Tesi – La Mente che Interpreta

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1
SCUOLA SUPERIORE PER MEDIATORI LINGUISTICI
(Decreto Ministero dell’Università 31/07/2003)
Via P. S. Mancini, 2 – 00196 - Roma
TESI DI DIPLOMA
DI
MEDIATORE LINGUISTICO
(Curriculum Interprete e Traduttore)
Equipollente ai Diplomi di Laurea rilasciati dalle Università al termine dei Corsi afferenti alla
classe delle
LAUREE UNIVERSITARIE
IN
SCIENZE DELLA MEDIAZIONE LINGUISTICA
LA MENTE CHE INTERPRETA
RELATORI:
Prof.ssa Adriana Bisirri
CORRELATORI:
Prof. Paul Farrel
Prof. Carlos Medina
Prof.ssa Claudia Piemonte
CANDIDATO:
Matteo Gravina
ANNO ACCADEMICO 2013/2014
2
Alla mia famiglia.
A Claudia.
3
LA MENTE CHE INTERPRETA.
4
Sommario
SEZIONE ITALIANA.
INTRODUZIONE.......................................................................................................8
CAPITOLO PRIMO: IL CERVELLO E LA MEMORIA. .................................10
GLI
INTERPRETI:
I
SOLDATI
DEL
MONDO
CONTRO
L’INCOMUNICABILITA’ LINGUISTICA. ........................................................... 10
FUNZIONALITA’ ED AREE CEREBRALI. .......................................................... 19
I LOBI ....................................................................................................................... 20
ORGANIZZAZIONE FUNZIONALE DELLA CORTECCIA. .............................. 22
SISTEMA LIMBICO. ............................................................................................... 23
FUNZIONI CEREBRALI SUPERIORI. .................................................................. 25
I MECCANISMI DELLE FUNZIONI CEREBRALI SUPERIORI. ....................... 26
I MECCANISMI DELLA MEMORIA .................................................................... 28
NEUROFISIOLOGIA DELLA MEMORIA: APPRENDIMENTO E MEMORIA.28
COME
LE
INFORMAZIONI
VENGONO
IMMAGAZZINATE
NELL’ENCEFALO. ................................................................................................. 32
LE VARIE FORME DI MLT. .................................................................................. 35
CAPITOLO
SECONDO:
I
MECCANISMI
MENTALI
DELLA
TRADUZIONE. . ..................................................................................................... 38
I TRADUTTORI E LA MEMORIA A LUNGO TERMINE. .................................. 38
LA TRADUZIONE COME PROCESSO MENTALE. ............................................ 46
LA TEORIA DELLA TRADUZIONE. .................................................................... 49
5
PROBLEMI DELLA TRADUZIONE. ..................................................................... 50
IMPLICAZIONI FILOSOFICHE. ............................................................................ 54
DAGLI OCCHI ALLA MENTE DEL TRADUTTORE. ......................................... 56
VIAGGIO VERSO IL CENTRO DELLA MEMORIA. .......................................... 61
CAPITOLO
TERZO:
INTERPRETAZIONE
CONSECUTIVA
E
SIMULTANEA: L’APICE E IL CUORE DELL’INTERPRETARIATO......... 69
PAROLE, APPUNTI, PAROLE: UN PERCORSO A 360° GRADI NELLA
MENTE DELL’INTERPRETE. ............................................................................... 73
L’INTERPRETE
COME
UN
COMPUTER:
LA
POTENZA
DELLA
SIMULTANEA. ........................................................................................................ 79
CONCLUSIONE.......................................................................................................91
ENGLISH SECTION
CHAPTER TWO: THE TRANSLATION’S MENTAL PROCESSES. .............93
TRANSLATORS AND LONG-TERM MEMORY. ................................................ 93
TRANSLATION AS A LOGICAL PROCESS. ....................................................... 98
TRANSLATION THEORY.................................................................................... 100
TRANSLATION PROBLEMS ............................................................................... 101
FROM THE EYES TO THE MIND OF THE TRANSLATOR............................. 104
A JOURNEY TO THE CENTRE OF MEMORY. ................................................. 107
SECCIÓN ESPAÑOLA
CAPITULO TRES INTERPRETACCIÓN CONSECUTIVA Y SIMULTANEA
EL ÁPICE Y EL CORAZÓN DE LA INTERPRETACIÓN. ...........................114
6
LOS PROCESOS MENTALES EN LA MEDIACIÓN CONSECUTIVA. ..... 117
TOMAR NOTAS. (LA TOMA DE NOTAS). ..................................................... 118
LOS SÍMBOLOS. ................................................................................................... 121
PALABRAS-APUNTES-PALABRAS: UN RECORRIDO POR COMPLETO EN
LA MENTE DEL MEDIADOR. ............................................................................ 122
EL
INTÉRPRETE
COMO
UN
ORDENADOR:
EL
PODER
DE
LA
TRADUCCIÓN SIMULTÁNEA............................................................................ 126
7
SEZIONE ITALIANA.
8
INTRODUZIONE.
L’obiettivo principale di questa tesi è quello di illustrare in maniera
esaustiva e più completa possibile la natura di una professione tanto complessa
quanto affascinante; la mediazione linguistica. Una professione dalle radici storiche
profondissime, che unisce popoli e supera qualsiasi barriera continentale utilizzando
solo il potere della parola e del linguaggio; ma che soprattutto, possiede aspetti e
caratteristiche assai peculiari, che caratterizzano in particolare i meccanismi mentali,
e neuronali della mente umana; caratteristiche che emergono in maniera alternata a
seconda che il rispettivo ambito di specializzazione sia la traduzione o
l’interpretariato di conferenza.
9
CAPITOLO PRIMO: IL CERVELLO E LA MEMORIA.
GLI
INTERPRETI:
I
SOLDATI
DEL
MONDO
CONTRO
L’INCOMUNICABILITA’ LINGUISTICA.
Fin dai tempi più antichi, fin dalle epoche più remote, vale a dire fin
da quando gli esseri umani hanno sviluppato il linguaggio, essi hanno cominciato una
battaglia quasi interminabile, una battaglia fatta di sconfitte e vittorie, contro un
problema più grande di qualsiasi esercito e più potente di qualsiasi arma;
l’incomunicabilità linguistica. Sin dall’antichità, bastava, infatti, che un popolo, per
qualsiasi motivazione, si spingesse oltre i propri confini che subito correva il rischio
di incontrare popolazioni differenti nella cultura, nelle tradizioni, nell’abbigliamento,
nell’architettura, nella religione, nell’alimentazione, e, quasi inevitabilmente, nei
canoni linguistici.
Gli esempi potrebbero essere praticamente infiniti; dal latino dei
Romani al greco dei filosofi di Atene, passando attraverso Spartani e Saraceni; dalle
simbologie di Egiziani e Sumeri, fino alle scoperte di Cristoforo Colombo e ai viaggi
di Maometto; fino ad arrivare alle guerre tra imperi prima, paesi poi, e alla nascita
dei primi rapporti internazionali tra gli stati e le nazioni di oggi. Eppure, all’interno
di ognuno di questi esempi si potrebbe riscontrare il passaggio di alcuni individui;
figure coraggiose che hanno lottato senza sosta brandendo armi ben più taglienti di
spade e coltelli e dalla portata più vasta di qualsiasi freccia, proiettile, o detonazione;
le parole. È grazie a queste persone, se sono state evitate guerre, o se è stato
necessario combatterle; se si siano formate nuove alleanze e se altre ancora si siano
sciolte, e se oggi le più alte istituzioni mondiali ed internazionali siano presidiate da
una così ampia gamma di linguaggi che riescono a comprendersi, rispettarsi e
coadiuvarsi nel benessere del pianeta e dei suoi abitanti. In passato forse erano noti
come “scribi”; poi sono diventati filosofi, poi poeti, poi forse illuministi, ma non
esiste epoca in cui sia stato possibile fare a meno di queste persone, e la storia deve
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loro molto onore e rispetto, quasi quanto quello che si osserva ai grandi statisti e
condottieri di paesi, guerre e rivoluzioni. Il passato li ha conosciuti con nomi molto
diversi, ma oggi agli occhi del mondo sono noti con nomi estremamente specifici.
“Interpreti”, “traduttori”; o più genericamente, “mediatori linguistici”. Da sempre
dunque l’attività degli interpreti e dei traduttori costituisce un punto fondamentale
nel processo della mediazione linguistica; tuttavia nel corso degli ultimi anni, e con
la progressiva crescita di prestigio ed utilità che ha portato questa professione ad
essere riconosciuta in maniera sempre più rilevante sul piano internazionale, sono
state poste molte domande; domande che hanno accompagnato questa professione fin
dai suoi albori, domande che con il progredire delle tecnologie, delle ricerche e degli
studi medici hanno acquisito sempre maggior rilevanza nei confronti di particolari
professioni come questa. Domande a proposito dei meccanismi e dei processi mentali
che un mediatore linguistico attiva nel corso di una traduzione scritta o di una
mediazione consecutiva o simultanea. L’assioma generale della mediazione
linguistica risiede nel concetto di “multi-linguismo”. È, infatti, assodato che questo
tipo di professione, sia con il proprio processo formativo, nonché con l’ambiente
lavorativo spesso multi-linguistico, porti i propri operatori a sviluppare una
particolare peculiarità cerebrale comunemente nota come il “bi o poliglottismo”;
sarebbe a dire quella capacità che permette ad un individuo di comprendere ed
esprimere un codice linguistico in 2 o più lingue esattamente nello stesso modo,
senza incappare in errori o problemi nella comprensione e trasmissione del
messaggio linguistico originale. Nel corso degli anni le ricerche mediche hanno
tentato di mettere sempre maggiormente in luce i processi mentali fondamentali che
caratterizzano la professione dei mediatori linguistici, giungendo, a seguito di
numerose analisi e di sperimentazioni approfondite, ad alcuni risultati eccezionali.
Uno dei principali traguardi raggiunti grazie all’attività congiunta di
anatomia medica ed indagine professionale riguarda il funzionamento dell’attività
cerebrale di interpreti bilingue o poliglotti; ed in particolare, ciò che avviene
all’interno del cervello nel momento in cui si apprende una nuova lingua. Le ricerche
in questo campo hanno evidenziato che, in genere, la lingua madre, (L1), ha una
rappresentazione
corticale
maggiormente
concentrata
nella
parte
centrale
11
dell'emisfero dominante sinistro, mentre le altre lingue, (L2, L3, ecc.), hanno una
rappresentazione corticale molto più estesa rispetto alla prima lingua.
Tuttavia, la domanda principale che quasi tutti gli studiosi di
neurologia e linguistica si pongono è:
<<che cosa si verifica nel cervello quando un individuo si appresta ad apprendere
più lingue?>>.
La risposta parte dal definire le caratteristiche generali di un soggetto
bilingue o poliglotta. Per gli esperti, qualsiasi individuo abbia la capacità di parlare
due o più lingue, sarà in grado, a livello cerebrale, di separare nettamente i sistemi
linguistici, e di esprimere, quindi, qualsiasi concetto in più di una lingua. Dal punto
di vista cerebrale, le indagini rivelano che l'acquisizione precoce, (fino all'età di sette
anni), e contemporanea di più sistemi linguistici, determina una lateralizzazione
dell'emisfero sinistro, rispetto a quanto accade, durante un apprendimento tardivo,
(dopo il settimo anno di età), di una seconda o terza lingua. In tal caso la loro
rappresentazione non riguarda solo l'emisfero dominante sinistro, ma anche quello
destro. Molti neurologi hanno elaborato diverse ipotesi sulla localizzazione degli
schemi linguistici all’interno del cervello di persone bilingui o poliglotte. In generale,
la maggioranza degli studi sulla lateralizzazione cerebrale nei bilingui e poliglotti è
stata effettuata con le più comuni tecniche di neuropsicologia sperimentale, come
l'ascolto dicotico1, o le prove di interferenza verbo-manuale. Vista, tuttavia, la
1 L’Ascolto Dicotico è una tecnica di analisi delle funzioni cognitive e cerebrali utilizzata in
psicologia e in neuroscienza per lo studio delle asimmetrie emisferiche, dell'attenzione e della
coscienza. Consiste nell’inviare, tramite una cuffia, due stimoli acustici simultanei e diversi, uno
all'orecchio destro e l’altro al sinistro, così da comprendere la velocità e la profondità con cui tendono
12
scarsità di risultati soddisfacenti, i ricercatori iniziarono ad utilizzare metodi
d’indagine molto più diretti; come la tecnica dell'iniezione intra-carotidea di sodio
amitale, (conosciuta anche come test di Wada2), e le più famose tecniche di neuro
immagine, (TAC3, RMN4, PET5, SPECT6). Un aspetto essenziale e controverso della
a diffondersi all’interno del sistema nervoso. <http://www.otoacusticapaganini.ch/glossario/124ascolto-dicotico.html>, (consultato il 2 Febbraio 2014, alle ore 11:03).
2
Il Test di Wada è una procedura medica, (brevettata negli anni 60 dal neurologo nippocanadese Juhn
Atsushi Wada), che prevede la somministrazione di una sedativo, (amobarbitale-sodico, sodium
methohexital, sodium amytal), per via carotidea, (alternativamente a destra e a sinistra), e, a seconda di
dove viene eseguita l'iniezione, permette di verificare a quale emisfero cerebrale faccia capo una
determinata funzione cognitiva. <http://psicologia.zanichellipro.it/voce/18129/wada-juhn-atsushiwada-test-di/>, (consultato il 4 Febbraio 2014, alle ore 10:44).
3
La Tomografia Assiale Computerizzata o TAC, (in inglese CAT, da Computer Axial Tomography), è
una metodica diagnostica per immagini, che sfrutta radiazioni ionizzanti, (raggi X), e che consente di
riprodurre sezioni o strati, (tomografia), corporei del paziente ed effettuare elaborazioni
tridimensionali. Per la produzione delle immagini è necessario l'intervento di un elaboratore di
dati,(computerizzata). <http://it.wikipedia.org/wiki/Tomografia_computerizzata>, (consultato il 28
Maggio 2014, alle ore 15:59).
4
La
Risonanza
Magnetica
Nucleare,
(RMN
o,
raramente,
RNM),
in
inglese
NuclearMagneticResonance, (NMR), è una tecnica di indagine sulla materia basata sulla misura della
precessione dello spin di protoni o di altri nuclei dotati di momento magnetico quando
sonoosottopostiiaduunccampommagnetico.
<http://www.humanitas.it/pazienti/diagnosi/risonanza-
magnetica/569-risonanza-magnetica>, (consultato il 28 Maggio 2014, alle ore 16:38).
5
La Tomografia a Emissione di Positroni, (o PET, dall'inglese Positron Emission Tomography), è una
tecnica di medicina nucleare e di diagnostica medica utilizzata per la produzione di bio-immagini,
(immagini del corpo). La PET fornisce informazioni di tipo fisiologico, a differenza di TC,
(tomografia compiuterizzata), e RM, (risonanza magnetica nucleare), che, invece, si limitano ad
analizzare morfologicamente il distretto anatomico esaminato. Grazie alla PET è possibile ottenere
mappe
degli
interi
processi
funzionali
all'interno
del
corpo.
<http://www.humanitas.it/pazienti/diagnosi/pet/4217-tomografia-ad-emissione-di-positroni-pet>,
(consultato il 7 Marzo 2014, alle ore 21:33).
6
La Tomografia ad Emissione di Fotone Singolo, meglio conosciuta con l'acronimo SPECT,
(dall'inglese Single Photon Emission Computed Tomography), è una tecnica tomografica di imaging
13
neuropsicologia dei soggetti bilingui e poliglotti è l'esistenza o meno in questi
soggetti di funzioni nervose e strutture neuronali differenti rispetto all'assetto
neuronale dei monolingui, (ad esempio sistemi atti alla traduzione e che regolano il
passaggio da una lingua all'altra, funzioni di controllo linguistico nelle varie modalità
di espressione, ecc.). Un gran numero di esperti ritiene che vi siano differenze
quantitative piuttosto che qualitative nei meccanismi neuronali linguistici dei bilingui
rispetto ai monolingui. Inoltre, quando un bilingue si esprime in una delle due lingue
che conosce, entrambe vengono attivate mentalmente, con un'inibizione parziale
della lingua che non viene parlata in quel momento. Secondo alcuni autori, i
meccanismi d’inibizione di una lingua che entrano in gioco mentre si parla una
seconda lingua sono simili ai meccanismi di selezione di una parola nei soggetti
monolingui. Il processo di selezione di una parola in un poliglotta o in un
monolingue è probabilmente simile. Anche la commutazione da una lingua all'altra,
(definita dagli esperti col termine languages witching), non sembra essere un
compito peculiare degli individui bilingui o poliglotti, ma più probabilmente un
processo che viene attivato in molte operazioni mentali in cui è necessario alternare
diverse modalità di risposta. Le basi neurofisiologiche di tale compito sono state
studiate recentemente dal professor Robert J. Zatorre7, che, nel 1989,affermò che, in
un ambiente sociale multilinguistico, il lobo frontale assume un ruolo fondamentale
nella regolazione del passaggio da una lingua ad un'altra.
medico della medicina nucleare che adopera una particolare tipologia di radiazione ionizzante; i raggi
gamma. Oltre alle caratteristiche in comune con le altre tecniche tomografiche, è anche in grado di
fornire
veri
dati
bio-topologici
in
3D.
<http://spazioinwind.libero.it/gastroepato/spect.htm>,
(consultato il 28 Maggio 2014, alle ore 16:03).
7
Celebre professore del dipartimento di neurologia e neurochirurgia del Montréal Neurological
Institute, (MNI). <http://www.zlab.mcgill.ca/home.php>, (consultato il 28 Maggio 2014, alle ore
15:45).
14
Molti degli studi realizzati su bilinguismo e poliglossia, con metodi di
Imaging funzionale come PET o RMN, hanno permesso ad alcuni autori di studiare i
processi alla base della comprensione del linguaggio in soggetti che avevano appreso
la seconda lingua dopo il settimo anno di età. I risultati della ricerca hanno
confermato l'ipotesi che l'emisfero sinistro sia preposto all'acquisizione della lingua
madre, mentre l'apprendimento tardivo della seconda lingua interessi aree molto
variabili. In questi ultimi anni molti ricercatori hanno concentrato i loro studi sulle
basi cerebrali del bilinguismo e, in particolare, su due questioni di fondamentale
importanza:
•
La rappresentazione del linguaggio;
•
Le correlazioni neurali riguardanti lo switching del linguaggio, (nonostante
che nella letteratura neuropsicologica i risultati non abbiano permesso di
identificare il circuito neuronale coinvolto in questo processo).
15
In un esperimento di elettro-fisiologia condotto all'Università di
Trieste, si è voluta ricercare la presenza di eventuali differenze di elaborazione
corticale del linguaggio tra persone monolingui e persone poliglotte, (interpreti
simultaneisti che parlavano da tre a sette lingue), che avevano imparato la seconda
lingua, (inglese), all’età media di undici anni. Tale ricerca, è stata incentrata
particolarmente sull'elaborazione cognitiva legata a due condizioni:
•
Il riconoscimento di frasi semanticamente scorrette, (sia per il gruppo
sperimentale che per il gruppo di controllo), che ha portato ad osservare delle
differenze nei processi elaborativi.
•
Il fenomeno dello switching, (che definisce un meccanismo che opera
automaticamente quando chi parla si sposta tra differenti lingue), per il solo
gruppo sperimentale.
Queste differenze hanno fornito indizi preziosi sulla diversità dei
processi soprastanti. Per quel che riguarda i dati comportamentali nel riconoscimento
delle frasi, i tempi erano minori se i soggetti di ambedue i gruppi rispondevano con
la mano destra, sottolineando, così, il ruolo dell'emisfero sinistro nella comprensione
del linguaggio. Per quanto riguarda i dati elettrofisiologici, ottenuti analizzando le
onde cerebrali, si è potuta osservare una maggior differenza di elaborazione corticale
tra emisfero destro ed emisfero sinistro nei soggetti monolingui; segno di una
maggior lateralizzazione della lingua nell'emisfero sinistro, rispetto ai soggetti
poliglotti, i quali, presentavano un'elaborazione corticale più diffusa nei due emisferi.
Tutto ciò sta ad indicare una maggiore simmetria della rappresentazione del
linguaggio nei due emisferi. Dai risultati di questo esperimento emerge un dato
fondamentale e molto interessante. Infatti, sebbene gli interpreti abbiano una perfetta
16
conoscenza di molte lingue, la rappresentazione della lingua madre nell'emisfero
sinistro è caratterizzata dalla modalità di accesso più immediato, rispetto a qualsiasi
altra in possesso dei mediatori.
Paul Broca,8 fu il primo a dimostrare un'asimmetria funzionale tra i
due emisferi cerebrali e a ritenere che quello sinistro presiedesse alla facoltà del
linguaggio articolato; e fu grazie agli studi condotti su di un paziente bilingue, che
riuscì ad ipotizzare una diversa lateralizzazione cerebrale per la prima e seconda
lingua. Esiste, quindi, un'organizzazione del linguaggio diversa in persone che
parlano una sola lingua rispetto a persone che ne parlano di più. Esse, infatti, hanno
una rappresentazione corticale più estesa rispetto alla lingua madre, che è
rappresentata più al centro nell'emisfero dominante sinistro. Nel corso degli anni,
sono state utilizzate tecniche sempre più avanzate per lo studio della localizzazione
delle lingue. Dal semplice ascolto dicotico, fino a metodi d'indagine più sofisticati,
come le tecniche di neuro-immagine. Queste ultime, hanno permesso di comprendere
i meccanismi processuali del linguaggio in soggetti che avevano appreso la seconda
lingua, (o le lingue successive), dopo il settimo anno d'età, rispetto soggetti che
avevano acquisito due, (o più), lingue prima dei sette anni; evidenziando, così, la loro
differente rappresentazione corticale. Con tali tecniche si è potuto esaminare che, i
processi semantici, in due diverse lingue, sono mediati da un sistema comune nei
bilingui o nei poliglotti che hanno appreso la seconda lingua dopo l'acquisizione
della prima. Negli ultimi anni, diversi ricercatori hanno rivolto un interesse
particolare non solo alla rappresentazione del linguaggio, ma anche alle correlazioni
8
Pierre-Paul Broca, (Sainte-Foy-la-Grande, Gironda, 1824 - Parigi 1880), è stato un celebre chirurgo
ed antropologo francese che, con le sue numerose ricerche, ha fornito importanti contributi in campo
anatomico, patologico, chirurgico ed antropologico. Le sue ricerche più famose sono quelle basate
sulle localizzazioni cerebrali e sulla sede del linguaggio. Nel 1861, i suoi interessi nei confronti della
craniometria, lo portarono ad identificare la circonvoluzione frontale inferiore dell'emisfero sinistro
come sede cerebrale del linguaggio; e ancora oggi, per descrivere gli effetti della lesione di quest’area,
(ribattezzata in suo nome come area di Broca), si utilizza il termine afasia di Broca.
<http://www.treccani.it/enciclopedia/pierre-paul-broca_(Dizionario-di-Medicina)/>, (consultato il 5
Febbraio 2014, alle ore 12:00).
17
neurali che lo rappresentano; e, tramite interessanti esperimenti elettro-fisiologici,
hanno tentato di mettere in luce le differenze di elaborazione cognitiva legate a questi
due tipi di soggetti. Grazie a tali esperimenti, gli studiosi hanno fornito indizi
preziosi sulla diversità dei processi soprastanti, osservando così anche la differenza
di elaborazione corticale tra i due emisferi cerebrali. I risultati hanno evidenziato che
la rappresentazione della prima lingua, (lingua madre), nei soggetti poliglotti è
rappresentata, esclusivamente, nell'emisfero sinistro, nonostante essi abbiano una
perfetta conoscenza anche di altre lingue.
Gli argomenti fin qui trattati danno un'idea della perfetta
organizzazione cerebrale per ciò che riguarda la rappresentazione del linguaggio dal
punto di vista fisiologico. Grazie a queste prime ricerche ed analisi, è infatti possibile
comprendere uno dei punti fondamentali riguardo al funzionamento della mente dei
mediatori linguistici; ovvero, il modo in cui gli interpreti riescono a suddividere
perfettamente i codici idiomatici di cui sono in possesso, passando senza problemi
dall’uno all’altro, per poi svolgere in maniera perfetta qualsiasi forma di mediazione,
sia orale che scritta. Un altro aspetto fondamentale, sul quale molte analisi e ricerche
si sono soffermate, riguarda le varie tipologie di memorizzazione che interessano
differentemente i traduttori e gli interpreti. Secondo gli esperti dunque, l’attività di
un mediatore linguistico è caratterizzata dall’utilizzo alternato delle due fondamentali
tipologie di memoria cerebrale; che si attivano grazie alla collaborazione di alcune
aree specifiche presenti nell’encefalo. Pertanto, in base al tipo di mediazione che un
interprete sarà chiamato a realizzare, la corteccia cerebrale risponderà in modi
diversi; ed attiverà diverse serie di processi neuronali allo scopo di comprendere il
messaggio linguistico e tradurlo nel modo più esaustivo e pertinente possibile
rispetto alla fonte originale di provenienza. Pertanto, prima di analizzare nello
specifico i processi mentali utilizzati da traduttori ed interpreti, è utile approfondire
la conoscenza della cosiddetta Memoria a Lungo Termine, e della Memoria a Breve
Termine; e per farlo, non possiamo non soffermarci, seppur brevemente, sulle
strutture anatomiche fondamentali del cervello e sul funzionamento neurologico delle
sue aree principali.
18
FUNZIONALITA’ ED AREE CEREBRALI.
Il cervello è la parte anteriore dell’encefalo, quella più sviluppata e
funzionalmente più importante nel sistema nervoso dei mammiferi; e il suo
funzionamento costituisce il fondamento primario dell’individualità biologica e
dell’identità personale. Da un punto di vista morfo-funzionale, il cervello può essere
visto come un insieme di sistemi neuronali parzialmente indipendenti, ciascuno
dedicato all’espletamento di una funzione specifica, come, per esempio, il controllo
del movimento, della visione, del linguaggio. Nell’identificazione del sistema
neuronale cerebrale concorrono, oltre alla funzione espletata, criteri anatomici,
fisiologici, embriologici, comparativi e per alcuni aspetti anche evolutivi.
Di forma ovoidale, con un peso medio di circa 1,350 grammi
nell’uomo, il cervello è contenuto nella scatola cranica e strutturalmente è diviso in
rombencefalo, mesencefalo e prosencefalo. Il rombencefalo è a sua volta suddiviso in
bulbo, ponte e cervelletto, mentre il prosencefalo è costituito dal diencefalo, (talamo
e ipotalamo), e dal telencefalo (emisferi cerebrali). I due emisferi, destro e sinistro,
sono separati superficialmente da una scissura mediana profonda, detta scissura
interemisferica, mentre nella profondità sono collegati, in precise aree cerebrali, dalle
fibre del corpo calloso di connessione. All’interno si trovano alcuni nuclei
voluminosi, detti gangli della base, e un sistema di cavità, o ventricoli, contenenti il
liquor cefalorachidiano prodotto dai plessi corioidei. Ciascun emisfero è a sua volta
suddiviso da altri solchi che delimitano quattro lobi, (frontale, parietale, temporale,
occipitale), il sistema limbico e svariate circonvoluzioni, il cui notevole ripiegamento
compatta un’ampia superficie, di circa mezzo metro quadrato, senza un
corrispondente aumento del volume cerebrale. Nel cervello si distinguono due
sostanze nervose fondamentali: la sostanza grigia9 della corteccia cerebrale e dei
9 Per Sostanza o Materia Grigia s'intende l'insieme dei corpi dei neuroni presenti nel nervasse.
L'accezione, "grigia", non corrisponde però a nessun reperto anatomico: tale "sostanza" si presenta,
infatti, alla sezione, (nonché alla colorazione di fissaggio), con vari colori, dal bianco, al rosa,
19
nuclei profondi telencefalici e diencefalici; e la sostanza bianca10 del centro ovale e
dei tratti di connessione.
I LOBI
L’area telencefalica del cervello si suddivide in ben quattro aree,
definite lobi; ciascuno dei quali svolge una funzione specifica e molto importante.
1. Lobo frontale.
Questo primo lobo costituisce la parte anteriore del cervello, e
contiene l’area corticale motoria e la corteccia premotoria. Al suo interno, inoltre,
sono elaborati e controllati i pensieri e le idee, ossia le attività psichiche superiori. Il
lobo frontale destro partecipa ai processi di apprendimento e memoria, mentre nella
parte sinistra, (area di Broca), si formano e si controllano le parole. Pertanto, nella
parte anteriore del lobo frontale, (corteccia prefrontale), si svolgono le funzioni
cognitive superiori, mentre la parte posteriore è addetta alla gestione dei movimenti.
all'azzurrino. Pertanto, la definizione, “grigia”, è utilizzata principalmente allo scopo di differenziarla
dalla controparte bianca del sistema nervoso centrale. <http://www.neuroscienze.net/?page_id=116>,
(consultato il 28 Maggio 2014, alle ore 16:40).
10
In anatomia, la Sostanza Bianca è cosituita dai fasci di fibre nervose, (sia ascendenti che
discendenti), che uniscono l'encefalo e il midollo spinale. I fasci appaiono bianchi a causa del
rivestimento dato dalla mielina. <http://it.wikipedia.org/wiki/Sostanza_bianca>, (consultato il 28
Maggio 2014, alle ore 16:48).
20
2. Lobo parietale.
Questo secondo lobo è localizzato nella parte superiore del cervello e
contiene l’area somestesica primaria cui afferiscono gli stimoli tattili, dolorifici,
pressorici e termici. La parte sinistra è dominante ed amministra la comprensione del
linguaggio parlato e scritto, la memoria delle parole e le capacità matematiche. Il
lobo parietale destro, invece, controlla le attività visuo-spaziali, (attività non verbali),
come la ricostruzione di un’immagine visiva e la capacità di orientarla nello spazio e
farla ruotare, o la percezione della traiettoria di un oggetto in movimento ed il
corretto posiziona mento delle varie parti del corpo.
3. Lobo temporale.
Il terzo lobo è situato nella parte inferiore degli emisferi cerebrali e
costituisce la sede dell’area acustica. Esso elabora anche l’affettività, i rapporti
interpersonali, le reazioni emotive, i comportamenti istintivi, il riconoscimento
visivo, la percezione uditiva e la memoria. Il lobo temporale sinistro comprende il
linguaggio parlato e sceglie le parole, (grazie all’area di Wernicke11). Il lobo
temporale destro permette, invece, di comprendere l’intonazione del discorso e la
sequenza dei suoni. Un’ulteriore parte integrante del lobo temporale è costituita dal
sistema limbico.
