Action in the brain Gazzola, Valeria

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Action in the brain
Gazzola, Valeria
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Publisher's PDF, also known as Version of record
Publication date:
2007
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Citation for published version (APA):
Gazzola, V. (2007). Action in the brain: shared neural circuits for action observation and execution s.n.
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Sommario
Ore 22. Sei a casa perso nella storia del tuo ultimo libro quando inizi a sentire della musica e il rumore ritmico di passi provenire
dall’appartamento di sopra. Immediatamente hai un’intuizione di quello
che sta succedendo: i tuoi vicini hanno iniziato una festa e probabilmente
staranno ballando. Tu sei troppo comodamente accovacciato sul divano
per andare di sopra a vedere se la tua intuizione sia giusta, ma molto
probabilmente lo è. Com’è che riusciamo a capire così facilmente cosa
fanno gli altri? Cosa succede nel nostro cervello in quelle circostanze e
come possiamo studiare questi processi?
La corteccia premotoria è una regione del cervello normalmente coinvolta nella pianificazione delle azioni (Fig.1). Mentre registravano da
neuroni nella corteccia premotoria, Gallese e colleghi trovarono che alcuni di quei neuroni, successivamente chiamati neuroni specchio, non solo
erano attivati mentre la scimmia eseguiva delle azioni ma anche quando
questa vedeva lo sperimentatore eseguire un’azione simile. Questa doppia
risposta permette alla scimmia di tradurre l’azione osservata nel suo proprio modo di compiere quella azione. L’osservatore quindi sente dentro
di sé quello che l’altra persona sta facendo e questo fa si che il capire le
azione altrui diventi un processo intuitivo.
&
A
attivatione durante
l‛esecuzione di azioni
B
attivatione durante
l‛osservazione di azioni
C
D
corteccia premotoria
attivatione comune all‛esecuzione e
osservazione di azioni
Figura 2. La localizzazione del sistema specchio nell‛uomo può essere determinate dalla
sovrapposizione delle attivazioni durante l‛esecuzione e l‛osservazione di azioni.
?
gerisce che quando sentiamo il suono di qualcuno che apre una lattina di
coca-cola riusciamo facilmente a capire cosa succede in quanto il nostro
cervello collega quel suono con l’azione che noi faremmo per produrMacaco
Uomo
Figure 1. Localizzazione della corteccia premotoria (in nero) nel cervello del macaco e
dell‛uomo. Mentre la localizzazione dei neuroni specchio è conosciuta nel macaco, determinarne la posizione nell‛uomo è stato uno scopo importante di questa tesi.
Per verificare se un sistema simile esiste anche nell’essere umano utilizziamo la risonanza magnetica funzionale (fMRI). Quando una
particolare regione del cervello diviene attiva, richiede piú ossigeno. Il
nostro corpo di conseguenza incrementa il flusso sanguigno in quella
particolare area in modo da soddisfare la richiesta. Attraverso la risonanza magnetica funzionale, possiamo misurare questi cambiamenti nel flusso sanguigno permettendo uno studio non invasivo dell’attivitá cerebrale
nell’uomo. Una volta sottoposti a risonanza magnetica, abbiamo chiesto
ai nostri soggetti di prendere un bicchiere, una tazzina o un cucchiaio. I
dati acquisiti con la risonanza durante queste azioni ci mostrarono quali
aree del cervello fossero attive in quel momento (Fig. 2A). Il passo successivo è stato quello di vedere se le stesse regioni fossero state attive anche
quando avessimo osservato altri prendere il bicchiere, la tazzina o il cucchiaio. Un altro giorno, gli stessi soggetti furono sottoposti a risonanza
mentre osservavano filmati pre-registrati di mani che eseguivano azioni
(Fig. 2B). Trovammo che alcune delle aree coinvolte nell’esecuzione di
azioni lo erano anche durante la loro osservazione (Fig. 2C-D). In particolare, una delle regioni comuni era la corteccia premotoria, regione nella
quale erano stati trovati i neuroni specchio nella scimmia. Nonostante la
mancanza di registrazioni intracellulari nella corteccia premotoria umana, la presenza di regioni attivate durante l’osservazione e l’esecuzione
di azioni simili rappresenta una forte evidenza per l’esistenza di neuroni
specchio nell’uomo.
