. Maurizio Lupinelli, con l’associazione Pleiadi di La Spezia, “impunemente” presenta un Woyzeck che, attraverso attori “speciali“, dà carne e vita a un personaggio il cui destino è l’errore, e il cui errare per il mondo è una malattia per qualsiasi ordine e per le sue gerarchie. Gli attori handicappati di questo Woyzeck appaiono come l’altra faccia della natura, il lato tenebroso dell’essere, con tutta la sua carica onirica di rivolgimento, di utopia. Un coro, una scena: “realtà” e visione. Coro: tanti Woyzeck e Maria; scena: dottore e capitano, che ne orchestrano ogni gesto, come fa un burattinaio. E Woyzeck... che corre, corre, corre (senza tempo). Una storia? ...è la vita, di chi si commuove, di chi ha paura, come Andres, di chi tradisce, come Maria, di chi non ha coraggio, come il Tamburmaggiore, di chi vende morte a buon mercato, come l’Ebreo, di chi ammazza per un eccesso di vita, come Woyzeck, di ogni uomo, che è un abisso... Questa storia di vite, raccontata nelle pagine di Büchner già senza idealismi e naturalismi, attraverso l’artificialità del teatro diventa un “dramma” comico. Il comico, dice Nietzsche, è uno “sfogo artistico del disgusto per l’assurdo”. La presenza, sia scenica che reale, di tutti i ragazzi è la dimostrazione che l’arte è davvero magia che salva e risana, trasformando l’assurdità e l’atrocità della vita in “rappresentazione”, un incantesimo che regala lacrime e risate. La forza rivoluzionaria del testo di Büchner, la sua presa di posizione politica e sociale non ha bisogno di segni diretti, di impostazioni ideologiche, di parole precise, di elementi immediatamente riconoscibili che la presentino: ce ne danno un segno Linda e Federico, Capitano e Dottore “perfetti”, padroni crudeli di questa scatola nera, che ricorda il mondo della notte, dove ogni animale essere umano potrebbe trovare la sua libertà, se non esistessero gli obblighi imposti dalle noiose abitudini della società, da un dottore assolutamente tranquillo, da un capitano impaurito dai limoni. Qui, circondato dal nero della notte, Woyzeck corre corre corre corre... come un rasoio aperto. dagli appunti di Silvia Loddo sa 15 febbraio ore 22,30 . Ardis Hall ASSOCIAZIONE CULTURALE CANTIERI-LA LINEA DELL’ARCO SAPNAS con Anna Paoletta, Andrea Mosca, Barbara Zanzi, Beatrice Michelacci, Francesca Cesari, Manuele Feletti, Mauro Campielli, Raffaella Veridiani, Raffaela Firinu, Simona Strocchi, Stefano Luzi regia Francesca Cesari in collaborazione con Comune di Ravenna-Assessorato alle Politiche Sociali, Consorzio Servizi Sociali Comune di Ravenna-Russi-Cervia, Consorzio Selenia, Associazioni per le Famiglie Vi è un luogo, un unico spazio dove non vi sono regole, barriere, limiti... il mondo del sogno. Suono, colore, forma sono conosciuti, ci appartengono. Sapnas, il sogno sognato, l’incoscio danzato al limite di ogni barriera. Compagnia di “teatro fisico danzAbile” composta da operatori sociali, danzatori professionisti, persone con deficit fisico e motorio, La linea dell’Arco si è recentemente costituita attraverso un progetto avviato e sostenuto dall’Associazione culturale Cantieri. La formazione ha seguito corsi di conctact improvvisation e di dance ability con lo scopo di creare uno spettacolo e di produrre attraverso questa esperienza una sensibilizzazione e una socializzazione del gruppo permettendo ai partecipanti di sviluppare capacita’ creativa attraverso abilita’ differenti. La ricerca e la passione sono gli elementi fondanti del gruppo, volto alla naturalezza dei gesti e delle azioni, del mostrare le diversità, del rendere visibile l’invisibile. Foto di Giampiero Corelli lu 17 febbraio ore 21 . Teatro Rasi KATZENMACHER ISAIA L’IRRIDUCIBILE di Alfonso Santagata con Alfonso Santagata, Blaine L. Reininger, Johnny Lodi ideazione e regia Alfonso Santagata Come è avvenuto il tuo incontro con i testi del profeta Isaia? Spesso hai detto di affidarti a una certa casualità, a un piacere di far nascere gli spettacoli da incontri imprevisti, che ti appassionano. È successo anche questa volta? Mi piace molto parlare di casualità d’incontro anche perché la parola caso contiene un riferimento al caos. E di fatto, per caso, anni fa mi misi a leggere Isaia. Rimasi affascinato dalla sua ferocia e dalla sua poesia. E quando incontri la poesia non puoi prendere troppe distanze. In Isaia la poesia è feroce ma c’è. Quali sono i tuoi reali motivi di interesse intorno a questa figura? assistente alla regia Chiara Senesi artifici sonori Gaetano Cappa responsabile del suono Tommaso Checcucci amministrazione Laura Bagnoli organizzazione Rita Campinoti con il sostegno di Armunia-Festival della Riviera, CRT-Centro di Ricerca per il Teatro Sono almeno due o tre. In primo luogo perché Isaia è in qualche modo il progenitore di Tiresia, cioè della tragedia che io avevo appena incontrato. Tra Isaia e Tiresia c’è una grande somiglianza, nel delirio, nell’ossessione, nella poesia, nella ripetizione. Ma anche nel rischio della vita. Entrambi sicuramente avevano un certo potere. Tiresia era l’amico, il consigliere del suo re, Edipo. Da lui viene chiamato come oracolo. Isaia era consigliere del re di Gerusalemme. Che cosa ti piace di più nel lavoro di un attore a teatro? Certe volte sono i momenti più fragili a piacermi di più, altre volte quelli più forti. E anche questo si può legare a figure come Isaia e Tiresia. Io vedo questi archetipi umani che hanno la forza dell’ignoto ma anche la fragilità dell’umano. Il tentativo di un attore dovrebbe essere questo. Arrivare alla forza dell’ignoto, del mistero ma anche a una fragilità umana, direi quasi piccola, quotidiana. Quali sono state le tue immagini di partenza? Alcune immagini molto forti. Mi ha colpito questo fatto che il suo volto è un volto di tutti e di nessuno. Mi ha colpito questo fatto delle ferite. È l’affronto continuo che lui fa al mondo, ma anche al suo popolo e a se stesso. Isaia è anche il profeta dell’eccesso, dell’invasamento, in questo simile a San Paolo. Sono delle figure a loro modo anche terribili. In che modo questa terribilità entra nello spettacolo? Isaia è più un sacrificatore che un consolatore. Sacrifica per consolare. Il sacrificio, il castigo di Dio, per lui sono mezzo perché si raggiunga Dio, perchè si raggiunga la pace attraverso Dio. Certamente è violento, è