IMPEGNO E PROPOSTE PER LA PACE CONFERENZE DI ZIMMERWALD E KIENTHAL (1915 – 1916) I punti più alti della riflessione teorica e della polemica politica sul fronte socialista e antimilitarista furono due conferenze di partiti socialisti europei tenute in Svizzera durante la guerra, nelle quali risuonò anche la parola d'ordine di Lenin di trasformare la "guerra imperialista" in "guerra rivoluzionaria" “Proletari d'Europa! La guerra continua da più di un anno. Milioni di cadaveri coprono i campi di battaglia; milioni di uomini sono rimasti mutilati per tutto il resto della loro esistenza. L'Europa è diventata un gigantesco macello di uomini. Tutta la civiltà, che era il prodotto del lavoro di parecchie generazioni, è distrutta. La barbarie più selvaggia trionfa oggi su tutto quanto costituiva l'orgoglio dell'umanità. Qualunque sia la verità sulle responsabilità immediate della guerra, questa è il prodotto dell'imperialismo, ossia il risultato degli sforzi delle classi capitalistiche di ciascuna nazione per soddisfare la loro avidità di guadagni con l'accaparramento del lavoro umano e delle ricchezze naturali del mondo intero. In tal modo, le nazioni economicamente arretrate o politicamente deboli cadono sotto il giogo delle grandi potenze, le quali mirano con questa terra a rimaneggiare, col ferro e col sangue, la carta mondiale nel loro interesse di sfruttamento [...]. I capitalisti, che dal sangue versato dal proletario traggono i più grossi profitti, affermano, in ogni paese, che la guerra serve alla difesa della patria, della democrazia, alla liberazione dei popoli oppressi. Essi mentono. Questa guerra, infatti, semina la rovina e la devastazione, e distrugge, al tempo stesso, le nostre libertà e la indipendenza dei popoli. Nuove catene, nuovi pesi ne saranno la conseguenza, ed è il proletariato di tutti i paesi, vincitori e vinti, che li sopporterà”. Mozione di Lenin , 1915 Due anni di guerra mondiale! Di rovine, di massacri, di reazione. Dove sono i responsabili? Si cerchino fra i privilegiati. Dopo avere, essi, precipitato nella tomba milioni di uomini, piombato nella desolazione milioni di famiglie, creati milioni di vedove e di orfani, dopo aver accumulato rovine sopra rovine, e distrutto una parte della civiltà, questa guerra criminosa si è immobilizzata. Malgrado le ecatombi su tutte le fronti nessun risultato decisivo: ne vincitori né vinti; o piuttosto tutti vinti, cioè tutti dissanguati, rovinati, esausti. Così ancora una volta vien dimostrato che questi socialisti, i quali, nonostante le persecuzioni e le calunnie, si sono opposti al delirio nazionalista, esigendo la pace immediata e senza annessione, sono gli unici che abbiano bene meritato dai loro paesi. Si alzi il coro solenne delle vostre voci ad aggiungersi alle nostre, al grido: Abbasso la guerra! Evviva la pace! Lavoratori delle città e delle campagne! I vostri Governi, le cricche imperialiste ed i loro giornali vi dicono che bisogna persistere nella guerra a fondo per liberare i popoli oppressi. È questa una mistificazione ideata dai nostri padroni allo scopo di prolungare la guerra. Il vero scopo della carneficina mondiale è: per gli uni di assicurarsi il possesso del bottino che essi hanno accumulato attraverso i secoli e mediante altre guerre; per gli altri di raggiungere una nuova spartizione del mondo, nell'intento di annientare i popoli abbassandoli al livello dei paria. I vostri Governi ed i loro giornali vi dicono che inoltre bisogna continuare la guerra per uccidere il militarismo. Essi vi ingannano! Il militarismo di un popolo non può essere ucciso che da questo popolo stesso ed i loro giornali vi dicono ancora che bisogna protrarre all'infinito la carneficina, perché questa guerra sia l'ultima guerra. Essi vi ingannano sempre. Mai la guerra ha ucciso la guerra. Anzi essa suscita sentimenti e velleità di rivincita. In questo modo i vostri padroni, votandovi al sacrificio, vi chiudono in un cerchio infernale. Né le illusioni del pacifismo borghese saranno capaci di farvi uscire da questo cerchio. Non vi è che un mezzo definitivo per impedire le guerre future: la conquista dei Governi e della proprietà capitalistica per parte dei popoli stessi. La pace duratura sarà il frutto del socialismo trionfante. Proletari, guardatevi attorno! Chi sono coloro che parlano della guerra ad oltranza? della guerra fino alla vittoria? Sono i re, fautori responsabili della guerra stessa; i giornali alimentati dai fondi segreti; i fornitori degli eserciti e tutti coloro che dalla guerra traggono alti profitti; sono i socialisti nazionalisti; sono coloro che pappagallescamente ripetono le formule guerresche coniate dai Governi; sono i reazionari che si rallegrano in cuor loro di veder cadere sui campi di battaglia quei socialisti, quei lavoratori organizzati, quei contadini coscienti che