159-160, pp. 473-520 METZ YEGHERN, IL GRANDE

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Metz Yeghern, il Grande Male - I
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Nuova Umanità
XXVII (2005/3-4) 159-160, pp. 473-520
METZ YEGHERN, IL GRANDE MALE - I
LA QUESTIONE ARMENA NELLA SECONDA METÀ DEL XIX SECOLO
Negli ultimi decenni del XIX secolo le cancellerie europee
continuano a chiamare ufficialmente l’impero ottomano e il suo
governo «la Sublime Porta», in riferimento all’uso dei sultani di
ricevere gli ospiti di riguardo e rendere pubblici i propri decreti
presso la terza porta del palazzo reale di Topkapi. In realtà, però,
l’impero un tempo sublime è ormai in piena decadenza, al punto
da far pensare piuttosto a un rudere pericolante 1.
I vari popoli sottomessi cercano con sempre maggior determinazione di ottenere dai turchi, se non l’indipendenza, almeno
margini di autonomia e garanzie di diritti. In questo hanno il sostegno delle grandi potenze, che estendono ai cittadini cristiani
ottomani la protezione che, per via del sistema delle «capitolazioni», già da alcuni secoli esercitano nei confronti dei propri sudditi
residenti nell’impero 2. Così alla fine del XIX secolo i cattolici ot1
Sull’ultimo periodo dell’impero ottomano (dalla presa di potere di Abdul-Hamid II) e l’inizio della Repubblica turca (fino alla morte di Mustafa Kemal), raccomandiamo il libro di Y. Ternon, L’Empire ottoman, le déclin, la chute,
l’effacement, Paris 2002, e l’ultima parte del libro R. Mantram (ed.), Storia dell’impero ottomano, tr. it., Lecce 1999; cf. anche B. Lewis, Islam et laïcité. La naissance de la Turquie moderne, Paris 1988.
2
Le «capitolazioni», basate su vari accordi internazionali che regolavano la
posizione degli stranieri nell’impero, prevedevano che i cittadini europei e americani continuassero a godere dei propri diritti anche sul suolo ottomano e dovessero essere giudicati sulla base delle proprie leggi. Così tutte le potenze avevano in
Turchia tribunali e prigioni proprie, e anche scuole, opere di beneficenza e istituti
religiosi non sottoposti alla legislazione ottomana. Le rappresentanze diplomati-
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tomani, latini e dei vari riti orientali, sanno di poter contare sulla
protezione della Francia, gli ortodossi su quella della Russia, i
protestanti, gli ebrei e altre minoranze sull’appoggio britannico e
americano. Per il governo ottomano, invece, le «capitolazioni»
rappresentano sempre più una scomoda e umiliante ingerenza
delle potenze occidentali negli affari interni dello Stato.
Nonostante il suo progressivo smembramento, però, il gigantesco impero che abbraccia i due continenti sopravvive, grazie
proprio agli interessi europei che si polarizzano attorno ad esso.
Ognuna delle potenze europee, infatti, teme che le altre possano
trarre troppo grandi vantaggi dalla totale sparizione dello Stato
ottomano e così tutte si sforzano di mantenere in vita questo gigante agonizzante.
In questa situazione al trono ottomano accede il dispotico
Abdul-Hamid II, destinato a passare alla storia come «il sultano
rosso» o «il sultano sanguinario» 3. Egli ottiene il potere nell’agosto del 1876 in seguito a un doppio colpo di Stato: il Gran Visir
Midhat-pasha, riformatore e sostenitore del movimento dei «Nuovi Ottomani», costituitosi nel 1865, alla fine di maggio aveva costretto il sultano Abdul-Aziz a abdicare in favore del nipote Murat
V, e dopo soli due mesi aveva dichiarato Murat pazzo. Abdul-Hamid, subentrato al fratello Murat, sembra condividere le posizioni
dei «Nuovi Ottomani» e di altri simili movimenti, sostenitori della
necessità di riforme e del regime parlamentare. Alla fine dell’anno
egli promulga la Costituzione che garantisce la libertà di parola.
Tuttavia ben presto il nuovo sultano comincia a vedere negli
alleati di un tempo dei nemici, e cambia diametralmente le proche straniere godevano di ampia libertà di azione e di movimento e esercitavano
una forte influenza sul governo turco, avendo di fatto diritto di intervento in molte questioni interne. Col tempo, gli ambasciatori avevano esteso la loro protezione
anche ai cittadini ottomani non musulmani e a tutte le minoranze etniche.
3
Interessanti informazioni sulla sua vita si trovano in un libro che riporta
la testimonianza del precettore francese del figlio di Abdul-Hamid: R. Bareilles,
Crépuscule ottoman: 1875-1933: Un Français chez le dernier grand sultan (Préface
de A. Decaux), [Toulouse] 2002; cf. anche G. Roy, Abdul-Hamid, le sultan rouge
(Préface du colonel Lamouche, ancien instructeur de la gendarmerie ottomane),
Paris 1936.
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prie posizioni. Destituisce Midhat-pasha (che poi farà esiliare e
uccidere), scioglie il parlamento, introduce una severissima censura, abolisce la Costituzione e nel gennaio 1878 stabilisce un regime dispotico. Quanto ai «Nuovi Ottomani» e a simili organizzazioni politiche, non esita a metterli fuori legge e perseguitarli. E
non a torto: saranno infatti proprio gli eredi politici dei «Nuovi
Ottomani», il movimento dei «Giovani Turchi» (che si forma nel
1889 e che in seguito si costituirà in partito «Unione e Progresso») a deporre Abdul-Hamid. Ma questo avverrà solo trentatré
anni più tardi.
All’inizio del regno di Abdul-Hamid II, negli anni 18771878, sui due fronti dei Balcani e dell’Armenia, si svolge l’ultima
guerra russo-turca, che frutterà l’indipendenza di fatto della Bulgaria, della Romania e della Serbia. Davanti a quest’ennesima,
grave manifestazione dello smembramento del suo impero, Abdul-Hamid decide di fare del nazionalismo estremo e sciovinista
l’ideologia dello Stato, e del terrore e dello sterminio delle minoranze etniche la propria strategia di governo.
Quasi tutti gli imperi multietnici della storia umana, giunti al
loro declino, sono stati mantenuti in vita – ancora per poco – dai
loro governanti con lo stesso stratagemma: quello di suscitare
presso la popolazione sentimenti di fanatismo nazionalistico e di
fomentare l’intolleranza etnica. Nel caso dell’impero ottomano,
l’alternarsi di governanti di opposte ideologie politiche, negli ultimi quattro decenni della sua esistenza, non cambia questa costante: il nazionalismo estremista e il terrore, come vedremo, saranno
il denominatore comune della politica di Abdul-Hamid II, dei
suoi acerrimi nemici, i Giovani Turchi, che lo destituiranno, e dei
kemalisti che a loro volta subentreranno a questi.
La scelta politica di Abdul-Hamid porta subito a nefaste
conseguenze per la popolazione armena dell’impero. Infatti, già
nei primissimi anni del suo regno, gli armeni delle regioni di Bayazid, Diadin e Alashkert sono sterminati dalle truppe di volontari e irregolari, in buona parte curdi, di appoggio ai reparti dell’esercito ottomano; nella sola città di Bayazid sono uccisi 2.400 ar-
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meni. Ha così inizio il genocidio degli armeni. La popolazione armena dell’impero ottomano era da sempre oggetto di episodi di
violenza, di abusi e vessazioni di ogni genere, che a volte riguardavano anche gruppi molto numerosi. Ma è proprio dalla salita al
trono di Abdul-Hamid II nel 1876 che l’operato della autorità
turche nei confronti dei sudditi armeni assume sempre più nettamente il carattere di un tentativo di eliminazione totale di questa
comunità etnica.
Le violenze perpetrate in questi anni dai turchi e i loro sicari
contro la popolazione armena sono inimmaginabili. Il celebre
pensatore russo Vladimir Solov’ev, nei suoi Tre Dialoghi mette in
scena un generale russo che avrebbe partecipato alla guerra del
1877-1878 con le truppe di Loris-Melikov; questo generale descrive un giorno a degli esterrefatti conoscenti gli orrori disumani
compiuti dai bashibuzuki – i soldati della cavalleria irregolare turca –, di cui trovò le tracce entrando in un villaggio armeno: «Mi
accorgo che i cosacchi a cavallo si sono avvicinati e si sono fermati, come impietriti (…). Un enorme convoglio con fuggiaschi armeni non aveva fatto in tempo a mettersi in salvo, [i bashibuzuki]
l’avevano fermato e gli avevano fatto la festa. Avevano acceso il
fuoco sotto i carri e avevano lasciato spenzolare sul fuoco gli armeni, legati ai carri chi per la testa, chi per la schiena, chi per la
vita, arrostendoli lentamente. Attorno, donne coi seni mozzati, o
sventrate (…). Ma c’è una scena che mi sta sempre davanti agli
occhi: una donna, schiena a terra, legata a un’asse di carro per il
collo e le spalle, in modo che non potesse voltare la faccia, non
bruciata né lacera, ma col viso contratto, come se fosse morta di
orrore; accanto a lei, un lungo palo conficcato a terra al quale è
legato un bambino nudo – certamente suo figlio – tutto nero e
con gli occhi fuori dalle orbite, e poco oltre, per terra, una rete
con carboni ormai spenti». Per il resto della vita, il generale russo
riterrà di aver esperimentato «la più piena soddisfazione morale e
perfino una sorta di estasi» proprio quando, raggiunti i bashibuzuki nel villaggio vicino, ne sterminò qualche migliaio… 4
4
V. Solov’ev, Tri razgovora. Kratkaja povest’ ob Antichriste, Moskva 2000,
pp. 63s.
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Sul fronte armeno, le truppe russe comandate dal Melikov,
con una dura battaglia combattuta dal 20 settembre/2 ottobre al
3/15 ottobre 1877, infliggono una pesante sconfitta al forte esercito del pasha Gazi-Mukhtar sulle alture di Aladja, a est di Kars, e
cingono poi d’assedio la città.
Tuttavia, alla fine della guerra, alla Russia passano solo le terre
di Kars (con le rovine della città di Ani) e di Ardahan, che costituiranno la «regione di Kars» (Karsskaja oblast’) dell’impero russo.
Preoccupati dal continuo ripetersi di episodi di violenza da parte
dei turchi, gli armeni di Russia fanno fortissime pressioni sulle proprie autorità affinché nel trattato di pace siano incluse garanzie di
riforme da parte dell’impero ottomano per gli armeni di Turchia 5.
Il patriarca armeno di Costantinopoli Nerses Varzhapetian si rivolge all’imperatore russo Alessandro II, implorandolo di fare qualcosa in difesa degli armeni occidentali. In conseguenza di tutto ciò,
alla fine del conflitto la Russia cerca di porre queste condizioni alla
pace. Tuttavia, benché i russi propongano una «autonomia amministrativa» per l’Armenia turca, da promulgarsi prima del ritiro delle truppe dello zar dai territori ottomani, il testo finale dell’art. 16
del trattato che le due potenze firmano a Santo Stefano, alla periferia di Istanbul, il 3 marzo 1878 (19 febbraio del vecchio calendario
russo), parla solo genericamente di «riforme e miglioramenti» che
dovranno essere verificati dai rappresentanti degli zar 6.
Comunque, poco più di tre mesi dopo, anche queste già deboli garanzie sono rese ancora più aleatorie: succede infatti che la
Gran Bretagna, tradizionalmente amica dei turchi, e gli austroungarici, esigono la revisione degli accordi di Santo Stefano.
Da quasi un secolo la Gran Bretagna sostiene il fatiscente impero ottomano, allo scopo di conservare la via delle Indie. La
5
Una raccolta dei testi degli accordi internazionali riguardanti la questione
armena (dal trattato di Gjulistan del 1813 all’accordo tra la Repubblica Armena e
la Federazione Russa del 1997) è stato recentemente edito in russo: G. Azatjan,
Sud’bonosnye dogovora, Erevan 2000.
6
Per le alterne vicende dell’Armenia a causa del mutare dei corsi della diplomazia internazionale si veda Dj.Kirakosjan, Bur_uaznaja diplomatija i Armenija (70-ye gody XIX veka), Erevan 1981.
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Russia è invece tradizionalmente nemica dei turchi che, a Costantinopoli e nei Balcani, opprimono molti popoli ortodossi. I turchi
e gli inglesi, dunque, nel giugno 1878 firmano a Cipro un accordo
segreto col quale la Gran Bretagna si impegna a vigilare – al posto
dei russi – all’applicazione delle riforme per i cristiani di Turchia
e nel contempo a imporre un’immediata ritirata delle truppe russe dai territori ottomani occupati, ottenendo in cambio dal sultano l’isola di Cipro.
Gli inglesi dunque impongono alla Russia un nuovo congresso, a Berlino, che limita fortemente sia le conquiste che l’influenza dell’impero degli zar negli affari ottomani: così, nel giugno-luglio 1878, il nuovo trattato di Berlino sostituisce di fatto gli accordi di Santo Stefano.
Quanto alla questione armena, anche a Berlino, a parole, la
Turchia promette ancora delle riforme. Secondo il nuovo trattato, infatti, nelle province armene di Turchia 7 la Sublime Porta «si impegna a realizzare, senza ulteriori ritardi, miglioramenti e riforme» e a garantire l’incolumità della popolazione armena dai cerchessi e dai curdi; inoltre il governo ottomano garantisce la piena libertà di religione e la restituzione dei beni confiscati.
Tuttavia, l’art. 61 del trattato di Berlino relativo alla questione armena, che viene a sostituire l’art. 16 di Santo Stefano, non
vincola il ritiro delle truppe russe all’attuazione delle riforme, né
stabilisce per queste termini concreti; inoltre la verifica delle riforme non è più prerogativa esclusiva dei russi, ma viene posta
sotto il controllo generico di tutte le potenze.
Naturalmente, gli amministratori turchi si guarderanno bene
dall’applicare le riforme previste e, dopo l’avvenuto ritiro dei soldati russi, le potenze non avranno più alcuna possibilità concreta
di negoziarne la realizzazione. Anzi, nel 1878 la Costituzione ottomana è sospesa dal governo. La situazione dei cristiani dell’im7
I turchi nel 1864 avevano suddiviso il territorio armeno entrato a far parte dell’impero ottomano nel XVII sec (circa la metà dell’antica Armenia) in sei
vilayet, o province: di Van, Erzerum, Bitlis, Sebaste, Harput e Diarbekir. Nelle
prime tre, più orientali, la popolazione armena era più compatta.
