1 SCUOLA SUPERIORE PER MEDIATORI LINGUISTICI (Decreto Ministero dell’Università 31/07/2003) Via P. S. Mancini, 2 – 00196 - Roma TESI DI DIPLOMA DI MEDIATORE LINGUISTICO (Curriculum Interprete e Traduttore) Equipollente ai Diplomi di Laurea rilasciati dalle Università al termine dei Corsi afferenti alla classe delle LAUREE UNIVERSITARIE IN SCIENZE DELLA MEDIAZIONE LINGUISTICA LA MENTE CHE INTERPRETA RELATORI: Prof.ssa Adriana Bisirri CORRELATORI: Prof. Paul Farrel Prof. Carlos Medina Prof.ssa Claudia Piemonte CANDIDATO: Matteo Gravina ANNO ACCADEMICO 2013/2014 2 Alla mia famiglia. A Claudia. 3 LA MENTE CHE INTERPRETA. 4 Sommario SEZIONE ITALIANA. INTRODUZIONE.......................................................................................................8 CAPITOLO PRIMO: IL CERVELLO E LA MEMORIA. .................................10 GLI INTERPRETI: I SOLDATI DEL MONDO CONTRO L’INCOMUNICABILITA’ LINGUISTICA. ........................................................... 10 FUNZIONALITA’ ED AREE CEREBRALI. .......................................................... 19 I LOBI ....................................................................................................................... 20 ORGANIZZAZIONE FUNZIONALE DELLA CORTECCIA. .............................. 22 SISTEMA LIMBICO. ............................................................................................... 23 FUNZIONI CEREBRALI SUPERIORI. .................................................................. 25 I MECCANISMI DELLE FUNZIONI CEREBRALI SUPERIORI. ....................... 26 I MECCANISMI DELLA MEMORIA .................................................................... 28 NEUROFISIOLOGIA DELLA MEMORIA: APPRENDIMENTO E MEMORIA.28 COME LE INFORMAZIONI VENGONO IMMAGAZZINATE NELL’ENCEFALO. ................................................................................................. 32 LE VARIE FORME DI MLT. .................................................................................. 35 CAPITOLO SECONDO: I MECCANISMI MENTALI DELLA TRADUZIONE. . ..................................................................................................... 38 I TRADUTTORI E LA MEMORIA A LUNGO TERMINE. .................................. 38 LA TRADUZIONE COME PROCESSO MENTALE. ............................................ 46 LA TEORIA DELLA TRADUZIONE. .................................................................... 49 5 PROBLEMI DELLA TRADUZIONE. ..................................................................... 50 IMPLICAZIONI FILOSOFICHE. ............................................................................ 54 DAGLI OCCHI ALLA MENTE DEL TRADUTTORE. ......................................... 56 VIAGGIO VERSO IL CENTRO DELLA MEMORIA. .......................................... 61 CAPITOLO TERZO: INTERPRETAZIONE CONSECUTIVA E SIMULTANEA: L’APICE E IL CUORE DELL’INTERPRETARIATO......... 69 PAROLE, APPUNTI, PAROLE: UN PERCORSO A 360° GRADI NELLA MENTE DELL’INTERPRETE. ............................................................................... 73 L’INTERPRETE COME UN COMPUTER: LA POTENZA DELLA SIMULTANEA. ........................................................................................................ 79 CONCLUSIONE.......................................................................................................91 ENGLISH SECTION CHAPTER TWO: THE TRANSLATION’S MENTAL PROCESSES. .............93 TRANSLATORS AND LONG-TERM MEMORY. ................................................ 93 TRANSLATION AS A LOGICAL PROCESS. ....................................................... 98 TRANSLATION THEORY.................................................................................... 100 TRANSLATION PROBLEMS ............................................................................... 101 FROM THE EYES TO THE MIND OF THE TRANSLATOR............................. 104 A JOURNEY TO THE CENTRE OF MEMORY. ................................................. 107 SECCIÓN ESPAÑOLA CAPITULO TRES INTERPRETACCIÓN CONSECUTIVA Y SIMULTANEA EL ÁPICE Y EL CORAZÓN DE LA INTERPRETACIÓN. ...........................114 6 LOS PROCESOS MENTALES EN LA MEDIACIÓN CONSECUTIVA. ..... 117 TOMAR NOTAS. (LA TOMA DE NOTAS). ..................................................... 118 LOS SÍMBOLOS. ................................................................................................... 121 PALABRAS-APUNTES-PALABRAS: UN RECORRIDO POR COMPLETO EN LA MENTE DEL MEDIADOR. ............................................................................ 122 EL INTÉRPRETE COMO UN ORDENADOR: EL PODER DE LA TRADUCCIÓN SIMULTÁNEA............................................................................ 126 7 SEZIONE ITALIANA. 8 INTRODUZIONE. L’obiettivo principale di questa tesi è quello di illustrare in maniera esaustiva e più completa possibile la natura di una professione tanto complessa quanto affascinante; la mediazione linguistica. Una professione dalle radici storiche profondissime, che unisce popoli e supera qualsiasi barriera continentale utilizzando solo il potere della parola e del linguaggio; ma che soprattutto, possiede aspetti e caratteristiche assai peculiari, che caratterizzano in particolare i meccanismi mentali, e neuronali della mente umana; caratteristiche che emergono in maniera alternata a seconda che il rispettivo ambito di specializzazione sia la traduzione o l’interpretariato di conferenza. 9 CAPITOLO PRIMO: IL CERVELLO E LA MEMORIA. GLI INTERPRETI: I SOLDATI DEL MONDO CONTRO L’INCOMUNICABILITA’ LINGUISTICA. Fin dai tempi più antichi, fin dalle epoche più remote, vale a dire fin da quando gli esseri umani hanno sviluppato il linguaggio, essi hanno cominciato una battaglia quasi interminabile, una battaglia fatta di sconfitte e vittorie, contro un problema più grande di qualsiasi esercito e più potente di qualsiasi arma; l’incomunicabilità linguistica. Sin dall’antichità, bastava, infatti, che un popolo, per qualsiasi motivazione, si spingesse oltre i propri confini che subito correva il rischio di incontrare popolazioni differenti nella cultura, nelle tradizioni, nell’abbigliamento, nell’architettura, nella religione, nell’alimentazione, e, quasi inevitabilmente, nei canoni linguistici. Gli esempi potrebbero essere praticamente infiniti; dal latino dei Romani al greco dei filosofi di Atene, passando attraverso Spartani e Saraceni; dalle simbologie di Egiziani e Sumeri, fino alle scoperte di Cristoforo Colombo e ai viaggi di Maometto; fino ad arrivare alle guerre tra imperi prima, paesi poi, e alla nascita dei primi rapporti internazionali tra gli stati e le nazioni di oggi. Eppure, all’interno di ognuno di questi esempi si potrebbe riscontrare il passaggio di alcuni individui; figure coraggiose che hanno lottato senza sosta brandendo armi ben più taglienti di spade e coltelli e dalla portata più vasta di qualsiasi freccia, proiettile, o detonazione; le parole. È grazie a queste persone, se sono state evitate guerre, o se è stato necessario combatterle; se si siano formate nuove alleanze e se altre ancora si siano sciolte, e se oggi le più alte istituzioni mondiali ed internazionali siano presidiate da una così ampia gamma di linguaggi che riescono a comprendersi, rispettarsi e coadiuvarsi nel benessere del pianeta e dei suoi abitanti. In passato forse erano noti come “scribi”; poi sono diventati filosofi, poi poeti, poi forse illuministi, ma non esiste epoca in cui sia stato possibile fare a meno di queste persone, e la storia deve 10 loro molto onore e rispetto, quasi quanto quello che si osserva ai grandi statisti e condottieri di paesi, guerre e rivoluzioni. Il passato li ha conosciuti con nomi molto diversi, ma oggi agli occhi del mondo sono noti con nomi estremamente specifici. “Interpreti”, “traduttori”; o più genericamente, “mediatori linguistici”. Da sempre dunque l’attività degli interpreti e dei traduttori costituisce un punto fondamentale nel processo della mediazione linguistica; tuttavia nel corso degli ultimi anni, e con la progressiva crescita di prestigio ed utilità che ha portato questa professione ad essere riconosciuta in maniera sempre più rilevante sul piano internazionale, sono state poste molte domande; domande che hanno accompagnato questa professione fin dai suoi albori, domande che con il progredire delle tecnologie, delle ricerche e degli studi medici hanno acquisito sempre maggior rilevanza nei confronti di particolari professioni come questa. Domande a proposito dei meccanismi e dei processi mentali che un mediatore linguistico attiva nel corso di una traduzione scritta o di una mediazione consecutiva o simultanea. L’assioma generale della mediazione linguistica risiede nel concetto di “multi-linguismo”. È, infatti, assodato che questo tipo di professione, sia con il proprio processo formativo, nonché con l’ambiente lavorativo spesso multi-linguistico, porti i propri operatori a sviluppare una particolare peculiarità cerebrale comunemente nota come il “bi o poliglottismo”; sarebbe a dire quella capacità che permette ad un individuo di comprendere ed esprimere un codice linguistico in 2 o più lingue esattamente nello stesso modo, senza incappare in errori o problemi nella comprensione e trasmissione del messaggio linguistico originale. Nel corso degli anni le ricerche mediche hanno tentato di mettere sempre maggiormente in luce i processi mentali fondamentali che caratterizzano la professione dei mediatori linguistici, giungendo, a seguito di numerose analisi e di sperimentazioni approfondite, ad alcuni risultati eccezionali. Uno dei principali traguardi raggiunti grazie all’attività congiunta di anatomia medica ed indagine professionale riguarda il funzionamento dell’attività cerebrale di interpreti bilingue o poliglotti; ed in particolare, ciò che avviene all’interno del cervello nel momento in cui si apprende una nuova lingua. Le ricerche in questo campo hanno evidenziato che, in genere, la lingua madre, (L1), ha una rappresentazione corticale maggiormente concentrata nella parte centrale 11 dell'emisfero dominante sinistro, mentre le altre lingue, (L2, L3, ecc.), hanno una rappresentazione corticale molto più estesa rispetto alla prima lingua. Tuttavia, la domanda principale che quasi tutti gli studiosi di neurologia e linguistica si pongono è: <<che cosa si verifica nel cervello quando un individuo si appresta ad apprendere più lingue?>>. La risposta parte dal definire le caratteristiche generali di un soggetto bilingue o poliglotta. Per gli esperti, qualsiasi individuo abbia la capacità di parlare due o più lingue, sarà in grado, a livello cerebrale, di separare nettamente i sistemi linguistici, e di esprimere, quindi, qualsiasi concetto in più di una lingua. Dal punto di vista cerebrale, le indagini rivelano che l'acquisizione precoce, (fino all'età di sette anni), e contemporanea di più sistemi linguistici, determina una lateralizzazione dell'emisfero sinistro, rispetto a quanto accade, durante un apprendimento tardivo, (dopo il settimo anno di età), di una seconda o terza lingua. In tal caso la loro rappresentazione non riguarda solo l'emisfero dominante sinistro, ma anche quello destro. Molti neurologi hanno elaborato diverse ipotesi sulla localizzazione degli schemi linguistici all’interno del cervello di persone bilingui o poliglotte. In generale, la maggioranza degli studi sulla lateralizzazione cerebrale nei bilingui e poliglotti è stata effettuata con le più comuni tecniche di neuropsicologia sperimentale, come l'ascolto dicotico1, o le prove di interferenza verbo-manuale. Vista, tuttavia, la 1 L’Ascolto Dicotico è una tecnica di analisi delle funzioni cognitive e cerebrali utilizzata in psicologia e in neuroscienza per lo studio delle asimmetrie emisferiche, dell'attenzione e della coscienza. Consiste nell’inviare, tramite una cuffia, due stimoli acustici simultanei e diversi, uno all'orecchio destro e l’altro al sinistro, così da comprendere la velocità e la profondità con cui tendono 12 scarsità di risultati soddisfacenti, i ricercatori iniziarono ad utilizzare metodi d’indagine molto più diretti; come la tecnica dell'iniezione intra-carotidea di sodio amitale, (conosciuta anche come test di Wada2), e le più famose tecniche di neuro immagine, (TAC3, RMN4, PET5, SPECT6). Un aspetto essenziale e controverso della a diffondersi all’interno del sistema nervoso. <http://www.otoacusticapaganini.ch/glossario/124ascolto-dicotico.html>, (consultato il 2 Febbraio 2014, alle ore 11:03). 2 Il Test di Wada è una procedura medica, (brevettata negli anni 60 dal neurologo nippocanadese Juhn Atsushi Wada), che prevede la somministrazione di una sedativo, (amobarbitale-sodico, sodium methohexital, sodium amytal), per via carotidea, (alternativamente a destra e a sinistra), e, a seconda di dove viene eseguita l'iniezione, permette di verificare a quale emisfero cerebrale faccia capo una determinata funzione cognitiva. <http://psicologia.zanichellipro.it/voce/18129/wada-juhn-atsushiwada-test-di/>, (consultato il 4 Febbraio 2014, alle ore 10:44). 3 La Tomografia Assiale Computerizzata o TAC, (in inglese CAT, da Computer Axial Tomography), è una metodica diagnostica per immagini, che sfrutta radiazioni ionizzanti, (raggi X), e che consente di riprodurre sezioni o strati, (tomografia), corporei del paziente ed effettuare elaborazioni tridimensionali. Per la produzione delle immagini è necessario l'intervento di un elaboratore di dati,(computerizzata). <http://it.wikipedia.org/wiki/Tomografia_computerizzata>, (consultato il 28 Maggio 2014, alle ore 15:59). 4 La Risonanza Magnetica Nucleare, (RMN o, raramente, RNM), in inglese NuclearMagneticResonance, (NMR), è una tecnica di indagine sulla materia basata sulla misura della precessione dello spin di protoni o di altri nuclei dotati di momento magnetico quando sonoosottopostiiaduunccampommagnetico. <http://www.humanitas.it/pazienti/diagnosi/risonanza- magnetica/569-risonanza-magnetica>, (consultato il 28 Maggio 2014, alle ore 16:38). 5 La Tomografia a Emissione di Positroni, (o PET, dall'inglese Positron Emission Tomography), è una tecnica di medicina nucleare e di diagnostica medica utilizzata per la produzione di bio-immagini, (immagini del corpo). La PET fornisce informazioni di tipo fisiologico, a differenza di TC, (tomografia compiuterizzata), e RM, (risonanza magnetica nucleare), che, invece, si limitano ad analizzare morfologicamente il distretto anatomico esaminato. Grazie alla PET è possibile ottenere mappe degli interi processi funzionali all'interno del corpo. <http://www.humanitas.it/pazienti/diagnosi/pet/4217-tomografia-ad-emissione-di-positroni-pet>, (consultato il 7 Marzo 2014, alle ore 21:33). 6 La Tomografia ad Emissione di Fotone Singolo, meglio conosciuta con l'acronimo SPECT, (dall'inglese Single Photon Emission Computed Tomography), è una tecnica tomografica di imaging 13 neuropsicologia dei soggetti bilingui e poliglotti è l'esistenza o meno in questi soggetti di funzioni nervose e strutture neuronali differenti rispetto all'assetto neuronale dei monolingui, (ad esempio sistemi atti alla traduzione e che regolano il passaggio da una lingua all'altra, funzioni di controllo linguistico nelle varie modalità di espressione, ecc.). Un gran numero di esperti ritiene che vi siano differenze quantitative piuttosto che qualitative nei meccanismi neuronali linguistici dei bilingui rispetto ai monolingui. Inoltre, quando un bilingue si esprime in una delle due lingue che conosce, entrambe vengono attivate mentalmente, con un'inibizione parziale della lingua che non viene parlata in quel momento. Secondo alcuni autori, i meccanismi d’inibizione di una lingua che entrano in gioco mentre si parla una seconda lingua sono simili ai meccanismi di selezione di una parola nei soggetti monolingui. Il processo di selezione di una parola in un poliglotta o in un monolingue è probabilmente simile. Anche la commutazione da una lingua all'altra, (definita dagli esperti col termine languages witching), non sembra essere un compito peculiare degli individui bilingui o poliglotti, ma più probabilmente un processo che viene attivato in molte operazioni mentali in cui è necessario alternare diverse modalità di risposta. Le basi neurofisiologiche di tale compito sono state studiate recentemente dal professor Robert J. Zatorre7, che, nel 1989,affermò che, in un ambiente sociale multilinguistico, il lobo frontale assume un ruolo fondamentale nella regolazione del passaggio da una lingua ad un'altra. medico della medicina nucleare che adopera una particolare tipologia di radiazione ionizzante; i raggi gamma. Oltre alle caratteristiche in comune con le altre tecniche tomografiche, è anche in grado di fornire veri dati bio-topologici in 3D. <http://spazioinwind.libero.it/gastroepato/spect.htm>, (consultato il 28 Maggio 2014, alle ore 16:03). 7 Celebre professore del dipartimento di neurologia e neurochirurgia del Montréal Neurological Institute, (MNI). <http://www.zlab.mcgill.ca/home.php>, (consultato il 28 Maggio 2014, alle ore 15:45). 14 Molti degli studi realizzati su bilinguismo e poliglossia, con metodi di Imaging funzionale come PET o RMN, hanno permesso ad alcuni autori di studiare i processi alla base della comprensione del linguaggio in soggetti che avevano appreso la seconda lingua dopo il settimo anno di età. I risultati della ricerca hanno confermato l'ipotesi che l'emisfero sinistro sia preposto all'acquisizione della lingua madre, mentre l'apprendimento tardivo della seconda lingua interessi aree molto variabili. In questi ultimi anni molti ricercatori hanno concentrato i loro studi sulle basi cerebrali del bilinguismo e, in particolare, su due questioni di fondamentale importanza: • La rappresentazione del linguaggio; • Le correlazioni neurali riguardanti lo switching del linguaggio, (nonostante che nella letteratura neuropsicologica i risultati non abbiano permesso di identificare il circuito neuronale coinvolto in questo processo). 15 In un esperimento di elettro-fisiologia condotto all'Università di Trieste, si è voluta ricercare la presenza di eventuali differenze di elaborazione corticale del linguaggio tra persone monolingui e persone poliglotte, (interpreti simultaneisti che parlavano da tre a sette lingue), che avevano imparato la seconda lingua, (inglese), all’età media di undici anni. Tale ricerca, è stata incentrata particolarmente sull'elaborazione cognitiva legata a due condizioni: • Il riconoscimento di frasi semanticamente scorrette, (sia per il gruppo sperimentale che per il gruppo di controllo), che ha portato ad osservare delle differenze nei processi elaborativi. • Il fenomeno dello switching, (che definisce un meccanismo che opera automaticamente quando chi parla si sposta tra differenti lingue), per il solo gruppo sperimentale. Queste differenze hanno fornito indizi preziosi sulla diversità dei processi soprastanti. Per quel che riguarda i dati comportamentali nel riconoscimento delle frasi, i tempi erano minori se i soggetti di ambedue i gruppi rispondevano con la mano destra, sottolineando, così, il ruolo dell'emisfero sinistro nella comprensione del linguaggio. Per quanto riguarda i dati elettrofisiologici, ottenuti analizzando le onde cerebrali, si è potuta osservare una maggior differenza di elaborazione corticale tra emisfero destro ed emisfero sinistro nei soggetti monolingui; segno di una maggior lateralizzazione della lingua nell'emisfero sinistro, rispetto ai soggetti poliglotti, i quali, presentavano un'elaborazione corticale più diffusa nei due emisferi. Tutto ciò sta ad indicare una maggiore simmetria della rappresentazione del linguaggio nei due emisferi. Dai risultati di questo esperimento emerge un dato fondamentale e molto interessante. Infatti, sebbene gli interpreti abbiano una perfetta 16 conoscenza di molte lingue, la rappresentazione della lingua madre nell'emisfero sinistro è caratterizzata dalla modalità di accesso più immediato, rispetto a qualsiasi altra in possesso dei mediatori. Paul Broca,8 fu il primo a dimostrare un'asimmetria funzionale tra i due emisferi cerebrali e a ritenere che quello sinistro presiedesse alla facoltà del linguaggio articolato; e fu grazie agli studi condotti su di un paziente bilingue, che riuscì ad ipotizzare una diversa lateralizzazione cerebrale per la prima e seconda lingua. Esiste, quindi, un'organizzazione del linguaggio diversa in persone che parlano una sola lingua rispetto a persone che ne parlano di più. Esse, infatti, hanno una rappresentazione corticale più estesa rispetto alla lingua madre, che è rappresentata più al centro nell'emisfero dominante sinistro. Nel corso degli anni, sono state utilizzate tecniche sempre più avanzate per lo studio della localizzazione delle lingue. Dal semplice ascolto dicotico, fino a metodi d'indagine più sofisticati, come le tecniche di neuro-immagine. Queste ultime, hanno permesso di comprendere i meccanismi processuali del linguaggio in soggetti che avevano appreso la seconda lingua, (o le lingue successive), dopo il settimo anno d'età, rispetto soggetti che avevano acquisito due, (o più), lingue prima dei sette anni; evidenziando, così, la loro differente rappresentazione corticale. Con tali tecniche si è potuto esaminare che, i processi semantici, in due diverse lingue, sono mediati da un sistema comune nei bilingui o nei poliglotti che hanno appreso la seconda lingua dopo l'acquisizione della prima. Negli ultimi anni, diversi ricercatori hanno rivolto un interesse particolare non solo alla rappresentazione del linguaggio, ma anche alle correlazioni 8 Pierre-Paul Broca, (Sainte-Foy-la-Grande, Gironda, 1824 - Parigi 1880), è stato un celebre chirurgo ed antropologo francese che, con le sue numerose ricerche, ha fornito importanti contributi in campo anatomico, patologico, chirurgico ed antropologico. Le sue ricerche più famose sono quelle basate sulle localizzazioni cerebrali e sulla sede del linguaggio. Nel 1861, i suoi interessi nei confronti della craniometria, lo portarono ad identificare la circonvoluzione frontale inferiore dell'emisfero sinistro come sede cerebrale del linguaggio; e ancora oggi, per descrivere gli effetti della lesione di quest’area, (ribattezzata in suo nome come area di Broca), si utilizza il termine afasia di Broca. <http://www.treccani.it/enciclopedia/pierre-paul-broca_(Dizionario-di-Medicina)/>, (consultato il 5 Febbraio 2014, alle ore 12:00). 17 neurali che lo rappresentano; e, tramite interessanti esperimenti elettro-fisiologici, hanno tentato di mettere in luce le differenze di elaborazione cognitiva legate a questi due tipi di soggetti. Grazie a tali esperimenti, gli studiosi hanno fornito indizi preziosi sulla diversità dei processi soprastanti, osservando così anche la differenza di elaborazione corticale tra i due emisferi cerebrali. I risultati hanno evidenziato che la rappresentazione della prima lingua, (lingua madre), nei soggetti poliglotti è rappresentata, esclusivamente, nell'emisfero sinistro, nonostante essi abbiano una perfetta conoscenza anche di altre lingue. Gli argomenti fin qui trattati danno un'idea della perfetta organizzazione cerebrale per ciò che riguarda la rappresentazione del linguaggio dal punto di vista fisiologico. Grazie a queste prime ricerche ed analisi, è infatti possibile comprendere uno dei punti fondamentali riguardo al funzionamento della mente dei mediatori linguistici; ovvero, il modo in cui gli interpreti riescono a suddividere perfettamente i codici idiomatici di cui sono in possesso, passando senza problemi dall’uno all’altro, per poi svolgere in maniera perfetta qualsiasi forma di mediazione, sia orale che scritta. Un altro aspetto fondamentale, sul quale molte analisi e ricerche si sono soffermate, riguarda le varie tipologie di memorizzazione che interessano differentemente i traduttori e gli interpreti. Secondo gli esperti dunque, l’attività di un mediatore linguistico è caratterizzata dall’utilizzo alternato delle due fondamentali tipologie di memoria cerebrale; che si attivano grazie alla collaborazione di alcune aree specifiche presenti nell’encefalo. Pertanto, in base al tipo di mediazione che un interprete sarà chiamato a realizzare, la corteccia cerebrale risponderà in modi diversi; ed attiverà diverse serie di processi neuronali allo scopo di comprendere il messaggio linguistico e tradurlo nel modo più esaustivo e pertinente possibile rispetto alla fonte originale di provenienza. Pertanto, prima di analizzare nello specifico i processi mentali utilizzati da traduttori ed interpreti, è utile approfondire la conoscenza della cosiddetta Memoria a Lungo Termine, e della Memoria a Breve Termine; e per farlo, non possiamo non soffermarci, seppur brevemente, sulle strutture anatomiche fondamentali del cervello e sul funzionamento neurologico delle sue aree principali. 18 FUNZIONALITA’ ED AREE CEREBRALI. Il cervello è la parte anteriore dell’encefalo, quella più sviluppata e funzionalmente più importante nel sistema nervoso dei mammiferi; e il suo funzionamento costituisce il fondamento primario dell’individualità biologica e dell’identità personale. Da un punto di vista morfo-funzionale, il cervello può essere visto come un insieme di sistemi neuronali parzialmente indipendenti, ciascuno dedicato all’espletamento di una funzione specifica, come, per esempio, il controllo del movimento, della visione, del linguaggio. Nell’identificazione del sistema neuronale cerebrale concorrono, oltre alla funzione espletata, criteri anatomici, fisiologici, embriologici, comparativi e per alcuni aspetti anche evolutivi. Di forma ovoidale, con un peso medio di circa 1,350 grammi nell’uomo, il cervello è contenuto nella scatola cranica e strutturalmente è diviso in rombencefalo, mesencefalo e prosencefalo. Il rombencefalo è a sua volta suddiviso in bulbo, ponte e cervelletto, mentre il prosencefalo è costituito dal diencefalo, (talamo e ipotalamo), e dal telencefalo (emisferi cerebrali). I due emisferi, destro e sinistro, sono separati superficialmente da una scissura mediana profonda, detta scissura interemisferica, mentre nella profondità sono collegati, in precise aree cerebrali, dalle fibre del corpo calloso di connessione. All’interno si trovano alcuni nuclei voluminosi, detti gangli della base, e un sistema di cavità, o ventricoli, contenenti il liquor cefalorachidiano prodotto dai plessi corioidei. Ciascun emisfero è a sua volta suddiviso da altri solchi che delimitano quattro lobi, (frontale, parietale, temporale, occipitale), il sistema limbico e svariate circonvoluzioni, il cui notevole ripiegamento compatta un’ampia superficie, di circa mezzo metro quadrato, senza un corrispondente aumento del volume cerebrale. Nel cervello si distinguono due sostanze nervose fondamentali: la sostanza grigia9 della corteccia cerebrale e dei 9 Per Sostanza o Materia Grigia s'intende l'insieme dei corpi dei neuroni presenti nel nervasse. L'accezione, "grigia", non corrisponde però a nessun reperto anatomico: tale "sostanza" si presenta, infatti, alla sezione, (nonché alla colorazione di fissaggio), con vari colori, dal bianco, al rosa, 19 nuclei profondi telencefalici e diencefalici; e la sostanza bianca10 del centro ovale e dei tratti di connessione. I LOBI L’area telencefalica del cervello si suddivide in ben quattro aree, definite lobi; ciascuno dei quali svolge una funzione specifica e molto importante. 1. Lobo frontale. Questo primo lobo costituisce la parte anteriore del cervello, e contiene l’area corticale motoria e la corteccia premotoria. Al suo interno, inoltre, sono elaborati e controllati i pensieri e le idee, ossia le attività psichiche superiori. Il lobo frontale destro partecipa ai processi di apprendimento e memoria, mentre nella parte sinistra, (area di Broca), si formano e si controllano le parole. Pertanto, nella parte anteriore del lobo frontale, (corteccia prefrontale), si svolgono le funzioni cognitive superiori, mentre la parte posteriore è addetta alla gestione dei movimenti. all'azzurrino. Pertanto, la definizione, “grigia”, è utilizzata principalmente allo scopo di differenziarla dalla controparte bianca del sistema nervoso centrale. <http://www.neuroscienze.net/?page_id=116>, (consultato il 28 Maggio 2014, alle ore 16:40). 10 In anatomia, la Sostanza Bianca è cosituita dai fasci di fibre nervose, (sia ascendenti che discendenti), che uniscono l'encefalo e il midollo spinale. I fasci appaiono bianchi a causa del rivestimento dato dalla mielina. <http://it.wikipedia.org/wiki/Sostanza_bianca>, (consultato il 28 Maggio 2014, alle ore 16:48). 20 2. Lobo parietale. Questo secondo lobo è localizzato nella parte superiore del cervello e contiene l’area somestesica primaria cui afferiscono gli stimoli tattili, dolorifici, pressorici e termici. La parte sinistra è dominante ed amministra la comprensione del linguaggio parlato e scritto, la memoria delle parole e le capacità matematiche. Il lobo parietale destro, invece, controlla le attività visuo-spaziali, (attività non verbali), come la ricostruzione di un’immagine visiva e la capacità di orientarla nello spazio e farla ruotare, o la percezione della traiettoria di un oggetto in movimento ed il corretto posiziona mento delle varie parti del corpo. 3. Lobo temporale. Il terzo lobo è situato nella parte inferiore degli emisferi cerebrali e costituisce la sede dell’area acustica. Esso elabora anche l’affettività, i rapporti interpersonali, le reazioni emotive, i comportamenti istintivi, il riconoscimento visivo, la percezione uditiva e la memoria. Il lobo temporale sinistro comprende il linguaggio parlato e sceglie le parole, (grazie all’area di Wernicke11). Il lobo temporale destro permette, invece, di comprendere l’intonazione del discorso e la sequenza dei suoni. Un’ulteriore parte integrante del lobo temporale è costituita dal sistema limbico. 11 L'area di Wernicke è una parte del lobo temporale del cervello le cui funzioni sono coinvolte nella comprensione del linguaggio. Fa parte della corteccia cerebrale, ed è connessa all'area di Brocada un percorso neurale detto fascicolo arcuato. Il suo nome deriva da Carl Wernicke, celebre psichiatra e neurologo tedesco, che nel 1874, ispirandosi agli studi di Broca, scoprì che un danno a quest'area causava un tipo particolare di afasia, (conosciuta oggi come afasia di Wernicke). Nei pazienti che ne erano affetti, il linguaggio parlato preservava la propria fluidità, ma la struttura del discorso era totalmente priva di senso logico; e in alcuni casi, anche la comprensione del linguaggio parlato era fortemente compromessa. <http://it.wikipedia.org/wiki/Area_di_Wernicke>, (consultato il 6 Aprile 2014, alle ore 9:51). 