Cosa succede poi quando sentiamo il suono prodotto da azioni?
Durante il terzo giorno i nostri soggetti ascoltarono rumori prodotti da
azioni (p.e. aprire una lattina di coca-cola, masticare delle patatine). Le
stesse regioni attivate durante l’osservazione e l’esecuzione di azioni erano attivate anche durante l’ascolto dei suoni prodotti da queste. Ciò sug88
lo. Quando siamo accovacciati sul divano e sentiamo la musica e i passi
ritmici venire dal piano di sopra, semplicemente li traduciamo nella nostra esperienza di produrre quei suoni quando balliamo. Un astuto ladro
potrebbe utilizzare questa spontanea comprensione delle azioni altrui in
proprio favore: potrebbe accendere la radio e produrre attivamente rumori mentre svuota l’appartamento dei vicini! Portandoci a pensare che
siano i vicini a produrre quei suoni.
Se attiviamo la nostra rappresentazione di azioni mentre osserviamo
quelle degli altri, cosa succede se l’osservatore non ha mai eseguito azioni
nello stesso modo? Individui aplasici, nati senza braccia e mani, rappresentano una rara opportunitá di investigare questa domanda. Nonostante
la mancanza completa degli arti superiori, hanno occupazioni comuni
e vite sorprendentemente normali. Sono infatti in grado di usare i piedi
con la stessa destrezza con cui individui normalmente sviluppati usano
le mani: sono in grado di scrivere sui tasti di una tastiera con le dita dei
piedi, e ti stringono la mano con il piede. Come il cervello di individui
aplasici processa l’osservazione di azioni eseguite con le mani? Troveremmo ancora attivazioni comuni all’osservazione ed esecuzione di azioni,
tenendo presente che nel caso degli aplasici le azioni osservate mostrano
mani e quelle eseguite sono compiute con piedi e bocca?
Per rispondere a questa domanda, abbiamo chiesto ai nostri soggetti
aplasici di osservare gli stessi filmati di mani che prendono e di eseguire
azioni con i loro piedi e la bocca. Abbiamo trovato regioni, incluso la corteccia premotoria, che erano attive in entrambi le occasioni, suggerendo
che gli individui aplasici mappano l’osservazioni di azioni con le mani nel
loro piú consono modo di eseguire quell’azione: usando i piedi. Sembra
quindi che il sistema specchio rappresenti nel cervello dell’osservatore
non solo le azioni che sono identiche a quelle osservate: infatti individui
aplasici non hanno mai usato mani per prendere qualcosa, ma il sistema
sembra in questo caso attivare programmi motori che hanno scopi simili
all’azione osservata, in quanto gli individui aplasici arrivano alla stessa
conclusione (prendere un bicchiere) ma con una diversa parte del corpo.
Sommario
Siamo arrivati a una conclusione simile anche in un altro esperimento dove mostriamo a individui sviluppati tipicamente filmati di un congegno meccanico eseguire la stessa azione di prendere che precedentemente era eseguita da mani umane (Fig. 3). Questo congegno era composto
da un braccio pneumatico e da una pinza e poteva solo muoversi avanti,
dietro, in su e giù, con una possibile rotazione, apertura e chiusura della
pinza. Anche in questo caso l’osservatore manca dei corrispondenti programmi motori per eseguire l’azione osservata: gli uomini usano muscoli
e non un sistema pneumatico e la traiettoria e velocità del movimento
umano divergono in molti aspetti da quelli rettilinei e costanti del braccio
meccanico. D’altra parte, gli uomini conoscono come prendere un oggetto e hanno programmi motori per raggiungere lo stesso scopo del braccio
meccanico. Trovammo che l’osservazione del braccio meccanico, nei nostri soggetti, attivava regioni coinvolte durante l’esecuzione di azioni con
le mani, supportando l’importanza del fine come variabile per interpretare le azioni di altri soggetti, sia umani che non umani.
azione del braccio umano
azione del braccio meccanico
Figura 3. Frammenti di immagini prese da un esempio di azione eseguita dal braccio umano e
meccanico. Entrambe le azioni attivarono il sistema specchio.
