L`esperimento di Michelson-Morley e l`etere

L’esperimento di Michelson-Morley e l’etere
L’Esperienza di Michelson –Morley e l’Etere
Nella seconda metà dell’800, quando la meccanica aveva quasi assunto la sua
configurazione moderna, i fisici si dedicarono allo studio dei fenomeni elettrici e magnetici.
Maxwell (1831-1879) riuscì ad unificare i due fenomeni in quattro equazioni che davano
come conseguenza l’esistenza delle onde elettromagnetiche. Tuttavia, durante il XIX secolo la fisica
postulava che tutte le onde, sia quelle meccaniche che quelle luminose, si potessero propagare solo
grazie alla presenza di un mezzo. Infatti, quando noi diciamo che la velocità del suono nell’aria
secca a 0°C è di 331.3 m sec , implicitamente ci riferiamo ad un sistema di riferimento fisso nella
massa d’aria attraverso la quale si propaga il suono. La velocità dell’onda sonora per osservatori che
siano in movimento rispetto a questo sistema di riferimento è data in modo corretto dalle
trasformazioni galileiane per la velocità. Viceversa, quando diciamo che la velocità della luce nel
vuoto è 2.997925x108 m sec , non è affatto chiaro quale sistema di riferimento stiamo
considerando. Un sistema di riferimento fisso nel mezzo di propagazione della luce presenta delle
difficoltà perché, a differenza del suono, non sembra che esista per essa alcun mezzo. Dal momento
però che sembrava inconcepibile per i fisici dell’epoca pensare che la luce e le altre onde
elettromagnetiche potessero propagarsi in assenza di un qualsiasi mezzo, sembrò logico postulare
l’esistenza di tale mezzo, a cui fu dato il nome di etere. Tale etere godeva di alcune proprietà
particolari, quali quella di avere densità nulla ed una perfetta trasparenza, per giustificare il fatto che
non si riusciva a rivelarlo. Si suppose quindi che l’etere riempisse tutto lo spazio e rappresentasse il
mezzo rispetto al quale la luce ha velocità pari a:
in cui ε0 rappresenta la costante dielettrica assoluta del vuoto e µ0 la permeabilità magnetica del
vuoto. Era chiaro a questo punto che tale mezzo avrebbe costituito un sistema di riferimento
privilegiato, detto “spazio assoluto”, l’unico in cui l’informazione, secondo le leggi
dell’elettromagnetismo, avrebbe viaggiato con la stessa velocità c della luce. Ne seguiva quindi che
un osservatore in movimento attraverso l’etere con una certa velocità v doveva misurare una
velocità per un raggio di luce data dalle trasformazioni galileiane per la composizione delle
velocità. In sostanza, si pensava che ogni corpo che si muovesse nell'universo producesse un vento
(vento d'etere) che si muoveva alla stessa velocità del corpo in movimento ma con direzione
opposta. Per esempio, la Terra si muove nell'universo a 30 Km/s perciò ci dovrebbe essere un vento
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a 30 Km/s che spazzerebbe la Terra in direzione opposta al proprio cammino. Ovviamente, qualsiasi
cosa dovrebbe essere influenzata dal vento, compresa la luce.
In conclusione, una volta assunta l'esistenza dell'etere, cioè del riferimento privilegiato in cui
valgono le equazioni di Maxwell e nel quale le onde si propagano con velocità c, si trattava di
calcolare la velocità della Terra rispetto a questo sistema: non era infatti pensabile che la Terra fosse
solidale all'etere, cioè fosse un riferimento assoluto.
Fu questo risultato che l’esperimento di Michelson-Morley doveva sottoporre a verifica.
Esperimento di Michelson-Morley
Albert Abraham Michelson, che aveva insegnato fisica all'istituto di Cleveland in Ohio,
decise di provare a misurare la velocità della luce per vedere se si trovava traccia del vento d'etere,
usando a tale scopo un interferometro da lui stesso ideato (interferometro). Se il vento d'etere fosse
esistito, la velocità della luce sarebbe stata diversa nelle varie direzioni, quindi, guardando
all'interno dell'interferometro, si sarebbero viste delle frange di interferenza. Utilizzando questo
dispositivo, Michelson effettuò una prima volta l’esperimento nel 1881 ed in seguito nel 1887,
questa volta in collaborazione con Edward Williams Morley. In entrambi i casi non furono rivelate
frange di interferenza.