21 4. Lobo occipitale. Ultimo, ma non meno importante, il lobo occipitale. Situato nella parte posteriore del cervello, è addetto all’elaborazione delle immagini catturate dagli occhi e dai recettori del nervo ottico. Al suo interno risiedono moltissimi neuroni specializzati nel riconoscimento e nell’elaborazione dei particolari di un’immagine. Nel lobo occipitale vengono, inoltre, integrate tutte le informazioni visive, comprese quelle che influenzano la postura e l’equilibrio. ORGANIZZAZIONE FUNZIONALE DELLA CORTECCIA. La corteccia cerebrale costituisce il più alto livello d’integrazione e pianificazione del sistema motorio. Grazie ad essa si controllano la coscienza, il pensiero, la memoria e l’intelligenza. Dalla corteccia provengono, inoltre, tutte le afferenze sensitive, (in particolare, quelle del talamo), che vengono percepite a livello cosciente e interpretate in base a precedenti esperienze. La parte posteriore del cervello riceve le informazioni sensitive dal mondo esterno tramite le aree sensitive primarie, (somestesiche), del lobo parietale, del lobo occipitale, (aree visive), e del lobo temporale, (aree acustiche). Tali informazioni vengono poi elaborate, secondo una modalità percettiva specifica, nelle zone corticali adiacenti; così da permettere l’identificazione degli oggetti tramite le sfere sensoriali, (tatto, vista e udito). Le aree corticali poste alla confluenza dei tre lobi cerebrali, (dette anche aree associative), presiedono al riconoscimento visuo-spaziale dell’ambiente circostante. La fascia mediale degli emisferi cerebrali, (sistema limbico), consente l’immagazzinamento e il recupero delle informazioni elaborate nella parte posteriore degli emisferi. La parte anteriore del cervello, (lobi frontali), è deputata all’organizzazione del movimento, (aree motorie primarie, supplementari e pre-motorie), e alla pianificazione del comportamento motorio complesso nel tempo, (area prefrontale). Infine, le aree associative della corteccia frontale, parietale e temporale dell’emisfero sinistro, (che 22 è pertanto ritenuto dominante nel controllo del linguaggio), sono responsabili della comprensione e dell’espressione linguistica. SISTEMA LIMBICO. Il Sistema Limbico deriva il suo nome dal termine latino limbus, “fascia”, e dalla peculiare posizione anatomica di confine tra il margine mediale degli emisferi e il diencefalo. E’ costituito da strutture cerebrali multiple, con intricate connessioni neuronali, spesso costituite da circuiti riverberanti, che convergono tutte in ultimo all’ipotalamo. Le vie afferenti a esso partono, invece, dalle aree corticali associative parieto-occipitali, (funzione percettivo-spaziale), e presiedono al controllo dei movimenti, dei comportamenti istintivi più primitivi, a quello dell’omeostasi e di numerose funzioni psichiche come l’emotività, il comportamento, la memoria a lungo termine e l’olfatto. A sua volta il Sistema Limbico è in grado di influenzare le risposte motorie, adeguandole alle informazioni che riceve dall’esterno. All’interno del sistema limbico, due sono le strutture cerebrali più importanti; l’amigdala e l’ippocampo. L’amigdala è implicata nella segnalazione alla corteccia di stimoli motivazionali, associati a reazioni di paura, ricompensa, e areazioni emotive, quali per esempio l’attrazione sessuale. Essa si trova in vicinanza del polo temporale, e riceve fibre afferenti dalla corteccia associativa temporale, dal setto e dal tratto olfattivo, oltre che fibre catecolaminergiche12 e serotoninergiche13 dal tronco encefalico; e proietta in ultimo 12 Le Catecolaminergiche sono particolari fibre situate all’interno del tronco encefalico alimentate dalle catecolamine, e suddivise in adrenalina, noradrenalina e dopamina .<http://www.psicologia1.uniroma1.it/static/didattica/IdInsegnamento_913.shtml>, (consultato il 10 Febbraio 2014, alle ore 13:20). 13 Le Serotoninergiche, diversamente dalle Catecolaminergiche, sono fibre cerebrali che sfruttano la serotonina, un neurotrasmettitore sintetizzato da specifici neuroni del sistema nervoso centrale e 23 all’ipotalamo14. L’ippocampo, (che analizzeremo in un secondo momento), è costituito dall’ippocampo propriamente detto, dal giro dentato, dalle aree della circonvoluzione dell’ippocampo e del lobo temporale. Riceve fibre dalla corteccia entorinale15, e veicola le proprie informazioni, tramite il fornice, (particolare struttura curvata a cupola, o a forma ci “C”, che lo mette in comunicazione con le cellule mammillari), e i corpi mammillari16, che rappresentano le terminazioni del fornice stesso. Tale struttura cerebrale è implicata nella formazione delle tracce di memoria a lungo termine e nell’orientamento spaziale tramite mappe cognitive. Appartengono al Sistema Limbico inoltre il talamo, una stazione di ricezione e ritrasmissione della corteccia cerebrale; l’ipotalamo, e il bulbo olfattivo, il principale centro cerebrale deputato alla recezione e all’elaborazione degli stimoli di natura olfattiva. responsabile del controllo e della regolazione dell’umore. <http://etd.adm.unipi.it/t/etd-10032013103140/>, (consultato il 3 Marzo 2014, alle ore 15:39). 14 L'Ipotalamo è una struttura del sistema nervoso centrale situata nella zona centrale interna ai due emisferi cerebrali. Comprende numerosi nuclei che attivano, controllano e integrano i meccanismi autonomi periferici, l'attività endocrina e molte funzioni quali la termoregolazione, il sonno, il bilancio idro-salino e l'assunzione del cibo. <http://lnx.endocrinologiaoggi.it/category/argomenti/ipotalamo-ipofisi/>, (consultato il 3 Marzo, alle ore 17:10). 15 La Corteccia Entorinale è una parte della formazione dell’ippocampo, situata nelle regioni mediali dei lobi temporali. Oltre ad essere collegata al circuito multi sinaptico dell’ippocampo, presenta numerosi collegamenti con vaste regioni della corteccia cerebrale. <http://genmic.unipv.eu/site/home/ricerca/articolo80002951.html>, (consultato il 7 Marzo 2014, alle ore 21:03). 16 I Corpi Mammillari sono due rilievi dalla forma simile a quella delle mammelle, situati nella parte più interna anteriore del diencefalo, posteriormente al chiasma ottico. Ciascuno di essi possiede nuclei propri, divisibili in mammillare mediale e mammillare laterale. Questi ricevono fibre afferenti dall'ippocampo per mezzo di fibre che seguono il fornice e inviano a loro volta efferenze ai nuclei anteriori del talamo, (mediante il fascio mammillo-talamico). Si stima che essi siano implicati nei processi che regolano l'emozione, la memoria e l’apprendimento. <http://www.corriere.it/salute/dizionario/corpo_mammillare/index.shtml>, (consultato il 5 Marzo 9:17). 24 FUNZIONI CEREBRALI SUPERIORI. Le Funzioni Cerebrali Superiori sono funzioni complesse quali la memoria, il linguaggio, la capacità di ragionamento, di pianificazione, di risolvere un problema, nonché la percezione e l’azione. Ancora oggi, nonostante le numerose ricerche, non è stato possibile identificare la totalità dei substrati cerebrali implicati nell’attivazione di tali processi. È stato, tuttavia, possibile scoprire che il segnale informativo viene recepito dalle aree sensoriali primarie per giungere, con un processo a tappe che coinvolge le aree associative polimodali17, fino alle aree motorie. Le Funzioni Cerebrali Superiori più complesse sono generate, probabilmente, dalla coordinazione delle attività delle diverse aree associative. In particolare le associazioni fra la corteccia parietale e quella prefrontale sembrerebbero le principali responsabili delle funzioni superiori, più vicine pertanto, a quei processi generalmente definiti come intelligenza, apprendimento, linguaggio, memoria, sensazione e percezione. Le FCS utilizzano le informazioni elaborate dalle aree sensoriali per formulare concetti complessi che possono essere comunicati, ricordati, (a breve o a lungo termine), usati per creare nuove idee, associazioni e scopi, o che possono essere sviluppati in un’azione. Per esempio, il poter udire e distinguere tra loro una serie di suoni quando si ascolta qualcuno parlare, dipende dalle funzioni uditive di base. Alle FCS, invece, si deve la capacità di riconoscere nella sequenza di questi suoni, parole e frasi di significato compiuto, che conterranno le informazioni principali del discorso, e che, una volta ricollegate a concetti già noti, potranno essere riorganizzare per formulare delle nuove idee che verranno poi comunicate all’interlocutore, e che, in seguito, potranno essere ricordate e combinate 17 Le Aree Associative Polimodali sono ritenute dagli esperti il substrato anatomico delle funzioni superiori e sono particolarmente sviluppate nei primati e nell’uomo. Sono probabilmente generate dall’interazione d’informazioni provenienti da numerose strutture corticali che possono risiedere in entrambi gli emisferi cerebrali. <http://www.slideshare.net/ivamartini/lezione-24-aree-asociative>, (consultato il 18 Marzo 2014, alle ore 8:37). 25 con altre idee, dando origine a concetti o informazioni in base alle quali sarà possibile pensare e/o agire. I MECCANISMI DELLE FUNZIONI CEREBRALI SUPERIORI. I meccanismi responsabili delle funzioni sensoriali di base, così come quelli responsabili delle funzioni motorie di base, sono state, complessivamente, chiarificati. Invece, per quel che riguarda le FCS e i substrati cerebrali implicati in tali processi, le conoscenze sono ancora profondamente incomplete; anche se la maggior parte degli studi indica le aree corticali associative polimodali, come il substrato neurale di tali funzioni. Già Carl Wernicke aveva ipotizzato che le FCS, e in particolare il linguaggio, fossero processi derivanti dall’interconnessione di sistemi che investono più aree funzionali cerebrali, e quindi, da connessioni associative che legano fra loro aree diverse. In contemporanea, John Hughlings Jackson18, aveva proposto che la corteccia cerebrale avesse un’organizzazione gerarchica, e che alcune aree corticali non svolgessero funzioni esclusivamente sensoriali o motorie ma funzioni integrative superiori. L’ipotesi corrente è che le FCS emergano dall’integrazione d’informazioni che provengono da numerose strutture corticali che possono risiedere in entrambi gli emisferi; e che tale integrazione venga svolta dalle aree associative. Le FCS sono altamente interconnesse; basti pensare all’inscindibile relazione tra la memoria dichiarativa, 18 John Hughlings Jackson, (Providence Green, 4 Marzo 1835 – Londra,7 Ottobre 1991), è stato un neurologo britannico. Durante la sua carriera ha pubblicato oltre 300 articoli, ed è divenuto un’icona della neurologia moderna. Con il suo lavoro ha contribuito in modo decisivo allo studio e alla comprensione dell’afasia e dell’epilessia in tutte le sue forme. Uno dei suoi più grandi lasciti è costituito dalla teoria del funzionamento neurologico e cerebrale come struttura gerarchica, che ha fortemente influenzato studiosi e neurologi di successo. <http://www- 3.unipv.it/webchirneuro/didattica/conoscere/definition/jackson.htm>, (consultato il 5 Marzo 2014, alle ore 18:16). 26 (memoria episodica e memoria semantica), e il linguaggio; o tra la percezione e la memoria; anche se, per motivi di semplicità di analisi, queste funzioni vengono in genere trattate separatamente. Tramite quest’analisi strutturale del sistema nervoso e del cervello possiamo dunque dedurre che il processo logico-interpretativo, sul quale si fondano l’interpretariato e la traduzione, passi attraverso la sfera sensoriale, prima di giungere alle varie aree cerebrali e nei centri della Memoria a Lungo e Breve Termine. Così, come una traduzione avrà bisogno della sfera visiva, e dunque del lobo occipitale per poter essere correttamente assimilata ed inviata ai lobi frontale e parietale; cosi l’interpretariato di conferenza avrà bisogno, nel caso della consecutiva, di un’azione congiunta tra la sfera sensoriale visiva e quella uditiva; di un coinvolgimento multiplo di Memoria a Lungo Termine e Memoria a Breve Termine e di una collaborazione tra, addirittura, tutti e 4 i lobi; mentre, per quanto riguarda la simultanea, di un corretto connubio tra i lobi temporale, frontale, e la parte sinistra di quello parietale. A questo punto, dopo aver compreso sommariamente quali sono i funzionamenti principali del cervello e delle sue aree più importanti, addentriamoci in maniera più profonda nell’ambito della memoria, così da poter analizzare, in modo più approfondito, un’altra parte dei processi chiave della mediazione linguistica. 27 I MECCANISMI DELLA MEMORIA Un tema di grandissimo interesse riguarda la comprensione delle modalità di sviluppo delle capacità di apprendimento, dei meccanismi della memoria e delle caratteristiche del cosiddetto oblio19. Questa conoscenza può aiutare a migliorare le prestazioni professionali e i rapporti umani. Pertanto, procediamo gradualmente e cominciamo ad affrontare quest’analisi fin dai suoi aspetti più basilari. NEUROFISIOLOGIA DELLA MEMORIA: APPRENDIMENTO E MEMORIA. L’apprendimento è il processo mediante il quale si acquisiscono nuove conoscenze, mentre la memoria è quella che permette di conservare nel tempo le conoscenze. Apprendimento e memoria sono dunque due processi fondamentali per l’unicità di ciascun individuo. Nello studio della memoria si deve distinguere la Memoria a Lungo Termine da quella a Breve Termine, (o Recente). È oramai accertato che nell’evocazione dei ricordi interagiscono ben tre processi; uno per gli eventi del momento, un altro per quelli avvenuti in un tempo molto recente, (ore o 19 L'Oblio rappresenta la dimenticanza intesa come fenomeno non temporaneo, ovvero non dovuto a distrazione o perdita temporanea di memoria, ma come stato più o meno duraturo, vale a dire come scomparsa o sospensione del ricordo con un particolare accento sullo stato di abbandono del pensiero e del sentimento. Viene spesso erroneamente confuso con il concetto di amnesia, ma con esso non condivide né la durata del fenomeno, (tipicamente temporaneo nell’amnesia), né il carattere di abbandono della volontà e del sentimento, (tipico invece dell'oblio). Per la psicologia moderna, Il concetto di oblio è collegato ad alcune funzioni specifiche della memoria. Sigmund Freud identifica l'oblio come una delle facoltà difensive della mente umana, che per protezione tende a rimuovere contenuti mnemonici e pensieri ritenuti minacciosi, i quali, tuttavia, rimangono inconsci e repressi nelle profondità del subconscio. <http://freeondarevolution.blogspot.it/2010/12/pensiero-memoria-ecervello-tra-ricordo.html>, (consultato il 5 Marzo 2014, alle ore 15:20). 28 giorni), ed un terzo per i ricordi più remoti, (mesi o anni). La Memoria a Breve Termine è spesso perduta a seguito di traumi cerebrali o malattie nervose; quella remota è invece particolarmente resistente. Wilder Penfield20, fu il primo neurologo che cercò d’individuare l’area della corteccia destinata alla memoria. Stimolando elettricamente alcune aree del cervello, osservò che talvolta a tale stimolazione seguiva la descrizione del ricordo di un’esperienza passata da parte del paziente. Tali “ricordi” venivano rievocati stimolando i lobi temporali. Durante la stimolazione il paziente aveva l’impressione di rivivere l’esperienza che stava ricordando. Si poteva avere accesso ad un particolare ricordo stimolando un’area ben precisa del lobo temporale. La stimolazione di altre parti del lobo temporale provocava in alcuni pazienti un cambiamento nell’interpretazione dell’ambiente, per cui essi si sentivano estranei in un ambiente familiare, o, al contrario, avevano la sensazione di familiarità di fronte ad eventi nuovi, (“fenomeno del già visto”). Un altro fenomeno che interessava i ricercatori e i neurologi era quello costituito dalla perdita di memoria in occasione di eventi causa di traumi o shock cerebrali, (“amnesia retrograda”). Infine, le indagini neurochirurgiche hanno dimostrato che l’asportazione parziale del lobo temporale, a fini terapeutici di malattie come l’epilessia, può determinare una perdita della memoria recente, e, di conseguenza, un’incapacità di trasferimento dell’esperienza appresa alla memoria remota. Le più recenti ricerche hanno stabilito che le informazioni vengono immagazzinate in tre depositi differenti da cui possono essere successivamente richiamate. 20 Wilder Penfield, (Spokane, 26 Gennaio 1891 – Montréal, 1976), è stato un celebre neurologo canadese che ha dato contributi di grande importanza allo studio del tessuto nervoso, di malattie neurologiche, (in particolare dell'epilessia), e delle tecniche di chirurgia cerebrale. Fu uno dei primi ad applicare la stereotassi, tecnica che consiste nello stimolare selettivamente zone assai piccole di tessuto nervoso cerebrale per mezzo di aghi o di elettrodi. Tramite essa fece la sua scoperta più sorprendente: la stimolazione di determinate aree del cervello provoca la rievocazione di ricordi, ossia può far rivivere con grande chiarezza avvenimenti del tutto dimenticati, talvolta con le sensazioni, (suoni, odori), ad essi associati. <http://psychology.jrank.org/pages/480/Wilder-Graves- Penfield.html>, (consultato il 5 Marzo 2014, alle ore 11:23). 29 1. La Memoria Sensitiva. Il primo deposito mnemonico del cervello è costituito dalla memoria sensitiva. Essa è in grado di trattenere per pochi attimi le informazioni che provengono dagli organi di senso, scartandone fino al 75%. Del rimanente 25%, solo meno dell’1% viene selezionato dall'area del linguaggio e immagazzinato nella Memoria Primaria, (Memoria a Breve Termine), il deposito più limitato dell'encefalo. 2. L'Encefalo. E’ il secondo deposito cerebrale, in grado di astrarre impressioni figurate, verbalizzare quanto appreso e associarlo alle informazioni precedenti. Maggiori sono le possibili associazioni e più è facile che quanto appreso sia ricordato per lunghi periodi. Le informazioni sono trattenute nella memoria primaria per un periodo che varia da pochi secondi a diversi minuti. Come abbiamo costatato, la trasmissione di una qualsiasi informazione dalla memoria primaria a quella secondaria è frutto di un processo mnemonico delicato e basato essenzialmente su una sola domanda: <<Chi decide quale nozione deve essere ricordata e quale, invece, va dimenticata?>>. 3. L'Ippocampo. L'ippocampo è una formazione nervosa situata sul margine inferiore dei ventricoli laterali, sopra il cervelletto. Fa parte del sistema limbico, che è la zona del cervello deputata a gestire le emozioni. Tutte le aree del sistema limbico, (strettamente collegate all'ipotalamo), regolano i comportamenti riguardanti i bisogni primari per la sopravvivenza dell'individuo e della specie; il mangiare, il bere, il procurarsi cibo e le relazioni sessuali, nonché, per una specie evoluta come l'uomo, l'interpretazione dei segnali provenienti dagli altri individui e dall'ambiente. Questa zona del cervello gestisce anche le emozioni, i sentimenti e pertanto anche la nostra 30 percezione della realtà. Poiché l'ippocampo si occupa di selezionare le informazioni da trasferire nella memoria secondaria, ne deriva che l'apprendimento e l'oblio sono notevolmente influenzati sia dalle emozioni positive, che da quelle negative. Se si prova disgusto per una materia, infatti, le possibilità di apprenderla sono assai scarse. Un apprendimento di base positivo, (apprendimento giocoso), stimola la regolarità del ritmo di trasferimento nella memoria secondaria; al contrario, un atteggiamento negativo rallenta significativamente i meccanismi mnemonici, rendendo, di conseguenza, più difficile l'apprendimento. (fig. a) 31 (fig. b) COME LE INFORMAZIONI VENGONO IMMAGAZZINATE NELL’ENCEFALO. Grazie ai numerosi studi neurologici è stato possibile costatare che, qualora alcune parti dell'encefalo venissero distrutte da un trauma, come ad esempio un ictus, le informazioni specifiche, immagazzinate al loro interno, non andrebbero perdute. Gli studi, infatti, evidenziano che, nel cervello, non esistono zone in cui è possibile memorizzare singoli dati, (come all’interno del disco fisso di un computer). Al contrario, durante la memorizzazione, ogni informazione sarà ripartita attraverso un complesso di cellule della memoria. Nel momento in cui si richiamerà alla memoria un eventuale dato o elemento, al cervello sarà sufficiente una piccola parte del modello, (un’associazione), per ricostruire o rievocare l'intero concetto o evento. Nel caso in cui, invece, diverse associazioni dovessero essere utilizzate per modelli simili, si potrebbero generare confusioni. L'encefalo, in conclusione, non sarà in grado di memorizzare dati come fossero una fotografia, ma si avvarrà di una lunga serie di associazioni, tramite un procedimento simile all'ologramma; ed anche 32 quando non tutti i dati siano richiamati, sarà comunque in grado di ottenere un'immagine intera, anche se sfocata, del dato mnemonico desiderato, (fig. c). Memoria Seriale Memoria Associativa (fig. c) E’ arrivato ora il momento di occuparci direttamente della memoria e delle sue forme principali. Possiamo dividere la memoria in due tipologie principali: la Memoria a Lungo Termine e la Memoria a Breve Termine. 33 La Memoria a Lungo Termine, (abbreviata in MLT), è definita come quella memoria, contenuta nel cervello, caratterizzata da una durata variabile che va da qualche minuto fino a molti anni. I primi modelli di funzionamento della memoria tendevano ad inserirla in un gruppo di tre “magazzini”; la Memoria a Lungo Termine, la Memoria Sensoriale, (che trattiene per brevissimo tempo le informazioni sensoriali in arrivo), e la Memoria a Breve Termine, (capace di trattenere per pochi minuti un numero di informazioni medio di sette elementi). Paragonando il sistema cognitivo umano a quello di un computer, i neurologi hanno affermato che la Memoria a Lungo Termine svolge una funzione paragonabile a quella dei dispositivi utilizzati per l’immagazzinamento dei dati; come gli Hard Disk o i DVD. Qualsiasi informazione è, dunque, memorizzata per un periodo di tempo che supera il momento contingente, e che, potenzialmente, finisce solo con la distruzione del supporto, (o la morte del soggetto). La Memoria a Lungo Termine è considerata virtualmente illimitata, ma la riattivazione di un'informazione può essere impedita dall'incompletezza delle associazioni necessarie alla sua identificazione. Un discorso assai diverso, invece, va fatto per la Memoria a Breve Termine, (MBT), definita spesso anche come “Memoria Temporanea”, poiché comunemente legata ad eventi o processi mentali finalizzati ad un immagazzinamento dati parziale e superficiale, che tenderà ad esaurire la propria durata in maniera direttamente proporzionale alla durata dell’evento o del processo mentale in questione. Nella Memoria Temporanea, (a Breve Termine), si verifica un rapido deterioramento delle informazioni, mentre la Memoria a Lungo Termine, è in grado di conservarle in modo estremamente più stabile, (data la sua localizzazione nelle profondità sinaptiche dell’Ippocampo). L'informazione che arriva alla MBT, se non è oggetto di attenzione, comincia subito a cancellarsi anche se, mediante una ripetizione, può essere ricostruita e ripristinata. La capacità della Memoria a Breve Termine di un qualsiasi soggetto è quindi limitata. Pertanto, se un'informazione non viene ripetuta con sufficiente frequenza, finirà inevitabilmente per scomparire. Il complesso dei dati presenti in ogni istante nella Memoria a Breve Termine viene detto, “Cuscinetto di Ripetizione o di Ripristino”. L'informazione verrà conservata al suo interno finché non sarà trasferita nella Memoria a Lungo Termine o finché non 34 verrà rimpiazzata da una nuova serie di informazioni. Nel cervello esistono due diversi metodi che consentono di immagazzinare informazioni e di attivare quella che noi chiamiamo "Memoria"; il Potenziamento a Lungo Termine e il Potenziamento a Breve Termine. Il secondo è quello coinvolto nella creazione della Memoria a Breve Termine, e consiste in un’alterazione temporanea delle sinapsi coinvolte, che vengono ipersensibilizzate tramite la sintesi di nuovi recettori di membrana. Il Potenziamento a Lungo Termine, invece, richiede più tempo e coinvolge anche vie metaboliche differenti, che andranno ad attivare proteine in grado di rinforzare in maniera molto più duratura le sinapsi. La struttura cerebrale principale coinvolta nella generazione della memoria è la formazione dell’Ippocampo. E’ stato dimostrato, che, al suo interno, si verifica il processo di Potenziamento a Lungo Termine, e che eventuali danni alle sue strutture causeranno una grave amnesia anterograda. Studi più recenti, suggeriscono che l'Ippocampo e le cortecce circostanti, (Corteccia Entorinale), svolgono, per così dire, un ruolo di, “smistamento pacchi”. Le informazioni che verranno memorizzate, dovranno essere trasmesse alle aree cerebrali più interne; ma, dato che lesioni, anche molto gravi, non provocano casi di amnesia retrograda, (ovvero, cancellazioni della memoria accumulata precedentemente), gli esperti ritengono che probabilmente, la memoria già immagazzinata debba essere registrata altrove; probabilmente, all’interno delle aree associative delle cortecce prefrontale e frontale. LE VARIE FORME DI MLT. La Memoria a Lungo Termine è generalmente divisa in due grosse categorie: la Memoria Dichiarativa e la Memoria Procedurale. La Memoria Dichiarativa, riguarda tutte le conoscenze esplicite, (vale a dire esprimibili a parole), che si hanno sul mondo; variando dalla collocazione di un barattolo di caffè, al testo completo dell'Iliade. La Memoria Procedurale, al contrario, non è verbalizzabile, e invece di essere una "memoria di qualcosa", è una 35 memoria che riguarda il “fare qualcosa”, come ad esempio, l'andare in bicicletta o il disegnare. La Memoria Dichiarativa viene codificata nelle aree cerebrali citate precedentemente, e successivamente depositata nelle aree associative; mentre la Memoria Procedurale è probabilmente codificata ed immagazzinata nel corpo striato21 e nel cervelletto;22 infatti, lesioni alle cortecce ippocampali ed entorinali possono compromettere, selettivamente, l'apprendimento di nuove nozioni, lasciando, tuttavia, intatta la capacità di apprendere nuovi compiti motori. In pratica, un individuo del genere può imparare un nuovo compito motorio, pur dimenticando il fatto stesso di averlo imparato. La Memoria Dichiarativa, a sua volta, può essere suddivisa in altre sottocategorie. Tra queste citiamo, la Memoria Semantica, che riguarda conoscenze generali sul mondo esterno, (come ad esempio tutto quello che una persona sa sui koala); e la Memoria Episodica, che, come suggerisce il nome, riguarda specifici episodi o avvenimenti, (come ad esempio la caduta del muro di Berlino), e le loro circostanze. Altri tipi di memoria sono, la Memoria Autobiografica, che non è altro che un sottoinsieme della Memoria Episodica, riguardante specifici episodi della vita della persona che sta ricordando; e la 21 Lo Striato, o Corpo Striato, (in latino corpus striatum), detto anche nucleo della base, e nucleo caudale, è una parte sottocorticale del telencefalo. È noto per il suo ruolo nella pianificazione e nella modulazione dei movimenti, ma è coinvolto in una varietà di processi cognitivi che coinvolgono la funzione esecutiva. È attivato da stimoli, inattesi o intensi, associati alla ricompensa, o all’avversione. Deve il suo nome alla particolare organizzazione strutturale che lo caratterizza. E’, infatti, composto da un'alternanza di formazioni grigie intersecate da fasci di sostanza bianca, che conferiscono alla struttura quel particolare aspetto "striato". <http://it.wikipedia.org/wiki/Striato>, (consultato il 5 Marzo 2014, alle ore 19:50). 22 Il Cervelletto è una parte del sistema nervoso centrale, situato nella fossa cranica posteriore, che, nel complesso, si presenta come una formazione grossolanamente ovoidale, dal peso di circa 130-140 grammi. E’ principalmente coinvolto nell'apprendimento, nel controllo motorio e in quello del linguaggio, nell'attenzione, e in alcune funzioni emotive come la risposta alla paura o al piacere. Tuttavia, sebbene sia ampiamente coinvolto nel controllo del movimento, non è in grado di darvi origine in alcun modo. <http://www.sapere.it/enciclopedia/cervellétto.html>, (consultato il 6 Marzo 2014, alle ore 20:00). 36 Memoria Prospettica, che non riguarda, come le altre, eventi passati ma eventi futuri, (come la scadenza di una bolletta, o un appuntamento medico o scolastico). Alla fine di queste prime considerazioni ed osservazioni che abbiamo analizzato, possiamo giungere alla conclusione che; la mediazione linguistica sia una professione basata sulla successione e connessione di più processi mentali, nonché di diverse funzionalità cerebrali, alcune intrinseche, (frutto di tutte le esperienze didattiche e di vita di una persona), ed altre estrinseche, (vale a dire, quelle ottenute e perfezionate tramite l’esercizio di un qualsiasi mestiere o di una qualsiasi professione). Dunque, nel nostro specifico caso, cercheremo di soffermarci parallelamente sia sull’aspetto traduttivo che su quello interpretativo; in modo da collegare tra loro, nel modo più semplice e diretto possibile, tematiche complesse quali, l’analisi delle funzionalità del sistema nervoso, e le tecniche traduttive e logico-interpretative di questa affascinante, complessa ed articolata professione. 37 CAPITOLO SECONDO: I MECCANISMI MENTALI DELLA TRADUZIONE. I TRADUTTORI E LA MEMORIA A LUNGO TERMINE. La traduzione non è solamente un procedimento linguistico. Numerosi studi, condotti nel corso degli anni, hanno scoperto che comporta operazioni cerebrali molto più complesse di quanto si pensasse. Pertanto, prima di cominciare gli studi, gli esperti si sono posti una domanda fondamentale: <<Come funziona il cervello di chi per professione passa ogni giorno da una lingua all'altra?>>. Prima di rispondere a questo quesito, è opportuno ricordare che nell'emisfero sinistro, (ES), anteriore, è collocata la cosiddetta area di Broca, che presiede all’espressione del linguaggio, mentre, sempre nell'ES, sopra l'area temporale, si trova l’area di Wenicke, deputata alla comprensione del linguaggio tramite interconnessioni associative con i meccanismi della memoria. La traduzione è dunque possibile, a livello mentale, solamente grazie all’attivazione delle Funzioni Cerebrali Superiori, (FCS). L’arte della traduzione si fonda sul connubio tra la Memoria a Lungo Termine, che permette al traduttore di applicare le tecniche traduttive apprese nel corso del proprio processo di formazione, ed i lobi frontale e parietale del cervello, che permettono di elaborare le esigenze grammaticali e stilistiche del testo o del documento con cui egli si trova ad avere a che fare. Infatti, qualsiasi individuo si trovi di fronte ad un testo straniero ed abbia necessità di tradurlo in maniera fedele e corretta, dovrà necessariamente analizzare il testo in ogni sua parte andando a ripercorrere nella propria MLT informazioni di carattere teorico e sintattico, (legate alle regole grammaticali del testo di partenza e a quelle della lingua in cui esso è scritto), come anche, in alcuni casi, informazioni sulla trama e la 38 narrazione; (qualora, ad esempio al traduttore venisse presentata una versione straniera de, “I Promessi Sposi”, la sua MLT sarebbe in grado di ripercorrere, almeno sommariamente, i tratti fondamentali del racconto, nonché quelli dei personaggi principali e dello stile caratteristico del testo, semplificando in tal modo significativamente il lavoro documentativo e traduttivo). Tuttavia procediamo per gradi, e cerchiamo di analizzare con più precisione quello che avviene nella mente di un traduttore nel momento in cui si accinge a realizzare una traduzione. Possiamo sostenere, con certezza, che la traduzione costituisce un complesso ed elaborato processo mentale, in grado di combinare le capacità mnemoniche del traduttore con altre affascinanti meccanismi mentali, che esso metterà in atto nel momento in cui inizierà il proprio lavoro traduttivo. Una parte delle principali ricerche, svolte nei corso degli anni, è stata concentrata su due attività mentali molto importanti, che ne costituiscono una parte fondamentale. Sono i processi mentali di Lettura e Scrittura; e, per quanto scontati a banali possano apparire le considerazioni cui queste ricerche sono giunte, in realtà non lo sono affatto. Gli studiosi e i teorici della traduzione hanno asserito, infatti, che, durante una traduzione, pur restando nell'ambito di uno stesso codice, ossia senza cambiare lingua, il mediatore sarà chiamato spesso a dover svolgere “molteplici traduzioni” che realizzerà all’interno della propria mente; e che esisterà, inoltre, una fase intermedia nella quale le parole, o gli insiemi di parole, verranno tradotti, per l’appunto, in una “lingua mentale”, individuale, e traducibile pertanto, solo ed esclusivamente dal traduttore coinvolto nel processo traduttivo. Tal esame analitico è stato necessario per prendere coscienza della varietà e soggettività dei processi mentali implicati nelle attività descritte; sottolineando anche che esse si svolgono in un arco temporale molto ristretto. Inoltre, esiste un continuo spostamento della focalizzazione dalla micro-analisi alla macro-analisi e dalla micro-espressione alla macro-espressione; vale a dire, un continuo raffronto tra il senso dei singoli enunciati e il senso globale del testo; tra il senso del singolo testo e il senso globale dei testi, che, consapevolmente o no, costituiscono l'intertesto, ovvero, quell'insieme di rimandi intertestuali in cui il testo tradotto si colloca. È necessario precisare anche che l'elaborazione mentale dei vari dati verbali si svolge in modo simultaneo ed 39 interdipendente. Pertanto, per descrivere il processo mentale della traduzione nel suo insieme, è necessario comprendere il funzionamento delle singole micro-attività. Un importante studioso di traduzione, James S. Holmes23, ha proposto un interessante approccio ai processi traduttivi di tipo mentale, definito con il termine, “Mapping Theory”, ed ha tentato di esporlo nel modo più sintetico e chiaro possibile tramite queste parole: <<I have suggested that actually the translation process is a multi-level process; while we are translating sentences, we have a map of the original text in our minds and at the same time a map of the kind of text we want to produce in the target language. Even as we translate serially, we have this structural concept so that each sentence in our translation is determined not only by the sentence in the original but by the two maps of the original text and of the translated text which we are carrying along as we translate24>>. 