11
L'area di Wernicke è una parte del lobo temporale del cervello le cui funzioni sono coinvolte nella
comprensione del linguaggio. Fa parte della corteccia cerebrale, ed è connessa all'area di Brocada un
percorso neurale detto fascicolo arcuato. Il suo nome deriva da Carl Wernicke, celebre psichiatra e
neurologo tedesco, che nel 1874, ispirandosi agli studi di Broca, scoprì che un danno a quest'area
causava un tipo particolare di afasia, (conosciuta oggi come afasia di Wernicke). Nei pazienti che ne
erano affetti, il linguaggio parlato preservava la propria fluidità, ma la struttura del discorso era
totalmente priva di senso logico; e in alcuni casi, anche la comprensione del linguaggio parlato era
fortemente compromessa. <http://it.wikipedia.org/wiki/Area_di_Wernicke>, (consultato il 6 Aprile
2014, alle ore 9:51).
21
4. Lobo occipitale.
Ultimo, ma non meno importante, il lobo occipitale. Situato nella
parte posteriore del cervello, è addetto all’elaborazione delle immagini catturate dagli
occhi e dai recettori del nervo ottico. Al suo interno risiedono moltissimi neuroni
specializzati nel riconoscimento e nell’elaborazione dei particolari di un’immagine.
Nel lobo occipitale vengono, inoltre, integrate tutte le informazioni visive, comprese
quelle che influenzano la postura e l’equilibrio.
ORGANIZZAZIONE FUNZIONALE DELLA CORTECCIA.
La corteccia cerebrale costituisce il più alto livello d’integrazione e
pianificazione del sistema motorio. Grazie ad essa si controllano la coscienza, il
pensiero, la memoria e l’intelligenza. Dalla corteccia provengono, inoltre, tutte le
afferenze sensitive, (in particolare, quelle del talamo), che vengono percepite a
livello cosciente e interpretate in base a precedenti esperienze. La parte posteriore del
cervello riceve le informazioni sensitive dal mondo esterno tramite le aree sensitive
primarie, (somestesiche), del lobo parietale, del lobo occipitale, (aree visive), e del
lobo temporale, (aree acustiche). Tali informazioni vengono poi elaborate, secondo
una modalità percettiva specifica, nelle zone corticali adiacenti; così da permettere
l’identificazione degli oggetti tramite le sfere sensoriali, (tatto, vista e udito). Le aree
corticali poste alla confluenza dei tre lobi cerebrali, (dette anche aree associative),
presiedono al riconoscimento visuo-spaziale dell’ambiente circostante. La fascia
mediale degli emisferi cerebrali, (sistema limbico), consente l’immagazzinamento e
il recupero delle informazioni elaborate nella parte posteriore degli emisferi. La parte
anteriore del cervello, (lobi frontali), è deputata all’organizzazione del movimento,
(aree motorie primarie, supplementari e pre-motorie), e alla pianificazione del
comportamento motorio complesso nel tempo, (area prefrontale). Infine, le aree
associative della corteccia frontale, parietale e temporale dell’emisfero sinistro, (che
22
è pertanto ritenuto dominante nel controllo del linguaggio), sono responsabili della
comprensione e dell’espressione linguistica.
SISTEMA LIMBICO.
Il Sistema Limbico deriva il suo nome dal termine latino limbus,
“fascia”, e dalla peculiare posizione anatomica di confine tra il margine mediale
degli emisferi e il diencefalo. E’ costituito da strutture cerebrali multiple, con
intricate connessioni neuronali, spesso costituite da circuiti riverberanti, che
convergono tutte in ultimo all’ipotalamo. Le vie afferenti a esso partono, invece,
dalle aree corticali associative parieto-occipitali, (funzione percettivo-spaziale), e
presiedono al controllo dei movimenti, dei comportamenti istintivi più primitivi, a
quello dell’omeostasi e di numerose funzioni psichiche come l’emotività, il
comportamento, la memoria a lungo termine e l’olfatto. A sua volta il Sistema
Limbico è in grado di influenzare le risposte motorie, adeguandole alle informazioni
che riceve dall’esterno. All’interno del sistema limbico, due sono le strutture
cerebrali più importanti; l’amigdala e l’ippocampo. L’amigdala è implicata nella
segnalazione alla corteccia di stimoli motivazionali, associati a reazioni di paura,
ricompensa, e areazioni emotive, quali per esempio l’attrazione sessuale. Essa si
trova in vicinanza del polo temporale, e riceve fibre afferenti dalla corteccia
associativa temporale, dal setto e dal tratto olfattivo, oltre che fibre
catecolaminergiche12 e serotoninergiche13 dal tronco encefalico; e proietta in ultimo
12
Le Catecolaminergiche sono particolari fibre situate all’interno del tronco encefalico alimentate
dalle
catecolamine,
e
suddivise
in
adrenalina,
noradrenalina
e
dopamina
.<http://www.psicologia1.uniroma1.it/static/didattica/IdInsegnamento_913.shtml>, (consultato il 10
Febbraio 2014, alle ore 13:20).
13
Le Serotoninergiche, diversamente dalle Catecolaminergiche, sono fibre cerebrali che sfruttano la
serotonina, un neurotrasmettitore sintetizzato da specifici neuroni del sistema nervoso centrale e
23
all’ipotalamo14. L’ippocampo, (che analizzeremo in un secondo momento), è
costituito dall’ippocampo propriamente detto, dal giro dentato, dalle aree della
circonvoluzione dell’ippocampo e del lobo temporale. Riceve fibre dalla corteccia
entorinale15, e veicola le proprie informazioni, tramite il fornice, (particolare struttura
curvata a cupola, o a forma ci “C”, che lo mette in comunicazione con le cellule
mammillari), e i corpi mammillari16, che rappresentano le terminazioni del fornice
stesso. Tale struttura cerebrale è implicata nella formazione delle tracce di memoria a
lungo termine e nell’orientamento spaziale tramite mappe cognitive. Appartengono
al Sistema Limbico inoltre il talamo, una stazione di ricezione e ritrasmissione della
corteccia cerebrale; l’ipotalamo, e il bulbo olfattivo, il principale centro cerebrale
deputato alla recezione e all’elaborazione degli stimoli di natura olfattiva.
responsabile del controllo e della regolazione dell’umore. <http://etd.adm.unipi.it/t/etd-10032013103140/>, (consultato il 3 Marzo 2014, alle ore 15:39).
14 L'Ipotalamo è una struttura del sistema nervoso centrale situata nella zona centrale interna ai due
emisferi cerebrali. Comprende numerosi nuclei che attivano, controllano e integrano i meccanismi
autonomi periferici, l'attività endocrina e molte funzioni quali la termoregolazione, il sonno, il
bilancio
idro-salino
e
l'assunzione
del
cibo.
<http://lnx.endocrinologiaoggi.it/category/argomenti/ipotalamo-ipofisi/>, (consultato il 3 Marzo, alle
ore 17:10).
15
La Corteccia Entorinale è una parte della formazione dell’ippocampo, situata nelle regioni mediali
dei lobi temporali. Oltre ad essere collegata al circuito multi sinaptico dell’ippocampo, presenta
numerosi
collegamenti
con
vaste
regioni
della
corteccia
cerebrale.
<http://genmic.unipv.eu/site/home/ricerca/articolo80002951.html>, (consultato il 7 Marzo 2014, alle
ore 21:03).
16
I Corpi Mammillari sono due rilievi dalla forma simile a quella delle mammelle, situati nella parte
più interna anteriore del diencefalo, posteriormente al chiasma ottico. Ciascuno di essi possiede nuclei
propri, divisibili in mammillare mediale e mammillare laterale. Questi ricevono fibre afferenti
dall'ippocampo per mezzo di fibre che seguono il fornice e inviano a loro volta efferenze ai nuclei
anteriori del talamo, (mediante il fascio mammillo-talamico). Si stima che essi siano implicati nei
processi
che
regolano
l'emozione,
la
memoria
e
l’apprendimento.
<http://www.corriere.it/salute/dizionario/corpo_mammillare/index.shtml>, (consultato il 5 Marzo
9:17).
24
FUNZIONI CEREBRALI SUPERIORI.
Le Funzioni Cerebrali Superiori sono funzioni complesse quali la
memoria, il linguaggio, la capacità di ragionamento, di pianificazione, di risolvere un
problema, nonché la percezione e l’azione. Ancora oggi, nonostante le numerose
ricerche, non è stato possibile identificare la totalità dei substrati cerebrali implicati
nell’attivazione di tali processi. È stato, tuttavia, possibile scoprire che il segnale
informativo viene recepito dalle aree sensoriali primarie per giungere, con un
processo a tappe che coinvolge le aree associative polimodali17, fino alle aree
motorie. Le Funzioni Cerebrali Superiori più complesse sono generate,
probabilmente, dalla coordinazione delle attività delle diverse aree associative. In
particolare le associazioni fra la corteccia parietale e quella prefrontale
sembrerebbero le principali responsabili delle funzioni superiori, più vicine pertanto,
a quei processi generalmente definiti come intelligenza, apprendimento, linguaggio,
memoria, sensazione e percezione. Le FCS utilizzano le informazioni elaborate dalle
aree sensoriali per formulare concetti complessi che possono essere comunicati,
ricordati, (a breve o a lungo termine), usati per creare nuove idee, associazioni e
scopi, o che possono essere sviluppati in un’azione. Per esempio, il poter udire e
distinguere tra loro una serie di suoni quando si ascolta qualcuno parlare, dipende
dalle funzioni uditive di base. Alle FCS, invece, si deve la capacità di riconoscere
nella sequenza di questi suoni, parole e frasi di significato compiuto, che conterranno
le informazioni principali del discorso, e che, una volta ricollegate a concetti già noti,
potranno essere riorganizzare per formulare delle nuove idee che verranno poi
comunicate all’interlocutore, e che, in seguito, potranno essere ricordate e combinate
17
Le Aree Associative Polimodali sono ritenute dagli esperti il substrato anatomico delle funzioni
superiori e sono particolarmente sviluppate nei primati e nell’uomo. Sono probabilmente generate
dall’interazione d’informazioni provenienti da numerose strutture corticali che possono risiedere in
entrambi gli emisferi cerebrali. <http://www.slideshare.net/ivamartini/lezione-24-aree-asociative>,
(consultato il 18 Marzo 2014, alle ore 8:37).
25
con altre idee, dando origine a concetti o informazioni in base alle quali sarà
possibile pensare e/o agire.
I MECCANISMI DELLE FUNZIONI CEREBRALI SUPERIORI.
I meccanismi responsabili delle funzioni sensoriali di base, così come
quelli responsabili delle funzioni motorie di base, sono state, complessivamente,
chiarificati. Invece, per quel che riguarda le FCS e i substrati cerebrali implicati in
tali processi, le conoscenze sono ancora profondamente incomplete; anche se la
maggior parte degli studi indica le aree corticali associative polimodali, come il
substrato neurale di tali funzioni. Già Carl Wernicke aveva ipotizzato che le FCS, e
in particolare il linguaggio, fossero processi derivanti dall’interconnessione di
sistemi che investono più aree funzionali cerebrali, e quindi, da connessioni
associative che legano fra loro aree diverse. In contemporanea, John Hughlings
Jackson18, aveva proposto che la corteccia cerebrale avesse un’organizzazione
gerarchica, e che alcune aree corticali non svolgessero funzioni esclusivamente
sensoriali o motorie ma funzioni integrative superiori. L’ipotesi corrente è che le
FCS emergano dall’integrazione d’informazioni che provengono da numerose
strutture corticali che possono risiedere in entrambi gli emisferi; e che tale
integrazione venga svolta dalle aree associative. Le FCS sono altamente
interconnesse; basti pensare all’inscindibile relazione tra la memoria dichiarativa,
18
John Hughlings Jackson, (Providence Green, 4 Marzo 1835 – Londra,7 Ottobre 1991), è stato un
neurologo britannico. Durante la sua carriera ha pubblicato oltre 300 articoli, ed è divenuto un’icona
della neurologia moderna. Con il suo lavoro ha contribuito in modo decisivo allo studio e alla
comprensione dell’afasia e dell’epilessia in tutte le sue forme. Uno dei suoi più grandi lasciti è
costituito dalla teoria del funzionamento neurologico e cerebrale come struttura gerarchica, che ha
fortemente
influenzato
studiosi
e
neurologi
di
successo.
<http://www-
3.unipv.it/webchirneuro/didattica/conoscere/definition/jackson.htm>, (consultato il 5 Marzo 2014, alle
ore 18:16).
26
(memoria episodica e memoria semantica), e il linguaggio; o tra la percezione e la
memoria; anche se, per motivi di semplicità di analisi, queste funzioni vengono in
genere trattate separatamente. Tramite quest’analisi strutturale del sistema nervoso e
del cervello possiamo dunque dedurre che il processo logico-interpretativo, sul quale
si fondano l’interpretariato e la traduzione, passi attraverso la sfera sensoriale, prima
di giungere alle varie aree cerebrali e nei centri della Memoria a Lungo e Breve
Termine. Così, come una traduzione avrà bisogno della sfera visiva, e dunque del
lobo occipitale per poter essere correttamente assimilata ed inviata ai lobi frontale e
parietale; cosi l’interpretariato di conferenza avrà bisogno, nel caso della
consecutiva, di un’azione congiunta tra la sfera sensoriale visiva e quella uditiva; di
un coinvolgimento multiplo di Memoria a Lungo Termine e Memoria a Breve
Termine e di una collaborazione tra, addirittura, tutti e 4 i lobi; mentre, per quanto
riguarda la simultanea, di un corretto connubio tra i lobi temporale, frontale, e la
parte sinistra di quello parietale. A questo punto, dopo aver compreso
sommariamente quali sono i funzionamenti principali del cervello e delle sue aree
più importanti, addentriamoci in maniera più profonda nell’ambito della memoria,
così da poter analizzare, in modo più approfondito, un’altra parte dei processi chiave
della mediazione linguistica.
27
I MECCANISMI DELLA MEMORIA
Un tema di grandissimo interesse riguarda la comprensione delle
modalità di sviluppo delle capacità di apprendimento, dei meccanismi della memoria
e delle caratteristiche del cosiddetto oblio19. Questa conoscenza può aiutare a
migliorare le prestazioni professionali e i rapporti umani. Pertanto, procediamo
gradualmente e cominciamo ad affrontare quest’analisi fin dai suoi aspetti più
basilari.
NEUROFISIOLOGIA DELLA MEMORIA: APPRENDIMENTO E MEMORIA.
L’apprendimento è il processo mediante il quale si acquisiscono
nuove conoscenze, mentre la memoria è quella che permette di conservare nel tempo
le conoscenze. Apprendimento e memoria sono dunque due processi fondamentali
per l’unicità di ciascun individuo. Nello studio della memoria si deve distinguere la
Memoria a Lungo Termine da quella a Breve Termine, (o Recente). È oramai
accertato che nell’evocazione dei ricordi interagiscono ben tre processi; uno per gli
eventi del momento, un altro per quelli avvenuti in un tempo molto recente, (ore o
19
L'Oblio rappresenta la dimenticanza intesa come fenomeno non temporaneo, ovvero non dovuto a
distrazione o perdita temporanea di memoria, ma come stato più o meno duraturo, vale a dire come
scomparsa o sospensione del ricordo con un particolare accento sullo stato di abbandono del pensiero
e del sentimento. Viene spesso erroneamente confuso con il concetto di amnesia, ma con esso non
condivide né la durata del fenomeno, (tipicamente temporaneo nell’amnesia), né il carattere di
abbandono della volontà e del sentimento, (tipico invece dell'oblio). Per la psicologia moderna, Il
concetto di oblio è collegato ad alcune funzioni specifiche della memoria. Sigmund Freud identifica
l'oblio come una delle facoltà difensive della mente umana, che per protezione tende a rimuovere
contenuti mnemonici e pensieri ritenuti minacciosi, i quali, tuttavia, rimangono inconsci e repressi
nelle profondità del subconscio. <http://freeondarevolution.blogspot.it/2010/12/pensiero-memoria-ecervello-tra-ricordo.html>, (consultato il 5 Marzo 2014, alle ore 15:20).
28
giorni), ed un terzo per i ricordi più remoti, (mesi o anni). La Memoria a Breve
Termine è spesso perduta a seguito di traumi cerebrali o malattie nervose; quella
remota è invece particolarmente resistente. Wilder Penfield20, fu il primo neurologo
che cercò d’individuare l’area della corteccia destinata alla memoria. Stimolando
elettricamente alcune aree del cervello, osservò che talvolta a tale stimolazione
seguiva la descrizione del ricordo di un’esperienza passata da parte del paziente. Tali
“ricordi” venivano rievocati stimolando i lobi temporali. Durante la stimolazione il
paziente aveva l’impressione di rivivere l’esperienza che stava ricordando. Si poteva
avere accesso ad un particolare ricordo stimolando un’area ben precisa del lobo
temporale. La stimolazione di altre parti del lobo temporale provocava in alcuni
pazienti un cambiamento nell’interpretazione dell’ambiente, per cui essi si sentivano
estranei in un ambiente familiare, o, al contrario, avevano la sensazione di familiarità
di fronte ad eventi nuovi, (“fenomeno del già visto”). Un altro fenomeno che
interessava i ricercatori e i neurologi era quello costituito dalla perdita di memoria in
occasione di eventi causa di traumi o shock cerebrali, (“amnesia retrograda”). Infine,
le indagini neurochirurgiche hanno dimostrato che l’asportazione parziale del lobo
temporale, a fini terapeutici di malattie come l’epilessia, può determinare una perdita
della memoria recente, e, di conseguenza, un’incapacità di trasferimento
dell’esperienza appresa alla memoria remota. Le più recenti ricerche hanno stabilito
che le informazioni vengono immagazzinate in tre depositi differenti da cui possono
essere successivamente richiamate.
20
Wilder Penfield, (Spokane, 26 Gennaio 1891 – Montréal, 1976), è stato un celebre neurologo
canadese che ha dato contributi di grande importanza allo studio del tessuto nervoso, di malattie
neurologiche, (in particolare dell'epilessia), e delle tecniche di chirurgia cerebrale. Fu uno dei primi ad
applicare la stereotassi, tecnica che consiste nello stimolare selettivamente zone assai piccole di
tessuto nervoso cerebrale per mezzo di aghi o di elettrodi. Tramite essa fece la sua scoperta più
sorprendente: la stimolazione di determinate aree del cervello provoca la rievocazione di ricordi, ossia
può far rivivere con grande chiarezza avvenimenti del tutto dimenticati, talvolta con le sensazioni,
(suoni,
odori),
ad
essi
associati.
<http://psychology.jrank.org/pages/480/Wilder-Graves-
Penfield.html>, (consultato il 5 Marzo 2014, alle ore 11:23).
29
1. La Memoria Sensitiva.
Il primo deposito mnemonico del cervello è costituito dalla memoria
sensitiva. Essa è in grado di trattenere per pochi attimi le informazioni che
provengono dagli organi di senso, scartandone fino al 75%. Del rimanente 25%, solo
meno dell’1% viene selezionato dall'area del linguaggio e immagazzinato
nella Memoria Primaria, (Memoria a Breve Termine), il deposito più limitato
dell'encefalo.
2. L'Encefalo.
E’ il secondo deposito cerebrale, in grado di astrarre impressioni
figurate, verbalizzare quanto appreso e associarlo alle informazioni precedenti.
Maggiori sono le possibili associazioni e più è facile che quanto appreso sia ricordato
per lunghi periodi. Le informazioni sono trattenute nella memoria primaria per un
periodo che varia da pochi secondi a diversi minuti. Come abbiamo costatato, la
trasmissione di una qualsiasi informazione dalla memoria primaria a quella
secondaria è frutto di un processo mnemonico delicato e basato essenzialmente su
una sola domanda: <<Chi decide quale nozione deve essere ricordata e quale,
invece, va dimenticata?>>.
3. L'Ippocampo.
L'ippocampo è una formazione nervosa situata sul margine inferiore
dei ventricoli laterali, sopra il cervelletto. Fa parte del sistema limbico, che è la zona
del cervello deputata a gestire le emozioni. Tutte le aree del sistema limbico,
(strettamente collegate all'ipotalamo), regolano i comportamenti riguardanti i bisogni
primari per la sopravvivenza dell'individuo e della specie; il mangiare, il bere, il
procurarsi cibo e le relazioni sessuali, nonché, per una specie evoluta come l'uomo,
l'interpretazione dei segnali provenienti dagli altri individui e dall'ambiente. Questa
zona del cervello gestisce anche le emozioni, i sentimenti e pertanto anche la nostra
30
percezione della realtà. Poiché l'ippocampo si occupa di selezionare le informazioni
da trasferire nella memoria secondaria, ne deriva che l'apprendimento e l'oblio sono
notevolmente influenzati sia dalle emozioni positive, che da quelle negative. Se si
prova disgusto per una materia, infatti, le possibilità di apprenderla sono assai
scarse. Un apprendimento di base positivo, (apprendimento giocoso), stimola la
regolarità del ritmo di trasferimento nella memoria secondaria; al contrario, un
atteggiamento negativo rallenta significativamente i meccanismi mnemonici,
rendendo, di conseguenza, più difficile l'apprendimento.
(fig. a)
31
(fig. b)
COME
LE
INFORMAZIONI
VENGONO
IMMAGAZZINATE
NELL’ENCEFALO.
Grazie ai numerosi studi neurologici è stato possibile costatare che,
qualora alcune parti dell'encefalo venissero distrutte da un trauma, come ad esempio
un ictus, le informazioni specifiche, immagazzinate al loro interno, non andrebbero
perdute. Gli studi, infatti, evidenziano che, nel cervello, non esistono zone in cui è
possibile memorizzare singoli dati, (come all’interno del disco fisso di un
computer). Al contrario, durante la memorizzazione, ogni informazione sarà ripartita
attraverso un complesso di cellule della memoria. Nel momento in cui si richiamerà
alla memoria un eventuale dato o elemento, al cervello sarà sufficiente una piccola
parte del modello, (un’associazione), per ricostruire o rievocare l'intero concetto o
evento. Nel caso in cui, invece, diverse associazioni dovessero essere utilizzate per
modelli simili, si potrebbero generare confusioni. L'encefalo, in conclusione, non
sarà in grado di memorizzare dati come fossero una fotografia, ma si avvarrà di una
lunga serie di associazioni, tramite un procedimento simile all'ologramma; ed anche
32
quando non tutti i dati siano richiamati, sarà comunque in grado di ottenere
un'immagine intera, anche se sfocata, del dato mnemonico desiderato, (fig. c).
Memoria
Seriale
Memoria
Associativa
(fig. c)
E’ arrivato ora il momento di occuparci direttamente della memoria e
delle sue forme principali. Possiamo dividere la memoria in due tipologie principali:
la Memoria a Lungo Termine e la Memoria a Breve Termine.
33
La Memoria a Lungo Termine, (abbreviata in MLT), è definita come
quella memoria, contenuta nel cervello, caratterizzata da una durata variabile che va
da qualche minuto fino a molti anni. I primi modelli di funzionamento della memoria
tendevano ad inserirla in un gruppo di tre “magazzini”; la Memoria a Lungo
Termine, la Memoria Sensoriale, (che trattiene per brevissimo tempo le informazioni
sensoriali in arrivo), e la Memoria a Breve Termine, (capace di trattenere per pochi
minuti un numero di informazioni medio di sette elementi). Paragonando il sistema
cognitivo umano a quello di un computer, i neurologi hanno affermato che la
Memoria a Lungo Termine svolge una funzione paragonabile a quella dei dispositivi
utilizzati per l’immagazzinamento dei dati; come gli Hard Disk o i DVD. Qualsiasi
informazione è, dunque, memorizzata per un periodo di tempo che supera il
momento contingente, e che, potenzialmente, finisce solo con la distruzione del
supporto, (o la morte del soggetto). La Memoria a Lungo Termine è considerata
virtualmente illimitata, ma la riattivazione di un'informazione può essere impedita
dall'incompletezza delle associazioni necessarie alla sua identificazione.
Un discorso assai diverso, invece, va fatto per la Memoria a Breve
Termine, (MBT), definita spesso anche come “Memoria Temporanea”, poiché
comunemente
legata
ad
eventi
o
processi
mentali
finalizzati
ad
un
immagazzinamento dati parziale e superficiale, che tenderà ad esaurire la propria
durata in maniera direttamente proporzionale alla durata dell’evento o del processo
mentale in questione. Nella Memoria Temporanea, (a Breve Termine), si verifica un
rapido deterioramento delle informazioni, mentre la Memoria a Lungo Termine, è in
grado di conservarle in modo estremamente più stabile, (data la sua localizzazione
nelle profondità sinaptiche dell’Ippocampo). L'informazione che arriva alla MBT, se
non è oggetto di attenzione, comincia subito a cancellarsi anche se, mediante una
ripetizione, può essere ricostruita e ripristinata. La capacità della Memoria a Breve
Termine di un qualsiasi soggetto è quindi limitata. Pertanto, se un'informazione non
viene ripetuta con sufficiente frequenza, finirà inevitabilmente per scomparire. Il
complesso dei dati presenti in ogni istante nella Memoria a Breve Termine viene
detto, “Cuscinetto di Ripetizione o di Ripristino”. L'informazione verrà conservata al
suo interno finché non sarà trasferita nella Memoria a Lungo Termine o finché non
34
verrà rimpiazzata da una nuova serie di informazioni. Nel cervello esistono due
diversi metodi che consentono di immagazzinare informazioni e di attivare quella
che
noi
chiamiamo
"Memoria";
il
Potenziamento
a
Lungo
Termine e
il Potenziamento a Breve Termine. Il secondo è quello coinvolto nella creazione
della Memoria a Breve Termine, e consiste in un’alterazione temporanea delle
sinapsi coinvolte, che vengono ipersensibilizzate tramite la sintesi di nuovi recettori
di membrana. Il Potenziamento a Lungo Termine, invece, richiede più tempo e
coinvolge anche vie metaboliche differenti, che andranno ad attivare proteine in
grado di rinforzare in maniera molto più duratura le sinapsi. La struttura cerebrale
principale
coinvolta
nella
generazione
della
memoria
è
la
formazione
dell’Ippocampo. E’ stato dimostrato, che, al suo interno, si verifica il processo di
Potenziamento a Lungo Termine, e che eventuali danni alle sue strutture causeranno
una grave amnesia anterograda. Studi più recenti, suggeriscono che l'Ippocampo e le
cortecce circostanti, (Corteccia Entorinale), svolgono, per così dire, un ruolo di,
“smistamento pacchi”. Le informazioni che verranno memorizzate, dovranno essere
trasmesse alle aree cerebrali più interne; ma, dato che lesioni, anche molto gravi, non
provocano casi di amnesia retrograda, (ovvero, cancellazioni della memoria
accumulata precedentemente), gli esperti ritengono che probabilmente, la memoria
già immagazzinata debba essere registrata altrove; probabilmente, all’interno delle
aree associative delle cortecce prefrontale e frontale.
LE VARIE FORME DI MLT.
La Memoria a Lungo Termine è generalmente divisa in due grosse
categorie: la Memoria Dichiarativa e la Memoria Procedurale.
La Memoria Dichiarativa, riguarda tutte le conoscenze esplicite, (vale
a dire esprimibili a parole), che si hanno sul mondo; variando dalla collocazione di
un barattolo di caffè, al testo completo dell'Iliade. La Memoria Procedurale, al
contrario, non è verbalizzabile, e invece di essere una "memoria di qualcosa", è una
35
memoria che riguarda il “fare qualcosa”, come ad esempio, l'andare in bicicletta o il
disegnare. La Memoria Dichiarativa viene codificata nelle aree cerebrali citate
precedentemente, e successivamente depositata nelle aree associative; mentre la
Memoria Procedurale è probabilmente codificata ed immagazzinata nel corpo
striato21 e nel cervelletto;22 infatti, lesioni alle cortecce ippocampali ed entorinali
possono compromettere, selettivamente, l'apprendimento di nuove nozioni,
lasciando, tuttavia, intatta la capacità di apprendere nuovi compiti motori. In pratica,
un individuo del genere può imparare un nuovo compito motorio, pur dimenticando
il fatto stesso di averlo imparato. La Memoria Dichiarativa, a sua volta, può essere
suddivisa in altre sottocategorie. Tra queste citiamo, la Memoria Semantica, che
riguarda conoscenze generali sul mondo esterno, (come ad esempio tutto quello che
una persona sa sui koala); e la Memoria Episodica, che, come suggerisce il nome,
riguarda specifici episodi o avvenimenti, (come ad esempio la caduta del muro di
Berlino), e le loro circostanze. Altri tipi di memoria sono, la Memoria
Autobiografica, che non è altro che un sottoinsieme della Memoria Episodica,
riguardante specifici episodi della vita della persona che sta ricordando; e la
21
Lo Striato, o Corpo Striato, (in latino corpus striatum), detto anche nucleo della base, e nucleo
caudale, è una parte sottocorticale del telencefalo. È noto per il suo ruolo nella pianificazione e nella
modulazione dei movimenti, ma è coinvolto in una varietà di processi cognitivi che coinvolgono la
funzione esecutiva. È attivato da stimoli, inattesi o intensi, associati alla ricompensa, o all’avversione.
Deve il suo nome alla particolare organizzazione strutturale che lo caratterizza. E’, infatti, composto
da un'alternanza di formazioni grigie intersecate da fasci di sostanza bianca, che conferiscono alla
struttura quel particolare aspetto "striato". <http://it.wikipedia.org/wiki/Striato>, (consultato il 5
Marzo 2014, alle ore 19:50).
22
Il Cervelletto è una parte del sistema nervoso centrale, situato nella fossa cranica posteriore, che, nel
complesso, si presenta come una formazione grossolanamente ovoidale, dal peso di circa 130-140
grammi. E’ principalmente coinvolto nell'apprendimento, nel controllo motorio e in quello del
linguaggio, nell'attenzione, e in alcune funzioni emotive come la risposta alla paura o al piacere.
Tuttavia, sebbene sia ampiamente coinvolto nel controllo del movimento, non è in grado di darvi
origine in alcun modo. <http://www.sapere.it/enciclopedia/cervellétto.html>, (consultato il 6 Marzo
2014, alle ore 20:00).
36
Memoria Prospettica, che non riguarda, come le altre, eventi passati ma eventi futuri,
(come la scadenza di una bolletta, o un appuntamento medico o scolastico).
Alla fine di queste prime considerazioni ed osservazioni che abbiamo
analizzato, possiamo giungere alla conclusione che; la mediazione linguistica sia una
professione basata sulla successione e connessione di più processi mentali, nonché di
diverse funzionalità cerebrali, alcune intrinseche, (frutto di tutte le esperienze
didattiche e di vita di una persona), ed altre estrinseche, (vale a dire, quelle ottenute e
perfezionate tramite l’esercizio di un qualsiasi mestiere o di una qualsiasi
professione). Dunque, nel nostro specifico caso, cercheremo di soffermarci
parallelamente sia sull’aspetto traduttivo che su quello interpretativo; in modo da
collegare tra loro, nel modo più semplice e diretto possibile, tematiche complesse
quali, l’analisi delle funzionalità del sistema nervoso, e le tecniche traduttive e
logico-interpretative di questa affascinante, complessa ed articolata professione.