L’effetto che voleva essere messo in evidenza- e che invece non fu osservato- era l’effetto di
somma delle velocità previsto per la velocità della luce dalle trasformazioni di Galileo in
considerazione del fatto che la stessa, orbitando intorno al Sole, sarebbe in moto rispetto all’etere
con velocità v: la difficoltà dell’esperimento segue dal fatto che la velocità v della Terra (v≈30
Km/s) è circa un decimillesimo rispetto a quello della luce.
Descrizione dell’interferometro
Consideriamo l’apparato sperimentale schematicamente mostrato in figura 1, detto
Interferometro di Michelson. Una sorgente di luce S monocromatica emette un raggio di luce
monocromatica, con lunghezza d’onda λ, nella direzione SP. P è uno specchio semitrasparente,
disposto ad un angolo di 45° rispetto al raggio luminoso: di quest’ultimo una parte r1 viene riflessa
verso lo specchio S1 e una parte r2 viene trasmessa verso lo specchio S2. Del primo raggio r1,
riflesso da S1, una parte attraversa P e viene raccolta dal cannocchiale C; e così pure del secondo
raggio r2, riflesso da S2, una parte viene riflessa da P verso il cannocchiale C che riceve così due
raggi luminosi fra di loro coerenti (cioè hanno stessa intensità, stessa ampiezza e stessa lunghezza
d’onda).
Michelson e Morley montarono l’interferometro su una massiccia lastra quadrata di granito
di lato pari a 15cm e con uno spessore di 5cm e per ragioni di stabilità fecero galleggiare il
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dispositivo in una vasca di mercurio liquido, in modo tale che esso potesse essere dolcemente
ruotato attorno ad un perno centrale passante per P.
I due raggi luminosi hanno in comune i due tratti SP e PC; i rispettivi percorsi si differenziano però
perché il primo compie, avanti e indietro, il tratto PS1 (di lunghezza l1) mentre il secondo compie,
avanti e indietro, il tratto PS2 (di lunghezza l2 pari circa a l1). Nella versione più precisa
dell’esperimento di Michelson (Michelson- Morley , 1887. Il dispositivo sperimentale usato
effettivamente da Michelson e Morley è illustrato nella figura 3 (tratto dalla rivista Scientific
American)) il tratto PS1≈PS2 era più di un metro; ma con un sistema di specchi multipli ciascun
tratto veniva percorso avanti e indietro otto volte, cosicché agli effetti ottici era l1≈l2≈11 m.(fig. 1)
Ora supponiamo che valga l’ipotesi dell’etere e che questo sia fermo rispetto al sistema
solare. La velocità della luce sarebbe allora pari a c rispetto al sistema solare ma non rispetto a un
sistema di riferimento terrestre: la Terra si muove infatti intorno al sole in un moto praticamente
circolare con velocità v.
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P
S
r2
Sorgente
C
Figura 1 - L’Interferometro di Michelson.
Supponiamo che inizialmente l’apparato sperimentale sia orientato in modo che il braccio
SS1 sia parallelo alla velocità v della Terra. Rispetto all’apparato, il raggio r1 si muove, nell’ipotesi
dell’etere, con velocità c+v mentre esso viaggia da S a S 1; e con velocità c-v mentre esso viaggia da
S1 a S. Il tempo t1 per compiere il tragitto di andata e di ritorno è:
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Più difficile è la determinazione della velocità del raggio r2 che si muove in direzione
ortogonale alla velocità v. La situazione è resa complessa dal fatto che, se la Terra è in
movimento, il cammino effettivo nell'etere – supposto immobile – del raggio di luce è
quello che appare in figura 2. In essa lo specchio semiargentato è stato rappresentato due
volte, all'istante 0 e all'istante t'.