23 James Stratton Holmes, (1924 – 1986), è stato un famoso e stravagante poeta americano e scrittore dall’olandese, che con le sue ricerche segnò una svolta nell’ambito dei “Translation Studies”, guadagnandosi un posto d’onore nella storia di questa disciplina. <http://erikadibattista.blogspot.it/p/ifondatori-della-scienza-moderna_15.html>, (consultato il 6 Marzo 2014, alle ore 12:24). 24 Hönig H. G. Holmes, "Mapping Theory and the Landscape of Mental Translation Processes”, Leuven-Zwart & Naaijkens 1991, p. 77. Traduzione a cura di Matteo Gravina: <<Personalmente ritengo che il processo traduttivo sia un processo a più livelli; mentre ci accingiamo a tradurre le frasi, conserviamo una mappa del testo originale nella nostra mente e allo stesso tempo una mappa della tipologia di testo che vorremmo realizzare nella lingua di arrivo. Pur traducendo in maniera meccanica, manterremo questo concetto strutturale, cosicché ogni periodo della nostra traduzione sarà determinato non dalla forma originale che ha nel testo di partenza, ma dall’unione delle due mappe, quella del testo originale e quella del testo che vorremmo ottenere mentre traduciamo>>. <http://courses.logos.it/IT/1_9.html>, (consultato il 6 Marzo 2014, alle ore 17:11). 40 Sembrerebbe quindi che il processo traduttivo sia un complesso sistema in cui comprensione ed elaborazione del testo prodotto siano frazioni interdipendenti di una medesima struttura. Si può, dunque, postulare l'esistenza di una sorta di "unità centrale di elaborazione" che presiede al coordinamento dei vari processi mentali, (quelli legati alla lettura, all'interpretazione e alla scrittura), e nello stesso tempo proietta una mappa del testo futuro nella mente del mediatore. Cerchiamo di analizzare tutto questo processo più approfonditamente. All’inizio della traduzione, il testo di partenza, per essere tradotto, deve essere, per prima cosa, "estirpato" dal contesto originale e proiettato nella realtà mentale del traduttore. Egli, dunque, in realtà non lavora sul testo di partenza, ma sulla sua proiezione mentale. Lo spazio elaborativo si suddivide quindi in, spazio di lavoro controllato e incontrollato. Nello spazio di lavoro incontrollato avviene una prima comprensione del testo, che consiste nell'applicare schemi di significato precostituiti, (presenti nella MLT), basati sull'esperienza percettiva del traduttore. Così, come per la lettura è molto più utile limitarsi a leggere frazioni di parole e frasi che consentano di ricostruire le parti non lette, nel caso degli schemi semantici la mente tende a postulare la somiglianza degli enunciati dell'originale con altri già letti o precedentemente ascoltati ed assimilati. Gli schemi semantici sono strutture della Memoria a Lungo Termine che riflettono le attese del lettore, i suoi postulati di significato, e che, in parte, sono già orientati verso un testo tradotto che, pur non esistendo ancora esternamente al traduttore, inizia a delinearsi all’interno della sua mappa mentale. La macro-strategia traduttiva è costituita dall'interazione tra la proiezione dell'originale, l’ipotesi sul testo tradotto e lo spazio di lavoro incontrollato. Si tratta di un meccanismo quasi automatico per il professionista esperto, che però può diventare più consapevole grazie all'analisi traduttologica del testo. Per analizzare lo spazio di lavoro incontrollato, ci si è basati sui cosiddetti “Protocolli di Pensiero ad Alta Voce”, (Thinking Aloud Protocols). È stato chiesto ad alcuni traduttori di spiegare ad alta voce ciò che stavano facendo o che pensavano di fare mentre erano intenti nel loro lavoro. I processi mentali descritti da questi protocolli sono stati denominati "spazio di lavoro controllato". Gli spazi di lavoro 41 incontrollato sono quindi quelli in cui avvengono attività mentali che esulano dai protocolli di pensiero ad alta voce. Nello spazio di lavoro controllato l'elaborazione mentale è consapevole, nel senso che il traduttore sa che determinati meccanismi stanno avendo luogo, ma, nello stesso tempo, è inconsapevole delle modalità con cui si sviluppano, in quanto si tratta di meccanismi automatici. Il mediatore che si affida esclusivamente allo spazio di lavoro incontrollato non ha una strategia complessiva che tenga conto del testo tradotto nel suo insieme; questo ipotetico traduttore è in balìa dei riflessi linguistici che scaturiscono automaticamente dalla percezione del documento originale. Perché la competenza traduttiva sia completa, occorre quindi avvalersi anche di una strategia razionale macro-testuale. Riflettendo dunque sulle aree cerebrali preposte all’analisi e al trattamento degli impulsi visivi, e, dunque, alla comprensione di linguaggi scritti, le ricerche mediche, nonché la loro applicazione nel campo professionale della mediazione linguistica, hanno evidenziato che l’emisfero sinistro sembra essere maggiormente coinvolto nella decodifica e produzione di componenti fonologiche, morfologiche, sintattiche e lessicali; mentre l'emisfero destro si occupa principalmente dell'interpretazione dei significati impliciti. Le aree specifiche del linguaggio sono situate nell'emisfero dominante, (sinistro), e comprendono, (fig. d): • L’area corticale anteriore di Broca; • L’area corticale posteriore di Wernicke; • La circonvoluzione precentrale nell’area corticale superiore. 42 (fig. d) Tuttavia, all'elaborazione del linguaggio partecipano anche il giro angolare e sopra marginale, (aree 22, 39 e 40 di Brodmann25), e le aree associative parietali di sinistra. Anche le strutture sottocorticali sono interessate alla produzione del linguaggio. L'area di Wernicke è specializzata nell'uso del codice fonemico della lingua, mentre l'area di Broca presiede alla combinazione dei fonemi per comporre parole. Abbiamo, ormai, completato la prima analisi concettuale delle capacità fondamentali che un buon interprete deve possedere per svolgere a 360° la propria professione. Tuttavia, prima di poter formulare ipotesi riguardanti ciò che avviene all’interno della mente di un’interprete o di un traduttore, è necessario affrontare un ulteriore argomento, vale a dire quello legato alla definizione della natura del linguaggio. Tutti noi sappiamo definire per sommi capi la natura e le caratteristiche del termine “linguaggio”, ma è utile chiarirne le particolari applicazioni in una 25 Korbinian Brodmann, (Liggersdorf, 17 Novembre 1868 – Monaco di Baviera, 22 Agosto 1918), è stato un neurologo tedesco che divenne famoso per aver suddiviso la corteccia cerebrale in 52 regioni, distinte per le caratteristiche morfologiche di ciascuna cellula che le componevano, (cito-architettura). Tuttora ci si riferisce alla sua topografia negli studi anatomici funzionali, con l'acronimo BA, ("Brodman's area"). <http://www.korbinian-brodmann.de>, (consultato il 7 Marzo 2014, alle ore 00:16). 43 professione come la mediazione linguistica; rispondendo così ad un ultimo quesito che, per quanto elementare possa sembrare, costituisce l’autentica “raison d’etre” di questo lavoro, ed è di fondamentale importanza per dimostrarne ulteriormente il valore e le difficoltà. La domanda cui dobbiamo dare una risposta è: <<Che cosa s’intende per linguaggio?>>. Il linguaggio è la capacità di comprendere la parola scritta e parlata, e di esprimere concetti tramite essa. Rappresenta, senza ombra di dubbio, uno dei migliori strumenti comunicativi dell’umanità; soprattutto per quanto riguarda l’espressione di concetti astratti e la pratica di professioni strettamente legate alla comprensione, elaborazione, nonché trasformazione, figurazione, e memorizzazione della parola. Si ritiene che il cervello elabori il linguaggio attraverso tre strutture, che interagiscono tra loro. Un primo grande gruppo di sistemi neurali elabora le interazioni non linguistiche tra il corpo e l’ambiente, (elaborazione effettuata attraverso la percezione di colori, forme o stati emotivi), e che, in questo modo è in grado di organizzare oggetti, eventi e relazioni. Un secondo gruppo analizza le combinazioni fonemiche e le regole sintattiche per la costruzione delle frasi che verranno poi pronunciate o scritte; e, infine, un terzo gruppo che svolge un’azione intermedia tra i due precedenti; ricevendo parole ed evocando dalla memoria gli eventi ad esse corrispondenti. La zona cerebrale maggiormente coinvolta nella formazione di parole e frasi sembra essere l’area 44 di Brodmann, posta sopra il lobo temporale davanti alla scissura di Silvio26 e detta anche area di Broca-Wernicke. La scoperta di tale area consolidò la teoria del fenomeno della dominanza cerebrale; che 26 La Scissura Laterale di Silvio, conosciuta anche con il nome di Solco Laterale, Fessura Silviana o Fessura Laterale, è una delle principali strutture del cervello umano. La Scissura Laterale di Silvio divide i lobi frontale e parietale da quello temporale. Questa struttura è presente in entrambi gli emisferi del cervello ma, nella maggioranza delle persone, risulta più lunga nell'emisfero sinistro. <http://www.lacellula.net/glossario/termine/409_scissura_di_silvio/>, (consultato il 7 Marzo 2014, alle ore 8:18). 44 localizza le strutture riguardanti il linguaggio quasi esclusivamente nell’emisfero sinistro, (nella totalità dei destrorsi e nel 75% dei sinistrorsi). (fig. e) Nell’immagine soprastante, ottenuta attraverso la PET, (fig. e), sono illustrate tre diverse scansioni del cervello umano mentre esegue una serie di compiti intellettivi associati alle parole. Tramite la PET è stato possibile osservare che il flusso ematico del cervello varia in base al compito eseguito. Nella prima scansione, infatti, si può notare l’area deputata alla visione delle parole e alla loro associazione a fenomeni od oggetti colorati. Nella seconda è invece evidenziata l’area motoria deputata alla pronuncia delle parole e all’assemblaggio delle frasi. Infine, nella terza immagine, è evidenziata l’area, (area di Broca), in cui viene articolato e gestito il linguaggio. Nonostante le grandi possibilità nello studio dell’attività cerebrale date dalla PET, la profonda complessità dei fenomeni del linguaggio non permette d’identificare la totalità delle interazioni tra le varie aree cerebrali, che in molti casi risultano ancora oscure. Ora che abbiamo compreso la natura del linguaggio, possiamo continuare, o meglio cominciare, la nostra analisi neurale della mediazione linguistica iniziando a soffermarci proprio sulla traduzione; vale a dire quella branca interpretativa che fa particolare riferimento alla Memoria a Lungo Termine. 45 LA TRADUZIONE COME PROCESSO MENTALE. <<Il problema del tradurre è in realtà̀ il problema stesso dello scrivere, e il traduttore ne sta al centro, forse ancor più̀ dell'autore. A lui si chiede (...) di dominare non una lingua, ma tutto ciò̀ che sta dietro a una lingua, vale a dire un'intera cultura, un intero mondo, un intero modo di vedere il mondo; e di sapere annettere questo mondo ad un altro del tutto diverso, trasferendo ogni sfumatura, registro, accento, allusione, tonalità̀ entro i nuovi confini. Gli si chiede, infine, di condurre a termine questa improba e tuttavia appassionata operazione senza farsi notare, senza mai salire sul podio o a cavallo. Gli si chiede di considerare suo massimo trionfo il fatto che il lettore neppure si accorga di lui (...). Il traduttore è l'ultimo, vero cavaliere errante della letteratura27>>. Prima di poter analizzare e comprendere i processi mentali con i quali un traduttore svolge il proprio lavoro, è necessario ripercorrere, seppur brevemente, le origini del linguaggio scritto; così da identificarne le profonde e significative differenze con tutte le altre forme di linguaggio, nonché l’importanza e predominanza storica, sociale e globale nell’evoluzione linguistica e culturale del genere umano; comprendendo così quanto l’attività del traduttore celi al proprio interno una complessa rete di processi cerebrali mascherata, al di fuori, da una semplice attività di “lettura”, “consultazione di dizionari” e “riscrittura” dei documenti originali. 27 Fruttero e Lucentini, “I ferri del mestiere”, Einaudi, Torino 2003, p. 58. <http://helptraduzioni.com/2012/01/16/il-traduttore-e-lultimo-vero-cavaliere-errante-dellaletteratura/>, (consultato l’8 Marzo 2014, alle ore 7:51). 46 La capacità della specie umana di elaborare il linguaggio attraverso la scrittura si è sviluppata da circa 4.000 anni, sia pur con metodi e tempistiche diverse. L’acquisizione della lingua parlata avviene spontaneamente, e senza istruzioni specifiche durante la prima infanzia, mentre l’apprendimento di lettura e scrittura richiede una guida, ed avviene durante un’età più avanzata, in coincidenza di solito con l’inizio della scolarizzazione. Sia l’apprendimento che l’uso del linguaggio scritto si basa su sistemi funzionali e neurologici dedicati, sviluppatisi adattando e modificando parti del sistema visivo a compiti specifici quali, il riconoscimento di lettere e parole. Tali processi sono indipendenti dai sistemi di riconoscimento visivo delle altre classi di stimoli, (come, per esempio, quelli derivanti dall’osservazione di oggetti o visi), e da quelli di comprensione del linguaggio parlato, con possibili dissociazioni fra la capacità di leggere, scrivere, parlare e comprendere il linguaggio per via uditiva; processi che agiscono in maniera rapida, efficiente e automatica. I dati ricavati dallo studio dei deficit di lettura e scrittura hanno permesso, in primo luogo, di chiarire i rapporti funzionali e anatomici fra i meccanismi deputati al riconoscimento visivo degli oggetti e quelli specifici per l’attività di lettura; e in secondo luogo, di delineare un’architettura funzionale e dettagliata dei processi di elaborazione e comprensione del linguaggio scritto e parlato. A differenza del linguaggio, il cui fine comunicativo non è sempre indubitabile, gli studiosi sembrano concordare sull’idea che la scrittura sia stata inventata per un fine squisitamente comunicativo. Solo tramite essa, infatti, gli ominidi hanno potuto affrontare con successo i problemi derivanti dalla necessità di trasmettere ai posteri significati e informazioni; riuscendo ad estenderli non solo a coloro che appartenevano alla loro stessa generazione, ma anche a tutti quegli individui che avrebbero vissuto in tempi diversi. Pertanto, grazie alla scrittura, si è potuta raggiungere una delle più grandi conquiste dell’umanità; la creazione di un livello permanente di comunicazione. Con il passare dei secoli, la mente umana, nello svolgere le sue attività cognitive e comunicative, ha superato i propri ristretti confini fisici. Anche il fatto di trovarsi all’interno di un corpo in costante interazione con l’ambiente circostante, le ha permesso di utilizzare aspetti e realtà modificabili come supporti comunicativi esterni. Ad esempio, la possibilità di prendere un 47 appunto su un foglio cartaceo o elettronico ha ampliato i confini della memoria umana; e il poter scrivere una lettera o fare una telefonata ha amplificato esponenzialmente le possibilità di comunicazione. Normalmente, la comunicazione umana segue sia la modalità linguistica sia quella extralinguistica. Ciò significa che la scrittura non è basata necessariamente ed esclusivamente sul linguaggio, poiché si è sviluppata sulla comunicazione extralinguistica per almeno 30.000 anni, prima che l’invenzione dell’alfabeto si diffondesse, (vale a dire più di 5.000 anni fa). La scrittura ha permesso la nascita della cultura critica e della scienza, proiettando l’umanità verso il futuro e garantendo, allo stesso tempo, la conservazione del presente e del passato. COMUNICAZIONE EXTRALINGUISTICA COMUNICAZIONE LINGUISTICA IMPERMANENZA NEL TEMPO Gesti Linguaggio PERMANENZA NEL TEMPO Scrittura Pittografica ed Ideografica Scrittura Alfabetica 48 LA TEORIA DELLA TRADUZIONE. Nel corso della storia, moltissimi studiosi si sono dedicati allo studio delle numerose caratteristiche del processo traduttivo, trasformando l’arte della traduzione in una vera e propria “scienza delle parole”. Tutti gli studi di maggior rilievo compiuti, nel corso degli anni, da neurologi, umanisti e linguisti di fama mondiale, sono stati raccolti nella cosiddetta Teoria della Traduzione; una branca delle discipline umanistiche che si occupa dello studio sistematico ed interdisciplinare della teoria, della descrizione e dell'applicazione della traduzione, dell'interpretariato o di entrambe queste attività. La Teoria della Traduzione è prettamente normativa, (prescrive, dunque, esclusivamente le regole per l'applicazione di queste attività), e, pertanto, non va confusa con la Scienza della Traduzione che, invece, si avvale di elementi delle scienze sociali ed umanistiche, e si occupa in modo sistematico, scientifico e descrittivo dello studio della teoria e delle applicazioni pratiche della traduzione e dell'interpretazione. Essendo una scienza interdisciplinare, la Teoria della Traduzione affonda le proprie radici nei differenti campi di studi che sostengono la traduzione. Questi comprendono la letteratura comparata, l'informatica, la storia, la linguistica, la filologia, la filosofia, la semiotica, la terminologia, la lessicologia ecc. In italiano, e in molte altre lingue, ci si riferisce a questo insieme di teorie anche con il termine traduttologia. Quest’uso è considerato erroneo da molti, poiché si basa pedissequamente sul nome francese della disciplina, molto usato dal 1972; la “Traductologie”. 49 PROBLEMI DELLA TRADUZIONE. Idealmente, nello svolgere il proprio lavoro, un traduttore sceglie quelle strategie traduttive nella lingua d'arrivo che un qualsiasi madrelingua utilizzerebbe nella stessa situazione comunicativa. Nella rappresentazione contemporanea della figura traduttiva, è stata fortemente sostenuta, (anche grazie alla creazione di specifiche cattedre universitarie da parte degli organi istituzionali), l'introduzione della qualifica di “Mediatore”. Con quest’appellativo, la figura professionale può differenziarsi sia in mediatore culturale che in mediatore linguistico. Proprio quest'ultimo caso rappresenta il talento traduttivo linguistico. La problematica base risiede, dunque, nell'etimologia delle due diverse parole; infatti, il termine traduttore determina un pensiero vicino alla matematica trasposizione di due testi, una traslazione scientifica e precisa che passa da un complesso sintattico ad un altro, senza perdere il senso del discorso o delle strutture semantiche. Tutto ciò, in realtà, è stato più volte smentito e valutato come poco realistico; in quanto, secondo gli esperti, costituisce una rappresentazione denigratoria e semplicistica dell’intero processo traduttivo; descritto come un semplice processo di “input/output”. Al contrario, una mediazione è considerata la via che l'uomo ha percorso fin dalla nascita dei linguaggi, vale a dire il trasporto e l'adeguamento di un messaggio segnico da un contesto ad un altro, da un codice all'altro, da un paradigma all'altro. Lo stesso schema linguistico di Romàn Jakobson28, prevede una minima parte delle 28 Romàn Jakobsòn, (Mosca, 11 Settembre 1896 – Boston, 18 Luglio 1982), è stato un linguista e semiologo russo naturalizzato statunitense. È considerato uno dei principali iniziatori del formalismo e dello strutturalismo, (due scuole di pensiero nate con l’intento di analizzare gli aspetti formali e strutturali dell’opera letteraria). A lui si deve, inoltre, lo studio della teoria della comunicazione linguistica, basata sulla suddivisione delle funzioni del linguaggio secondo sei funzioni che si associano alla dimensione dei processi comunicativi, (emotiva, fatica, conativa, poetica, metalinguistica e referenziale). <http://it.wikipedia.org/wiki/Roman_Jakobson>, (consultato il 9 Marzo 2014, alle ore 1:37). 50 diverse caratterizzazioni che negli ultimi 60 anni sono state prese in causa per la buona riuscita di un processo traduttivo. Non sempre, infatti, una parola nella lingua di partenza può essere sostituita 1:1 con una parola nella lingua di arrivo, (come ad esempio per i colori o le cifre). Spesso, devono essere trasposte unità di senso più grandi come unicum, (ad esempio proverbi, formule di cortesia, ecc.). La scelta dell'unità traduttiva corretta è quindi una delle tecniche cui i traduttori si devono adeguare. Due lingue si differenziano tuttavia anche a livello formale. Spesso nel passaggio dalla lingua di partenza a quella di arrivo si nota la mancanza di alcune parole. In svedese, ad esempio, non c'è nessun iperonimo per il termine nonno; ma solo nonno materno, (morfar) e nonno paterno, (farfar). In francese e in inglese, invece, non esiste nessuna espressione per il tedesco Betriebsblindheit, (cecità). Anche nella sintassi, o nelle costruzioni con complementi di tempo o con sostantivi ci sono differenze. Quando il traduttore si limita a trasporre le strutture della lingua di partenza nella lingua di arrivo senza adattarle, la traduzione appare come sospesa in una sorta di “limbo lessicale”. L‘espressione inglese, "it's nice and warm", ad esempio, potrebbe essere tradotta nella forma poco italiana, "è bello e caldo". Al contrario, una forma idiomatica corretta potrebbe essere, "c'è bel tempo". Allo stesso tempo, un’espressione come "to go and buy", si potrebbe traduce con, "andare a comprare", e non con, "andare e comprare". Tutto questo contribuisce a dimostrare che, nella traduzione, oltre alle difficoltà di carattere puramente linguistico, si devono considerare anche problemi di natura stilistica. Questo concetto mette in luce il primo principio fondamentale della traduzione: “Tradurre il più letteralmente possibile, ma, tanto liberamente quanto necessario”. Pertanto, accanto alle differenze linguistiche devono essere considerati anche il tipo di testo, il fine e i destinatari della traduzione; poiché un saggio scientifico ha una diversa formulazione ed è, pertanto, molto più preciso e tecnico rispetto, per esempio, ad una rubrica giornalistica. Talvolta il principio secondo il quale la traduzione deve contenere un modo di esprimersi che 51 utilizzerebbe un madrelingua può non essere realizzato; ad esempio, nel caso di nomi propri e circostanze che, di fatto, non esistono nella lingua di arrivo. Inoltre ci si domanda come debba essere amministrata la cultura di partenza. <<Come si traducono la ritmica e l'influenza di un testo?>>. Un ulteriore interrogativo riguarda la gestione dei possibili errori nel testo sorgente, o la presenza di unità di misura che non esistono nell'ambito della lingua di arrivo. Così, nella traduzione tecnica, si tenderà ad attenersi il più fedelmente possibile alle impostazioni strutturali, sintattiche e culturali della lingua madre e del paese destinatario; mentre per la traduzione di romanzi, di regola si preserverà, per quanto possibile, lo sfondo culturale della lingua di partenza. Uno dei maggiori contributi alla teoria della traduzione è dovuto a Friedrich Schleiermacher, un filosofo e teologo tedesco che introdusse, nel corso dei propri studi, concetti innovativi, tra cui quello di considerare una lingua come la "visione del mondo" del popolo al quale appartiene. Fondamentale per la comprensione del discorso non è, infatti, l'oggetto o l’argomento specifico, ma il modo in cui un individuo lo pensa, intende ed esprime nella propria lingua. Per comprendere la singola espressione è, inoltre, spesso fondamentale analizzare la globalità del contesto nel quale si trova inserita. La parola dovrà essere, quindi, collocata nella struttura di una frase; una frase che farà parte di un dato capitolo; che apparterrà ad un determinato volume che, a sua volta, costituirà il contesto globale dell'opera dell'autore. Per fare tutto ciò, tuttavia, è inevitabile partire dalla comprensione delle singole parti per poi arrivare al tutto. La forma stessa dell'oggetto linguistico da tradurre è di primaria importanza, specialmente in ambiti letterari come la poesia. Inoltre, secondo quanto scrive nello “Über die Verschieden Methodendes Übersetzens29”, per Schleiermacher sono solo due i cammini che il 29 È il saggio più famoso di Friedrich Schleiermacher, redatto nel 1813. Qui egli sostiene che tutte le vie e i metodi traduttivi si riducono, in fin dei conti, a due sole alternative possibili, contraddistinte esclusivamente dal diverso atteggiamento assunto dal traduttore al cospetto del lettore nella lingua di arrivo. <http://transstar-europa.com/friedrich-schleiermacher-uber-die-verschiedenen-methoden-des- ubersetzens/>, (consultato il 9 Marzo 2014, alle ore 16:16). 52 vero traduttore può intraprendere, o meglio, far intraprendere durante lo svolgimento del proprio lavoro. <<A mio avviso, di tali vie ce ne sono soltanto due. O il traduttore lascia il più possibile in pace lo scrittore e gli muove incontro il lettore, o lascia il più possibile in pace il lettore e gli muove incontro lo scrittore. Le due vie sono talmente diverse che, imboccatane una, si deve percorrerla fino in fondo con il maggiore rigore possibile; dal tentativo di percorrerle entrambe contemporaneamente non ci si possono attendere che risultati estremamente incerti, con il rischio di smarrire completamente sia lo scrittore che il lettore30>>. Questo è, in sostanza, l'eterno dilemma del traduttore: <<Dico ciò che l'autore ha detto, o dico quanto egli intendeva esprimere?>>. Nel primo caso la traduzione sarà, più o meno, letterale, ed il suo lettore dovrà interpretarne il senso, (correndo il rischio di perdere il concetto che l'autore voleva esprimere); mentre nel secondo caso, l'interpretazione sarà realizzata dal traduttore, ed il lettore del testo tradotto riceverà un lavoro più comprensibile ma meno fedele all'originale, (nel quale il rischio sarà di presentare il punto di vista del traduttore e non quello dell'autore). In sostanza, per Schleiermacher, qualsiasi traduttore si appresti a realizzare una traduzione si troverà di fronte ad un bivio, e dovrà obbligatoriamente scegliere quale di due metodi adottare durante la propria mediazione. 30 Friedrich Schleiermacher, “Über die Verschieden Methodendes Übersetzens”, traduzione a cura di Giovanni Moretto, “Sui diversi metodi del tradurre”, Bompiani, Milano 1953, p. 153. <http://www.filosofico.net/schleier.htm>, (consultato il 9 Marzo 2014, alle ore 23:10). 53 IMPLICAZIONI FILOSOFICHE. La traduzione è da sempre un tema dell'ermeneutica31, della filosofia del linguaggio e della gnoseologia. L'ermeneutica tematizza il fenomeno della traduzione come esperienza della distanzae diversità. Anche il rapporto con la tradizione, così preponderante per l'ermeneutica, spesso include la necessità della traduzione. Eppure, diversi filosofi hanno rilevato che il traduttore, rimane sempre entro il suo orizzonte, nel quale deve racchiudere il prodotto del proprio sforzo traduttivo. Di conseguenza, una semplice trasposizione del contenuto del testo dalla lingua di partenza a quella di arrivo non è possibile. Il traduttore deve, dunque, decidere se adeguare il testo, necessariamente "estraneo", alla propria lingua, tentando, in questo modo, di celare tale estraneità al lettore; o se, invece, tentare di riprodurla, usando i mezzi a disposizione della propria lingua. Secondo i principi dell’ermeneutica, entrambi i metodi sono legittimi, e non è possibile capire quale versione sia "più vicina" all'originale rapportandosi semplicemente alla base del testo. Un esempio è costituito dalla traduzione di proverbi, per i quali, o si cerca una corrispondenza nella propria lingua, o li si traduce letteralmente, in modo da dimostrarne la diversa formazione e struttura nella lingua straniera. Il fenomeno fin qui descritto è solo una delle tante sfaccettature del medesimo fenomeno; ovvero, il rapporto con la distanza e la tradizione. Infine, secondo la filosofia del linguaggio, il problema della traduzione è, fatalmente, e pessimisticamente, considerato insolubile in virtù della tesi secondo la quale il linguaggio, essendo considerato come un cerchio chiuso, non permetterà mai, pur passando da una lingua all’altra, di penetrare la vera e profonda essenza di un qualsiasi codice linguistico; né, tantomeno, il suo 31 Con il termine Ermeneutica, derivato dal latino Hermeneutiké, (arte dell’interpretazione), s’intende lo studio delle metodologie interpretative. Inizialmente utilizzata in ambito religioso, al fine di fornire una corretta interpretazione dei testi sacri, si diffonde a tutti i livelli dello scibile, allo scopo di chiarire il significato di tutto ciò che è difficilmente comprensibile. Da questo punto di vista, è considerata la teoria generale delle regole interpretative. <http://www.disf.org/Voci/3.asp>, (consultato il 14 Marzo 2014, alle ore 1:43). 54 significato o il senso profondo della struttura dei suoi costrutti discorsivi, logici, grammaticali e sintattici. Walter Benjamin32, riteneva che tutte le lingue fossero apparentate dal fatto di derivare, e rimandare ad un’unica forma linguistica universale, definita con il termine di “lingua pura”. Benjamin sosteneva che il processo traduttivo fosse l’unica via capace di ricomporre l’unità originaria dell’universo linguistico; e pertanto, ha contribuito allo studio e all’analisi delle caratteristiche di tale processo, fornendo probabilmente una delle immagini metaforiche più affascinanti e chiarificanti della Teoria della Traduzione; un’immagine che identifica il traduttore come l’unico individuo in grado di ricomporre i frammenti di un vaso: <<Come i frammenti di un vaso, per lasciarsi ricomporre, devono presentare continuità nei minimi dettagli, ma non perciò averli identici, così, invece di farsi simile al senso dell’originale, la traduzione deve amorosamente, e fin nei dettagli sforzarsi di attingere dalla propria lingua il modo d’intendere di quello, per far apparire così entrambe le lingue, come i cocci sono frammenti di uno stesso vaso, frammenti di una lingua più grande33>>. Ora che, grazie agli studi, alle opinioni e alle ricerche degli esperti, nonché agli assiomi di scienze e metodologie interpretative siamo riusciti a delineare un quadro generale delle caratteristiche teoriche, stilistiche e “biografiche” della 32 Walter Bendix Schoenflies Benjamin, (Berlino, 15 Luglio 1892, - Portbou, 26 Settembre 1940), è stato un celebre filosofo, critico letterario, scrittore e traduttore tedesco. <http://dignitas.sestaopera.it/pagine/148/it/la-letteratura-per-la-teoria-e-la-pratica-del-diritto>, (consultato il 10 Marzo 2014, alle ore 13:00). 33 Walter Benjamin, “The Craft of Translation”, The University of Chicago Press, Chicago 1989, p. 13. Traduzione a cura del professor Massimiliano Morini. <http://it.wikipedia.org/wiki/Walter_Benjamin>, (consultato il 10 Marzo 2014, alle ore 13:25). 