ieri ancora minacciavano i loro privilegi usurpati. Ecco da chi è composto il partito dei prolungatori della guerra. Ad esso è riservata la massima libertà di propagare la continuazione dei massacri e delle rovine. A noi vittime il diritto di tacere, di soffrire lo stato d'assedio, la censura, la prigione, la minaccia, il bavaglio. Questa guerra, o popoli lavoratori, non è guerra vostra e pure voi ne siete le vittime! Nella trincea in prima linea, negli assalti cruenti, esposti alla morte, vediamo i contadini e i lavoratori delle officine; al retrofronte, al sicuro, vediamo la grande maggioranza dei ricchi ed i loro lacchè imboscati. Costoro per guerra intendono la morte degli altri. E della guerra essi approfittano per continuare ad accentuare la loro lotta di classe contro di voi. L'ingiustizia sociale e l'antagonismo tra le classi diventano più evidenti ancora nella guerra, che nella pace. Nella pace il regime capitalista toglie al lavoratore la gioia della vita; nella guerra esso gli toglie tutto, gli toglie la vita stessa. Troppi sono i morti, troppe le sofferenze. Basta! Troppa pure è la rovina economica. Tocca e toccherà ancora a voi, popoli lavoratori, di sopportare il peso di questi disastri. Oggi centinaia di miliardi vengono inghiottiti nell'abisso della guerra e sottratti 1 così al benessere dei popoli, alle riforme sociali che avrebbero migliorato la vostra sorte. Domani schiaccianti imposte graveranno sulle vostre spalle curvate. Già troppo avete pagato col vostro lavoro, col vostro denaro, colle vostre esistenze. Scendete in lotta per imporre una immediata pace senza annessioni! Dalle officine e dai campi dei paesi belligeranti sorgano i lavoratori, donne e uomini, a protestare contro la guerra e le sue conseguenze. Alzino le loro voci per il ristabilimento delle libertà confiscate, per le leggi operaie, per le rivendicazioni dei lavoratori dei campi! I socialisti di tutti i paesi agiscano conformemente alle decisioni dei Congressi socialisti internazionali, che fanno obbligo alle classi operaie di compiere ogni sforzo per mettere prontamente fine alla guerra. Esercitate perciò contro la guerra la massima pressione possibile; sui deputati da voi eletti, sui Parlamenti, sui Governi! Imponete la fine immediata della collaborazione socialista coi Governi; esigete che nei Parlamenti i socialisti d'ora innanzi votino contro i crediti destinati a prolungare la guerra [...]. Manifesto di Kienthal, 1916 1916: APPROCCI TEDESCHI PER LA PACE MORTE DI FRANCESCO GIUSEPPE LA MOZIONE DEI SOCIALISTI ITALIANI PER LA PACE LA NOTA DEGLI STATI UNITI Leonida Bissolati (membro del partito Socialista Riformista Italiano) tuonava contro la pace non accompagnata dalla fine dell'impero austroungarico, ma molti in Italia e fuori pensavano seriamente alla pace. Fuori, oltre ad alcune potenze neutrali, era principalmente la Germania che desiderava la fine della guerra Le grandi offensive del 1916 non avevano spostato gli equilibri della guerra a favore dell’uno o dell’altro dei contendenti; avevano provocato centinaia di migliaia di morti; avevano determinato, oltre al resto, una crisi dei cosiddetti “fronti interni” soprattutto negli Imperi centrali, costretti già da tempo a ricorrere a drastiche misure di razionamento che causavano non pochi sacrifici per la popolazione civile Si spiega perché fossero soprattutto questi ultimi a muoversi in direzione della pace anche se le iniziative di pace del 1916 furono più che altro deboli e in alcuni casi velleitarie Il Governo tedesco, dopo la sconfitta della Marna, aveva cercato di indurre gli Stati Uniti e il Vaticano a farsi mediatori di pace. Poi, dopo gli inutili sforzi contro Verdun (un attacco che avrebbe dovuto avere un grande valore strategico indebolendo le truppe francesi al punto di indurle alla resa, ma che non ebbe esiti di rilievo, nonostante l'enorme dispendio di vite umane - I due eserciti lasciarono sul campo circa 600.000 morti), la Germania tentò di avviare trattative dirette e separate con la Francia, con il Belgio e con la Russia. Alla Francia prima fece intravedere, ove si ritirasse dall'Intesa, vantaggiose concessioni dei confini dell'Alsazia-Lorena, poi, ove si alleasse con gli Imperi centrali contro l'Inghilterra e l'Italia, il risarcimento dei danni e la restituzione di tutta l'Alsazia-Lorena; al Belgio offrì ottimi patti commerciali e larghe indennità; più serie furono le trattative con la Russia, ma fallirono specialmente per le difficoltà incontrate nel risolvere la questione polacca. Nel secondo semestre del 1916, il Governo tedesco ritentò di spingere gli Stati Uniti ad interporsi tra i belligeranti e pregò insistentemente il presidente Wilson di dettare una proposta di pace. Più tardi (intorno alla metà di dicembre 1916) il cancelliere tedesco Bethmann, spintovi dal contegno piuttosto