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pero ottomano peggiora ulteriormente. Gli stati occidentali reclamano diverse volte l’applicazione delle riforme, ma i turchi ignoreranno tali richieste 8.
A partire dal 1881, poi, la posizione russa riguardo alla questione armena cambia radicalmente. Infatti, dopo l’assassino dello zar
riformatore Alessandro II, il suo successore Alessandro III, condizionato dal conservatore Pobedonostsev, persegue una politica di
intolleranza verso le minoranze etniche, e teme che un’autentica applicazione delle riforme in favore degli armeni nell’impero ottomano possa ispirare anche gli armeni di Russia a rivendicare dei diritti.
Inoltre, dopo la fine delle campagne turche, la corte a Pietroburgo è amareggiata e delusa: tutti i popoli ortodossi che i
russi hanno liberato dal giogo ottomano e per i quali hanno ottenuto l’autonomia politica (greci, serbi, rumeni e soprattutto bulgari) in seguito, invece di gravitare nell’orbita russa, si sono mostrati diffidenti nei confronti degli zar, alleandosi piuttosto con i
loro nemici, come l’Inghilterra o gli austroungarici. La corte non
intende quindi ripetere lo stesso errore per gli armeni – che, per
di più, la Chiesa russa vede con sospetto come eretici – con il rischio di veder sorgere alle sue frontiere un avamposto delle potenze nemiche...
Intanto anche l’atteggiamento britannico nei confronti della
Turchia sta cambiando. Installati a Cipro dal 1878 e in Egitto dal
1882, gli inglesi non hanno più stretta necessità dell’alleanza coi
turchi per difendere la via delle Indie. D’altra parte, un impero
ottomano moribondo che rischia di cadere da un momento all’altro nelle mani dei russi costituisce per l’Inghilterra una seria
minaccia.
Ecco quindi che, subito dopo il Congresso di Berlino, nel
giro di pochi anni avviene un capovolgimento degli equilibri
8
Cf. per esempio le note collettive inviate dalle potenze alla Porta l’11 giugno e il 7 settembre 1880, la seconda riportata da F. Sidari, La questione armena
nella politica delle grandi potenze dalla chiusura del Congresso di Berlino al trattato di Losanna del 1923, Padova 1962, p. 12. Alla stessa opera (che resta ancora lo
studio più completo in italiano relativamente a questo periodo) rimandiamo per
quanto riguarda la questione armena nella politca internazionale dell’epoca. Sullo stesso argomento cf. anche M. Somakian, Empires in conflict: Armenia and the
Great Powers, London-New York 1995.
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strategici internazionali: proprio mentre gli inglesi – investiti
dall’accordo di Cipro della protezione dei cristiani ottomani e
scioccati dalle violenze di cui sono informati – da alleati del sultano diventano suoi accusatori 9, i russi da nemici atavici dell’impero ottomano si trasformano sempre più in suoi protettori,
se non altro per avversione nei confronti degli inglesi. Questo
ribaltamento diplomatico è però a netto svantaggio degli armeni, per i quali il sostegno russo sarebbe molto più importante di
quello inglese.
Insomma, considerate le conseguenze che ebbe, il trattato di
Berlino resta nella storia della diplomazia come un capolavoro di
ingenuità 10. O forse, piuttosto, come un esempio di grave incoscienza umanitaria. Infatti, non è certo arbitrario ipotizzare che,
se gli inglesi non avessero imposto la revisione del trattato di Santo Stefano, probabilmente i massacri degli anni 1894-1896 non
avrebbero avuto luogo, né forse la tragedia del genocidio del
1915. Ma la questione armena, cioè la sorte di milioni di esseri
umani, era purtroppo soltanto una pedina della complessa partita
tra francesi, austroungarici e, soprattutto, tra inglesi e russi sullo
scacchiere dell’Asia Minore…
9
Tale mutamento si riflette nei documenti ufficiali della diplomazia di Sua
Maestà. Cf. _m. J. Heller, Britain and the Armenain Question, London 1980. Ciò
emerge perfino dalla raccolta, realizzata appositamente a fini propagandistici dallo stato turco, British documents on Ottoman Armenians, vol. II (1880-1890), Ankara 1983.
10
La stessa delegazione armena al Congresso non era certamente all’altezza della situazione. Il grande diplomatico armeno Boghos Nubar Pascià, che in
precedenza era stato ministro degli Esteri dell’Egitto, non faceva parte dei membri della delegazione, che era invece presieduta da Hayrig Khrimian, già patriarca armeno di Costantinopoli, uomo di indubbia spiritualità ma del tutto inesperto di diplomazia. Si racconta che, quando si preparava a recarsi a Berlino, qualcuno gli chiese che lingua avrebbe parlato al congresso, dato che non conosceva
che l’armeno, il turco e il curdo; il santo presule rispose che avrebbe parlato «la
lingua della lacrime». Tale risposta mostra in maniera eloquente la fede ma nel
contempo l’ingenuità del Khrimian, che non si rendeva certo conto dell’abilità e
furbizia dei propri interlocutori.
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I FERMENTI POLITICI ARMENI
Nel frattempo, le idee di democratizzazione e libertà importate dagli studenti armeni formatisi nelle Università di Mosca,
Pietroburgo, Parigi, Venezia, Berlino, Lipsia, Ginevra, Zurigo, si
sono ben diffuse nelle comunità armene.
Parallelamente alle repressioni operate dai turchi, pian piano
si organizza la resistenza armena. Nascono così, in meno di un
decennio, diversi partiti politici armeni, aventi tutti per fine la difesa della causa nazionale 11. Nel 1885 a Van sorge il partito rivoluzionario Armenakan; dopo l’emigrazione del fondatore dall’Armenia occidentale alla Francia, il partito si ricostituisce a Marsiglia e si pone l’obiettivo della liberazione dell’Armenia turca.
Nel 1887 a Ginevra un gruppo di studenti armeni costituisce
il partito di ispirazione socialdemocratica Hntchak, «La campana». Il nome del partito è la traduzione del russo Kolokol, titolo
del giornale di opposizione al regime zarista che il filosofo russo
A. Hertzen pubblicava fin dal 1857 a Londra. I fondatori del partito armeno, infatti, hanno studiato in Russia, conoscono Plekhanov e simpatizzano per il marxismo, ma sono soprattutto influenzati dal gruppo terroristico russo Narodnaja Volja, che nel 1881
ha assassinato lo zar Alessandro II.
Nel 1890 a Tiflis è fondato il partito Dashnag, o Unione,
detto anche Federazione Rivoluzionaria Armena. Il programma
corrisponde a quello dei socialisti rivoluzionari. Primo obiettivo
concreto del partito è di ottenere l’applicazione del Trattato di
Berlino 12.
I fini ultimi di Hntchak e Dashnag sono pressoché identici
(la liberazione dell’Armenia dominata dai turchi) così come
11
Cf. L.Z. Nalbandian, Armenian Revolutionary Movement: The Development of Armenian Political Parties Through the Nineteenth Century, University of
California Press, 1988.
12
Sui primi decenni della storia del partito cf. H. Dasnabedian, Histoire de
la Fédération Révolutionnaire Arménienne Dachnaktsoutioun, 1890/1924 – (H.
Tasnapetean, History of the Armenian Revolutionary Federation, Dashnaktsutiun,
1890-1924), Milano s.d.
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uguale è l’orientamento politico. Per via di questa affinità, i due
partiti, per un certo periodo, cercano di fondersi; ma gli
Hntchak hanno all’inizio un orientamento più esplicitamente
socialista, il che sarà causa di una frattura interna. Nel 1898 un
gruppo che ritiene che la lotta per la liberazione nazionale debba prevalere sull’ideologia socialista si riorganizza in Partito
Hntchak Riformato. Questo, dopo pochi anni, si scinde in estremisti e moderati. I primi, favorevoli al terrorismo, si chiameranno Azadakan; i secondi si uniranno agli Armenakan, assumendo
il nome di Ramgavar. Nel 1921 i due tronconi si riuniranno
nuovamente costituendo il Partito Liberal-Democratico Armeno (ADL).
In seguito, anche i Dashnag si avvicineranno al socialismo,
fino a entrare nell’Internazionale. Comunque, tutti e tre i partiti,
Hntchak, Dashnag e Armenakan, non hanno, almeno da principio, un’ideologia ben definita. Essi mescolano gli ideali del socialismo tedesco e francese al populismo russo e al nazionalismo, e
soprattutto spingono gli armeni all’azione immediata, all’autodifesa, alla lotta armata. Tuttavia, a motivo della prossimità ideologica dei partiti armeni a comunisti e socialisti, la causa armena
sarà considerata con estrema prudenza dalle potenze occidentali;
d’altra parte, il nazionalismo degli armeni li renderà sospetti agli
altri membri dell’Internazionale.
LE REPRESSIONI DI FINE SECOLO
È probabilmente già prima degli anni ’90 che Abdul-Hamid
II concepisce l’idea dello sterminio degli armeni. Ma nell’ultimo
decennio del secolo quest’idea si concretizza in un disegno politico preciso, applicato in maniera sistematica.
Grecia, Serbia e Bulgaria si erano già staccate dal suo impero. Gli armeni suoi sudditi – la «nazione fedele» (in turco millet-i-sadyka) – erano molto numerosi, stavano diventando troppo potenti e troppo ricchi, e costituivano in assoluto un’élite in-
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tellettuale 13; erano sostenitori delle idee liberali dell’Occidente,
e per questo potenziali alleati dei suoi nemici, i «Giovani Turchi». In più, per via dell’opera di sensibilizzazione che la loro
diaspora faceva in tutto il mondo, avevano il compatimento e in
parte il sostegno di tutto l’Occidente, che troppo spesso si mescolava negli «affari interni» della Porta; infine, i russi, che avevano sostenuto le lotte di liberazione dei vari popoli ortodossi
dell’impero ottomano, potevano decidere di abbracciare anche
la loro causa.
Considerati questi fatti, il programma politico che si prefigge
il «sultano rosso» riguardo alla questione armena è di una semplicità sconcertante: egli decide di porre fine una volta per tutte alla
questione armena, facendola finita con gli armeni stessi.
Temendo la reazione di Inghilterra, Francia e Russia, AbdulHamid si copre utilizzando l’alleanza con la Germania. D’altra
parte, per l’esecuzione materiale del suo piano, sfrutta anche le
varie tribù curde, che da lungo tempo riscuotevano impunemente
tributi dagli armeni dell’impero e compivano razzie a loro danno.
Durante tutto il suo regno, un gran numero di curdi nomadi si
erano stabiliti in mezzo agli armeni, nelle regioni di Mush, Van e
Erzurum 14. Così, nel 1890 lo stesso sultano fa armare i curdi, ar13
Sulla situazione degli armeni nell’impero ottomano in questo periodo:
M.K. Krikorian, Armenians in the Service of the Ottoman Empire 1860-1908,
Routledge Kegan & Paul, ???? 1978; B. Sivazliyan, Scambi culturali, economici,
amministrativi tra gli armeni e l’impero ottomano nel XIX secolo, con presentazione, analisi e traduzione delle fonti inerenti armene e ottomane, Venezia 1985.
14
Nel XVII secolo gli armeni costituivano il 98% della popolazione dell’Armenia occidentale, e i musulmani il rimanente 2%. H. Pasdermadjian valuta
a circa 100.000 il numero dei curdi che si stabilirono nelle regioni di Mush, Van e
Erzurum tra il 1877 e il 1914. Alla vigilia della prima guerra mondiale gli armeni
non erano che il 38,9%, i turchi il 25,4% e i curdi e qualche altra minoranza il
24,5% (cf. L.M. Vorob’eva, Tragedija armjanskogo naroda: stranicy istorii, in Istituto Russo di Studi Strategici (ed.), Armenija: problemy nezavisimogo razvitija,
Moskva 1998, p. 173). Dopo la guerra e il genocidio la percentuale degli armeni
sarà irrilevante. Circa l’utilizzazione dei curdi da parte del governo ottomano cf.
H. Pasdermadjian, Histoire de l’Arménie, cit, pp.334-336 e 340-342. Le brutalità
compiute dai reggimenti irregolari curdi sono riconosciute anche dallo storico
curdo Sh. Mgoi: cf. M.S. Lazarev - Sh.Ch. Mgoi (edd.), Istorija Kurdistana,
Moskva 1999, pp. 189-199.
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ruolandoli in massa nella «cavalleria hamidiana». Questi, da principio, torturano molti armeni per obbligarli a firmare documenti
in cui si riconoscono rivoluzionari e membri di organizzazioni
terroristiche, e denunce contro altri armeni. Con questi documenti, il sultano potrà facilmente giustificare la carneficina che
sta preparando come una questione interna, un’azione volta a difendere la sicurezza dello Stato.
Una testimonianza lucida e precisa di questi avvenimenti ci è
stata lasciata da Johannes Lepsius, un pastore tedesco, in quegli
anni missionario nell’impero ottomano.
La Chiesa armena cerca di difendere il popolo: il 2 febbraio
1890 il patriarca armeno di Costantinopoli denuncia alle autorità
della Porta le vessazioni dei curdi nei confronti della popolazione
armena e la passività dei funzionari turchi. Ma il governo resta
sordo a ogni richiamo alla legalità da parte degli ecclesiastici.
Anzi, decide di provocare la Chiesa. Nel giugno 1890, sulla base
di una falsa denuncia, la polizia turca decide di compiere una
perquisizione nella cattedrale armena di Erzurum, alla ricerca di
armi e munizioni. La popolazione armena si oppone, e le truppe
intervengono con brutalità: 20 armeni sono uccisi e 300 feriti. Nei
mesi seguenti, la polizia compie arresti di massa al fine di eliminare il partito Hntchak.
Gli ultimi anni sono particolarmente grigi per gli armeni di
Turchia 15. Varie manifestazioni e tentativi di rivolta sono soffocati
nel sangue. I curdi si costituiscono in autentici reggimenti che compiono incursioni nei villaggi armeni, uccidendo, saccheggiando e
incendiando. Nel 1893 gli armeni della regione montuosa di Sassun
(a ovest del lago di Van), da anni obbligati illegalmente a pagare tributi alle orde curde – oltre alle ingenti tasse ufficiali da versare al
governo turco –, si ribellano e rifiutano di subire altre estorsioni.
Respinti con la forza dagli abitanti del Sassun, i curdi si rivolgono alle autorità turche e nell’agosto 1894 il governo ottomano reagi15
In proposito, interessanti sono le testimonianze contenute nei rapporti
dei diplomatici francesi al loro governo, pubblicati in Livre Jaune, Affaires Arméniennes, 1893-1897, Paris 1897.