megalomane, pensa che tutta la terra andrà verso il suo Dio. Un Dio peraltro durissimo. Un Dio assoluto. Noi, il popolo di Sion, dice Isaia, diventeremo tutti sacerdoti di Dio e gli altri saranno i nostri vignaioli, saranno gli altri a fare i lavori manuali. C’è anche un’istanza razzista in tutto questo. Certamente. Anche se non ho scelto di rappresentare Isaia per una denuncia politica di questo genere, sarebbe una banalizzazione. Isaia è assoluto, non ammette dubbi, esitazioni, interrogativi. Se tu rifletti anche solo per un minuto diventi uno relativo e questo non va bene per il loro Dio. Questo Dio sembra identificarsi e coincidere con un’assoluta indifferenza, con una pacificazione che è annullamento del sentire. La pace per lui è soltanto qualcosa che riguarda l’aldilà. Questa vita è un attraversamento di dolore. A me, invece, piace la vita e non mi trova molto d’accordo. Mi piace il caso, la relatività, il dubbio. E come trovi dentro di te la spinta a rappresentare Isaia, così diverso da te? Un motivo può essere proprio questo, che io resto affascinato in qualche modo da queste persone dell’assoluto perché io sono completamente dall’altra parte. Allora c’è il piacere di poter vivere per un momento l’assoluto. Solo per un momento. da un’intervista di Simona Maggiorelli, in Tragicamente. Il Teatro di Alfonso Santagata, Titivillus Foto di Maurizio Buscarino lu 17 febbraio ore 22.15 . Teatro Rasi GiPi CINQUANTA MINUTI proiezione cortometraggi e incontro con l’autore Gianni Pacinotti GiPi sta per Gianni Pacinotti, ovvero un grande talento del fumetto d’autore, mosso da singolare tenerezza per i suoi antieroi, da un’insolita attenzione per il paesaggio e la luce, da uno straordinario controllo del tragico e del comico. Illustratore e inventore di storie, GiPi è un artista versatile e impulsivo, filtra nei suoi lavori le gesta degli amici di adolescenza e le atmosfere della provincia toscana, come accade nei Cinquanta minuti di cortometraggi a raffica, dove ritratti e vicende e allucinazioni dai toni aspri e leggeri non lasciano tregua al riso e al cervello. Ha pubblicato su “Cuore”, “Blue”, “Il Clandestino”, “Boxer”, “Ossigeno”, “Mano”, “il manifesto”, “Lo Straniero”. Il disegno Il disegno è una cosa strana. Non provo simpatia per il disegno. Spesso mi metto al tavolo malvolentieri. Poi, durante il lavoro, le cose cambiano e accade qualcosa. Ho l’impressione di non essere al tavolo, mentre lavoro. Ogni volta che “funziono” mi sento distante. Ho l’impressione che le idee e le soluzioni vengano da un’altra parte. Una zona sulla quale non ho nessun controllo. Spero di sbagliarmi, naturalmente, mi piacerebbe prendermi qualche merito, quando lavoro bene. Ho iniziato a disegnare quando ero molto piccolo. Astronauti. Cowboy. Non ero un ragazzo forte, o almeno non mi sentivo tale, non mi ricordo tale. Spesso ho detto che non sapevo giocare a pallone e allora ero escluso e triste e tornavo a casa a disegnare. Credo di aver mentito. Recentemente ho trovato dei film in super8 in cui ci sono io da ragazzino. Non sembro debole. Appaio in forma e prepotente. Comando i miei amici, li faccio recitare in un filmetto di cowboy. Loro ubbidiscono. Influenze Non so dire chi mi ha influenzato nel disegno. Di certo ho amato le storie di Pazienza e tutta la squadra del “Male”, di “Cannibale”, di “Frigidaire”. Con Pazienza ho avuto dei problemi. Quando ero piccolo gli somigliavo nel disegno e non riuscivo a staccarmi. Credo che sia normale. Capita ai disegnatori giovani. La cosa buffa è che si possono passare anni a cercare di costruire un proprio stile e niente accade, e appena ci si distrae un momento ci si ritrova con un modo personale di lavorare. Infanzia Ho pochissimi ricordi. Non so perché. E ne ho di fasulli. Tra le fotografie dell’album della mia famiglia ce n’è una che ritrae un serpente morto, visto dall’alto. Ha la testa schiacciata da un colpo di fucile e attorno al suo corpo ci sono dei bambini, dei quali, nella foto, si vedono solo i piedi, con i sandali con gli occhi. Per anni ho guardato quella fotografia e ho ricordato il pomeriggio in cui il saettone uscì dai rovi, si avvicinò alla casa di campagna e venne fulminato, da mio padre cacciatore, a pochi metri da me e dai miei sandali con gli occhi. Ricordavo il momento della fotografia, lo stupore nel vedere il serpente morto e l’ammirazione per il gesto eroico di mio padre. Bene. Quei piedi non erano i miei. L’ho scoperto da poco. All’epoca di quella fotografia non ero ancora nato. I sandali stanno sui piedi delle mie due sorelle, che sono più grandi di me. Da questa base di affidabilità devo partire per raccontare le cose. Fidati se puoi. da Disegnare bene, disegnare male, nello “Straniero” anno VI numero 29, novembre 2002 Un disegno di GiPi SOSTENITORI ve 28 febbraio ore 21 . Teatro Rasi MASSIMILIANO CIVICA-ANDREA COSENTINO ANDROMACA poema eroicomico in prosa da Euripide uno spettacolo di Massimiliano Civica con Andrea Cosentino Gli antichi consideravano l’Andromaca uno tra gli scritti peggiori di Euripide, e a tutt’oggi è il suo testo meno rappresentato. È una questione di prospettive: chi cerca un’armonia nella creazione artistica come specchio dell’ordinato strutturarsi del mondo, rimane deluso da quest’opera che non offre alcuno sviluppo né alcuna consolazione: è il frammentario e ripetitivo segno di una crisi irrisolvibile. Nessun protagonista, nessun dio da prendere sul serio, nessun eroe tragico: il mondo, svuotato di presenze eccezionali, ospita uomini che non decidono del proprio destino. Euripide, con la serietà di un entomologo, seziona il comportamento dei suoi personaggi e ne distilla una legge biologica: l’uomo passa in continuazione dalla disperazione alla gioia per una necessità meccanica di sopravvivenza, per uno stimolo illusorio all’autopreservazione. Fin dall’inizio Neottolemo, il signore della casa, è assente dalla scena perché in viaggio al santuario di Apollo: tra i membri della sua famiglia si accendono allora liti generate da vecchi rancori, gelosia e odio. Andromaca, Ermione e Peleo, nella loro lotta intorno a Neottolemo, sono causa l’uno della disperazione dell’altro e vengono salvati ognuno dall’incarnazione di una provvidenza improbabile: da un pazzo allucinato, da un vecchio pieno di tremori e da una dea di second’ordine. Neottolemo