55 traduzione, possiamo iniziare il nostro percorso analitico nei confronti di quei processi neuronali che si attiveranno e concateneranno nella mente di qualsiasi mediatore che si appresti a realizzare una traduzione. DAGLI OCCHI ALLA MENTE DEL TRADUTTORE. Cominciamo il nostro percorso procedendo gradualmente. Il processo traduttivo ha inizio nel momento esatto in cui lo sguardo del traduttore comincia ad osservare le parole contenute nel documento del quale andrà ad effettuare la mediazione; perciò non è affatto errato affermare che la traduzione abbia, per così dire, un “incipit visivo”. Sono per l’appunto gli occhi, in quanto soggetti a quella che chiameremo, “Stimolazione Primaria”, a compiere una prima analisi e scrematura delle parole e della struttura del testo originale. Proprio per questo motivo, nella “Teoria della Traduzione”, viene generalmente insegnato il valore della cosiddetta “prima lettura”, una procedura giudicata spesso superflua o addirittura inutile dai profani di questa professione, ansiosi di aprire i propri dizionari cartacei o multimediali alla velocità della luce con la convinzione di carpire, più fedelmente e rapidamente, il significato di frasi ed espressioni idiomatiche contenute nelle righe e nei paragrafi del testo straniero. Tuttavia, è proprio in questo modo frettoloso, avventato, e a volte anche presuntuoso ed arrogante, che essi scartano senza riflettere una delle tecniche più preziose di cui un valido traduttore possa mai avvalersi. Grazie ad essa non è tanto possibile sostituire il dizionario e tradurre perfettamente qualsiasi documento senza il minimo problema, bensì svolgere un’azione forse ancora più preziosa; quella di entrare nei panni dello scrittore originale, riuscendo così a comprenderne le tecniche, le caratteristiche stilistiche, e spesso, addirittura le emozioni di quest’ultimo, e porre delle basi solide per una perfetta comprensione del testo che semplificherà grandemente l’atto traduttivo. Dopo aver compreso quale sia il valore della vista nell’impatto iniziale che si ha con un testo da tradurre, proseguiamo nella nostra analisi ed andiamo a spiegare cosa avviene nella mente di un traduttore esperto che inizia a svolgere il proprio lavoro. Nel momento in cui il 56 mediatore inizierà a leggere il documento originale che gli verrà sottoposto, la sua corteccia visiva sarà soggetta ad una stimolazione. Volendo essere più precisi, sarà l’occhio, l’organo che, con le sue quattro componenti fondamentali nel loro complesso, (cornea, camera anteriore, cristallino e camera posteriore), formerà una lente convergente che trasmetterà le immagini alla retina, la sua parte più sensibile, che, grazie al complesso sistema di fotorecettori da cui è costituita, assolverà il cui compito sarà di trasformare tali immagini in impulsi elettrici, ed inviare le loro informazioni ai neuroni retinici, (le cellule orizzontali34, bipolari35, amacrine36 e gangliari37), che effettueranno una prima vera elaborazione del segnale visivo. A questo punto, gli assoni delle cellule gangliari si riuniranno in modo da formare il nervo ottico, una sorta di cavo naturale che condurrà l’informazione visiva fuori dalla retina fino ai centri superiori; dapprima al corpo genicolato laterale, (una parte del cervello preposta al trattamento dell’informazione visiva proveniente dalla retina), e, da qui, alle aree corticali. La stimolazione corticale inizierà con il raggiungimento, da parte dell’impulso visivo, della corteccia visiva primaria, un’area nota come 34 Le Cellule Orizzontali sono particolari neuroni retinici situati nello strato nucleare interno che connettono le cellule bipolari con i coni, conducendo le informazioni sensoriali all’interno della retina. <http://it.occhio.it/cellule-orizzontali>, (consultato il 10 Marzo 2014, alle ore 16:05). 35 Le Cellule Bipolari sono cellule nervose che ricevono informazioni da diversi fotorecettori e convogliano poi l'informazione alle cellule gangliari; esso sono inoltre connesse con le cellule orizzontali. Sono le principali responsabili del flusso d’informazione in verticale, ma provvedono anche ad un'informazione orizzontale che consente appunto una prima elaborazione a livello retinico. <http://www.anisn.it/matita_ipertesti/visione/onoff.htm>, (consultato l’11 Marzo 2014, alle ore 9:13). 36 Le Cellule Amacrine sono particolari cellule nervose retiniche presenti nello strato nucleare interno che connettono le cellule bipolari con quelle ganglionari e conducono informazioni all’interno della retina. <http://it.occhio.it/cellule-amacrine>, (consultato l’11 Marzo 2014, alle ore 11:07). 37 Le Cellule Gangliari sono le prime del sistema visivo nelle quali si generano potenziali d'azione. Sono generalmente suddivise in cellule M, (per magnae o grandi), e cellule P, (per parvae o piccole), e sono le prime a fornire informazioni sul movimento, la luminosità, la forma ed il colore di un qualsiasi oggetto osservato. <http://www.anisn.it/matita_ipertesti/visione/onoff.htm>, (consultato l’11 Marzo 2014, alle ore 12:00). 57 "koniocortex" o V1, (corteccia di tipo sensoriale), o anche come area 17 di Brodmann, localizzata attorno e all’interno della Scissura Calcarina38 del lobo occipitale, (una delle 5 scissure che segnano il confine tra i vari lobi). Nelle immediate adiacenze di quest’area, sono riconoscibili, la corteccia parastriata, (area 18 di Brodmann o V2), e la corteccia peristriata, (area 19 di Brodmann o V3). Queste due aree occipitali, definite anche, aree associative della visione, sono implicate in attività non propriamente visive, quali l’analisi, il riconoscimento e l’interpretazione delle immagini elaborate dall’area 17 di Brodmann. L’area V1, può trasmettere le informazioni in due direzioni principali, (le cosiddette Primary Pathways39). Tali direzioni, in cui possono transitare le informazioni provenienti dalla corteccia primaria e secondaria, sono note anche con i nomi di corrente dorsale, (Dorsal Stream), e corrente ventrale, (Ventral Stream). La corrente ventrale inizia nella corteccia V1, (peri scissura calcarina), passa attraverso le aree visive V2 e V3, e raggiunge infine la corteccia temporale inferiore. La corrente ventrale, a volte 38 La Scissura Calcarina, è l'unica a non rappresentare il confine tra due o più lobi corticali. Essa percorre la faccia mediale degli emisferi telencefalici, (dalla confluenza con la scissura perpendicolare interna sino al margine superiore), per poi esaurirsi in un breve tratto che attraversa la faccia laterale degli emisferi. Attorno ad essa si dispone l'area visiva primaria, di fondamentale importanza per il funzionamento del meccanismo della visione. <http://www.larapedia.com/anatomia_terminologia/calcarina_scissura.html>, (consultato l’11 Marzo 2014, alle ore 12:47). 39 Nella cosiddetta “Ipotesi delle due Correnti”, la corrente dorsale inizia nella corteccia V1, attraversa l'area V2, (dove in parte viene elaborata), ed in seguito giunge all'area dorso-mediale e all'area visiva MT, (nota anche come V5), ed in seguito alla corteccia parietale posteriore. La corrente "dorsale", spesso definita anche la "via del dove" oppure la "via del come", (“Where Pathway" or "How Pathway"), è associata al movimento, alla rappresentazione spaziale della posizione degli oggetti, ed al controllo di occhi e braccia, specialmente quando l'informazione visiva serve per afferrare un oggetto oppure nei movimenti saccadici, ovvero, quei movimenti involontari che l’occhio compie in modo frequente per portare l’oggetto o la zona di interesse visivo a coincidere con la propria zona di massima acuità visiva, (fovea). <http://fatti-su.it/corteccia_visiva_secondaria>, (consultato l’11 Marzo 2014, alle ore 15:37). 58 definita anche come, "via del cosa", ("What Pathway"), è deputata al riconoscimento delle forme, all’analisi dei concetti complessi, alla comprensione e all’analisi del linguaggio, alla rappresentazione degli oggetti nello spazio, e infine, anche all'immagazzinamento delle informazioni nella Memoria a Lungo Termine. Pertanto, per poter comprendere le caratteristiche neurologiche del processo traduttivo, concentreremo le nostre riflessioni su di essa; poiché è la corrente maggiormente coinvolta nella comprensione del linguaggio, nonché nell’archiviazione dei dati e nell’analisi concettuale delle forme linguistiche. Riassumendo, abbiamo evidenziato il momento chiave del processo traduttivo, vale a dire, quel momento in cui le parole di un testo vengono osservate e, in un certo qual modo, “fotografate”, dall’occhio del traduttore, che le converte in immagini e le trasmette alla retina che, a sua volta, le trasforma in impulsi elettrici e, tramite il nervo ottico, le invia alla corteccia visiva primaria; dalla quale, subito dopo, percorrendo la corrente ventrale, raggiungono la corteccia temporale inferiore. La globalità di questo processo di osservazione, stimolazione, identificazione, catalogazione, trasformazione e trasmissione delle parole, da parte del corpo oculare e dalla corteccia visiva primaria, si compie nel giro di pochissimi istanti. Tuttavia, continua a svolgersi in maniera ciclica; generando molteplici stimolazioni che, spingendosi sempre più in profondità, raggiungono i centri nervosi preposti all’attivazione della Memoria a Lungo Termine, tramite la quale il mediatore sarà in grado di comprendere il messaggio linguistico, e tradurlo in modo adeguato e conforme alla struttura del testo di partenza. Una volta comprese le fasi principali grazie alle quali le parole iniziano il loro percorso verso il lobo temporale, cerchiamo di comprendere ed analizzare più dettagliatamente il processo di attivazione neuronale e mnemonico che consente al cervello di decodificare il messaggio contenuto nel testo da tradurre e di attivare, grazie ad esso, le aree di “immagazzinamento dati” sedi della Memoria a Lungo Termine. Nel momento in cui le immagini, tramutatesi in impulsi elettrici, raggiungono la corteccia temporale inferiore, contribuiscono a sollecitare l’area, che più di ogni altra, è necessaria al traduttore al fine di analizzare, (o anche semplicemente di leggere), un qualsiasi testo scritto. Il cosiddetto “Giro Fusiforme”; una parte del lobo temporale situata nell'area 59 di Brodmann 37 e più comunemente nota come giro occipito-temporale (discontinuo). I neurologi lo identificano come la principale area cerebrale preposta al riconoscimento della forma visiva delle parole, (da Visual Word Form Area, VWFA); poiché, è in grado di riconoscere automaticamente la forma delle lettere che le compongono. Tuttavia, esso è anche in grado di realizzare rapide associazioni tra i termini, comunicando con il lobo temporale e le aree di Broca e di Wernicke, al fine di attivare i meccanismi mnemonici della MLT, ed ottenere le informazioni necessarie alla traduzione del documento. Grazie a questa particolare area cerebrale tutti gli individui, sono in grado di riconoscere parole e codici linguistici; e per quei soggetti che, come i traduttori, fanno della comprensione delle lingue il proprio campo di specializzazione, la sua importanza aumenta esponenzialmente; poiché senza di essa verrebbe a mancare uno degli anelli fondamentali che consente a questa catena neurologica di funzionare correttamente e di realizzare qualsiasi tipologia di traduzione. La prima parte del processo mentale alla base della traduzione consiste in una lunga serie di attivazioni e concatenazioni di processi neurali, che avranno come obiettivo principale quello di rispondere a domande del tipo: <<Che lingua sto per tradurre?>>, <<Quali sono i canoni stilistici che caratterizzano questo testo?>>, <<Qual è il registro linguistico utilizzato dall’autore?>>, <<Che terminologia presenta il testo?>>. Qualsiasi traduttore, indipendentemente dalla propria esperienza, si troverà di fronte le medesime domande; domande che otterranno una risposta solo grazie all’attivazione dei processi visivi e cerebrali della “mente del traduttore”, che gli permetteranno di scandagliare la superficie del testo, e preparare, in forma schematica, la propria strategia traduttiva; in attesa di ottenere, grazie alla stimolazione dei lobi cerebrali, le informazioni necessarie per applicarla. Dopo aver compreso la parte iniziale del cammino che le parole compiono dai fogli alla mente del traduttore, non resta altro da fare se non spingersi ancor più in profondità; così da identificare le principali aree del cervello che custodiranno i ricordi e l’esperienza professionale del mediatore, e chiarire definitivamente gli ultimi aspetti logico-interpretativi di una delle forme principali di mediazione linguistica. 60 VIAGGIO VERSO IL CENTRO DELLA MEMORIA. La maggior parte degli esperti di neurologia ha sostenuto, a seguito di numerosi studi, che le capacità mnemoniche degli esseri umani siano estremamente simili a quelle dei computer, e il cervello dei mediatori linguistici, costituisce, senza ombra di dubbio, un perfetto esempio a sostegno di questa teoria. Esso, infatti, proprio come un computer, tende ad immagazzinare le informazioni grammaticali, stilistiche, lessicali, sintattiche, sonore e morfosintattiche delle varie lingue in apposite aree; e, nel momento in cui l’interprete avrà necessità di recuperare tali informazioni, non dovrà far altro che attivare, (consciamente o inconsciamente), quei percorsi neurali, che gli consentiranno di accedere nuovamente a tutti i settori mnemonici atti a contenerle. Questo processo è estremamente simile all’insieme delle operazioni utilizzate da un PC al fine di recuperare un file, o un programma memorizzato in qualche preciso settore del suo hardware e poter realizzare una qualsiasi operazione multimediale. Pertanto, la mente umana, funzionerà esattamente come un computer, nel quale si apriranno, (come in una serie di “scatole cinesi”), cartelle e sottocartelle che, scavando sempre più in profondità nella memoria dell’apparecchio, saranno in grado di raggiungere quei precisi settori nei quali sarà conservata l’informazione richiesta. Pertanto, metaforicamente parlando, potremmo considerare le fasi di lettura, associazione visiva, catalogazione ed identificazione delle parole di un testo come tanti “click”, che l’interprete effettuerà per aprire le “cartelle” della propria mente ed arrivare ai settori destinati alla memorizzazione delle informazioni da utilizzare. Tali settori, nel caso della traduzione, saranno raggiungibili solamente mediante il passaggio attraverso quei centri nervosi che compongono il lobo occipitale, percorrono il nervo ottico e comunicano con gli altri lobi cerebrali. Tra questi, quello frontale, con la sua parte destra, sarà direttamente interessato nella creazione della memoria; mentre con la sinistra, sede dell’area di Broca, sarà addetto alla formazione e al controllo delle parole. Oltre alla corteccia prefrontale, anche il lobo parietale ricoprirà un ruolo decisivo in questo processo; in particolare con la 61 propria area di sinistra, ritenuta dominante, e soprattutto, indispensabile, per il controllo di attività come la comprensione del linguaggio parlato e scritto e la memorizzazione delle parole. Infine, sarà necessario anche il coinvolgimento del lobo temporale, in grado di elaborare meccanismi e funzioni cognitive complesse come la memoria, e di contribuire attivamente ad ulteriori analisi di comprensione del linguaggio parlato e di scelta delle parole grazie all’area di Wernicke, contenuta all’interno del suo lato sinistro. Chiaramente, come tutti sanno, esistono diversi meccanismi di memorizzazione per ogni individuo; e dunque, non è facile stabilire con assoluta precisione quali siano le forme di associazione mnemonica universalmente utilizzate dagli interpreti e dai traduttori per recuperare le informazioni contenute nella loro MLT. Tuttavia, consultando l’insieme delle documentazioni raccolte da medici e ricercatori, basate, tra l’altro, su una stretta attività collaborativa con gli stessi mediatori linguistici; è possibile affermare che le principali forme di memorizzazione di cui si avvalgono gli interpreti, e in questo caso particolare, i traduttori, sono: • La Memoria Sensitiva, (Sensoriale), o Iconica; che assimila informazioni partendo dall’organo di senso che subisce la stimolazione principale, (che, nel caso particolare della traduzione saranno, sicuramente, gli occhi). A volte, ad esempio, una parola in lingua straniera può apparire senza significato alla mente, nel caso se ne percepisca solamente la pronuncia; ma nel momento in cui la si vedesse trascritta, il cervello potrebbe rievocarla grazie alla memoria della sua forma letterale. • La Memoria Episodica o di Rievocazione; basata principalmente sulla capacità di richiamare alla mente memorie di fatti vissuti o appresi. A volte, infatti, potrebbe capitare, di non ricordare il significato di una parola straniera né tramite il suono, né tramite la stimolazione visiva. Tuttavia, ripercorrendo le esperienze di vita, sarebbe possibile, ad esempio, ricordare di averlo appreso durante un viaggio, durante una conversazione fatta con un amico o 62 una persona straniera, oppure durante la visione di un film o la lettura di un libro. • La Memoria di Riconoscimento; quel meccanismo mnemonico che, grazie ad un piccolo, anche insignificante, dettaglio è in grado di rievocare e ricordare un’intera esperienza avvenuta in passato. Questa forma di memorizzazione emerge spesso quando si sta leggendo un libro o si sta guardando un film del quale si ha il sentore di ricordare qualcosa. Provando, tuttavia, a ricostruirne la storia tramite analisi come quella dei personaggi o della trama, potrebbe non essere possibile ottenere alcun risultato; ma soffermandosi, (nel caso di un film), su dettagli visivi, come l’allestimento e le ambientazioni dei set;o uditivi, (nel caso di un libro), come la sonorità una battuta o delle parole del testo, si riuscirebbe a ricostruire l’opera completa, quasi come se la si fosse osservata, o letta per la prima volta. Tutti questi meccanismi di memorizzazione permettono ai traduttori di imprimere nella propria mente informazioni di vario tipo; come, ad esempio, quelle ottenute dalle proprie esperienze linguistiche, o dalle regole grammaticali fondamentali delle lingue che conoscono o che si trovano a tradurre, o dai canoni stilistici di autori passati o attuali; informazioni alle quali accenderanno di volta in volta in base al tipo di lavoro con il quale avranno a che fare, e in base alle difficoltà che incontreranno nel dare al testo di arrivo la stessa forma e forza di quello di partenza. Tramite tutte le stimolazioni che il testo fornirà alla mente del traduttore, quest’ultima avvierà un processo di propagazione degli impulsi elettrici generati dai recettori sensoriali in tutte le aree dei lobi destinate alla memorizzazione, in attesa di individuare quell’area che, secondo i meccanismi elencati in precedenza, abbia conservato informazioni concernenti l’interpretazione e traduzione dei vocaboli in questione. La stimolazione passerà dunque dal lobo occipitale, a quello parietale, frontale, temporale, arrivando anche fino all’area dell’ippocampo, l’area del sistema limbico deputata al trasferimento delle informazioni nella MLT. Questo 63 trasferimento, avviene mediante le aree ippocampali del Giro Dentato40, e la circonvoluzione del lobo temporale. Tutte queste aree unite alla corteccia entorinale, formano tramite il fornice, e ai corpi mammillari, le tracce della Memoria a Lungo Termine, nonché le mappe concettuali e cognitive che, a seconda della situazione o dell’argomento trattato, vengono utilizzate da ogni individuo. L’area dell’Ippocampo costituisce, ancora oggi, un argomento di studio e riflessione molto importante, specialmente dal punto di vista anatomico; vista la capacità di utilizzare le proprie fibre nervose sia come afferenti, (per portare il messaggio e gli impulsi nervosi in profondità nella memoria alla ricerca delle informazioni necessarie), che come efferenti, (per ritrasmettere al contrario i dati raccolti; vale a dire dall’ippocampo fino alle aree che necessiteranno delle informazioni contenute all’interno della memoria del soggetto). Questo è pertanto il punto di arrivo delle stimolazioni nervose raccolte dai recettori sensoriali della mente del traduttore; il luogo più protetto e profondo del cervello, nel quale è conservata la MLT. Un luogo dalle potenzialità di memorizzazione pressoché illimitate, che conserva dati, esperienze, immagini, ed informazioni di qualsiasi tipologia. Informazioni che, una volta individuate, saranno ritrasmesse ai lobi parietale, temporale e frontale, che, con le loro rispettive aree di analisi, interpreteranno i dati, e selezioneranno, ad esempio, le parole necessarie a creare i periodi della traduzione, o quali regole grammaticali saranno più fedeli alla struttura sintattica del testo di partenza, o ancora, quale immagine o metafora sia meglio utilizzare per rendere verosimile un concetto contenuto nel testo. Questa è la struttura del processo che si attiva nella mente di un traduttore intento a svolgere il proprio compito interpretativo, ed è anche lo strumento più potente che esso abbia a 40 Il Giro Dentato è una sottile striscia di sostanza grigia, (3 mm. di larghezza), compresa fra il giro para-ippocampale e la fimbria. Le numerose incisioni che caratterizzano la sua superficie gli conferiscono l’aspetto dentato, da cui ha ereditato il nome. E’ un’area attraverso cui passano sia fibre efferenti che afferenti, deputata alla comunicazione e al trasferimento della maggior parte delle informazioni mnemoniche. <http://w3.uniroma1.it/anat3b/didatticanew/lezioni html/LEZIONE 20.htm>, (consultato l’11 Marzo 2014, alle ore 18:40). 64 disposizione per il proprio lavoro. A questo processo puramente mnemonico e dunque afferente, che culminerà con l’attivazione degli schemi e dei dati mentali necessari alla comprensione del testo da tradurre, va ad affiancarsi un processo di natura efferente, senza il quale il traduttore non sarebbe mai in grado di trasmettere in forma scritta la propria mediazione. L’intera struttura della traduzione dovrà essere, infatti, riscritta su carta, o, tramite un computer, al fine di essere divulgata o semplicemente consegnata al committente; e per realizzare quest’azione finale, apparentemente banale ed ordinaria, sarà chiaramente necessario l’utilizzo delle mani. La mente del traduttore dovrà pertanto attivare una serie di processi che interesseranno il Sistema Motorio, il centro fondamentale di coordinamento di qualsiasi attività motoria del corpo umano. Quando compiamo un movimento controllato con attenzione, i comandi necessari ad attivare i muscoli partono dalla Corteccia Motoria, (situata nella parte posteriore del lobo frontale), attraversano il cervello e giungono fino al midollo spinale, e da qui, seguendo nervi specifici dell’area destinata al movimento, giungono sino ai muscoli. Non tutti i comandi motori, tuttavia, sono attribuibili alla corteccia motoria. Essa è, infatti, responsabile dell’attivazione di movimenti molto controllati dalla coscienza, come i gesti finalizzati alla manipolazione o quelli conseguenti all’apprendimento di nuove gestualità. Alcuni movimenti invece, spesso sono il risultato di costanti reiterazioni motorie, su cui l’individuo esegue solamente un controllo generale; come il guidare una macchina per esempio, o anche, (nel caso della traduzione), il redigere un documento scritto. Questi movimenti vengono identificati col termine di automatismi, e i comandi atti alla loro coordinazione partono spesso da nuclei di cellule nervose site in zone centrali e profonde del cervello; i cosiddetti nuclei della base, che discendono lungo tutto il midollo spinale e giungono fino ai muscoli attraverso i nervi motori. Un ruolo altrettanto fondamentale in quest’operazione efferente sarà quello del Cervelletto, una parte del sistema nervoso centrale, localizzata nell’area postero-inferiore della scatola cranica d’importanza capitale nel controllo delle azioni del sistema motorio. Esso si collega con la corteccia motoria ed i nuclei della base affinché i movimenti, (delle mani in questo caso), risultino 65 omogenei e continui e non irregolari e scattosi. Esso è dunque fondamentale nel controllo del tono muscolare involontario, nonché della coordinazione dell’azione dei diversi muscoli coinvolti. Né la corteccia, né i nuclei della base sono in grado di agire regolando la forza dei muscoli che eseguono l’azione. Il cervelletto è dunque il diretto responsabile dell’azione, dell’escursione, dell’ampiezza e della fluidità dei movimenti. Pertanto, per fare in modo che le mani del traduttore siano in grado di impugnare una penna, o di scorrere correttamente lungo una tastiera, sarà necessaria una corretta stimolazione della corteccia motoria, dei nuclei della base, e una corretta azione di coordinamento motorio da parte del cervelletto. Essi trasformeranno gli impulsi puramente mnemonici della MLT in vere e proprie mappe motorie, e consentiranno alle mani del mediatore di muoversi con fluidità e regolarità, portando a termine il processo di trascrizione e realizzazione della forma finale della mediazione linguistica, per l’appunto, in forma scritta. L’attività mentale di un mediatore che si appresta a realizzare una traduzione scritta è stupefacente ed affascinante nella sua immensa complessità, poiché coinvolge numerose aree cerebrali ed un’enorme quantità di sinapsi e neuroni che operano incessantemente per raggiungere ed ottenere tutte le informazioni utili alla realizzazione della mediazione. Il processo, tuttavia, non termina con l’arrivo nell’ippocampo e l’individuazione dei dati richiesti, ma continuerà in maniera automatica fino alla conclusione della “prima traduzione”, o fino a che l’interprete non abbia ottenuto tutte le informazioni sullo stile dell’autore, o sulla terminologia, deducibili e ricavabili dal testo. Una volta conclusa questa lunga ed elaborata procedura, che culminerà con una versione del documento ancora abbastanza grezza, il traduttore attiverà un ulteriore processo mentale, anch’esso di durata variabile, che avrà lo scopo di perfezionare, rifinire, e correggere, le caratteristiche sintattiche, lessicali e stilistiche della traduzione. In poche parole, egli inizierà a rileggere ed analizzare nuovamente il proprio lavoro alla ricerca di incongruenze o elementi discordanti che necessiteranno ulteriori riflessioni; e al contempo, valuterà nuove sostituzioni lessicali che conferiranno alla trasposizione finale la struttura definitivamente corretta. Secondo la maggioranza degli esperti, questa procedura comporterà uno sforzo energetico di gran lunga minore rispetto alla fase di “pre66 traduzione” o alla raccolta di informazioni; poiché in entrambe risulterà necessaria un’analisi strutturale del documento sia nella forma originale, che in quella tradotta dal mediatore, che pertanto, sarà costretto a passare contemporaneamente da una lingua all’altra alla ricerca dello schema formale adeguato sul quale sarà infine costruita la traduzione conclusiva. Le aree cerebrali preposte allo svolgimento di quest’ulteriore funzione saranno praticamente le stesse di quelle sopracitate nella prima fase; l’area di Broca, quella di Wernicke e l’area sinistra del lobo parietale; che analizzeranno frasi, parole e strutture sintattiche e, qualora lo riterranno necessario, invieranno nuovi impulsi elettrici nelle profondità dell’encefalo, e riattiveranno l’ippocampo alla ricerca di nuovi sinonimi e terminologie da poter utilizzare come elementi correttivi del testo. La durata di questo processo è strettamente legata alla quantità di elementi che il traduttore intenderà sostituire; nonché al tempo che lo stesso impiegherà per riflettere, ponderare ed analizzare ogni nuova alternativa linguistica. Una volta effettuata quest’attività di revisione, la “prima traduzione” assumerà, sotto alcuni aspetti, una struttura completamente nuova, presentando tratti stilistici e lessicali molto ben definiti ed essendo ormai, quasi del tutto, sovrapponibile alla versione dalla quale ha avuto origine. Chiaramente, un traduttore esperto conosce le insidie linguistiche che possono celarsi all’interno di un testo in lingua straniera; pertanto non deve stupire se esso non si limiterà ad eseguire un’unica revisione del proprio operato, bensì continuerà a ripercorrerne la struttura più e più volte, cercando, come un artista, di avvicinare la propria “opera” alla perfezione, sia che si tratti di un libro per bambini o ragazzi, di un trattato di medicina, matematica, astrologia o del testo più tecnico ed impersonale di un manuale. Egli metterà a dura prova la propria mente, alla ricerca di qualsiasi soluzione che, per quanto ardua e nascosta, riesca a colmare quel divario che separa il proprio linguaggio da quello dell’autore, ed avvicinare, di conseguenza, la traduzione all’opera originale, così che possa essere consultata, letta e studiata dal pubblico a lei straniero. Un pubblico che, alla fine, osannerà proprio la mente geniale del traduttore; quella figura nascosta e citata solamente in una o due righe nelle prime o ultime pagine dell’opera. Quel mago della sintassi dal dizionario illimitato; 67 quell’alter-ego del loro autore preferito, che, come un alchimista, sarà stato in grado di mescolare il proprio talento, e il proprio stile a quello di un altro autore; autore che magari, alla fine, leggendo la traduzione della propria opera per mano del fidato, “scudiero di penna”, sarà felice di esclamare: <<Io stesso non avrei saputo dirlo meglio!>>. 68 CAPITOLO TERZO: INTERPRETAZIONE CONSECUTIVA E SIMULTANEA; L’APICE E IL CUORE DELL’INTERPRETARIATO. Dopo aver analizzato e compreso i meccanismi mentali che sono alla base della traduzione, possiamo iniziare la fase conclusiva del nostro percorso, analizzando i processi mentali e le aree cerebrali coinvolte nella traduzione, o meglio, interpretazione consecutiva e simultanea. È opportuno precisare ciò che s’intende con il sintagma: “Interpretazione consecutiva”. Il termine “interpretazione” si riferisce alla traduzione orale di un discorso pronunciato nel corso di una riunione politica, di un convegno, di una conferenza, ecc. L’interpretazione è detta “consecutiva” quando l’interprete ascolta e annota l’intero discorso dell’oratore, riproducendolo poi, subito dopo, nella lingua di arrivo; integralmente o, per motivi contingenti, parzialmente. L’interpretazione è invece detta “simultanea” quando l’interprete, in cabina, esegue la traduzione contemporaneamente al discorso dell’oratore. In altre parole, l’interpretazione consecutiva viene eseguita al termine del discorso, mentre l’interpretazione simultanea avviene parallelamente all’enunciazione dell’oratore. Queste due forme di mediazione linguistica presentano caratteristiche comuni, come anche profonde differenze; e rappresentano una delle massime forme di espressione delle potenzialità mentali e mnemoniche di un interprete. Da queste semplici definizioni risulta evidente che le qualità che quest’ultimo deve possedere sono ben diverse da quelle richieste ad un traduttore. Senza nulla togliere al lavoro o alla fatica mentale di un traduttore, (già in precedenza sottolineata e lodata), Georges Mounin41 sosteneva che un interprete ha molto meno tempo a disposizione rispetto ad un traduttore, che si occupa di testi scritti. Secondo lui, infatti, il traduttore: 41 Georges Mounin, (Vieux-Rouen-sur-Bresle, 20 Giugno 1910 – Béziers, 10 Gennaio 1993), è stato un celebre linguista ed insegnante francese. Nel corso della sua vita si è dedicato molto allo studio della storia della linguistica, semantica, semiologia, teoria della traduzione e, in particolare, alla relazione tra i diversi ambiti d'espressione umana nella società in chiave storica. <http://it.wikipedia.org/wiki/Georges_Mounin>, (consultato l’11 Marzo 2014, alle ore 19:03). 69 << (…) ha tempo, … consulta a suo agio i propri strumenti di lavoro, … può meditare a lungo su di un piccolo numero di difficoltà, mentre continua a procedere nel suo lavoro e può ritornare indietro, correggere, riscrivere all’ultimo momento sulle ultime bozze, ritoccare ancora e persino scegliere abbastanza spesso quello che traduce.42>>. All’interprete invece, sono richieste qualità molto specifiche, indipendentemente dall’uso della simultanea o della consecutiva: << (…) essere passivamente ricettivo cioè assorbire docilmente e senza reagire le idee espresse dall’oratore, (…), avere una memoria eccellente ma anche molto particolare: la memoria immediata, che gli fa cancellare dalla “lavagna” della sua mente tutto quello che vi aveva appena immagazzinato per poterlo poi restituire quasi subito (…), la padronanza non solo della lingua che interpreta, ma anche della cultura che ad essa è legata, poiché nella lingua parlata sorgono ad ogni istante i proverbi, le allusioni alla vita del paese, (…), essere in grado di capire la lingua che deve interpretare, anche quando è parlata da stranieri, caso questo molto frequente: nei meeting internazionali, infatti, indù, giapponesi, cinesi, centroamericani, liberiani, nigeriani, ecc., parlano tutti inglese ma ciascuno con un accento nazionale o locale e con una sintassi piena di calchi presi dalla lingua d’origine, al punto che l’inglese stesso diventa difficile da seguire nelle loro bocche (…), possedere la qualità dell’oratore, una voce chiara dotata di un buon timbro e di vivacità, un’elocuzione disinvolta, (il pubblico sopporta che un oratore parli male, ma non un 42 George Mounin, “Traductions et Traducteurs”; traduzione a cura di Stefania Morganti, “Teoria e Storia della Traduzione”, Einaudi, Torino 1965, p. 179. Sezione di pdf consultabileepressool’indirizzooweb, <http://www.openstarts.units.it/dspace/bitstream/10077/8013/1/Özben_miscellanea_2.pdf>, (consultato il 12 Marzo 2014, alle ore 08:44). 