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sce con sanguinose repressioni: le truppe regolari turche si uniscono
ai predoni curdi e per tre settimane massacrano la popolazione armena. 3.500 dei 12.000 abitanti del Sassun sono sterminati.
I fatti del Sassun e le altre violenze degli ultimi anni del secolo contro gli armeni scuotono l’opinione pubblica internazionale.
In vari Paesi occidentali cominciano manifestazioni pubbliche di
condanna delle violenze turche o in sostegno agli armeni; cittadini di vari Stati chiedono ai loro governi di intervenire, sono pubblicati articoli, studi e libri dedicati alla causa armena 16.
Il catholicos di tutti gli armeni Mkrtic I si reca personalmente
a Pietroburgo e presenta all’imperatore Nicola II una supplica in
cui chiede l’intervento della Russia presso il governo ottomano in
favore della realizzazione delle riforme in Armenia occidentale.
In seguito a questi avvenimenti, nel marzo-aprile 1895 Gran
Bretagna, Francia e Russia, in un Memorandum ingiungono perentoriamente alla Sublime Porta il rispetto della legalità e l’applicazione dell’art. 61 del trattato di Berlino; sulla base di tale Memorandum, un Progetto di riforme meno categorico per le province armene è presentato nel maggio successivo al sultano.
Ma il sultano non si affretta e ancora per qualche mese rifiuta di ratificare il Progetto. Il partito Hntchak, allora, organizza a
Costantinopoli una grande dimostrazione politica in sostegno al
16
Particolarmente notevole è la reazione dell’opinione pubblica dell’impero russo dove vivono molti armeni. Nel 1896 a Mosca esce un libro dedicato alla
questione armena e all’ultima presa di posizione degli Stati europei (Polo_enie
armjan v Turcii do vme_atel’stva der_av v 1895 godu, Moskva 1896) e un altro sulle «bestialità turche nel Sassun» (E. Dillon - F. Grin, Polo_enie del v Tureckoj Armenii i tureckie zverstva v Sasune, Moskva 1896); nel 1897 un folto gruppo di
noti intellettuali russi e armeni pubblica una raccolta di saggi in Aiuto fraterno
alle vittime armene in Turchia (Bratskaja pomo__ postradav_im v Turcii armjanam,
Moskva 1897), che già l’anno successivo ha una nuova edizione ampliata. Anche
l’opinione pubblica svizzera è scossa dagli avvenimenti di Turchia. Il 7 settembre
1896 migliaia di persone manifestano in piazza a Losanna; nello stesso anno
430.000 cittadini svizzeri firmano una petizione di appoggio alla nazione armena
sterminata dai turchi, rivolta al Consiglio Federale e al papa (Miséricorde: appel à
Sa Sainteté le Pape et au Haut Conseil Fédéral Suisse en faveur des peuples opprimés en Turquie et en Macédonie, Genève 1896; cf. anche K. Meyer, Armenian und
die Schweiz, Bern 1974).
486
Metz Yeghern, il Grande Male - I
progetto di riforme di maggio: il 18 settembre 4.000 armeni riempiono le strade del quartiere Bab Ali, la residenza del sultano, e si
dirigono verso la Porta, per presentare al governo una petizione
in cui chiedono con risolutezza che si dia corso alle riforme. È la
prima volta nella storia ottomana che una minoranza etnica osa
opporsi apertamente alle autorità in pieno centro della capitale.
Nonostante la manifestazione abbia, nelle intenzioni degli armeni, un carattere assolutamente pacifico, essa è spenta in un bagno
di sangue dalle autorità, che disperdono con la forza i partecipanti e decidono di punire la riottosa comunità in maniera esemplare: per tutta la città vengono massacrati circa 2.000 armeni.
Anche questa volta l’opinione pubblica mondiale resta scioccata davanti all’ennesimo crimine di Abdul-Hamid; le potenze
europee sollevano ancora la voce e infine il sultano nell’ottobre
1895 pubblica un decreto di riforme (ancora più limitate che nel
Progetto di maggio) per le province armene. Ma proprio nel momento in cui promette alle potenze straniere di applicare le tanto
attese riforme, il sultano sanguinario dà contemporaneamente un
ordine interno esplicito di annientamento degli armeni. Così lo
sterminio del popolo armeno, già da tempo iniziato, diventa ancora più sistematico.
Dall’ottobre 1895 al gennaio 1896 un nuovo massacro tocca
tutte le comunità armene del Paese: Sassun, Zeytun, Erzurum,
Costantinopoli, Trebisonda, Sebaste, Van e molti altri luoghi.
Emissari del governo, nelle province con forte presenza armena,
aizzano la popolazione musulmana nelle moschee, dichiarando
che il sultano ha le prove di un complotto ordito dagli armeni ai
danni dello Stato. A queste istigazioni fanno seguito le distribuzioni di armi. In diversi posti, gli armeni oppongono un’eroica ma
vana resistenza; alle varie rivolte, oltre alle nuove repressioni turche, fanno seguito le epidemie.
Insomma, in tutto l’impero ottomano, negli anni 1894-1896,
non meno di 300.000 armeni (secondo alcune fonti, fino a
400.000) sono massacrati sia dalle truppe regolari di Abdul-Hamid II, che da reggimenti curdi o da bande di delinquenti.
100.000 sono costretti ad abbracciare l’islam, 100.000 donne e ragazze sono messe negli harem, 2.500 villaggi sono devastati. I so-
Metz Yeghern, il Grande Male - I
487
pravvissuti sono spogliati dei loro beni dai predoni curdi e dalle
stesse autorità turche. In questi stessi anni, circa 100.000 armeni
di Turchia si rifugiano nell’Armenia Orientale.
Gli armeni della diaspora, naturalmente, fanno sentire la
propria protesta in Europa e in tutto il mondo. Cominciano anche le azioni di forza e gli attentati terroristici dei partiti armeni
per esigere (purtroppo invano) l’applicazione delle norme del
trattato di Berlino. L’azione più famosa è l’occupazione della Banca Ottomana a Istanbul da parte di un gruppo di giovani dashnag
il 26 agosto 1896. Occupando il più importante centro della finanza internazionale in Oriente, i terroristi volevano ricordare
alle grandi potenze il loro dovere di far applicare le norme del
trattato di Berlino, come affermavano in una nota distribuita lo
stesso giorno alle ambasciate a Istanbul.
Per 14 ore i rivoltosi armeni resistono agli assalti della polizia
turca. Infine il direttore della banca, sir Edgar Vincent, e il rappresentante dell’ambasciata di Russia, Maksimov, promettono
l’interessamento dei Paesi europei alla questione armena ed ottengono dalle autorità turche il diritto per i rivoltosi di potersi rifugiare incolumi in Francia.
In risposta a quest’episodio, i funzionari del sultano incitano
la popolazione turca della capitale alla vendetta, distribuendo bastoni e mazze di ferro: in tre giorni, sotto gli occhi degli ambasciatori di tutti i Paesi, sono massacrati più di 7.000 armeni. Tale sarà,
almeno nell’immediato, la sola conseguenza concreta della presa
della Banca Ottomana.
L’OPPOSIZIONE AL SULTANO ALL’ALBA DEL XX SECOLO
Con l’inizio del nuovo secolo la situazione dei sudditi armeni
dell’impero ottomano peggiora ulteriormente.
La resistenza alle brutalità di turchi e curdi prende forma in
un autentico movimento rivoluzionario, che sceglie come motto
488
Metz Yeghern, il Grande Male - I
«Libertà o morte». Già nel 1897 il partito Dashnag aveva organizzato una spedizione punitiva di armeni della Persia in Turchia
contro una tribù curda che l’anno prima aveva sterminato molti
armeni del luogo.
Nuove rivolte si moltiplicano in varie città della Turchia. Nel
1901 un gruppo di partigiani armeni, comandati dal condottiero
Andranik Ozanian (che in seguito diventerà un eroe popolare)
per 19 giorni resistono all’assedio delle truppe turche nel monastero di Arakelotz, poi riescono ad attraversare le linee nemiche e
a scappare verso i monti. Nel 1904 gli armeni del Sassun insorgono nuovamente. Sempre sotto il comando di Andranik – vero Garibaldi armeno – formati due fronti, sulle loro montagne resistono all’esercito ottomano e alle truppe curde per due interi mesi.
L’insurrezione però termina in un bagno di sangue: le truppe turche uccidono 7.000 armeni; nel paesino di Talvorik in una sola
giornata (4 maggio 1904) sono straziate 3.000 persone. Dal marzo
al maggio 1904 nella pianura di Mush sono uccisi altri 6.000 armeni.
Il 21 luglio 1905 una giovane armena del partito Dashnag,
Rubina, compie un attentato contro Abdul-Hamid; l’attentato fallisce, e decine di armeni sono soppressi. Il «sultano sanguinario»,
però, è destinato a cadere solo tre anni più tardi.
L’opposizione al regime dispotico di Abdul-Hamid, anche da
parte di intellettuali turchi, si va facendo sempre più forte. Già da
tempo molti oppositori hanno scelto la via dell’esilio. Tra gli altri,
anche i «Giovani Turchi», che hanno filiali attive tra gli emigrati
ottomani, a Parigi, Ginevra e al Cairo. I «Giovani Turchi» nel
1895 costituiscono il partito nazionalistico «Unione e Progresso»
(in turco, Ittihad ve Terakki), avente per programma il rinnovamento dell’impero ottomano. Esso raccoglie sempre più consensi
in Turchia – dove stabilisce il suo centro a Salonicco – non solo
tra gli intellettuali, ma anche tra gli stessi funzionari e militari dell’impero. Nella loro opposizione al sultano sanguinario, i «Giovani Turchi» hanno il sostegno dei partiti armeni.
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489
Nel luglio 1908 i «Giovani Turchi», con l’appoggio dell’esercito turco di Macedonia, compiono un colpo di Stato. Abdul-Hamid è imprigionato a Salonicco e costretto a ripristinare la costituzione liberale del 1876 che aveva abrogato già nel 1878. L’impero ottomano diventa una monarchia costituzionale, la legge riconosce e garantisce la libertà individuale e la perfetta uguaglianza
di tutti i sudditi.
La fine del regime dispotico è salutata inizialmente con entusiasmo da tutta l’Europa e, naturalmente, dagli armeni di Turchia,
di Russia e della diaspora. Essi infatti hanno appoggiato il partito
dell’Ittihad che si è sempre presentato come liberale. Della prima
camera del parlamento dei «Giovani Turchi» fanno parte anche
10 rappresentanti della comunità armena. I massimi dirigenti del
partito, Enver e Talaat, visitano scuole e chiese armene e dappertutto sono accolti fraternamente; preti armeni rendono visita alle
moschee. Per la prima volta, agli armeni è concesso di portare le
armi e servire nell’esercito, anzi il governo li incoraggia ad arruolarsi. Insomma, per il popolo dell’Ararat sembra rinascere la speranza.
Ma il nazionalismo estremo dei «Giovani Turchi» porterà a
conseguenze ancora peggiori del regime oscurantista di AbdulHamid.
IL PANTURANISMO DEI «GIOVANI TURCHI»
L’impero ottomano, nei suoi tempi di più grande splendore,
doveva la sua prosperità al rapporto proporzionale da tempo stabilitosi tra la popolazione turca e le minoranze cristiane 17. Le comunità cristiane, più ricche e più istruite dei turchi, erano utili all’impero sia nell’amministrazione statale che come risorsa per l’erario, dato che da esse lo Stato riscuoteva la maggioranza delle
17
Cf. B. Braude - B. Lewis (edd.), Christians and Jews in the Ottoman Empire, I-II, New York-London 1982.
490
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tasse. Ma i sultani, prendendo in tenera età i maschi cristiani per i
giannizzeri e le femmine per gli harem, si erano curati di limitarne
la crescita demografica, mentre l’aumento della popolazione turca
era costante.
Vittime, quindi, di continue discriminazioni, le minoranze
cristiane avevano però diritto di esistenza e di salvaguardia della
propria identità etnica e religiosa, se non altro perché ciò era negli interessi stessi dell’impero. Ora, l’avvento dei «Giovani Turchi» cambia totalmente la situazione.
Appena preso il potere, già nel luglio 1908, Enver aveva dichiarato: «Oggi il governo dell’arbitrio è scomparso. Noi siamo
tutti fratelli. Non vi saranno più in Turchia bulgari, greci, serbi,
rumeni, musulmani e giudei. Sotto lo stesso cielo noi tutti siamo
orgogliosi di essere ottomani» 18. Così l’ottomanismo laico dei
«Giovani Turchi» veniva opposto al “vecchio” dispotismo teocratico del sultano. Tuttavia questo sogno originario di uno Stato ottomano moderno e aperto all’Europa, scade presto nella gretta
idea di una Turchia in mano ai soli turchi. In realtà questa degenerazione era logica: affermare che in Turchia non vi sarebbero più
state differenze tra le varie comunità significava innanzitutto negare ogni possibilità di autonomia per queste, e in definitiva negare
le comunità stesse in quanto tali. L’identità ottomana propugnata
dai nuovi dirigenti verrà a coincidere sempre più con quella turca.
Ma c’è di più: i «Giovani Turchi» non vogliono soltanto assimilare o sterminare tutte le minoranze non-turche dell’impero ottomano; essi si abbandonano a un nuovo delirio di grandezza e sognano
di riunire in una grande Turchia – che vada dal Bosforo all’Asia centrale – tutti i popoli cosiddetti turanici, cioè di antiche origini turcotartare: azeri, turcomanni, uzbeki, kirghizi, kazaki, tatari.
Si passa così dall’islamismo fondamentalista di Abdul-Hamid
e dall’ottomanismo dei «Giovani Turchi» dei primissimi tempi, a
quello che è stato definito come panturanismo del governo dell’Ittihad 19. Tale grandioso piano espansionistico, naturalmente,
18
Cit. secondo F. Sidari, La questione armena nella politica delle grandi potenze dalla chiusura del Congresso di Berlino al trattato di Losanna del 1923, cit.,
p. 45.
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491
non è realizzabile se non provocando lo smembramento dello
Stato russo, sotto il cui potere si trovano vari popoli turanici, per
la qualcosa la Turchia si trova un potente e interessatissimo alleato, la Germania. Secondo ostacolo alla realizzazione di uno Stato
panturanista, è l’esistenza stessa della nazione armena, che da
sempre abita un territorio posto proprio tra i turchi e i loro fratelli d’Oriente, territorio che all’inizio del secolo si trova diviso tra i
due grandi imperi, ottomano e russo.