P
H
P
Figura 2 – Raggio perpendicolare alla direzione del moto della Terra.
Dato che i segmenti PS 2 ed S 2 P hanno ugual lunghezza, basterà calcolare il tempo
impiegato dalla luce a percorrere una delle due, e raddoppiare il risultato.
Indicando con Δt il tempo impiegato dalla luce per percorrere il tratto PS 2 , e tenendo conto
del fatto che questo tratto viene percorso a velocità c, si ottiene:
Da cui:
Ovvero:
Il tempo impiegato dalla luce per andare da P a S2 e ritornare in P è pari a:
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Osserviamo che t1 e t2 sono differenti, cioè i raggi che vengono raccolti nel cannocchiale C hanno
una certa differenza di cammino ottico e dovrebbero dar luogo a delle frange di interferenza, come
quelle visibili in figura:
Se però ruotiamo l'interferometro di 90°, anziché al raggio orizzontale la velocità orbitale della
Terra si sommerà al raggio verticale, e dunque la differenza di cammino ottico fra i due raggi
varierà; si dovrà quindi avere uno spostamento nelle frange di interferenza. Se L è la lunghezza del
braccio dell'interferometro e v è la presunta velocità della Terra rispetto all'etere, la differenza tra i
cammini ottici sarà:
Lo spostamento così ottenuto dovrebbe equivalere a circa mezza lunghezza d'onda della luce
gialla, e quindi dovrebbe essere tale da portare le frange scure sulle frange chiare e viceversa,
proprio come illustrato nella figura qui sopra.
In realtà non venne osservato nessuno spostamento, sebbene gli strumenti utilizzati fossero
molto sensibili ed alla stessa conclusione giunsero tutti coloro che, con tecniche più o meno
perfezionate, ripeterono lo stesso esperimento.
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Figura 3 – Dispositivo utilizzato da Michelson e Morley.
Conclusioni
L'esperienza di Michelson e Morley era stata concepita per dimostrare che la luce può avere
velocità diverse per diversi osservatori in moto relativo rispetto all'etere, attraverso la dimostrazione
dell'esistenza di una sorta di « vento d'etere » ed al moto relativo rispetto ad esso della Terra lungo
la propria orbita, sulla scorta della presunta validità della composizione galileiana delle velocità. Il
fatto che l'esperimento sia clamorosamente fallito non poteva far altro che smentire gli assunti di
partenza, mostrando una volta per tutte che la luce ha sempre la stessa velocità per tutti gli
osservatori e che evidentemente le trasformazioni di Galileo NON sono valide per tutti i sistemi di
riferimento in moto relativo l'uno rispetto all'altro. Alcune delle possibili spiegazioni sono le
seguenti:
1. La terra è solidale all'etere (è la spiegazione più semplice ma deve essere scartata per ovvi
motivi).
2. La terra trascina parzialmente l'etere, come trascina l'aria.
3. Le equazioni di Maxwell sono errate. Questa possibilità, già alla fine del secolo scorso, era
da ritenersi inaccettabile, soprattutto per le verifiche sull'esistenza delle onde
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L’esperimento di Michelson-Morley e l’etere
elettromagnetiche che avevano luogo proprio negli anni dell'esperimento di MichelsonMorley.
4. La luce non è un'onda, ma è fatta da corpuscoli che seguono le usuali leggi di Newton della
dinamica.
5. Il risultato dell'esperimento va preso per quello che è e bisogna rivedere i concetti fisici che
abbiamo usato per "fare i conti che non tornano". Questa fu, come è noto la soluzione giusta,
proposta da Einstein nel 1905, ma già preparata da alcune idee in particolare di Lorentz e
Poincarè. É chiaro che questa idea avrebbe dovuto portare, come in effetti poi successe, alla
revisione della meccanica Newtoniana e delle sue leggi: per adattarsi a una teoria appena
nata, la meccanica di Newton, che tanto successo aveva avuto in particolare nella
spiegazione del moto dei corpi celesti, doveva essere rivista dalle fondamenta!