dubbioso di Wilson e da quello, nettamente favorevole alla pace del nuovo imperatore austriaco Carlo I, succeduto a Francesco Giuseppe, morto il 21 novembre del 1916, decise che la Germania si mobilitasse come iniziatrice della pace. Quelli dell'Intesa affermarono che era una mossa propagandistica, che dava per scontato la loro risposta negativa, e che era stata avanzata solo per permettere agli Imperi Centrali di declinare qualsiasi responsabilità "dinanzi all'umanità e alla storia", e per riorganizzarsi. (Fu definita "una manovra, un tranello grossolano, un astuto tentativo di dividere gli alleati … un trucco, con il quale la Germania voleva mascherare le sue vere intenzioni, traviare l'opinione pubblica, rallentare negli alleati il desiderio e il proposito di resistere e di vincere, guadagnar tempo e poi riprendere la lotta con maggiore accanimento"). Anche in Italia però pensavano alla pace, ed era naturale, fra coloro che erano stati gli irriducibili neutralisti, vale a dire i socialisti ufficiali, il cui gruppo parlamentare presentò alla Camera la seguente mozione: "La Camera, costatato che dalle ultime solenni dichiarazioni dei Capi di Governo responsabili dei principali Paesi belligeranti, Inghilterra e Germania, emerge il consenso sostanziale sui principi e sui propositi, in base ai quali una pace onorevole e conveniente per tutti potrebbe stipularsi, e cioè: 1° la rinuncia, esplicitamente affermata, ad annessioni forzate e da egemonie violatrici del diritto delle genti; 2° la necessità, ugualmente proclamata da ambo le parti, di una libera e tranquilla convivenza in Europa di tutti gli Stati, grandi e piccoli, sulla base delle rispettate nazionalità; 3° il dichiarato comune proposito di antivenire il riprodursi di conflitti violenti fra i popoli grazie all'organizzazione dell'arbitrato internazionale e di una stabile Lega di Stati che ponga la pace al coperto d'improvvise aggressioni; ritenuto che un così lucido ed eloquente consenso pone evidentemente le condizioni necessarie e sufficienti per l'inizio, fra tutti gli Stati interessati, di trattative d'accordo che, lealmente indette e proseguite, non potrebbero non riuscire feconde e risolutive; invita il Governo a farsi autorevole interprete presso i Governi Alleati dell'urgente necessità di provocare- con la mediazione della Confederazione Nord-Americana e degli altri Stati neutrali - la convocazione di un Congresso di rappresentanti plenipotenziari dei 2 Paesi belligeranti, con l'incarico - sospese le ostilità - di vegliare, al lume di quei principi concordemente conclamati, gli obiettivi e le rivendicazioni concrete delle parti in contesa, per una prossima soluzione del conflitto e per la salvezza d'Europa". Replica alla mozione da parte di Enrico Boselli presidente del consiglio "La mozione - egli disse - implica uno speciale voto intorno all'iniziativa che il Governo italiano dovrebbe prendere a tale proposito .... In questo momento un voto, come ci è domandato, la Camera non può esprimerlo. La Camera non può votare per una pace incerta, infida, prematura; la Camera non può neppure votare genericamente e vagamente contro la pace .... Può volere la Camera che in questo argomento della pace l'Italia prenda delle iniziative che non siano ispirate, ponderate, trattate in ogni loro parte di pieno accordo con i nostri alleati? In sostanza, da questa Camera non deve uscire voto alcuno il quale possa far credere che noi non siamo in piena concordia con i nostri Alleati .... Volete nel vostro patriottismo un voto qualsiasi che non corrisponda al favore con il quale si combatte nelle trincee e sui mari? Volete che esca da questa Camera un voto il quale rinvigorisca le energie dell'esercito e del Paese in questo momento supremo?... Non deve dunque uscire da questa Camera voto alcuno che possa svigorire in qualsiasi modo l'energia del Paese, e pensiamo che il mantenere ardente, più che mai, ed efficace questa energia significa affrettare la vittoria il che vale quanto dire affrettare la pace. Perché la pace non può consistere in un voto che sgorghi dalle anime nostre e corrisponda ai migliori nostri ideali, ma deve essere un fatto che tragga origine dalla vittoria delle armi, da quella vittoria che conduca non ad una pace passeggera, ma ad una pace duratura, a quella pace, che assicuri all'Italia la rivendicazione di tutte le sue terre e del suo mare, e che non è un sogno, non è poesia, ma una realtà necessaria della nostra storia e della nostra esistenza politica. La quale pace per essere duratura, dovrà sostituire all'antico equilibrio dei trattati, instabili per quanto famosi, l'equilibrio che unico può dare al mondo la stabilità della giustizia e della civiltà, sul diritto delle nazionalità. E questa pace se, com'è a sperare, la storia umana non abbia sempre a continuare con le stesse tristezze