Questa nuova forma di nazionalismo è, al solito, molto comoda per i governanti che possono agevolmente scaricare le responsabilità di ogni insuccesso sul «nemico interno» e tenere così
nella povertà e nell’ignoranza il proprio popolo. A questo viene
somministrato l’anestetico di un ideale grande e lontano (la costruzione del Grande Turan), in nome del quale alienare ogni insoddisfazione, e viene inculcata una chiave di interpretazione degli avvenimenti semplice e sicura che non conosce esitazioni, basata sulla chiara identificazione: amico/nemico, musulmano/cristiano, turco/armeno.
Il nuovo sogno fa subito presa sulla popolazione turca: nascono associazioni panturaniste, si organizzano viaggi, si stabiliscono contatti coi «fratelli turanici», bardi e poeti cantano il nuovo ideale... Nella scelta ideologica del panturanismo l’Ittihad dimostra una grande capacità strategica. Infatti, solo un’ideologia
semplice e banale come il nazionalismo fanatico, unita a un grande sogno utopico, poteva essere compresa e accettata da un popolo ridotto alla fame e immerso nell’ignoranza. I «Giovani Turchi», dunque, sia per convinzione fanatica che per semplice calcolo, proseguiranno il triste operato di Abdul-Hamid II. Ma con
un rigore e un accanimento ancora maggiori 20.
19
Sull’ideologia del panturanismo (o panturchismo) cf.: A.Svaranc, Pantjurkizm v geostrategii Turcii na Kavkaze, Moskva 2002; J.M. Landau, Pan-Turkism in Turkey, London 1981; M. Aray, Turkish Nationalism in the Young Turk
Era, Leide 1992.
20
Per un’analisi dell’operato dei «Giovani Turchi» negli anni 1908-1918,
cf. Dj. Kirakosjan, Mladoturki pered sudom istorii, Erevan 1986; F. Ahmad, The
Young Turks: The Committee of Union and Progress in Turkish Politics: 19081914, Oxford 1969; A. Mango, The Young Turks, London 1996, Middle Eastern
Studies, vol. 32.
492
Metz Yeghern, il Grande Male - I
Il 31 marzo 1909 Abdul-Hamid con un colpo di Stato si rimpossessa del potere a Istanbul; il resto del paese, però, resta sotto
il controllo dei «Giovani Turchi» che il 27 aprile, sempre grazie
all’appoggio dei reparti dell’esercito di Macedonia, rioccupano la
capitale. Nei giorni critici in cui il sultano sembra avere la meglio,
gli armeni di Istanbul aiutano i «Giovani Turchi», nascondendoli
e sostenendoli.
Intanto però una nuova tragedia si sta consumando in Cilicia: in mezzo al caos del colpo di Stato e della successiva reazione
dei «Giovani Turchi», nella città di Adana e poi nel resto della
provincia, si perpetrano nuovi massacri di armeni.
In questi massacri alcuni hanno visto gli ultimi colpi di coda
del mostro agonizzante che era stato il regime di Abdul-Hamid; altri ritengono invece che si sia trattato del primo eccidio organizzato
dal nuovo potere. È molto probabile che entrambe le versioni siano
vere, che cioè gli agenti del sultano abbiano cominciato una strage,
portata poi a compimento con piacere dai «Giovani Turchi».
In effetti, non appena Abdul-Hamid riprese il potere a Istanbul, a Adana si sparse la voce che il sultano invitava tutti a punire
gli infedeli. Nei giorni seguenti cominciò la strage della popolazione armena. Ma gli eccidi si intensificarono dopo il 14 aprile,
data in cui il governo dei «Giovani Turchi» fece arrivare in città
le truppe dell’esercito col pretesto di riportare l’ordine. Furono
quindi proprio i soldati dei «Giovani Turchi» a compiere la maggior parte degli abusi che poi attribuirono al sanguinario sultano.
Gli armeni, dal canto loro, preferirono sforzarsi di credere, più
col desiderio che con la ragione, che responsabile fosse il regime
uscente. Comunque siano andate le cose, in meno di un anno in
Cilicia furono massacrati circa 30.000 armeni.
SPERANZE E FERMENTI DELL’ANTEGUERRA
Nel 1912 l’impero ottomano perde la Macedonia e quasi tutta la Tracia. Per timore di vedere smembrarsi ulteriormente il loro
debole Stato, i «Giovani Turchi» intensificano la lotta contro le
Metz Yeghern, il Grande Male - I
493
minoranze più attive e per loro più temibili: primi tra tutti, gli armeni. Inoltre, in seguito alle due guerre balcaniche (1912-1913)
centinaia di migliaia di rifugiati musulmani abbandonano i territori persi della parte europea dell’impero ottomano. Per risolvere
due problemi in un sol colpo il governo fa stabilire queste folle di
sudditi che hanno perso tutto e sono esasperati contro i cristiani
proprio nelle regioni dell’Asia Minore, popolate prevalentemente
dagli armeni.
Nel gennaio 1913, approfittando dello scontento dovuto alle
sconfitte nei Balcani, il comitato centrale del partito Ittihad, fautore di una politica più dura nei confronti delle minoranze, si impossessa del potere politico con un nuovo colpo di Stato. Da questo momento i veri capi della Turchia sono Talaat e Enver, personaggi di oscure origini. Mehmed Talaat era un impiegato della
posta di Costantinopoli, mentre Ismail Enver, benché molto giovane, aveva già vissuto in Germania ed era militare a Salonicco.
Ad essi si aggiunge un altro militare, Ahmed Djemal, e poco più
tardi questi tre «uomini forti» stabiliranno una dittatura costituendo una sorta di triumvirato militare: Talaat sarà ministro dell’Interno, Enver della Guerra, e Djemal della Marina 21.
La dittatura si irrigidisce ancor più dopo che nel giugno il
Gran Visir ittihadista Mahmud Shevket è assassinato a opera del
maggior partito dell’opposizione. A tutti i posti di responsabilità
del governo centrale e delle regioni sono nominati uomini di fiducia del triumvirato, provenienti dalla leadership dell’Ittihad. Molti appartenenti ai partiti dell’opposizione in tutto il Paese sono
processati da tribunali militari e condannati all’impiccagione.
Il nuovo potere turco si orienta sempre più decisamente verso la Germania, mentre all’interno del Paese cerca di indebolire i
gruppi etnici non-turchi (greci, arabi, macedoni, ecc). Come già
21
Sulla storia e il carattere dei membri del triumvirato dei «Giovani Turchi» esistono molte fonti e testimonianze. In particolare, per Talaat, cf. i racconti
dell’ambasciatore Morgenthau, per Enver la pregnante descrizione (basata sui
racconti del pastore Lepsius e di altri testimoni) fatta da Franz Werfel nel suo romanzo, su Djemal i materiali pubblicati recentemente da Raymond Kevorkian, di
cui diremo oltre.
494
Metz Yeghern, il Grande Male - I
Abdul-Hamid, anche i Giovani turchi, nonostante il sostegno
precedentemente avuto dai partiti armeni, in primo luogo combattono gli armeni. A questo scopo anche loro si serviranno soprattutto dei nomadi curdi.
Intanto, all’inizio del 1912 il neoeletto catholicos Gevorg V
chiede al diplomatico armeno egiziano Boghos Nubar 22 di sollecitare le potenze a esigere dalla Porta la fine degli abusi contro gli
armeni dell’impero.
Per due anni la Russia e in parte la Francia e l’Inghilterra,
esercitano forti pressioni diplomatiche per ottenere dal governo
ottomano riforme a vantaggio degli armeni 23. Tuttavia, i continui
disaccordi tra i tre Paesi, che perseguono interessi diversi, permettono ai funzionari turchi di temporeggiare. Contraria a queste
riforme rimane la Germania, che sostiene sempre più l’impero ottomano e vuole mantenerlo in vita tale e quale, allo scopo di farne
una sua colonia. Quando l’arrivo della missione militare tedesca a
Costantinopoli suscita l’indignazione dei Paesi della Triplice Intesa (cioè di Inghilterra, Francia e Russia), i tedeschi diplomaticamente cedono e accettano di non impedire l’applicazione delle riforme in favore degli armeni.
Così l’8 febbraio 1914 un progetto di riforme è accettato.
Esse prevedono la nomina di due ispettori generali stranieri, rap22
Boghos pasha Nubarian (1851-1930) era figlio del celebre politico e diplomatico Nubar pasha (1825-1899), che era stato ministro degli esteri e primo
ministro dell’Egitto e aveva avuto i più alti onori e riconoscimenti dello stato.
Come suo padre, anche Boghos Nubar occupò posti importanti nel governo egiziano, fu a capo della comunità armena locale e giocò un ruolo di prima importanza per la diplomazia armena nelle varie conferenze internazionali dell’epoca.
Svolse anche una notevole attività di beneficenza, contribuendo alla fondazione
nel 1906 dell’Unione Generale Armena di Beneficenza (UGAB) e divenendone il
primo presidente. Nel 1915 e negli anni successivi l’UGAB prestò un aiuto inestimabile ai rifugiati dell’Armenia Occidentale, fondò e mantenne ospedali, orfanotrofi e scuole presso numerose comunità della diaspora armena, organizzò il rimpatrio degli armeni in Armenia Orientale. Ancora oggi l’UGAB sostiene diverse
organizzazioni filantropiche e culturali in Armenia e nei paesi della diaspora.
23
Cf. p.e. la posizione inglese in J. Heller, Britain and the Armenian Question, cit; A. Feros, Great Britain’s Relations with the Young Turks 1908-1914,
London 1965.
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495
presentanti di Paesi neutrali (all’inizio si pensa ai Paesi scandinavi) che devono vigilare all’applicazione delle norme del trattato di
Berlino nelle due nuove province di Van e Erzurum, nelle quali
sono ora raggruppati tutti i vilayet armeni di Turchia. Nell’aprile
1914 i due ispettori sono nominati: si tratta dell’olandese Westenenk e del norvegese Hoff. Un’epoca nuova sembra iniziare per
gli armeni di Turchia.
Ma non appena Hoff arriva alla sua destinazione di Van, nel
luglio 1914, sta per scoppiare la prima guerra mondiale. Il 1° agosto 1914 la Germania dichiara guerra alla Russia. L’indomani il
governo dell’impero ottomano conclude un accordo segreto con
la Germania che fa prevedere chiaramente l’intervento in guerra;
viene infatti annunciata la mobilitazione. Quello stesso giorno i
«Giovani Turchi» riorganizzano un corpo speciale di polizia politica chiamato Organizzazione Speciale (Teshkilat-i-Mahsusa) e
sottomesso al ministero della Guerra. Il fine di quest’organizzazione è di porre le basi concrete per la realizzazione del progetto
panturanistico: una Turchia monoetnica, islamica, abitata da soli
turchi e che allarga le sue frontiere a tutti i territori in cui vivono
altri popoli turanici.
Poco prima, a cavallo tra luglio e agosto, i dirigenti dell’Ittihad si erano incontrati con rappresentanti del partito Dashnag, riunito in congresso a Erzurum. Il governo proponeva all’organizzazione armena, nel caso della probabile guerra tra Russia e Turchia,
di fomentare la ribellione degli armeni di Russia per facilitare la
penetrazione delle truppe turche nell’impero degli zar. In cambio,
prometteva la formazione di un’Armenia indipendente. A questa
proposta i leader Dashnag avevano risposto che, in caso di guerra
tra i due imperi, gli armeni di una parte e dell’altra sarebbero rimasti fedeli ai Paesi di cui erano cittadini e avrebbero combattuto
nei rispettivi eserciti. L’Ittihad, naturalmente, aveva visto in questo
rifiuto una scelta degli armeni di sostenere la Russia.
Pochi giorni dopo la dichiarazione di guerra della Germania,
il catholicos armeno da Etchmjadzin scrive al rappresentante dello zar in Caucaso e poi allo stesso zar a Pietroburgo per ricordare
496
Metz Yeghern, il Grande Male - I
la causa armena e esortare la Russia ad attaccare la Turchia 24. Nicola II risponde a Gevorg V, lasciandogli capire di essere ben disposto nei confronti del suo gregge. L’iniziativa del catholicos
però in seguito si ritorcerà contro gli armeni che anche sulla base
di questa corrispondenza saranno accusati dai turchi di tramare
con i russi contro di loro.
Appena conclusa l’alleanza con la Germania, i «Giovani Turchi» si affrettano a sbarazzarsi di ogni controllo straniero. Già nel
mese di agosto il governo espelle l’appena arrivato ispettore norvegese Hoff; ai primi di settembre notifica alle potenze occidentali
che le «capitolazioni» sono abrogate a partire dal 1° ottobre successivo 25. All’inizio di novembre la Turchia entra in guerra accanto alla Germania. Immediatamente gli ambasciatori delle potenze
nemiche (Francia, Gran Bretagna e Russia) devono precipitosamente lasciare il Paese. Italia e Stati Uniti entreranno in guerra più
tardi 26 e le loro rappresentanze diplomatiche svolgeranno un ruolo importante nella denuncia delle stragi di questi anni al mondo.
Dal momento dell’entrata in guerra i «Giovani Turchi» approfittano della confusione e della quasi totale assenza di scomodi osservatori stranieri per “risolvere” una volta per tutte la questione armena, e poi per liberarsi anche del problema delle altre
minoranze. A questo punto, infatti, all’Organizzazione Speciale,
diretta dai due medici Mehmed Nazim e Behaeddin Chakir, è affidato il compito di liberare l’Anatolia dalle comunità etniche non
turche. Essa dispone di pieni poteri, utilizza la polizia e l’esercito,
ha legami col ministero degli Interni ed è comandata direttamente dai gerarchi del partito.
Per la “liberazione” dell’Anatolia, l’Organizzazione costituisce dei «corpi di milizia islamica» composti da ceté, in sostanza
24
Il testo della lettera di Gevorg V allo zar è stato pubblicato in russo nel
libro: Genocid armjan v Osmanskoj imperii. Sbornik dokumentov i materialov, 2
ed. riveduta e corretta, Erevan 1982, pp. 245-249.
25
Il sistema delle «capitolazioni» sarà ristabilito dal trattato di Sèvres (agosto 1920), per poi essere definitivamente abolito dal trattato di Losanna (luglio
1923).
26
L’Italia a fine maggio 1915, gli USA solo nell’aprile 1917.
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497
bande di predoni, reclutati soprattutto tra i curdi o tra criminali
comuni, cui viene concessa l’amnistia e la liberazione dal carcere
in cambio di questo “servizio” allo Stato.
Ha così inizio la fase centrale, senza dubbio la più terribile,
del primo grande genocidio del XX secolo.
