Unità
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I TEMI: da un continente all’altro
Ella Maillart
Benares
1 Xuan Zang: pellegrino
buddista.
2 trabeazioni: travi.
3 henné: polvere di foglie
essiccate utilizzata per
tatuaggi su mani e piedi.
4 sari: tradizionale abito
femminile indiano.
5 pire: mucchi di legna
usati per la cremazione
dei cadaveri
«Quelli che vi si bagnano, è una certezza, sono purificati dei loro peccati. Quelli che ne bevono, oppure, si tergono soltanto la bocca, vedono svanire le disgrazie che li minacciavano. Quelli che vi annegano
rinascono tra gli dei. Una moltitudine di uomini e donne si riuniscono quotidianamente sulle sue sponde», diceva del Gange, Acqua di
Felicità, Xuan Zang1, all’epoca del suo pellegrinaggio, nel VII secolo.
Nella mattina grigio tortora, venendo dal bivio di Moghol Saray, vedo
dapprima un ponte le cui numerose trabeazioni2 raggiungono la riva
sinistra, verdeggiante a valle e dorata a monte dal sole che illumina
Benares, le cui case sono tutte orientate a est.
Per entrare in città si cammina fino al grande ponte vicino alla stazione
di Kasi, dove si può affittare una ekka, piccola piattaforma a ruote munita di un baldacchino e tirata da un pony. Attraversiamo una periferia
interminabile e miseranda, costeggiando viuzze con negozi in basse
costruzioni. In un campo in completo abbandono sorge un palazzo;
alcuni derelitti dormono a terra, i marciapiedi sono irregolari o mancano del tutto e parecchi vicoli sono troppo stretti per il passaggio di un
carro. Cani, vacche e uomini si aggirano in una grande confusione e da
molti anfratti sale improvviso uno sbuffo d’incenso.
A Benares, alcune donne indossano pesanti braccialetti alle caviglie,
sopra i piedi tinti con l’henné 3; a volte s’incrocia un cammello, a volte cavalli bardati. Innumerevoli razze si mescolano nelle strette vie di
Kasi, come gli indù chiamano la città: buddhisti del Nepal, del Tibet,
della Birmania o di Ceylon, desiderosi di visitare i luoghi dove un
tempo il Buddha predicò, folle di indù in pellegrinaggio al Fiume Sacro, usurai a torso nudo con pantaloni a sbuffo e bastone da passeggio.
Anche se la sua vera vocazione è un’altra, la città è anche un attivo
centro d’affari, dove ogni strada, ogni botteguccia sembrano celare
profittatori, trafficanti, intriganti pronti a ingrassarsi alle spalle dei
pellegrini, vittime delle loro truffe. È il rovescio della medaglia, il cui
diritto è dominato dal Gange.
Prima di raggiungere il centro di Benares, vediamo i lavandai sbattere
la biancheria sulle pietre, mentre i sari4 stesi già asciugano sulla riva
formando enormi scacchiere. In gennaio le acque sono basse. Lì vicino, la grande moschea di Aurangzeb pare una sfida all’induismo.
Non lontano dall’acqua, una spiaggia triangolare ospita le pire5 funerarie, dalle quali il fumo si leva incessante.
Le scale del fiume pullulano di sadhu, uomini e donne, sotto i parasoli di paglia intrecciata. Massicci muri di pietra pericolanti, cappelle
coniche scolpite o stuccate si ergono di sghimbescio, a volte semisommersi, testimonianza di morte in tanta vitalità.
Benares
La mattina presto, generalmente veniamo svegliate da uno spettacolo
irreale: i sadhu si recano con dignità al bagno rituale. Offerte, abluzioni6, immersioni sono di capitale importanza. Si è ben lontani dalla
vita di spiaggia occidentale, dove il contatto diretto dell’acqua e del
vento sul corpo portano gioia, comunione, leggerezza. (E ricordo di
averne provata la purezza sulla mia carne quando la notte, da sola,
nuotavo nuda nel mio lago natale.)
Il sole colpisce orizzontalmente uno di quegli uomini accovacciati,
vestito solo dalla luce nascente, che si strofina con la sabbia. Il suo
corpo è giovane, la barba elegante, e i tratti decisi fanno presupporre
una meditazione totale, ma, ne sono certa, egli ha udito il clic indiscreto della mia macchina fotografica.
A quest’ora, lungo tutta la riva sinistra del Gange, uomini e donne
volgono lo sguardo a oriente e, sull’altra sponda, vaste distese di fango evocano l’infinito, che è l’aspirazione dei futuri yogin7.
Benares è la sala d’attesa della morte corporale.
Di notte, se si discendono le scale immense e cupe che portano all’opaco fiume, sotto i pipal 8 sacri che nascondono tra le radici pietre scolpite, si sente di essere giunti alle frontiere dell’Aldilà.
E tuttavia, il paesaggio è dominato a perdita d’occhio da superbi edifici che assomigliano a palazzi… Strano scenario per uomini votati
alla rinuncia.
E. Maillart, Ti-Puss, trad. di G. Condò, EDT
6 abluzioni: lavanda sommaria del corpo o di una
sua parte.
7 yogin: coloro che praticano lo yoga.
8 pipal: grande albero diffuso in India.