e con le stesse violenze, non deve essere la pace di un giorno, ma quella dei secoli nuovi. Non possiamo perciò votare oggi per la pace, ma neppure contro la pace. Il voto che emergerà da questa Camera dovrà significare il sospiro di tutti perché con la vittoria, ma solo con e dopo la vittoria, si giunga a quella pace che è il più grande beneficio dell'umana civiltà". Messa ai voti, la proposta del Governo di rinviare a sei mesi la mozione fu approvata con 294 voti contro 47 (5 dicembre 1916). La “nota” degli Stati Uniti Datata 18 dicembre 1916, firmata dal segretario di Stato, Lansing, il 22 dicembre, fu dall'ambasciatore americano a Roma comunicata al Governo italiano la nota seguente del Presidente degli Stati Uniti, Wilson "Il Presidente degli Stati Uniti mi ha dato istruzioni di suggerire al Governo Reale italiano un piano di azione riguardante la presente guerra che, egli spera, il Governo Reale italiano prenderà in considerazione come suggerito da spirito amichevole, come derivante, non solamente da un amico, ma anche dal rappresentante di una Nazione neutrale i cui interessi sono stati molto seriamente colpiti dalla guerra e la cui sollecitudine per la rapida fine di questa sorge dalla manifesta necessità di determinare come tutelare ben meglio questi interessi se la guerra deve continuare. […] "Il Presidente aveva da lungo tempo in animo di dare il suggerimento che io ho l'istruzione di presentare. […]. Il Presidente suggerisce che si ricerchi una prossima occasione per domandare a tutte le Nazioni attualmente in guerra una pubblica dichiarazione circa le loro rispettive vedute in quanto alle condizioni in base alle quali la guerra potrebbe essere chiusa, e agli accomodamenti che potrebbero essere ritenuti soddisfacenti come una garanzia contro il rinnovarsi di essa e lo scatenarsi di qualsiasi simile conflitto in avvenire, affinché si rendesse possibile di paragonarli francamente fra loro. "Egli è indifferente circa i mezzi da impiegare per ottenere tutto questo. Il Presidente sarebbe lieto di cooperarvi egli stesso o anche di prendere l'iniziativa del suo compimento in ogni modo che potesse apparire accettabile; ma egli non ha nessun desiderio di determinare il metodo o i mezzi. Una via o l'altra sarebbe per lui accettabile purché soltanto il grande scopo cui egli mira sia ottenuto. Nelle misure da prendersi per assicurare la futura pace del mondo, il popolo ed il Governo degli Stati Uniti sono interessati così vitalmente e così direttamente come il Governo attualmente in guerra. Inoltre il loro interesse circa i mezzi da adottarsi per liberare i popoli più piccoli e più deboli del mondo dal pericolo dell'ingiustizia e della violenza è altrettanto forte quanto quello d'ogni altro popolo e Governo. "Essi sono pronti anzi ansiosi di cooperare al compimento di questi scopi, quando la guerra sarà terminata, con tutta l'influenza e le risorse di cui dispongono. Ma la guerra deve essere prima terminata. Quanto alle condizioni come essa deve essere chiusa, non è in loro potere di suggerirle, ma il Presidente sente che è suo diritto e suo dovere di far rilevare il loro profondo interesse alla sua fine per il timore che non sia poi troppo tardi, per il timore che la situazione delle Nazioni neutrali, oggi estremamente aspra a sopportare, non sia resa completamente intollerabile, e per il timore soprattutto che non sia fatto alla civiltà stessa un torto che non possa mai essere espiato o riparato. "Per tutti questi motivi e timori, il Presidente si ritiene autorizzato a suggerire un'immediata opportunità per un confronto tra le vedute circa le condizioni che debbono precedere questi ultimi accordi della pace del mondo che tutti desiderano e nella quale le Nazioni neutrali al pari di quelle in guerra, sono pronte ad assumere pienamente la loro parte di responsabilità. Se il conflitto deve continuare e proseguire verso fini indeterminati con una lunga agonia, o finché l'uno o l'altro gruppo dei belligeranti sia esaurito; se milioni su milioni di vite umane debbono continuare ad essere sacrificate finché da una parte o da un'altra non ve ne siano più da sacrificare; se sono accesi risentimenti che non possono mai raffreddarsi e se perdura una disperazione da cui non si può mai guarire, le speranze di una pace o del volontario concerto di popoli liberi saranno rese vane ed oziose. 3 "La vita dell'intero mondo è stata profondamente turbata. Ogni parte della grande famiglia dell'umanità ha sentito il peso ed il terrore di questo conflitto d'armi senza precedenti. Nessuna Nazione del mondo civile può dirsi in verità che sia fuori della sua influenza o ne sia preservata dai suoi effetti perturbatori.