GLI ARMENI ALL’INIZIO DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE
A partire dall’inizio della prima guerra mondiale il ritmo
della storia armena sembra subire improvvisamente una straordinaria accelerazione. Gli avvenimenti che vanno dalla fine del
1914 alla fine del 1920 – la guerra mondiale, le deportazioni del
genocidio, la rivoluzione bolscevica, la separazione dei Paesi caucasici dalla Russia, la guerra con la Turchia, la nascita e il tramonto della Repubblica indipendente armena, la nuova invasione turca, l’annessione alla Russia Sovietica –, questi avvenimenti,
non soltanto per la loro tragicità, ma anche per la rapidità con
cui si susseguono e si accavallano, sconvolgono la storia del plurimillenario popolo dell’Ararat, ne cambiano la consistenza numerica e la distribuzione e ne determinano per lungo tempo il
destino.
È stato calcolato che nel 1914, prima della guerra e del genocidio, gli armeni in tutto il mondo erano circa 4.100.000 27. Di
essi, 2.100.000 vivevano nel territorio dell’impero ottomano,
1.700.000 in quello dell’impero russo, 100.000 in Persia e 200.000
nel resto del mondo. Nel territorio dell’Armenia storica facente
parte dell’impero russo abitavano 1.300.000, in quello invece del27
Per la situazione degli armeni in questo periodo cf. A. Beylerian, Les
Grandes puissances, I’Empire ottoman et les Arméniens dans les archives françaises
(1914-1918), Publication de la Sorbonne, Paris 1983; R.H. Kévorkian - R.B. Paboudjian, Les Arméniens dans l’Empire ottoman à la veille du génocide, Paris
1992. Tra la storiografia russa più recente, una particolare attentzione alla questione armena e al genocidio è riservata da V.E._ambarov nel libro Za veru, carja i
Ote_estvo, Moskva 2003, dedicato alla storia della prima guerra mondiale.
498
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l’Armenia storica e della Cilicia sottomessi ai turchi vivevano
1.400.000. Sia l’Armenia russa che quella turca erano abitate anche da molti non-armeni. Le due città col maggior numero di armeni erano Costantinopoli e Tiflis; importanti dal punto di visto
numerico, economico e culturale, anche le comunità armene di
Baku e Smirne.
La Turchia entra in guerra a fianco della Germania il 2 novembre 1914. Nello stesso novembre 1914, dopo che la Turchia
aveva attaccato la Russia senza alcuna dichiarazione di guerra, i
russi penetrano nell’Armenia turca. I sudditi armeni dell’impero
ottomano e di quello russo prestano effettivamente servizio nei
rispettivi eserciti. 60.000 armeni dell’impero ottomano sono incorporati nell’esercito turco. Gli armeni mobilitati nell’esercito
russo sono molto più numerosi, probabilmente circa 200.000 28.
Tale sproporzione è dovuta al fatto che, come abbiamo visto,
nell’impero ottomano essi avevano appena ottenuto il diritto di
far parte dell’esercito, mentre gli armeni di Russia erano sottoposti al servizio militare da quasi trent’anni. Comunque, solo un
terzo degli armeni russi combatterà nel Caucaso, mentre gli altri
saranno inviati al fronte austroungarico. Oltre a quelli mobilitati
dalle autorità zariste, almeno altri 5.000 volontari dell’Armenia
russa si arruolano per liberare il Paese dai turchi. Inoltre diversi
armeni della diaspora si arruolano volontariamente tra le fila dell’Intesa 29.
28
Le cifre indicate a questo proposito dagli storici sono molto discordi.
Pasdermadjian scrive che gli armeni mobilitati nell’esercito russo sarebbero stati
in un primo momento 120.000 ma a questi se ne sarebbero aggiunti più tardi altri
60.000. Vratsian invece parla di 250.000 armeni incorporati nelle file russe. Per
quanto riguarda gli armeni arruolati nell’esercito turco, è difficile stabilirne con
precisione il numero totale, ma si deve tener conto del fatto che all’inizio della
guerra fu chiamata alle armi la categoria dei maschi di età compresa tra i 20-45
anni, e in un secondo tempo la mobilitazione fu estesa ai gruppi di età 18-20 e
45-60 (cf. V.N. Dadrian, The Armenian Genocide: an Interpretation, in J. Winter
[ed.], America and the Armenian Genocide of 1915, Cambridge University Press,
2003). In tal modo, ancor prima dell’inizio delle deportazioni nelle comunità armene non esisteva quasi più popolazione adulta di sesso maschile.
29
Sugli armeni arruolati nelle forze dell’Intesa, cf. G. Korganoff (général),
La Participation des Arméniens à la guerre mondiale sur le front du Caucase (19141918), Paris 1927.
Metz Yeghern, il Grande Male - I
499
I primi risultati della guerra sono catastrofici per le truppe
ottomane. A capo di una numerosa armata, Enver non ha però
fatto i conti col rigore dell’inverno dell’altopiano armeno. Già indeboliti dal freddo intenso e dalle malattie che cominciano a diffondersi, tra il dicembre 1914 e il gennaio 1915 i suoi soldati subiscono una clamorosa sconfitta: 70.000 di essi perdono la vita in
battaglia (secondo altre fonti 90.000), 12.000 sono fatti prigionieri; le perdite russe ammontano invece a 20.000. Subito il governo
turco trova una giustificazione e un capro espiatorio per questa
clamorosa disfatta: dichiara che gli armeni di Turchia stanno
complottando contro lo Stato e sono pronti ad unirsi ai russi. In
tal modo, incapace di vincere il nemico esterno, la Turchia si fabbrica un “nemico interno” sul quale riversare lo scontento della
popolazione, secondo il più banale e, purtroppo, il più ricorrente
stratagemma delle dittature in crisi.
Sugli armeni si abbatte così l’odio della popolazione musulmana delusa e esasperata. Oltre ai sentimenti nazionalistici, il governo utilizza la religione. Alla fine di novembre è decretata la Jihad, la guerra santa. Vari abusi nei confronti degli armeni hanno
luogo in tutta la Turchia. Ma oltre alla violenza anarchica della
folla, gli armeni sono oggetto di un piano di annientamento prestabilito dal governo e eseguito minuziosamente. È infatti già in
questi primi mesi dell’anno che comincia lo sterminio sistematico
concepito da Talaat, Enver e Djemal.
Nel gennaio 1915 lo Stato ottomano disarma e fucila un gran
numero di armeni, ufficiali e soldati, arruolati nel proprio esercito. Il 25 febbraio il ministro Enver decreta il disarmo di tutti i soldati di nazionalità armena, che vengono ufficialmente destinati a
squadre di lavoro. In queste squadre, i «soldati lavoratori» (amelè
taburì) armeni vengono utilizzati come spaccapietre e bestie da
soma per aprire le strade all’esercito e trasportare a spalle i pezzi
di artiglieria attraverso le irte montagne del Caucaso. Moltissimi
di questi soldati retrocessi armeni muoiono di stenti, freddo e fatica nei primissimi mesi dell’anno. Verso l’estate, poi, cominceranno le loro fucilazioni di massa.
500
Metz Yeghern, il Grande Male - I
LA TRAGEDIA DEL 1915
È dunque tra il dicembre 1914 e i primi due mesi dell’anno
successivo che i responsabili del partito dei «Giovani Turchi»,
considerato l’andamento della guerra e le sconfitte riportate sul
fronte russo, decidono di dare una svolta molto più decisiva al genocidio degli armeni in corso, e farla finita una volta per tutte con
il “nemico interno”. Nel gennaio 1915 in una riunione segreta si
discutono i piani concreti di sterminio: i dirigenti del partito e
dello stato, presenti al completo, votano all’unanimità per il «pieno annientamento di tutti gli armeni, senza esclusione di alcuno».
Tutte le organizzazioni e i giornali armeni sono immediatamente vietati, scuole, ditte e negozi armeni vengono chiusi. Con
la scusa di una nuova mobilitazione, gli uomini armeni precedentemente dichiarati inabili al servizio militare sono chiamati alle
armi e subito eliminati. In tutte le province i soldati perquisiscono i quartieri armeni alla ricerca di armi; le perquisizioni generano ruberie, torture e violenze di ogni genere. In diversi luoghi le
autorità arrestano l’intellighenzia armena, clero, notabili, scrittori,
medici, leader politici.
Per aver le mani libere, il 13 marzo il parlamento è liquidato,
sotto il pretesto che alcuni deputati e senatori avrebbero diffuso
notizie segrete concernenti l’Organizzazione Speciale. Secondo la
Costituzione in vigore, in assenza del Parlamento, le leggi possono essere promulgate dal governo.
Nello stesso mese il partito dà corso alle deportazioni: per
primi sono evacuati gli armeni della città di Zeytun. In tal modo,
la deportazione inizia in una zona lontanissima dal fronte e dalla
Russia, il che prova la falsità delle giustificazioni delle stragi, più
tardi date dall’Ittihad.
Ai primi di aprile, nella città di Van arriva un nuovo governatore turco, resosi tristemente celebre per la crudeltà con cui ha
perseguitato i cristiani in Persia: Djevdet Bey, cognato di Enverpasha, soprannominato «il maniscalco di Bashkalè» per aver
escogitato un nuovo metodo di tortura, quello di inchiodare ai
Metz Yeghern, il Grande Male - I
501
piedi delle vittime armene ferri di cavallo... In brevissimo tempo,
egli compie atrocità inaudite in tutta la regione. La popolazione
insorge sotto la guida di Aram Manukian e il 7 aprile scaccia amministratori e soldati turchi. Subito la città è assediata da truppe
di curdi e bombardata dall’artiglieria turca. Quando la situazione
sta diventando critica per gli insorti a causa della mancanza di viveri e munizioni, il 16 maggio l’esercito russo, con un gran numero di volontari armeni di Russia, libera Van.
I russi nominano Aram Manukian governatore della regione.
L’autonomia di Van dura però solo fino all’estate: a fine luglio
1915, infatti, i russi si ritirano da Van, portando con sé da
200.000 a 300.000 profughi armeni.
Intanto, la ribellione di Van è subito utilizzata dai turchi
per giustificare le deportazioni e le altre misure del governo
contro gli armeni. Già nell’aprile 1915 il ministro degli interni
Talaat emana una risoluzione in cui gli armeni sono decretati
«agenti russi e nemici dell’impero ottomano», che ottiene l’avvallo del ministro della guerra Enver e della marina Djemal.
Così, con la primavera si estendono le esecuzioni di massa e le
deportazioni. All’inizio, molti armeni di varie province dell’Anatolia sono arrestati e impiccati nelle piazze pubbliche per terrorizzare la popolazione.
Nella notte tra il venerdì 23 e il sabato 24 aprile (e poi dal 24
al 28) è arrestata l’intellighenzia armena di Istanbul: più di 600
scrittori, artisti, avvocati, ecclesiastici, accusati di essere all’origine della ribellione di Van. L’operazione prosegue nei giorni seguenti, e in un mese il numero degli armeni imprigionati arriva,
secondo l’opinione di alcuni storici, a 2.345; tra di essi il poeta
Daniel Varuzhan 30, il deputato al Parlamento e scrittore Krikor
Zohrab, che era sempre stato in buoni rapporti con lo stesso Talaat. Essi sono portati lontano dalla capitale, verso l’interno del30
Il suo capolavoro poetico e altri suoi versi sono reperibili in italiano; cf.
Il canto del pane, a cura di A. Arslan, Milano 1993; Mari di grano e altre poesie armene, a cura di A. Arslan, Milano, 1995; cf. anche i versi tradotti da B.L. Zekiyan
e il suo articolo critico Dall’epos al sogno, in «In forma di parole», Nuova serie;
anno primo, numero terzo, 1990, pp. 127-181.
502
Metz Yeghern, il Grande Male - I
l’Anatolia, e uccisi. Privata dell’intellighenzia, del clero e della
classe politica, la nazione armena di Turchia si ritrova così come
decapitata.
La data del 24 aprile resterà come un giorno nero nella storia
nazionale: gli armeni di tutto il mondo ogni anno in questa data
ricordano il Metz Yeghern, cioè il «Grande Male» della nazione,
con una giornata di riflessione e manifestazioni per denunciare all’opinione pubblica mondiale questa tragedia passata sotto silenzio. La Chiesa armena ne ha fatto una giornata di preghiera e di
memoria delle vittime del genocidio.
Il genocidio della popolazione armena, già in corso dai tempi
di Abdul-Hamid II, prende ora proporzioni e ritmo senza precedenti. Le deportazioni che, a partire dalle province orientali, seguono immediatamente questi fatti della capitale, ripeteranno tutte lo stesso copione: da principio sono arrestati i notabili; a questi
sono estorte sotto tortura confessioni di colpe non commesse e di
complotti a danno dello Stato. Fa seguito l’ordine di deportazione per la popolazione; a volte si dà agli sventurati qualche giorno
o qualche ora per raccogliere le proprie cose; gli uomini adulti
sono subito fucilati fuori città, mentre donne, anziani e bambini
sono deportati.
Benché il corpo diplomatico in Turchia risiedesse quasi soltanto a Istanbul e Smirne, dove le violenze contro gli armeni furono ben celate, i commercianti e soprattutto i missionari stranieri erano presenti un po’ dappertutto. In tal modo in Europa
e Stati Uniti giunge subito eco di quanto sta succedendo. Anche
in Germania, nonostante lo Stato, alleato ai turchi, faccia di tutto per fingere di ignorare e nascondere i crimini dell’Ittihad,
soldati e missionari cominciano a diffondere voci sugli avvenimenti.
Così il 24 maggio, su iniziativa della Russia, le potenze dell’Intesa ingiungono alla Turchia di porre fine ai massacri, pubblicando contemporaneamente (a Pietroburgo, Parigi e Londra)
una Dichiarazione in cui gli avvenimenti in corso sono definiti
«crimini contro l’umanità e la civiltà», e in cui i tre Stati firmatari
minacciano di ritenere personalmente responsabili di tali crimini
Metz Yeghern, il Grande Male - I
503
i membri del governo turco e gli amministratori locali
implicati 31.
Per tutta risposta, il 27 maggio i capi dell’Ittihad decidono
semplicemente di legalizzare lo sterminio in corso. Approfittando
dell’assenza del parlamento (precedentemente liquidato dal partito), il governo stesso adotta una legge, resa nota il 1° giugno successivo, che autorizza le atrocità 32: sotto il pretesto che gli armeni
stanno per ribellarsi, la legge ne ordina il «trasferimento provvisorio» in massa ad altri luoghi, non precisati. In realtà, la meta delle
deportazioni era «il nulla», come lo stesso Talaat precisava ai governanti delle regioni, suoi sottomessi, in telegrammi di servizio.