37
CAPITOLO SECONDO: I MECCANISMI MENTALI DELLA TRADUZIONE.
I TRADUTTORI E LA MEMORIA A LUNGO TERMINE.
La traduzione non è solamente un procedimento linguistico. Numerosi
studi, condotti nel corso degli anni, hanno scoperto che comporta operazioni
cerebrali molto più complesse di quanto si pensasse. Pertanto, prima di cominciare
gli studi, gli esperti si sono posti una domanda fondamentale:
<<Come funziona il cervello di chi per professione passa ogni giorno da una lingua
all'altra?>>.
Prima di rispondere a questo quesito, è opportuno ricordare che
nell'emisfero sinistro, (ES), anteriore, è collocata la cosiddetta area di Broca, che
presiede all’espressione del linguaggio, mentre, sempre nell'ES, sopra l'area
temporale, si trova l’area di Wenicke, deputata alla comprensione del linguaggio
tramite interconnessioni associative con i meccanismi della memoria. La traduzione è
dunque possibile, a livello mentale, solamente grazie all’attivazione delle Funzioni
Cerebrali Superiori, (FCS). L’arte della traduzione si fonda sul connubio tra la
Memoria a Lungo Termine, che permette al traduttore di applicare le tecniche
traduttive apprese nel corso del proprio processo di formazione, ed i lobi frontale e
parietale del cervello, che permettono di elaborare le esigenze grammaticali e
stilistiche del testo o del documento con cui egli si trova ad avere a che fare. Infatti,
qualsiasi individuo si trovi di fronte ad un testo straniero ed abbia necessità di
tradurlo in maniera fedele e corretta, dovrà necessariamente analizzare il testo in ogni
sua parte andando a ripercorrere nella propria MLT informazioni di carattere teorico
e sintattico, (legate alle regole grammaticali del testo di partenza e a quelle della
lingua in cui esso è scritto), come anche, in alcuni casi, informazioni sulla trama e la
38
narrazione; (qualora, ad esempio al traduttore venisse presentata una versione
straniera de, “I Promessi Sposi”, la sua MLT sarebbe in grado di ripercorrere, almeno
sommariamente, i tratti fondamentali del racconto, nonché quelli dei personaggi
principali e dello stile caratteristico del testo, semplificando in tal modo
significativamente il lavoro documentativo e traduttivo). Tuttavia procediamo per
gradi, e cerchiamo di analizzare con più precisione quello che avviene nella mente di
un traduttore nel momento in cui si accinge a realizzare una traduzione. Possiamo
sostenere, con certezza, che la traduzione costituisce un complesso ed elaborato
processo mentale, in grado di combinare le capacità mnemoniche del traduttore con
altre affascinanti meccanismi mentali, che esso metterà in atto nel momento in cui
inizierà il proprio lavoro traduttivo. Una parte delle principali ricerche, svolte nei
corso degli anni, è stata concentrata su due attività mentali molto importanti, che ne
costituiscono una parte fondamentale. Sono i processi mentali di Lettura e Scrittura;
e, per quanto scontati a banali possano apparire le considerazioni cui queste ricerche
sono giunte, in realtà non lo sono affatto.
Gli studiosi e i teorici della traduzione hanno asserito, infatti, che,
durante una traduzione, pur restando nell'ambito di uno stesso codice, ossia senza
cambiare lingua, il mediatore sarà chiamato spesso a dover svolgere “molteplici
traduzioni” che realizzerà all’interno della propria mente; e che esisterà, inoltre, una
fase intermedia nella quale le parole, o gli insiemi di parole, verranno tradotti, per
l’appunto, in una “lingua mentale”, individuale, e traducibile pertanto, solo ed
esclusivamente dal traduttore coinvolto nel processo traduttivo. Tal esame analitico è
stato necessario per prendere coscienza della varietà e soggettività dei processi
mentali implicati nelle attività descritte; sottolineando anche che esse si svolgono in
un arco temporale molto ristretto. Inoltre, esiste un continuo spostamento della
focalizzazione dalla micro-analisi alla macro-analisi e dalla micro-espressione alla
macro-espressione; vale a dire, un continuo raffronto tra il senso dei singoli enunciati
e il senso globale del testo; tra il senso del singolo testo e il senso globale dei testi,
che, consapevolmente o no, costituiscono l'intertesto, ovvero, quell'insieme di
rimandi intertestuali in cui il testo tradotto si colloca. È necessario precisare anche
che l'elaborazione mentale dei vari dati verbali si svolge in modo simultaneo ed
39
interdipendente. Pertanto, per descrivere il processo mentale della traduzione nel suo
insieme, è necessario comprendere il funzionamento delle singole micro-attività. Un
importante studioso di traduzione, James S. Holmes23, ha proposto un interessante
approccio ai processi traduttivi di tipo mentale, definito con il termine, “Mapping
Theory”, ed ha tentato di esporlo nel modo più sintetico e chiaro possibile tramite
queste parole:
<<I have suggested that actually the translation process is a multi-level process;
while we are translating sentences, we have a map of the original text in our minds
and at the same time a map of the kind of text we want to produce in the target
language. Even as we translate serially, we have this structural concept so that each
sentence in our translation is determined not only by the sentence in the original but
by the two maps of the original text and of the translated text which we are carrying
along as we translate24>>.
23
James Stratton Holmes, (1924 – 1986), è stato un famoso e stravagante poeta americano e scrittore
dall’olandese, che con le sue ricerche segnò una svolta nell’ambito dei “Translation Studies”,
guadagnandosi un posto d’onore nella storia di questa disciplina. <http://erikadibattista.blogspot.it/p/ifondatori-della-scienza-moderna_15.html>, (consultato il 6 Marzo 2014, alle ore 12:24).
24
Hönig H. G. Holmes, "Mapping Theory and the Landscape of Mental Translation Processes”,
Leuven-Zwart & Naaijkens 1991, p. 77. Traduzione a cura di Matteo Gravina: <<Personalmente
ritengo che il processo traduttivo sia un processo a più livelli; mentre ci accingiamo a tradurre le frasi,
conserviamo una mappa del testo originale nella nostra mente e allo stesso tempo una mappa della
tipologia di testo che vorremmo realizzare nella lingua di arrivo. Pur traducendo in maniera
meccanica, manterremo questo concetto strutturale, cosicché ogni periodo della nostra traduzione sarà
determinato non dalla forma originale che ha nel testo di partenza, ma dall’unione delle due mappe,
quella del testo originale e quella del testo che vorremmo ottenere mentre traduciamo>>.
<http://courses.logos.it/IT/1_9.html>, (consultato il 6 Marzo 2014, alle ore 17:11).
40
Sembrerebbe quindi che il processo traduttivo sia un complesso
sistema in cui comprensione ed elaborazione del testo prodotto siano frazioni
interdipendenti di una medesima struttura. Si può, dunque, postulare l'esistenza di
una sorta di "unità centrale di elaborazione" che presiede al coordinamento dei vari
processi mentali, (quelli legati alla lettura, all'interpretazione e alla scrittura), e nello
stesso tempo proietta una mappa del testo futuro nella mente del mediatore.
Cerchiamo di analizzare tutto questo processo più approfonditamente.
All’inizio della traduzione, il testo di partenza, per essere tradotto,
deve essere, per prima cosa, "estirpato" dal contesto originale e proiettato nella realtà
mentale del traduttore. Egli, dunque, in realtà non lavora sul testo di partenza, ma
sulla sua proiezione mentale. Lo spazio elaborativo si suddivide quindi in, spazio di
lavoro controllato e incontrollato. Nello spazio di lavoro incontrollato avviene una
prima comprensione del testo, che consiste nell'applicare schemi di significato
precostituiti, (presenti nella MLT), basati sull'esperienza percettiva del traduttore.
Così, come per la lettura è molto più utile limitarsi a leggere frazioni di parole e frasi
che consentano di ricostruire le parti non lette, nel caso degli schemi semantici la
mente tende a postulare la somiglianza degli enunciati dell'originale con altri già letti
o precedentemente ascoltati ed assimilati. Gli schemi semantici sono strutture della
Memoria a Lungo Termine che riflettono le attese del lettore, i suoi postulati di
significato, e che, in parte, sono già orientati verso un testo tradotto che, pur non
esistendo ancora esternamente al traduttore, inizia a delinearsi all’interno della sua
mappa mentale. La macro-strategia traduttiva è costituita dall'interazione tra la
proiezione dell'originale, l’ipotesi sul testo tradotto e lo spazio di lavoro
incontrollato. Si tratta di un meccanismo quasi automatico per il professionista
esperto, che però può diventare più consapevole grazie all'analisi traduttologica del
testo. Per analizzare lo spazio di lavoro incontrollato, ci si è basati sui cosiddetti
“Protocolli di Pensiero ad Alta Voce”, (Thinking Aloud Protocols). È stato chiesto ad
alcuni traduttori di spiegare ad alta voce ciò che stavano facendo o che pensavano di
fare mentre erano intenti nel loro lavoro. I processi mentali descritti da questi
protocolli sono stati denominati "spazio di lavoro controllato". Gli spazi di lavoro
41
incontrollato sono quindi quelli in cui avvengono attività mentali che esulano dai
protocolli di pensiero ad alta voce. Nello spazio di lavoro controllato l'elaborazione
mentale è consapevole, nel senso che il traduttore sa che determinati meccanismi
stanno avendo luogo, ma, nello stesso tempo, è inconsapevole delle modalità con cui
si sviluppano, in quanto si tratta di meccanismi automatici. Il mediatore che si affida
esclusivamente allo spazio di lavoro incontrollato non ha una strategia complessiva
che tenga conto del testo tradotto nel suo insieme; questo ipotetico traduttore è in
balìa dei riflessi linguistici che scaturiscono automaticamente dalla percezione del
documento originale. Perché la competenza traduttiva sia completa, occorre quindi
avvalersi anche di una strategia razionale macro-testuale. Riflettendo dunque sulle
aree cerebrali preposte all’analisi e al trattamento degli impulsi visivi, e, dunque, alla
comprensione di linguaggi scritti, le ricerche mediche, nonché la loro applicazione
nel campo professionale della mediazione linguistica, hanno evidenziato che
l’emisfero sinistro sembra essere maggiormente coinvolto nella decodifica e
produzione di componenti fonologiche, morfologiche, sintattiche e lessicali; mentre
l'emisfero destro si occupa principalmente dell'interpretazione dei significati
impliciti. Le aree specifiche del linguaggio sono situate nell'emisfero dominante,
(sinistro), e comprendono, (fig. d):
•
L’area corticale anteriore di Broca;
•
L’area corticale posteriore di Wernicke;
•
La circonvoluzione precentrale nell’area corticale superiore.
42
(fig. d)
Tuttavia, all'elaborazione del linguaggio partecipano anche il giro
angolare e sopra marginale, (aree 22, 39 e 40 di Brodmann25), e le aree associative
parietali di sinistra. Anche le strutture sottocorticali sono interessate alla produzione
del linguaggio. L'area di Wernicke è specializzata nell'uso del codice fonemico della
lingua, mentre l'area di Broca presiede alla combinazione dei fonemi per comporre
parole. Abbiamo, ormai, completato la prima analisi concettuale delle capacità
fondamentali che un buon interprete deve possedere per svolgere a 360° la propria
professione. Tuttavia, prima di poter formulare ipotesi riguardanti ciò che avviene
all’interno della mente di un’interprete o di un traduttore, è necessario affrontare un
ulteriore argomento, vale a dire quello legato alla definizione della natura del
linguaggio. Tutti noi sappiamo definire per sommi capi la natura e le caratteristiche
del termine “linguaggio”, ma è utile chiarirne le particolari applicazioni in una
25
Korbinian Brodmann, (Liggersdorf, 17 Novembre 1868 – Monaco di Baviera, 22 Agosto 1918), è
stato un neurologo tedesco che divenne famoso per aver suddiviso la corteccia cerebrale in 52 regioni,
distinte per le caratteristiche morfologiche di ciascuna cellula che le componevano, (cito-architettura).
Tuttora ci si riferisce alla sua topografia negli studi anatomici funzionali, con l'acronimo BA,
("Brodman's area"). <http://www.korbinian-brodmann.de>, (consultato il 7 Marzo 2014, alle ore
00:16).
43
professione come la mediazione linguistica; rispondendo così ad un ultimo quesito
che, per quanto elementare possa sembrare, costituisce l’autentica “raison d’etre” di
questo lavoro, ed è di fondamentale importanza per dimostrarne ulteriormente il
valore e le difficoltà. La domanda cui dobbiamo dare una risposta è:
<<Che cosa s’intende per linguaggio?>>.
Il linguaggio è la capacità di comprendere la parola scritta e parlata, e
di esprimere concetti tramite essa. Rappresenta, senza ombra di dubbio, uno dei
migliori strumenti comunicativi dell’umanità; soprattutto per quanto riguarda
l’espressione di concetti astratti e la pratica di professioni strettamente legate alla
comprensione, elaborazione, nonché trasformazione, figurazione, e memorizzazione
della parola. Si ritiene che il cervello elabori il linguaggio attraverso tre strutture, che
interagiscono tra loro. Un primo grande gruppo di sistemi neurali elabora le
interazioni non linguistiche tra il corpo e l’ambiente, (elaborazione effettuata
attraverso la percezione di colori, forme o stati emotivi), e che, in questo modo è in
grado di organizzare oggetti, eventi e relazioni. Un secondo gruppo analizza le
combinazioni fonemiche e le regole sintattiche per la costruzione delle frasi che
verranno poi pronunciate o scritte; e, infine, un terzo gruppo che svolge un’azione
intermedia tra i due precedenti; ricevendo parole ed evocando dalla memoria gli
eventi ad esse corrispondenti. La zona cerebrale maggiormente coinvolta nella
formazione di parole e frasi sembra essere l’area 44 di Brodmann, posta sopra il lobo
temporale davanti alla scissura di Silvio26 e detta anche area di Broca-Wernicke. La
scoperta di tale area consolidò la teoria del fenomeno della dominanza cerebrale; che
26
La Scissura Laterale di Silvio, conosciuta anche con il nome di Solco Laterale, Fessura Silviana o
Fessura Laterale, è una delle principali strutture del cervello umano. La Scissura Laterale di Silvio
divide i lobi frontale e parietale da quello temporale. Questa struttura è presente in entrambi gli
emisferi del cervello ma, nella maggioranza delle persone, risulta più lunga nell'emisfero sinistro.
<http://www.lacellula.net/glossario/termine/409_scissura_di_silvio/>, (consultato il 7 Marzo 2014,
alle ore 8:18).
44
localizza le strutture riguardanti il linguaggio quasi esclusivamente nell’emisfero
sinistro, (nella totalità dei destrorsi e nel 75% dei sinistrorsi).
(fig. e)
Nell’immagine soprastante, ottenuta attraverso la PET, (fig. e), sono
illustrate tre diverse scansioni del cervello umano mentre esegue una serie di compiti
intellettivi associati alle parole. Tramite la PET è stato possibile osservare che il
flusso ematico del cervello varia in base al compito eseguito. Nella prima scansione,
infatti, si può notare l’area deputata alla visione delle parole e alla loro associazione a
fenomeni od oggetti colorati. Nella seconda è invece evidenziata l’area motoria
deputata alla pronuncia delle parole e all’assemblaggio delle frasi. Infine, nella terza
immagine, è evidenziata l’area, (area di Broca), in cui viene articolato e gestito il
linguaggio. Nonostante le grandi possibilità nello studio dell’attività cerebrale date
dalla PET, la profonda complessità dei fenomeni del linguaggio non permette
d’identificare la totalità delle interazioni tra le varie aree cerebrali, che in molti casi
risultano ancora oscure.
Ora che abbiamo compreso la natura del linguaggio, possiamo
continuare, o meglio cominciare, la nostra analisi neurale della mediazione
linguistica iniziando a soffermarci proprio sulla traduzione; vale a dire quella branca
interpretativa che fa particolare riferimento alla Memoria a Lungo Termine.
45
LA TRADUZIONE COME PROCESSO MENTALE.
<<Il problema del tradurre è in realtà̀ il problema stesso dello scrivere, e il
traduttore ne sta al centro, forse ancor più̀ dell'autore. A lui si chiede (...) di
dominare non una lingua, ma tutto ciò̀ che sta dietro a una lingua, vale a dire
un'intera cultura, un intero mondo, un intero modo di vedere il mondo; e di sapere
annettere questo mondo ad un altro del tutto diverso, trasferendo ogni sfumatura,
registro, accento, allusione, tonalità̀ entro i nuovi confini. Gli si chiede, infine, di
condurre a termine questa improba e tuttavia appassionata operazione senza farsi
notare, senza mai salire sul podio o a cavallo. Gli si chiede di considerare suo
massimo trionfo il fatto che il lettore neppure si accorga di lui (...). Il traduttore è
l'ultimo, vero cavaliere errante della letteratura27>>.
Prima di poter analizzare e comprendere i processi mentali con i quali
un traduttore svolge il proprio lavoro, è necessario ripercorrere, seppur brevemente,
le origini del linguaggio scritto; così da identificarne le profonde e significative
differenze con tutte le altre forme di linguaggio, nonché l’importanza e
predominanza storica, sociale e globale nell’evoluzione linguistica e culturale del
genere umano; comprendendo così quanto l’attività del traduttore celi al proprio
interno una complessa rete di processi cerebrali mascherata, al di fuori, da una
semplice attività di “lettura”, “consultazione di dizionari” e “riscrittura” dei
documenti originali.
27
Fruttero
e
Lucentini,
“I
ferri
del
mestiere”,
Einaudi,
Torino
2003,
p.
58.
<http://helptraduzioni.com/2012/01/16/il-traduttore-e-lultimo-vero-cavaliere-errante-dellaletteratura/>, (consultato l’8 Marzo 2014, alle ore 7:51).
46
La capacità della specie umana di elaborare il linguaggio attraverso la
scrittura si è sviluppata da circa 4.000 anni, sia pur con metodi e tempistiche diverse.
L’acquisizione della lingua parlata avviene spontaneamente, e senza istruzioni
specifiche durante la prima infanzia, mentre l’apprendimento di lettura e scrittura
richiede una guida, ed avviene durante un’età più avanzata, in coincidenza di solito
con l’inizio della scolarizzazione. Sia l’apprendimento che l’uso del linguaggio
scritto si basa su sistemi funzionali e neurologici dedicati, sviluppatisi adattando e
modificando parti del sistema visivo a compiti specifici quali, il riconoscimento di
lettere e parole. Tali processi sono indipendenti dai sistemi di riconoscimento visivo
delle altre classi di stimoli, (come, per esempio, quelli derivanti dall’osservazione di
oggetti o visi), e da quelli di comprensione del linguaggio parlato, con possibili
dissociazioni fra la capacità di leggere, scrivere, parlare e comprendere il linguaggio
per via uditiva; processi che agiscono in maniera rapida, efficiente e automatica. I
dati ricavati dallo studio dei deficit di lettura e scrittura hanno permesso, in primo
luogo, di chiarire i rapporti funzionali e anatomici fra i meccanismi deputati al
riconoscimento visivo degli oggetti e quelli specifici per l’attività di lettura; e in
secondo luogo, di delineare un’architettura funzionale e dettagliata dei processi di
elaborazione e comprensione del linguaggio scritto e parlato.
A differenza del linguaggio, il cui fine comunicativo non è sempre
indubitabile, gli studiosi sembrano concordare sull’idea che la scrittura sia stata
inventata per un fine squisitamente comunicativo. Solo tramite essa, infatti, gli
ominidi hanno potuto affrontare con successo i problemi derivanti dalla necessità di
trasmettere ai posteri significati e informazioni; riuscendo ad estenderli non solo a
coloro che appartenevano alla loro stessa generazione, ma anche a tutti quegli
individui che avrebbero vissuto in tempi diversi. Pertanto, grazie alla scrittura, si è
potuta raggiungere una delle più grandi conquiste dell’umanità; la creazione di un
livello permanente di comunicazione. Con il passare dei secoli, la mente umana,
nello svolgere le sue attività cognitive e comunicative, ha superato i propri ristretti
confini fisici. Anche il fatto di trovarsi all’interno di un corpo in costante interazione
con l’ambiente circostante, le ha permesso di utilizzare aspetti e realtà modificabili
come supporti comunicativi esterni. Ad esempio, la possibilità di prendere un
47
appunto su un foglio cartaceo o elettronico ha ampliato i confini della memoria
umana; e il poter scrivere una lettera o fare una telefonata ha amplificato
esponenzialmente le possibilità di comunicazione. Normalmente, la comunicazione
umana segue sia la modalità linguistica sia quella extralinguistica. Ciò significa che
la scrittura non è basata necessariamente ed esclusivamente sul linguaggio, poiché si
è sviluppata sulla comunicazione extralinguistica per almeno 30.000 anni, prima che
l’invenzione dell’alfabeto si diffondesse, (vale a dire più di 5.000 anni fa). La
scrittura ha permesso la nascita della cultura critica e della scienza, proiettando
l’umanità verso il futuro e garantendo, allo stesso tempo, la conservazione del
presente e del passato.
COMUNICAZIONE
EXTRALINGUISTICA
COMUNICAZIONE
LINGUISTICA
IMPERMANENZA
NEL TEMPO
Gesti
Linguaggio
PERMANENZA NEL
TEMPO
Scrittura Pittografica ed
Ideografica
Scrittura Alfabetica
48
LA TEORIA DELLA TRADUZIONE.
Nel corso della storia, moltissimi studiosi si sono dedicati allo studio
delle numerose caratteristiche del processo traduttivo, trasformando l’arte della
traduzione in una vera e propria “scienza delle parole”. Tutti gli studi di maggior
rilievo compiuti, nel corso degli anni, da neurologi, umanisti e linguisti di fama
mondiale, sono stati raccolti nella cosiddetta Teoria della Traduzione; una branca
delle discipline umanistiche che si occupa dello studio sistematico ed
interdisciplinare della teoria, della descrizione e dell'applicazione della traduzione,
dell'interpretariato o di entrambe queste attività. La Teoria della Traduzione è
prettamente
normativa,
(prescrive,
dunque,
esclusivamente
le
regole
per
l'applicazione di queste attività), e, pertanto, non va confusa con la Scienza della
Traduzione che, invece, si avvale di elementi delle scienze sociali ed umanistiche, e
si occupa in modo sistematico, scientifico e descrittivo dello studio della teoria e
delle applicazioni pratiche della traduzione e dell'interpretazione. Essendo una
scienza interdisciplinare, la Teoria della Traduzione affonda le proprie radici nei
differenti campi di studi che sostengono la traduzione. Questi comprendono la
letteratura comparata, l'informatica, la storia, la linguistica, la filologia, la filosofia,
la semiotica, la terminologia, la lessicologia ecc. In italiano, e in molte altre lingue, ci
si riferisce a questo insieme di teorie anche con il termine traduttologia. Quest’uso è
considerato erroneo da molti, poiché si basa pedissequamente sul nome francese
della disciplina, molto usato dal 1972; la “Traductologie”.
49
PROBLEMI DELLA TRADUZIONE.
Idealmente, nello svolgere il proprio lavoro, un traduttore sceglie
quelle strategie traduttive nella lingua d'arrivo che un qualsiasi madrelingua
utilizzerebbe
nella
stessa
situazione
comunicativa.
Nella
rappresentazione
contemporanea della figura traduttiva, è stata fortemente sostenuta, (anche grazie alla
creazione di specifiche cattedre universitarie da parte degli organi istituzionali),
l'introduzione della qualifica di “Mediatore”. Con quest’appellativo, la figura
professionale può differenziarsi sia in mediatore culturale che in mediatore
linguistico. Proprio quest'ultimo caso rappresenta il talento traduttivo linguistico. La
problematica base risiede, dunque, nell'etimologia delle due diverse parole; infatti, il
termine traduttore determina un pensiero vicino alla matematica trasposizione di due
testi, una traslazione scientifica e precisa che passa da un complesso sintattico ad un
altro, senza perdere il senso del discorso o delle strutture semantiche. Tutto ciò, in
realtà, è stato più volte smentito e valutato come poco realistico; in quanto, secondo
gli esperti, costituisce una rappresentazione denigratoria e semplicistica dell’intero
processo traduttivo; descritto come un semplice processo di “input/output”. Al
contrario, una mediazione è considerata la via che l'uomo ha percorso fin dalla
nascita dei linguaggi, vale a dire il trasporto e l'adeguamento di un messaggio
segnico da un contesto ad un altro, da un codice all'altro, da un paradigma all'altro.
Lo stesso schema linguistico di Romàn Jakobson28, prevede una minima parte delle
28
Romàn Jakobsòn, (Mosca, 11 Settembre 1896 – Boston, 18 Luglio 1982), è stato un linguista e
semiologo russo naturalizzato statunitense. È considerato uno dei principali iniziatori del formalismo e
dello strutturalismo, (due scuole di pensiero nate con l’intento di analizzare gli aspetti formali e
strutturali dell’opera letteraria). A lui si deve, inoltre, lo studio della teoria della comunicazione
linguistica, basata sulla suddivisione delle funzioni del linguaggio secondo sei funzioni che si
associano alla dimensione dei processi comunicativi, (emotiva, fatica, conativa, poetica,
metalinguistica e referenziale). <http://it.wikipedia.org/wiki/Roman_Jakobson>, (consultato il 9
Marzo 2014, alle ore 1:37).
50
diverse caratterizzazioni che negli ultimi 60 anni sono state prese in causa per la
buona riuscita di un processo traduttivo. Non sempre, infatti, una parola nella lingua
di partenza può essere sostituita 1:1 con una parola nella lingua di arrivo, (come ad
esempio per i colori o le cifre). Spesso, devono essere trasposte unità di senso più
grandi come unicum, (ad esempio proverbi, formule di cortesia, ecc.). La scelta
dell'unità traduttiva corretta è quindi una delle tecniche cui i traduttori si devono
adeguare. Due lingue si differenziano tuttavia anche a livello formale. Spesso nel
passaggio dalla lingua di partenza a quella di arrivo si nota la mancanza di alcune
parole. In svedese, ad esempio, non c'è nessun iperonimo per il termine nonno; ma
solo nonno materno, (morfar) e nonno paterno, (farfar). In francese e in inglese,
invece, non esiste nessuna espressione per il tedesco Betriebsblindheit, (cecità).
Anche nella sintassi, o nelle costruzioni con complementi di tempo o con sostantivi
ci sono differenze. Quando il traduttore si limita a trasporre le strutture della lingua
di partenza nella lingua di arrivo senza adattarle, la traduzione appare come sospesa
in una sorta di “limbo lessicale”. L‘espressione inglese, "it's nice and warm", ad
esempio, potrebbe essere tradotta nella forma poco italiana, "è bello e caldo". Al
contrario, una forma idiomatica corretta potrebbe essere, "c'è bel tempo". Allo stesso
tempo, un’espressione come "to go and buy", si potrebbe traduce con, "andare a
comprare", e non con, "andare e comprare". Tutto questo contribuisce a dimostrare
che, nella traduzione, oltre alle difficoltà di carattere puramente linguistico, si
devono considerare anche problemi di natura stilistica. Questo concetto mette in luce
il primo principio fondamentale della traduzione:
“Tradurre il più letteralmente possibile, ma, tanto liberamente quanto necessario”.
Pertanto,
accanto
alle
differenze
linguistiche
devono
essere
considerati anche il tipo di testo, il fine e i destinatari della traduzione; poiché un
saggio scientifico ha una diversa formulazione ed è, pertanto, molto più preciso e
tecnico rispetto, per esempio, ad una rubrica giornalistica. Talvolta il principio
secondo il quale la traduzione deve contenere un modo di esprimersi che
51
utilizzerebbe un madrelingua può non essere realizzato; ad esempio, nel caso di nomi
propri e circostanze che, di fatto, non esistono nella lingua di arrivo. Inoltre ci si
domanda come debba essere amministrata la cultura di partenza. <<Come si
traducono la ritmica e l'influenza di un testo?>>. Un ulteriore interrogativo riguarda
la gestione dei possibili errori nel testo sorgente, o la presenza di unità di misura che
non esistono nell'ambito della lingua di arrivo. Così, nella traduzione tecnica, si
tenderà ad attenersi il più fedelmente possibile alle impostazioni strutturali,
sintattiche e culturali della lingua madre e del paese destinatario; mentre per la
traduzione di romanzi, di regola si preserverà, per quanto possibile, lo sfondo
culturale della lingua di partenza.
Uno dei maggiori contributi alla teoria della traduzione è dovuto a
Friedrich Schleiermacher, un filosofo e teologo tedesco che introdusse, nel corso dei
propri studi, concetti innovativi, tra cui quello di considerare una lingua come la
"visione del mondo" del popolo al quale appartiene. Fondamentale per la
comprensione del discorso non è, infatti, l'oggetto o l’argomento specifico, ma il
modo in cui un individuo lo pensa, intende ed esprime nella propria lingua. Per
comprendere la singola espressione è, inoltre, spesso fondamentale analizzare la
globalità del contesto nel quale si trova inserita. La parola dovrà essere, quindi,
collocata nella struttura di una frase; una frase che farà parte di un dato capitolo; che
apparterrà ad un determinato volume che, a sua volta, costituirà il contesto globale
dell'opera dell'autore. Per fare tutto ciò, tuttavia, è inevitabile partire dalla
comprensione delle singole parti per poi arrivare al tutto. La forma stessa dell'oggetto
linguistico da tradurre è di primaria importanza, specialmente in ambiti letterari
come la poesia. Inoltre, secondo quanto scrive nello “Über die Verschieden
Methodendes Übersetzens29”, per Schleiermacher sono solo due i cammini che il
29
È il saggio più famoso di Friedrich Schleiermacher, redatto nel 1813. Qui egli sostiene che tutte le
vie e i metodi traduttivi si riducono, in fin dei conti, a due sole alternative possibili, contraddistinte
esclusivamente dal diverso atteggiamento assunto dal traduttore al cospetto del lettore nella lingua di
arrivo.
<http://transstar-europa.com/friedrich-schleiermacher-uber-die-verschiedenen-methoden-des-
ubersetzens/>, (consultato il 9 Marzo 2014, alle ore 16:16).
52
vero traduttore può intraprendere, o meglio, far intraprendere durante lo svolgimento
del proprio lavoro.
<<A mio avviso, di tali vie ce ne sono soltanto due. O il traduttore lascia il più
possibile in pace lo scrittore e gli muove incontro il lettore, o lascia il più possibile
in pace il lettore e gli muove incontro lo scrittore. Le due vie sono talmente diverse
che, imboccatane una, si deve percorrerla fino in fondo con il maggiore rigore
possibile; dal tentativo di percorrerle entrambe contemporaneamente non ci si
possono attendere che risultati estremamente incerti, con il rischio di smarrire
completamente sia lo scrittore che il lettore30>>.