[…] Lo stesso giorno 22 dicembre il Consiglio Federale Svizzero inviava ai Governi delle Potenze belligeranti la seguente nota: "Il presidente degli Stati Uniti d'America, ha diretto ai Governi dell'Intesa e delle Potenze Centrali una nota a favore della pace. Egli ha voluto comunicarla al Consiglio Federale Svizzero, il quale, mosso dall'ardente desiderio di veder presto cessare le ostilità, si era messo in rapporto con lui cinque settimane or sono. In questa nota il Presidente WILSON ricorda quanto sia desiderabile giungere a concludere accordi internazionali tali da evitare una sicura catastrofe come quella per la quale i popoli devono oggi soffrire. Il Presidente Wilson insiste anzitutto sulla necessità di porre fine alla guerra attuale. "Egli non formula proposte di pace e non offre neppure la sua mediazione, ma si limita a rivolgersi ai belligeranti per sapere se l'umanità può oggi sperare di essersi avvicinata ad una pace benefica. La generosa iniziativa personale del Presidente Wilson non mancherà di destare in Svizzera un'eco profonda. Fedele ai doveri che le sono imposti dall'osservanza della più stretta neutralità, legata dalla stessa amicizia con i due gruppi di potenze attualmente in guerra, isolata nel centro dallo spaventoso conflitto di popoli, gravemente minacciata e colpita nei suoi interessi spirituali e materiali, la nostra Patria aspira alla pace. La Svizzera è pronta ad aiutare con le sue deboli forze a porre un termine alle sofferenze della guerra che essa vede passare tutti i giorni con gli internati, i feriti gravi e i profughi. Essa è pure disposta a gettare le basi di una feconda collaborazione fra i popoli. Perciò il Consiglio Federale Svizzero coglie con gioia l'occasione di appoggiare gli sforzi del Presidente degli Stati Uniti d'America. Esso si riterrebbe felice di poter, anche nella più modesta misura, lavorare al riavvicinamento delle Nazioni in guerra e alla instaurazione di una pace durevole". La risposta degli Imperi Centrali e degli Alleati La Germania e l’Austria-Ungheria risposero proponendo un incontro tra i delegati degli stati belligeranti in una località neutrale. I governi alleati contro gli Imperi Centrali dichiararono di non ritenere opportuno aprire i negoziati di pace sulle basi proposte. La nota degli Stati Uniti infatti fu discussa a Roma in una conferenza interalleata (5-7 gennaio 1917) . Le deliberazioni non furono rese pubbliche, ma il 7 gennaio fu emanato un comunicato che escludeva ogni eventualità di trattative per la pace dicendosi in esso che gli Alleati avevano costatato una volta di più il loro accordo sulle diverse questioni all'ordine del giorno ed avevano preso la risoluzione di effettuare sempre maggiormente la coordinazione dei loro sforzi. Il 1916 pertanto non rappresentò un momento tale da offrire le possibilità di concludere la guerra ma ne confermò e ne rafforzò piuttosto le motivazioni 1917 – 1918: DUE PROPOSTE “FORTI”: LA NOTA DIPLOMATICA DI BENEDETTO XV E I QUATTORDICI PUNTI DI WILSON NOTA DIPLOMATICA DI BENEDETTO XV LETTERA DEL SANTO PADRE AI CAPI DEI POPOLI BELLIGERANTI* BENEDETTO I 14 PUNTI DI WILSON 8 Gennaio 1918 XV Fino dagli inizi del Nostro Pontificato, fra gli orrori della terribile bufera che si era abbattuta sull' Europa, tre cose sopra le altre Noi ci proponemmo: una perfetta imparzialità verso tutti i belligeranti, quale si conviene a chi è Padre comune e tutti ama con pari affetto i suoi figli; uno sforzo continuo di fare a tutti il maggior bene che da Noi si potesse, e ciò senza accettazione di persone, senza distinzione di nazionalità o di religione, come Ci detta e la legge universale della carità e il supremo ufficio spirituale a Noi affidato da Cristo; infine la cura assidua, richiesta del pari dalla Nostra missione pacificatrice, di nulla omettere, per quanto era in poter Nostro, che giovasse ad affrettare la fine di questa calamità, inducendo i popoli e i loro Capi a più miti consigli, alle serene deliberazioni della pace, di una « pace giusta e duratura ». Chi ha seguito l'opera Nostra per tutto il doloroso triennio che ora si chiude, ha potuto riconoscere che come Noi fummo sempre fedeli al proposito di assoluta imparzialità e di beneficenza, così non cessammo dall'esortare e popoli e Governi belligeranti a tornare fratelli, quantunque non sempre sia stato reso pubblico ciò che Noi facemmo a questo nobilissimo intento. […] In sì angoscioso stato di cose, dinanzi a così grave minaccia, Benedetto XV « Noi siamo entrati in questa guerra a causa delle violazioni al diritto che ci riguardano direttamente e rendono impossibile la vita del nostro popolo, a meno che non siano riparate e il mondo stesso sia assicurato per sempre che non si ripeteranno. Perciò in questa guerra non domandiamo nulla per noi, ma Il mondo deve essere reso 4 Noi […] alziamo nuovamente il grido di pace, e rinnoviamo un caldo appello a chi tiene in mano le sorti delle Nazioni. Ma per non contenerci sulle generali, come le circostanze ci