Per la sua invenzione dell’interferometro e per i molti suoi esperimenti di ottica, Michelson
ricevette il Premio Nobel per la Fisica nel 1907.
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Relatività galileiana e trasformazioni galileiane
Il principio di relatività galileiana afferma l'assoluta equivalenza fisica di tutti i sistemi di
riferimento inerziali: nessun esperimento eseguito all'interno di un dato sistema di riferimento può
evidenziare il moto rettilineo ed uniforme dello stesso sistema, o, in altre parole, le leggi fisiche
scoperte da sperimentatori che lavorino in laboratori in moto relativo rettilineo ed uniforme
devono avere la stessa forma. Si tratta ora di ricavare le formule che legano le coordinate spazio
temporali di uno stesso evento visto da due diversi riferimenti e di provare che le leggi della fisica
sono invarianti, nella forma, al passaggio da un riferimento all'altro: si tratta cioè di tradurre in
formule il contenuto di questo principio.
Si considerino due riferimenti, S ed S', di cui S' mobile, rispetto ad S, di moto rettilineo ed
uniforme, con velocità
. Si supponga che gli osservatori solidali ad S e S' siano dotati di due
orologi per la misura dei tempi, preventivamente sincronizzati in modo che, per esempio, quando O
coincide con O' entrambi gli orologi segnino zero. Non è restrittivo prendere, come noi faremo, gli
assi x dei due riferimenti sovrapposti, in modo che
sia parallela allo stesso asse x. Si consideri un
certo evento fisico che avviene in un punto P con coordinate (x,y,z) e (x', y',z') rispetto a S e S'
rispettivamente, e negli istanti t e t' misurati dai due osservatori. Tenendo conto che OO' = Vt e che
sembra ovvio supporre t'=t, dalla figura qui sopra segue subito che valgono le cosiddette
Trasformazioni Galileiane:
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Per derivazione si possono ottenere le formule per la composizione delle velocità:
.
Una ulteriore derivazione porta alla conclusione, fondamentale, che
.
Se teniamo conto del fatto che la massa dei corpi è un invariante, utilizzando la equazione
fondamentale della dinamica (definizione di forza),
, concluderemo che la forma delle
equazioni non dipende dal riferimento. Una modifica delle trasformazioni di Galileo deve portare
necessariamente ad una modifica della equazione fondamentale della dinamica, se vogliamo salvare
il principio di relatività. Questa modifica costituisce uno dei tanti pilastri della teoria della relatività
che, occorre sottolinearlo fin dal principio, non ha negato la validità del Principio di relatività
galileiana, ma solo delle formule di passaggio da un riferimento ad un altro: il Principio è anzi stato
esteso a tutti i fenomeni e non solo a quelli meccanici.
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Le Equazioni di Maxwell
La prima pubblicazione in forma completa delle equazioni ormai universalmente conosciute come
Equazioni di Maxwell è del 1873, nel lavoro Electricity and Magnetism. Le quattro equazioni di
Maxwell costituiscono la formulazione analitica delle proprietà fondamentali del campo
elettromagnetico. É opportuno richiamare il loro significato fisico.
Quest'equazione, che esprime matematicamente il Teorema di
Gauss per il campo elettrico, è sostanzialmente equivalente alla
legge di Coulomb e specifica come le cariche interagiscono.
Quest'equazione, che esprime matematicamente il Teorema di
Gauss per il campo magnetico, è la traduzione in formule
dell'osservazione fondamentale che non è possibile avere un
monopolo magnetico isolato.
Quest'equazione non è altro che una formulazione integrale
dell'equazione di Faraday-Neumann-Lenz sulle forze elettromotrici
indotte.
Quest'equazione (di gran lunga la più importante, specie per
quanto riguarda la nascita della relatività), esprime sostanzialmente
il teorema della circuitazione di Ampère, cioè la legge di
interazione tra fili percorsi da corrente, con l'aggiunta del termine
relativo alla cosiddetta corrente di spostamento. Essa costituisce,
per il campo magnetico nel caso statico, il parallelo dell'equazione
del flusso per il campo elettrico, cioè può essere assunta come
legge fondamentale sperimentale. Essa, nella sua forma completa,
fu ricavata da Maxwell sulla base di semplici considerazioni
matematiche, per "salvare" il teorema della circuitazione di
Ampére.