è il centro e la causa dei loro scontri, e ogni personaggio fa delle scelte decisive per la propria vita convinto che, al suo ritorno, il signore della casa premierà le sue ragioni e punirà i colpevoli. Ma, alla fine, un messaggero racconta un fatto orribile: Neottolemo è morto subito dopo essere partito, prima ancora che ogni disputa e discussione avesse inizio. dalle note di Massimiliano Civica La cartolina dello spettacolo sa 8 marzo ore 21 . Teatro Rasi L’AMBLETO di Giovanni Testori uno spettacolo di Sandro Lombardi e Federico Tiezzi personaggi e interpreti Ambleto Sandro Lombardi, Gertruda-Lofelia Iaia Forte, Arlungo e Polonio Massimo Verdastro, Il franzese Alessandro Schiavo, Laerto Andrea Carabelli, La bambina Francesca Della Monica produzione Compagnia Lombardi-Tiezzi, Associazione Teatrale Pistoiese, Teatro Giacosa di Ivrea Foto di Marcello Norberth Il teatro di Testori riesce a coniugare e a fondere volgar’eloquio e teatro di poesia, potenziando la verità dell’uno con quella dell’altro. A questo si aggiunge una conoscenza della realtà fisica ed espressiva dell’attore, che realizza pienamente l’intenzione di affidare a lui il compito, non teorico o astrattamente generico, di farsi carne e corpo del teatro. Per Testori, la realtà dell’attore non è solo un plusvalore invocato come coronamento scenico a una realtà linguistica, ma è una condizione imprescindibile perché questa stessa realtà possa venire alla luce. La concretezza e la chiarezza con cui Testori accoglie nella lingua l’essenza fisica dell’attore ha in Europa un paragone solo in Thomas Bernhard e consegue, dalla parte di chi scrive, il risultato di un teatro fondato sulla realtà fisica e spirituale dell’attore, paragonabile, dalla parte di chi lavora sulla dialettica corpo-spirito e impulsoazione, a quello ottenuto da Grotowski. Per chi fa teatro oggi, Testori rappresenta una realtà drammaturgica particolarmente densa e significativa, che spazza via la separazione tra letteratura e teatro. Da parte nostra, intendo di me attore e di Federico regista, era chiaro che si trattava di abbattere anche la separazione tra il teatro e la vita. Sarebbe stato un percorso lungo: è un percorso lungo. La realizzazione del nostro primo spettacolo testoriano, Edipus, all’inizio degli anni Novanta, ne costituisce il punto di partenza. Essa faceva parte di un progetto al cui interno avrebbero dovuto trovare spazio Dante, Manzoni, Tasso e poi Gadda, Luzi, Pasolini, Testori, la Valduga e poi ancora Eduardo e Ruzante. Molti di quei progetti si sono già realizzati, altri aspettano il momento. Di questa costellazione di riferimento, certamente Testori costituisce uno dei centri. Non a caso vi siamo tornati sopra più volte: dopo Edipus nel 1994 è stata la volta di Cleopatràs nel 1996, poi dei Due lai nel 1998 e infine dell’AmbIeto. da Sandro Lombardi, Volgar’eloquio e teatro di poesia, in “Art’o” numero 10, gennaio 2002 In un tempo come il nostro in cui la parola è diventata il luogo dell’equivoco, il luogo della menzogna, il luogo del gioco, se anche il teatro cerca di giustificarsi come fatto di cultura, proponendosi come una variante appena un po’ più colta, allora, è finita. Ma io non sono ancora finito, anche se mi avvicino alla mia fine, e non è finito ancora l’uomo, malgrado cerchino di annientarlo, come essere creato, come essere sacro: allora il teatro non deve far altro che cercare questa macchia, questo grumo di sangue, questo lacerto umano, deve entrarci dentro, mescolarsi con lui e pregarlo, supplicarlo - attraverso tutto quello che è possibile, dalla preghiera all’abbraccio, all’insulto, al coito - che questa macchia di sangue pronunci di nuovo la parola. Il luogo e la ragione del teatro, sempre ma oggi più che mai, sono solo quelli di difendere il diritto a parlare, di chi non ha parola, anche se gli viene concessa. Infatti gli vengono concesse tutte le parole, ma sono parole prestabilite, limate. È una libertà di dire parole non libere. C’è un verso dell’Alfieri, del Filippo, che amo particolarmente, anche se nella sua fermezza scultorea sembra mancare di sangue: in verità ha un “sangue” bianco, un sangue di marmo ma è pur sempre sangue. A un certo punto Perez, colui che difendeva la liber- tà dei popoli oppressi dal re Filippo dice: “Libero sempre non è il pensier liberamente espresso”. Non sempre libera è la parola liberamente espressa. Le parole che noi ascoltiamo o leggiamo, sono quasi tutte parole che non partono da quella prima catena che è la sola che rende liberi, che è la catena che ci lega a quel brandello umano, a quella realtà umana, a questa macchia di sangue. Fuori da questa catena d’origine le parole non sono più libere. S’incatenano solo se sono uscite dall’unica catena che a loro appartiene, quella di restare, di partire, di generarsi all’interno dell’uomo. Ho cominciato ad avvicinarmi un pochino, non al problema ma alla realtà: la parola, la parola del teatro. La parola del teatro non è neanche l’azione: accade prima, molto prima. La struttura, la composizione, la costruzione sono tutte cose che verranno, se verranno. Se il teatro non vuole cedere, deve umiliarsi e amarsi e cominciare da questa specie di terribile alfabeto, da questo terribile abc che è il palcoscenico nudo. È il palcoscenico che ritrova lì al centro quella macchia per la quale il teatro è nato. Quando è vero teatro, il palcoscenico è come un altare. Siamo all’atto secondo, o se volete, al movimento secondo del movimento primo, cioè: “In principio erat Verbum et Verbum caro factum est”, “In principio era il Verbo e il Verbo si è fatto carne”. da Giovanni Testori, La parola, come (prima conversazione), in “Art’o”, ibidem sa 15 marzo ore 21 . Teatro Rasi ARTIPIGRI - GRUPPO INSTABILE PERMANENTE UN CUORE COSÌ BIANCO studio III con Rhuena Bracci, Monica Francia, Attilio Nicoli Cristiani scrittura fisica e allenamento sensoriale Monica Francia drammaturgia Fabio Natali regia e scene Gerardo Lamattina contributi audio originali Meko elaborazione sonora dal vivo Daniela Cattivelli immagini digitali Simona Diacci video contribution engineering Giovanni Girelli direzione tecnica Giovanni Belvisi disegno luci Valentina Venturi, Gerardo Lamattina assistente alla regia Francesca Serena Casadio costruzione oggetti di scena Danilo Maniscalco sarta Gianna Bazzini