suggerirono in passato, vogliamo ora discendere a proposte più concrete e pratiche ed invitare i Governi dei popoli belligeranti ad accordarsi sopra i seguenti punti, che sembrano dover essere i capisaldi di una pace giusta e duratura, lasciando ai medesimi Governanti di precisarli e completarli. E primieramente, il punto fondamentale deve essere che sottentri alla forza materiale delle armi la forza morale del diritto. Quindi un giusto accordo di tutti nella diminuzione simultanea e reciproca degli armamenti secondo norme e garanzie da stabilire, nella misura necessaria e sufficiente al mantenimento dell'ordine pubblico nei singoli Stati; e, in sostituzione delle armi, l'istituto dell'arbitrato con la sua alta funzione pacificatrice, secondo e norme da concertare e la sanzione da convenire contro lo Stato che ricusasse o di sottoporre le questioni internazionali all'arbitro o di accettarne la decisione. Stabilito così l'impero del diritto, si tolga ogni ostacolo alle vie di comunicazione dei popoli con la vera libertà e comunanza dei mari: il che, mentre eliminerebbe molteplici cause di conflitto, aprirebbe a tutti nuove fonti di prosperità e di progresso. Quanto ai danni e spese di guerra, non scorgiamo altro scampo che nella norma generale di una intera e reciproca condonazione, giustificata del resto dai beneficai immensi del disarmo; tanto più che non si comprenderebbe la continuazione di tanta carneficina unicamente per ragioni di ordine economico. Che se in qualche caso vi si oppongano ragioni particolari, queste si ponderino con giustizia ed equità. Ma questi accordi pacifici, con gli immensi vantaggi che ne derivano, non sono possibili senza la reciproca restituzione dei territori attualmente occupati. Quindi da parte della Germania evacuazione totale sia del Belgio, con la garanzia della sua piena indipendenza politica, militare ed economica di fronte a qualsiasi Potenza, sia del territorio francese: dalla parte avversaria pari restituzione delle colonie tedesche. Per ciò che riguarda le questioni territoriali, come quelle ad esempio che si agitano fra l'Italia e l'Austria, fra la Germania e la Francia, giova sperare che, di fronte ai vantaggi immensi di una pace duratura con disarmo, le Parti contendenti vorranno esaminarle con spirito conciliante, tenendo conto, nella misura del giusto e del possibile, come abbiamo detto altre volte, delle aspirazioni dei popoli, e coordinando, ove occorra, i propri interessi a quelli comuni del grande consorzio umano. Lo stesso spirito di equità e di giustizia dovrà dirigere l'esame di tutte le altre questioni territoriali e politiche, nominatamente quelle relative all'assetto dell'Armenia, degli Stati Balcanici e dei paesi formanti parte dell'antico Regno di Polonia, al quale in particolare le sue nobili tradizioni storiche e le sofferenze sopportate, specialmente durante l'attuale guerra, debbono giustamente conciliare le simpatie delle nazioni. sicuro per ogni nazione pacifica che, come la nostra, desidera vivere la propria vita, stabilire liberamente le sue istituzioni, essere assicurata della giustizia e della correttezza da parte degli altri popoli del mondo, come pure essere assicurata contro la forza e le aggressioni egoistiche. Perciò il programma della pace del mondo è il nostro stesso programma; e questo programma, il solo possibile secondo noi, è il seguente: 1 Pubblici trattati di pace, conclusi apertamente, dopo i quali non vi saranno più accordi internazionali privati di qualsivoglia natura, ma la diplomazia procederà sempre francamente e pubblicamente. 2 Libertà assoluta di navigazione sui mari, al di fuori delle acque territoriali, sia in tempo di pace, sia in tempo di guerra. 3 Soppressione, nei limiti del possibile, di tutte le barriere economiche e stabilimento di condizioni commerciali uguali per tutte le nazioni che consentono alla pace e si accordano per mantenerla. 4 Garanzie sufficienti che gli armamenti nazionali saranno ridotti all’estremo limite compatibile con la sicurezza interna del paese. 5 Composizione libera, in uno spirito largo e assolutamente imparziale, di tutte le rivendicazioni coloniali, fondata sul rigoroso rispetto degli interessi delle popolazioni interessate. 6 Evacuazione di tutti i territori russi e regolamento di tutte le questioni concernenti la Russia, per assicurarle una sincera accoglienza nella Società delle Nazioni libere sotto un governo che esse stessa avrà scelto. 7 Il mondo intero sarà d’accordo che il Belgio debba essere evacuato e restaurato, senza alcun tentativo di limitare la sovranità ci cui fruisce alla stregua delle altre nazioni libere. 8 Tutto il territorio francese dovrà essere liberato, e le parti invase dovranno essere interamente ricostruite. 9 Una rettifica delle frontiere italiane dovrà essere effettuata secondo le linee di nazionalità chiaramente riconoscibili. 