Centinaia di migliaia di armeni sono spinti verso i deserti
della Siria e della Mesopotamia. Molti sono soppressi all’inizio
del lungo cammino, moltissimi sono ammazzati o muoiono di fatiche e stenti prima di giungere al deserto: gli uomini sono impiccati, decapitati, arsi vivi, barbaramente torturati, mutilati, squartati, fucilati, le donne sono violentate e vendute, i bambini rapiti,
spesso seviziati e anch’essi venduti come schiavi.
Intanto, case e proprietà dei deportati sono rapinate e devastate impunemente dalla popolazione turca, sotto gli occhi delle autorità; lo Stato poi finisce per confiscare semplicemente tutti i beni
degli armeni che pure aveva solo «provvisoriamente trasferito».
Lungo la strada, i deportati devono subire ogni sorta di abusi
e brutalità da parte dei soldati turchi che li scortano. Spesso gli
stessi gendarmi della scorta precedono la carovana, formata soprattutto di donne, vecchi e bambini, per annunciarne l’arrivo alle
tribù curde; poco dopo i predoni piombano sui poveri indifesi.
Diverse madri armene, terrorizzate dalle violenze subite o viste, si
suicidano assieme ai figli. Il cammino seguito dalle carovane resta
disseminato di cadaveri ammucchiati, impiccati agli alberi o ai pali
della luce e del telegrafo. L’attraversamento dei fiumi è un’occasio31
Sulla complessa storia dell’adozione di questa Dichiarazione e la sua importanza giuridica, cf. Ju. Barsegov, Genocid armjan – prestuplenie po me_dunarodnomu pravu, cit., pp.77-88.
32
A questa legge se ne aggiunge dopo pochi giorni un’altra, e poi altre
due, tutte riguardanti la registrazione dei beni dei deportati.
504
Metz Yeghern, il Grande Male - I
ne per i gendarmi per buttare in acqua bambini e adolescenti:
quanti di questi riescono a nuotare sono abbattuti a fucilate.
Una percentuale minima di quanti sono stati deportati giunge al centro di smistamento di Aleppo, ultima tappa prima del
deserto. Infine, molti di quelli che si addentrano nel deserto,
muoiono di stenti, fame, sete, epidemie, sono vittime di incursioni di predoni e di bande di nomadi assoldate dal governo. Pochissimi si salvano, grazie all’aiuto dei siriani ed anche dei beduini,
che soccorrono vecchi e donne, adottano i bambini.
Gli abiti logori di alcuni di questi superstiti armeni testimoniano della ricchezza conosciuta prima della deportazione: diversi di
questi forzati abitanti del deserto hanno fatto i loro studi nelle migliori università europee, hanno vissuto a Londra e Parigi, conoscono più lingue e hanno frequentato l’alta società di diversi stati…
Subito dopo la tragica data del 24 aprile, già nel maggio 1915,
oggetto di deportazione sono gli armeni della parte orientale dell’Anatolia, eccetto Van, occupata dai russi: Trebisonda, Erzurum,
Bitlis, Diarbekir. Ufficialmente, infatti, il trasferimento era motivato dalla prossimità del fronte russo. In tre mesi l’Anatolia orientale
è ripulita dagli armeni: già nel mese di agosto, la regione è definita
“liberata” dalla scomoda presenza… dei suoi abitanti originari.
In un secondo momento le deportazioni sono estese all’Anatolia occidentale, alla Cilicia e alla Tracia turca. Per gli armeni abitanti
in queste zone, il pretesto della vicinanza del fronte russo, naturalmente, non può essere invocato. Ma ormai il genocidio in atto non
ha più bisogno di coperture; le autorità turche sono preoccupate
unicamente di raggiungere il proprio scopo al più presto. Così, infine, la deportazione riguarda indistintamente tutti gli armeni residenti in Turchia, eccetto quelli di Smirne e Costantinopoli.
Anche i deportati di questa seconda ondata transitano attraverso Aleppo, da dove sono poi inviati a est verso la regione desertica lungo le rive dell’Eufrate, o a sud verso il deserto siriano. I
200.000 giunti al campo di Deir-es-Zor in Mesopotamia moriranno per la maggioranza di sete e stenti. Ai campi siriani di Hama,
Homs e dei pressi di Damasco giungono circa 120.000 persone.
Quanti di questi saranno ancora vivi alla fine della guerra, faran-
Metz Yeghern, il Grande Male - I
505
no rientro in Cilicia. Ma qui nel 1920, come si vedrà, troveranno
la morte ad opera dei nuovi carnefici, i kemalisti.
La deportazione si conclude così alla fine dell’anno. Nella
prima metà del 1916 su ordine espresso del governo vengono eliminati quanti si trovano nei campi di sosta e di smistamento.
In alcuni posti, alla deportazione si sostituiscono barbarie di
altro genere. A Trebisonda donne e bambini armeni sono affogati
nel Mar Nero. A Mush i soldati regolari turchi guidano un’orda
di curdi che, passando di casa in casa, fanno un carnaio della popolazione armena, massacrandola a colpi di ascia. Nell’ospedale
della città di Erzindjan (180 km circa a sud di Trebisonda) gli armeni di un battaglione di soldati-lavoratori e i cadetti armeni di
un’accademia militare sono utilizzati come cavie umane per esperimenti medici: nel quadro di una ricerca di batteriologia si inocula loro sangue infetto di malati di tifo. Conduce gli esperimenti,
su incarico del governo, il prof. Hamid Suat, oggi considerato il
padre della batteriologia turca 33.
Alcune città e paesi armeni oppongono una fiera resistenza:
Van, Chatakh, Chabine-Karahissar, Mussa Dagh, Karahussar
(Djebel Mussa), Urfa.
Il caso certamente più celebre di resistenza armena è quello
descritto dallo scrittore austriaco Franz Werfel nel romanzo I quaranta giorni di Mussa Dagh (1933) 34. Il 30 luglio 1915 circa 5.000
armeni residenti sulla costa settentrionale della Siria decidono di
opporsi alla deportazione e si stabiliscono sulla montagna Mussa,
dove costruiscono delle fortificazioni. Qui resistono per un mese e
mezzo all’assedio da parte delle truppe turche, nonostante l’enorme disparità di forze. Le poche centinaia di combattenti validi tra
gli assediati tengono testa a reparti sempre più numerosi dell’eser33
Su questi esperimenti (che per crudeltà non furono inferiori a quelli praticati dai medici delle SS durante la seconda guerra mondiale), cf. V. Dadrian,
The Role of Turkish Physicians in the World War I Genocide of Ottoman Armenians in Holocaust and Genocide Studies, 1: 2 (1986); Id. The Armenian Genocide: an Interpretation, cit., da vedere anche a proposito dell’eliminazione degli armeni per affogamento a Trebisonda, attestata da numerosi testimoni, tra cui il
console americano Oscar Heizer.
34
Per un’edizione italiana del romanzo, segnaliamo quella di Corbaccio,
nella traduzione di Cristina Baseggio (20034).
506
Metz Yeghern, il Grande Male - I
cito regolare (l’ultimo constava di 15.000 soldati), dotati di artiglieria. Infine, quando i turchi, tagliata ogni via di comunicazione
e isolati gli insorti, pensano di prenderli per fame, questi sono salvati da due navi militari francesi in transito che vedono la bandiera: «Christians in distress: rescue» (Cristiani in pericolo: soccorreteci!). Bombardate le posizioni turche, i francesi imbarcano i
4.000 armeni sopravvissuti e li portano in salvo a Port-Said 35.
TESTIMONI DEL GENOCIDIO E DIFENSORI DEGLI ARMENI
Numerose e sconvolgenti sono le testimonianze sul genocidio dovute a stranieri (diplomatici e altro) residenti in Turchia all’epoca 36. In particolare, raccapriccianti i documenti segreti dei
diplomatici austriaci e tedeschi 37, alleati dei turchi, che erano
perfettamente al corrente di ciò che stava avvenendo. Diversi te35
Recentemente una ricostruzione storica dei fatti della resistenza armena
del Mussa Dagh, sulla base dei documenti dell’epoca, è stata compiuta da due
giornalisti italiani: cf. F. Amabile - M. Tosatti, La vera storia del Mussa Dagh (presentazione di Vittorio Messori), Milano 2003.
36
A questo proposito rimandiamo all’eccellente libro di Pietro Kuciukian
Voci nel deserto. Giusti e testimoni per gli armeni, cit. Per le varie raccolte di rapporti diplomatici e documenti ufficiali, segnaliamo che in italiano è in preparazione l’edizione completa dei documenti degli archivi del Ministero degli Esteri concernenti la questione armena, relativi agli anni 1878-1923; l’edizione è realizzata
dall’Istituto Storico dell’Università di Firenze e comprenderà 12 tomi; 4 sono già
stati pubblicati. In lingua russa una buona raccolta di rapporti ufficiali dei diplomatici stranieri presenti in Turchia negli anni 1876-1920 è il libro Genocid armjan
v Osmanskoj imperii. Sbornik dokumentov i materialov (sost. M.G. Nersisjan, R.G.
Saakjan, pod red. M. Nersisjana), II dop. izdanie, Erevan 1982; la più completa
edizione di documenti ufficiali statali (quasi esclusivamente di Gran Bretagna,
Francia, Stati Uniti e Russia) e accordi internazionali relativi al genocidio è stata
realizzata dal giurista prof. Jurij Barsegov (Genocid armjan: otvetstvennost’ Turcii i
objazatel’stva mirovogo soob_estva. Dokumenty i kommentarij, Moskva 2002). I
primi due tomi di quest’opera presentano più di 1.500 documenti ufficiali.
37
Cf. S. Stepanjan (ed.), Germanskie isto_niki o genocide armjan Erevan
1991, pp. 212-229. Recentemente sono stati pubblicati nuovi materiali dagli archivi austriaci; cf. A. Ohandjanian, Österreich-Armenien, 1872-1936. Faksimilesammlung diplomatischer Aktenstücke, 12 Bände, Wien 1995; Id., 1915. Irrefutable Evidence. The Austrian Documents on the Armenain Genocide, Yerevan 2004.
Metz Yeghern, il Grande Male - I
507
stimoni tedeschi degli eccidi per obbligo professionale tacquero,
altri invece criticarono apertamente la politica di non-intervento
del loro governo davanti alle stragi 38.
Agghiaccianti le notizie contenute nei rapporti al proprio governo di Henry Morgenthau, ambasciatore americano a Costantinopoli dal 1913 al 1916, e dei suoi consoli americani in varie città
turche: Oscar Heizer a Trebisonda, Jesse Jackson ad Aleppo e soprattutto Leslie Davis a Harput, città al centro dell’Anatolia che
fu un importante nodo della deportazione. Oltre a informare regolarmente e minuziosamente Washington circa le deportazioni e
lo sterminio degli armeni, l’ambasciatore Morgenthau cercò più
volte di intercedere per i perseguitati presso il governo turco, anche in colloqui personali con Enver e Talaat.
Nelle sue memorie, pubblicate nel 1918 39, racconta di un suo
colloquio con Talaat in cui l’artefice delle deportazioni improvvisamente gli chiede: «Perché vi interessate tanto agli armeni? Voi
siete ebreo e questa gente è cristiana. I musulmani e gli ebrei si capiscono meglio. Voi siete ben accetto qui. Di cosa vi lamentate?
Perché non ci lasciate fare quello che vogliamo dei cristiani?».
Morgenthau risponde: «Voi sembrate non capire, io non sono qui
in qualità di ebreo, ma come ambasciatore americano. Non mi rivolgo a voi in nome di una razza o di una religione, ma semplicemente a nome dell’umanità. Supponiamo che qualche armeno vi
abbia traditi, ciò non è un motivo sufficiente per annientare una
etnia intera e far soffrire donne e bambini». «E’ inevitabile – risponde Talaat – ci hanno rimproverato di non avere fatto differenza fra gli armeni colpevoli e gli armeni innocenti; ciò è impossibile,
poiché gli innocenti di oggi saranno i colpevoli di domani» 40.
38
vCf. H. Vierbucker, Arménie 1915 : un peuple civilisé massacré par les
Turcs : témoignage d’un officier allemand, trad. par Louise Gessarentz, Montelimar 1987; in russo cf. S. Stepanjana (ed.), Germanskie isto_niki o genocide armjan Erevan 1991.
39
H. Morgenthau, Ambassador’s Morgenthau Story, New York 1918. Cf. anche l’edizione francese H. Morgenthau, Mémoires, suivi de Documents inédits du
Département d’Etat, Paris 1983; su Morgenthau importante il profilo fatto dal nipote in H. Morgenthau III, Mostly Morgenthaus, a family History, New York 1991.
40
Cit. secondo P. Kuciukian Voci nel deserto. Giusti e testimoni per gli armeni, cit., pp. 20-21.
508
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Già il 16 luglio 1915, nel suo rapporto al segretario di Stato a
Washington, Morgenthau parla con determinatezza di «campagna di sterminio razziale» contro gli armeni, e nelle sue Memorie
mostra chiaramente che la giustificazione di «trasferimento provvisorio della popolazione armena a causa della guerra», addotta
dal governo, era inconsistente: «È assurda l’affermazione del governo che i turchi fossero sorretti dall’intenzione sincera di trasportare gli armeni in nuovi insediamenti e questi dettagli strazianti provano molto bene il vero scopo di Enver e Talaat: lo sterminio puro e semplice»; e: «Quando le autorità ottomane diedero
l’ordine di deportazione, esse si garantirono la morte di tutta una
razza; lo sapevano bene e durante i nostri incontri non cercavano
nemmeno di dissimularlo». Dopo aver descritto nelle sue Memorie le crudeltà inenarrabili che avevano luogo durante la deportazione degli armeni nel 1915, Henry Morgenthau afferma: «Sono
convinto che la storia universale non contenga episodi così spaventosi»; e, evocata la crociata contro gli albigesi del XIII secolo,
i Vespri Siciliani, le vittime dell’Inquisizione spagnola dei tempi
di Torquemada e l’espulsione degli ebrei di Spagna da parte di
Ferdinando e Isabella, conclude che «tutte queste persecuzioni
non sono nulla se paragonate a quella degli armeni» 41.
Sempre nell’ambiente diplomatico dell’epoca, di grande importanza fu la testimonianza delle stragi fornita da Giacomo Gorrini, console d’Italia a Trebisonda dal 1911 al 1915. Gorrini, nella cui
giurisdizione consolare rientravano la maggior parte dei vilayet armeni dell’impero ottomano, assistette di persona, impotente, alle
deportazioni, nell’ultimo mese della sua permanenza a Trebisonda.