immagine in locandina Diego Roveroni elaborazione grafica TBC video proiettori Unitel srl Sistemi Televisivi Avanzati abiti Post Post (Ravenna) calzature Fango (Ravenna) LADY MACBETH mani Eccole, vedi, adesso le mie han lo stesso colore delle tue; ma mi vergognerei d'avere in Un cuore così bianco è uno spettacolo di teatro fisico dove la qualità del movimento propria della danza si fonde con la drammaturgia e non rinuncia alla ricchezza di caratterizzazione dei personaggi o al potere di intrattenimento della fabula, ma cerca di superarla incastonandola dentro una partitura di forme astratte e libere. Tutta la vicenda è raccontata attraverso la visione distorta di Macbeth. La drammaturgia è incentrata sulle sue ossessive allucinazioni. Tutto è Macbeth. Ogni altro personaggio è una sua proiezione mentale che, attraverso la parola, prende corpo. Una parola che spesso sconfina nel balbettio scomposto ed ebete, nella glossolalia. In scena, oltre al protagonista, solamente Lady Macbeth, duplice figura incarnata del suo delirio. La scenografia è scarna ed evocativa, fatta di luci nette e ombre espressionistiche, vuota e priva di segni evidenti. Le proiezioni video, che avvolgono completamente la scena, e la musica, elaborata dal vivo, contribuiscono a creare un clima onirico e incerto, sospeso tra incubo e realtà. Un cuore così bianco è il primo spettacolo con la scrittura fisica di Monica Francia firmato Artipigri. Artipigri è un’identità multiculturale e multidisciplinare che racchiude al suo interno diversi soggetti e progetti artistici ed espressivi. Artipigri è, più esattamente, un corpo multiplo e frammentato, un’identità liquida, poliforme e polifonica, una giustapposizione di soggetti e progetti di diversa provenienza e ispirazione, che costituiscono un’insieme ma non un tutto, che rimangono autonomi e indipendenti. Ogni soggetto di Artipigri, prima ancora di ogni progetto, è, infatti, riconosciuto come un io multiplo, un intreccio di identità e provenienze, di esperienze e di destinazioni, il cui contributo non può non essere unico. Un’opera di Shakespeare non ha una sua ambientazione; ogni tentativo di situarla in una precisa cornice è un’imposizione che rischia di sminuirlo. I suoi drammi possono cantare, vivere e respirare soltanto in uno spazio vuoto. Uno spazio vuoto consente allo spettatore di evocare nella sua fantasia un mondo molto complesso, ricco di tutti gli elementi del mondo reale, in cui coesistono e interagiscono rapporti di ogni tipo: sociali, politici, metafisici, individuali. Un mondo che viene creato e ricreato a ogni istante, un tocco dopo l’altro, una parola dopo l’altra, un gesto dopo l’altro, un rapporto dopo l’altro, un tema dopo l’altro, un’interazione dopo l’altra tra i personaggi, così da far svelare a poco a poco il dramma. In qualsiasi opera di Shakespeare è essenziale che l’immaginazione dello spettatore, come quella dell’attore, sia in uno stato che gli permetta di spaziare in libertà, perché deve muoversi in un labirinto assai complesso; il valore dello spazio scenico vuoto, quindi, assume una grande importanza, perché permetterà allo spettatore di avere, ogni due o tre secondi, l’occasione di liberare il campo della sua mente dalle tante impressioni che riceve. da Peter Brook, Il punto in movimento, Ubulibri La locandina dello spettacolo da un disegno di Diego Roveroni dalle note della compagnia ve 21, sa 22 marzo ore 21 . Ardis Hall KINKALERI <OTTO> realizzato da Matteo Bambi, Luca Camilletti, Massimo Conti, Marco Mazzoni, Gina Monaco, Cristina Rizzo progetto e produzione Kinkaleri in collaborazione con Teatro Metastasio Stabile della Toscana, Teatro Studio di Scandicci, Xing con il sostegno di Ministero per i Beni e le Attività Culturali-Dipartimento dello spettacolo, Comune di Firenze, Regione Toscana <OTTO> è un vuoto: è l’unico posto dove stare. Aspettare. Guardare. Alzare la testa. Vedere gli aerei, indicarli col dito. Esplodere in mondovisione. Questo non è un soggetto. Non avere nessuna parola, evitare lo sguardo smarrito del mio gatto. <OTTO> è un vuoto, ora, una sospensione del mondo, evitare di guardare, conosco già tutto, siamo al massimo valore della rappresentazione crudele del mondo che si offre alla rappresentazione indecente di sé. È soltanto un numero: otto, è anche una parola che significa un numero. Non possiamo fare a meno di pensare la fine: il fine. <OTTO> scena morta. La presenza, mettersi in; l’oscenità di tale atto, la pornografia dello sguardo di chi lo abita, i percorsi tracciati, le componenti del risultato, innescano quei piccoli miracoli impronunciabili dovuti a coincidenze fortuite. Solo nella spietata visione di un’idea si nascondono verità di una poesia miracolosa. La creazione di per sé suggerisce l’idea del crimine, sono i criminali con i loro atti senza progetto i veri artisti e, sulla scena vuota, nel galleggiare dei reperti che svelano le tracce di atti improbabili, si costruisce un concetto. Vedere un corpo che agisce se stesso è la risultanza di tale sforzo e noi crediamo che se tale gesto fosse invertito a spietata essenza sarebbe la meraviglia. A un individuo non dovrebbe essere permesso di parlare di se stesso, per salvaguardare il proprio sbaglio e non oltraggiare il suo stato del ridicolo. Ma la brava gente non esiste e le convenienze confidenziali si susseguono senza ragione. Mi annoio spesso, per questo porto con me una piccola pistola, la grammatica di una lingua, un barattolo di borotalco, un’armonica a bocca. La verità di un discorso è sempre sciolta, tra la saliva di una pronuncia o l’inchiostro di una scrittura, nell’amarezza di un malinteso e nella piega del prossimo dettaglio. Kinkaleri è un gruppo che, nonostante tutte le contraddizioni, ha pensato di occuparsi di arte, di creazione artistica, manipolando formati e mezzi, cercando un linguaggio non sulla base di uno stile ma nell’evidenza di un oggetto. La lavorazione segue spesso un andamento centripeto fino alla sua impossibilità di nutrimento, si asciuga e si rimette in circolo, cercando il cortocircuito successivo. “I would prefer not to”. Non posso parlare della bellezza, il mio patto con la dialettica me lo impedisce; la cerco incessantemente perché vorrei ubriacarmene sempre, ma tutte le porzioni di un segmento si rivelano inadeguate a se stesse e diventano