10 Ai popoli dell’Austria – Ungheria, di cui desideriamo salvaguardare il posto fra le nazioni, dovrà essere data al più presto a possibilità di uno sviluppo autonomo. 11 La Romania, la Serbia, il Montenegro dovranno essere evacuati: saranno a essi restituiti quei loro territori che sono stati occupati. 12 Alle parti turche del presente Impero Ottomano saranno assicurate pienamente la sovranità e la sicurezza, ma le altre nazionalità che vivono attualmente sotto il regime di questo Impero devono, d’altra parte, godere una sicurezza certa di esistenza e potersi sviluppare senza ostacoli; l’autonomia deve essere loro data. 13 Uno Stato polacco indipendente dovrà essere costituito, comprendente i territori abitati da nazioni incontestabilmente polacche, alle quali si dovrebbe assicurare un libero accesso al mare. 14 Una Società generale delle Nazioni Unite dovrebbe essere formata in virtù di convenzioni formali aventi per oggetto di fornire garanzie reciproche di indipendenza politica e territoriale ai piccoli come ai grandi Stati». Sono queste le precipue basi sulle quali crediamo debba posare il futuro assetto dei popoli. Esse sono tali da rendere impossibile il ripetersi di simili conflitti e preparano la soluzione della questione economica, così importante per l'avvenire e pel benessere materiale di tutti gli stati belligeranti. Nel presentarle pertanto a Voi, che reggete in questa tragica ora le sorti dei popoli belligeranti, siamo animati dalla cara e soave speranza di vederle accettate e di giungere così quanto prima alla 5 cessazione di questa lotta tremenda, la quale, ogni giorno più, apparisce inutile strage. Tutti riconoscono, d'altra parte, che è salvo, nell'uno e nell'altro campo, l'onore delle armi; ascoltate dunque là Nostra preghiera, accogliete l'invito paterno che vi rivolgiamo in nome del Redentore divino, Principe della pace. Riflettete alla vostra gravissima responsabilità dinanzi a Dio e dinanzi agli uomini; dalle vostre risoluzioni dipendono la quiete e la gioia di innumerevoli famiglie, la vita di migliaia di giovani, la felicità stessa dei popoli, che Voi avete l'assoluto dovere di procurare. […] Dal Vaticano, 1° Agosto 1917. Th. W. Wilson LA CONFERENZA DI PACE Si aprì a Versailles nel 18 gennaio 1919 quando già l’assetto internazionale era condizionato da quattro eventi collegati direttamente alla guerra: 1. sin dal 1917 l’impero zarista era crollato e la Russia era diventata una repubblica socialista; 2. dal 9 novembre anche l’impero tedesco non esisteva più, mentre la Germania era diventata una repubblica democratica; 3. l’impero austro-ungarico era da poco crollato e al suo posto si andavano formando entità statali autonome; 4. l’impero ottomano era stato travolto dalla guerra e sembrava destinato allo smembramento totale. I lavori furono complessi, sia perché i delegati delle potenze vincitrici dovettero necessariamente tenere in considerazione queste vicende, sia perché il quadro politico complessivo era ancora in movimento. Nel corso di un anno e mezzo i delegati fissarono una serie di condizioni che stabilirono gli elementi fondamentali del quadro internazionale del dopoguerra Alla base dei “14 punti” di Wilson ci doveva essere una pace senza vincitori, cioè una pace senza rivalse vendicative da parte dei vincitori, una pace in grado di garantire un dopoguerra privo di odi e di risentimenti; al contrario, a Versailles i vincitori imposero ai vinti le loro condizioni, senza consentire la minima discussione. Anzi, i primi pretesero che i secondi – e la Germania in specie – ammettessero la propria esclusiva responsabilità di aggressori. Vollero insomma trascinarli davanti a una sorta di tribunale nel quale la Francia soprattutto si attribuiva io ruolo di severo giudice. I Tedeschi sottoscrissero obtorto collo, spinti dalla fame e dalla minaccia di una ripresa delle ostilità, ma la brutalità del diktat avrà negli anni seguenti drammatiche ripercussioni su un popolo indisponibile a farsi trattare da vinto e incline al revanchismo, cioè all’ossessione della rivincita.(N.B. sulle clausole dei singoli trattati di pace e sulla sistemazione territoriale dell’Europa si rimanda al libro di testo) I “14 punti” con cui Wilson enunciava gli obiettivi della guerra americana propugnavano una pace giusta per tutti, basata sull’applicazione del principio di nazionalità e soprattutto prospettavano una un’idea di trasformazione della politica internazionale da campo privilegiato delle trame della diplomazia segreta a luogo di dibattito trasparente sul tema degli interessi dei popoli: idea di difficile realizzazione e destinata comunque a dare una risposta alle esigenze di chi aveva partecipato all’immane carneficina della guerra alla ricerca di un’idea di giustizia. Il punto più innovativo tra quelli