Questo è, in sostanza, l'eterno dilemma del traduttore: <<Dico ciò che
l'autore ha detto, o dico quanto egli intendeva esprimere?>>. Nel primo caso la
traduzione sarà, più o meno, letterale, ed il suo lettore dovrà interpretarne il senso,
(correndo il rischio di perdere il concetto che l'autore voleva esprimere); mentre nel
secondo caso, l'interpretazione sarà realizzata dal traduttore, ed il lettore del testo
tradotto riceverà un lavoro più comprensibile ma meno fedele all'originale, (nel quale
il rischio sarà di presentare il punto di vista del traduttore e non quello dell'autore). In
sostanza, per Schleiermacher, qualsiasi traduttore si appresti a realizzare una
traduzione si troverà di fronte ad un bivio, e dovrà obbligatoriamente scegliere quale
di due metodi adottare durante la propria mediazione.
30
Friedrich Schleiermacher, “Über die Verschieden Methodendes Übersetzens”, traduzione a cura di
Giovanni Moretto, “Sui diversi metodi del tradurre”, Bompiani, Milano 1953, p. 153.
<http://www.filosofico.net/schleier.htm>, (consultato il 9 Marzo 2014, alle ore 23:10).
53
IMPLICAZIONI FILOSOFICHE.
La traduzione è da sempre un tema dell'ermeneutica31, della filosofia
del linguaggio e della gnoseologia. L'ermeneutica tematizza il fenomeno della
traduzione come esperienza della distanzae diversità. Anche il rapporto con la
tradizione, così preponderante per l'ermeneutica, spesso include la necessità della
traduzione. Eppure, diversi filosofi hanno rilevato che il traduttore, rimane sempre
entro il suo orizzonte, nel quale deve racchiudere il prodotto del proprio sforzo
traduttivo. Di conseguenza, una semplice trasposizione del contenuto del testo dalla
lingua di partenza a quella di arrivo non è possibile. Il traduttore deve, dunque,
decidere se adeguare il testo, necessariamente "estraneo", alla propria lingua,
tentando, in questo modo, di celare tale estraneità al lettore; o se, invece, tentare di
riprodurla, usando i mezzi a disposizione della propria lingua. Secondo i principi
dell’ermeneutica, entrambi i metodi sono legittimi, e non è possibile capire quale
versione sia "più vicina" all'originale rapportandosi semplicemente alla base del
testo. Un esempio è costituito dalla traduzione di proverbi, per i quali, o si cerca una
corrispondenza nella propria lingua, o li si traduce letteralmente, in modo da
dimostrarne la diversa formazione e struttura nella lingua straniera. Il fenomeno fin
qui descritto è solo una delle tante sfaccettature del medesimo fenomeno; ovvero, il
rapporto con la distanza e la tradizione. Infine, secondo la filosofia del linguaggio, il
problema della traduzione è, fatalmente, e pessimisticamente, considerato insolubile
in virtù della tesi secondo la quale il linguaggio, essendo considerato come un
cerchio chiuso, non permetterà mai, pur passando da una lingua all’altra, di penetrare
la vera e profonda essenza di un qualsiasi codice linguistico; né, tantomeno, il suo
31
Con il termine Ermeneutica, derivato dal latino Hermeneutiké, (arte dell’interpretazione), s’intende
lo studio delle metodologie interpretative. Inizialmente utilizzata in ambito religioso, al fine di fornire
una corretta interpretazione dei testi sacri, si diffonde a tutti i livelli dello scibile, allo scopo di chiarire
il significato di tutto ciò che è difficilmente comprensibile. Da questo punto di vista, è considerata la
teoria generale delle regole interpretative. <http://www.disf.org/Voci/3.asp>, (consultato il 14 Marzo
2014, alle ore 1:43).
54
significato o il senso profondo della struttura dei suoi costrutti discorsivi, logici,
grammaticali e sintattici.
Walter Benjamin32, riteneva che tutte le lingue fossero apparentate dal
fatto di derivare, e rimandare ad un’unica forma linguistica universale, definita con il
termine di “lingua pura”. Benjamin sosteneva che il processo traduttivo fosse l’unica
via capace di ricomporre l’unità originaria dell’universo linguistico; e pertanto, ha
contribuito allo studio e all’analisi delle caratteristiche di tale processo, fornendo
probabilmente una delle immagini metaforiche più affascinanti e chiarificanti della
Teoria della Traduzione; un’immagine che identifica il traduttore come l’unico
individuo in grado di ricomporre i frammenti di un vaso:
<<Come i frammenti di un vaso, per lasciarsi ricomporre, devono presentare
continuità nei minimi dettagli, ma non perciò averli identici, così, invece di farsi
simile al senso dell’originale, la traduzione deve amorosamente, e fin nei dettagli
sforzarsi di attingere dalla propria lingua il modo d’intendere di quello, per far
apparire così entrambe le lingue, come i cocci sono frammenti di uno stesso vaso,
frammenti di una lingua più grande33>>.
Ora che, grazie agli studi, alle opinioni e alle ricerche degli esperti,
nonché agli assiomi di scienze e metodologie interpretative siamo riusciti a delineare
un quadro generale delle caratteristiche teoriche, stilistiche e “biografiche” della
32
Walter Bendix Schoenflies Benjamin, (Berlino, 15 Luglio 1892, - Portbou, 26 Settembre 1940), è
stato
un
celebre
filosofo,
critico
letterario,
scrittore
e
traduttore
tedesco.
<http://dignitas.sestaopera.it/pagine/148/it/la-letteratura-per-la-teoria-e-la-pratica-del-diritto>,
(consultato il 10 Marzo 2014, alle ore 13:00).
33
Walter Benjamin, “The Craft of Translation”, The University of Chicago Press, Chicago 1989, p.
13.
Traduzione
a
cura
del
professor
Massimiliano
Morini.
<http://it.wikipedia.org/wiki/Walter_Benjamin>, (consultato il 10 Marzo 2014, alle ore 13:25).
55
traduzione, possiamo iniziare il nostro percorso analitico nei confronti di quei
processi neuronali che si attiveranno e concateneranno nella mente di qualsiasi
mediatore che si appresti a realizzare una traduzione.
DAGLI OCCHI ALLA MENTE DEL TRADUTTORE.
Cominciamo il nostro percorso procedendo gradualmente. Il processo
traduttivo ha inizio nel momento esatto in cui lo sguardo del traduttore comincia ad
osservare le parole contenute nel documento del quale andrà ad effettuare la
mediazione; perciò non è affatto errato affermare che la traduzione abbia, per così
dire, un “incipit visivo”. Sono per l’appunto gli occhi, in quanto soggetti a quella che
chiameremo, “Stimolazione Primaria”, a compiere una prima analisi e scrematura
delle parole e della struttura del testo originale. Proprio per questo motivo, nella
“Teoria della Traduzione”, viene generalmente insegnato il valore della cosiddetta
“prima lettura”, una procedura giudicata spesso superflua o addirittura inutile dai
profani di questa professione, ansiosi di aprire i propri dizionari cartacei o
multimediali alla velocità della luce con la convinzione di carpire, più fedelmente e
rapidamente, il significato di frasi ed espressioni idiomatiche contenute nelle righe e
nei paragrafi del testo straniero. Tuttavia, è proprio in questo modo frettoloso,
avventato, e a volte anche presuntuoso ed arrogante, che essi scartano senza riflettere
una delle tecniche più preziose di cui un valido traduttore possa mai avvalersi. Grazie
ad essa non è tanto possibile sostituire il dizionario e tradurre perfettamente qualsiasi
documento senza il minimo problema, bensì svolgere un’azione forse ancora più
preziosa; quella di entrare nei panni dello scrittore originale, riuscendo così a
comprenderne le tecniche, le caratteristiche stilistiche, e spesso, addirittura le
emozioni di quest’ultimo, e porre delle basi solide per una perfetta comprensione del
testo che semplificherà grandemente l’atto traduttivo. Dopo aver compreso quale sia
il valore della vista nell’impatto iniziale che si ha con un testo da tradurre,
proseguiamo nella nostra analisi ed andiamo a spiegare cosa avviene nella mente di
un traduttore esperto che inizia a svolgere il proprio lavoro. Nel momento in cui il
56
mediatore inizierà a leggere il documento originale che gli verrà sottoposto, la sua
corteccia visiva sarà soggetta ad una stimolazione. Volendo essere più precisi, sarà
l’occhio, l’organo che, con le sue quattro componenti fondamentali nel loro
complesso, (cornea, camera anteriore, cristallino e camera posteriore), formerà una
lente convergente che trasmetterà le immagini alla retina, la sua parte più sensibile,
che, grazie al complesso sistema di fotorecettori da cui è costituita, assolverà il cui
compito sarà di trasformare tali immagini in impulsi elettrici, ed inviare le loro
informazioni ai neuroni retinici, (le cellule orizzontali34, bipolari35, amacrine36 e
gangliari37), che effettueranno una prima vera elaborazione del segnale visivo. A
questo punto, gli assoni delle cellule gangliari si riuniranno in modo da formare il
nervo ottico, una sorta di cavo naturale che condurrà l’informazione visiva fuori dalla
retina fino ai centri superiori; dapprima al corpo genicolato laterale, (una parte del
cervello preposta al trattamento dell’informazione visiva proveniente dalla retina), e,
da qui, alle aree corticali. La stimolazione corticale inizierà con il raggiungimento, da
parte dell’impulso visivo, della corteccia visiva primaria, un’area nota come
34
Le Cellule Orizzontali sono particolari neuroni retinici situati nello strato nucleare interno che
connettono le cellule bipolari con i coni, conducendo le informazioni sensoriali all’interno della retina.
<http://it.occhio.it/cellule-orizzontali>, (consultato il 10 Marzo 2014, alle ore 16:05).
35
Le Cellule Bipolari sono cellule nervose che ricevono informazioni da diversi fotorecettori e
convogliano poi l'informazione alle cellule gangliari; esso sono inoltre connesse con le cellule
orizzontali. Sono le principali responsabili del flusso d’informazione in verticale, ma provvedono
anche ad un'informazione orizzontale che consente appunto una prima elaborazione a livello retinico.
<http://www.anisn.it/matita_ipertesti/visione/onoff.htm>, (consultato l’11 Marzo 2014, alle ore 9:13).
36
Le Cellule Amacrine sono particolari cellule nervose retiniche presenti nello strato nucleare interno
che connettono le cellule bipolari con quelle ganglionari e conducono informazioni all’interno della
retina. <http://it.occhio.it/cellule-amacrine>, (consultato l’11 Marzo 2014, alle ore 11:07).
37
Le Cellule Gangliari sono le prime del sistema visivo nelle quali si generano potenziali d'azione.
Sono generalmente suddivise in cellule M, (per magnae o grandi), e cellule P, (per parvae o piccole),
e sono le prime a fornire informazioni sul movimento, la luminosità, la forma ed il colore di un
qualsiasi oggetto osservato. <http://www.anisn.it/matita_ipertesti/visione/onoff.htm>, (consultato l’11
Marzo 2014, alle ore 12:00).
57
"koniocortex" o V1, (corteccia di tipo sensoriale), o anche come area 17 di
Brodmann, localizzata attorno e all’interno della Scissura Calcarina38 del lobo
occipitale, (una delle 5 scissure che segnano il confine tra i vari lobi). Nelle
immediate adiacenze di quest’area, sono riconoscibili, la corteccia parastriata, (area
18 di Brodmann o V2), e la corteccia peristriata, (area 19 di Brodmann o V3). Queste
due aree occipitali, definite anche, aree associative della visione, sono implicate in
attività non propriamente visive, quali l’analisi, il riconoscimento e l’interpretazione
delle immagini elaborate dall’area 17 di Brodmann. L’area V1, può trasmettere le
informazioni in due direzioni principali, (le cosiddette Primary Pathways39). Tali
direzioni, in cui possono transitare le informazioni provenienti dalla corteccia
primaria e secondaria, sono note anche con i nomi di corrente dorsale, (Dorsal
Stream), e corrente ventrale, (Ventral Stream). La corrente ventrale inizia nella
corteccia V1, (peri scissura calcarina), passa attraverso le aree visive V2 e V3, e
raggiunge infine la corteccia temporale inferiore. La corrente ventrale, a volte
38
La Scissura Calcarina, è l'unica a non rappresentare il confine tra due o più lobi corticali. Essa
percorre la faccia mediale degli emisferi telencefalici, (dalla confluenza con la scissura perpendicolare
interna sino al margine superiore), per poi esaurirsi in un breve tratto che attraversa la faccia laterale
degli emisferi. Attorno ad essa si dispone l'area visiva primaria, di fondamentale importanza per il
funzionamento
del
meccanismo
della
visione.
<http://www.larapedia.com/anatomia_terminologia/calcarina_scissura.html>, (consultato l’11 Marzo
2014, alle ore 12:47).
39
Nella cosiddetta “Ipotesi delle due Correnti”, la corrente dorsale inizia nella corteccia V1, attraversa
l'area V2, (dove in parte viene elaborata), ed in seguito giunge all'area dorso-mediale e all'area visiva
MT, (nota anche come V5), ed in seguito alla corteccia parietale posteriore. La corrente "dorsale",
spesso definita anche la "via del dove" oppure la "via del come", (“Where Pathway" or "How
Pathway"), è associata al movimento, alla rappresentazione spaziale della posizione degli oggetti, ed
al controllo di occhi e braccia, specialmente quando l'informazione visiva serve per afferrare un
oggetto oppure nei movimenti saccadici, ovvero, quei movimenti involontari che l’occhio compie in
modo frequente per portare l’oggetto o la zona di interesse visivo a coincidere con la propria zona di
massima acuità visiva, (fovea). <http://fatti-su.it/corteccia_visiva_secondaria>, (consultato l’11 Marzo
2014, alle ore 15:37).
58
definita anche come, "via del cosa", ("What Pathway"), è deputata al riconoscimento
delle forme, all’analisi dei concetti complessi, alla comprensione e all’analisi del
linguaggio, alla rappresentazione degli oggetti nello spazio, e infine, anche
all'immagazzinamento delle informazioni nella Memoria a Lungo Termine. Pertanto,
per poter comprendere le caratteristiche neurologiche del processo traduttivo,
concentreremo le nostre riflessioni su di essa; poiché è la corrente maggiormente
coinvolta nella comprensione del linguaggio, nonché nell’archiviazione dei dati e
nell’analisi concettuale delle forme linguistiche. Riassumendo, abbiamo evidenziato
il momento chiave del processo traduttivo, vale a dire, quel momento in cui le parole
di un testo vengono osservate e, in un certo qual modo, “fotografate”, dall’occhio del
traduttore, che le converte in immagini e le trasmette alla retina che, a sua volta, le
trasforma in impulsi elettrici e, tramite il nervo ottico, le invia alla corteccia visiva
primaria; dalla quale, subito dopo, percorrendo la corrente ventrale, raggiungono la
corteccia temporale inferiore.
La globalità di questo processo di osservazione, stimolazione,
identificazione, catalogazione, trasformazione e trasmissione delle parole, da parte
del corpo oculare e dalla corteccia visiva primaria, si compie nel giro di pochissimi
istanti. Tuttavia, continua a svolgersi in maniera ciclica; generando molteplici
stimolazioni che, spingendosi sempre più in profondità, raggiungono i centri nervosi
preposti all’attivazione della Memoria a Lungo Termine, tramite la quale il
mediatore sarà in grado di comprendere il messaggio linguistico, e tradurlo in modo
adeguato e conforme alla struttura del testo di partenza. Una volta comprese le fasi
principali grazie alle quali le parole iniziano il loro percorso verso il lobo temporale,
cerchiamo di comprendere ed analizzare più dettagliatamente il processo di
attivazione neuronale e mnemonico che consente al cervello di decodificare il
messaggio contenuto nel testo da tradurre e di attivare, grazie ad esso, le aree di
“immagazzinamento dati” sedi della Memoria a Lungo Termine. Nel momento in cui
le immagini, tramutatesi in impulsi elettrici, raggiungono la corteccia temporale
inferiore, contribuiscono a sollecitare l’area, che più di ogni altra, è necessaria al
traduttore al fine di analizzare, (o anche semplicemente di leggere), un qualsiasi testo
scritto. Il cosiddetto “Giro Fusiforme”; una parte del lobo temporale situata nell'area
59
di Brodmann 37 e più comunemente nota come giro occipito-temporale
(discontinuo). I neurologi lo identificano come la principale area cerebrale preposta
al riconoscimento della forma visiva delle parole, (da Visual Word Form Area,
VWFA); poiché, è in grado di riconoscere automaticamente la forma delle lettere che
le compongono. Tuttavia, esso è anche in grado di realizzare rapide associazioni tra i
termini, comunicando con il lobo temporale e le aree di Broca e di Wernicke, al fine
di attivare i meccanismi mnemonici della MLT, ed ottenere le informazioni
necessarie alla traduzione del documento. Grazie a questa particolare area cerebrale
tutti gli individui, sono in grado di riconoscere parole e codici linguistici; e per quei
soggetti che, come i traduttori, fanno della comprensione delle lingue il proprio
campo di specializzazione, la sua importanza aumenta esponenzialmente; poiché
senza di essa verrebbe a mancare uno degli anelli fondamentali che consente a questa
catena neurologica di funzionare correttamente e di realizzare qualsiasi tipologia di
traduzione.
La prima parte del processo mentale alla base della traduzione
consiste in una lunga serie di attivazioni e concatenazioni di processi neurali, che
avranno come obiettivo principale quello di rispondere a domande del tipo: <<Che
lingua sto per tradurre?>>, <<Quali sono i canoni stilistici che caratterizzano
questo testo?>>, <<Qual è il registro linguistico utilizzato dall’autore?>>, <<Che
terminologia presenta il testo?>>. Qualsiasi traduttore, indipendentemente dalla
propria esperienza, si troverà di fronte le medesime domande; domande che
otterranno una risposta solo grazie all’attivazione dei processi visivi e cerebrali della
“mente del traduttore”, che gli permetteranno di scandagliare la superficie del testo, e
preparare, in forma schematica, la propria strategia traduttiva; in attesa di ottenere,
grazie alla stimolazione dei lobi cerebrali, le informazioni necessarie per applicarla.
Dopo aver compreso la parte iniziale del cammino che le parole compiono dai fogli
alla mente del traduttore, non resta altro da fare se non spingersi ancor più in
profondità; così da identificare le principali aree del cervello che custodiranno i
ricordi e l’esperienza professionale del mediatore, e chiarire definitivamente gli
ultimi aspetti logico-interpretativi di una delle forme principali di mediazione
linguistica.
60
VIAGGIO VERSO IL CENTRO DELLA MEMORIA.
La maggior parte degli esperti di neurologia ha sostenuto, a seguito di
numerosi studi, che le capacità mnemoniche degli esseri umani siano estremamente
simili a quelle dei computer, e il cervello dei mediatori linguistici, costituisce, senza
ombra di dubbio, un perfetto esempio a sostegno di questa teoria. Esso, infatti,
proprio come un computer, tende ad immagazzinare le informazioni grammaticali,
stilistiche, lessicali, sintattiche, sonore e morfosintattiche delle varie lingue in
apposite aree; e, nel momento in cui l’interprete avrà necessità di recuperare tali
informazioni, non dovrà far altro che attivare, (consciamente o inconsciamente), quei
percorsi neurali, che gli consentiranno di accedere nuovamente a tutti i settori
mnemonici atti a contenerle.
Questo processo è estremamente simile all’insieme delle operazioni
utilizzate da un PC al fine di recuperare un file, o un programma memorizzato in
qualche preciso settore del suo hardware e poter realizzare una qualsiasi operazione
multimediale. Pertanto, la mente umana, funzionerà esattamente come un computer,
nel quale si apriranno, (come in una serie di “scatole cinesi”), cartelle e sottocartelle
che, scavando sempre più in profondità nella memoria dell’apparecchio, saranno in
grado di raggiungere quei precisi settori nei quali sarà conservata l’informazione
richiesta. Pertanto, metaforicamente parlando, potremmo considerare le fasi di
lettura, associazione visiva, catalogazione ed identificazione delle parole di un testo
come tanti “click”, che l’interprete effettuerà per aprire le “cartelle” della propria
mente ed arrivare ai settori destinati alla memorizzazione delle informazioni da
utilizzare. Tali settori, nel caso della traduzione, saranno raggiungibili solamente
mediante il passaggio attraverso quei centri nervosi che compongono il lobo
occipitale, percorrono il nervo ottico e comunicano con gli altri lobi cerebrali. Tra
questi, quello frontale, con la sua parte destra, sarà direttamente interessato nella
creazione della memoria; mentre con la sinistra, sede dell’area di Broca, sarà addetto
alla formazione e al controllo delle parole. Oltre alla corteccia prefrontale, anche il
lobo parietale ricoprirà un ruolo decisivo in questo processo; in particolare con la
61
propria area di sinistra, ritenuta dominante, e soprattutto, indispensabile, per il
controllo di attività come la comprensione del linguaggio parlato e scritto e la
memorizzazione delle parole. Infine, sarà necessario anche il coinvolgimento del
lobo temporale, in grado di elaborare meccanismi e funzioni cognitive complesse
come la memoria, e di contribuire attivamente ad ulteriori analisi di comprensione
del linguaggio parlato e di scelta delle parole grazie all’area di Wernicke, contenuta
all’interno del suo lato sinistro. Chiaramente, come tutti sanno, esistono diversi
meccanismi di memorizzazione per ogni individuo; e dunque, non è facile stabilire
con assoluta precisione quali siano le forme di associazione mnemonica
universalmente utilizzate dagli interpreti e dai traduttori per recuperare le
informazioni contenute nella loro MLT. Tuttavia, consultando l’insieme delle
documentazioni raccolte da medici e ricercatori, basate, tra l’altro, su una stretta
attività collaborativa con gli stessi mediatori linguistici; è possibile affermare che le
principali forme di memorizzazione di cui si avvalgono gli interpreti, e in questo
caso particolare, i traduttori, sono:
• La Memoria Sensitiva, (Sensoriale), o Iconica; che assimila informazioni
partendo dall’organo di senso che subisce la stimolazione principale, (che, nel
caso particolare della traduzione saranno, sicuramente, gli occhi). A volte, ad
esempio, una parola in lingua straniera può apparire senza significato alla
mente, nel caso se ne percepisca solamente la pronuncia; ma nel momento in
cui la si vedesse trascritta, il cervello potrebbe rievocarla grazie alla memoria
della sua forma letterale.
• La Memoria Episodica o di Rievocazione; basata principalmente sulla
capacità di richiamare alla mente memorie di fatti vissuti o appresi. A volte,
infatti, potrebbe capitare, di non ricordare il significato di una parola straniera
né tramite il suono, né tramite la stimolazione visiva. Tuttavia, ripercorrendo
le esperienze di vita, sarebbe possibile, ad esempio, ricordare di averlo
appreso durante un viaggio, durante una conversazione fatta con un amico o
62
una persona straniera, oppure durante la visione di un film o la lettura di un
libro.
• La Memoria di Riconoscimento; quel meccanismo mnemonico che, grazie ad
un piccolo, anche insignificante, dettaglio è in grado di rievocare e ricordare
un’intera esperienza avvenuta in passato. Questa forma di memorizzazione
emerge spesso quando si sta leggendo un libro o si sta guardando un film del
quale si ha il sentore di ricordare qualcosa. Provando, tuttavia, a ricostruirne
la storia tramite analisi come quella dei personaggi o della trama, potrebbe
non essere possibile ottenere alcun risultato; ma soffermandosi, (nel caso di
un film), su dettagli visivi, come l’allestimento e le ambientazioni dei set;o
uditivi, (nel caso di un libro), come la sonorità una battuta o delle parole del
testo, si riuscirebbe a ricostruire l’opera completa, quasi come se la si fosse
osservata, o letta per la prima volta.
Tutti questi meccanismi di memorizzazione permettono ai traduttori
di imprimere nella propria mente informazioni di vario tipo; come, ad esempio,
quelle ottenute dalle proprie esperienze linguistiche, o dalle regole grammaticali
fondamentali delle lingue che conoscono o che si trovano a tradurre, o dai canoni
stilistici di autori passati o attuali; informazioni alle quali accenderanno di volta in
volta in base al tipo di lavoro con il quale avranno a che fare, e in base alle difficoltà
che incontreranno nel dare al testo di arrivo la stessa forma e forza di quello di
partenza. Tramite tutte le stimolazioni che il testo fornirà alla mente del traduttore,
quest’ultima avvierà un processo di propagazione degli impulsi elettrici generati dai
recettori sensoriali in tutte le aree dei lobi destinate alla memorizzazione, in attesa di
individuare quell’area che, secondo i meccanismi elencati in precedenza, abbia
conservato informazioni concernenti l’interpretazione e traduzione dei vocaboli in
questione. La stimolazione passerà dunque dal lobo occipitale, a quello parietale,
frontale, temporale, arrivando anche fino all’area dell’ippocampo, l’area del sistema
limbico deputata al trasferimento delle informazioni nella MLT. Questo
63
trasferimento, avviene mediante le aree ippocampali del Giro Dentato40, e la
circonvoluzione del lobo temporale. Tutte queste aree unite alla corteccia entorinale,
formano tramite il fornice, e ai corpi mammillari, le tracce della Memoria a Lungo
Termine, nonché le mappe concettuali e cognitive che, a seconda della situazione o
dell’argomento trattato, vengono utilizzate da ogni individuo. L’area dell’Ippocampo
costituisce, ancora oggi, un argomento di studio e riflessione molto importante,
specialmente dal punto di vista anatomico; vista la capacità di utilizzare le proprie
fibre nervose sia come afferenti, (per portare il messaggio e gli impulsi nervosi in
profondità nella memoria alla ricerca delle informazioni necessarie), che come
efferenti, (per ritrasmettere al contrario i dati raccolti; vale a dire dall’ippocampo fino
alle aree che necessiteranno delle informazioni contenute all’interno della memoria
del soggetto). Questo è pertanto il punto di arrivo delle stimolazioni nervose raccolte
dai recettori sensoriali della mente del traduttore; il luogo più protetto e profondo del
cervello, nel quale è conservata la MLT. Un luogo dalle potenzialità di
memorizzazione pressoché illimitate, che conserva dati, esperienze, immagini, ed
informazioni di qualsiasi tipologia. Informazioni che, una volta individuate, saranno
ritrasmesse ai lobi parietale, temporale e frontale, che, con le loro rispettive aree di
analisi, interpreteranno i dati, e selezioneranno, ad esempio, le parole necessarie a
creare i periodi della traduzione, o quali regole grammaticali saranno più fedeli alla
struttura sintattica del testo di partenza, o ancora, quale immagine o metafora sia
meglio utilizzare per rendere verosimile un concetto contenuto nel testo. Questa è la
struttura del processo che si attiva nella mente di un traduttore intento a svolgere il
proprio compito interpretativo, ed è anche lo strumento più potente che esso abbia a
40
Il Giro Dentato è una sottile striscia di sostanza grigia, (3 mm. di larghezza), compresa fra il giro
para-ippocampale e la fimbria. Le numerose incisioni che caratterizzano la sua superficie gli
conferiscono l’aspetto dentato, da cui ha ereditato il nome. E’ un’area attraverso cui passano sia fibre
efferenti che afferenti, deputata alla comunicazione e al trasferimento della maggior parte delle
informazioni
mnemoniche.
<http://w3.uniroma1.it/anat3b/didatticanew/lezioni
html/LEZIONE
20.htm>, (consultato l’11 Marzo 2014, alle ore 18:40).
64
disposizione per il proprio lavoro. A questo processo puramente mnemonico e
dunque afferente, che culminerà con l’attivazione degli schemi e dei dati mentali
necessari alla comprensione del testo da tradurre, va ad affiancarsi un processo di
natura efferente, senza il quale il traduttore non sarebbe mai in grado di trasmettere
in forma scritta la propria mediazione. L’intera struttura della traduzione dovrà
essere, infatti, riscritta su carta, o, tramite un computer, al fine di essere divulgata o
semplicemente consegnata al committente; e per realizzare quest’azione finale,
apparentemente banale ed ordinaria, sarà chiaramente necessario l’utilizzo delle
mani.
La mente del traduttore dovrà pertanto attivare una serie di processi
che interesseranno il Sistema Motorio, il centro fondamentale di coordinamento di
qualsiasi attività motoria del corpo umano. Quando compiamo un movimento
controllato con attenzione, i comandi necessari ad attivare i muscoli partono dalla
Corteccia Motoria, (situata nella parte posteriore del lobo frontale), attraversano il
cervello e giungono fino al midollo spinale, e da qui, seguendo nervi specifici
dell’area destinata al movimento, giungono sino ai muscoli. Non tutti i comandi
motori, tuttavia, sono attribuibili alla corteccia motoria. Essa è, infatti, responsabile
dell’attivazione di movimenti molto controllati dalla coscienza, come i gesti
finalizzati alla manipolazione o quelli conseguenti all’apprendimento di nuove
gestualità. Alcuni movimenti invece, spesso sono il risultato di costanti reiterazioni
motorie, su cui l’individuo esegue solamente un controllo generale; come il guidare
una macchina per esempio, o anche, (nel caso della traduzione), il redigere un
documento scritto. Questi movimenti vengono identificati col termine di
automatismi, e i comandi atti alla loro coordinazione partono spesso da nuclei di
cellule nervose site in zone centrali e profonde del cervello; i cosiddetti nuclei della
base, che discendono lungo tutto il midollo spinale e giungono fino ai muscoli
attraverso i nervi motori. Un ruolo altrettanto fondamentale in quest’operazione
efferente sarà quello del Cervelletto, una parte del sistema nervoso centrale,
localizzata nell’area postero-inferiore della scatola cranica d’importanza capitale nel
controllo delle azioni del sistema motorio. Esso si collega con la corteccia motoria ed
i nuclei della base affinché i movimenti, (delle mani in questo caso), risultino
65
omogenei e continui e non irregolari e scattosi. Esso è dunque fondamentale nel
controllo del tono muscolare involontario, nonché della coordinazione dell’azione
dei diversi muscoli coinvolti. Né la corteccia, né i nuclei della base sono in grado di
agire regolando la forza dei muscoli che eseguono l’azione. Il cervelletto è dunque il
diretto responsabile dell’azione, dell’escursione, dell’ampiezza e della fluidità dei
movimenti. Pertanto, per fare in modo che le mani del traduttore siano in grado di
impugnare una penna, o di scorrere correttamente lungo una tastiera, sarà necessaria
una corretta stimolazione della corteccia motoria, dei nuclei della base, e una corretta
azione di coordinamento motorio da parte del cervelletto. Essi trasformeranno gli
impulsi puramente mnemonici della MLT in vere e proprie mappe motorie, e
consentiranno alle mani del mediatore di muoversi con fluidità e regolarità, portando
a termine il processo di trascrizione e realizzazione della forma finale della
mediazione linguistica, per l’appunto, in forma scritta.