orfane nell’attimo successivo al loro confronto miserevole e splendente. da Kinkaleri, Non posso parlare della bellezza, “Art’o”, numero 9, aprile 2001 ve 28, sa 29, do 30 marzo ore 21 . Sala Tanti Cosi Progetti TCP TANTI COSI PROGETTI PAURA E MERAVIGLIA interpretazione e animazione Francesca Proia, Antonella Piroli, Giorgia Strada ideazione e regia Danilo Conti coreografia e danza Francesca Proia canto Antonella Piroli musiche originali Dustin O’Halloran musiche François de Roubaix, Bertrand Burgalat, Nicola Conte, Piero Umiliani, Ennio Morricone, Laurent Garnier, the team Dojobi, Mad Man Jones, Tim Love Lee, David Lynch in collaborazione con Festival Internazionale di Hanging Rock, Australia PAUL Che cosa ti preoccupa oggi? LEONORA Soprattutto, l’idea della morte, il fatto che sono vecchio e il nostro atteggiamento alla morte è completamente errati. In realtà conosciamo pochissimo circa la morte, ma se sappiamo che una serie di mondi esiste che sembrano trasformare. PAUL Mondi più là della vita? LEONORA Sì, distinguiamo la vita dalla morte, ma nel mio parere cose non sono come sono spiegate a noi. Credo che siano differenti per ogni persona, come i sogni. Penso che quello per raggiungere una comprensione circa la morte in primo luogo dobbiamo capire i posti distinti che esistono presso noi e i sogni sono uno di questi posti; ciò deve dire che il Paul e il Leonora di un sogno sono in un senso un Paul e un Leonora differenti. Quasi sembra essere come i mondi al contrario. Sembra che abbiamo un corpo che spiega le attività, nel frattempo il nostro corpo fisico rimane inattivo quando siamo addormentati; con i nostri corpi che facciamo le cose, noi vada ai posti, conducono gli automobili, bici in giro. (tratto da Una vocina instancabile di Paul Iena) Il nuovo lavoro di Tanti Cosi Progetti è una creazione in cui attori, danzatori e figure sviluppano un gioco di complicità e indipendenza, come vuole la poetica del gruppo ravennate che non limita il proprio gesto teatrale alla manipolazione o all’animazione, bensì stravolge le singole identità ponendo la persona come oggetto e colmando di anima e autonomia pupazzi, oggetti, proiezioni. Sul tessuto narrativo della Debuttante di Leonora Carrington (Antologie de l’humour noir di André Breton) il percorso si fa imprevedibile, fitto di apparizioni, squarci luminosi, ambiguità, sdoppiamenti, per un’esplorazione delle zone buie e misteriose. Lo stato di predisposizione alla visione deve essere quello di una discesa in profondità, di un’esplorazione all’interno dei sentimenti, che affronterà lo sdoppiamento della personalità, la sensazione di solitudine e di abbandono emotivo e fisico. Parte dell’opera appare velata da una tela nera che chiude il boccascena e costituisce una vera parete. Una parete fragile, costantemente attraversata da visioni. Da fantasmi. Niente di più. Fantasmi che, quando riescono ad attraversare il diaframma che li separa dalla materialità, non possono fare altro che evocare, attraverso movimenti sospesi, contorsioni irreali, caducità e vigore fisico, i fatti che sconvolgono una mente costantemente in bilico tra un qui e un altrove e che dubita della sua stessa identità. do 6 aprile ore 21 . Teatro Rasi SUD COSTA OCCIDENTALE CARNEZZERIA dramma in un atto con Gaetano Bruno, Sabino Civilleri, Enzo Di Michele, Manuela Lo Sicco testo e regia Emma Dante scene Fabrizio Lupo direzione tecnica Daniela Lo Re produzione CRT-Centro di Ricerca per il Teatro, Milano Foto di Lia Cuccio Il nostro lavoro comincia a Palermo (agosto 1999), dove faticosamente cerchiamo di mettere radici. La compagnia Sud Costa Occidentale è composta da attori di esperienze diverse e ogni progetto non è mai fermo, non finisce mai né mai ricomincia. È un teatro che si allarga e si restringe a seconda dei casi, non trattiene prigionieri ed è sempre aperto a quei contagi diretti che danno un senso di libertà intellettuale. Vogliamo semplicemente sapere, capire dov’è il senso dello spazio, dov'è l'esterno. Ci accade, spesso, di perdere la nozione del tempo, di non sapere nulla del nostro svanire, di non stabilire confronti con nulla. Di non avere pietà di nulla. Il mio percorso artistico parte da un inventario esistente, fatto dai corpi degli attori. Il loro rapporto d’identità è determinante per rappresentare e pensare, essi sono tutto, sono i riempimenti spaziali e temporali della scena. Devono potersi trasformare negli alberi di un intero bosco e riuscire a far scorrere su un pavimento tutta l’acqua del mare. Il punto di partenza di questa ricerca è assai complicato e faticoso, perché nasce, essenzialmente, dal peccato e dal peggio di sé che l’attore deve offrire come atto d’amore. Ciò che ha da dire lo deve dire interamente, non può accennarlo, deve poter entrare in opposizione con tutto il suo essere, e superare quel senso del ridicolo che ostacola l’incontro creativo. Se un attore nel compiere un piccolo gesto comprende fino in fondo la sua esperienza personale, allora può comprendere l’esperienza del mondo. Qualsiasi spettacolo senza questa utilità è dannoso. Ma la ricerca del metodo, della poetica e dei risultati non può essere rapida, richiede tempi di elaborazione lunghi e profondi, richiede cura, rigore, sacrificio. Il riscontro delle difficoltà in sala prove, che alimenta continuamente un senso di smarrimento e d’impotenza, è l’unica strada possibile per raggiungere quella forza creativa che supera la facile visività delle immagini e va dritta al cuore dei destinatari. Attori e spettatori dovrebbero potersi incontrare in una zona d’ombra, dove è sospeso ogni giudizio sul bene e sul male, dove chi riflette dalla profondità dell’animo accetta fino in fondo l’esistenza del dubbio. Tutto è in divenire, tutto è ancora da compiere, non ci sono accordi privati, non ci può essere a priori nessuna certezza. Soltanto laddove il teatro accade, scavando coraggiosamente nei contenuti emozionali della rappresentazione, allora gli imprevisti e i limiti di questa esperienza diventano necessari per superare la nostra solitudine. Insieme ai miei giovani compagni della compagnia Sud Costa Occidentale, nonostante la mancanza di spazi e l’assenza di avvedute conduzioni amministrative, cerchiamo di rendere proficuo il nostro disagio e lavoriamo senza interruzione, anche sei mesi l’anno, su