Si noti che queste equazioni non danno il valore di E e B in ogni punto dello spazio, una volta note
le cariche e le correnti, ma danno solo relazioni globali, relative a superfici chiuse le prime due, a
linee chiuse le ultime due.
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Interferenza
Attorno all'anno 1800, l'eclettico medico inglese Thomas Young compì un esperimento che mise in
crisi il modello corpuscolare della luce, modello fino ad allora considerato valido già dai tempi di
Newton.
L'esperimento consisteva nel fare passare un sottile fascio di raggi di luce solare bianca, ottenuto
tramite una fessura, attraverso due ulteriori strette fessure preticate con un rasoio su una carta da
gioco (interessante il "livello" tecnologico dell'esperimento ...) ed osservare l'immagine che si
produceva su di uno schermo.
Ciò che si verifica è una figura a frange colorate non nitide (sfumate).
Facendo l'esperimento con luce monocromatica si ottengono frange nitide.
(la luce solare monocromatica può essere ottenuta facendo passare la luce solare attraverso un filtro
colorato)
Questo fenomeno va sotto il nome di interferenza e non può essere spiegato tramite la teoria
corpuscolare della luce. Secondo tale teoria, infatti, si dovrebbero ottenere esattamente due frange,
essendo due le fessure.
Quello che si ottiene, invece, sono molte frange chiare e scure ed a colori sfumati.
Il fenomeno può essere invece interpretato alla luce della teoria ondulatoria.
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Immaginiamo l'esperimento visto da sopra e consideriamo che una stessa onda luminosa colpisca le
due fessure. La luce del sole è costituita da onde in fase. Se effettuassimo l'esperimento con due
lampadine ognuna davanti ad una fessura, non otterremmo nessun fenomeno di interferenza in
quanto la luce che colpisce le due fessure, proveniente da sorgenti diverse, non è in generale fase.
Dalle due fessure si propagheranno onde inizialmente in fase (provengono, come detto sopra, da
una medesima onda) che andranno a colpire lo schermo compiendo però in generale cammini
diversi. Le onde che compieranno cammini di uguale lunghezza avranno creste in fase e si
sommeranno dando creste di altezza doppia (interferenza costruttiva). Le onde che compieranno
cammini di lunghezze che differiscono di mezza lunghezza d'onda andranno a sommarsi sullo
schermo in modo da avere creste e gole in sovrapposizione e quindi di conseguenza si
annulleranno (interferenza distruttiva). I cammini con differenza di una lunghezza d'onda
produrranno sullo schermo ancora interferenza costruttiva e così via.
In questo modo si spiega il susseguirsi delle frange che appaiono sullo schermo.
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(si noti come abbiamo fatto per indicare la differenza fra la lunghezza dei cammini con la
costruzione di un triangolo isoscele)
In un punto in cui avviene l'interferenza costruttiva si ottiene un picco di luce, dove si ha
l'interferenza distruttiva si ottiene il buio. Il susseguirsi di luce e buio costituisce le frange di
interferenza osservate nell'esperimento.
Con questo "modello" si spiega anche il fenomeno della "sfumatura" dei colori che si rileva sullo
schermo. Lo sfumarsi dei colori nelle varie frange dipende dal fatto che la luce bianca è composta
da colori diversi che corrispondono a lunghezze d'onda diverse per cui in effetti ogni colore
subisce una propria interferenza producendo le suddette sfumature.
Con luce monocromatica si ottengono invece frange nitide.
Bibliografia
1. A. Caforio, A. Ferilli. Nuova Physica 2000. Le Monnier, Firenze, 2000
2. C. Mencuccini, V. Silvestrini. Fisica 1 – Meccanica Termodinamica. Liguori Editore, Napoli,
1985.
3. R. Eisberg, R. Resnick. Quantum Physics. John Wiley & Sons, New York, 1974.
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