Nel luglio 1915, in seguito all’entrata in guerra dell’Italia contro
l’Austria-Ungheria, alleata dei turchi, dovette precipitosamente abbandonare il Paese e, dopo un viaggio rocambolesco, durato quasi
un mese, giunse a Roma. Qui, pochi giorni dopo, concedette un’intervista al Messaggero nella quale denunciò apertamente, senza
mezzi termini, «la violazione flagrante dei più sacrosanti diritti di
41
Ibid., pp. 31, 26, 32-33.
Metz Yeghern, il Grande Male - I
509
umanità» compiuta dal governo dei «Giovani Turchi» nei confronti
della popolazione armena, le deportazioni, carneficine, abusi di vario genere. L’intervista ha grande importanza in quanto prima denuncia pubblica dei fatti del 1915 da parte di un’autorità diplomatica. Dal testo apprendiamo che in un solo mese – dalla pubblicazione del decreto di internamento degli armeni di Trebisonda, il 24
giugno, alla partenza dello stesso Gorrini il 23 luglio – la popolazione armena della città scese da 14.000 a meno di un centinaio.
Alla fine della guerra, il 14 novembre 1918 Giacomo Gorrini
preparò un Memoriale sulla questione armena per la Delegazione
italiana al Congresso della pace, che proponeva la creazione di
uno Stato armeno indipendente riunendo i territori armeni dell’ex-impero ottomano e l’Armenia ex-russa. Nel 1918 fu nominato Ambasciatore d’Italia presso la prima Repubblica Armena
(1918-1920). Dopo la misera fine di questa e la sovietizzazione
dell’Armenia, Gorrini rientrò a Roma nel 1922, fu messo in pensione, e per lungo tempo non si occupò più pubblicamente di diplomazia e politica internazionale. Nel 1940 con un nuovo scritto
cercò per l’ultima volta di risollevare la questione armena.
Della causa armena si occupò il grande statista inglese James
Bryce. Egli denunciò dapprima le stragi del 1894-1896, riconoscendo le responsabilità britanniche; poi, in qualità di specialista
della questione armena, fu incaricato dal governo di Sua Maestà
di raccogliere i documenti concernenti gli abusi nei confronti degli armeni. Per questo lavoro si avvalse dell’aiuto del giovane storico Arnold Toynbee junior, divenuto in seguito celebre per il suo
studio comparativo delle civiltà. Nell’ottobre 1915, parlando alla
Camera dei Lord, Bryce affermò che «quasi tutta» la nazione armena residente in Turchia era stata annientata, e commentò che
«la storia non conosce casi simili dai tempi di Tamerlano» 42. Nello stesso tempo il Toynbee dava alle stampe a New York un libro
che denunciava gli avvenimenti in corso in Turchia 43.
42
43
1915.
«The Times», October 7, 1915.
A. Toynbee, Armenian Atrocities. The Murder of a Nation, New York
510
Metz Yeghern, il Grande Male - I
Nel 1916 Bryce presentò al governo il suo rapporto: una raccolta di circa 150 testimonianze sulle stragi, ancora in corso, di testimoni oculari degni di fede. I documenti del rapporto, provanti
il massacro «di circa 800.000 armeni», furono subito resi pubblici, riuniti in un Libro blu (sottotitolato Il trattamento degli armeni
nell’impero ottomano) 44. Esso consta di 550 pagine, comprende
alcuni testi introduttivi, un riepilogo della storia armena e i documenti, divisi per vilayet e città di provenienza.
Come Morgenthau, Gorrini, Bryce, Toynbee e altri, in concomitanza con le stragi, o subito dopo, alcuni intellettuali e personalità note a livello internazionale presero posizione in difesa
degli armeni e si impegnarono fattivamente a far conoscere gli avvenimenti, far pressione sulle istituzioni internazionali e cercare
soluzioni concrete per i profughi. Tra i più attivi, oltre al già menzionato Franz Werfel, citiamo: in Francia lo scrittore Anatole
France, l’armenista Frédéric Macler e il filosofo socialista Jean
Jaurès; in Russia il politico Petr Miljukov, lo scrittore Maksim
Gorkij, il diplomatico e giurista internazionale Andrej Mandel’stam e i poeti Jurij Veselovskij, Valerij Brjusov, Sergej Gorodetskij; in Germania il pastore protestante Johannes Lepsius, l’attivista comunista Rosa Luxemburg e lo scrittore Armin Wegner; in
Gran Bretagna lo statista William Gladstone; in Polonia lo scrittore Bogdan Gembarsky; in Svizzera il teologo e armenista Max
von Sachsen; in Norvegia il grande filantropo (oltre che esploratore e diplomatico) Fridtjof Nansen.
Tra le più importanti testimonianze dirette del genocidio dovute a non diplomatici, vi sono quelle di due tedeschi: il pastore
Johannes Lepsius e il giovane ufficiale Armin Wegner.
Johannes Lepsius, figlio del celebre egittologo Karl Richard
Lepsius, era pastore e missionario evangelico; nel 1895 fonda la società missionaria Deutsche Orient Mission e nella primavera dell’an44
Cf. J. Bryce, Accounts and Papers, 1916 (cd-8325), Armenians in Turkey:
The Treatment of the Armenians in the Ottoman Empire, 1915-1916, London
1916; cf. la più completa edizione francese J. Bryce - A. Toynbee, Livre bleu sur
le massacre des Arméniens dans l’Empire ottoman, Paris 1987.
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511
no successivo visita i luoghi dove si sono appena svolti i terribili
massacri organizzati da Abdul-Hamid II (1894-1896). Con il sostegno di benefattori americani, svizzeri e tedeschi apre in Turchia,
Bulgaria e Persia diversi orfanotrofi. Poi riorganizza la sua società
missionaria in fondazione filantropica che chiama Armenisches Hilfswerk. Parallelamente all’impegno umanitario a favore degli armeni
(ma anche dei siriaci e di tutti i perseguitati nell’impero ottomano,
compresi curdi e turchi), fin dall’agosto 1896 si dedica attivamente a
raccogliere, pubblicare e diffondere in Germania e Occidente documenti riguardanti gli abusi contro gli armeni nell’impero ottomano.
Diciotto suoi articoli scritti in quello stesso anno col titolo comune
La verità sull’Armenia costituiranno la base del suo libro L’Armenia
e l’Europa. Accusa contro le potenze cristiane e esortazione alla Germania cristiana, che in soli due anni (1896-1897) ebbe sette edizioni.
Il pastore Lepsius era in relazioni continue con gli armeni di
Costantinopoli e col leader della delegazione nazionale della diaspora armena Boghos Nubar. Divenuto uno dei maggiori esperti
occidentali della questione armena, dal 1912 al 1914 era spesso
consultato da politici e diplomatici e invitato a varie conferenze e
incontri internazionali sull’argomento. Nello stesso tempo in
Germania la sua attività riscuoteva la sempre più decisa opposizione da parte degli ambienti politici ufficiali.
Nell’estate del 1915, mentre è in corso la deportazione ad
opera dei «Giovani Turchi», Lepsius compie un viaggio a Istanbul durante il quale cerca disperatamente, purtroppo invano, di
intervenire direttamente presso le massime autorità dello Stato,
per fermare lo sterminio. Il suo celebre colloquio con Enver del
10 agosto 1915 è stato raccontato, sulla base delle indicazioni
date dallo stesso Lepsius, da Franz Werfel nel romanzo I quaranta
giorni di Mussa Dagh.
Nel settembre 1915 Lepsius pubblica in Svizzera l’articolo
La strage di un intero popolo e nel 1916 in Germania dà alle stampe a sue spese, sfuggendo alla censura, un Rapporto sulla condizione del popolo armeno in Turchia 45. Quando la polizia intervie45
1916.
Bericht über die Lage des Armenischen Volkes in der Türkei, Potsdam
512
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ne per sequestrare il libro, Lepsius ne ha già diffuse personalmente 20.000 copie. Per poter continuare a lavorare in difesa degli armeni, per due anni si rifugia in Olanda, allora Paese neutrale. Rientrato in Germania alla fine della guerra, nel 1919 ripubblica il
suo Rapporto con aggiunte di nuovi materiali e il nuovo titolo Il
cammino della morte del popolo armeno 46; contemporaneamente
pubblica un’importantissima raccolta di 444 documenti diplomatici tedeschi degli anni 1914-1918 sulla situazione armena in Turchia 47. Nel 1921 è citato come testimone e esperto della questione armena al processo di Berlino contro Solomon Teylirian, l’assassino di Talaat. Grazie proprio alla sua testimonianza il processo, come vedremo, significherà per molti tedeschi la prima condanna pubblica del genocidio, a parte il rito religioso di memoria
delle vittime armene indetto a Berlino, nel maggio 1919, dalla Società di Lepsius e dai padri mechitaristi del monastero di
Venna 48.
Armin Wegner, prussiano, era un giovane ufficiale della Croce Rossa tedesca, cui si devono le testimonianze dirette e molte
delle prove fotografiche delle stragi del 1915. Arruolatosi nell’esercito tedesco come infermiere volontario, nell’aprile 1915 A.
Wegner è inviato in Medio Oriente, a seguito delle truppe di
stanza in Turchia per via dell’alleanza. Qui, nei mesi di luglio e
agosto, approfitta di tutti i momenti di permesso per indagare attorno ai massacri degli armeni, di cui sente parlare. Nell’autunno
46
Der Todesgang des Armenischen Volkes, Berlin-Potsdam 1919.
Deutschland und Armenien. 1914-1918. Sammlung Diplomatischer Aktenstuecke, heransgegeben und eingeleitet von Dr. Johannes Lepsius, Potsdam
1919. Cf. anche l’edizione di W. e S. Gust in Internet: http://home.tonline.de/home/wolfgang.gust.
48
Recentemente, sotto la direzione di Hermann Goltz, direttore degli Archivi Lepsius e professore di teologia presso l’Università Martin Luter di Halle,
sono stati pubblicati gli archivi di Lepsius in 2 tomi: Deutschland, Armenien und
die Türkei 1895-1925. Dokumente und Zeitschriften aus dem Dr. Johannes-Lepsius-Archiv, München, 1998-2004. Il primo tomo contiene il catalogo generale, il
secondo i documenti in microfilm, il terzo un repertorio tematico. Importanti
materiali sul pastore Lepsius si trovano in H. Goltz (ed.), Akten des ersten Dr. Johannes-Lepsius-Symposiums 1986, Halle/Saale 1987. L’autore ringrazia il
prof.Goltz per la gentile consulenza.
47
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513
successivo, attraversa l’Asia Minore a seguito del feldmaresciallo
Colmar von der Goltz, che fin dal 1883 si trovava nell’impero ottomano come consigliere militare, incaricato della modernizzazione dell’esercito turco.
Armin Wegner vede le colonne dei deportati, visita i campi
dei profughi, raccoglie testimonianze, scatta fotografie, nonostante
i divieti turchi. Tra il 1915 e il 1916 tiene un diario e manda varie
lettere a parenti e conoscenti che descrivono gli orrori di cui è testimone. Nel maggio 1916, su richiesta dei turchi che intercettano
qualche lettera, è arrestato dai tedeschi a Baghdad. È destinato a
prestare servizio nelle baracche degli ammalati di colera; poco
dopo, gravemente ammalato, è trasferito a Costantinopoli. Qui riesce a consegnare diversi materiali sulle stragi degli armeni all’Ambasciata americana. Infine è rimpatriato nel dicembre 1916.
Da allora, in contatto con J. Lepsius e altri testimoni del genocidio, Armin Wegner sarà uno dei principali sostenitori della causa
armena. Nel febbraio del 1919 scrive una lunga lettera al presidente americano Thomas Woodrow Wilson, che in seguito sarà il più
alto difensore degli armeni (purtroppo non ascoltato) nell’arena
politica internazionale. In essa egli descrive le bestialità di cui era
stato testimone in Mesopotamia e di cui riteneva di avere non solo
il diritto, ma piuttosto il dovere morale di parlare apertamente.
Nello stesso anno Wegner raccoglie le sue lettere e il suo diario della Mesopotamia in un libro che intitola Via senza ritorno 49.
Al processo di Berlino contro Solomon Teylirian, Wegner
non viene ascoltato come testimone a causa dei suoi legami con
organizzazioni comuniste; egli in compenso scrive un’importante
prefazione al volume che raccoglie i documenti del processo,
pubblicato nello stesso 1921. Alla fine dell’anno successivo, dopo
i gravi avvenimenti di Smirne, Wegner scrive un appello per i diritti degli armeni intitolato Il grido dall’Ararat 50.
49
A.T. Wegner, Der Weg ohne Heimkehr. Ein Martyrium in Briefen, Berlin
1919. In parte (e con altri scritti dello stesso) pubblicata in italiano in Armin T.
Wegner e gli Armeni in Anatolia, 1915. Immagini e testimonianze, Milano 1996.
50
Per la prefazione di Wegner agli atti del processo, cf. Der Prozess Talaat
Pascha. Mit einem Vorwort von Armin T. Wegner, Berlin 1921. Per il Grido dell’Ararat, cf. A.T. Wegner, Der Schrei vom Ararat, Leipzig 1922.
514
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Durante il nazismo, Armin Wegner perorerà con gran coraggio la causa degli ebrei, scrivendo personalmente al Führer nell’aprile 1933; ciò gli varrà, oltre all’arresto e alle bastonate della Gestapo, e a cinque mesi di detenzione in vari campi di concentramento, anche la stroncatura della sua carriera di scrittore e infine
l’esilio volontario in Italia fino alla morte 51.
I KEMALISTI E IL COMPLETAMENTO DEL GENOCIDIO
Il genocidio è completato dai turchi dopo il 1915 e anche
dopo la fine della guerra. Non soddisfatti di aver scacciato la quasi totalità della popolazione armena dall’Armenia Occidentale,
dalla Cilicia e dal resto dell’impero ottomano, i «Giovani Turchi»
prima e i kemalisti poi attaccheranno diverse volte anche l’Armenia Orientale, motivati sempre dal sogno panturaniano di ricongiungersi con gli altri popoli di origini turco-tartare. Accenneremo soltanto qui, dal punto di vista dell’intento genocidiario, a
questi avvenimenti, rimandando per un approfondimento dei fatti propriamente bellici a quanto abbiamo già scritto altrove 52.
L’ambasciatore americano Morgenthau scrive nelle sue Memorie che dopo le deportazioni del 1915 Talaat gli avrebbe detto:
«Noi abbiamo già liquidato la posizione di tre quarti degli arme51
Su Armin Wegner cf. i due libri di M. Rooney: Leben und Werk Armin
T.Wegners (1886-1978) im Kontext der sozio-politischen und kulturellen Entwicklungen in Deutschland, Frankfurt am Main 1984; «Weg ohne Heimkehr». Armin
T.Wegner zum 100 Geburtstag. Eine Gedenkschrift, Bremen, 1986. Sugli anni italiani di A. Wegner cf. la testimonianza del figlio M. Wegner, In nome del padre, in
AA.VV., Si può sempre dire un sì o un no: i Giusti contro i Genocidi degli Armeni
e degli Ebrei (atti del Convegno, Padova, 30 novembre - 2 dicembre 2000), Padova 2001, pp. 125-130.