L’attività mentale di un mediatore che si appresta a realizzare una
traduzione scritta è stupefacente ed affascinante nella sua immensa complessità,
poiché coinvolge numerose aree cerebrali ed un’enorme quantità di sinapsi e neuroni
che operano incessantemente per raggiungere ed ottenere tutte le informazioni utili
alla realizzazione della mediazione. Il processo, tuttavia, non termina con l’arrivo
nell’ippocampo e l’individuazione dei dati richiesti, ma continuerà in maniera
automatica fino alla conclusione della “prima traduzione”, o fino a che l’interprete
non abbia ottenuto tutte le informazioni sullo stile dell’autore, o sulla terminologia,
deducibili e ricavabili dal testo. Una volta conclusa questa lunga ed elaborata
procedura, che culminerà con una versione del documento ancora abbastanza grezza,
il traduttore attiverà un ulteriore processo mentale, anch’esso di durata variabile, che
avrà lo scopo di perfezionare, rifinire, e correggere, le caratteristiche sintattiche,
lessicali e stilistiche della traduzione. In poche parole, egli inizierà a rileggere ed
analizzare nuovamente il proprio lavoro alla ricerca di incongruenze o elementi
discordanti che necessiteranno ulteriori riflessioni; e al contempo, valuterà nuove
sostituzioni lessicali che conferiranno alla trasposizione finale la struttura
definitivamente corretta. Secondo la maggioranza degli esperti, questa procedura
comporterà uno sforzo energetico di gran lunga minore rispetto alla fase di “pre66
traduzione” o alla raccolta di informazioni; poiché in entrambe risulterà necessaria
un’analisi strutturale del documento sia nella forma originale, che in quella tradotta
dal mediatore, che pertanto, sarà costretto a passare contemporaneamente da una
lingua all’altra alla ricerca dello schema formale adeguato sul quale sarà infine
costruita la traduzione conclusiva.
Le aree cerebrali preposte allo svolgimento di quest’ulteriore funzione
saranno praticamente le stesse di quelle sopracitate nella prima fase; l’area di Broca,
quella di Wernicke e l’area sinistra del lobo parietale; che analizzeranno frasi, parole
e strutture sintattiche e, qualora lo riterranno necessario, invieranno nuovi impulsi
elettrici nelle profondità dell’encefalo, e riattiveranno l’ippocampo alla ricerca di
nuovi sinonimi e terminologie da poter utilizzare come elementi correttivi del testo.
La durata di questo processo è strettamente legata alla quantità di elementi che il
traduttore intenderà sostituire; nonché al tempo che lo stesso impiegherà per
riflettere, ponderare ed analizzare ogni nuova alternativa linguistica. Una volta
effettuata quest’attività di revisione, la “prima traduzione” assumerà, sotto alcuni
aspetti, una struttura completamente nuova, presentando tratti stilistici e lessicali
molto ben definiti ed essendo ormai, quasi del tutto, sovrapponibile alla versione
dalla quale ha avuto origine.
Chiaramente, un traduttore esperto conosce le insidie linguistiche che
possono celarsi all’interno di un testo in lingua straniera; pertanto non deve stupire se
esso non si limiterà ad eseguire un’unica revisione del proprio operato, bensì
continuerà a ripercorrerne la struttura più e più volte, cercando, come un artista, di
avvicinare la propria “opera” alla perfezione, sia che si tratti di un libro per bambini
o ragazzi, di un trattato di medicina, matematica, astrologia o del testo più tecnico ed
impersonale di un manuale. Egli metterà a dura prova la propria mente, alla ricerca di
qualsiasi soluzione che, per quanto ardua e nascosta, riesca a colmare quel divario
che separa il proprio linguaggio da quello dell’autore, ed avvicinare, di conseguenza,
la traduzione all’opera originale, così che possa essere consultata, letta e studiata dal
pubblico a lei straniero. Un pubblico che, alla fine, osannerà proprio la mente geniale
del traduttore; quella figura nascosta e citata solamente in una o due righe nelle
prime o ultime pagine dell’opera. Quel mago della sintassi dal dizionario illimitato;
67
quell’alter-ego del loro autore preferito, che, come un alchimista, sarà stato in grado
di mescolare il proprio talento, e il proprio stile a quello di un altro autore; autore che
magari, alla fine, leggendo la traduzione della propria opera per mano del fidato,
“scudiero di penna”, sarà felice di esclamare: <<Io stesso non avrei saputo dirlo
meglio!>>.
68
CAPITOLO TERZO: INTERPRETAZIONE CONSECUTIVA E SIMULTANEA;
L’APICE E IL CUORE DELL’INTERPRETARIATO.
Dopo aver analizzato e compreso i meccanismi mentali che sono alla
base della traduzione, possiamo iniziare la fase conclusiva del nostro percorso,
analizzando i processi mentali e le aree cerebrali coinvolte nella traduzione, o
meglio, interpretazione consecutiva e simultanea. È opportuno precisare ciò che
s’intende con il sintagma: “Interpretazione consecutiva”. Il termine “interpretazione”
si riferisce alla traduzione orale di un discorso pronunciato nel corso di una riunione
politica, di un convegno, di una conferenza, ecc. L’interpretazione è detta
“consecutiva” quando l’interprete ascolta e annota l’intero discorso dell’oratore,
riproducendolo poi, subito dopo, nella lingua di arrivo; integralmente o, per motivi
contingenti, parzialmente. L’interpretazione è invece detta “simultanea” quando
l’interprete, in cabina, esegue la traduzione contemporaneamente al discorso
dell’oratore. In altre parole, l’interpretazione consecutiva viene eseguita al termine
del
discorso,
mentre
l’interpretazione
simultanea
avviene
parallelamente
all’enunciazione dell’oratore. Queste due forme di mediazione linguistica presentano
caratteristiche comuni, come anche profonde differenze; e rappresentano una delle
massime forme di espressione delle potenzialità mentali e mnemoniche di un
interprete. Da queste semplici definizioni risulta evidente che le qualità che
quest’ultimo deve possedere sono ben diverse da quelle richieste ad un traduttore.
Senza nulla togliere al lavoro o alla fatica mentale di un traduttore, (già in
precedenza sottolineata e lodata), Georges Mounin41 sosteneva che un interprete ha
molto meno tempo a disposizione rispetto ad un traduttore, che si occupa di testi
scritti. Secondo lui, infatti, il traduttore:
41
Georges Mounin, (Vieux-Rouen-sur-Bresle, 20 Giugno 1910 – Béziers, 10 Gennaio 1993), è stato
un celebre linguista ed insegnante francese. Nel corso della sua vita si è dedicato molto allo studio
della storia della linguistica, semantica, semiologia, teoria della traduzione e, in particolare, alla
relazione
tra
i
diversi
ambiti
d'espressione
umana
nella
società
in
chiave
storica.
<http://it.wikipedia.org/wiki/Georges_Mounin>, (consultato l’11 Marzo 2014, alle ore 19:03).
69
<< (…) ha tempo, … consulta a suo agio i propri strumenti di lavoro, … può
meditare a lungo su di un piccolo numero di difficoltà, mentre continua a procedere
nel suo lavoro e può ritornare indietro, correggere, riscrivere all’ultimo momento
sulle ultime bozze, ritoccare ancora e persino scegliere abbastanza spesso quello che
traduce.42>>.
All’interprete invece, sono richieste qualità molto specifiche,
indipendentemente dall’uso della simultanea o della consecutiva:
<< (…) essere passivamente ricettivo cioè assorbire docilmente e senza reagire le
idee espresse dall’oratore, (…), avere una memoria eccellente ma anche molto
particolare: la memoria immediata, che gli fa cancellare dalla “lavagna” della sua
mente tutto quello che vi aveva appena immagazzinato per poterlo poi restituire
quasi subito (…), la padronanza non solo della lingua che interpreta, ma anche della
cultura che ad essa è legata, poiché nella lingua parlata sorgono ad ogni istante i
proverbi, le allusioni alla vita del paese, (…), essere in grado di capire la lingua che
deve interpretare, anche quando è parlata da stranieri, caso questo molto frequente:
nei meeting internazionali, infatti, indù, giapponesi, cinesi, centroamericani,
liberiani, nigeriani, ecc., parlano tutti inglese ma ciascuno con un accento nazionale
o locale e con una sintassi piena di calchi presi dalla lingua d’origine, al punto che
l’inglese stesso diventa difficile da seguire nelle loro bocche (…), possedere la
qualità dell’oratore, una voce chiara dotata di un buon timbro e di vivacità,
un’elocuzione disinvolta, (il pubblico sopporta che un oratore parli male, ma non un
42
George Mounin, “Traductions et Traducteurs”; traduzione a cura di Stefania Morganti, “Teoria e
Storia
della
Traduzione”,
Einaudi,
Torino
1965,
p.
179.
Sezione
di
pdf
consultabileepressool’indirizzooweb,
<http://www.openstarts.units.it/dspace/bitstream/10077/8013/1/Özben_miscellanea_2.pdf>,
(consultato il 12 Marzo 2014, alle ore 08:44).
70
interprete); (…), ed infine, essere un virtuoso artista, ma, per così dire, deve esserlo
in modo invisibile43>>.
D’altra parte, però, all’interprete saranno richieste qualità diverse
secondo il tipo di tecnica che utilizzerà. Mentre, infatti, nell’interpretazione
simultanea la sfida fondamentale che il mediatore deve affrontare è la rapidità e la
scioltezza con cui deve trasferire il discorso dalla lingua di partenza a quella di
arrivo, nell’interpretazione consecutiva la sfida è rappresentata dalla capacità di dire
molte cose con poche parole grazie ad una memoria acuta e/o alle note prese durante
il discorso dell’oratore. L’interprete consecutivista può, infatti, contrariamente al
simultaneista, avere più tempo a disposizione per riorganizzare, sulla base dei propri
appunti, l’espressione, il tono ed il ritmo più efficaci per trasferire i contenuti del
discorso, arrivando a comprendere e percepire immediatamente l’incisività della
propria traduzione. Queste due sfaccettature dell’interpretariato, presentano dunque
delle peculiarità che stupiscono ed intimoriscono, neofiti e professionisti del settore.
Partendo dalla mediazione linguistica consecutiva, possiamo, e dobbiamo, costatare
che essa, come hanno più volte affermato alcuni esperti di linguistica e di neurologia,
sia la forma di mediazione linguistica più completa in assoluto; in quanto, pur non
essendo caratterizzata da picchi di attività encefaliche, vale a dire, pur non essendo
complessa e focalizzata su un unico schema mentale quanto la simultanea o la
traduzione, è in grado di riassumere le caratteristiche fondamentali di entrambe,
almeno da un punto di vista cerebrale; e, in oltre, partendo da una fonte
d’informazioni di tipo orale, è in grado di realizzare una mediazione passando per via
43
George Mounin, “Traductions et traducteurs”; traduzione a cura di Stefania Morganti, “Teoria e
storia
della
traduzione”,
Einaudi,
Torino
1965,
p.
180.
Sezione
di
pdf
consultabile
pressool’indirizzooweb,
<http://www.openstarts.units.it/dspace/bitstream/10077/8013/1/Özben_miscellanea_2.pdf>,
(consultato il 12 Marzo 2014, alle ore 08:50).
71
scritta, (se consideriamo la raccolta d’informazioni tramite simboli e/o abbreviazioni,
e la loro organizzazione sul piano espositivo), e, successivamente, per via orale,
(considerando in questo caso la gestione del discorso formulato tramite gli appunti
presi e la sua esposizione nella lingua di arrivo).
Un’altra importante caratteristica di questa forma d’interpretariato è la
sua stretta correlazione con la Memoria a Breve Termine, basata sul fatto che, prima
di presenziare ad una conferenza o ad un qualsiasi incontro nel quale sia necessaria
una mediazione linguistica orale, le informazioni di riferimento utilizzate
dall’interprete per realizzare suddetta mediazione verranno organizzate ed
accumulate all’interno della MBT dello stesso, così da essere molto più facilmente
raggiungibili rispetto a quelle contenute all’interno della MLT. Quando un interprete
di consecutiva e simultanea sa di dover prendere parte a una conferenza su un dato
argomento, cercherà di documentarsi nel migliore dei modi su di esso, consultando
testi di attualità e consolidando eventuali aspetti terminologici che potrebbero
ricorrere nel suddetto incontro. Tutte queste informazioni verranno immagazzinate e
memorizzate per un tempo limitato, che esaurirà la propria utilità nel momento in cui
sarà realizzata la mediazione in questione. Se, ad esempio, l’interprete dovesse essere
chiamato ad intervenire durante un discorso politico, o alla presentazione di un film o
di un libro stranieri, esso avrà precedentemente memorizzato tutte le informazioni
riguardanti l’autore, i personaggi, o gli esponenti politici ecc., necessarie per seguire
e comprendere pienamente i vari argomenti che potrebbero essere trattati nel corso
dell’evento, in modo da realizzarne una perfetta mediazione. La stessa procedura
documentativa, e di conseguenza mentale, sarà propria della mediazione linguistica
orale di tipo simultaneo, che tuttavia, coinvolgerà in maniera più ampia e profonda la
sfera uditiva, organizzativa ed espositiva della mente dell’interprete; visti i tempi
sensibilmente più ristretti necessari alla formulazione e all’esposizione del discorso.
72
PAROLE, APPUNTI, PAROLE: UN PERCORSO A 360° NELLA MENTE
DELL’INTERPRETE.
Siamo giunti ad uno dei capitoli più importanti di questo percorso, e ci
accingiamo a comprendere gli aspetti logico-interpretativi della mediazione
linguistica orale di tipo consecutivo; ovvero quella branca dell’interpretariato che,
per la vastità e la complessità dei processi mentali da cui è caratterizzata, è in grado
al contempo di affascinare ed impressionare, mostrando che la mente di un interprete
è capace di svolgere contemporaneamente un numero immenso di funzioni, e di
creare un autentico “continuum” tra la dimensione orale, mentale e scritta dello
stesso messaggio.
Come per la traduzione, anche la consecutiva si basa su uno stimolo
sensoriale fondamentale, che costituisce lo incipit dell’intero processo di mediazione.
Nel caso del traduttore abbiamo parlato di stimolazione visiva, identificando gli
occhi ed il lobo occipitale come i primi centri di attività neuronale finalizzata alla
mediazione. Per quanto riguarda la consecutiva invece, la sfera sensoriale, e di
conseguenza il lobo cerebrale che verranno interessati dalla “stimolazione primaria”
saranno la sfera uditiva ed il lobo temporale, che trasformeranno i suoni e i toni delle
parole pronunciate dall’oratore in impulsi nervosi. A loro volta questi saranno
decodificati e trascritti sugli appunti dell’interprete grazie al contributo degli altri
lobi e, infine, verranno rielaborati tramite la MBT al fine di essere ritrasmessi sotto
forma orale. La sfera auditiva, tuttavia, non è la sola ad essere interessata dalla
stimolazione sensoriale. Sicuramente essa costituisce il punto fondamentale del
processo di ascolto ed assimilazione delle stimolazioni neurali primarie, ma nel
momento in cui l’interprete inizierà il processo di stesura degli appunti, sarà
fondamentale il coinvolgimento della sfera sensoriale visiva, seconda solamente per
una questione di tempistica processuale. Solo dopo che entrambe le sfere sensoriali
della mente dell’interprete si saranno attivate correttamente, quest’ultimo sarà in
grado di completare con successo il processo d’interpretazione consecutiva. Tuttavia,
73
procediamo gradualmente al fine di comprendere meglio tutti i vari passaggi di
questo elaborato percorso.
Abbiamo costatato lo incipit uditivo della mediazione linguistica orale
di tipo consecutivo; perciò iniziamo ribadendo il ruolo fondamentale che le orecchie
dell’interprete hanno nella mediazione, essendo, per così dire le, “prime interpreti”,
delle frequenze, dei suoni e delle parole prodotte dall’oratore. Dal momento esatto in
cui quest’ultimo inizia il proprio discorso, il sistema auditivo si mette in funzione,
catturando e trasformando le onde sonore in particolari configurazioni di attività
nervose con lo scopo di trasmetterle agli altri sistemi sensoriali. L'orecchio umano
può udire frequenze comprese tra i 20 e i 20000 Hz; (tra queste, in particolare, quelle
comprese tra i 125 e i 2500/3000 Hz interessano particolarmente la comprensione del
linguaggio parlato). La prima tappa di questa complessa codificazione avviene
nell’orecchio esterno. Qui il suono viene raccolto dalla membrana del timpano e
subisce un’amplificazione selettiva delle frequenze che si avvicinano ai 3000 Hz,
(ovvero quelle più al limite nel range del linguaggio parlato, e pertanto più
difficilmente codificabili). In seguito, le onde sonore passano attraverso l’orecchio
medio, che trovandosi a metà tra la via aerea dell’orecchio esterno e l’ambiente
liquido di quello interno, è in grado di portare a termine un’amplificazione delle
vibrazioni catturate, così da permettere al suono di mantenere intatta tutta la sua
complessità. Le onde sonore nuovamente amplificate raggiungono quindi l’orecchio
interno sede della coclea, struttura fondamentale poiché responsabile della
trasformazione delle vibrazioni sonore in impulsi nervosi. Essa è in oltre preposta
alla scomposizione di eventuali onde acustiche complesse in frammenti più semplici;
frammenti che verranno successivamente trasmessi alle cellule sensoriali
dell’orecchio interno; le cellule ciliate. Anche queste ultime, divise in interne ed
esterne, modulano e trasformano i movimenti della membrana basilare in impulsi
nervosi; e sono, inoltre, responsabili della grande velocità e fedeltà di trasduzione del
suono. Una volta che le onde acustiche saranno state trasformate in impulsi nervosi,
le cellule ciliate interne, tramite le fibre del nervo uditivo alle quali sono collegate,
inizieranno a trasmetterle al sistema nervoso e al cervello. Tramite il nervo uditivo
gli impulsi nervosi lasceranno l’area della coclea e giungeranno fino al tronco
74
cerebrale. Qui, saranno classificati dal centro uditivo del mesencefalo44, (meglio noto
come Collicolo Inferiore), a seconda della loro durata, frequenza e intensità, e, grazie
ad alcuni neuroni specializzati presenti nel lobo temporale, (precisamente nell’area 4
di Brodmann), tutte le frequenze e le tonalità del linguaggio e dell’orazione verranno
riordinate, così da ottenere una mappatura completa del discorso, che permetta alla
mente dell’interprete di individuare i punti fondamentali della dissertazione e
focalizzare su di essi i successivi processi neuronali. Una volta che i lobi temporale e
parietale, (aree di Broca e Wernicke), abbiano convertito le parole dell’oratore in
impulsi nervosi e ne abbiano districata la complessità, il cervello dell’interprete
avvierà due ulteriori processi neuronali, di capitale importanza al fine di portare a
termine la mediazione del messaggio originale.
Avendo acquisito sufficienti informazioni sul discorso dell’oratore
grazie al lobo temporale, il cervello inizierà ad occuparsi della presa d’appunti, e
contemporaneamente, comincerà ad attivare i centri più interni del subconscio e del
Sistema Limbico, (Ippocampo), al fine di accedere ad una sezione particolare
dell’area di Broca meglio conosciuta come “magazzino fonologico”, sede di tutte le
informazioni immagazzinate preventivamente dal mediatore prima di presenziare
all’evento; informazioni che, pertanto, esauriranno la propria importanza all’interno
dell’evento stesso, e che dunque non verranno impresse nelle profondità
mnemoniche della MLT. Esse verranno conservate in questa speciale area cerebrale
finché risulteranno utili all’interprete per comprendere e mediare correttamente il
messaggio di partenza; e alla fine verranno rimosse per far spazio alle informazioni
necessarie alla mediazione successiva. Solo con la stimolazione del magazzino
44
Il Mesencefalo, (detto anche "Cervello Medio"), è la seconda di tre vescicole che nascono dal tubo
neurale che forma il cervello degli animali in via di sviluppo. Al suo interno hanno origine i nervi
oculomotore e trocleare deputati, assieme al nervo abducente, all’innervazione dei muscoli
dell’occhio. Costituisce, inoltre, una zona di passaggio per le fibre ascendenti e discendenti, ed è
anche sede di particolari centri motori, sensitivi e regolatori di attività automatiche, (movimenti degli
occhi, riflesso fotomotore dell’iride). <http://it.wikipedia.org/wiki/Mesencefalo>, (consultato il 12
Marzo 2014, alle ore 10:10).
75
fonologico le informazioni contenute nella MBT, necessarie all’interpretazione finale
del messaggio, saranno disponibili alla mente del mediatore, che a questo punto non
dovrà fare altro che riorganizzarle nella forma migliore necessaria al compimento
della fase successiva.
Per passare dalla forma orale a quella scritta le parole dell’oratore,
divenute ormai impulsi nervosi, passeranno attraverso la via occipito-temporoparietale, una delle aree associative polimodali, situata al confine tra i lobi occipitale,
temporale e parietale, capace di integrare e coordinare informazioni provenienti da
modalità processuali diverse, ed implicata principalmente nella gestione e
comprensione del linguaggio, nell’orientamento spaziale e nella gestione di
movimenti semplici e complessi. Una volta che questa particolare area della mente
dell’interprete si sarà attivata, quest’ultimo sarà pronto per cominciare a trasferire sui
propri appunti le informazioni orali recepite dall’inizio del discorso. Tuttavia, per
portare a compimento questa seconda fase del processo interpretativo risulterà
necessario coinvolgere, (oltre al lobo occipitale), anche un’altra importante area
associativa del cervello; quella anteriore, sede di alcune importanti funzioni esecutive
del comportamento, quali la risoluzione di problemi, la pianificazione di strategie
lavorative, le capacità di adattamento alle diverse esigenze lavorative e della
Memoria di Lavoro. Una volta che le due aree associative della mente entreranno in
funzione, l’interprete sarà in grado di accedere alla simbologia mnemonica contenuta
nella propria Memoria di Lavoro, e di applicarla a tutti gli impulsi nervosi
corrispondenti ad altrettanti elementi del discorso sintetizzabili tramite simboli;
ricostruendo nella propria mente, una forma “crittografata” del messaggio, che,
tramite la rete neuronale efferente controllata dalla corteccia motoria, i nuclei della
base e il cervelletto, (già esaustivamente citati durante l’analisi del processo
traduttivo), verrà trasferita in forma scritta andando a costituire finalmente gli
appunti
dell’interprete.
Questo
elaborato
processo
neuronale
proseguirà
ininterrottamente per tutta la durata del discorso. La mente dell’interprete, continuerà
a selezionare e disporre ordinatamente su carta le parti più importanti dell’orazione
76
secondo i principi teorici della verticalizzazione45, che verranno adeguatamente
osservati ed applicati grazie ad una costante ed attenta azione del lobo occipitale;
che, facendo da specchio tra la rappresentazione degli impulsi mnemonici delle
sinapsi sul foglio degli appunti, e la sezione parietale destra della via OTP,
supervisionerà la corretta ricostruzione e disposizione spaziale di ogni immagine
visiva ricreata sul foglio dalle mani del mediatore. Una volta che il discorso
dell’oratore sarà terminato e l’interprete avrà portato a termine la stesura dei propri
appunti, avrà inizio l’ultimo processo logico-interpretativo della mediazione; ovvero,
la ritrasmissione orale di tali appunti; che permetterà all’interprete di riportare ai
propri auditori i punti focali della dissertazione originale nella lingua di arrivo.
Per poter portare a termine quest’ultima parte del processo, il cervello
dovrà attivarsi quasi nella sua totalità, coinvolgendo tutti e quattro i propri lobi,
(temporale, parietale, occipitale e frontale), nonché il sistema limbico, situato
all’interno della corteccia cerebrale. Prima di iniziare la propria esposizione orale,
infatti, l’interprete osserverà velocemente i propri appunti, “scansionandoli”, se così
si può dire, tramite il lobo occipitale, ed imprimendo nuovamente nella propria MBT
tutte le principali informazioni dell’orazione, già in precedenza parzialmente
memorizzate. Una volta completata questa fase, entrerà in azione il Sistema Limbico,
risvegliando le informazioni grammaticali, sintattiche e terminologiche contenute
nella MLT del mediatore, così da renderle più velocemente accessibili una volta
45
Con il termine, “Diagonalizzazione” o “Verticalizzazione”, s’intende uno dei principali aspetti
teorici dell’interpretazione consecutiva, basato fondamentalmente su una disposizione verticale,
piuttosto che orizzontale, degli appunti; disposizione che, per quanto apparentemente inutile e
superflua, consentirà all’interprete di raggruppare in modo logico e consequenziale le informazioni
espresse dall’oratore, ed utilizzare nel modo più semplice ed efficace possibile i propri appunti. Tra le
sue molte caratteristiche, permette anche di indicare chiaramente le subordinate rispetto alle reggenti,
nonché gli incisi e le correlazioni, rendendo estremamente facile effettuare una lettura rapida e fluida
degli argomenti, e ripercorrere il flusso logico dei pensieri dell’oratore. Lo schema canonico su cui gli
esperti basano questa tecnica è quello che dispone verticalmente soggetto, verbo, complemento ed
eventuali
subordinate
del
discorso.
<http://palazzichiara.wordpress.com/interpretare-e-
tradurre/interprete/>, (consultato il 12 Marzo 2014, alle ore 15:38).
77
iniziata la traduzione orale. Non appena questa sorta di “switch linguisticopsicologico” sarà stato completato, avrà inizio l’esposizione orale. Il controllo della
regolarità del discorso sarà effettuato dalla parte sinistra dei lobi frontale e parietale.
Nel primo, direttamente collegato alla Memoria a Breve Termine, grazie all’area di
Broca, verranno formate e controllate tutte le parole che saranno pronunciate durante
la dissertazione; al fine di evitare qualsiasi errore lessicale, grammaticale o sintattico.
Nel secondo invece, la parte sinistra interverrà per conferire fluidità e senso logico al
linguaggio adottato dal mediatore. Infine, sarà chiaramente fondamentale che
l’interprete abbia sempre il pieno controllo sulla propria capacità dialogica, e perché
ciò sia possibile, il lobo temporale supervisionerà, con la propria area di Wernicke, la
struttura del discorso, analizzandone passo dopo passo la comprensibilità, ed
intervenendo in modo determinante nella scelta dei sintagmi più adeguati alla
stabilità globale dell’orazione. Infine, con la sua parte destra, il lobo temporale
manterrà equilibrata la diffusione e la sequenza delle sonorità e delle intonazioni del
discorso; in modo da attribuire il giusto ritmo, respiro ed enfasi ad ogni suo
elemento, e conferire alla mediazione la stessa forza, intensità ed efficacia del
messaggio originale.
Ora che anche questa seconda parte del nostro percorso si è conclusa,
siamo in grado di constatare il fascino, la maestosità e la complessità che si celano
dietro l’interpretazione consecutiva. Un processo che, attraverso le sue tre fasi più di
ogni altro racchiude in sé tutte le procedure, le meraviglie e le difficoltà
dell’interpretariato; coinvolgendo un numero pressoché incalcolabile di neuroni,
sinapsi ed attività logiche; attivando la totalità dei lobi cerebrali e coadiuvando corpo
e mente nel conferire al messaggio una continuità elaborativa al contempo orale,
scritta e mnemonica.
78
L’INTERPRETE
COME
UN
COMPUTER:
LA
POTENZA
DELLA
SIMULTANEA.
Dopo aver analizzato e compreso i processi neuronali che
caratterizzano la traduzione e l’interpretazione consecutiva, siamo giunti all’ultima
parte di questo nostro percorso, e ci accingiamo a conoscere le caratteristiche logicointerpretative di quella branca dell’interpretariato che, più di ogni altra, spinge la
mente dell’interprete ai massimi livelli di attività e concentrazione.
Stiamo chiaramente parlando dell’interpretazione simultanea, quel
processo che consiste nel tradurre un discorso in maniera immediata passando dalla
lingua di origine a quella di arrivo durante lo svolgimento del discorso stesso. È
sicuramente il livello più alto ed affascinante di traduzione; utilizzato nella maggior
parte di assemblee e convegni internazionali, nei quali un qualsiasi numero di uditori
stranieri, sarà in grado di seguire, nella propria lingua, l’andamento completo di un
qualsiasi discorso. È chiaramente la forma di mediazione linguistica più rapida, in
quanto, eliminando quasi completamente la presa di appunti, (eccezion fatta per
ingenti quantità di singoli dati, quali date, cifre, sigle o nomi), velocizza la fase di
mediazione e trasmissione del messaggio, portando l’auditore al massimo livello di
coinvolgimento ed attenzione. È solitamente eseguita da una coppia d’interpreti per
ciascuna lingua. Tali interpreti si trovano all’interno di una cabina insonorizzata e,
tramite una cuffia, ascoltano e traducono contemporaneamente il discorso dei
relatori. Per gli esperti mediatori, questa è la forma d’interpretazione dal ritmo
cerebrale più elevato, e pertanto, richiede la massima concentrazione. Interpretare un
discorso in maniera simultanea vuol dire, infatti, ascoltare il messaggio nella lingua
dell’oratore e parlare nella propria con un distacco di appena poche parole, (distacco
definito dagli esperti del settore con il termine “décalage”). Proprio a causa di questo
elevatissimo ritmo mentale, il lavoro di un interprete simultaneista viene spesso
concentrato nell’arco di 30-40 minuti dall’inizio del discorso. Non tutte le
dissertazioni, tuttavia, riescono a trasmettere la totalità del messaggio all’interno di
questa finestra temporale; e proprio per questo, gli interpreti si trovano spesso a
79
lavorare in coppia, in maniera tale da supportarsi e coadiuvarsi nel corso della
mediazione, (intervallandosi per circa 20 minuti a testa), garantendo così un livello di
concentrazione costante ed una perfetta interpretazione del messaggio. Inoltre,
nonostante sia strettamente vincolato al ritmo del discorso e delle parole dell’oratore,
l’interprete deve a sua volta formulare un discorso omogeneo, privo di battute
d’arresto ed affrettate rincorse, nonché evitare di assumere un tono piatto e
macchinoso, che lo porterebbe ad annoiare e tediare i propri uditori. Tra i molti
ostacoli che possono presentarsi di fronte ad un interprete di simultanea, vi sono i
giochi di parole, (spesso intraducibili letteralmente), e l’uso prolungato dello slang,
che può facilmente costituire un problema interpretativo. Per ovviare a questi
principali ostacoli, gli oratori dovrebbero, dunque, cercare di fornire agli interpreti le
adeguate documentazioni prima dei propri interventi; specificando il significato degli
eventuali acronimi di cui potrebbero avvalersi, e fornendo in oltre un piccolo
glossario, nel caso in cui il registro linguistico dell’orazione fosse particolarmente
tecnico.