70 interprete); (…), ed infine, essere un virtuoso artista, ma, per così dire, deve esserlo in modo invisibile43>>. D’altra parte, però, all’interprete saranno richieste qualità diverse secondo il tipo di tecnica che utilizzerà. Mentre, infatti, nell’interpretazione simultanea la sfida fondamentale che il mediatore deve affrontare è la rapidità e la scioltezza con cui deve trasferire il discorso dalla lingua di partenza a quella di arrivo, nell’interpretazione consecutiva la sfida è rappresentata dalla capacità di dire molte cose con poche parole grazie ad una memoria acuta e/o alle note prese durante il discorso dell’oratore. L’interprete consecutivista può, infatti, contrariamente al simultaneista, avere più tempo a disposizione per riorganizzare, sulla base dei propri appunti, l’espressione, il tono ed il ritmo più efficaci per trasferire i contenuti del discorso, arrivando a comprendere e percepire immediatamente l’incisività della propria traduzione. Queste due sfaccettature dell’interpretariato, presentano dunque delle peculiarità che stupiscono ed intimoriscono, neofiti e professionisti del settore. Partendo dalla mediazione linguistica consecutiva, possiamo, e dobbiamo, costatare che essa, come hanno più volte affermato alcuni esperti di linguistica e di neurologia, sia la forma di mediazione linguistica più completa in assoluto; in quanto, pur non essendo caratterizzata da picchi di attività encefaliche, vale a dire, pur non essendo complessa e focalizzata su un unico schema mentale quanto la simultanea o la traduzione, è in grado di riassumere le caratteristiche fondamentali di entrambe, almeno da un punto di vista cerebrale; e, in oltre, partendo da una fonte d’informazioni di tipo orale, è in grado di realizzare una mediazione passando per via 43 George Mounin, “Traductions et traducteurs”; traduzione a cura di Stefania Morganti, “Teoria e storia della traduzione”, Einaudi, Torino 1965, p. 180. Sezione di pdf consultabile pressool’indirizzooweb, <http://www.openstarts.units.it/dspace/bitstream/10077/8013/1/Özben_miscellanea_2.pdf>, (consultato il 12 Marzo 2014, alle ore 08:50). 71 scritta, (se consideriamo la raccolta d’informazioni tramite simboli e/o abbreviazioni, e la loro organizzazione sul piano espositivo), e, successivamente, per via orale, (considerando in questo caso la gestione del discorso formulato tramite gli appunti presi e la sua esposizione nella lingua di arrivo). Un’altra importante caratteristica di questa forma d’interpretariato è la sua stretta correlazione con la Memoria a Breve Termine, basata sul fatto che, prima di presenziare ad una conferenza o ad un qualsiasi incontro nel quale sia necessaria una mediazione linguistica orale, le informazioni di riferimento utilizzate dall’interprete per realizzare suddetta mediazione verranno organizzate ed accumulate all’interno della MBT dello stesso, così da essere molto più facilmente raggiungibili rispetto a quelle contenute all’interno della MLT. Quando un interprete di consecutiva e simultanea sa di dover prendere parte a una conferenza su un dato argomento, cercherà di documentarsi nel migliore dei modi su di esso, consultando testi di attualità e consolidando eventuali aspetti terminologici che potrebbero ricorrere nel suddetto incontro. Tutte queste informazioni verranno immagazzinate e memorizzate per un tempo limitato, che esaurirà la propria utilità nel momento in cui sarà realizzata la mediazione in questione. Se, ad esempio, l’interprete dovesse essere chiamato ad intervenire durante un discorso politico, o alla presentazione di un film o di un libro stranieri, esso avrà precedentemente memorizzato tutte le informazioni riguardanti l’autore, i personaggi, o gli esponenti politici ecc., necessarie per seguire e comprendere pienamente i vari argomenti che potrebbero essere trattati nel corso dell’evento, in modo da realizzarne una perfetta mediazione. La stessa procedura documentativa, e di conseguenza mentale, sarà propria della mediazione linguistica orale di tipo simultaneo, che tuttavia, coinvolgerà in maniera più ampia e profonda la sfera uditiva, organizzativa ed espositiva della mente dell’interprete; visti i tempi sensibilmente più ristretti necessari alla formulazione e all’esposizione del discorso. 72 PAROLE, APPUNTI, PAROLE: UN PERCORSO A 360° NELLA MENTE DELL’INTERPRETE. Siamo giunti ad uno dei capitoli più importanti di questo percorso, e ci accingiamo a comprendere gli aspetti logico-interpretativi della mediazione linguistica orale di tipo consecutivo; ovvero quella branca dell’interpretariato che, per la vastità e la complessità dei processi mentali da cui è caratterizzata, è in grado al contempo di affascinare ed impressionare, mostrando che la mente di un interprete è capace di svolgere contemporaneamente un numero immenso di funzioni, e di creare un autentico “continuum” tra la dimensione orale, mentale e scritta dello stesso messaggio. Come per la traduzione, anche la consecutiva si basa su uno stimolo sensoriale fondamentale, che costituisce lo incipit dell’intero processo di mediazione. Nel caso del traduttore abbiamo parlato di stimolazione visiva, identificando gli occhi ed il lobo occipitale come i primi centri di attività neuronale finalizzata alla mediazione. Per quanto riguarda la consecutiva invece, la sfera sensoriale, e di conseguenza il lobo cerebrale che verranno interessati dalla “stimolazione primaria” saranno la sfera uditiva ed il lobo temporale, che trasformeranno i suoni e i toni delle parole pronunciate dall’oratore in impulsi nervosi. A loro volta questi saranno decodificati e trascritti sugli appunti dell’interprete grazie al contributo degli altri lobi e, infine, verranno rielaborati tramite la MBT al fine di essere ritrasmessi sotto forma orale. La sfera auditiva, tuttavia, non è la sola ad essere interessata dalla stimolazione sensoriale. Sicuramente essa costituisce il punto fondamentale del processo di ascolto ed assimilazione delle stimolazioni neurali primarie, ma nel momento in cui l’interprete inizierà il processo di stesura degli appunti, sarà fondamentale il coinvolgimento della sfera sensoriale visiva, seconda solamente per una questione di tempistica processuale. Solo dopo che entrambe le sfere sensoriali della mente dell’interprete si saranno attivate correttamente, quest’ultimo sarà in grado di completare con successo il processo d’interpretazione consecutiva. Tuttavia, 73 procediamo gradualmente al fine di comprendere meglio tutti i vari passaggi di questo elaborato percorso. Abbiamo costatato lo incipit uditivo della mediazione linguistica orale di tipo consecutivo; perciò iniziamo ribadendo il ruolo fondamentale che le orecchie dell’interprete hanno nella mediazione, essendo, per così dire le, “prime interpreti”, delle frequenze, dei suoni e delle parole prodotte dall’oratore. Dal momento esatto in cui quest’ultimo inizia il proprio discorso, il sistema auditivo si mette in funzione, catturando e trasformando le onde sonore in particolari configurazioni di attività nervose con lo scopo di trasmetterle agli altri sistemi sensoriali. L'orecchio umano può udire frequenze comprese tra i 20 e i 20000 Hz; (tra queste, in particolare, quelle comprese tra i 125 e i 2500/3000 Hz interessano particolarmente la comprensione del linguaggio parlato). La prima tappa di questa complessa codificazione avviene nell’orecchio esterno. Qui il suono viene raccolto dalla membrana del timpano e subisce un’amplificazione selettiva delle frequenze che si avvicinano ai 3000 Hz, (ovvero quelle più al limite nel range del linguaggio parlato, e pertanto più difficilmente codificabili). In seguito, le onde sonore passano attraverso l’orecchio medio, che trovandosi a metà tra la via aerea dell’orecchio esterno e l’ambiente liquido di quello interno, è in grado di portare a termine un’amplificazione delle vibrazioni catturate, così da permettere al suono di mantenere intatta tutta la sua complessità. Le onde sonore nuovamente amplificate raggiungono quindi l’orecchio interno sede della coclea, struttura fondamentale poiché responsabile della trasformazione delle vibrazioni sonore in impulsi nervosi. Essa è in oltre preposta alla scomposizione di eventuali onde acustiche complesse in frammenti più semplici; frammenti che verranno successivamente trasmessi alle cellule sensoriali dell’orecchio interno; le cellule ciliate. Anche queste ultime, divise in interne ed esterne, modulano e trasformano i movimenti della membrana basilare in impulsi nervosi; e sono, inoltre, responsabili della grande velocità e fedeltà di trasduzione del suono. Una volta che le onde acustiche saranno state trasformate in impulsi nervosi, le cellule ciliate interne, tramite le fibre del nervo uditivo alle quali sono collegate, inizieranno a trasmetterle al sistema nervoso e al cervello. Tramite il nervo uditivo gli impulsi nervosi lasceranno l’area della coclea e giungeranno fino al tronco 74 cerebrale. Qui, saranno classificati dal centro uditivo del mesencefalo44, (meglio noto come Collicolo Inferiore), a seconda della loro durata, frequenza e intensità, e, grazie ad alcuni neuroni specializzati presenti nel lobo temporale, (precisamente nell’area 4 di Brodmann), tutte le frequenze e le tonalità del linguaggio e dell’orazione verranno riordinate, così da ottenere una mappatura completa del discorso, che permetta alla mente dell’interprete di individuare i punti fondamentali della dissertazione e focalizzare su di essi i successivi processi neuronali. Una volta che i lobi temporale e parietale, (aree di Broca e Wernicke), abbiano convertito le parole dell’oratore in impulsi nervosi e ne abbiano districata la complessità, il cervello dell’interprete avvierà due ulteriori processi neuronali, di capitale importanza al fine di portare a termine la mediazione del messaggio originale. Avendo acquisito sufficienti informazioni sul discorso dell’oratore grazie al lobo temporale, il cervello inizierà ad occuparsi della presa d’appunti, e contemporaneamente, comincerà ad attivare i centri più interni del subconscio e del Sistema Limbico, (Ippocampo), al fine di accedere ad una sezione particolare dell’area di Broca meglio conosciuta come “magazzino fonologico”, sede di tutte le informazioni immagazzinate preventivamente dal mediatore prima di presenziare all’evento; informazioni che, pertanto, esauriranno la propria importanza all’interno dell’evento stesso, e che dunque non verranno impresse nelle profondità mnemoniche della MLT. Esse verranno conservate in questa speciale area cerebrale finché risulteranno utili all’interprete per comprendere e mediare correttamente il messaggio di partenza; e alla fine verranno rimosse per far spazio alle informazioni necessarie alla mediazione successiva. Solo con la stimolazione del magazzino 44 Il Mesencefalo, (detto anche "Cervello Medio"), è la seconda di tre vescicole che nascono dal tubo neurale che forma il cervello degli animali in via di sviluppo. Al suo interno hanno origine i nervi oculomotore e trocleare deputati, assieme al nervo abducente, all’innervazione dei muscoli dell’occhio. Costituisce, inoltre, una zona di passaggio per le fibre ascendenti e discendenti, ed è anche sede di particolari centri motori, sensitivi e regolatori di attività automatiche, (movimenti degli occhi, riflesso fotomotore dell’iride). <http://it.wikipedia.org/wiki/Mesencefalo>, (consultato il 12 Marzo 2014, alle ore 10:10). 75 fonologico le informazioni contenute nella MBT, necessarie all’interpretazione finale del messaggio, saranno disponibili alla mente del mediatore, che a questo punto non dovrà fare altro che riorganizzarle nella forma migliore necessaria al compimento della fase successiva. Per passare dalla forma orale a quella scritta le parole dell’oratore, divenute ormai impulsi nervosi, passeranno attraverso la via occipito-temporoparietale, una delle aree associative polimodali, situata al confine tra i lobi occipitale, temporale e parietale, capace di integrare e coordinare informazioni provenienti da modalità processuali diverse, ed implicata principalmente nella gestione e comprensione del linguaggio, nell’orientamento spaziale e nella gestione di movimenti semplici e complessi. Una volta che questa particolare area della mente dell’interprete si sarà attivata, quest’ultimo sarà pronto per cominciare a trasferire sui propri appunti le informazioni orali recepite dall’inizio del discorso. Tuttavia, per portare a compimento questa seconda fase del processo interpretativo risulterà necessario coinvolgere, (oltre al lobo occipitale), anche un’altra importante area associativa del cervello; quella anteriore, sede di alcune importanti funzioni esecutive del comportamento, quali la risoluzione di problemi, la pianificazione di strategie lavorative, le capacità di adattamento alle diverse esigenze lavorative e della Memoria di Lavoro. Una volta che le due aree associative della mente entreranno in funzione, l’interprete sarà in grado di accedere alla simbologia mnemonica contenuta nella propria Memoria di Lavoro, e di applicarla a tutti gli impulsi nervosi corrispondenti ad altrettanti elementi del discorso sintetizzabili tramite simboli; ricostruendo nella propria mente, una forma “crittografata” del messaggio, che, tramite la rete neuronale efferente controllata dalla corteccia motoria, i nuclei della base e il cervelletto, (già esaustivamente citati durante l’analisi del processo traduttivo), verrà trasferita in forma scritta andando a costituire finalmente gli appunti dell’interprete. Questo elaborato processo neuronale proseguirà ininterrottamente per tutta la durata del discorso. La mente dell’interprete, continuerà a selezionare e disporre ordinatamente su carta le parti più importanti dell’orazione 76 secondo i principi teorici della verticalizzazione45, che verranno adeguatamente osservati ed applicati grazie ad una costante ed attenta azione del lobo occipitale; che, facendo da specchio tra la rappresentazione degli impulsi mnemonici delle sinapsi sul foglio degli appunti, e la sezione parietale destra della via OTP, supervisionerà la corretta ricostruzione e disposizione spaziale di ogni immagine visiva ricreata sul foglio dalle mani del mediatore. Una volta che il discorso dell’oratore sarà terminato e l’interprete avrà portato a termine la stesura dei propri appunti, avrà inizio l’ultimo processo logico-interpretativo della mediazione; ovvero, la ritrasmissione orale di tali appunti; che permetterà all’interprete di riportare ai propri auditori i punti focali della dissertazione originale nella lingua di arrivo. Per poter portare a termine quest’ultima parte del processo, il cervello dovrà attivarsi quasi nella sua totalità, coinvolgendo tutti e quattro i propri lobi, (temporale, parietale, occipitale e frontale), nonché il sistema limbico, situato all’interno della corteccia cerebrale. Prima di iniziare la propria esposizione orale, infatti, l’interprete osserverà velocemente i propri appunti, “scansionandoli”, se così si può dire, tramite il lobo occipitale, ed imprimendo nuovamente nella propria MBT tutte le principali informazioni dell’orazione, già in precedenza parzialmente memorizzate. Una volta completata questa fase, entrerà in azione il Sistema Limbico, risvegliando le informazioni grammaticali, sintattiche e terminologiche contenute nella MLT del mediatore, così da renderle più velocemente accessibili una volta 45 Con il termine, “Diagonalizzazione” o “Verticalizzazione”, s’intende uno dei principali aspetti teorici dell’interpretazione consecutiva, basato fondamentalmente su una disposizione verticale, piuttosto che orizzontale, degli appunti; disposizione che, per quanto apparentemente inutile e superflua, consentirà all’interprete di raggruppare in modo logico e consequenziale le informazioni espresse dall’oratore, ed utilizzare nel modo più semplice ed efficace possibile i propri appunti. Tra le sue molte caratteristiche, permette anche di indicare chiaramente le subordinate rispetto alle reggenti, nonché gli incisi e le correlazioni, rendendo estremamente facile effettuare una lettura rapida e fluida degli argomenti, e ripercorrere il flusso logico dei pensieri dell’oratore. Lo schema canonico su cui gli esperti basano questa tecnica è quello che dispone verticalmente soggetto, verbo, complemento ed eventuali subordinate del discorso. <http://palazzichiara.wordpress.com/interpretare-e- tradurre/interprete/>, (consultato il 12 Marzo 2014, alle ore 15:38). 77 iniziata la traduzione orale. Non appena questa sorta di “switch linguisticopsicologico” sarà stato completato, avrà inizio l’esposizione orale. Il controllo della regolarità del discorso sarà effettuato dalla parte sinistra dei lobi frontale e parietale. Nel primo, direttamente collegato alla Memoria a Breve Termine, grazie all’area di Broca, verranno formate e controllate tutte le parole che saranno pronunciate durante la dissertazione; al fine di evitare qualsiasi errore lessicale, grammaticale o sintattico. Nel secondo invece, la parte sinistra interverrà per conferire fluidità e senso logico al linguaggio adottato dal mediatore. Infine, sarà chiaramente fondamentale che l’interprete abbia sempre il pieno controllo sulla propria capacità dialogica, e perché ciò sia possibile, il lobo temporale supervisionerà, con la propria area di Wernicke, la struttura del discorso, analizzandone passo dopo passo la comprensibilità, ed intervenendo in modo determinante nella scelta dei sintagmi più adeguati alla stabilità globale dell’orazione. Infine, con la sua parte destra, il lobo temporale manterrà equilibrata la diffusione e la sequenza delle sonorità e delle intonazioni del discorso; in modo da attribuire il giusto ritmo, respiro ed enfasi ad ogni suo elemento, e conferire alla mediazione la stessa forza, intensità ed efficacia del messaggio originale. Ora che anche questa seconda parte del nostro percorso si è conclusa, siamo in grado di constatare il fascino, la maestosità e la complessità che si celano dietro l’interpretazione consecutiva. Un processo che, attraverso le sue tre fasi più di ogni altro racchiude in sé tutte le procedure, le meraviglie e le difficoltà dell’interpretariato; coinvolgendo un numero pressoché incalcolabile di neuroni, sinapsi ed attività logiche; attivando la totalità dei lobi cerebrali e coadiuvando corpo e mente nel conferire al messaggio una continuità elaborativa al contempo orale, scritta e mnemonica. 78 L’INTERPRETE COME UN COMPUTER: LA POTENZA DELLA SIMULTANEA. Dopo aver analizzato e compreso i processi neuronali che caratterizzano la traduzione e l’interpretazione consecutiva, siamo giunti all’ultima parte di questo nostro percorso, e ci accingiamo a conoscere le caratteristiche logicointerpretative di quella branca dell’interpretariato che, più di ogni altra, spinge la mente dell’interprete ai massimi livelli di attività e concentrazione. Stiamo chiaramente parlando dell’interpretazione simultanea, quel processo che consiste nel tradurre un discorso in maniera immediata passando dalla lingua di origine a quella di arrivo durante lo svolgimento del discorso stesso. È sicuramente il livello più alto ed affascinante di traduzione; utilizzato nella maggior parte di assemblee e convegni internazionali, nei quali un qualsiasi numero di uditori stranieri, sarà in grado di seguire, nella propria lingua, l’andamento completo di un qualsiasi discorso. È chiaramente la forma di mediazione linguistica più rapida, in quanto, eliminando quasi completamente la presa di appunti, (eccezion fatta per ingenti quantità di singoli dati, quali date, cifre, sigle o nomi), velocizza la fase di mediazione e trasmissione del messaggio, portando l’auditore al massimo livello di coinvolgimento ed attenzione. È solitamente eseguita da una coppia d’interpreti per ciascuna lingua. Tali interpreti si trovano all’interno di una cabina insonorizzata e, tramite una cuffia, ascoltano e traducono contemporaneamente il discorso dei relatori. Per gli esperti mediatori, questa è la forma d’interpretazione dal ritmo cerebrale più elevato, e pertanto, richiede la massima concentrazione. Interpretare un discorso in maniera simultanea vuol dire, infatti, ascoltare il messaggio nella lingua dell’oratore e parlare nella propria con un distacco di appena poche parole, (distacco definito dagli esperti del settore con il termine “décalage”). Proprio a causa di questo elevatissimo ritmo mentale, il lavoro di un interprete simultaneista viene spesso concentrato nell’arco di 30-40 minuti dall’inizio del discorso. Non tutte le dissertazioni, tuttavia, riescono a trasmettere la totalità del messaggio all’interno di questa finestra temporale; e proprio per questo, gli interpreti si trovano spesso a 79 lavorare in coppia, in maniera tale da supportarsi e coadiuvarsi nel corso della mediazione, (intervallandosi per circa 20 minuti a testa), garantendo così un livello di concentrazione costante ed una perfetta interpretazione del messaggio. Inoltre, nonostante sia strettamente vincolato al ritmo del discorso e delle parole dell’oratore, l’interprete deve a sua volta formulare un discorso omogeneo, privo di battute d’arresto ed affrettate rincorse, nonché evitare di assumere un tono piatto e macchinoso, che lo porterebbe ad annoiare e tediare i propri uditori. Tra i molti ostacoli che possono presentarsi di fronte ad un interprete di simultanea, vi sono i giochi di parole, (spesso intraducibili letteralmente), e l’uso prolungato dello slang, che può facilmente costituire un problema interpretativo. Per ovviare a questi principali ostacoli, gli oratori dovrebbero, dunque, cercare di fornire agli interpreti le adeguate documentazioni prima dei propri interventi; specificando il significato degli eventuali acronimi di cui potrebbero avvalersi, e fornendo in oltre un piccolo glossario, nel caso in cui il registro linguistico dell’orazione fosse particolarmente tecnico. Da un punto di vista meramente teorico la simultanea è la branca dell’interpretariato più libera da precisi vincoli normativi; in quanto non è regolata da principi o assiomi senza i quali non sia possibile comprendere e svolgere questa professione. Pertanto, dando per scontata una perfetta e totale conoscenza delle lingue di partenza ed arrivo, unita ad ottime capacità dialogiche, di ascolto, elaborazione, memorizzazione, nonché ad una costante preparazione sugli argomenti e le tematiche del settore di attinenza professionale; gli unici accorgimenti degni di riflessioni teoriche saranno quelli riguardanti il sopracitato décalage, ovvero il lasso di tempo che intercorre tra l’inizio del discorso da parte dell’oratore e l’inizio della mediazione orale da parte dell’interprete. Questo intervallo è spesso fortemente vincolato alla natura grammaticale e sintattica della lingua dalla quale l’interprete effettuerà la propria mediazione; traducendo ad esempio dall’inglese all’italiano, il divario temporale sarà maggiore rispetto a quello di una mediazione effettuata dallo spagnolo all’italiano, (differenza dovuta alla più stretta somiglianza grammaticale che la seconda ha nei confronti dell’italiano rispetto all’inglese). Se invece la mediazione venisse realizzata dal tedesco all’italiano il décalage sarebbe ancora 80 maggiore; in quanto la struttura sintattica della lingua tedesca prevede il posizionamento del verbo alla fine del periodo, prerogativa che costringerebbe l’interprete a dover attendere sempre la fine di qualsiasi frase prima di poter iniziare la propria traduzione. Un altro importante fattore che potrebbe sfuggire ad un’analisi superficiale delle caratteristiche di questa professione, è la necessità del mediatore di dover mantenere sempre un contatto visivo nei confronti dell’oratore. Tale contatto è, infatti, indispensabile al simultaneista al fine di controllare costantemente l’andamento della dissertazione originale, nonché le componenti di emotività, ritmo e tono con cui l’oratore trasmette il proprio messaggio. Supervisionando il comportamento e le movenze di chi parla, l’interprete sarà in grado di gestire al meglio anche il proprio discorso, rendendolo più simile possibile all’originale, e conseguentemente, di coinvolgere completamente l’auditore, (o gli auditori), nell’ascolto e nella comprensione del discorso originale in ogni sua sfaccettatura. In oltre, mantenere un contatto visivo risulterà fondamentale affinché l’interprete rimanga totalmente concentrato sull’oratore; mantenendo la fonte sonora sempre sotto controllo e potendo, eventualmente, rimediare ad inconvenienti o imprevisti che potrebbero verificarsi nel corso della mediazione. Oltre alla “traduzione a vista”, l’interpretazione simultanea può essere realizzata secondo un’altra affascinante modalità; lo Chuchotage, o “Interpretazione Sussurrata”, (termine derivato dal francese “chuchoter”, ovvero, “sussurrare”). In questa particolare forma di mediazione orale l’interprete non siederà nella sua cabina, bensì accanto a una o più persone, ed eseguirà la propria traduzione a bassa voce e ad esclusivo beneficio di queste ultime. Questo tipo d’interpretazione presenta il vantaggio di non richiedere alcuna apparecchiatura tecnologica, (a differenza della simultanea), ma è realizzabile solamente se i destinatari della traduzione sono in numero molto ristretto, (generalmente due o tre). Inoltre, a causa del notevole sforzo cui la voce dell'interprete viene sottoposta nel sussurrare, o comunque nel trasmettere a voce bassa la traduzione, (difficoltà a cui spesso vanno ad aggiungersi anche pessime condizioni di diffusione acustica), l'interprete potrà utilizzare questa tecnica traduttiva per un tempo estremamente limitato. 81 Prima di riflettere sulle caratteristiche neurologiche specificamente preposte allo svolgimento di questa tecnica interpretativa, è interessante riflettere su un ulteriore aspetto che la caratterizza e che, da un certo punto di vista, non si allontana eccessivamente dalla natura delle riflessioni puramente logicointerpretative. Chiaramente, per riuscire a sopportare l’altissimo livello di attività cerebrale che caratterizza l’interpretazione simultanea, il cervello di un interprete avrà bisogno di un’ingente quantità di energia. Durante la realizzazione di una mediazione orale di questo tipo, infatti, il sistema nervoso tende a consumare un’enorme quantità del proprio catalizzatore principale: lo zucchero; in media quasi il doppio del consumo medio giornaliero necessario al sistema nervoso di qualsiasi individuo. La motivazione di questo consumo fuori dall’ordinario è semplice. L’attività neuronale si basa esclusivamente sul consumo di glucosio, poiché, essendo uno degli zuccheri naturali più semplici esistenti in natura, è in grado di fornire energia più rapidamente di qualsiasi altro alimento. Pertanto, qualsiasi interprete, sul punto di effettuare un’interpretazione simultanea, avrà sempre con se una fonte di glucosio, (una barretta di cioccolata, una bevanda, o un qualsiasi alimento a base zuccherina in grado di fornirne il giusto apporto al sistema nervoso). Nel caso in cui, l’ingestione di un qualsiasi alimento non fosse possibile, o non sia in grado di compensare il consumo effettuato durante lo svolgimento della mediazione, il sistema nervoso stimolerà il fegato attivando una complessa procedura di emergenza; un elaborato processo biologico di 10 fasi, comunemente noto come gluconeogenesi, mediante il quale l’organismo, partendo da un qualsiasi composto non glucidico, (come ad esempio gli amminoacidi), sarà in grado di sintetizzare glucosio che, al termine del processo verrà trasportato ai vari tessuti fino a raggiungere il cervello. Lo zucchero è comunemente definito dai medici come “il cibo del cervello”, ed ora sappiamo che nessun’altra metafora potrebbe rispecchiare meglio la realtà dei fatti. Esso è senz’altro la chiave fondamentale che permette alla mente di attivarsi, e che consente a noi di proseguire nel nostro percorso. 82 Ora che abbiamo chiarito le caratteristiche stilistiche, nonché i requisiti teorici, tecnici e biologici che un interprete deve possedere al fine di svolgere in modo ottimale il lavoro di simultaneista, possiamo prendere in considerazione i processi neurali che percorreranno la mente dell’interprete nel momento in cui sarà chiamato a realizzare un’interpretazione simultanea. Prima di iniziare ad analizzare i comportamenti di neuroni, lobi e sinapsi che si attiveranno non appena avrà inizio il discorso che l’interprete sarà chiamato a mediare, è interessante, e al contempo necessario, soffermarsi sulla natura dell’incipit sensoriale che caratterizza l’interpretazione simultanea, così come, a suo tempo, abbiamo fatto per la traduzione scritta e l’interpretazione consecutiva. Sin da questa prima analisi risulta evidente il motivo per il quale la simultanea è considerata la branca più complessa nell’ambito della mediazione linguistica. Nel caso della traduzione, infatti, avevamo specificato la natura prettamente visiva dell’incipit sensoriale; spiegando, per l’appunto, che gli occhi del mediatore erano chiamati a “fotografare” la forma originale del testo da tradurre, così da poter convertire tali immagini in impulsi nervosi che avrebbero iniziato a vagare nella mente del traduttore stimolando i processi mnemonici necessari alla realizzazione della mediazione scritta. Successivamente abbiamo parlato di incipit uditivo riferito alla consecutiva; sostenendo che le orecchie fossero responsabili della cattura dei suoni della dissertazione e del loro trasferimento all’interno della mente del mediatore, che grazie a tali informazioni sarebbe stato in grado di avviare conseguenti processi di presa d’appunti e di mediazione orale. Parlando dell’interpretazione simultanea invece, dobbiamo evidenziare una natura dualistica della stimolazione primaria, poiché per l’interprete risulterà fondamentale ascoltare ed, al contempo, osservare l’oratore, combinando la sonorità delle parole con la mimica, la gestualità ed il ritmo delle movenze, che forniranno importanti informazioni sui punti salienti del discorso ed aiuteranno il simultaneista a risolvere problemi mediativi di natura prettamente semantica. Dunque, dal momento in cui l’oratore inizierà il proprio discorso, sia le 83 orecchie che gli occhi dell’interprete cominceranno a codificare le informazioni necessarie alla mediazione in impulsi nervosi di natura sensoriale, che andranno in profondità a stimolare tutte le aree cerebrali necessarie all’obiettivo finale. Per ciò che riguarda l’impronta uditiva di partenza, possiamo affermare che il percorso delle parole dell’oratore sarà inizialmente analogo a quello che caratterizza l’interpretazione consecutiva. Esse dunque verranno catturate dall’orecchio esterno che con la membrana del timpano amplificherà tutte le frequenze di più complessa codificazione; il cammino poi proseguirà nell’orecchio medio che continuerà il processo di amplificazione mantenendo il suono inalterato e chiaro fino in fondo. Le onde a questo punto raggiungeranno l’orecchio interno fino alla coclea che le trasformerà in impulsi nervosi e scomporrà le onde sonore più complesse in frammenti più semplici. Questi frammenti verranno convertiti in impulsi grazie alle cellule ciliate interne ed esterne. Non appena che tutte le onde sonore saranno state trasformate in impulsi, entrerà in azione il nervo uditivo che li trasmetterà direttamente al sistema nervoso e al cervello. Il percorso degli impulsi a questo punto passerà per il centro uditivo del mesencefalo, che li classificherà secondo durata, frequenza ed intensità per poi riordinarli grazie ai neuroni dell’area 4 di Brodmann, completando così lo schema delle linee guida del discorso su cui la mente realizzerà la mediazione. Come per la consecutiva, dunque, l’interprete inizierà il processo di mediazione partendo dall’ascolto del discorso dell’oratore; tuttavia, mentre nel primo caso egli avrà molto tempo a disposizione per permettere alla propria mente di avviare tutte quelle concatenazioni di processi neuronali atti alla stesura degli appunti e alla formulazione del discorso espositivo orale, durante l’interpretazione simultanea sarà chiamato ad iniziare la propria mediazione quasi contemporaneamente allo svolgersi del discorso iniziale. Questo è il principio fondamentale su cui è basata l’interpretazione simultanea, ed è al contempo la ragione per cui essa è considerata la forma più ardua ed affascinante di mediazione linguistica. 