52
A questi avvenimenti è dedicato il cap. X del nostro 1700 let vernosti.
Istorija Armenii i ee Cerkvi, Moskva 2002, pp. 265-296, di prossima pubblicazione anche in Italia. Cf. anche il nostro articolo Armenija me_du tureckim molotom
i rossijskoj nakoval’nej nella rivista «Gra_danin», 4, luglio-agosto 2004, Moskva
pp. 84-92.
Metz Yeghern, il Grande Male - I
515
ni. Bisogna che la finiamo con loro, altrimenti dovremo temere la
loro vendetta. Noi non vogliamo più vedere armeni in Anatolia;
possono vivere nel deserto, ma in nessun altro luogo». «La question arménienne n’existe plus», disse lo stesso Talaat, secondo la
testimonianza del Lepsius, già il 31 agosto 1915 all’ambasciatore
tedesco barone Ernst Hohenlohe-Langenburg.
Tuttavia, dopo circa un anno, nel giugno-luglio 1916, il governo ordina ancora agli amministratori locali di farla finita definitivamente con i pochi armeni rimasti in Turchia. Ed effettivamente, all’inizio del 1917 il problema degli armeni di Anatolia è
ritenuto dallo stesso governo ufficialmente “liquidato”. Il numero
delle vittime del genocidio nei soli due anni 1915-1916 si aggira
sui 1.500.000. L’Armenia Occidentale perde così la maggior parte
della sua popolazione originaria.
Ma i grandi sconvolgimenti politici della scena internazionale
vengono a rendere ancora più tragica la situazione degli armeni di
Turchia e di Russia. Le rivoluzioni del febbraio e dell’ottobre
1917 creano il caos nelle truppe russe, che in gran parte si ritirano dai territori occupati durante la guerra. Alla fine del 1917 i governi sovietico e dei «Giovani Turchi» concludono un armistizio;
pochi mesi dopo, però, le ostilità riprendono. Infine, dopo vari
accordi raggiunti e infranti, il 3 marzo 1918 le potenze dell’Europa centrale (Germania e Austro-Ungheria) e i loro alleati turchi
firmano la pace con i bolscevichi a Brest-Litovsk.
Secondo il trattato, la Russia restituisce alla Turchia le conquiste fatte durante la guerra e anche i territori di Ardahan, Kars
e Batum, entrati a far parte dell’impero degli zar già negli anni
1877-1878. Il trattato stabilisce che la Russia Sovietica «non si immischierà nel processo di organizzazione delle strutture statali e
giuridiche e nello stabilimento delle relazioni giuridiche internazionali» dei territori di Ardahan, Kars e Batum ma «lascerà alla
popolazione di detti territori di stabilire nuove strutture in accordo con gli stati vicini, in particolare con la Turchia». Per parte
loro, la Germania, l’Austro-Ungheria e i loro alleati, «intendono
definire la sorte futura» di tutti i territori ceduti dalla Russia «in
accordo con la volontà della popolazione locale».
516
Metz Yeghern, il Grande Male - I
In realtà, senza alcuna considerazione della volontà della popolazione, la Turchia semplicemente si impossessa di tutte le terre
dalle quali escono i russi. La situazione diventa critica per questi
armeni scampati alle deportazioni grazie alla presenza russa, molti dei quali saranno infatti massacrati dai «Giovani Turchi» e in
seguito dai kemalisti. Ad Ardahan, tra marzo e maggio 1918, i
«Giovani Turchi» fanno più di 9.000 vittime; a Karaklis nel maggio altre 4.000; nella provincia di Akhalkalak prima della fine dell’anno i morti a causa della violenza turca, delle distruzioni e conseguenti fame e epidemie sono 40.000.
La prima guerra mondiale, intanto, sta volgendo al termine.
Dopo il trattato di pace di Brest-Litovsk, la Turchia non combatte
più sul fronte caucasico; in tal modo sembrano dover aver fine almeno le sofferenze causate dai turchi agli armeni di Russia. A seguito proprio di forti pressioni da parte della Turchia, il 9/22
aprile 1918 si autoproclama la Repubblica di Transcaucasia, indipendente dalla Russia. A questo punto, approfittando del fatto
che l’Armenia Orientale si è appena staccata dall’Unione Sovietica e non può quindi contare sul sostegno dei russi, nel maggio del
1918 la Turchia attacca il nuovo Stato. In una settimana di battaglie (dal 21 al 28 maggio), la popolazione civile armena e i soldati
riescono a respingere l’invasione turca a Sardarapat, scrivendo
una delle pagine più eroiche della storia nazionale 53.
A metà settembre le truppe dei Giovani Turchi, ma soprattutto la popolazione locale azera, massacrano la comunità armena
di Baku, facendo da 20.000 a 25.000 vittime: la bestialità dei supplizi è inaudita. Secondo quanto scrive una fonte georgiana a fine
settembre 1918: «Gli orrori compiuti durante la presa della città
sono indescrivibili. Interi squadroni di soldati scatenati e bande
inferocite irrompevano nelle case degli armeni, uccidendo, violentando, rapinando e distruggendo. I testimoni descrivono orrori che fanno gelare il sangue, raccontano di un bambino che per
tre giorni ha succhiato il seno della madre uccisa, di un camion
53
Cf. Dj. Guajta, 1700 let vernosti, cit., pp. 274-279.
Metz Yeghern, il Grande Male - I
517
che portava fuori dall’orfanotrofio dei profughi i cadaveri di
bambini, di ragazze violentate sotto gli occhi dei genitori, e mogli
violentate sotto quelli dei mariti, che poi venivano uccisi... » 54.
Avendo mandato ingenti forze in Caucaso per prendere
Baku, la Turchia subisce una pesante sconfitta dagli inglesi in Palestina e un’altra dai francesi in Macedonia. In ottobre i «Giovani
Turchi» dimissionano e fuggono da Istanbul; così la Turchia capitola il 30 ottobre 1918, firmando a Mudros un armistizio con i
paesi dell’Intesa. Secondo le condizioni della resa, la Turchia evacua la Transcaucasia e la Cilicia, dove sotto il protettorato francese fanno ritorno circa 150.000 rifugiati armeni sopravvissuti al deserto della Siria o che si trovavano ancora in qualche campo,
come quello di Aleppo. Accanto alle truppe francesi, presidia la
regione la Legione d’Oriente, corpo speciale di volontari armeni
provenienti dal mondo intero, costituito nel 1916 dal diplomatico
armeno di Egitto Boghos Nubar. Così in Cilicia si riaprono le
scuole e le chiese abbandonate al momento dell’esodo.
Ma la fine dell’impero ottomano e la nascita della Turchia
moderna, con la presa del potere da parte del movimento capeggiato da Mustafà Kemal (che in seguito diventerà Atatürk, «padre
dei turchi»), non migliorano affatto le condizioni della popolazione armena.
Nei primi tempi della sua ascesa politica, nel gennaio 1919,
Kemal condanna duramente, a parole, le atrocità compiute dall’amministrazione precedente dei Giovani Turchi, pur senza mai
riferirsi in particolare a quelle subite dalla popolazione armena.
Sempre a parole, egli garantisce la sicurezza agli armeni di Anatolia. Tuttavia, egli forma il suo primo gabinetto con ministri dell’Ittihad e ben presto sia le sue parole che il suo operato mostreranno chiaramente le sue vere intenzioni. Il 23 luglio dello stesso
1919 dichiara pubblicamente che la Turchia appartiene solo ai
turchi e che armeni e greci non avranno neanche un centimetro
54
Cf G. Chomizuri, Social’nye potrjasenija v sud’bach narodov (na primere
Armenii), Moskva 1997, p. 88.
518
Metz Yeghern, il Grande Male - I
del territorio nazionale; dalla fine dell’anno, si stabilisce ad Ankara da dove riesce ad imporre all’ormai debole governo centrale di
Costantinopoli, e al sultano, le proprie decisioni.
Gli eccidi degli armeni continuano per tutta la Turchia. Nel
1919 e 1920 varie insurrezioni dei turchi riescono a indebolire la
presenza dei francesi che occupano la Cilicia. Così nel 1920 la
Francia rinuncia al protettorato e comincia a evacuare la zona in
gran fretta. Infine, nel 1921, in seguito alla conferenza di Londra
che rivede gli accordi di Sèvres, la Francia restituisce ufficialmente la Cilicia alle nuove autorità kemaliste turche 55.
La partenza dei francesi crea il panico tra la popolazione armena che abbandona in massa la regione. Prima ancora, però,
molti armeni vengono uccisi dalla violenza turca (alcuni storici
parlano di 50.000 vittime tra il 1919 e il 1922, altri si limitano a
20.000-22.000). Nella città di Marash, nei primi due mesi del
1920 i turchi compiono varie incursioni, uccidendo i soldati francesi e facendo strage di molti armeni. La notte del 12 febbraio la
guarnigione francese, con il favore delle tenebre, evacua la città,
seguita da alcune migliaia di armeni, senza dir niente al resto della popolazione armena che l’indomani è massacrata dai turchi.
Vengono uccise 9.000 persone, molte delle quali muoiono arse
vive nella chiesa della città; altre 2.000 sono uccise mentre cercano di raggiungere le truppe francesi, altre ancora, sfuggite alla
violenza turca, muoiono assiderate e di stenti durante il tentativo
di fuga attraverso le montagne, dove la temperatura è di -20º C.
Nella città ciliciana di Adjin, in un solo giorno (15 ottobre), sono
uccise 6.000 persone.
Per i sopravvissuti di Cilicia l’esodo si completa nel 1921: negli ultimi due mesi dell’anno, quando (dopo l’accordo del 20 ottobre 1921) diventa chiaro che la Francia ritirerà completamente
55
Cf. in merito la testimonianza di padre Jules Chaperon, che entrò in Cilicia con le truppe francesi del mandato e poi svolse un’intensa attività a favore degli armeni a Costantinopoli, finché i francesi non evacuarono la Turchia nel 1923.
Cf. Chaperon (Abbé), Un aumônier militaire français témoin du drame arménien,
Journal de l’Abbé Chaperon, Cilicie 1920-Constantinople 1921-1923, Publié par
l’Institut Euroméditerranéen pour l’Arménie, [s.d.l.]
Metz Yeghern, il Grande Male - I
519
le truppe, quasi 60.000 armeni abbandonano case e beni ai turchi
e partono in massa 56. Quando nel gennaio 1922 gli ultimi soldati
francesi lasciano il paese, quasi nessuno è rimasto. I turchi profanano i cimiteri armeni, lapidano gli ex-allievi delle scuole francesi. Alcuni dei nuovi profughi ciliciani si rifugiano in Siria, altri
scappano più lontano dall’odio turco, in Stati Uniti, Francia, o altrove.
Nel marzo 1920 un nuovo orribile pogrom è compiuto dai
turchi e dagli azeri nella città di Shushi in Karabagh. Shushi era
un centro molto importante per la vita e cultura armena del Karabagh: fin dal secolo XIX aveva un proprio monastero, teatro,
ospedale, una scuola diocesana, vi si pubblicavano libri e giornali
in armeno. Alla fine del XIX secolo gli abitanti, per più del 60%
erano armeni. Nella sola giornata del 22 marzo, il furore turaniano distrugge migliaia di abitazioni armene, chiese, biblioteche, tipografie e fa più di 30.000 vittime. I kemalisti, così, ripetono a
Shushi ciò che i «Giovani Turchi» avevano fatto a Baku: in entrambi i casi, con l’aiuto della popolazione civile azera.
Smirne, l’antica città greca risalente all’XI secolo a.C. che secondo la tradizione avrebbe dato i natali a Omero, benché incorporata nell’impero ottomano dal 1424 (e ribattezzata dai turchi
Izmir), ancora all’inizio del XX secolo era popolata per più della
metà da greci. Nel maggio 1919 le truppe greche occupano la città e l’anno successivo il trattato di Sèvres affida alla Grecia l’amministrazione di tutta la regione.
Ma l’occupazione fomenta ancora di più il nazionalismo
estremo dei kemalisti. In un anno, dalla primavera del 1921 a
quella successiva, essi deportano la popolazione greca dell’Anatolia, ripetendo fedelmente lo schema del genocidio armeno. Poi,
nei mesi di settembre e ottobre 1922 organizzano a Smirne un eccidio senza precedenti dei greci e degli armeni rimasti. Gli armeni
sono dapprima arrestati o rapinati, poi i kemalisti appiccano il
fuoco al quartiere armeno, bruciando chiese e scuole e facendo
56
F. Sidari (La questione armena, cit., p. 248) indica che 120.000 armeni
abbandonarono la Cilicia a seguito delle truppe francesi che si ritiravano.
520
Metz Yeghern, il Grande Male - I
numerosissime vittime. Migliaia di persone terrorizzate si riversano allora sui moli del porto. Alcune navi degli Alleati vedono
quanto sta accadendo, ma non osano intervenire. Quanti riescono
a prendere il largo con imbarcazioni di fortuna, soprattutto donne, bambini e anziani, sono affondati dalla marina turca.
Ma gli orrori non finiscono qui e ancora molto più tardi il
console americano a Smirne George Horton scriverà: «Atatürk ha
aperto una nuova caccia agli armeni: ha riempito interi vagoni
ferroviari di donne e bambini e ha dato l’ordine di ricoprirli di
carbone e di dar fuoco...».
Difficile dire con precisione quanti armeni abbiano subito le
atrocità dei kemalisti nel pogrom di Smirne; i morti sono probabilmente attorno ai 10.000.
Il rogo del quartiere armeno di Smirne dell’ottobre 1922 e il
massacro della sua popolazione pone fine al genocidio che ormai
è compiuto. I kemalisti hanno messo un punto finale alla questione armena, liberandosi quasi del tutto della presenza del popolo
dell’Ararat. Il numero delle vittime del terrore degli ultimi anni
dei «Giovani Turchi» e dei primi del potere kemalista non è certo. Se si sommano i dati sicuri di cui si dispone, si vede che, dopo
il genocidio e la guerra, tra il 1918 e il 1922, in Cilicia, in tutta la
Turchia e in Armenia, gli armeni assassinati o morti in conseguenza di violenze subite dai turchi sono più di 400.000.
GIOVANNI GUAITA
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