Da un punto di vista meramente teorico la simultanea è la branca
dell’interpretariato più libera da precisi vincoli normativi; in quanto non è regolata da
principi o assiomi senza i quali non sia possibile comprendere e svolgere questa
professione. Pertanto, dando per scontata una perfetta e totale conoscenza delle
lingue di partenza ed arrivo, unita ad ottime capacità dialogiche, di ascolto,
elaborazione, memorizzazione, nonché ad una costante preparazione sugli argomenti
e le tematiche del settore di attinenza professionale; gli unici accorgimenti degni di
riflessioni teoriche saranno quelli riguardanti il sopracitato décalage, ovvero il lasso
di tempo che intercorre tra l’inizio del discorso da parte dell’oratore e l’inizio della
mediazione orale da parte dell’interprete. Questo intervallo è spesso fortemente
vincolato alla natura grammaticale e sintattica della lingua dalla quale l’interprete
effettuerà la propria mediazione; traducendo ad esempio dall’inglese all’italiano, il
divario temporale sarà maggiore rispetto a quello di una mediazione effettuata dallo
spagnolo all’italiano, (differenza dovuta alla più stretta somiglianza grammaticale
che la seconda ha nei confronti dell’italiano rispetto all’inglese). Se invece la
mediazione venisse realizzata dal tedesco all’italiano il décalage sarebbe ancora
80
maggiore; in quanto la struttura sintattica della lingua tedesca prevede il
posizionamento del verbo alla fine del periodo, prerogativa che costringerebbe
l’interprete a dover attendere sempre la fine di qualsiasi frase prima di poter iniziare
la propria traduzione.
Un altro importante fattore che potrebbe sfuggire ad un’analisi
superficiale delle caratteristiche di questa professione, è la necessità del mediatore di
dover mantenere sempre un contatto visivo nei confronti dell’oratore. Tale contatto è,
infatti, indispensabile al simultaneista al fine di controllare costantemente
l’andamento della dissertazione originale, nonché le componenti di emotività, ritmo e
tono con cui l’oratore trasmette il proprio messaggio. Supervisionando il
comportamento e le movenze di chi parla, l’interprete sarà in grado di gestire al
meglio anche il proprio discorso, rendendolo più simile possibile all’originale, e
conseguentemente, di coinvolgere completamente l’auditore, (o gli auditori),
nell’ascolto e nella comprensione del discorso originale in ogni sua sfaccettatura. In
oltre, mantenere un contatto visivo risulterà fondamentale affinché l’interprete
rimanga totalmente concentrato sull’oratore; mantenendo la fonte sonora sempre
sotto controllo e potendo, eventualmente, rimediare ad inconvenienti o imprevisti che
potrebbero verificarsi nel corso della mediazione.
Oltre alla “traduzione a vista”, l’interpretazione simultanea può essere
realizzata secondo un’altra affascinante modalità; lo Chuchotage, o “Interpretazione
Sussurrata”, (termine derivato dal francese “chuchoter”, ovvero, “sussurrare”). In
questa particolare forma di mediazione orale l’interprete non siederà nella sua
cabina, bensì accanto a una o più persone, ed eseguirà la propria traduzione a bassa
voce e ad esclusivo beneficio di queste ultime. Questo tipo d’interpretazione presenta
il vantaggio di non richiedere alcuna apparecchiatura tecnologica, (a differenza della
simultanea), ma è realizzabile solamente se i destinatari della traduzione sono in
numero molto ristretto, (generalmente due o tre). Inoltre, a causa del notevole sforzo
cui la voce dell'interprete viene sottoposta nel sussurrare, o comunque nel trasmettere
a voce bassa la traduzione, (difficoltà a cui spesso vanno ad aggiungersi anche
pessime condizioni di diffusione acustica), l'interprete potrà utilizzare questa tecnica
traduttiva per un tempo estremamente limitato.
81
Prima di riflettere sulle caratteristiche neurologiche specificamente
preposte allo svolgimento di questa tecnica interpretativa, è interessante riflettere su
un ulteriore aspetto che la caratterizza e che, da un certo punto di vista, non si
allontana eccessivamente dalla natura delle riflessioni puramente logicointerpretative.
Chiaramente, per riuscire a sopportare l’altissimo livello di attività
cerebrale che caratterizza l’interpretazione simultanea, il cervello di un interprete
avrà bisogno di un’ingente quantità di energia. Durante la realizzazione di una
mediazione orale di questo tipo, infatti, il sistema nervoso tende a consumare
un’enorme quantità del proprio catalizzatore principale: lo zucchero; in media quasi
il doppio del consumo medio giornaliero necessario al sistema nervoso di qualsiasi
individuo. La motivazione di questo consumo fuori dall’ordinario è semplice.
L’attività neuronale si basa esclusivamente sul consumo di glucosio, poiché, essendo
uno degli zuccheri naturali più semplici esistenti in natura, è in grado di fornire
energia più rapidamente di qualsiasi altro alimento. Pertanto, qualsiasi interprete, sul
punto di effettuare un’interpretazione simultanea, avrà sempre con se una fonte di
glucosio, (una barretta di cioccolata, una bevanda, o un qualsiasi alimento a base
zuccherina in grado di fornirne il giusto apporto al sistema nervoso). Nel caso in cui,
l’ingestione di un qualsiasi alimento non fosse possibile, o non sia in grado di
compensare il consumo effettuato durante lo svolgimento della mediazione, il
sistema nervoso stimolerà il fegato attivando una complessa procedura di emergenza;
un elaborato processo biologico di 10 fasi, comunemente noto come gluconeogenesi,
mediante il quale l’organismo, partendo da un qualsiasi composto non glucidico,
(come ad esempio gli amminoacidi), sarà in grado di sintetizzare glucosio che, al
termine del processo verrà trasportato ai vari tessuti fino a raggiungere il cervello. Lo
zucchero è comunemente definito dai medici come “il cibo del cervello”, ed ora
sappiamo che nessun’altra metafora potrebbe rispecchiare meglio la realtà dei fatti.
Esso è senz’altro la chiave fondamentale che permette alla mente di attivarsi, e che
consente a noi di proseguire nel nostro percorso.
82
Ora che abbiamo chiarito le caratteristiche stilistiche, nonché i
requisiti teorici, tecnici e biologici che un interprete deve possedere al fine di
svolgere in modo ottimale il lavoro di simultaneista, possiamo prendere in
considerazione i processi neurali che percorreranno la mente dell’interprete nel
momento in cui sarà chiamato a realizzare un’interpretazione simultanea.
Prima di iniziare ad analizzare i comportamenti di neuroni, lobi e
sinapsi che si attiveranno non appena avrà inizio il discorso che l’interprete sarà
chiamato a mediare, è interessante, e al contempo necessario, soffermarsi sulla natura
dell’incipit sensoriale che caratterizza l’interpretazione simultanea, così come, a suo
tempo, abbiamo fatto per la traduzione scritta e l’interpretazione consecutiva. Sin da
questa prima analisi risulta evidente il motivo per il quale la simultanea è considerata
la branca più complessa nell’ambito della mediazione linguistica. Nel caso della
traduzione, infatti, avevamo specificato la natura prettamente visiva dell’incipit
sensoriale; spiegando, per l’appunto, che gli occhi del mediatore erano chiamati a
“fotografare” la forma originale del testo da tradurre, così da poter convertire tali
immagini in impulsi nervosi che avrebbero iniziato a vagare nella mente del
traduttore stimolando i processi mnemonici necessari alla realizzazione della
mediazione scritta.
Successivamente abbiamo parlato di incipit uditivo riferito alla
consecutiva; sostenendo che le orecchie fossero responsabili della cattura dei suoni
della dissertazione e del loro trasferimento all’interno della mente del mediatore, che
grazie a tali informazioni sarebbe stato in grado di avviare conseguenti processi di
presa d’appunti e di mediazione orale. Parlando dell’interpretazione simultanea
invece, dobbiamo evidenziare una natura dualistica della stimolazione primaria,
poiché per l’interprete risulterà fondamentale ascoltare ed, al contempo, osservare
l’oratore, combinando la sonorità delle parole con la mimica, la gestualità ed il ritmo
delle movenze, che forniranno importanti informazioni sui punti salienti del discorso
ed aiuteranno il simultaneista a risolvere problemi mediativi di natura prettamente
semantica. Dunque, dal momento in cui l’oratore inizierà il proprio discorso, sia le
83
orecchie che gli occhi dell’interprete cominceranno a codificare le informazioni
necessarie alla mediazione in impulsi nervosi di natura sensoriale, che andranno in
profondità a stimolare tutte le aree cerebrali necessarie all’obiettivo finale. Per ciò
che riguarda l’impronta uditiva di partenza, possiamo affermare che il percorso delle
parole
dell’oratore
sarà
inizialmente
analogo
a
quello
che
caratterizza
l’interpretazione consecutiva. Esse dunque verranno catturate dall’orecchio esterno
che con la membrana del timpano amplificherà tutte le frequenze di più complessa
codificazione; il cammino poi proseguirà nell’orecchio medio che continuerà il
processo di amplificazione mantenendo il suono inalterato e chiaro fino in fondo. Le
onde a questo punto raggiungeranno l’orecchio interno fino alla coclea che le
trasformerà in impulsi nervosi e scomporrà le onde sonore più complesse in
frammenti più semplici. Questi frammenti verranno convertiti in impulsi grazie alle
cellule ciliate interne ed esterne. Non appena che tutte le onde sonore saranno state
trasformate in impulsi, entrerà in azione il nervo uditivo che li trasmetterà
direttamente al sistema nervoso e al cervello. Il percorso degli impulsi a questo punto
passerà per il centro uditivo del mesencefalo, che li classificherà secondo durata,
frequenza ed intensità per poi riordinarli grazie ai neuroni dell’area 4 di Brodmann,
completando così lo schema delle linee guida del discorso su cui la mente realizzerà
la mediazione.
Come per la consecutiva, dunque, l’interprete inizierà il processo di
mediazione partendo dall’ascolto del discorso dell’oratore; tuttavia, mentre nel primo
caso egli avrà molto tempo a disposizione per permettere alla propria mente di
avviare tutte quelle concatenazioni di processi neuronali atti alla stesura degli appunti
e alla formulazione del discorso espositivo orale, durante l’interpretazione
simultanea
sarà
chiamato
ad
iniziare
la
propria
mediazione
quasi
contemporaneamente allo svolgersi del discorso iniziale. Questo è il principio
fondamentale su cui è basata l’interpretazione simultanea, ed è al contempo la
ragione per cui essa è considerata la forma più ardua ed affascinante di mediazione
linguistica.
84
La mente dell’interprete dovrà dunque concentrarsi sull’oratore,
continuando a ricevere informazioni grazie al nervo uditivo, e al contempo costruire
una perfetta mediazione orale del suo discorso, portando l’intero emisfero sinistro, e
in particolare le aree di Broca e Wernicke, ai massimi livelli di attività e
stimolazione, al fine di realizzare la mediazione nel modo più efficace e rapido
possibile. Non appena le orecchie del mediatore avranno recepito un numero di
parole sufficienti a comprendere l’inizio del discorso nella lingua di partenza, queste
informazioni verranno immediatamente inviate dal nervo uditivo alle cortecce
prefrontale e temporale; la prima si occuperà della gestione dell’afflusso delle
informazioni di carattere sensoriale, mentre la seconda si occuperà della parte
logistica della memoria, sarebbe a dire la realizzazione di ragionamenti e pensieri
complessi. Entrambe queste aree del cervello invieranno impulsi nervosi
all’ippocampo, e al magazzino fonologico dell’area di Broca, sedi della MLT e della
MBT; la prima sarà coinvolta nella comprensione sintattica e grammaticale dei
frammenti che giungeranno durante lo svolgimento del discorso di partenza, mentre
la seconda, si attiverà ogni qual volta da quest’ultimo emergeranno argomenti,
informazioni o termini che l’interprete avrà preventivamente immagazzinato nel
magazzino fonologico all’interno dell’area di Broca; vale a dire tutte le informazioni
di glossario, le documentazioni sull’oratore e tutti argomenti principali che
potrebbero essere trattati durante la dissertazione.
Una volta che il cervello avrà compreso interamente la struttura
sintattica del linguaggio utilizzato dall’oratore e richiamato tutte le informazioni
mnemoniche necessarie alla comprensione del messaggio recepito dal nervo uditivo,
andrà a stimolare l’area di Wernicke, che selezionerà rapidamente le parole corrette
con le quali l’interprete comincerà ad esporre oralmente la propria mediazione.
Questo momento rappresenta il cuore dell’interpretazione simultanea. Tutti i processi
neuronali che abbiamo descritto fino ad ora, costituiscono solamente le fasi di avvio
di questo elaborato processo interpretativo, e dal punto di vista temporale,
occuperanno solamente la finestra temporale offerta al mediatore dal decalage. Una
volta esaurito questo lasso di tempo, fino alla conclusione del discorso dell’oratore,
la mente del simultaneista verrà sottoposta ad un forte carico di lavoro che risulterà
85
fondamentale per mantenere, contemporaneamente, l’attenzione sull’orazione di
partenza, e su quella che, parola dopo parola, frase dopo frase, verrà declamata dal
mediatore stesso. Nel momento in cui l’interprete comincerà la mediazione, l’attività
neuronale del suo cervello subirà una sorta di sdoppiamento; una parte della mente
resterà, dunque, focalizzata solamente sull’ascolto del discorso da tradurre, mentre
l’altra si concentrerà sulla struttura, l’equilibrio e l’eventuale correzione della
mediazione orale. Normalmente l’area di Wernicke di un qualsiasi individuo ha
molto tempo a disposizione per scegliere accuratamente le impostazioni sintattiche e
lessicali di un discorso; ma nel caso di un interprete questo margine temporale tende
ad assottigliarsi; e lo farà proporzionalmente alla rapidità con cui l’oratore parlerà al
proprio pubblico, rendendo questa professione, ed in particolare quella del
simultaneista, estremamente variabile e, se così si può dire, profondamente casuale.
Come per la consecutiva e la traduzione, anche durante la simultanea
il massimo livello di attività neurale ricadrà sui lobi temporale e frontale; tuttavia in
questa fase espositiva della mediazione l’interprete dovrà, come se non bastasse,
anche essere in grado di gestire e governare la propria emotività; una componente
fondamentale in questa branca dell’interpretariato che, se incontrollata, potrebbe
risultare facilmente alterabile da imprevisti o eventuali errori commessi durante
l’esposizione, arrivando ad ostacolare o addirittura compromettere la riuscita della
mediazione; e che, pertanto, qualsiasi interprete è chiamato a gestire. L’area del
cervello che sarà chiamata a svolgere questo delicato compito sarà il Sistema
Limbico, responsabile dell’origine e della gestione delle emozioni. La fase di
controllo ha inizio nel tronco encefalico, la parte più primitiva del cervello umano
comune a tutte le specie dotate di un sistema nervoso sviluppato. Esso circonda
l’estremità cefalica del midollo spinale ed ha funzioni di controllo del tono
muscolare, mantenimento della postura, dello stato di coscienza e regolazione di
funzioni come la circolazione del sangue, la respirazione e la digestione. Da questa
struttura basilare si dipartono tutti i centri emozionali da cui, nel corso di milioni di
anni, si sono evolute tutte le strutture e le aree del cervello pensante; le strutture che
costituiscono la neocorteccia. Il sistema limbico dunque comunica con il tronco
encefalico al fine di mantenere rilassati i muscoli e, di conseguenza, la postura del
86
corpo, gestendo anche la respirazione al fine di evitare aumenti della frequenza
cardiaca e conferire il giusto ritmo ai vari periodi dell’orazione. Il Sistema Limbico è
strettamente legato al funzionamento della neocorteccia. Infatti, senza il contributo di
quest’ultima, i centri neuronali del sistema limbico non sarebbero in grado di
sostenere il carico emozionale in momenti di particolare stress, finendo per
influenzare negativamente il funzionamento di tutte le restanti aree del cervello,
compresi i centri del pensiero. La neocorteccia, dunque, interviene impedendo al
sistema limbico di causare queste crisi emozionali anormali ed incontrollabili;
quindi, una corretta espressione e gestione delle emozioni richiede il contributo di
entrambe queste aree del cervello. Nel caso del simultaneista, la fonte principale del
possibile stress proverrà dagli stimoli sensoriali di natura sonora, che verranno
percepiti dai recettori esterni, (in questo caso le orecchie). Dal punto di vista
emotivo, questi stimoli interesseranno un’ulteriore area del cervello del mediatore, il
talamo, che inizierà ad elaborarli per poi spedire le informazioni ottenute ad un’altra
area, l’amigdala, che si occuperà di organizzare l’adeguata risposta dell’organismo
all’evento esterno.
Dunque, qualsiasi problema, o imprevisto, che l’interprete si trovasse
ad affrontare durante il proprio lavoro, verrà analizzato direttamente dall’amigdala,
considerata in gergo medico il “cane da guardia” dell’organismo, che in base alla
gravità dell’imprevisto reagirà il più rapidamente possibile inviando messaggi di
allerta a tutte le aree del cervello interessate. In questo modo stimolerà la secrezione
di particolari ormoni che innescheranno attività neuronali, cardiovascolari o
muscolari grazie alle quali sarà possibile affrontare in modo adeguato la situazione,
risolvendo, o per lo meno, minimizzando i danni nei confronti del processo di
mediazione. Grazie al corretto funzionamento del sistema limbico e di tutte le altre
aree del cervello fondamentali per il controllo delle emozioni, l’interprete sarà in
grado di mantenere una perfetta concentrazione sul proprio lavoro, senza che eventi
esterni possano influenzarne il corretto svolgimento. Il processo interpretativo
raggiungerà dunque una fase di equilibrio; un equilibrio che vedrà l’area di Wernicke
del simultaneista continuare a selezionare le parole più giuste tra tutte quelle evocate
dalla MLT ed MBT del mediatore, adeguando il registro linguistico alle
87
caratteristiche del discorso originale, ma, allo stesso tempo, anche alle esigenze del
pubblico che si troverà ad ascoltarlo. Tramite queste parole, verranno assemblate
tutte le frasi ed i periodi della traduzione orale. L’area di Wernicke, tuttavia, non si
limiterà unicamente a questo lavoro di selezione ed assemblaggio; essa sarà
responsabile anche del tono vocale e del ritmo con cui le parole verranno
pronunciate, consentendo al mediatore di coinvolgere con successo il proprio
pubblico nell’ascolto. I due discorsi, a questo punto, continueranno a svolgersi
parallelamente; ma nessun interprete è sempre in grado di comprendere ed
interpretare qualsiasi discorso senza il minimo dubbio o incertezza. Infatti, per
quanto questo mestiere spinga l’attività cerebrale umana ad avvicinarsi ai livelli
automatizzati delle macchine, esisterà sempre un punto nel discorso che richiederà
all’interprete più tempo e concentrazione al fine di essere mediato.
La fluidità della trasposizione orale, dunque, resterà inviolata fino a
quando il mediatore non abbia a che fare con qualche termine o struttura sintattica di
difficile interpretazione. A questo punto il ritmo dialogico tenderà a rallentare, o
addirittura a fermarsi, consentendo alla mente di concentrare la propria attività
neuronale sulla ricerca mnemonica, finalizzata a trovare quel vocabolo o quel
significato globale che renda nuovamente chiaro il senso del discorso. Il lasso di
tempo impiegato dal mediatore per risolvere tale dubbio interpretativo avrà,
probabilmente, aumentato il distacco temporale con la fonte originaria; sarà dunque
suo il compito di aumentare il più possibile il ritmo dialogico, al fine di recuperare il
tempo perduto e riportare il décalage a livelli più facilmente gestibili. L’aumento del
ritmo interpretativo da parte del mediatore causerà un aumento vertiginoso
dell’intera attività cerebrale, che coinvolgerà soprattutto il lobo temporale. Mentre,
infatti, il mediatore velocizzerà il proprio discorso nel tentativo di recuperare la
distanza corretta dal ritmo dell’oratore, sarà fondamentale che il nervo uditivo
aumenti al massimo la propria reattività, poiché solo in questo modo egli sarà in
grado di continuare a ricevere informazioni sul prosieguo della dissertazione, che
verrà “salvata” all’interno della MBT in attesa di essere processata e mediata dalle
aree di Broca e Wernicke una volta che l’interprete abbia recuperato il distacco
temporale dall’oratore. Esiste, tuttavia, anche l’eventualità che il mediatore non
88
riesca a recuperare il tempo perso nel tentativo di trovare la parola o il significato
sintattico di alcuni elementi del discorso. Questo è il momento in cui risulterà
necessario l’intervento del secondo simultaneista presente nella cabina durante la
mediazione. Egli, infatti, sarà rimasto in silenzio durante tutte le fasi precedenti,
supervisionando l’operato del proprio collega, ed annotando i punti salienti
dell’orazione. Nel momento in cui il primo interprete dovesse trovarsi in difficoltà, e
non fosse in grado di risolvere la situazione autonomamente, sarà compito del suo
collega aiutarlo, suggerendogli eventuali soluzioni lessicali, o riassumendogli
silenziosamente i concetti o gli argomenti che dovessero essergli sfuggiti. Non
appena il simultaneista avrà riottenuto il controllo del proprio discorso, il collega
tornerà “nell’ombra”, continuando tuttavia a vigilare costantemente sulla situazione e
redigendo appunti che potrebbero tornare utili in un nuovo momento di difficoltà in
cui un solo interprete non fosse sufficiente.
Tutti questi processi si susseguiranno parallelamente al discorso
dell’oratore, e consentiranno al simultaneista di realizzare una perfetta mediazione
orale del messaggio di partenza, dando al proprio pubblico l’impressione di ascoltare
un oratore tutt’altro che straniero, e rendendolo partecipe di un discorso che, (salvo
un’ottima conoscenza della lingua di partenza), in forma originale sarebbe tutto
fuorché facilmente comprensibile.
Fin dalla sua prima vera affermazione, con la fondazione nel 1945
delle prime vere organizzazioni internazionali, l’interpretazione simultanea si è fatta
largo nel panorama comunicativo mondiale, divenendo in poco tempo il punto
culminante di una professione neurologicamente molto articolata e complessa; è,
infatti, la sola tecnica di mediazione linguistica per cui è necessaria una
collaborazione tra più interpreti, nonché un supporto energetico straordinario per il
cervello. E’ senza ombra di dubbio la migliore forma di mediazione che
l’interpretariato possa offrire; più rapida e diretta di qualsiasi altra. Tuttavia, richiede
una grandissima abilità ed un self-control non indifferente; poiché nessuna branca
dell’interpretariato scarica così tanta responsabilità sulle spalle del mediatore, e
richiede una capacità tanto accurata, rapida e costante nel passare in forma orale da
una lingua ad un’altra. Per tutte queste ragioni, e per molte altre di carattere teorico,
89
mentale, logico e comunicativo, la mediazione linguistica orale di tipo simultaneo è
considerata, dal punto di vista linguistico, comunicativo e sociale, una delle più
grandi conquiste filologiche della storia dell’umanità.
90
CONCLUSIONE.
L’obiettivo di questo lavoro era quello di sondare più semplicemente,
rapidamente e profondamente possibile le caratteristiche logico-interpretative
dell’interpretariato; una professione le cui radici, radicante in epoche e periodi
lontani si sono evolute e sono giunte fino a noi costituendo oggetto di studi di diversa
natura e complessità. tramite le nostre riflessioni abbiamo compreso che la mente di
un interprete è soggetta a livelli di attività e pressione sconcertanti, restando
costantemente impegnata su molti più fronti di quanti si possano immaginare; e che,
per quanto, ad una prima occhiata, possa sembrare facile analizzare e comprendere il
funzionamento di attività come la traduzione o l’interpretazione consecutiva e
simultanea, in realtà esse vanno studiate attentamente, poiché custodiscono segreti e
misteri che possono aiutarci a conoscere meglio noi stessi e le molteplici macro e
microscopiche sfaccettature di una delle professioni comunicative più preziose ed
efficaci della storia.
91
ENGLISH SECTION.
92
CHAPTER TWO: THE TRANSLATION’S MENTAL PROCESSES.
TRANSLATORS AND LONG-TERM MEMORY.
Translating is not just a linguistic process. Several studies, carried out
over the years, reveal that it involves mental operations more complex than what was
previously believed. Before starting their studies, experts have asked themselves a
fundamental question:
<<How does the professional’s brain runs every day from one language to
another?>>.
Before answering this question, it’s useful to remind that in the front
left hemisphere is located the Broca area, responsible for the language expression,
and over the temporal area is situated the Wernicke’s area, in charge of linguistic
comprehension through connections with the memory’s mechanisms. So translation
is mentally possible only through the higher brain functions’ activity. The art of
translation is based on the connection between long-term memory that allows the
translator to apply the techniques learned during his apprenticeship, and the frontal
and parietal lobes, which enable him to analyze stylistic and grammar exigencies of
the text. In fact, whoever has to carry out the translation of a foreign text will have to
analyze it in every detail searching in his LTM for every theoretical, syntactic and, in
some cases, narrative information, (often linked to the grammatical rules of the
source text, and to those of its language). However, let’s proceed gradually, trying to
analyze exactly what happens in a translator's mind while carrying out a written
mediation. We can state with certainty that translating is a complex and elaborate
mental process, able to combine the mnemonic skills of the translator with other
fascinating mental mechanisms that will be activated as soon as the translating
93
process begins. Some of the major researches about translation have been focused on
two activities in particular; the reading and writing processes. Experts and theorists
have declared that, even remaining within the same linguistic code, (that’s to say
without changing language), there’s an intermediate phase in which the words are
translated in a “mental language” understandable and translatable only by the
concerned mediator. These analytical tests have underlined the variety and
subjectivity of the processes involved during these activities. Furthermore, the
focalization fluctuates between micro and macro analysis, between micro expression
and macro expression; that means that there’s a constant comparison between the
sense of individual utterances and the overall meaning of the text. In addition to this
analytical process, it’s important to keep in mind that the mental verbal data
processing, carries out its activities simultaneously and interdependently. So, in order
to describe the entire translation’s mental process, it is necessary to understand the
functioning of each micro activity. A famous translation expert, James S. Holmes,
has proposed an interesting approach to mental translation’s processes, better known
as <<Mapping Theory>>, and with these few words he has tried to explain it as
clearly as possible:
<<I have suggested that actually the translation process is a multi-level process;
while we are translating sentences, we have a map of the original text in our minds
and at the same time a map of the kind of text we want to produce in the target
language. Even as we translate serially, we have this structural concept so that each
sentence in our translation is determined not only by the sentence in the original but
by the two maps of the original text and of the translated text which we are carrying
along as we translate>>.
So the translation process would seem to be a complex system in
which a sort of “central processing unit” controls and coordinates all mental
processes, (such as those related to reading, interpreting and writing), and at the same
time projects a map of the future text in the translator’s mind. Let’s try to better
94
understand this process. At the beginning, the source text is “uprooted” from the
original context and plunged in the translator’s mental reality. Therefore, it’s possible
to state that he doesn’t work with the source text, but with its mental projection. The
elaboration space is divided into controlled and uncontrolled workspace. In the
uncontrolled one a first text’s comprehension is carried out through the application of
pre-established meaning’s schemes, (based on the perceptual experience of the
mediator), stored in mediator’s LTM. These semantic schemes reflect the expectation
of the reader sketching out the image of a hypothetical translated text that although is
still not real outside the translator, begins to take shape in his mental map. In order to
analyze the controlled workspace, it has been useful the employment of the so-called
“Thinking Aloud Protocols”. According to this procedure, some translators were
asked to explain aloud what they were doing or what they meant to do while they
were working. All mental processes described in this way have been called
“controlled workplace”. So, the uncontrolled workspaces are those in which mental
activities are developed without thinking aloud protocols. On the contrary, in the
controlled ones the mind elaborates information consciously, that’s to say that the
translator knows that some mechanisms are taking place, but at the same time he’s
unaware of how they happen from the mental point of view, because they’re
automatic mechanisms. The translator that only uses the uncontrolled workspace
works with a partial strategy and is unable to consider the totality of the translated
text. This kind of translator is at the mercy of those linguistic repercussions, which
come out automatically from the perception of the original document. In order to
have a complete translation competence, a rational macro textual strategy will be
necessary too. Therefore, reflecting on the mental areas responsible for the
management and the analysis of visual impulses, and also, for the understanding of
written languages, medical researches applied to linguistic mediation discovered that
the left hemisphere seems to be more involved in decoding and producing
phonological, morphological, syntactic and lexical components; while the right one
is in charge of understanding the implicit meanings. Language’s specific areas
located in the dominant hemisphere, (the left one), are:
95
• The Broca’s anterior cortex area;
• The Wernicke's posterior cortex area;
• The precentral gyrus in the higher cortical area.
(fig. a)
(fig. a)
However, also the angular gyrus, the supramarginal one, (Brodmann
area 22, 39 and 40), and the associative parietal areas of the left part of the brain take
part in language’s elaboration. Subcortical structures are involved too. The
Wernicke’s area oversees the language's phonetic code usage, while the Broca’s one
manages the phonemes’ combination in order to form words. The first conceptual
analysis of the basic skills that a good interpreter must possess in order to carry out
his work on a full scale is almost complete. Nevertheless, before analyzing what
happens within a translator’s mind, it’s necessary to broach a thorny subject; the one
related to the definition and the nature of language. More or less, we all know how to
define the term “language”, but it’s important to clarify its connection with a
profession like the linguistic mediation; a last question that, though seemingly
elementary, should not be underestimated, because represents the true “raison
96
d’etre” of this profession is: <<What is meant by the term language?>>. The
language represents the capability to understand the spoken and written word in
order to express simple or complex concepts. It is the best way to communicate;
especially regarding the expression of abstract concepts and the practice of
professions closely related to its comprehension, elaboration, transformation,
figuration and memorization. It is believed that the brain processes language through
three structures that interact with each other. A first large group of neural systems
that elaborates non-linguistic interactions between the body and the environment,
(elaboration carried out through colors, shapes, or emotional states), and analyzes
objects, events and relationships. A second group administrates the phonetic
combinations and the syntactic rules for the construction of written and spoken
phrases. The third group instead, is an intermediate group that receives the words and
recalls the corresponding events from the memory.
The Brodmann area 44, (located above the temporal lobe, in front of
the fissure of Sylvius, and also known as Broca-Wernicke area), seems to be the
most involved one in the forming of words and phrases. The discovery of this area
has consolidated the theory of cerebral dominance, that states that in humans the
structures of the language are almost exclusively located in the left hemisphere, (the
totality of the right-handed and the 75% of the left-handed).