un unico progetto, con la convinzione che ciò che fa spettacolo e dà nell’occhio non è la cosa principale. L’essenziale per noi è scoprire le nervature, aspettare in silenzio un certo tipo di ascolto, senza giudizio. Perché il giudizio è una forma retorica. Vogliamo, semplicemente, parlare di quello che siamo, di un qualcosa che è in noi, della forma dell’essere che ci frantuma e ci riempie di tutte le sue contraddizioni, dei contrari che ci portiamo dentro ogni giorno: senso e follia, forza e debolezza. Se dovessi esprimere un pensiero per definire la mia idea di teatro, direi: da una situazione nasce un sentimento e quindi un’azione di volontà, esattamente come la vita, né più né meno. Direi, inoltre, che se fosse vero il contrario, avrebbe lo stesso valore, perché il teatro è più avanti di qualsiasi definizione e certezza. Emma Dante me 7, gio 8, ve 9, sa 10, do 11, ma 13, me 14, gio 15, ve 16, sa 17, do 18 maggio ore 21 . Teatro Rasi TEATRO DELLE ALBE I REFRATTARI drammetto edificante testo e regia Marco Martinelli con Ermanna Montanari, Luigi Dadina, Roberto Magnani, Maurizio Lupinelli, Mandiaye N’Diaye produzione Ravenna Teatro, Santarcangelo dei Teatri Quadro di famiglia su sfondo espressionista, e con piegature di sconcertante attualità, nel riallestimento di un testo scritto da Marco Martinelli dieci anni fa. La grettezza dell’Occidente, lo sfondamento di confini impossibili da contenere, il panico di fronte agli inganni della psiche... Poco è cambiato del presente immortalato allora da Martinelli, sempre più urgente è la vena pasoliniana che attraversa I Refrattari, netta e irrinunciabile la matrice tracicomica degli spettacoli delle Albe. Di fianco agli attori cardine, Montanari e Dadina, alcune nuove presenze si affacciano sulla scena di questo “drammetto edificante” che riprende vita e restituisce nuovi cortocircuiti nel segno delle Albe: “entità imprevedibili e di non addomesticata bellezza”. Riportiamo qui di seguito l’intervista di Nico Garrone a Marco Martinelli pubblicata in occasione del debutto dello spettacolo nel 1992. Parabola d’attualità, farsa didascalica, o, come tu lo chiami, “drammetto edificante”... il tuo Aristofane, parzialmente in dialetto romagnolo, non somiglia per caso a Dario Fo? Guarda che i riferimenti all’attualità politica c’erano anche in Aristofane... e la costruzione da commedia o da farsa senza ricorrere a Fo l’ho presa in prestito, come lui del resto, da Plauto e da Molière, gli schemi sono sempre quelli, volta e gira. Per l’uso del dialetto posso risponderti che appartiene alla nostra drammaturgia dal Cinquecento a oggi, da Ruzante a Eduardo... Insomma Fo non c’entra proprio nulla con la tua scrittura? Penso di no, e ti posso anche dire quali sono a mio parere i punti di maggior distacco. Intanto I Refrattari sono una farsa nera e tragica. Di tragico nel teatro di Fo mi sembra che non ci sia niente. Secondo punto: il rapporto anima-mondo, interiore-sociale. I personaggi di Fo, volutamente, nascono privi d’interiorità, sono burattini da teatro politico non c’è scavo doloroso, mai. Daura e Arterio invece sono maschere di cemento, ieri erano terra e acqua da bonificare, oggi sono cemento. Non sono macchiette: neanche quando fanno ridere. Per quanto buffi, ridicoli, i monologhi allucinati di Arterio e la sua “razionalità” distorta sono come sangue rappreso, irrigidito. Le patologie comiche, gli impulsi e le complicità criminali che legano Daura e Arterio legano anche Bonifica e I Refrattari? Il filo che lega Bonifica e I Refrattari è un filo di cemento (di tomba, funebre) che cola dalle maschere di Daura e Arterio. I titoli delle due commedie sono collegati anche dall’essere parole un tempo con valenza positiva, entrambe usate dal movimento operaio o dai contadini, e che oggi hanno assunto una luce sinistra, inquietante e contraddittoria. Come Daura e Arterio, che amo e mi fanno paura: vulcani pronti a esplodere. Non esprimono, come i marginali, i barboni di Scaldati, il disfacimento del sud: esprimono la violenza, ripeto, cementificante (nel senso del cervello, prima ancora che delle strade o dei grattacieli) del nord. Sono un paesaggio dell’anima italiana, una Romagna poco felliniana abitata da gente i cui avi piantavano i chiodi con i pugni e li staccavano con i denti; gente passata dalla fame a Disneyland, e nel passaggio il cervello si è cucito dentro, e lì dentro va elaborando la sua visione, le sue nuove visioni. Ma volevo parlarti di un terzo punto, a proposito delle mie differenze, o incompatibilità verso Fo... Riguarda gli aspetti magici, religiosi dei miei lavori, Bonifica e i I Refrattari, continuo a metterli insieme, si possono leggere anche in chiave di rapporto madre-figlio, incestuosi: dove però la madre non è solo una Daura romagnola, è anche altro: è il Drago-Natura di Bonifica, è la Madonna contadina levitante dei Refrattari, è la Madre nera di Ruh, è la madre-somara di Siamo asini o pedanti?... Se Daura e Arterio sono anche figure dell’anima, vittime e assassini, allora preferisco pensare a climi espressionisti, a Pasolini: nel mio teatro si ride nero; tragicamente con Daura e Arterio, più vitalmente (ma di una vitalità feroce) con Mor-Arlecchino; e dietro il ridere c’è un fondo di angoscia che sorregge anche le battute più cretine. E sono d’accordo con quelli che hanno trovato I Refrattari il mio lavoro più crudele, e più impaurito... in Marco Martinelli, I Refrattari, Sestante Foto di Paolo Volponi elaborazione grafica Casa Walden Quale? CANONE 6+1 RAVENNA VISO-IN-ARIA me 8, ve 10 gennaio ore 21, sa 11 gennaio ore 17,30 e 21 . Teatro Rasi Ascanio Celestini RADIO CLANDESTINA ve 31 gennaio, sa 1, do 2 febbraio ore 19 e 21,30 . Albergo Cappello Motus SPLENDID'S da ve 17 a do 26 gennaio (riposo il 20 e il 21) ore 21 . Ardis Hall Fanny & Alexander ALICE VIETATO > 18 ANNI ve 7 febbraio ore 21 . Teatro Rasi Lady Godiva FILOTTETE lu 17 febbraio ore 21 . Teatro Rasi Katzenmaker ISAIA L’IRRIDUCIBILE ore 22,15 GIPI CINQUANTA MINUTI ve 14 e sa 15 febbraio ore 21 . Ardis Hall Compagnia teatrale Pleiadi IMPUNEMENTE Woyzeck sa 15 febbraio ore 22,30 . Ardis Hall Associazione Culturale Cantieri – La linea dell'Arco SAPNAS sa 15 marzo ore 21 . Teatro Rasi Artipigri UN CUORE COSÌ BIANCO Studio III ve 28, sa 29, do 30 marzo ore 21 . Sala Tanti Cosi