84 La mente dell’interprete dovrà dunque concentrarsi sull’oratore, continuando a ricevere informazioni grazie al nervo uditivo, e al contempo costruire una perfetta mediazione orale del suo discorso, portando l’intero emisfero sinistro, e in particolare le aree di Broca e Wernicke, ai massimi livelli di attività e stimolazione, al fine di realizzare la mediazione nel modo più efficace e rapido possibile. Non appena le orecchie del mediatore avranno recepito un numero di parole sufficienti a comprendere l’inizio del discorso nella lingua di partenza, queste informazioni verranno immediatamente inviate dal nervo uditivo alle cortecce prefrontale e temporale; la prima si occuperà della gestione dell’afflusso delle informazioni di carattere sensoriale, mentre la seconda si occuperà della parte logistica della memoria, sarebbe a dire la realizzazione di ragionamenti e pensieri complessi. Entrambe queste aree del cervello invieranno impulsi nervosi all’ippocampo, e al magazzino fonologico dell’area di Broca, sedi della MLT e della MBT; la prima sarà coinvolta nella comprensione sintattica e grammaticale dei frammenti che giungeranno durante lo svolgimento del discorso di partenza, mentre la seconda, si attiverà ogni qual volta da quest’ultimo emergeranno argomenti, informazioni o termini che l’interprete avrà preventivamente immagazzinato nel magazzino fonologico all’interno dell’area di Broca; vale a dire tutte le informazioni di glossario, le documentazioni sull’oratore e tutti argomenti principali che potrebbero essere trattati durante la dissertazione. Una volta che il cervello avrà compreso interamente la struttura sintattica del linguaggio utilizzato dall’oratore e richiamato tutte le informazioni mnemoniche necessarie alla comprensione del messaggio recepito dal nervo uditivo, andrà a stimolare l’area di Wernicke, che selezionerà rapidamente le parole corrette con le quali l’interprete comincerà ad esporre oralmente la propria mediazione. Questo momento rappresenta il cuore dell’interpretazione simultanea. Tutti i processi neuronali che abbiamo descritto fino ad ora, costituiscono solamente le fasi di avvio di questo elaborato processo interpretativo, e dal punto di vista temporale, occuperanno solamente la finestra temporale offerta al mediatore dal decalage. Una volta esaurito questo lasso di tempo, fino alla conclusione del discorso dell’oratore, la mente del simultaneista verrà sottoposta ad un forte carico di lavoro che risulterà 85 fondamentale per mantenere, contemporaneamente, l’attenzione sull’orazione di partenza, e su quella che, parola dopo parola, frase dopo frase, verrà declamata dal mediatore stesso. Nel momento in cui l’interprete comincerà la mediazione, l’attività neuronale del suo cervello subirà una sorta di sdoppiamento; una parte della mente resterà, dunque, focalizzata solamente sull’ascolto del discorso da tradurre, mentre l’altra si concentrerà sulla struttura, l’equilibrio e l’eventuale correzione della mediazione orale. Normalmente l’area di Wernicke di un qualsiasi individuo ha molto tempo a disposizione per scegliere accuratamente le impostazioni sintattiche e lessicali di un discorso; ma nel caso di un interprete questo margine temporale tende ad assottigliarsi; e lo farà proporzionalmente alla rapidità con cui l’oratore parlerà al proprio pubblico, rendendo questa professione, ed in particolare quella del simultaneista, estremamente variabile e, se così si può dire, profondamente casuale. Come per la consecutiva e la traduzione, anche durante la simultanea il massimo livello di attività neurale ricadrà sui lobi temporale e frontale; tuttavia in questa fase espositiva della mediazione l’interprete dovrà, come se non bastasse, anche essere in grado di gestire e governare la propria emotività; una componente fondamentale in questa branca dell’interpretariato che, se incontrollata, potrebbe risultare facilmente alterabile da imprevisti o eventuali errori commessi durante l’esposizione, arrivando ad ostacolare o addirittura compromettere la riuscita della mediazione; e che, pertanto, qualsiasi interprete è chiamato a gestire. L’area del cervello che sarà chiamata a svolgere questo delicato compito sarà il Sistema Limbico, responsabile dell’origine e della gestione delle emozioni. La fase di controllo ha inizio nel tronco encefalico, la parte più primitiva del cervello umano comune a tutte le specie dotate di un sistema nervoso sviluppato. Esso circonda l’estremità cefalica del midollo spinale ed ha funzioni di controllo del tono muscolare, mantenimento della postura, dello stato di coscienza e regolazione di funzioni come la circolazione del sangue, la respirazione e la digestione. Da questa struttura basilare si dipartono tutti i centri emozionali da cui, nel corso di milioni di anni, si sono evolute tutte le strutture e le aree del cervello pensante; le strutture che costituiscono la neocorteccia. Il sistema limbico dunque comunica con il tronco encefalico al fine di mantenere rilassati i muscoli e, di conseguenza, la postura del 86 corpo, gestendo anche la respirazione al fine di evitare aumenti della frequenza cardiaca e conferire il giusto ritmo ai vari periodi dell’orazione. Il Sistema Limbico è strettamente legato al funzionamento della neocorteccia. Infatti, senza il contributo di quest’ultima, i centri neuronali del sistema limbico non sarebbero in grado di sostenere il carico emozionale in momenti di particolare stress, finendo per influenzare negativamente il funzionamento di tutte le restanti aree del cervello, compresi i centri del pensiero. La neocorteccia, dunque, interviene impedendo al sistema limbico di causare queste crisi emozionali anormali ed incontrollabili; quindi, una corretta espressione e gestione delle emozioni richiede il contributo di entrambe queste aree del cervello. Nel caso del simultaneista, la fonte principale del possibile stress proverrà dagli stimoli sensoriali di natura sonora, che verranno percepiti dai recettori esterni, (in questo caso le orecchie). Dal punto di vista emotivo, questi stimoli interesseranno un’ulteriore area del cervello del mediatore, il talamo, che inizierà ad elaborarli per poi spedire le informazioni ottenute ad un’altra area, l’amigdala, che si occuperà di organizzare l’adeguata risposta dell’organismo all’evento esterno. Dunque, qualsiasi problema, o imprevisto, che l’interprete si trovasse ad affrontare durante il proprio lavoro, verrà analizzato direttamente dall’amigdala, considerata in gergo medico il “cane da guardia” dell’organismo, che in base alla gravità dell’imprevisto reagirà il più rapidamente possibile inviando messaggi di allerta a tutte le aree del cervello interessate. In questo modo stimolerà la secrezione di particolari ormoni che innescheranno attività neuronali, cardiovascolari o muscolari grazie alle quali sarà possibile affrontare in modo adeguato la situazione, risolvendo, o per lo meno, minimizzando i danni nei confronti del processo di mediazione. Grazie al corretto funzionamento del sistema limbico e di tutte le altre aree del cervello fondamentali per il controllo delle emozioni, l’interprete sarà in grado di mantenere una perfetta concentrazione sul proprio lavoro, senza che eventi esterni possano influenzarne il corretto svolgimento. Il processo interpretativo raggiungerà dunque una fase di equilibrio; un equilibrio che vedrà l’area di Wernicke del simultaneista continuare a selezionare le parole più giuste tra tutte quelle evocate dalla MLT ed MBT del mediatore, adeguando il registro linguistico alle 87 caratteristiche del discorso originale, ma, allo stesso tempo, anche alle esigenze del pubblico che si troverà ad ascoltarlo. Tramite queste parole, verranno assemblate tutte le frasi ed i periodi della traduzione orale. L’area di Wernicke, tuttavia, non si limiterà unicamente a questo lavoro di selezione ed assemblaggio; essa sarà responsabile anche del tono vocale e del ritmo con cui le parole verranno pronunciate, consentendo al mediatore di coinvolgere con successo il proprio pubblico nell’ascolto. I due discorsi, a questo punto, continueranno a svolgersi parallelamente; ma nessun interprete è sempre in grado di comprendere ed interpretare qualsiasi discorso senza il minimo dubbio o incertezza. Infatti, per quanto questo mestiere spinga l’attività cerebrale umana ad avvicinarsi ai livelli automatizzati delle macchine, esisterà sempre un punto nel discorso che richiederà all’interprete più tempo e concentrazione al fine di essere mediato. La fluidità della trasposizione orale, dunque, resterà inviolata fino a quando il mediatore non abbia a che fare con qualche termine o struttura sintattica di difficile interpretazione. A questo punto il ritmo dialogico tenderà a rallentare, o addirittura a fermarsi, consentendo alla mente di concentrare la propria attività neuronale sulla ricerca mnemonica, finalizzata a trovare quel vocabolo o quel significato globale che renda nuovamente chiaro il senso del discorso. Il lasso di tempo impiegato dal mediatore per risolvere tale dubbio interpretativo avrà, probabilmente, aumentato il distacco temporale con la fonte originaria; sarà dunque suo il compito di aumentare il più possibile il ritmo dialogico, al fine di recuperare il tempo perduto e riportare il décalage a livelli più facilmente gestibili. L’aumento del ritmo interpretativo da parte del mediatore causerà un aumento vertiginoso dell’intera attività cerebrale, che coinvolgerà soprattutto il lobo temporale. Mentre, infatti, il mediatore velocizzerà il proprio discorso nel tentativo di recuperare la distanza corretta dal ritmo dell’oratore, sarà fondamentale che il nervo uditivo aumenti al massimo la propria reattività, poiché solo in questo modo egli sarà in grado di continuare a ricevere informazioni sul prosieguo della dissertazione, che verrà “salvata” all’interno della MBT in attesa di essere processata e mediata dalle aree di Broca e Wernicke una volta che l’interprete abbia recuperato il distacco temporale dall’oratore. Esiste, tuttavia, anche l’eventualità che il mediatore non 88 riesca a recuperare il tempo perso nel tentativo di trovare la parola o il significato sintattico di alcuni elementi del discorso. Questo è il momento in cui risulterà necessario l’intervento del secondo simultaneista presente nella cabina durante la mediazione. Egli, infatti, sarà rimasto in silenzio durante tutte le fasi precedenti, supervisionando l’operato del proprio collega, ed annotando i punti salienti dell’orazione. Nel momento in cui il primo interprete dovesse trovarsi in difficoltà, e non fosse in grado di risolvere la situazione autonomamente, sarà compito del suo collega aiutarlo, suggerendogli eventuali soluzioni lessicali, o riassumendogli silenziosamente i concetti o gli argomenti che dovessero essergli sfuggiti. Non appena il simultaneista avrà riottenuto il controllo del proprio discorso, il collega tornerà “nell’ombra”, continuando tuttavia a vigilare costantemente sulla situazione e redigendo appunti che potrebbero tornare utili in un nuovo momento di difficoltà in cui un solo interprete non fosse sufficiente. Tutti questi processi si susseguiranno parallelamente al discorso dell’oratore, e consentiranno al simultaneista di realizzare una perfetta mediazione orale del messaggio di partenza, dando al proprio pubblico l’impressione di ascoltare un oratore tutt’altro che straniero, e rendendolo partecipe di un discorso che, (salvo un’ottima conoscenza della lingua di partenza), in forma originale sarebbe tutto fuorché facilmente comprensibile. Fin dalla sua prima vera affermazione, con la fondazione nel 1945 delle prime vere organizzazioni internazionali, l’interpretazione simultanea si è fatta largo nel panorama comunicativo mondiale, divenendo in poco tempo il punto culminante di una professione neurologicamente molto articolata e complessa; è, infatti, la sola tecnica di mediazione linguistica per cui è necessaria una collaborazione tra più interpreti, nonché un supporto energetico straordinario per il cervello. E’ senza ombra di dubbio la migliore forma di mediazione che l’interpretariato possa offrire; più rapida e diretta di qualsiasi altra. Tuttavia, richiede una grandissima abilità ed un self-control non indifferente; poiché nessuna branca dell’interpretariato scarica così tanta responsabilità sulle spalle del mediatore, e richiede una capacità tanto accurata, rapida e costante nel passare in forma orale da una lingua ad un’altra. Per tutte queste ragioni, e per molte altre di carattere teorico, 89 mentale, logico e comunicativo, la mediazione linguistica orale di tipo simultaneo è considerata, dal punto di vista linguistico, comunicativo e sociale, una delle più grandi conquiste filologiche della storia dell’umanità. 90 CONCLUSIONE. L’obiettivo di questo lavoro era quello di sondare più semplicemente, rapidamente e profondamente possibile le caratteristiche logico-interpretative dell’interpretariato; una professione le cui radici, radicante in epoche e periodi lontani si sono evolute e sono giunte fino a noi costituendo oggetto di studi di diversa natura e complessità. tramite le nostre riflessioni abbiamo compreso che la mente di un interprete è soggetta a livelli di attività e pressione sconcertanti, restando costantemente impegnata su molti più fronti di quanti si possano immaginare; e che, per quanto, ad una prima occhiata, possa sembrare facile analizzare e comprendere il funzionamento di attività come la traduzione o l’interpretazione consecutiva e simultanea, in realtà esse vanno studiate attentamente, poiché custodiscono segreti e misteri che possono aiutarci a conoscere meglio noi stessi e le molteplici macro e microscopiche sfaccettature di una delle professioni comunicative più preziose ed efficaci della storia. 91 ENGLISH SECTION. 92 CHAPTER TWO: THE TRANSLATION’S MENTAL PROCESSES. TRANSLATORS AND LONG-TERM MEMORY. Translating is not just a linguistic process. Several studies, carried out over the years, reveal that it involves mental operations more complex than what was previously believed. Before starting their studies, experts have asked themselves a fundamental question: <<How does the professional’s brain runs every day from one language to another?>>. Before answering this question, it’s useful to remind that in the front left hemisphere is located the Broca area, responsible for the language expression, and over the temporal area is situated the Wernicke’s area, in charge of linguistic comprehension through connections with the memory’s mechanisms. So translation is mentally possible only through the higher brain functions’ activity. The art of translation is based on the connection between long-term memory that allows the translator to apply the techniques learned during his apprenticeship, and the frontal and parietal lobes, which enable him to analyze stylistic and grammar exigencies of the text. In fact, whoever has to carry out the translation of a foreign text will have to analyze it in every detail searching in his LTM for every theoretical, syntactic and, in some cases, narrative information, (often linked to the grammatical rules of the source text, and to those of its language). However, let’s proceed gradually, trying to analyze exactly what happens in a translator's mind while carrying out a written mediation. We can state with certainty that translating is a complex and elaborate mental process, able to combine the mnemonic skills of the translator with other fascinating mental mechanisms that will be activated as soon as the translating 93 process begins. Some of the major researches about translation have been focused on two activities in particular; the reading and writing processes. Experts and theorists have declared that, even remaining within the same linguistic code, (that’s to say without changing language), there’s an intermediate phase in which the words are translated in a “mental language” understandable and translatable only by the concerned mediator. These analytical tests have underlined the variety and subjectivity of the processes involved during these activities. Furthermore, the focalization fluctuates between micro and macro analysis, between micro expression and macro expression; that means that there’s a constant comparison between the sense of individual utterances and the overall meaning of the text. In addition to this analytical process, it’s important to keep in mind that the mental verbal data processing, carries out its activities simultaneously and interdependently. So, in order to describe the entire translation’s mental process, it is necessary to understand the functioning of each micro activity. A famous translation expert, James S. Holmes, has proposed an interesting approach to mental translation’s processes, better known as <<Mapping Theory>>, and with these few words he has tried to explain it as clearly as possible: <<I have suggested that actually the translation process is a multi-level process; while we are translating sentences, we have a map of the original text in our minds and at the same time a map of the kind of text we want to produce in the target language. Even as we translate serially, we have this structural concept so that each sentence in our translation is determined not only by the sentence in the original but by the two maps of the original text and of the translated text which we are carrying along as we translate>>. So the translation process would seem to be a complex system in which a sort of “central processing unit” controls and coordinates all mental processes, (such as those related to reading, interpreting and writing), and at the same time projects a map of the future text in the translator’s mind. Let’s try to better 94 understand this process. At the beginning, the source text is “uprooted” from the original context and plunged in the translator’s mental reality. Therefore, it’s possible to state that he doesn’t work with the source text, but with its mental projection. The elaboration space is divided into controlled and uncontrolled workspace. In the uncontrolled one a first text’s comprehension is carried out through the application of pre-established meaning’s schemes, (based on the perceptual experience of the mediator), stored in mediator’s LTM. These semantic schemes reflect the expectation of the reader sketching out the image of a hypothetical translated text that although is still not real outside the translator, begins to take shape in his mental map. In order to analyze the controlled workspace, it has been useful the employment of the so-called “Thinking Aloud Protocols”. According to this procedure, some translators were asked to explain aloud what they were doing or what they meant to do while they were working. All mental processes described in this way have been called “controlled workplace”. So, the uncontrolled workspaces are those in which mental activities are developed without thinking aloud protocols. On the contrary, in the controlled ones the mind elaborates information consciously, that’s to say that the translator knows that some mechanisms are taking place, but at the same time he’s unaware of how they happen from the mental point of view, because they’re automatic mechanisms. The translator that only uses the uncontrolled workspace works with a partial strategy and is unable to consider the totality of the translated text. This kind of translator is at the mercy of those linguistic repercussions, which come out automatically from the perception of the original document. In order to have a complete translation competence, a rational macro textual strategy will be necessary too. Therefore, reflecting on the mental areas responsible for the management and the analysis of visual impulses, and also, for the understanding of written languages, medical researches applied to linguistic mediation discovered that the left hemisphere seems to be more involved in decoding and producing phonological, morphological, syntactic and lexical components; while the right one is in charge of understanding the implicit meanings. Language’s specific areas located in the dominant hemisphere, (the left one), are: 95 • The Broca’s anterior cortex area; • The Wernicke's posterior cortex area; • The precentral gyrus in the higher cortical area. (fig. a) (fig. a) However, also the angular gyrus, the supramarginal one, (Brodmann area 22, 39 and 40), and the associative parietal areas of the left part of the brain take part in language’s elaboration. Subcortical structures are involved too. The Wernicke’s area oversees the language's phonetic code usage, while the Broca’s one manages the phonemes’ combination in order to form words. The first conceptual analysis of the basic skills that a good interpreter must possess in order to carry out his work on a full scale is almost complete. Nevertheless, before analyzing what happens within a translator’s mind, it’s necessary to broach a thorny subject; the one related to the definition and the nature of language. More or less, we all know how to define the term “language”, but it’s important to clarify its connection with a profession like the linguistic mediation; a last question that, though seemingly elementary, should not be underestimated, because represents the true “raison 96 d’etre” of this profession is: <<What is meant by the term language?>>. The language represents the capability to understand the spoken and written word in order to express simple or complex concepts. It is the best way to communicate; especially regarding the expression of abstract concepts and the practice of professions closely related to its comprehension, elaboration, transformation, figuration and memorization. It is believed that the brain processes language through three structures that interact with each other. A first large group of neural systems that elaborates non-linguistic interactions between the body and the environment, (elaboration carried out through colors, shapes, or emotional states), and analyzes objects, events and relationships. A second group administrates the phonetic combinations and the syntactic rules for the construction of written and spoken phrases. The third group instead, is an intermediate group that receives the words and recalls the corresponding events from the memory. The Brodmann area 44, (located above the temporal lobe, in front of the fissure of Sylvius, and also known as Broca-Wernicke area), seems to be the most involved one in the forming of words and phrases. The discovery of this area has consolidated the theory of cerebral dominance, that states that in humans the structures of the language are almost exclusively located in the left hemisphere, (the totality of the right-handed and the 75% of the left-handed). (fig. b) 97 In the above image, obtained by PET, (Positron Emission Tomography), (fig. b), there are three different scans of the human brain while it is carrying out a series of intellectual operations related to words. Through the PET is possible to observe that the brain’s blood flow changes depending on the performed task. In the first scan we can see the area that shows the words and associates them to phenomena and colored objects. In the image in the middle, the motor area responsible for the pronunciation of words and the construction of the phrases is highlighted. In the last one, (Broca area), the language is articulate and organized. However, despite the numerous possibilities in the study of brain offered by PET, the deep complexity of the language’s phenomena doesn’t allow to identify the totality of brain interactions, which in many cases are still obscure. Now that we’ve understood the nature and the characteristics of language, we can analyze the neuronal processes of the linguistic mediation; and the first step on which we must focus regards that branch closely related to the LTM; that’s to say the translation. TRANSLATION AS A LOGICAL PROCESS. The translator is expected not just to master a language, but everything that is hidden behind that language, that’s to say an entire culture, a whole world, an entire way to look at the world; and to connect this world with a completely different one, creating new borders for every nuance, register, accent, reference and tone. In the end, he is asked to carry out this arduous but fascinating operation without attracting attention on himself, mounting neither the podium nor a horse. He’s asked to consider the readers’ indifference as his utmost satisfaction. The translator is the last, real knight-errant of literature. In order to analyze and understand the mental processes activated by a translator during his work, it is necessary to go briefly back to the roots of written language, understand all the differences that it has with the other language’s forms and also the importance and historical, social and global predominance for the 98 linguistic and cultural evolution of the human kind. The ability to write a language, started 4.000 thousand years ago, even if with different methods and timings. The spoken language’s acquisition happens spontaneously and without specific instructions during childhood, while the reading and writing learning happens at an early age and needs also to be guided. The learning and the use of written language is based on exclusives functional and neurological systems, created by making some parts of the visual system able to recognize words and letters. These ones are independent from the others visual recognition systems, (like those responsible for the observation of objects and faces), and those related to spoken language comprehension. They’re efficient, automatic and operate very quickly. The data collected on reading and writing deficiencies, allowed firstly, to clarify the functional and anatomical relationships between the mechanisms responsible for objects’ visual recognition and those used during the writing activity; and secondly, to understand the functional structure of the written language’s elaboration processes and its connections with the spoken language’s ones. Differently from language, the experts agree that writing has been invented just to communicate. In fact, only through it hominids managed to hand down their information to posterity, (overcoming the limitations of time and space). So, thanks to writing, one of the greatest achievements in the history of mankind was reached; the creation of a permanent level of communication that, over the centuries, made the human mind able to break its own narrow physical boundaries. Also, all the physical interactions that the body has with the environment, (for example taking notes on a sheet of paper, writing a letter, making a phone call), contribute to extend the communicative potential of the human mind. Normally, the human communication follows both the linguistic and the extra linguistic mode; and only when it became permanent one of them was privileged. That means that writing is not based just on the language, because for 30.000 years, before the spread of the alphabet, (more than 5.000 years ago), it was based on the extra linguistic communication. Writing led to the emergence of critical culture and science, opening the doors of the future and of the progress to humanity, and, at the same time, ensuring the preservation of past and present. 99 EXTRA LINGUISTICAL COMMUNICATION LINGUISTICAL COMMUNICATION IMPERMANENCE IN TIME Gestures Language PERMANENCE IN TIME Pictography or Ideographic Writing Alphabetic Writing TRANSLATION THEORY. In the course of history many experts focused their studies on the analysis of the translation process, considering it as a proper “Science of the word”. All the studies, made over the years by world-famous neurologists, humanists and linguists, were collected in the so-called Translation Theory; a branch of humanistic theories dedicated to the study, the description and application of translation. It is purely normative, (that’s to say that concerns exclusively the rules for the application of this activity), and so, should not be confused with the Science of Translation, (that, on the contrary, uses elements of social sciences in order to describe the theoretical study and the practical applications of translation and interpreting). Being an interdisciplinary science, the Translation Theory has its origins in all fields of studies that support the translation; that’s to say literature, computer science, history, linguistics, philology, philosophy, semiotics, terminology, lexicology etc. In Italian and many other languages Translation Theory is also known as Traductology. Many people consider this the wrong term to define translation, because it is derived from the french term la Traductologie; widely used since 1972. 