wilsoniani prevedeva la costituzione di una Società delle Nazioni come luogo di mediazione e di soluzione pacifica dei conflitti. Ma già dalla sua realizzazione si videro i limiti di questa proposta: la Società delle Nazioni escludeva la Russia bolscevica e la Germania (che solo in seguito saranno ammesse) e questo giustificava le perplessità che essa seguisse scopi di equità nei rapporti internazionali e non fungesse da mero strumento dei vincitori. I suoi maggiori artefici, gli americani, si defilarono quando il Congresso si rifiutò di aderire alla SdN (novembre 1919) facendo rifluire gli USA su una posizione isolazionista e lasciando l’Europa alla fragile tutela dell’asse franco-inglese (che evidentemente perseguiva i propri interessi) e a una situazione finanziaria internazionale ingovernabile per l’impossibilità dei tedeschi a pagare i debiti di guerra a Francia e Gran Bretagna. Per ciò che riguarda lo specifico italiano possiamo dire che gli esiti della guerra diedero voce al cosiddetto “combattentismo”, movimento di reduci molto composito. Si trattava di un impasto di temi di destra e di sinistra tra loro collegati solo dal radicalismo, cioè dalle prospettive palingenetiche (di totale rinnovamento) con cui molti guardavano al dopoguerra. Era figlio dell’interventismo, il quale aveva considerato il conflitto come un’occasione rivoluzionaria per travolgere la politica dei piccoli compromessi (esemplificati nella politica di Giolitti). Di qualunque orientamento fossero, gli interventisti erano convinti che dalla guerra sarebbe uscita un’Italia più affratellata, meno divisa da barriere sociali o di classe, più giusta. Ai reduci le cose si presentavano diversamente: tra moltissimi italiani la guerra era stata ed era ancora impopolare, alle elezioni vincevano gli ex-neutralisti. Venne naturale l’idea di una seconda battaglia, questa volta proprio contro i nemici interni, e cioè i neutralisti traditori e gli screditati notabili liberali. Confrontata alle aspettative la vittoria si presentava inevitabilmente come “mutilata”, cioè incapace di compensare i sacrifici compiuti per conseguirla, per una situazione di fatto che gli (ex)interventisti non potevano accettare (le pretese territoriali italiane sul confine orientale no n erano state accolte e ciò proprio “per colpa” degli USA e della imbelle classe politica liberale italiana). 6 Analizziamo il parere di alcuni storici sulle possibili conseguenze della guerra e degli assetti di pace post-bellici nella successiva storia europea: “Più in generale bisogna chiedersi in che misura il principio di nazionalità interpretato o meno attraverso i canoni dell’idealismo wilsoniano, potesse regolamentare realmente, in maniera più efficace dei vecchi imperi, la turbolenta periferia orientale dell’Europa, dove numerosi ungheresi, tedeschi e bulgari si trovarono compresi loro malgrado nei nuovi stati o in quelli vecchi opportunamente allargati, tutti però militarmente e politicamente deboli, economicamente e socialmente arretrati. In Cecoslovacchia e in Jugoslavia, ad esempio, la sovrapposizione e il conflitto di diversi gruppi etnici non lasciava presagire nulla di buono per il futuro. I principi wilsoniani si incrociavano poi in maniera non certo armonica con le diplomazie della vecchia Europa, pronte a ignorarli ovvero a strumentalizzarli secondo convenienza nello sforzo di “valorizzare” la vittoria e i sacrifici umani compiuti per conseguirla. Ad esempio la piattaforma programmatica che aveva condotto l’Italia in guerra per “giusti” confini nazionali, per compensi coloniali in Asia minore e altrove (giudicati altrettanto “giusti”), per il riconoscimento della sua “potenza” anche a danno di altre nazionalità, mostrava una commistione di principi vecchi e nuovi, di amore per la libertà, di sacro egoismo, di feroce “energia vitale”, di Otto e di Novecento che c’era stata in varia misura nella guerra di tutti i popoli e di tutti i paesi. Anche per questo non si può dare una risposta univoca all’interrogativo se il 1914 “chiuda” il secolo XIX o “apra” il secolo XX. E’ vera l’una e l’altra cosa”. (Mario Isnenghi, “La prima guerra mondiale”, in Storia contemporanea, Roma, Donzelli, 1997 – storico italiano vivente) “L’uscita dal conflitto 1914-18 e la sua lettura da parte dei contemporanei costituiscono un soggetto importante, un soggetto che pone domande forse altrettanto gravide di conseguenze di quelle dell’entrata in guerra. E questo perché dal modo in cui venne vissuta e rappresentata la conclusione della guerra dipese il tragico seguito del conflitto nel corso della prima metà del XX secolo. La cultura di guerra non morì con l’armistizio”. (Stephane Audouin-Rouzeau, Annette Becker, La violenza, la crociata, il lutto. La Grande Guerra e la storia del Novecento, Einaudi, Torino, 2002 – storici francesi viventi) 7