Progetti TCP TANTI COSI PROGETTI Paura e meraviglia ve 28 febbraio ore 21 . Teatro Rasi Massimiliano Civica - Andrea Cosentino ANDROMACA poema eroicomico in prosa sa 8 marzo ore 21 . Teatro Rasi Compagnia Lombardi-Tiezzi L'AMBLETO ve 21, sa 22 marzo ore 21 . Ardis Hall Kinkaleri <OTTO> do 6 aprile ore 21 . Teatro Rasi Sud Costa Occidentale CARNEZZERIA dramma in un atto da me 7 a do 18 maggio (riposo il 12) ore 21 . Teatro Rasi Teatro delle Albe I REFRATTARI drammetto edificante Il debutto dei Refrattari, mercoledì 7 maggio, è una serata di "Teatro per Leo": a Leo de Berardinis "Maestro di teatri fra loro lontani", per il suo arduo combattimento vitale NOBODADDY Informazioni Ravenna Teatro Teatro Rasi, via di Roma 39, Ravenna tel. 0544 36239 . fax 0544 33303 Prevendita biglietti e carnet, iscrizioni laboratori il mercoledì e il venerdì dalle 16 alle 19 Biglietterie serali (un’ora prima di ogni spettacolo) Teatro Rasi tel. 0544 30227 Ardis Hall, Sala Tanti Cosi, Albergo Cappello tel. 333 7605760 Ardis Hall, via Bondi 3 (zona industriale Bassette), Ravenna Sala Tanti Cosi Progetti, via Redipuglia 8, Ravenna Albergo Cappello, via IV Novembre 41, Ravenna Promozione Monica Randi con Paola Bartoli e Elisa Taroni Redazione Barbara Fusconi con Giovanna Crisafulli e Massimiliano Venturi Testi a cura di Cristina Ventrucci Immagine e progetto grafico Cosetta Gardini - Casa Walden LABORATORI dal 5 al 21 dicembre 2002 Vincent Longuemare - Disegno e drammaturgia luce. Laboratorio pratico intensivo Un laboratorio rivolto a tecnici professionisti e aspiranti tali, scenografi e light designer, ma anche a registi, pittori, critici e a chiunque abbia la necessità di approfondire lo studio della dimensione teatrale da un punto di vista tecnico-critico. Dalla posa in opera del primo faro fino all’esperienza diretta della messa in scena, quello di Vincent Longuemare è un sapere che fornisce gli elementi di un approccio sensibile all’arte del disegno luci, studiando le relazioni tra luce e azione teatrale, in una costante simbiosi di teoria e pratica. Partendo dall’analisi delle condizioni e dell’ambiente naturale dello spettacolo, considerando le relazioni tra presenze sceniche e fari, innestandosi nel percorso della regia e degli altri linguaggi della scena, questo laboratorio introduce a una pedagogia dello sguardo, in cui la luce operi un costante sforzo di chiarificazione drammaturgica. Vincent Longuemare opera da anni nell’ambito del teatro come disegnatore luci. Ha collaborato, tra gli altri, con Thierry Salmon, Raffaella Giordano, il Teatro delle Albe e il Teatro Kismet Opera. dal 10 al 12 aprile 2003 Cristina Bonfanti - Acting out da corpo creativo a corpo creatore intervengono Renata Molinari, drammaturga e studiosa di teatro, e Maria Rita Comerio, medico esperto di medicina tradizionale Associazione Eutopie, progetto TheatraSanitatis - I Teatri della Salute Acting-out è un neologismo anglosassone che significa “portare fuori”. Questo movimento che procede dall’interno del sé, consiste nel costruire un’azione, il cui valore simbolico può contribuire a sciogliere vecchi e nuovi blocchi emotivi con un effetto catartico e liberatorio nelle vite individuali. Acting-out è un termine usato in analisi che contiene non a caso anche il significato di “recitare”, compiere un atto sulla scena. L’intento è appunto quello di mettere in scena le contraddizioni e i blocchi emotivi con i quali nutriamo la fissità dei nostri “ruoli” nel quotidiano e insieme portare “alla ribalta” le linee tendenziali che individuano quei percorsi individuali che possono condurre oltre la tensione, il disagio e la paura verso la piena espressione delle proprie potenzialità creative. Il laboratorio è basato sulle elaborazioni teoriche dell’universo percettivo intuite da Edmond Husserl e da Maurice Merleau-Ponty e sulle tecniche immaginative elaborate da Robert Desoille (Rêve-Eveillé). L’associazione Eutopie, dal greco “eu” buono e “topos” luogo, è ottimizzazione del “qui e adesso”, un tentativo di declinare al presente l’Utopia. Eutopie è un’organizzazione non lucrativa di utilità sociale fondata nel 1998 da un gruppo interdisciplinare attivo in vari settori, medicina, psicologia e arte, con l’obbiettivo di intrecciare espressione creativa, cultura scientifica e politiche socioculturali. Il programma di iniziative di Eutopie si inscrive nel progetto complessivo Theatra Sanitatis - I Teatri della Salute comprendendo l’organizzazione di dibattiti, conferenze, seminari, laboratori, eventi culturali, produzione di video e la pubblicazione del periodico “Eutopie. Convergenze tra Scienza Immaginario e Arte”. TheatraSanitatis è il nome attribuito ai taccuini che tra il XIV e XV secolo venivano compilati dai medici su commissione di alcuni dei loro pazienti che volevano conoscere meglio le dinamiche dei rimedi che venivano loro consigliati e gli stili di vita più adatti per ottenere la guarigione. Illustrati con scene di vita quotidiana quali il sonno, il gioco, l’amore, il cibo, la passeggiata, eccetera, servivano principalmente a “mettere in scena” le azioni e le reazioni attribuite ai vari rimedi e l’intreccio tra sintomi e stili di vita. Come avveniva per le emozioni evocate dalle illustrazioni dei taccuini, con il progetto TheatraSanitatis, Eutopie ha tentato di affrontare e risolvere una sfida cognitiva: possiamo imparare attraverso le emozioni e quanto efficace può essere questo tipo di apprendimento? E cerca, attraverso l’universalità dell’espressione artistica, di trasformare l’informazione in un’esperienza personale, perché soltanto se è “incorporata” l’informazione può entrare a far parte della nostra identità. Questo teatro, quello del corpo e delle sue storie, storie in carne e ossa, è dunque quello che esponiamo per farci riconoscere, sulla scena e nella vita quotidiana, quell’uno popolato di molti che siamo tutti noi. maggio 2003 date da definire Silvia Lelli - La vertigine del teatro . Workshop sulla fotografia di spettacolo Silvia Lelli è considerata una tra i migliori fotografi internazionali del settore: la sua vastissima esperienza (è stata fotografa ufficiale alla Scala per diciassette anni) fornisce un’originale chiave d’accesso a un “metodo” di lavoro per la fotografia di spettacolo. Nel laboratorio saranno trattati elementi di tecnica