100 TRANSLATION PROBLEMS Generally, during his job, a translator tends to choose those translation strategies that any mother tongue would use in the same communicative situation, (in the target language). In the contemporary representation of the translational figure, has been strongly supported, (also through the creation of specific professorships by the institutional bodies), the birth of the status of “mediator”. Thanks to this title, the professional can choose two different paths: cultural or in linguistic mediator. Therefore, the problem lies in the etymology of the two different words. In fact, a translation is defined as the simple scientific transposition of two texts; which passes from one syntactic complex to another without losing the sense of speech or semantic structures. On the other hand, a mediation is regarded as the way followed by mankind since the birth of languages; that’s to say the transport and the adaptation of a sign message from one context to another, from one code to another, from one paradigm to another. According to experts, not always a word from the source language can be translated into another one in the target language, (with a 1:1 proportion, such as for colors or figures). Often larger sense units have to be transposed as a unicum, (for example proverbs, polite expressions etc.). Therefore, the choice of the correct translation unit is one of the techniques that translators must follow. However, two languages also differ on a formal level. Often passing from the source language to the target one, the lack of certain words can be noted. For example, in Swedish there is no hypernym for the term “grandparent”, but only “maternal grandfather”, (morfar), and “paternal grandfather”, (farfar). Neither French nor English can translate the German word “Betriebsblindheit”, (blindness to company failings). Also in the syntax, or in constructions with adverbial phrase of time or nouns there are differences. If the translator merely translates without adapting the contents of the message from the source language to the target one, the translation will appear as suspended in a kind of “lexical limbo”. For example, the English expression, "it's nice and warm", could be translated with the inaccurate Italian expression, "è bello e caldo", that once 101 adapted would become, "c'è bel tempo". All this proves that while translating stylistic issues must be considered. This concept highlights the first fundamental principle of translation: “Translate as literally as possible, but, as freely as necessary”. In addition to language differences must also be considered the kind of text, the purpose and receivers of the translation. In fact, a scientific essay has a different formulation and is, therefore, much more precise and technical than, for example, a journalistic column. Sometimes the principle that the translation must have a way of expressing that a mother tongue would use can not be achieved; for example in the case of proper names or other circumstances that, in fact, don’t exist in the target language. In addition, experts wonder how the original culture should be administered. Therefore, in technical translations, the mediator will try to stick as closely as possible to the structural, syntactic and cultural settings of the mother tongue and the country of destination; while for the translation of novels, the cultural background of the language will be preserved as far as possible. Friedrich Schleiermacher, a German philosopher and theologian, has been a leading expert in the theory of translation. He introduced lots of innovative concepts; including the one that considered a language as the "world view" of the people to which it belonged. In fact, according to this concept, in order to understand the sense of the speech the translator should not focus on the object or the specific topic, but on the way used by the subject to describe and express it in his own language. Furthermore, in order to understand a single expression, is often crucial to analyze the totality of the context in which it appears. So, the word must be placed in the structure of a sentence; a sentence that will be part of a given chapter that will belong to a certain volume, which, in turn, will represent the overall context of the author’s work. Therefore, the mediator must begin by understanding the individual parts in order to get the global sense of the work. In the end, according to what 102 Schleiermacher states in his Über die Verschieden Methoden des Übersetzens, the translator, through his work, can take, or rather, let undertake to his public only two paths: <<In my opinion, there are only two possible ways. In the first one the translator leaves the writer alone as much as possible and moves the reader towards him. And in the other one he leaves the reader in peace as much as possible and moves the writer towards him. The two ways are so different that the chosen one must be followed till the end with the greatest possible rigor. Trying to walk them both at the same time will lead to very uncertain results; also with the risk of completely losing both writer and reader>>. This is, essentially, the eternal dilemma of the translator: <<I say what the author said, or what he meant to express?>>. In the first case the translation will be more or less literal and the reader will have to interpret its meaning, (running the risk of losing the concept that the author wanted to express); while in the second case, the interpretation will be made by the translator and the reader will receive a more understandable but less faithful work, (with the risk of presenting the point of view of the translator and not the author’s one). So, in Schleiermacher opinion, any translator commissioned to create a translation will come face to face to a crossroad and must choose which of the two methods must be taken during his mediation. 103 FROM THE EYES TO THE MIND OF THE TRANSLATOR. The translating process starts right when the translators’ eyes start reading the words of the original document; therefore, it is not wrong at all to declare translation to have, so to speak, a “visual incipit”. So the eyes, subject to the, so called, ”primary stimulation”, will carry out the first analysis and selection of the words and the structure of the original text. Now that we have explained the eyes’ role during the first approach to the text, we can analyze what happens inside the translators’ mind while he’s carrying out his work. As soon as the mediator starts reading the required document, his visual cortex will be subject to stimulation. To be more precise, the eye will be the organ that, with its four main components, (cornea, anterior chamber, lens and posterior chamber), will be able to transfer the images to the retina, the eyes’ most delicate part, that, with its photoreceptors, will transform the images into electrical pulses which, with their information, will be sent to the retinal neurons, (horizontal cells, bipolar cells, ganglion cells and amacrine cells), which will carry out a first analysis of the visual signal. The axons of the ganglion cells, gather themselves together in order to form the optic nerve, a sort of natural cable that leads out the visual information from the retina up to the higher centers; at first to the lateral geniculate body, (a part of the brain that controls the visual information from the retina), and from there, to the cortical areas. Cortical stimulation begins as soon as the visual impulse reaches the Primary Visual Cortex, (a sensory cortex), also known as Striate Cortex, V1, or Brodmann area 17, (BA 17), located around and within the calcarine fissure of the occipital lobe, (one of the five fissures that mark the border between the lobes). In close proximity of this area are the extra striate cortical areas, (also named Brodmann area 18 and 19, or V2 and V3). Those two occipital areas are involved not only in visual activities, but also in the analysis, recognition and interpretation of images elaborated by the Brodmann area 17. The V1 area can transmit the information by two main paths, (the so-called primary pathways). These directions, covered by the information of the primary and secondary cortex, are 104 known also as Dorsal Stream and Ventral Stream. The ventral stream, generally known as the “What Pathway”, is the one on which we will focus our scientific observations; because it’s the main stream assigned to the analysis of language, and also to the data gathering or the conceptual understanding of linguistic constructions. It originates in the V1 cortex, (Calcarine Fissure), than moves toward the visual areas V2 and V4, until reaching the inferior temporal cortex. Summarizing, we have underlined the key moment of the translation process: that’s to say the moment in which the words of a text are observed and, some how, “photographed”, by the translators’ eye, which acquires all the elements and transmits them to the retina. Here they’re converted into electric impulses and sent to the primary visual cortex by the optic nerve, and from here, they run through the ventral stream right to the inferior temporal cortex. The whole process, with which the eyeball and the primary visual cortex carry out the observation, stimulation, identification, classification, transformation and transference of the words, is accomplished in a few seconds. However, it continues to take place; generating multiple stimulations that, going deeper and deeper, manage to reach the nerve centers in charge of activate the longterm memory; so the mediator will be able to understand and translate the linguistic message in the manner that best conforms to the structure of the original text. Now that we have got how the words start their course toward the temporal lobe, let’s try to understand and analyze deeply the neuronal and mnemonic process that allows the brain to decode the contents of the text and activate the “data storage” areas, where the long-term memory is located. At the very moment in which the images, transformed into electric impulses, reach the inferior temporal cortex, they start to stimulate the area that, more than any other, makes the translator able to analyze, (or even simply to read), any written text. The so-called fusiform gyrus; the temporal lobes section located in Brodmann area 37 and commonly known as, (discontinuous), occipitotemporal gyrus. According to neurologists, this brain area, is the one that controls the visual recognition of words, (visual word form area, VWFA), because it’s able to recognize immediately the form of the letters which make up the words. However, communicating with Wernickes’ and Broca areas, it’s also able to carry 105 out rapid associations between terms, and get, (through the LTM), all the information necessary to translate the document. Thanks to this particular brain area, anyone is able to recognize words and linguistic codes; and its importance increases significantly for those who, like the translators, are specialized in linguistic comprehension. The first part of the translations mental process is based on a series of neural activations and concatenations, whose main objective will be to answer questions like: <<What language I’m going to translate?>>, <<Which are the stylistic canons of the text?>>, <<What is the linguistic register used by the author?>>, <<What is the terminology of the text?>>. Any translator, apart from his experience, will face the same questions; and will be able to answer them only through the activation of the visual and mental processes of the “translators’ mind”. Those processes will sound out the texts’ surface and will prepare the scheme of the translations strategy that will be applied only after the stimulation of the cerebral lobes. Now that the initial part of the flow of the words from the sheet to the mind of the translator has been clarified, it’s time to go in depth in order to examine the main brain areas in charge of guarding the memories and the professional experience of the mediator. This is the only way to clarify once and for all the last logical-interpretative processes of one of the main forms of linguistic mediation. 106 A JOURNEY TO THE CENTRE OF MEMORY. The majority of neurologists claims that the mnemonic skills of humans are extremely similar to the computer ones, and for them, the brain of linguistic mediators represents, without doubt, an irrefutable prove of this theory. In fact, it’s inclined to store the grammatical, stylistic, lexical, syntactic, sonorous and morph-syntactic information of the various languages in special areas; and if the interpreter should need to get these information back, he won’t have to do anything but activate the neural pathways which will allow him to access to the mnemonic sectors that contain them. This process is extremely comparable to the recovery of a file or a program, stored in some particular area of the computer’s hardware, in order to carry out any multimedia operation. Therefore, the mind will operate just like a PC, in which, opening folders and subfolders, you get deeper and deeper until up to that precise area of the device’s memory that contains the required information. So, speaking metaphorically, the stages of reading, cataloging, visual association and identification of the text’s words could be considered as many “clicks” that the interpreter will make within the folders of his mind in order to reach the sections responsible for memorizing information. During a translation, these sectors can be reached only by passing through the nerve centers that structure the occipital lobe, run through the optic nerve and connect themselves to the other cerebral lobes. Among them, the frontal one with its right section will be able to create the memory; while with the left one, in the Broca area, he will create and control the words. In addition to the prefrontal cortex, the parietal lobe will play a fundamental role in this process as well; especially with its left section, indispensable for the comprehension of written and spoken language and words’ memorization. In the end, also the temporal lobe will be needed; due to its capability to develop mechanisms and complex cognitive functions, such as memory, and to supervise, (by the Wernicke area located in its left section), the analysis of the spoken language and the words’ selection. It’s a fact that everyone has different memorization mechanisms; and so it 107 is not easy to settle precisely which are the mnemonic association forms universally used by interpreters and translators to get back the information stored within their LTM. However, according to doctors and researchers documentations, it’s possible to assert that the main memorization procedures used by interpreters and, (in this case), translators could be: • Sensory or Iconic memory; that assimilates information starting from the organ that receives the primary stimulation, (the eyes, for the translator). Sometimes, for example, a foreign word may seem meaningless to our mind, if we focus just on its pronunciation; but the brain could remember it if transcribed in literal form. • Episodic or Recall memory; mainly based on the capability to remind learned or experienced facts. In fact, if we couldn’t remind the words’ meaning neither by the sound nor the visual stimulation, we could try to use our life experiences to remind it. We could have learned it during a journey, or during a conversation with a foreign person; or maybe, we could have red it in a book or heard it in a movie. • Recognition memory; that’s to say that mnemonics’ mechanism that can remind the entire past situation or experience using the details. This kind of memorization usually emerges when we’re reading a book or watching a movie that reminds us something. In fact, if neither the characters’ nor the plots’ analysis help us to remind the story, those insignificants visual details, (in the movies’ case), such as the sets’ organization and settings, or those auditory, such as the soundtracks’ or lines’ sound, (in the books’ case), will allow us to remember the entire story, as if it were the first time we see it or read it. 108 All these memorization mechanisms enable translators to impress various types of information in their mind. Such as, for example, those obtained through their own linguistic experiences, or those from the stylistic canons of past and present authors. According to the kind of work they have to face, the brain will select the suitable information so that the target text has the same structure and strength of the source one. Through all the stimulations that the translator mind will receive from the text, it’ll propagate the electric impulses in all memorizing areas of the lobes, in order to find the area in which the information needed to translate the ordered text is stored. So stimulation will pass through the four lobes, reaching also the hippocampus, the special area of the limbic system, in charge of transferring information in the LTM. This transfer is carried out thanks to the hippocampal areas of the dentate gyrus and the temporal lobes’ convolution. All these areas, together with the entorhinal cortex, will use the fornix and the mammillary bodies in order to create the fragments of the long-term memory and the cognitive and conceptual maps that everyone may consult depending on the topic or the situation. Up to now, from the anatomical point of view, the hippocampus is a fundamental topic of studies and reflections. In fact, it has the capability to use its nerve fibers both as afferent, (in order to bring the message and the nerve impulses straight into the depths of memory, in search of the necessary information), as efferent, (to bring the collected data back; that’s to say from the hippocampus to those areas that will need the information stored within the subject memory). So, that’s the point of arrival of nerves stimulation collected by sensory receptors of the translators’ mind. This is the most sheltered and the deepest area of the entire nervous system. A place where the LTM is kept; a place with almost unlimited mnemonic potential, that stores data, experiences, images and any other kind of information. This is the process activated in the translator’s mind, and represents the most powerful work tool of any translator. This afferent mnemonic process, (based on the activation of mental schemes necessary for the translation of the source text), is connected to an efferent one, without which the translator would never be able to put in writing his mediation. The entire structure of the translation should be written on paper, or on a computer, and this final operation cannot be completed without 109 hands. Therefore, the translators’ mind will have to activate a series of processes that will stimulate the motor system, (the main coordination center of the human body). When we carry out a carefully controlled movement, commands necessary for muscles’ activation originate from the motor cortex, (located in the rear of the frontal lobe), pass through the brain and get to the spinal cord; and than, with special nerves of the area in charge of the movement, reach the muscles. However, not all motor commands are attributable to the motor cortex. In fact, it is responsible for the activation of conscious movements, such as manipulations’ gestures or those related to learning new moves. Some movements, on the contrary, are the consequence of constant motor’s reiterations, on which the individual maintains only a general control, (such as for example driving a car, or, during translation, draw up a written document). These movements are described as automatisms, and are controlled by some special nerve cells located in central and deep areas of the brain; the so called basal ganglia. These nucleuses run all over the spinal cord and through the motor nerves reach muscles. Another important role in this operation will be entrusted to the cerebellum, a part of the nervous system located in the posterior-inferior area of the braincase, of capital importance in controlling the actions of the motor system. It connects to the motor cortex and the basal ganglia in order to make hands movements homogeneous and regular instead of irregular and jerky. So, it is responsible for the control and coordination of the involuntary muscle tone. Neither the cortex nor the basal ganglia are able to regulate the strength of the muscles that perform the action. Therefore the cerebellum is directly responsible for the action, the range, the size and the smoothness of movements. So, in order to allow the translators’ hands to grab a pen, or to scroll properly on a keyboard, a correct coordination between motor cortex, basal ganglia and the motor coordination action of the cerebellum will be necessary. This cerebral coordination will allow transforming the LTM’s mnemonic impulses into real motor maps that will let mediators’ hands able to move with fluency and regularity in order to put down in writing the definitive form of the linguistic mediation. The complex mental activity of a translator on the point of translating something is amazing and fascinating 110 because it involves several cerebral areas and an immense number of synapses and neurons that operate incessantly in order to get all the information needed to complete the work. However, the process won’t end with the arrival in the hippocampus and the identification of the data required, but will continue automatically until the “first translation” is finished; or until the translator hasn’t obtained from the text all the information about the author’s style or the terminology. Once completed this long and elaborate procedure, the structure of the text will still be raw; so the translator will active another mental process in order to refine and correct the syntactic, lexical and stylistic characteristics of his translation. To be more precise, he’ll start to read again his work, searching for contradictions, errors or discrepancies that will need new reflections; and at the same time, he will reflect on the inclusion of new lexical solutions that could give the text the correct structure. According to experts, this procedure will require energy expenditure lower than the pre-translation or the information collection phases, because both of them will require a structural analysis of the document either in its original form or in the translated one. So the translator will have to move continuously from one language to the other, searching for the adequate scheme on which the translation will be developed. The cerebral areas activated during this operation will be always the Wernicke’s and Broca areas, and the left part of the parietal lobe, that will analyze lines, words, and syntactic structures, sending, if necessary, other electric impulses in the depths of the brain to reactivate the hippocampus in search of new synonyms and terms that could be used as corrective elements of the text. The duration of this process is strictly related to the number of elements that the translator will want to replace and also to the time he’ll need to ponder and analyze every linguistic choice. Once the entire review activity is completed, the “first translation” will appear, (in some ways), completely different, and its structure will be almost completely comparable to the original. Thanks to his experience, a capable translator will be able to identify the linguistic traps hidden in a foreign language text. Therefore, it’s not surprising that he will continue to go along his translation again and again, tying, (just like an artist), to make his “work of art” perfect, whether it’s a children’s book, 111 a treaty of medicine, an essay on astrology, a mathematical theorem or the more technical and impersonal text of a manual. He will test his mind, looking for any solution that, although difficult and hidden, will be able to close the gap between his language and the authors’ one, matching his translation to the original work. If he’ll succeed the public will acclaim him celebrating his brilliant mind. The mind of a hidden figure mentioned in just a few lines at the beginning or at the end of a work. A wizard in syntax with an unlimited vocabulary. An alter ego who, like an alchemist, will combine his skills and style to those of the favorite public author who maybe at the end, reading the translation of his work at the hands of his trusty “pen’s equerry”, will be happy to exclaim: <<I myself couldn't have said it better!>>. 112 SECCIÓN ESPAÑOLA. 113 CAPITULO TRES: INTERPRETACCIÓN CONSECUTIVA Y SIMULTANEA: EL ÁPICE Y EL CORAZÓN DE LA INTERPRETACIÓN. Después de haber analizado y entendido los procesos mentales típicos de la traducción, podemos empezar la etapa final de nuestro itinerario, analizando los mecanismos mentales implicados en la interpretación consecutiva y simultanea. Con este término se describe la traducción oral de un discurso declamado durante una reunión política, un congreso, una conferencia, etc. Se habla de consecutiva cuando el intérprete escucha y anota todo el discurso del orador, al fin de reproducirlo completamente o en forma parcial, en su propio idioma. En cambio, se habla de interpretación simultanea cuando el intérprete realiza su traducción al mismo tiempo de la oración original. Estos dos tipos de mediación lingüística, tienen raíces comunes, pero también profundas diferencias, y sin embargo, representan una de las máximas expresiones de las potencialidades mentales y mnemónicas de un intérprete. Analizando estas definiciones, es posible afirmar que un intérprete tiene que poseer cualidades y características totalmente diferentes respecto a un traductor. Sin rebajar los méritos y el trabajo de un traductor, (ya subrayado y elogiado), George Mounin, afirmaba que un intérprete tiene mucho meno tiempo a disposición respecto a un traductor, que trabaja con textos escritos. Según su opinión, de hecho, el traductor: << (…) ha tempo, … consulta a suo agio i propri strumenti di lavoro, … può meditare a lungo su di un piccolo numero di difficoltà, mentre continua a procedere nel suo lavoro e può ritornare indietro, correggere, riscrivere all’ultimo momento sulle ultime bozze, ritoccare ancora e persino scegliere abbastanza spesso quello che traduce46>>. 46 Una posible traducción es: << (…) tiene tiempo, … puede consultar su propios instrumentos de trabajo, … puede reflexionar mucho tiempo sobre un pequeño número de dificultades, mientras sigue 114 El intérprete, en cambio, tiene que poseer cualidades muy especificas, indiferentemente si se habla de consecutiva o de simultanea. Mounin describe dichas cualidades como: << (…) essere passivamente ricettivo cioè assorbire docilmente e senza reagire le idee espresse dall’oratore, (…), avere una memoria eccellente ma anche molto particolare: la memoria immediata, che gli fa cancellare dalla “lavagna” della sua mente tutto quello che vi aveva appena immagazzinato per poterlo poi restituire quasi subito (…), la padronanza non solo della lingua che interpreta, ma anche della cultura che ad essa è legata, poiché nella lingua parlata sorgono ad ogni istante i proverbi, le allusioni alla vita del paese, (…), essere in grado di capire la lingua che deve interpretare, anche quando è parlata da stranieri, caso questo molto frequente: nei meeting internazionali, infatti, indù, giapponesi, cinesi, centroamericani, liberiani, nigeriani, ecc., parlano tutti inglese ma ciascuno con un accento nazionale o locale e con una sintassi piena di calchi presi dalla lingua d’origine, al punto che l’inglese stesso diventa difficile da seguire nelle loro bocche (…), possedere la qualità dell’oratore, una voce chiara dotata di un buon timbro e di vivacità, un’elocuzione disinvolta, (il pubblico sopporta che un oratore parli male, ma non un interprete); (…), ed infine, essere un virtuoso artista, ma, per così dire, deve esserlo in modo invisibile47>>. trabajando; y puede volver atrás, corregir, modificar hasta el final sobre las últimas galeradas, seguir retocando e incluso, eligir frecuentemente lo que quiere traducir>>. 47 Una posible traducción es: << (…) tiene que tener una actitud pasiva receptiva, o sea absorber sin reaccionar las ideas que el orador expresa; (…), poseer una memoria excelente, pero, en el mismo tiempo, muy particular: la memoria inmediata, que le permite borrar de la “pizarra” de su mente, todo lo que había anteriormente almacenado, para poderlo devolver casi inmediatamente; (…), dominar no 115 Sin embargo, por otro lado, las cualidades de un intérprete se desarrollan en paralelo a las técnicas que utiliza: de facto, si en la interpretación simultanea el desafío principal que el mediador tiene que enfrentar son la rapidez y la destreza con las que tiene que transferir el discurso de la lengua inicial a la final, en la consecutiva el reto es constituido por la capacidad de decir muchas cosas con pocas palabras, gracias a su memoria aguda y/o a los apuntes tomados durante del discurso del orador. El intérprete consecutivo tiene, de hecho, mucho más tiempo que un simultaneo para organizar sus notas y administrar las expresiones, el tono y el ritmo más adecuados para transmitir los contenidos del discurso. Por estos motivos estas dos facetas de la profesión de intérprete, fascinan y atemorizan, neófitas y profesionales del sector. Empezando por la mediación consecutiva, tenemos que convenir con los expertos de neurología y lingüística, que la consideran como la forma más completa de mediación lingüística; porque, aunque no es compleja y caracterizada por un único esquema mental como la simultanea o la traducción, en ella se resumen las reglas fundamentales de las dos; por lo menos desde un punto de observación mental. Además, empezando por una fuente de información oral, es capaz de realizar una mediación, en el comienzo, en forma escrita, (si se considera la recogida de información por medio de símbolos y/o abreviaciones, y su organización para la exposición), y sucesivamente en forma oral, (considerando la gestión del solamente el idioma que interpreta, sino también la cultura a la cual es ligado, porque a menudo la lengua hablada está rellena de refranes y alusiones de la vida en el país; (…), tiene que ser capaz de entender el idioma que interpreta, también si lo hablan los extranjeros, eventualidad muy frecuente: en los mitin internacionales, de hecho, indianos, japoneses, chinos, latinoamericanos, liberianos, nigerianos, etc., hablan inglés; pero quienquiera con su propio acento nacional o local, y con una sintaxis creada por las estructuras de la lengua de origen, hasta que el mismo inglés, hablado por ellos, es casi incomprensible. (…), tiene que poseer la característica de un orador, una voz clara, que tenga un dulce timbre y que sea vivaz; una elocución desenvuelta, (el público puede tolerar que un orador hable mal, pero no un intérprete); (…), y por fin, tiene que ser un artista virtuoso, pero, por decirlo así, tiene que ser invisible>>. 116 discurso obtenido por medio de los apuntes y su declamación en la lengua final). Otra importante característica de esta forma de interpretación es su fuerte correlación con la Memoria a Mediano Plazo, basada sobre el hecho que, antes de participar en un congreso o en cualquier mitin para realizar una mediación oral, toda la información estándar que el intérprete utiliza, será organizada y almacenada en su MMP, zona en la que el acceso a los recuerdos es mucho más fácil y rápido respecto a la Memoria a Largo Plazo. Cuando un mediador tiene que participar en un congreso sobre un determinado argumento, intentará documentarse de cualquier forma posible; consultando textos de actualidad y consolidando eventuales aspectos terminológicos y sintácticos que podrían ocurrir durante el congreso. Toda esta información será memorizada por un periodo limitado, que corresponde al final de la mediación. La misma modalidad documental, y de facto mental, caracteriza la mediación lingüística oral de tipo simultaneo; pero en este caso será interesada mucho más profundamente la esfera auditiva, organizativa y expositiva del intérprete; que tendrá mucho menos tiempo para realizar y declamar su discurso. LOS PROCESOS MENTALES EN LA MEDIACIÓN CONSECUTIVA. Intentemos ahora reasumir y analizar las características teóricas y mentales de la interpretación consecutiva. Para individuar y comprender los procesos cerebrales que se verifican en la mente de un intérprete es necesario comprender las reglas fundamentales que constituyen la base de este sector de la mediación lingüística. Para los expertos, los puntos teóricos fundamentales son: la toma de notas, y la gestión de los símbolos. 117 TOMAR NOTAS. (LA TOMA DE NOTAS). Para comprender los principios esenciales de la consecutiva tenemos que empezar por la toma de notas. Aunque en la consecutiva algunos aspectos técnicos suelen depender de las características personales y estilísticas de cada intérprete, como por ejemplo la tendencia a la síntesis o al análisis, la facilidad de expresión y una capacidad mnemónica más o menos desarrollada, hay algunos principios fundamentales que representan el núcleo de esta técnica y que tienen que ser respectados por todos lo mediadores. Según la opinión de Jean François Rozan, autor de la famosa obra “Note-taking in Consecutive Interpreting", las seis reglas que permiten tomar notas en forma segura y precisa son: 1. La anotación gráfica del concepto en vez de las palabras. Este primer concepto afirma que, como no es posible anotar todas las palabras y los conceptos pronunciados por el orador, es fundamental focalizar la atención sobre los elementos esenciales de cada frase, y escribirla en las notas siguiendo la forma canónica: palabra – concepto – palabra. 2. Las abreviaciones. Los expertos las consideran el instrumento más eficaz del intérprete. Cuando realiza su mediación, de hecho, no puede escribir totalmente todas las palabras; y por eso tendrá que abreviarlas lo más posible anotando en la mayoría de los caso el principio y el final de cada palabra. 118 3. La negación. Es otro elemento fundamental para un mediador. Se puede utilizar en dos diferentes modalidades: • Listando la palabra o el símbolo que se refiere al concepto que se quiere negar. • Añadiendo un “no” a la palabra o al símbolo que tiene que ser negado. 4. La acentuación. Consultando las normas, un concepto puede ser acentuado si se subraya la palabra o el símbolo que lo expresa. 