(fig. b)
97
In the above image, obtained by PET, (Positron Emission
Tomography), (fig. b), there are three different scans of the human brain while it is
carrying out a series of intellectual operations related to words. Through the PET is
possible to observe that the brain’s blood flow changes depending on the performed
task. In the first scan we can see the area that shows the words and associates them to
phenomena and colored objects. In the image in the middle, the motor area
responsible for the pronunciation of words and the construction of the phrases is
highlighted. In the last one, (Broca area), the language is articulate and organized.
However, despite the numerous possibilities in the study of brain offered by PET, the
deep complexity of the language’s phenomena doesn’t allow to identify the totality
of brain interactions, which in many cases are still obscure. Now that we’ve
understood the nature and the characteristics of language, we can analyze the
neuronal processes of the linguistic mediation; and the first step on which we must
focus regards that branch closely related to the LTM; that’s to say the translation.
TRANSLATION AS A LOGICAL PROCESS.
The translator is expected not just to master a language, but
everything that is hidden behind that language, that’s to say an entire culture, a whole
world, an entire way to look at the world; and to connect this world with a
completely different one, creating new borders for every nuance, register, accent,
reference and tone. In the end, he is asked to carry out this arduous but fascinating
operation without attracting attention on himself, mounting neither the podium nor a
horse. He’s asked to consider the readers’ indifference as his utmost satisfaction. The
translator is the last, real knight-errant of literature.
In order to analyze and understand the mental processes activated by a
translator during his work, it is necessary to go briefly back to the roots of written
language, understand all the differences that it has with the other language’s forms
and also the importance and historical, social and global predominance for the
98
linguistic and cultural evolution of the human kind. The ability to write a language,
started 4.000 thousand years ago, even if with different methods and timings. The
spoken language’s acquisition happens spontaneously and without specific
instructions during childhood, while the reading and writing learning happens at an
early age and needs also to be guided. The learning and the use of written language is
based on exclusives functional and neurological systems, created by making some
parts of the visual system able to recognize words and letters. These ones are
independent from the others visual recognition systems, (like those responsible for
the observation of objects and faces), and those related to spoken language
comprehension. They’re efficient, automatic and operate very quickly. The data
collected on reading and writing deficiencies, allowed firstly, to clarify the functional
and anatomical relationships between the mechanisms responsible for objects’ visual
recognition and those used during the writing activity; and secondly, to understand
the functional structure of the written language’s elaboration processes and its
connections with the spoken language’s ones.
Differently from language, the experts agree that writing has been
invented just to communicate. In fact, only through it hominids managed to hand
down their information to posterity, (overcoming the limitations of time and space).
So, thanks to writing, one of the greatest achievements in the history of mankind was
reached; the creation of a permanent level of communication that, over the centuries,
made the human mind able to break its own narrow physical boundaries. Also, all the
physical interactions that the body has with the environment, (for example taking
notes on a sheet of paper, writing a letter, making a phone call), contribute to extend
the communicative potential of the human mind. Normally, the human
communication follows both the linguistic and the extra linguistic mode; and only
when it became permanent one of them was privileged. That means that writing is
not based just on the language, because for 30.000 years, before the spread of the
alphabet, (more than 5.000 years ago), it was based on the extra linguistic
communication. Writing led to the emergence of critical culture and science, opening
the doors of the future and of the progress to humanity, and, at the same time,
ensuring the preservation of past and present.
99
EXTRA LINGUISTICAL
COMMUNICATION
LINGUISTICAL
COMMUNICATION
IMPERMANENCE IN
TIME
Gestures
Language
PERMANENCE IN
TIME
Pictography or
Ideographic Writing
Alphabetic Writing
TRANSLATION THEORY.
In the course of history many experts focused their studies on the
analysis of the translation process, considering it as a proper “Science of the word”.
All the studies, made over the years by world-famous neurologists, humanists and
linguists, were collected in the so-called Translation Theory; a branch of humanistic
theories dedicated to the study, the description and application of translation. It is
purely normative, (that’s to say that concerns exclusively the rules for the application
of this activity), and so, should not be confused with the Science of Translation,
(that, on the contrary, uses elements of social sciences in order to describe the
theoretical study and the practical applications of translation and interpreting). Being
an interdisciplinary science, the Translation Theory has its origins in all fields of
studies that support the translation; that’s to say literature, computer science, history,
linguistics, philology, philosophy, semiotics, terminology, lexicology etc. In Italian
and many other languages Translation Theory is also known as Traductology. Many
people consider this the wrong term to define translation, because it is derived from
the french term la Traductologie; widely used since 1972.
100
TRANSLATION PROBLEMS
Generally, during his job, a translator tends to choose those translation
strategies that any mother tongue would use in the same communicative situation, (in
the target language). In the contemporary representation of the translational figure,
has been strongly supported, (also through the creation of specific professorships by
the institutional bodies), the birth of the status of “mediator”.
Thanks to this title, the professional can choose two different paths:
cultural or in linguistic mediator. Therefore, the problem lies in the etymology of the
two different words. In fact, a translation is defined as the simple scientific
transposition of two texts; which passes from one syntactic complex to another
without losing the sense of speech or semantic structures. On the other hand, a
mediation is regarded as the way followed by mankind since the birth of languages;
that’s to say the transport and the adaptation of a sign message from one context to
another, from one code to another, from one paradigm to another. According to
experts, not always a word from the source language can be translated into another
one in the target language, (with a 1:1 proportion, such as for colors or figures).
Often larger sense units have to be transposed as a unicum, (for example proverbs,
polite expressions etc.). Therefore, the choice of the correct translation unit is one of
the techniques that translators must follow. However, two languages also differ on a
formal level. Often passing from the source language to the target one, the lack of
certain words can be noted. For example, in Swedish there is no hypernym for the
term “grandparent”, but only “maternal grandfather”, (morfar), and “paternal
grandfather”, (farfar). Neither French nor English can translate the German word
“Betriebsblindheit”, (blindness to company failings). Also in the syntax, or in
constructions with adverbial phrase of time or nouns there are differences. If the
translator merely translates without adapting the contents of the message from the
source language to the target one, the translation will appear as suspended in a kind
of “lexical limbo”. For example, the English expression, "it's nice and warm", could
be translated with the inaccurate Italian expression, "è bello e caldo", that once
101
adapted would become, "c'è bel tempo". All this proves that while translating stylistic
issues must be considered. This concept highlights the first fundamental principle of
translation:
“Translate as literally as possible, but, as freely as necessary”.
In addition to language differences must also be considered the kind
of text, the purpose and receivers of the translation. In fact, a scientific essay has a
different formulation and is, therefore, much more precise and technical than, for
example, a journalistic column. Sometimes the principle that the translation must
have a way of expressing that a mother tongue would use can not be achieved; for
example in the case of proper names or other circumstances that, in fact, don’t exist
in the target language. In addition, experts wonder how the original culture should be
administered. Therefore, in technical translations, the mediator will try to stick as
closely as possible to the structural, syntactic and cultural settings of the mother
tongue and the country of destination; while for the translation of novels, the cultural
background of the language will be preserved as far as possible.
Friedrich Schleiermacher, a German philosopher and theologian, has
been a leading expert in the theory of translation. He introduced lots of innovative
concepts; including the one that considered a language as the "world view" of the
people to which it belonged. In fact, according to this concept, in order to understand
the sense of the speech the translator should not focus on the object or the specific
topic, but on the way used by the subject to describe and express it in his own
language. Furthermore, in order to understand a single expression, is often crucial to
analyze the totality of the context in which it appears. So, the word must be placed in
the structure of a sentence; a sentence that will be part of a given chapter that will
belong to a certain volume, which, in turn, will represent the overall context of the
author’s work. Therefore, the mediator must begin by understanding the individual
parts in order to get the global sense of the work. In the end, according to what
102
Schleiermacher states in his Über die Verschieden Methoden des Übersetzens, the
translator, through his work, can take, or rather, let undertake to his public only two
paths:
<<In my opinion, there are only two possible ways. In the first one the translator
leaves the writer alone as much as possible and moves the reader towards him. And
in the other one he leaves the reader in peace as much as possible and moves the
writer towards him. The two ways are so different that the chosen one must be
followed till the end with the greatest possible rigor. Trying to walk them both at the
same time will lead to very uncertain results; also with the risk of completely losing
both writer and reader>>.
This is, essentially, the eternal dilemma of the translator: <<I say what
the author said, or what he meant to express?>>. In the first case the translation will
be more or less literal and the reader will have to interpret its meaning, (running the
risk of losing the concept that the author wanted to express); while in the second
case, the interpretation will be made by the translator and the reader will receive a
more understandable but less faithful work, (with the risk of presenting the point of
view of the translator and not the author’s one). So, in Schleiermacher opinion, any
translator commissioned to create a translation will come face to face to a crossroad
and must choose which of the two methods must be taken during his mediation.
103
FROM THE EYES TO THE MIND OF THE TRANSLATOR.
The translating process starts right when the translators’ eyes start
reading the words of the original document; therefore, it is not wrong at all to declare
translation to have, so to speak, a “visual incipit”. So the eyes, subject to the, so
called, ”primary stimulation”, will carry out the first analysis and selection of the
words and the structure of the original text. Now that we have explained the eyes’
role during the first approach to the text, we can analyze what happens inside the
translators’ mind while he’s carrying out his work.
As soon as the mediator starts reading the required document, his
visual cortex will be subject to stimulation. To be more precise, the eye will be the
organ that, with its four main components, (cornea, anterior chamber, lens and
posterior chamber), will be able to transfer the images to the retina, the eyes’ most
delicate part, that, with its photoreceptors, will transform the images into electrical
pulses which, with their information, will be sent to the retinal neurons, (horizontal
cells, bipolar cells, ganglion cells and amacrine cells), which will carry out a first
analysis of the visual signal. The axons of the ganglion cells, gather themselves
together in order to form the optic nerve, a sort of natural cable that leads out the
visual information from the retina up to the higher centers; at first to the lateral
geniculate body, (a part of the brain that controls the visual information from the
retina), and from there, to the cortical areas. Cortical stimulation begins as soon as
the visual impulse reaches the Primary Visual Cortex, (a sensory cortex), also known
as Striate Cortex, V1, or Brodmann area 17, (BA 17), located around and within the
calcarine fissure of the occipital lobe, (one of the five fissures that mark the border
between the lobes). In close proximity of this area are the extra striate cortical areas,
(also named Brodmann area 18 and 19, or V2 and V3). Those two occipital areas are
involved not only in visual activities, but also in the analysis, recognition and
interpretation of images elaborated by the Brodmann area 17. The V1 area can
transmit the information by two main paths, (the so-called primary pathways). These
directions, covered by the information of the primary and secondary cortex, are
104
known also as Dorsal Stream and Ventral Stream. The ventral stream, generally
known as the “What Pathway”, is the one on which we will focus our scientific
observations; because it’s the main stream assigned to the analysis of language, and
also to the data gathering or the conceptual understanding of linguistic constructions.
It originates in the V1 cortex, (Calcarine Fissure), than moves toward the visual areas
V2 and V4, until reaching the inferior temporal cortex. Summarizing, we have
underlined the key moment of the translation process: that’s to say the moment in
which the words of a text are observed and, some how, “photographed”, by the
translators’ eye, which acquires all the elements and transmits them to the retina.
Here they’re converted into electric impulses and sent to the primary visual cortex by
the optic nerve, and from here, they run through the ventral stream right to the
inferior temporal cortex.
The whole process, with which the eyeball and the primary visual
cortex carry out the observation, stimulation, identification, classification,
transformation and transference of the words, is accomplished in a few seconds.
However, it continues to take place; generating multiple stimulations that, going
deeper and deeper, manage to reach the nerve centers in charge of activate the longterm memory; so the mediator will be able to understand and translate the linguistic
message in the manner that best conforms to the structure of the original text. Now
that we have got how the words start their course toward the temporal lobe, let’s try
to understand and analyze deeply the neuronal and mnemonic process that allows the
brain to decode the contents of the text and activate the “data storage” areas, where
the long-term memory is located. At the very moment in which the images,
transformed into electric impulses, reach the inferior temporal cortex, they start to
stimulate the area that, more than any other, makes the translator able to analyze, (or
even simply to read), any written text. The so-called fusiform gyrus; the temporal
lobes section located in Brodmann area 37 and commonly known as, (discontinuous),
occipitotemporal gyrus. According to neurologists, this brain area, is the one that
controls the visual recognition of words, (visual word form area, VWFA), because
it’s able to recognize immediately the form of the letters which make up the words.
However, communicating with Wernickes’ and Broca areas, it’s also able to carry
105
out rapid associations between terms, and get, (through the LTM), all the information
necessary to translate the document. Thanks to this particular brain area, anyone is
able to recognize words and linguistic codes; and its importance increases
significantly for those who, like the translators, are specialized in linguistic
comprehension. The first part of the translations mental process is based on a series
of neural activations and concatenations, whose main objective will be to answer
questions like: <<What language I’m going to translate?>>, <<Which are the
stylistic canons of the text?>>, <<What is the linguistic register used by the
author?>>, <<What is the terminology of the text?>>. Any translator, apart from his
experience, will face the same questions; and will be able to answer them only
through the activation of the visual and mental processes of the “translators’ mind”.
Those processes will sound out the texts’ surface and will prepare the scheme of the
translations strategy that will be applied only after the stimulation of the cerebral
lobes.
Now that the initial part of the flow of the words from the sheet to the
mind of the translator has been clarified, it’s time to go in depth in order to examine
the main brain areas in charge of guarding the memories and the professional
experience of the mediator. This is the only way to clarify once and for all the last
logical-interpretative processes of one of the main forms of linguistic mediation.
106
A JOURNEY TO THE CENTRE OF MEMORY.
The majority of neurologists claims that the mnemonic skills of
humans are extremely similar to the computer ones, and for them, the brain of
linguistic mediators represents, without doubt, an irrefutable prove of this theory. In
fact, it’s inclined to store the grammatical, stylistic, lexical, syntactic, sonorous and
morph-syntactic information of the various languages in special areas; and if the
interpreter should need to get these information back, he won’t have to do anything
but activate the neural pathways which will allow him to access to the mnemonic
sectors that contain them.
This process is extremely comparable to the recovery of a file or a
program, stored in some particular area of the computer’s hardware, in order to carry
out any multimedia operation. Therefore, the mind will operate just like a PC, in
which, opening folders and subfolders, you get deeper and deeper until up to that
precise area of the device’s memory that contains the required information. So,
speaking metaphorically, the stages of reading, cataloging, visual association and
identification of the text’s words could be considered as many “clicks” that the
interpreter will make within the folders of his mind in order to reach the sections
responsible for memorizing information. During a translation, these sectors can be
reached only by passing through the nerve centers that structure the occipital lobe,
run through the optic nerve and connect themselves to the other cerebral lobes.
Among them, the frontal one with its right section will be able to create the memory;
while with the left one, in the Broca area, he will create and control the words. In
addition to the prefrontal cortex, the parietal lobe will play a fundamental role in this
process as well; especially with its left section, indispensable for the comprehension
of written and spoken language and words’ memorization. In the end, also the
temporal lobe will be needed; due to its capability to develop mechanisms and
complex cognitive functions, such as memory, and to supervise, (by the Wernicke
area located in its left section), the analysis of the spoken language and the words’
selection. It’s a fact that everyone has different memorization mechanisms; and so it
107
is not easy to settle precisely which are the mnemonic association forms universally
used by interpreters and translators to get back the information stored within their
LTM. However, according to doctors and researchers documentations, it’s possible
to assert that the main memorization procedures used by interpreters and, (in this
case), translators could be:
• Sensory or Iconic memory; that assimilates information starting from
the organ that receives the primary stimulation, (the eyes, for the
translator). Sometimes, for example, a foreign word may seem
meaningless to our mind, if we focus just on its pronunciation; but the
brain could remember it if transcribed in literal form.
• Episodic or Recall memory; mainly based on the capability to remind
learned or experienced facts. In fact, if we couldn’t remind the words’
meaning neither by the sound nor the visual stimulation, we could try
to use our life experiences to remind it. We could have learned it
during a journey, or during a conversation with a foreign person; or
maybe, we could have red it in a book or heard it in a movie.
• Recognition memory; that’s to say that mnemonics’ mechanism that
can remind the entire past situation or experience using the details.
This kind of memorization usually emerges when we’re reading a
book or watching a movie that reminds us something. In fact, if
neither the characters’ nor the plots’ analysis help us to remind the
story, those insignificants visual details, (in the movies’ case), such as
the sets’ organization and settings, or those auditory, such as the
soundtracks’ or lines’ sound, (in the books’ case), will allow us to
remember the entire story, as if it were the first time we see it or read
it.
108
All these memorization mechanisms enable translators to impress
various types of information in their mind. Such as, for example, those obtained
through their own linguistic experiences, or those from the stylistic canons of past
and present authors. According to the kind of work they have to face, the brain will
select the suitable information so that the target text has the same structure and
strength of the source one. Through all the stimulations that the translator mind will
receive from the text, it’ll propagate the electric impulses in all memorizing areas of
the lobes, in order to find the area in which the information needed to translate the
ordered text is stored. So stimulation will pass through the four lobes, reaching also
the hippocampus, the special area of the limbic system, in charge of transferring
information in the LTM. This transfer is carried out thanks to the hippocampal areas
of the dentate gyrus and the temporal lobes’ convolution. All these areas, together
with the entorhinal cortex, will use the fornix and the mammillary bodies in order to
create the fragments of the long-term memory and the cognitive and conceptual maps
that everyone may consult depending on the topic or the situation.
Up to now, from the anatomical point of view, the hippocampus is a
fundamental topic of studies and reflections. In fact, it has the capability to use its
nerve fibers both as afferent, (in order to bring the message and the nerve impulses
straight into the depths of memory, in search of the necessary information), as
efferent, (to bring the collected data back; that’s to say from the hippocampus to
those areas that will need the information stored within the subject memory). So,
that’s the point of arrival of nerves stimulation collected by sensory receptors of the
translators’ mind. This is the most sheltered and the deepest area of the entire
nervous system. A place where the LTM is kept; a place with almost unlimited
mnemonic potential, that stores data, experiences, images and any other kind of
information. This is the process activated in the translator’s mind, and represents the
most powerful work tool of any translator. This afferent mnemonic process, (based
on the activation of mental schemes necessary for the translation of the source text),
is connected to an efferent one, without which the translator would never be able to
put in writing his mediation. The entire structure of the translation should be written
on paper, or on a computer, and this final operation cannot be completed without
109
hands. Therefore, the translators’ mind will have to activate a series of processes that
will stimulate the motor system, (the main coordination center of the human body).
When we carry out a carefully controlled movement, commands necessary for
muscles’ activation originate from the motor cortex, (located in the rear of the frontal
lobe), pass through the brain and get to the spinal cord; and than, with special nerves
of the area in charge of the movement, reach the muscles. However, not all motor
commands are attributable to the motor cortex. In fact, it is responsible for the
activation of conscious movements, such as manipulations’ gestures or those related
to learning new moves. Some movements, on the contrary, are the consequence of
constant motor’s reiterations, on which the individual maintains only a general
control, (such as for example driving a car, or, during translation, draw up a written
document). These movements are described as automatisms, and are controlled by
some special nerve cells located in central and deep areas of the brain; the so called
basal ganglia. These nucleuses run all over the spinal cord and through the motor
nerves reach muscles.
Another important role in this operation will be entrusted to the
cerebellum, a part of the nervous system located in the posterior-inferior area of the
braincase, of capital importance in controlling the actions of the motor system. It
connects to the motor cortex and the basal ganglia in order to make hands
movements homogeneous and regular instead of irregular and jerky. So, it is
responsible for the control and coordination of the involuntary muscle tone. Neither
the cortex nor the basal ganglia are able to regulate the strength of the muscles that
perform the action. Therefore the cerebellum is directly responsible for the action,
the range, the size and the smoothness of movements. So, in order to allow the
translators’ hands to grab a pen, or to scroll properly on a keyboard, a correct
coordination between motor cortex, basal ganglia and the motor coordination action
of the cerebellum will be necessary. This cerebral coordination will allow
transforming the LTM’s mnemonic impulses into real motor maps that will let
mediators’ hands able to move with fluency and regularity in order to put down in
writing the definitive form of the linguistic mediation. The complex mental activity
of a translator on the point of translating something is amazing and fascinating
110
because it involves several cerebral areas and an immense number of synapses and
neurons that operate incessantly in order to get all the information needed to
complete the work. However, the process won’t end with the arrival in the
hippocampus and the identification of the data required, but will continue
automatically until the “first translation” is finished; or until the translator hasn’t
obtained from the text all the information about the author’s style or the terminology.
Once completed this long and elaborate procedure, the structure of the text will still
be raw; so the translator will active another mental process in order to refine and
correct the syntactic, lexical and stylistic characteristics of his translation. To be
more precise, he’ll start to read again his work, searching for contradictions, errors or
discrepancies that will need new reflections; and at the same time, he will reflect on
the inclusion of new lexical solutions that could give the text the correct structure.
According to experts, this procedure will require energy expenditure lower than the
pre-translation or the information collection phases, because both of them will
require a structural analysis of the document either in its original form or in the
translated one. So the translator will have to move continuously from one language
to the other, searching for the adequate scheme on which the translation will be
developed.
The cerebral areas activated during this operation will be always the
Wernicke’s and Broca areas, and the left part of the parietal lobe, that will analyze
lines, words, and syntactic structures, sending, if necessary, other electric impulses in
the depths of the brain to reactivate the hippocampus in search of new synonyms and
terms that could be used as corrective elements of the text. The duration of this
process is strictly related to the number of elements that the translator will want to
replace and also to the time he’ll need to ponder and analyze every linguistic choice.
Once the entire review activity is completed, the “first translation” will appear, (in
some ways), completely different, and its structure will be almost completely
comparable to the original. Thanks to his experience, a capable translator will be able
to identify the linguistic traps hidden in a foreign language text. Therefore, it’s not
surprising that he will continue to go along his translation again and again, tying,
(just like an artist), to make his “work of art” perfect, whether it’s a children’s book,
111
a treaty of medicine, an essay on astrology, a mathematical theorem or the more
technical and impersonal text of a manual. He will test his mind, looking for any
solution that, although difficult and hidden, will be able to close the gap between his
language and the authors’ one, matching his translation to the original work. If he’ll
succeed the public will acclaim him celebrating his brilliant mind. The mind of a
hidden figure mentioned in just a few lines at the beginning or at the end of a work.
A wizard in syntax with an unlimited vocabulary. An alter ego who, like an
alchemist, will combine his skills and style to those of the favorite public author who
maybe at the end, reading the translation of his work at the hands of his trusty “pen’s
equerry”, will be happy to exclaim: <<I myself couldn't have said it better!>>.
112
SECCIÓN ESPAÑOLA.
113
CAPITULO TRES: INTERPRETACCIÓN CONSECUTIVA Y SIMULTANEA: EL
ÁPICE Y EL CORAZÓN DE LA INTERPRETACIÓN.
Después de haber analizado y entendido los procesos mentales típicos
de la traducción, podemos empezar la etapa final de nuestro itinerario, analizando los
mecanismos mentales implicados en la interpretación consecutiva y simultanea. Con
este término se describe la traducción oral de un discurso declamado durante una
reunión política, un congreso, una conferencia, etc. Se habla de consecutiva cuando
el intérprete escucha y anota todo el discurso del orador, al fin de reproducirlo
completamente o en forma parcial, en su propio idioma. En cambio, se habla de
interpretación simultanea cuando el intérprete realiza su traducción al mismo tiempo
de la oración original. Estos dos tipos de mediación lingüística, tienen raíces
comunes, pero también profundas diferencias, y sin embargo, representan una de las
máximas expresiones de las potencialidades mentales y mnemónicas de un intérprete.
Analizando estas definiciones, es posible afirmar que un intérprete tiene que poseer
cualidades y características totalmente diferentes respecto a un traductor. Sin rebajar
los méritos y el trabajo de un traductor, (ya subrayado y elogiado), George Mounin,
afirmaba que un intérprete tiene mucho meno tiempo a disposición respecto a un
traductor, que trabaja con textos escritos. Según su opinión, de hecho, el traductor:
<< (…) ha tempo, … consulta a suo agio i propri strumenti di lavoro,
… può meditare a lungo su di un piccolo numero di difficoltà, mentre continua a
procedere nel suo lavoro e può ritornare indietro, correggere, riscrivere all’ultimo
momento sulle ultime bozze, ritoccare ancora e persino scegliere abbastanza spesso
quello che traduce46>>.
46
Una posible traducción es: << (…) tiene tiempo, … puede consultar su propios instrumentos de
trabajo, … puede reflexionar mucho tiempo sobre un pequeño número de dificultades, mientras sigue
114
El intérprete, en cambio, tiene que poseer cualidades muy especificas,
indiferentemente si se habla de consecutiva o de simultanea. Mounin describe dichas
cualidades como:
<< (…) essere passivamente ricettivo cioè assorbire docilmente e
senza reagire le idee espresse dall’oratore, (…), avere una memoria eccellente ma
anche molto particolare: la memoria immediata, che gli fa cancellare dalla
“lavagna” della sua mente tutto quello che vi aveva appena immagazzinato per
poterlo poi restituire quasi subito (…), la padronanza non solo della lingua che
interpreta, ma anche della cultura che ad essa è legata, poiché nella lingua parlata
sorgono ad ogni istante i proverbi, le allusioni alla vita del paese, (…), essere in
grado di capire la lingua che deve interpretare, anche quando è parlata da stranieri,
caso questo molto frequente: nei meeting internazionali, infatti, indù, giapponesi,
cinesi, centroamericani, liberiani, nigeriani, ecc., parlano tutti inglese ma ciascuno
con un accento nazionale o locale e con una sintassi piena di calchi presi dalla
lingua d’origine, al punto che l’inglese stesso diventa difficile da seguire nelle loro
bocche (…), possedere la qualità dell’oratore, una voce chiara dotata di un buon
timbro e di vivacità, un’elocuzione disinvolta, (il pubblico sopporta che un oratore
parli male, ma non un interprete); (…), ed infine, essere un virtuoso artista, ma, per
così dire, deve esserlo in modo invisibile47>>.
trabajando; y puede volver atrás, corregir, modificar hasta el final sobre las últimas galeradas, seguir
retocando e incluso, eligir frecuentemente lo que quiere traducir>>.
47
Una posible traducción es: << (…) tiene que tener una actitud pasiva receptiva, o sea absorber sin
reaccionar las ideas que el orador expresa; (…), poseer una memoria excelente, pero, en el mismo
tiempo, muy particular: la memoria inmediata, que le permite borrar de la “pizarra” de su mente, todo
lo que había anteriormente almacenado, para poderlo devolver casi inmediatamente; (…), dominar no
115
Sin embargo, por otro lado, las cualidades de un intérprete se
desarrollan en paralelo a las técnicas que utiliza: de facto, si en la interpretación
simultanea el desafío principal que el mediador tiene que enfrentar son la rapidez y la
destreza con las que tiene que transferir el discurso de la lengua inicial a la final, en
la consecutiva el reto es constituido por la capacidad de decir muchas cosas con
pocas palabras, gracias a su memoria aguda y/o a los apuntes tomados durante del
discurso del orador. El intérprete consecutivo tiene, de hecho, mucho más tiempo que
un simultaneo para organizar sus notas y administrar las expresiones, el tono y el
ritmo más adecuados para transmitir los contenidos del discurso. Por estos motivos
estas dos facetas de la profesión de intérprete, fascinan y atemorizan, neófitas y
profesionales del sector. Empezando por la mediación consecutiva, tenemos que
convenir con los expertos de neurología y lingüística, que la consideran como la
forma más completa de mediación lingüística; porque, aunque no es compleja y
caracterizada por un único esquema mental como la simultanea o la traducción, en
ella se resumen las reglas fundamentales de las dos; por lo menos desde un punto de
observación mental. Además, empezando por una fuente de información oral, es
capaz de realizar una mediación, en el comienzo, en forma escrita, (si se considera la
recogida de información por medio de símbolos y/o abreviaciones, y su organización
para la exposición), y sucesivamente en forma oral, (considerando la gestión del
solamente el idioma que interpreta, sino también la cultura a la cual es ligado, porque a menudo la
lengua hablada está rellena de refranes y alusiones de la vida en el país; (…), tiene que ser capaz de
entender el idioma que interpreta, también si lo hablan los extranjeros, eventualidad muy frecuente: en
los mitin internacionales, de hecho, indianos, japoneses, chinos, latinoamericanos, liberianos,
nigerianos, etc., hablan inglés; pero quienquiera con su propio acento nacional o local, y con una
sintaxis creada por las estructuras de la lengua de origen, hasta que el mismo inglés, hablado por ellos,
es casi incomprensible. (…), tiene que poseer la característica de un orador, una voz clara, que tenga
un dulce timbre y que sea vivaz; una elocución desenvuelta, (el público puede tolerar que un orador
hable mal, pero no un intérprete); (…), y por fin, tiene que ser un artista virtuoso, pero, por decirlo así,
tiene que ser invisible>>.
116
discurso obtenido por medio de los apuntes y su declamación en la lengua final).
Otra importante característica de esta forma de interpretación es su fuerte correlación
con la Memoria a Mediano Plazo, basada sobre el hecho que, antes de participar en
un congreso o en cualquier mitin para realizar una mediación oral, toda la
información estándar que el intérprete utiliza, será organizada y almacenada en su
MMP, zona en la que el acceso a los recuerdos es mucho más fácil y rápido respecto
a la Memoria a Largo Plazo. Cuando un mediador tiene que participar en un
congreso sobre un determinado argumento, intentará documentarse de cualquier
forma posible; consultando textos de actualidad y consolidando eventuales aspectos
terminológicos y sintácticos que podrían ocurrir durante el congreso. Toda esta
información será memorizada por un periodo limitado, que corresponde al final de la
mediación. La misma modalidad documental, y de facto mental, caracteriza la
mediación lingüística oral de tipo simultaneo; pero en este caso será interesada
mucho más profundamente la esfera auditiva, organizativa y expositiva del
intérprete; que tendrá mucho menos tiempo para realizar y declamar su discurso.
LOS PROCESOS MENTALES EN LA MEDIACIÓN CONSECUTIVA.
Intentemos ahora reasumir y analizar las características teóricas y
mentales de la interpretación consecutiva. Para individuar y comprender los procesos
cerebrales que se verifican en la mente de un intérprete es necesario comprender las
reglas fundamentales que constituyen la base de este sector de la mediación
lingüística. Para los expertos, los puntos teóricos fundamentales son: la toma de
notas, y la gestión de los símbolos.
117
TOMAR NOTAS. (LA TOMA DE NOTAS).