fotografica con particolare riferimento alle esigenze del palcoscenico, ma anche i diversi aspetti del rapporto con le altre forme di spettacolo: il lavoro del fotografo di spettacolo illustrato, nelle sue fasi, con la proiezione di immagini e la visione diretta di stampe e pubblicazioni; spiegazione dei generi fotografici che la foto di spettacolo comprende, ritratto on e backstage, reportage di musica, danza e teatro; dati e fonti di cultura tecnico-fotografica; indicazioni sulla scelta del soggetto; analisi delle diverse committenze: riviste, editoria, uffici stampa, casa discografica, attori, cantanti e danzatori; il rapporto con gli artisti: il ritratto in studio, il ritratto-reportage, il ritratto nel contesto scenico; analisi delle condizioni di lavoro a luce artificiale, i limiti e le possibilità; riprese fotografiche in occasione degli spettacoli della non-scuola e delle prove dei Refrattari del Teatro delle Albe, e visione dei portfolii realizzati dai partecipanti durante il workshop. Silvia Lelli studia architettura a Firenze; si avvicina alla fotografia realizzando servizi per settimanali e mensili e copertine per importanti case discografiche. Nel 1979 partecipa alla fondazione del mensile “Musica Viva“ e, nel segno di un’interesse crescenteper la fotografia di spettacolo pubblica Ritratti senza posa (1984). È fotografa ufficiale del Teatro alla Scala di Milano con Roberto Masotti dal 1979 al 1996. Insieme realizzano esposizioni legate alla scena musicale e teatrale di questi anni (Musiche, vedere come sentire, Torino fotografia 1981, ospitata in Giappone nel 1995). Le numerose pubblicazioni, tra cui Magia della scena (1986) affiancano altri originali lavori come lo studio fotografico per scene e costumi dell’opera Il Tabarro (1982) e l’ideazione di immagini in proiezione nell’allestimento delle scenografie per Erwartung, (regia di Pier Alli). Continua parallelamente una personale ricerca attraverso il teatro d’avanguardia e la danza con approfondimenti a tema, più volte proposti in Italia e in Europa in deverse esposizioni. NON-SCUOLA Durante il NOBODADDY 2003 si terranno i debutti della non-scuola, la “contaminazione“ teatrale che Marco Martinelli e collaboratori portano nelle scuole ravennati e da lì alla scena del Rasi. Quest’anno sono 9 gli istituti e centri coinvolti per 11 gruppi di lavoro. Laboratorio di Lido Adriano “Porta d’Oriente”, Laboratorio della Terza Circoscrizione, Università per la Formazione Permanente degli Adulti “Giovanna Bosi Maramotti”, Istituto Professionale “Adriano Olivetti”, Istituto Professionale “Costantino Callegari”, Liceo Classico “Dante Alighieri”, Liceo Scientifico “Alfredo Oriani”, Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali di Ravenna (Università di Bologna), Istituto Tecnico Commerciale “Giuseppe Ginanni”, Istituto Tecnico Industriale “Nullo Baldini”, Istituto Tecnico Agrario “Luigi Perdisa”, Istituto Tecnico per Geometri “Camillo Morigia”. Le guide: Francesco Antonelli, Alessandro Argnani, Paola Bartoli, Luigi Dadina, Cinzia Dezi, Maurizio Lupinelli, Roberto Magnani, Marco Martinelli, Gianni Plazzi, Menna Price, Alessandro Renda, Elena Rossi, Eugenio Sideri. Il coordinamento è di Maurizio Lupinelli e Francesco Antonelli, la direzione di Marco Martinelli. I testi sui quali si svolgeranno i laboratori non sono ancora stati scelti e non sono disponibili, al momento di questa pubblicazione, i titoli degli spettacoli che andranno in scena al Teatro Rasi nel periodo compreso tra febbraio e aprile, e che faranno da contrappunto ai programmi Canone 6+1 e Ravenna viso-in-aria con lo spirito teatralantiscolastico, noboalfabetico*, patafisico, che contraddistingue il progetto di Martinelli & co. * Il Noboalfabeto è una pubblicazione di Ravenna Teatro sulla non-scuola. Contiene uno scritto inedito di Marco Martinelli e Ermanna Montanari, un loro saggio sui Polacchi e la teatrografia completa di dieci anni di non-scuola. Disponibile al Teatro Rasi (5€). RAVENNA TEATRO Teatro Stabile di Innovazione presidenza Luigi Dadina direzione organizzativa Marcella Nonni editoria e consulenza organizzativa Cristina Ventrucci coordinamento tecnico Enrico Isola amministrazione Stefania Nanni contabilità Matteo Miani promozione progetti Monica Randi comunicazione Barbara Fusconi organizzazione Teatro delle Albe Francesca Venturi organizzazione Compagnia Drammatico Vegetale Sara Maioli organizzazione spazio-laboratorio Vulkano William Rossano responsabile tecnico Teatro Rasi Valentina Venturi responsabile tecnico allestimenti Andrea Mordenti squadra tecnica Luca Fagioli, Dennis Masotti, Francesca Pambianco, Elisa Tirelli, Danilo Maniscalco direzione artistica Marco Martinelli ideazione Marco Martinelli, Ermanna Montanari Teatro delle Albe Francesco Antonelli, Alessandro Argnani, Luigi Dadina, Luca Fagioli, Maurizio Lupinelli, Roberto Magnani, Marco Martinelli, Ermanna Montanari, Mandiaye N’Diaye, Alessandro Renda Compagnia Drammatico Vegetale Ezio Antonelli, Pietro Fenati, Elvira Mascanzoni NOBODADDY Dialoghetto in versi tra lo Stato e l'Arte STATO Ah sì... sì... ora ricordo dica, dica pure... ARTE Io sono quella che quando ti alzi la mattina se n'è appena andata Io sono la tua ombra del giorno sono il fuoco del letamaio che non si spegne sono l'allevatore di tori il sussurro oltre lo specchio la scritta sul muro il campo che vomita luce sotto il sole di mezzogiorno sono l'inciampo il dettaglio irrilevante la polvere nell'ingranaggio la buccia che fa scivolare la povera canzonetta che ritorna Io sono una furia del Passato (per questo mi irridi) Io sono quella che balbetta che ancora continua, balbettante ba-ba-ba-ba a decifrare i libri dei morti i libri oscuri e insensati che tu Stampi e Incensi e Releghi nei Musei i libri che non leggerai mai Io sono quella che tu credi morta (è bene che tu lo creda) merce tra le merci cosetta di poca importanza pazza, debole, ritardata (una miserabile in fondo!) una pratica da archiviare tra le tante del Sempiterno Ordine del Mondo Io sono in movimento, corro corro sempre con la mia gambetta malata zoppico e corro e tu sei Stato Io sono l'adolescente serio che mi seppellirà e riderò, quel giorno accanto alla mia fossa. - Silenzio STATO Sì... bene, grazie... può bastare. Avanti un altro! Marco Martinelli, Ravenna, agosto 2002