119 5. La Disposición Vertical. Este concepto representa una verdadera columna de la técnica de anotación. En general consiste en un disposición vertical más bien que horizontal de las notas; disposición que, aunque aparentemente inútil y superflua, permite al mediador agrupar lógicamente la información y los conceptos expresados por el orador, y utilizar sus apuntes de la manera más eficaz posible. Para Rozan, esta regla se basa en otro importante principio, que simplifica significativamente el trabajo del intérprete; el utilizo de las paréntesis. Con ellas el mediador mantiene estables las relaciones de subordinación, y en consecuencia, el equilibrio de la oración. SUJETO VERBO COMPLEMENTOS (EVENTUALES SUBORDINADAS). 120 6. La anotación gradual. Es muy parecida al utilizo de las paréntesis durante la disposición vertical, pero para la mayoría de los expertos parece simplificar aún más la estructura de las notas del mediador; porque en lugar de encerrar cada subordinada entre paréntesis la anotación gradual utiliza lineas horizontales para sustituir la palabra o el símbolo debajo del cual se encuentran; permitiendo una lectura completa y fácil de todas las subordinadas. LOS SÍMBOLOS. Hasta ahora hemos intentado analizar y comprender algunas reglas fundamentales para tomar notas. Al mismo tiempo, los expertos afirman que un mediador hábil y experto tiene que combinar el conocimiento teórico con un determinado número de símbolos esenciales para resumir la terminología de las conferencias. La cantidad de símbolos que se pueden utilizar es claramente variable, pero los expertos creen que es fundamental que un intérprete los utilice para expresar el mayor número posible de palabras, expresiones y conceptos. No obstante todo, es importante focalizar la atención sobre el hecho que no es ni fácil ni útil memorizar un número demasiado elevado de símbolos; y por eso cada intérprete tiene que acordarse siempre de que ellos constituyen solamente un medio para un fin; que corresponde a la mediación. 121 PALABRAS-APUNTES-PALABRAS: UN RECORRIDO POR COMPLETO EN LA MENTE DEL MEDIADOR. Estamos a punto de empezar uno de los capítulos más importantes de nuestro itinerario, que nos permitirá entender los procesos lógicos-interpretativos de la interpretación consecutiva; una rama de la mediación lingüística capaz de activar un inmenso número de funciones cerebrales y crear así verdadero continuum entre la dimensión oral, mental y escrita del mismo mensaje. Como ya hemos observado en la traducción, la consecutiva también empieza con una estimulación sensorial. En el caso de un traductor hemos hablado de una estimulación visual; identificando a los ojos y al lóbulo occipital como primeros centros de actividad neuronal finalizada a la mediación; en cambio, por lo que concierne la consecutiva, la esfera sensorial, y el lóbulo cerebral que son expuestos a la “estimulación primaria” serán: la esfera auditiva y el lóbulo temporal, que convertirán los sonidos y los tonos de las palabras del orador en impulsos nerviosos. Sucesivamente, gracias a la acción de los demás lóbulos, estos impulsos serán decodificados y transcritos en los apuntes del intérprete; y al final serán reelaborados por medio de la MMP y retransmitidos en forma oral. Sin embargo, la esfera auditiva no es la sola afectada por la estimulación sensorial. Constituye, sin duda, el meollo del proceso de escucha y recogida de las estimulaciones neurales primarias, pero en cuanto empiece el proceso de escritura de los apuntes, también será fundamental la acción de la esfera visual. Solo por medio de la activación de las dos áreas el mediador llevará a cabo del proceso de mediación. Ahora intentemos proceder por grados para lograr comprender todas las fases de este elaborado proceso. Hemos finalmente constatado el íncipit auditivo de la consecutiva, pues empecemos por las orejas del intérprete; es decir las "primeras intérpretes" de las frecuencias y de los sonidos de las palabras del orador. Desde el principio del discurso, por supuesto, el aparado auditivo del mediador se activa, capturando y transformando las ondas acústicas en particulares formas de actividades nerviosas, para transmitirlas a los otros sistemas sensoriales. El oído humano puede 122 absorber frecuencias entre los 20 y 20000 Hz, (en este grupo, las incluidas entre los 125 y 2500/3000 Hz, conciernen en particular la comprensión de la lengua hablada). La primera fase de este complejo empieza en el oído exterior. Aquí gracias a la membrana del tímpano se recoge y amplifica el sonido de manera selectiva, empezando por las frecuencias más acerca de los 3000 Hz, (las más limítrofes en el grupo de la lengua hablada y por eso más complejas de codificar). Sucesivamente las ondas sonoras viajan a través del oído medio, que, siendo situado tras el ambiente aéreo del oído exterior y el liquido del oído interior, realiza una amplificación de las vibraciones capturadas y permite que el sonido mantenga intacta toda su complejidad. Las ondas sonoras, amplificadas otra vez, llegan al oído interior, zona donde está ubicada la cóclea, estructura fundamental porque utilizada para transformar las vibraciones sonoras en impulsos nerviosos. Esta zona, es también responsable de romper las ondas acústicas complejas en fragmentos más simples. Estos fragmentos serán enviados a las células sensoriales del oído interior; la células ciliadas. Estas últimas, divididas en interiores y exteriores, modulan y transforman las vibraciones de la membrana basal en impulsos nerviosos. Terminado este proceso, las células ciliadas interiores, conectadas con las fibras del nervio auditivo, empiezan a transmitirlas al sistema nervioso y al cerebro. Gracias al nervio auditivo los impulsos nerviosos salen de la cóclea y llegan hasta el tronco cerebral. Aquí el mesencéfalo, (conocido también como colículo inferior), clasifica los impulsos según su duración, frecuencia e intensidad; y gracias a algunas neuronas especializadas situadas en el lóbulo temporal, (precisamente en la zona 4 de Brodmann), todas la frecuencias y tonalidades del lenguaje y de la oración se reorganizan, así que el mediador obtiene un mapa completo del discurso y puede concentrarse en los elementos fundamentales del discurso y activar los sucesivos procesos neuronales. Después que los lóbulos temporal y parietal, (áreas de Broca y Wernicke), han convertido las palabras del orador en impulsos nerviosos y los hayan simplificado, el cerebro del intérprete activará dos nuevos procesos neuronales, fundamentales para completar la mediación del mensaje original. Terminada la primera fase de recogida de información por medio del lóbulo temporal, el cerebro se preparará para la redacción de los apuntes, y en el mismo tiempo, activará las áreas 123 más profundas de la subconsciencia, (hipocampo), y del “cerebro límbico”, (sistema límbico), al fin de acceder a una región particular del área de Broca conocida también como “almacén fonológico”, sede de toda la información estándar memorizadas por el mediador antes de participar en el mitin. Esta información es indispensables para el intérprete para realizar su mediación, y al final será eliminada para dejar espacio a los conceptos útiles para la siguiente. Solo estimulando el almacén fonológico la mente del mediador podrá acceder a la MMP, y organizar los datos mnemónicos para completar la interpretación del mensaje. Para escribir en las notas las palabras del orador el cerebro del mediador tiene que activar una área particular, llamada área asociativa, situada entre los lóbulos occipital, temporal y parietal, y capaz de: analizar varios tipos de información, administrar y comprender el lenguaje, y percibir y coordinar los movimientos simples y complejos en el espacio. Gracias a la acción de esta área el intérprete será capaz de transferir en sus notas la información de la oración original. Sin embargo, para completar esta segunda fase del proceso interpretativo será necesario activar otra importante área asociativa; la anterior, sede de algunas funcionalidades del comportamiento, como por ejemplo, la resolución de los problemas, la planificación de estrategias laborales, la adaptabilidad a las exigencias de trabajo, y la memoria de trabajo. Después que las dos áreas hayan sido activadas, el intérprete accederá a la simbología mnemónica contenida en su memoria de trabajo, y de utilizarla para transformar en símbolos todos los impulsos nerviosos posibles; reconstruyendo en su mente una forma “criptográfica” del mensaje original, que, por medio de la red neuronal eferente controlada por la corteza motora, los núcleos de la base, y el cerebelo, (ya analizados con gran detalle durante la explicación del proceso traductor), será expresada en forma escrita constituyendo los apuntes del mediador. Este elaborado proceso continuará hasta el final de la oración y una vez que las dos fases se hayan concluido, empezará el último proceso lógico-interpretativo de la consecutiva, es decir la retransmisión oral de las notas, con la que el auditorio será informado sobre los puntos esenciales de la disertación original. Para llevar a cabo este proceso, el cerebro tendrá que activarse casi completamente, involucrando nada menos que, los 124 cuatro lóbulos, (temporal, occipital, parietal y frontal), y el sistema límbico, situado dentro de la corteza cerebral. Antes de empezar su exposición oral, el intérprete echa un vistazo a sus notas, “las escruta”, si se puede decir así, por medio del lóbulo occipital, y imprime otra vez en su MMP todos los conceptos fundamentales de la oración. Una vez completado este procedimiento, se activa el sistema límbico, que recuperará la información gramatical, sintáctica y terminológica contenidas en la MLP, así que el mediador pueda acceder rápidamente a todo lo necesario para su mediación. En cuanto este proceso de “switch” lingüístico-psicológico termine, podrá empezar la exposición oral. El lado izquierdo de los lóbulos frontal y parietal, controlará el discurso y su fluidez. En el frontal, gracias al área de Broca, directamente conectada a la MMP, se formarán y administrarán las palabras, al fin de evitar cualquier error gramatical o sintáctico. En el segundo, en cambio, el lado izquierdo se asegurará que el lenguaje del discurso mantenga siempre su fluidez y sentido lógico. Además, será claramente fundamental que el intérprete tenga siempre el control total sobre su disertación, y su capacidad dialogística; por eso el lóbulo temporal, con su área de Wernicke, verificará la estructura del discurso, eligiendo de paso en paso las palabras más adecuadas para su estabilidad. Por fin, con su lado derecho, el lóbulo temporal mantendrá el equilibrio de la difusión de la secuencias, de las sonoridades y entonaciones de las palabras del mediador; de manera que cada elemento tenga su énfasis, y ayude a conferir a la mediación la misma fuerza, intensidad y eficacia del mensaje original. Ahora que acabamos con esta segunda parte de nuestro recorrido, podemos constatar la fascinación, la majestuosidad y la complejidad que se celan detrás de la interpretación consecutiva. Un proceso que, con sus tres faces, encierra más que cualquier otro, todos los procesos, las maravillas y las dificultades de la interpretación; activando un número incalculable de neuronas, sinapsis y actividades lógicas; interesando todos los lóbulos cerebrales y coadyuvando cuerpo y mente para crear una elaboración oral, escrita y mnemónica del mensaje original. 125 EL INTÉRPRETE COMO UN ORDENADOR: EL PODER DE LA TRADUCCIÓN SIMULTÁNEA. Después de analizar y comprender los procesos mentales que caracterizan la traducción y la interpretación consecutiva, podemos empezar la última parte de nuestro itinerario, y descubrir las características lógico-interpretativas de aquel sector de la interpretación que, más que cualquier otra, lleva la mente del intérprete al nivel máximo de actividad y concentración. Estamos hablando de la interpretación simultánea, aquella forma de mediación que consiste en traducir inmediatamente un discurso, pasando continuamente de la lengua de partida a la de llegada mientras que la disertación se desarrolla. Es sin ninguna duda el nivel máximo de traducción; utilizada en la mayoría de reuniones y mitin internacionales, porque permite a un cualquier número de auditores extranjeros de entender y seguir completamente un discurso. Es también la forma más rápida de mediación, porque no necesita notas, (excepto por una ingente cantidad de datos, como fechas, cifras, siglas y nombres), y permite focalizar totalmente la atención del auditor sobre los elementos de cualquier mensaje. Suele ser realizada por dos intérpretes. Los dos entran en una cabina insonorizada y, por medio de un auricular, escuchan y en el mismo tiempo traducen el discurso del orador. Los expertos consideran la simultánea como la forma de interpretación más pesada a nivel cerebral, y por eso creen que es fundamental la máxima concentración. De hecho, interpretar un discurso de esta manera significa escuchar el idioma del relator y luego hablar en el proprio idioma, con un alejamiento de solo unas pocas palabras, (alejamiento llamado “décalage” por los expertos). A causa de este elevado ritmo mental, el trabajo de un intérprete simultaneo se concentra dentro de 30-40 minutos desde el principio del discurso. Desgraciadamente este tiempo no siempre es suficiente a un mediador para completar su trabajo, y esta es la razón por que los intérpretes trabajan en pareja; para ayudarse y cooperar durante la mediación, (intercambiandose cada veinte minutos), y garantizar un óptimo nivel de concentración y una perfecta comprensión del mensaje. Entre los principales 126 obstáculos que pueden complicar la tarea del mediador, están los juegos de palabras y las expresiones típicas, frecuentemente intraducibles literalmente, que pueden constituir problemas interpretativos. Para superar estos estrobos, antes de las reuniones, los oradores tendrían que proveer a los intérpretes toda la información necesaria para entender todos los elementos terminológicos y argumentativos de las disertaciones. Desde el punto de vista teórico la interpretación simultánea es la técnica más libre de la mediación lingüística, porque no esta vinculada por ninguna regla o principio particulares. Excepto por lo que concierne el conocimiento lingüístico, la capacidad dialógica, de escucha, de elaboración y memorización y la constante preparación sobre los argumentos y las temáticas profesionales, los únicos elementos teóricos dignos de atención son los conectados al ya mencionado décalage, el lapso de tiempo que separa el comienzo de la oración original del comienzo de la mediación oral del intérprete. Este tiempo suele estar conectado con las características gramaticales y sintácticas de la lengua que el mediador interpretará. En una mediación del inglés al italiano, la divergencia temporal será mayor respecto a una mediación del español al italiano, (divergencia debida a la estricta semejanza gramatical que el español tiene en comparación con el italiano respecto al inglés). Si, en cambio, la mediación si efectuara del alemán al italiano, el décalage será aún mayor, puesto que las reglas sintácticas de esta lengua suelen posicionar el verbo al final de la frase, y obligar al intérprete a esperar siempre que el período termine antes de empezar su traducción. Otro importante factor, que podría escapar a un análisis superficial de las características de esta profesión, es la necesidad del mediador de mantener siempre el contacto visual con el orador. Esto es fundamental para que el intérprete simultaneo pueda controlar el desarrollo de la disertación original, y también la emotividad, ritmo y entonación del mensaje. Gracias a este contacto visual el mediador mantendrá siempre la máxima concentración sobre la fuente del sonido y podrá resolver los posibles inconvenientes que podrían ocurrir durante la mediación. Además de la traducción a la vista, la interpretación simultánea puede ser llevada a cabo utilizando otra fascinante modalidad: el chuchotage, o “interpretación susurrada, (término derivado del francés 127 “chuchoter” eso es “susurrar”). En esta forma de mediación oral, el intérprete no está sentado en su cabina, sino al lado de una o más personas, y realizará su traducción en voz baja y solo para ellos. Esta forma de mediación, al contrario de la simultánea, no exige ninguna instrumentación tecnológica, pero se puede realizar solo si sus destinatarios son un número pequeño, (generalmente dos o tres). Además, el gran esfuerzo al que se somete la voz en susurrar el mensaje, no permite utilizar esta técnica por mucho tiempo. Antes de reflexionar sobre las características neurológicas de la simultánea, es interesante analizar otro aspecto que la caracteriza, y sin el cual sería mucho más difícil para cualquier mediador llevar a cabo su trabajo. Está claro que para sostener el alto nivel de actividad cerebral que caracteriza esta forma de interpretación, el cerebro necesita de una enorme cantidad de energía. Durante este proceso, para obtener energía, la mente del mediador utilizará casi el doble de su catalizador principal: el azúcar. La motivación de este consumo masivo es simple. La funcionalidad neuronal se basa principalmente sobre el consumo de glucosa, porque es capaz de aportar energía más rápidamente que cualquier otro alimento. Por lo tanto, cualquier intérprete a punto de realizar una interpretación simultánea tendrá siempre que llevar consigo una fuente de glucosa, (una barra de chocolate, una bebida, o cualquier alimento azucarado que pueda aportar la cantidad correcta para el sistema nervioso). En la eventualidad que la ingestión de esos alimentos non sea posible, o no sea capaz de compensar el consumo causado por la mediación, el sistema nervioso estimulará el hígado activando un complejo proceso de emergencia; un elaborado proceso biológico de 10 pasos, mayormente conocido como gluconeogénesis, gracias al cual el organismo será capaz de sintetizar glucosa a partir de precursores no glucídicos, (como por ejemplo los aminoácidos). Luego, la glucosa obtenida será transportada a los varios tejidos hasta el cerebro. Los médicos creen que el azúcar es como “el alimento para el cerebro”, y ahora sabemos que ninguna metáfora refleja la realidad de la mejor manera; es, sin duda, el elemento clave que permite activar la mente y que consiente a nuestro recorrido de proceder. Ahora que hemos entendido las características estilísticas y los requisitos teóricos, técnicos y biológicos que un intérprete tiene que poseer para desarrollar su trabajo de la mejor manera, podemos analizar los procesos 128 neuronales que atraviesan la mente del mediador durante la realización de su mediación simultánea. Antes de empezar a analizar las actividades de las neuronas, lóbulos y sinapsis que se activarán en cuanto el orador empiece su discurso, es interesante y también necesario reflexionar sobre la natura del íncipit sensorial que caracteriza la simultánea. Este primer análisis subraya el motivo para que se considera la simultánea como la técnica más compleja de toda la mediación lingüística. Empecemos constatando una natura dualista de la primera estimulación, porque, al contrario de la traducción y de la consecutiva, (que tienen íncipit sensoriales muy distintos, la primera visual y la segunda auditiva), en la simultánea, para el intérprete resultará fundamental escuchar y, al mismo tiempo, observar el orador, combinando la sonoridad de las palabras con la gestualidad y el ritmo de los movimientos, que constituye una importante información sobre los puntos fundamentales de la oración. Pues, desde el principio de la disertación, tanto el oído como los ojos del intérprete empezarán a codificar la información fundamental para la mediación en impulsos nerviosos sensoriales, que estimularán todas las áreas cerebrales necesarias para el objetivo final. Por lo que concierne el señal auditivo de salida, podemos afirmar que el recorrido inicial de las palabras del orador será idéntico al que caracteriza la interpretación consecutiva. Ellas serán capturadas por el oído exterior que con la membrana timpánica amplificará todas las frecuencias más complejas. Luego tocará al oído medio, que continuará la amplificación y mantendrá el sonido claro e inalterado hasta el final. Sucesivamente las ondas llegarán al oído interior, que descompondrá las más complejas en fragmentos más simples, y las convertirás, por medio de la cóclea y de las células ciliadas, en impulsos nerviosos. Los impulsos serán enviados al sistema nervioso gracias al nervio auditivo. Aquí se activará el centro auditivo del mesencéfalo que primero los clasificará, en base a su duración, frecuencia e intensidad, y luego los reorganizará gracias a las neuronas del área 4 de Brodmann, completando de esta manera el esquema de la estructura del discurso que la mente utilizará para realizar su mediación. Como en la consecutiva, el proceso de mediación empeziea por la escucha del discurso del orador; pero, mientras en este caso el intérprete tiene mucho 129 tiempo para activar su mente, tomar sus notas y organizar su exposición oral, durante de la simultánea será obligado a empezar su interpretación casi al mismo tiempo del discurso original. Pues, la mente del intérprete tendrá que mantener la máxima concentración y analizar continuamente la información del nervio auditivo, construyendo también una perfecta mediación de los fragmentos del discurso que, a su vez, habrán sido capturados por el oído. Para realizar la mediación lo más rápido y eficaz posible, el hemisferio izquierdo del cerebro, con sus áreas de Broca y Wernicke, será expuesto a los más altos niveles de actividad y estimulación. Apenas las orejas del mediador han recibido un número de palabras suficientes para entender el comienzo del discurso, esta información, gracias al nervio auditivo, llegará a las cortezas prefrontal y temporal; la primera administrará el aflujo de informaciones sensoriales, mientras que la segunda se ocupará de la parte logística y mnemónica, es decir realizar pensamientos complejos. Las dos áreas enviarán impulsos nerviosos al hipocampo y al almacén fonológico del área de Broca, sedes de la MLP y de la MMP; la primera será utilizada para comprender la gramática y la sintaxis de los fragmentos que lleguen durante el desarrollo del discurso, mientras que la segunda se activará en cuanto en ello se mencionen argumentos, información o términos que el intérprete habrá almacenado en precedencia en su área de Broca; es decir, toda la información estándar del glosario, las documentaciones sobre el orador y todos los argumentos principales que podrían ser tratados durante la disertación. Apenas el cerebro ha acabado de comprender la estructura sintáctica del lenguaje utilizado por el orador y haya encanalado toda la información mnemónica necesaria para comprender el mensaje, empezará a estimular el área de Wernicke, que elegirá rápidamente las palabras correctas con las que el intérprete empezará su exposición oral. Este momento representa el núcleo de la interpretación. Todos los procesos neuronales que hemos descrito hasta ahora, constituyen solo el principio de este elaborado proceso interpretativo; y se concentrarán totalmente en el lapso de tiempo ofrecido por el decalage. Desde el principio hasta el final del discurso del orador, la mente del mediador recibirá una enormidad de trabajo, que será fundamental para mantener la atención tanto en la oración original como en la que, palabra tras palabra, será expresada por el mismo 130 mediador. Apenas empieza la mediación, la actividad neuronal del cerebro del intérprete se desdoblará; una sección mantendrá su atención solo en la escucha del discurso original, y la otra realizará y controlará la estructura y la forma de la mediación. En la normalidad, el área de Wernicke de cualquier individuo, tiene mucho tiempo a disposición para eligir las formas sintácticas y terminológicas de una oración; pero si se trata de un intérprete, este margen de tiempo disminuye. Durante la simultánea, el nivel máximo de actividad neuronal afectará los lóbulos temporal y frontal. Sin embargo, para una perfecta exposición, el mediador tendrá que controlar su emotividad también; otro elemento fundamental, para esta rama de la interpretación, que si incontrolado, puede ser alterado fácilmente por inconvenientes o eventuales errores cometidos durante la exposición y en consecuencia obstaculizar o comprometer la realización de la mediación. El área del cerebro encargada de administrarla será el Sistema Límbico, (del latín “limbus” que significa “borde”), responsable del origen y del control de las emociones. Está constituido por un conjunto de estructuras situadas entre el tronco y la corteza cerebral, que controlan los comportamientos y las emociones. Este control empieza en el tronco cerebral, la zona más primitiva del cerebro humano que circunda la médula espinal y sirve para: controlar el tono muscular, mantener una postura correcta y regular la circulación de la sangre, la respiración y la digestión. Desde aquí empiezan todos los centros emocionales que forman el neocórtex. Pues el sistema límbico comunica con el tronco cerebral para relajar lo más posible los músculos y la postura, administrar la respiración, evitar aumentos de la frecuencia cardíaca, y conferir a la oración el mejor ritmo posible. El Sistema Límbico está estrechamente conectado con el neocórtex. De hecho, sin su ayuda, en casos de gran estrés, los centros neuronales del sistema límbico no podrían administrar las emociones ni mantener el funcionamiento de las remanentes áreas del cerebro, y tampoco de los centros de pensamiento. El neocórtex actuá para impedir que el sistema límbico provoque estas incontrolables crisis emocionales; por lo tanto, una correcta expresión y gestión de las emociones será posible solo gracias a estas dos áreas del cerebro. En la simultánea, el origen del estrés es representada por los sonidos que serán percibidos por los receptores externos, (en este caso las orejas). 131 Desde el punto de vista emocional, estos estímulos afectan otra área del cerebro del mediador, el tálamo, que los elaborará y luego enviará la información obtenida a otra área, el cuerpo amigdalino, que organizará la correcta respuesta del organismo a la situación externa enviando mensajes de alerta a todas las zonas del cerebro implicadas. Sucesivamente se secretarán hormonas particulares, que estimulan las actividades neuronales, cardiovasculares y musculares y permitirán controlar la situación y minimizar los daños a la mediación. Gracias al correcto funcionamiento del Sistema Límbico y de todas las áreas del cerebro fundamentales para el control de las emociones, el intérprete será capaz de mantener la concentración sobre su trabajo sin ser distraído por los acontecimientos externos. El proceso de mediación llegará entonces a una fase de equilibrio, en la que, el área de Wernicke seguirá seleccionando las palabras más adecuadas entre todas las presentes en la MLP y MMP del mediador, siguiendo el estilo y las características del discurso original, y, al mismo tiempo, las exigencias del público circunstante. Con estas palabras, se formarán todas las frases y los períodos de la traducción oral. Sin embargo, el área de Wernicke, no se ocupará solo de este proceso de selección y montaje; será también responsable de la tonalidad vocal y del ritmo con el que las palabras se pronuncian; lo que permitirá al mediador de hacer participar y ganarse el público. Los dos discursos, continuarán entonces a desarrollarse en paralelo; pero ningún intérprete es siempre capaz de comprender e interpretar cualquier discurso sin la más mínima duda o incertidumbre. En efecto, aunque esta profesión empuje la actividad cerebral hasta niveles de automatismo parecidos a los de las máquinas, siempre habrá, en el discurso, algo que exija más tiempo y concentración para ser interpretado. La fluidez de la mediación permanecerá hasta cuando el intérprete tropezará con unos de estos términos o estructura sintáctica difíciles de interpretar. En esta situación el ritmo dialógico ralentizará, o se parará del todo, para permitir a la mente de focalizar su actividad neuronal en pos de aquel termino o significado que devuelva nuevamente sentido al discurso. El lapso de tiempo necesario para completar esta operación habrá causado un aumento en la separación temporal respecto a la disertación original y el mediador estará obligado a aumentar lo más posible su ritmo dialógico para volver a gestionar más simplemente el décalage. Este 132 aumento de velocidad interpretativa causará también un aumento masivo de la actividad cerebral, que interesará mayormente el lóbulo temporal. De hecho, mientras que el mediador acelera su discurso para recuperar la distancia correcta desde el ritmo del orador, será fundamental que el nervio auditivo llegue a su máximo nivel de reactividad; porque solamente así el intérprete será capaz de recibir información sobre el proseguimiento del discurso, de “imprimirlas” en su MMP, y de analizarlas y mediarlas gracias a las áreas de Broca y Wernicke. Sin embrago, existe la eventualidad que el intérprete no logre recuperar el tiempo perdido para buscar la palabra o el significado sintáctico de algunos elementos de la oración. Este es el momento que ve necesaria la intervención del segundo intérprete simultáneo presente en la cabina durante la mediación. En efecto, él, se habrá quedado en silencio durante todas las fases precedentes, controlando el trabajo de su propio compañero de trabajo, y anotando los puntos salientes del discurso. En el caso de que, el primer intérprete no sea capaz de resolver una situación difícil independientemente, su colega intervendrá y lo ayudará sugiriéndole algunas posibles soluciones léxicas, o resumiéndole rápidamente los conceptos y los temas del discurso que habrá anotado. Apenas el primer simultáneo haya retomado el control de la situación, su colega volverá “en la sombra”, siguiendo sin embargo en su actividad de control y tomando notas que podrían ser útiles si, debido a alguna dificultad, solo un intérprete no fuera suficiente. Todos estos procesos se desarrollarán en paralelo respecto al discurso original del orador; permitirán al mediador realizar una perfecta interpretación oral del mensaje, y darán a su público la sensación de escuchar a un orador todo lo contrario que extranjero, participando en una disertación que, (excepto por un optimo conocimiento de la lengua de partida), en su forma original sería todo excepto que fácilmente comprensible. 133 Desde su verdadera afirmación, sucesivamente a la institución de las primeras organizaciones internacionales en 1945, la interpretación simultánea se ha abierto paso en el panorama mundial de la comunicación, llegando rápidamente a ser considerada como la cumbre de una profesión neurológicamente muy elaborada y compleja. Es, en efecto, la única técnica de mediación que exige la colaboración entre dos intérpretes, y también un soporte energético extraordinario para el cerebro. Es, sin duda, la mejor forma de interpretación ofrecida por la mediación lingüística; más rápida y directa que cualquier otra. Sin embargo, exige también el máximo nivel de habilidad y autocontrol; porque solo en la simultánea se concentra toda esta responsabilidad sobre el mediador. Por lo tanto, estas características, y muchos otros motivos teóricos, mentales, lógicos y comunicativos, la mediación lingüística oral de forma simultánea es considerada una de las conquistas filológicas más importantes en la historia del género humano. 134 Bibliografia Baker, M. (1992). In Other Words. A Coursebook on Translation . London-New York: Routledge. Benjamin, W. (1989). The Craft of Translation . Chicago: The University of Chicago Press. Bowker, L. (2002). Computer-Aided Translation Tecnology: A pratical Introduction. Ottawa: University of Ottawa Press. Catford, J. C. (1965). A Linguistic Theory of Translation. An Essay in Applied Linguistics. London : Oxford University Press. Eco, U. (2002). 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