Para comprender los principios esenciales de la consecutiva tenemos
que empezar por la toma de notas. Aunque en la consecutiva algunos aspectos
técnicos suelen depender de las características personales y estilísticas de cada
intérprete, como por ejemplo la tendencia a la síntesis o al análisis, la facilidad de
expresión y una capacidad mnemónica más o menos desarrollada, hay algunos
principios fundamentales que representan el núcleo de esta técnica y que tienen que
ser respectados por todos lo mediadores. Según la opinión de Jean François Rozan,
autor de la famosa obra “Note-taking in Consecutive Interpreting", las seis reglas que
permiten tomar notas en forma segura y precisa son:
1. La anotación gráfica del concepto en vez de las palabras.
Este primer concepto afirma que, como no es posible anotar todas las
palabras y los conceptos pronunciados por el orador, es fundamental focalizar la
atención sobre los elementos esenciales de cada frase, y escribirla en las notas
siguiendo la forma canónica: palabra – concepto – palabra.
2. Las abreviaciones.
Los expertos las consideran el instrumento más eficaz del intérprete.
Cuando realiza su mediación, de hecho, no puede escribir totalmente todas las
palabras; y por eso tendrá que abreviarlas lo más posible anotando en la mayoría de
los caso el principio y el final de cada palabra.
118
3. La negación.
Es otro elemento fundamental para un mediador. Se puede
utilizar
en dos diferentes modalidades:
• Listando la palabra o el símbolo que se refiere al
concepto que se quiere negar.
• Añadiendo un “no” a la palabra o al símbolo
que tiene que ser negado.
4. La acentuación.
Consultando las normas, un concepto puede ser acentuado si se
subraya la palabra o el símbolo que lo expresa.
119
5. La Disposición Vertical.
Este concepto representa una verdadera columna de la técnica de
anotación. En general consiste en un disposición vertical más bien que horizontal de
las notas; disposición que, aunque aparentemente inútil y superflua, permite al
mediador agrupar lógicamente la información y los conceptos expresados por el
orador, y utilizar sus apuntes de la manera más eficaz posible. Para Rozan, esta regla
se basa en otro importante principio, que simplifica significativamente el trabajo del
intérprete; el utilizo de las paréntesis. Con ellas el mediador mantiene estables las
relaciones de subordinación, y en consecuencia, el equilibrio de la oración.
SUJETO
VERBO
COMPLEMENTOS
(EVENTUALES SUBORDINADAS).
120
6. La anotación gradual.
Es muy parecida al utilizo de las paréntesis durante la disposición
vertical, pero para la mayoría de los expertos parece simplificar aún más la estructura
de las notas del mediador; porque en lugar de encerrar cada subordinada entre
paréntesis la anotación gradual utiliza lineas horizontales para sustituir la palabra o el
símbolo debajo del cual se encuentran; permitiendo una lectura completa y fácil de
todas las subordinadas.
LOS SÍMBOLOS.
Hasta ahora hemos intentado analizar y comprender algunas reglas
fundamentales para tomar notas. Al mismo tiempo, los expertos afirman que un
mediador hábil y experto tiene que combinar el conocimiento teórico con un
determinado número de símbolos esenciales para resumir la terminología de las
conferencias. La cantidad de símbolos que se pueden utilizar es claramente variable,
pero los expertos creen que es fundamental que un intérprete los utilice para expresar
el mayor número posible de palabras, expresiones y conceptos. No obstante todo, es
importante focalizar la atención sobre el hecho que no es ni fácil ni útil memorizar un
número demasiado elevado de símbolos; y por eso cada intérprete tiene que
acordarse siempre de que ellos constituyen solamente un medio para un fin; que
corresponde a la mediación.
121
PALABRAS-APUNTES-PALABRAS: UN RECORRIDO POR COMPLETO EN
LA MENTE DEL MEDIADOR.
Estamos a punto de empezar uno de los capítulos más importantes de
nuestro itinerario, que nos permitirá entender los procesos lógicos-interpretativos de
la interpretación consecutiva; una rama de la mediación lingüística capaz de activar
un inmenso número de funciones cerebrales y crear así verdadero continuum entre la
dimensión oral, mental y escrita del mismo mensaje. Como ya hemos observado en
la traducción, la consecutiva también empieza con una estimulación sensorial. En el
caso de un traductor hemos hablado de una estimulación visual; identificando a los
ojos y al lóbulo occipital como primeros centros de actividad neuronal finalizada a la
mediación; en cambio, por lo que concierne la consecutiva, la esfera sensorial, y el
lóbulo cerebral que son expuestos a la “estimulación primaria” serán: la esfera
auditiva y el lóbulo temporal, que convertirán los sonidos y los tonos de las palabras
del orador en impulsos nerviosos.
Sucesivamente, gracias a la acción de los demás lóbulos, estos
impulsos serán decodificados y transcritos en los apuntes del intérprete; y al final
serán reelaborados por medio de la MMP y retransmitidos en forma oral. Sin
embargo, la esfera auditiva no es la sola afectada por la estimulación sensorial.
Constituye, sin duda, el meollo del proceso de escucha y recogida de las
estimulaciones neurales primarias, pero en cuanto empiece el proceso de escritura de
los apuntes, también será fundamental la acción de la esfera visual. Solo por medio
de la activación de las dos áreas el mediador llevará a cabo del proceso de
mediación. Ahora intentemos proceder por grados para lograr comprender todas las
fases de este elaborado proceso. Hemos finalmente constatado el íncipit auditivo de
la consecutiva, pues empecemos por las orejas del intérprete; es decir las "primeras
intérpretes" de las frecuencias y de los sonidos de las palabras del orador. Desde el
principio del discurso, por supuesto, el aparado auditivo del mediador se activa,
capturando y transformando las ondas acústicas en particulares formas de actividades
nerviosas, para transmitirlas a los otros sistemas sensoriales. El oído humano puede
122
absorber frecuencias entre los 20 y 20000 Hz, (en este grupo, las incluidas entre los
125 y 2500/3000 Hz, conciernen en particular la comprensión de la lengua hablada).
La primera fase de este complejo empieza en el oído exterior. Aquí gracias a la
membrana del tímpano se recoge y amplifica el sonido de manera selectiva,
empezando por las frecuencias más acerca de los 3000 Hz, (las más limítrofes en el
grupo de la lengua hablada y por eso más complejas de codificar). Sucesivamente las
ondas sonoras viajan a través del oído medio, que, siendo situado tras el ambiente
aéreo del oído exterior y el liquido del oído interior, realiza una amplificación de las
vibraciones capturadas y permite que el sonido mantenga intacta toda su
complejidad. Las ondas sonoras, amplificadas otra vez, llegan al oído interior, zona
donde está ubicada la cóclea, estructura fundamental porque utilizada para
transformar las vibraciones sonoras en impulsos nerviosos. Esta zona, es también
responsable de romper las ondas acústicas complejas en fragmentos más simples.
Estos fragmentos serán enviados a las células sensoriales del oído interior; la células
ciliadas. Estas últimas, divididas en interiores y exteriores, modulan y transforman
las vibraciones de la membrana basal en impulsos nerviosos. Terminado este
proceso, las células ciliadas interiores, conectadas con las fibras del nervio auditivo,
empiezan a transmitirlas al sistema nervioso y al cerebro. Gracias al nervio auditivo
los impulsos nerviosos salen de la cóclea y llegan hasta el tronco cerebral. Aquí el
mesencéfalo, (conocido también como colículo inferior), clasifica los impulsos según
su duración, frecuencia e intensidad; y gracias a algunas neuronas especializadas
situadas en el lóbulo temporal, (precisamente en la zona 4 de Brodmann), todas la
frecuencias y tonalidades del lenguaje y de la oración se reorganizan, así que el
mediador obtiene un mapa completo del discurso y puede concentrarse en los
elementos fundamentales del discurso y activar los sucesivos procesos neuronales.
Después que los lóbulos temporal y parietal, (áreas de Broca y
Wernicke), han convertido las palabras del orador en impulsos nerviosos y los hayan
simplificado, el cerebro del intérprete activará dos nuevos procesos neuronales,
fundamentales para completar la mediación del mensaje original. Terminada la
primera fase de recogida de información por medio del lóbulo temporal, el cerebro se
preparará para la redacción de los apuntes, y en el mismo tiempo, activará las áreas
123
más profundas de la subconsciencia, (hipocampo), y del “cerebro límbico”, (sistema
límbico), al fin de acceder a una región particular del área de Broca conocida
también como “almacén fonológico”, sede de toda la información estándar
memorizadas por el mediador antes de participar en el mitin. Esta información es
indispensables para el intérprete para realizar su mediación, y al final será eliminada
para dejar espacio a los conceptos útiles para la siguiente. Solo estimulando el
almacén fonológico la mente del mediador podrá acceder a la MMP, y organizar los
datos mnemónicos para completar la interpretación del mensaje. Para escribir en las
notas las palabras del orador el cerebro del mediador tiene que activar una área
particular, llamada área asociativa, situada entre los lóbulos occipital, temporal y
parietal, y capaz de: analizar varios tipos de información, administrar y comprender
el lenguaje, y percibir y coordinar los movimientos simples y complejos en el
espacio.
Gracias a la acción de esta área el intérprete será capaz de transferir en
sus notas la información de la oración original. Sin embargo, para completar esta
segunda fase del proceso interpretativo será necesario activar otra importante área
asociativa; la anterior, sede de algunas funcionalidades del comportamiento, como
por ejemplo, la resolución de los problemas, la planificación de estrategias laborales,
la adaptabilidad a las exigencias de trabajo, y la memoria de trabajo. Después que las
dos áreas hayan sido activadas, el intérprete accederá a la simbología mnemónica
contenida en su memoria de trabajo, y de utilizarla para transformar en símbolos
todos los impulsos nerviosos posibles; reconstruyendo en su mente una forma
“criptográfica” del mensaje original, que, por medio de la red neuronal eferente
controlada por la corteza motora, los núcleos de la base, y el cerebelo, (ya analizados
con gran detalle durante la explicación del proceso traductor), será expresada en
forma escrita constituyendo los apuntes del mediador. Este elaborado proceso
continuará hasta el final de la oración y una vez que las dos fases se hayan concluido,
empezará el último proceso lógico-interpretativo de la consecutiva, es decir la
retransmisión oral de las notas, con la que el auditorio será informado sobre los
puntos esenciales de la disertación original. Para llevar a cabo este proceso, el
cerebro tendrá que activarse casi completamente, involucrando nada menos que, los
124
cuatro lóbulos, (temporal, occipital, parietal y frontal), y el sistema límbico, situado
dentro de la corteza cerebral. Antes de empezar su exposición oral, el intérprete echa
un vistazo a sus notas, “las escruta”, si se puede decir así, por medio del lóbulo
occipital, y imprime otra vez en su MMP todos los conceptos fundamentales de la
oración. Una vez completado este procedimiento, se activa el sistema límbico, que
recuperará la información gramatical, sintáctica y terminológica contenidas en la
MLP, así que el mediador pueda acceder rápidamente a todo lo necesario para su
mediación. En cuanto este proceso de “switch” lingüístico-psicológico termine,
podrá empezar la exposición oral. El lado izquierdo de los lóbulos frontal y parietal,
controlará el discurso y su fluidez. En el frontal, gracias al área de Broca,
directamente conectada a la MMP, se formarán y administrarán las palabras, al fin de
evitar cualquier error gramatical o sintáctico. En el segundo, en cambio, el lado
izquierdo se asegurará que el lenguaje del discurso mantenga siempre su fluidez y
sentido lógico. Además, será claramente fundamental que el intérprete tenga siempre
el control total sobre su disertación, y su capacidad dialogística; por eso el lóbulo
temporal, con su área de Wernicke, verificará la estructura del discurso, eligiendo de
paso en paso las palabras más adecuadas para su estabilidad. Por fin, con su lado
derecho, el lóbulo temporal mantendrá el equilibrio de la difusión de la secuencias,
de las sonoridades y entonaciones de las palabras del mediador; de manera que cada
elemento tenga su énfasis, y ayude a conferir a la mediación la misma fuerza,
intensidad y eficacia del mensaje original.
Ahora que acabamos con esta segunda parte de nuestro recorrido,
podemos constatar la fascinación, la majestuosidad y la complejidad que se celan
detrás de la interpretación consecutiva. Un proceso que, con sus tres faces, encierra
más que cualquier otro, todos los procesos, las maravillas y las dificultades de la
interpretación; activando un número incalculable de neuronas, sinapsis y actividades
lógicas; interesando todos los lóbulos cerebrales y coadyuvando cuerpo y mente para
crear una elaboración oral, escrita y mnemónica del mensaje original.
125
EL INTÉRPRETE COMO UN ORDENADOR: EL PODER DE LA TRADUCCIÓN
SIMULTÁNEA.
Después de analizar y comprender los procesos mentales que
caracterizan la traducción y la interpretación consecutiva, podemos empezar la
última parte de nuestro itinerario, y descubrir las características lógico-interpretativas
de aquel sector de la interpretación que, más que cualquier otra, lleva la mente del
intérprete al nivel máximo de actividad y concentración.
Estamos hablando de la interpretación simultánea, aquella forma de
mediación que consiste en traducir inmediatamente un discurso, pasando
continuamente de la lengua de partida a la de llegada mientras que la disertación se
desarrolla. Es sin ninguna duda el nivel máximo de traducción; utilizada en la
mayoría de reuniones y mitin internacionales, porque permite a un cualquier número
de auditores extranjeros de entender y seguir completamente un discurso. Es también
la forma más rápida de mediación, porque no necesita notas, (excepto por una
ingente cantidad de datos, como fechas, cifras, siglas y nombres), y permite focalizar
totalmente la atención del auditor sobre los elementos de cualquier mensaje. Suele
ser realizada por dos intérpretes. Los dos entran en una cabina insonorizada y, por
medio de un auricular, escuchan y en el mismo tiempo traducen el discurso del
orador. Los expertos consideran la simultánea como la forma de interpretación más
pesada a nivel cerebral, y por eso creen que es fundamental la máxima
concentración. De hecho, interpretar un discurso de esta manera significa escuchar el
idioma del relator y luego hablar en el proprio idioma, con un alejamiento de solo
unas pocas palabras, (alejamiento llamado “décalage” por los expertos). A causa de
este elevado ritmo mental, el trabajo de un intérprete simultaneo se concentra dentro
de 30-40 minutos desde el principio del discurso. Desgraciadamente este tiempo no
siempre es suficiente a un mediador para completar su trabajo, y esta es la razón por
que los intérpretes trabajan en pareja; para ayudarse y cooperar durante la mediación,
(intercambiandose cada veinte minutos), y garantizar un óptimo nivel de
concentración y una perfecta comprensión del mensaje. Entre los principales
126
obstáculos que pueden complicar la tarea del mediador, están los juegos de palabras
y las expresiones típicas, frecuentemente intraducibles literalmente, que pueden
constituir problemas interpretativos. Para superar estos estrobos, antes de las
reuniones, los oradores tendrían que proveer a los intérpretes toda la información
necesaria para entender todos los elementos terminológicos y argumentativos de las
disertaciones. Desde el punto de vista teórico la interpretación simultánea es la
técnica más libre de la mediación lingüística, porque no esta vinculada por ninguna
regla o principio particulares. Excepto por lo que concierne el conocimiento
lingüístico, la capacidad dialógica, de escucha, de elaboración y memorización y la
constante preparación sobre los argumentos y las temáticas profesionales, los únicos
elementos teóricos dignos de atención son los conectados al ya mencionado
décalage, el lapso de tiempo que separa el comienzo de la oración original del
comienzo de la mediación oral del intérprete. Este tiempo suele estar conectado con
las características gramaticales y sintácticas de la lengua que el mediador
interpretará.
En una mediación del inglés al italiano, la divergencia temporal será
mayor respecto a una mediación del español al italiano, (divergencia debida a la
estricta semejanza gramatical que el español tiene en comparación con el italiano
respecto al inglés). Si, en cambio, la mediación si efectuara del alemán al italiano, el
décalage será aún mayor, puesto que las reglas sintácticas de esta lengua suelen
posicionar el verbo al final de la frase, y obligar al intérprete a esperar siempre que el
período termine antes de empezar su traducción. Otro importante factor, que podría
escapar a un análisis superficial de las características de esta profesión, es la
necesidad del mediador de mantener siempre el contacto visual con el orador. Esto es
fundamental para que el intérprete simultaneo pueda controlar el desarrollo de la
disertación original, y también la emotividad, ritmo y entonación del mensaje.
Gracias a este contacto visual el mediador mantendrá siempre la máxima
concentración sobre la fuente del sonido y podrá resolver los posibles inconvenientes
que podrían ocurrir durante la mediación. Además de la traducción a la vista, la
interpretación simultánea puede ser llevada a cabo utilizando otra fascinante
modalidad: el chuchotage, o “interpretación susurrada, (término derivado del francés
127
“chuchoter” eso es “susurrar”). En esta forma de mediación oral, el intérprete no
está sentado en su cabina, sino al lado de una o más personas, y realizará su
traducción en voz baja y solo para ellos. Esta forma de mediación, al contrario de la
simultánea, no exige ninguna instrumentación tecnológica, pero se puede realizar
solo si sus destinatarios son un número pequeño, (generalmente dos o tres). Además,
el gran esfuerzo al que se somete la voz en susurrar el mensaje, no permite utilizar
esta técnica por mucho tiempo. Antes de reflexionar sobre las características
neurológicas de la simultánea, es interesante analizar otro aspecto que la caracteriza,
y sin el cual sería mucho más difícil para cualquier mediador llevar a cabo su trabajo.
Está claro que para sostener el alto nivel de actividad cerebral que
caracteriza esta forma de interpretación, el cerebro necesita de una enorme cantidad
de energía. Durante este proceso, para obtener energía, la mente del mediador
utilizará casi el doble de su catalizador principal: el azúcar. La motivación de este
consumo masivo es simple. La funcionalidad neuronal se basa principalmente sobre
el consumo de glucosa, porque es capaz de aportar energía más rápidamente que
cualquier otro alimento. Por lo tanto, cualquier intérprete a punto de realizar una
interpretación simultánea tendrá siempre que llevar consigo una fuente de glucosa,
(una barra de chocolate, una bebida, o cualquier alimento azucarado que pueda
aportar la cantidad correcta para el sistema nervioso). En la eventualidad que la
ingestión de esos alimentos non sea posible, o no sea capaz de compensar el
consumo causado por la mediación, el sistema nervioso estimulará el hígado
activando un complejo proceso de emergencia; un elaborado proceso biológico de 10
pasos, mayormente conocido como gluconeogénesis, gracias al cual el organismo
será capaz de sintetizar glucosa a partir de precursores no glucídicos, (como por
ejemplo los aminoácidos). Luego, la glucosa obtenida será transportada a los varios
tejidos hasta el cerebro. Los médicos creen que el azúcar es como “el alimento para
el cerebro”, y ahora sabemos que ninguna metáfora refleja la realidad de la mejor
manera; es, sin duda, el elemento clave que permite activar la mente y que consiente
a nuestro recorrido de proceder. Ahora que hemos entendido las características
estilísticas y los requisitos teóricos, técnicos y biológicos que un intérprete tiene que
poseer para desarrollar su trabajo de la mejor manera, podemos analizar los procesos
128
neuronales que atraviesan la mente del mediador durante la realización de su
mediación simultánea. Antes de empezar a analizar las actividades de las neuronas,
lóbulos y sinapsis que se activarán en cuanto el orador empiece su discurso, es
interesante y también necesario reflexionar sobre la natura del íncipit sensorial que
caracteriza la simultánea. Este primer análisis subraya el motivo para que se
considera la simultánea como la técnica más compleja de toda la mediación
lingüística.
Empecemos constatando una natura dualista de la primera
estimulación, porque, al contrario de la traducción y de la consecutiva, (que tienen
íncipit sensoriales muy distintos, la primera visual y la segunda auditiva), en la
simultánea, para el intérprete resultará fundamental escuchar y, al mismo tiempo,
observar el orador, combinando la sonoridad de las palabras con la gestualidad y el
ritmo de los movimientos, que constituye una importante información sobre los
puntos fundamentales de la oración. Pues, desde el principio de la disertación, tanto
el oído como los ojos del intérprete empezarán a codificar la información
fundamental para la mediación en impulsos nerviosos sensoriales, que estimularán
todas las áreas cerebrales necesarias para el objetivo final. Por lo que concierne el
señal auditivo de salida, podemos afirmar que el recorrido inicial de las palabras del
orador será idéntico al que caracteriza la interpretación consecutiva. Ellas serán
capturadas por el oído exterior que con la membrana timpánica amplificará todas las
frecuencias más complejas. Luego tocará al oído medio, que continuará la
amplificación y mantendrá el sonido claro e inalterado hasta el final. Sucesivamente
las ondas llegarán al oído interior, que descompondrá las más complejas en
fragmentos más simples, y las convertirás, por medio de la cóclea y de las células
ciliadas, en impulsos nerviosos. Los impulsos serán enviados al sistema nervioso
gracias al nervio auditivo. Aquí se activará el centro auditivo del mesencéfalo que
primero los clasificará, en base a su duración, frecuencia e intensidad, y luego los
reorganizará gracias a las neuronas del área 4 de Brodmann, completando de esta
manera el esquema de la estructura del discurso que la mente utilizará para realizar
su mediación. Como en la consecutiva, el proceso de mediación empeziea por la
escucha del discurso del orador; pero, mientras en este caso el intérprete tiene mucho
129
tiempo para activar su mente, tomar sus notas y organizar su exposición oral, durante
de la simultánea será obligado a empezar su interpretación casi al mismo tiempo del
discurso original. Pues, la mente del intérprete tendrá que mantener la máxima
concentración y analizar continuamente la información del nervio auditivo,
construyendo también una perfecta mediación de los fragmentos del discurso que, a
su vez, habrán sido capturados por el oído. Para realizar la mediación lo más rápido y
eficaz posible, el hemisferio izquierdo del cerebro, con sus áreas de Broca y
Wernicke, será expuesto a los más altos niveles de actividad y estimulación.
Apenas las orejas del mediador han recibido un número de palabras
suficientes para entender el comienzo del discurso, esta información, gracias al
nervio auditivo, llegará a las cortezas prefrontal y temporal; la primera administrará
el aflujo de informaciones sensoriales, mientras que la segunda se ocupará de la parte
logística y mnemónica, es decir realizar pensamientos complejos. Las dos áreas
enviarán impulsos nerviosos al hipocampo y al almacén fonológico del área de
Broca, sedes de la MLP y de la MMP; la primera será utilizada para comprender la
gramática y la sintaxis de los fragmentos que lleguen durante el desarrollo del
discurso, mientras que la segunda se activará en cuanto en ello se mencionen
argumentos, información o términos que el intérprete habrá almacenado en
precedencia en su área de Broca; es decir, toda la información estándar del glosario,
las documentaciones sobre el orador y todos los argumentos principales que podrían
ser tratados durante la disertación. Apenas el cerebro ha acabado de comprender la
estructura sintáctica del lenguaje utilizado por el orador y haya encanalado toda la
información mnemónica necesaria para comprender el mensaje, empezará a
estimular el área de Wernicke, que elegirá rápidamente las palabras correctas con las
que el intérprete empezará su exposición oral. Este momento representa el núcleo de
la interpretación. Todos los procesos neuronales que hemos descrito hasta ahora,
constituyen solo el principio de este elaborado proceso interpretativo; y se
concentrarán totalmente en el lapso de tiempo ofrecido por el decalage. Desde el
principio hasta el final del discurso del orador, la mente del mediador recibirá una
enormidad de trabajo, que será fundamental para mantener la atención tanto en la
oración original como en la que, palabra tras palabra, será expresada por el mismo
130
mediador. Apenas empieza la mediación, la actividad neuronal del cerebro del
intérprete se desdoblará; una sección mantendrá su atención solo en la escucha del
discurso original, y la otra realizará y controlará la estructura y la forma de la
mediación. En la normalidad, el área de Wernicke de cualquier individuo, tiene
mucho tiempo a disposición para eligir las formas sintácticas y terminológicas de una
oración; pero si se trata de un intérprete, este margen de tiempo disminuye. Durante
la simultánea, el nivel máximo de actividad neuronal afectará los lóbulos temporal y
frontal. Sin embargo, para una perfecta exposición, el mediador tendrá que controlar
su emotividad también; otro elemento fundamental, para esta rama de la
interpretación, que si incontrolado, puede ser alterado fácilmente por inconvenientes
o eventuales errores cometidos durante la exposición y en consecuencia obstaculizar
o comprometer la realización de la mediación.
El área del cerebro encargada de administrarla será el Sistema
Límbico, (del latín “limbus” que significa “borde”), responsable del origen y del
control de las emociones. Está constituido por un conjunto de estructuras situadas
entre el tronco y la corteza cerebral, que controlan los comportamientos y las
emociones. Este control empieza en el tronco cerebral, la zona más primitiva del
cerebro humano que circunda la médula espinal y sirve para: controlar el tono
muscular, mantener una postura correcta y regular la circulación de la sangre, la
respiración y la digestión. Desde aquí empiezan todos los centros emocionales que
forman el neocórtex. Pues el sistema límbico comunica con el tronco cerebral para
relajar lo más posible los músculos y la postura, administrar la respiración, evitar
aumentos de la frecuencia cardíaca, y conferir a la oración el mejor ritmo posible. El
Sistema Límbico está estrechamente conectado con el neocórtex. De hecho, sin su
ayuda, en casos de gran estrés, los centros neuronales del sistema límbico no podrían
administrar las emociones ni mantener el funcionamiento de las remanentes áreas del
cerebro, y tampoco de los centros de pensamiento. El neocórtex actuá para impedir
que el sistema límbico provoque estas incontrolables crisis emocionales; por lo tanto,
una correcta expresión y gestión de las emociones será posible solo gracias a estas
dos áreas del cerebro. En la simultánea, el origen del estrés es representada por los
sonidos que serán percibidos por los receptores externos, (en este caso las orejas).
131
Desde el punto de vista emocional, estos estímulos afectan otra área del cerebro del
mediador, el tálamo, que los elaborará y luego enviará la información obtenida a otra
área, el cuerpo amigdalino, que organizará la correcta respuesta del organismo a la
situación externa enviando mensajes de alerta a todas las zonas del cerebro
implicadas. Sucesivamente se secretarán hormonas particulares, que estimulan las
actividades neuronales, cardiovasculares y musculares y permitirán controlar la
situación y minimizar los daños a la mediación. Gracias al correcto funcionamiento
del Sistema Límbico y de todas las áreas del cerebro fundamentales para el control
de las emociones, el intérprete será capaz de mantener la concentración sobre su
trabajo sin ser distraído por los acontecimientos externos. El proceso de mediación
llegará entonces a una fase de equilibrio, en la que, el área de Wernicke seguirá
seleccionando las palabras más adecuadas entre todas las presentes en la MLP y
MMP del mediador, siguiendo el estilo y las características del discurso original, y,
al mismo tiempo, las exigencias del público circunstante. Con estas palabras, se
formarán todas las frases y los períodos de la traducción oral. Sin embargo, el área de
Wernicke, no se ocupará solo de este proceso de selección y montaje; será también
responsable de la tonalidad vocal y del ritmo con el que las palabras se pronuncian;
lo que permitirá al mediador de hacer participar y ganarse el público. Los dos
discursos, continuarán entonces a desarrollarse en paralelo; pero ningún intérprete es
siempre capaz de comprender e interpretar cualquier discurso sin la más mínima
duda o incertidumbre. En efecto, aunque esta profesión empuje la actividad cerebral
hasta niveles de automatismo parecidos a los de las máquinas, siempre habrá, en el
discurso, algo que exija más tiempo y concentración para ser interpretado.
La fluidez de la mediación permanecerá hasta cuando el intérprete
tropezará con unos de estos términos o estructura sintáctica difíciles de interpretar.
En esta situación el ritmo dialógico ralentizará, o se parará del todo, para permitir a
la mente de focalizar su actividad neuronal en pos de aquel termino o significado que
devuelva nuevamente sentido al discurso. El lapso de tiempo necesario para
completar esta operación habrá causado un aumento en la separación temporal
respecto a la disertación original y el mediador estará obligado a aumentar lo más
posible su ritmo dialógico para volver a gestionar más simplemente el décalage. Este
132
aumento de velocidad interpretativa causará también un aumento masivo de la
actividad cerebral, que interesará mayormente el lóbulo temporal. De hecho,
mientras que el mediador acelera su discurso para recuperar la distancia correcta
desde el ritmo del orador, será fundamental que el nervio auditivo llegue a su
máximo nivel de reactividad; porque solamente así el intérprete será capaz de recibir
información sobre el proseguimiento del discurso, de “imprimirlas” en su MMP, y de
analizarlas y mediarlas gracias a las áreas de Broca y Wernicke. Sin embrago, existe
la eventualidad que el intérprete no logre recuperar el tiempo perdido para buscar la
palabra o el significado sintáctico de algunos elementos de la oración. Este es el
momento que ve necesaria la intervención del segundo intérprete simultáneo presente
en la cabina durante la mediación. En efecto, él, se habrá quedado en silencio durante
todas las fases precedentes, controlando el trabajo de su propio compañero de
trabajo, y anotando los puntos salientes del discurso. En el caso de que, el primer
intérprete no sea capaz de resolver una situación difícil independientemente, su
colega intervendrá y lo ayudará sugiriéndole algunas posibles soluciones léxicas, o
resumiéndole rápidamente los conceptos y los temas del discurso que habrá anotado.
Apenas el primer simultáneo haya retomado el control de la situación, su colega
volverá “en la sombra”, siguiendo sin embargo en su actividad de control y tomando
notas que podrían ser útiles si, debido a alguna dificultad, solo un intérprete no fuera
suficiente. Todos estos procesos se desarrollarán en paralelo respecto al discurso
original del orador; permitirán al mediador realizar una perfecta interpretación oral
del mensaje, y darán a su público la sensación de escuchar a un orador todo lo
contrario que extranjero, participando en una disertación que, (excepto por un optimo
conocimiento de la lengua de partida), en su forma original sería todo excepto que
fácilmente comprensible.
133
Desde su verdadera afirmación, sucesivamente a la institución de las
primeras organizaciones internacionales en 1945, la interpretación simultánea se ha
abierto paso en el panorama mundial de la comunicación, llegando rápidamente a ser
considerada como la cumbre de una profesión neurológicamente muy elaborada y
compleja. Es, en efecto, la única técnica de mediación que exige la colaboración
entre dos intérpretes, y también un soporte energético extraordinario para el cerebro.
Es, sin duda, la mejor forma de interpretación ofrecida por la mediación lingüística;
más rápida y directa que cualquier otra. Sin embargo, exige también el máximo nivel
de habilidad y autocontrol; porque solo en la simultánea se concentra toda esta
responsabilidad sobre el mediador. Por lo tanto, estas características, y muchos otros
motivos teóricos, mentales, lógicos y comunicativos, la mediación lingüística oral de
forma simultánea es considerada una de las conquistas filológicas más importantes
en la historia del género humano.
134
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