L’attivazione dei programmi motori che useremmo per raggiungere fini simili sembrano quindi importanti per interpretare il comportamento degli organismi viventi anche quando i loro corpi differiscono
dai nostri. Questa interpretazione ‘egocentrica’ potrebbe normalmente
facilitare o accelerare la comunicazione tra individui, provvedendo l’osservatore di sensazioni di quello che l’altro individuo sta provando di
raggiungere. Sfortunatamente, questo sistema é ben lontano dall’essere
perfetto: spesso interpretiamo il comportamento animale in modo umano, attribuendo per esempio l’azione di sorridere ai delfini anche se in
realtá non hanno nessun muscolo facciale. Attivando il nostro programma motorio per sorridere che produrrebbe un’espressione facciale simile a quella dei delfini, miss-interpretiamo i delfini. Similmente, quando
vediamo persone dell’isola Maori strofinarsi il naso in segno di saluto,
facciamo fatica a interpretare il loro comportamento, visto che il nostro
programma motorio per salutare è completamente diverso. D’altra parte
questo sistema ‘imperfetto’ ci aiuta a divertirci quando guardiamo un film
di fantascienza come guerre stellari, dove robots o esseri artificiali sono
spesso i protagonisti, e piú in generale, potrebbe aiutarci a interagire con
i robot del futuro.
Se solo il fine delle azioni fosse tradotto dal sistema, come potremmo distinguere tra qualcuno che calcia la palla e qualcuno che la lancia?
Entrambe le azioni hanno come fine quello di allontanare la palla dal nostro corpo, possibilmente per fare punto, ma in un caso usiamo i piedi e
nell’altro le mani. Investigammo questa domanda usando il suono delle
azioni. Mentre i nostri soggetti ascoltavano suoni di azioni fatte con la
bocca (p.e. il suono prodotto quando finiamo con una cannuccia l’ultimo
goccio di coca-cola) e con le mani (p.e. aprire una lattina di coca-cola),
abbiamo esaminato quali parti della loro corteccia premotoria erano attivate. Trovammo che queste azioni attivavano aree coinvolte sia durante
l’esecuzione di azioni fatte con la bocca che durante azioni eseguite con
le mani; aree che potrebbero quindi codificare per il fine (bere). In più,
trovammo che il suono di azioni fatte con la bocca attivavano regioni
specificatamente coinvolte nell’esecuzione di azioni fatte con la bocca e
che il suono di azioni fatte con la mano attivavano aree che specificatamente erano coinvolte in azioni fatte con la mano. Noi siamo quindi
capaci di condividere e rappresentare sia il modo in cui l’azione è eseguita (bocca verso mano) che il fine dell’azione (bere), arricchendo quindi
la nostra comprensione delle azioni altrui. Conseguentemente, quando
siamo testimoni di un’azione capiamo, attraverso una rappresentazione
del fine, quello che la persona sta provando di fare ad un livello piú generale e poi reinterpretiamo questo fine usando i particolari di come noi
raggiungeremmo un fine simile – come se un cinese interpretasse la frase
‘ha finito i suoi spaghetti’ coinvolgendo l’utilizzo di bastoncini mentre un
lettore italiano la interpretasse come coinvolgendo l’azione di una forchetta. Reinterpretiamo quindi le azioni osservate o ascoltate attraverso
la nostra esperienza personale.Gli individui differiscono anche nel grado
in cui sono influenzati dalle azioni degli altri. Quando andiamo al cinema per esempio, davanti a una scena in cui l’assassino si sta avvicinando
al bambino nascosto dietro la porta, alcuni di noi sono più facilmente
impauriti di altri e reagiscono chiudendo gli occhi. Se i neuroni specchio sono veramente coinvolti nella comprensione degli altri attraverso
una condivisione delle loro azioni, ci si potrebbe aspettare che i soggetti
che sono più influenzati dalle azioni altrui attivino la rappresentazione
di quelle azioni in modo più intenso. Attraverso l’uso di self-report questionari, sviluppati per quantificare queste differenze (scale di empatia),
dimostrammo in effetti che i soggetti più empatici attivavano di più anche
il sistema specchio. E’ interessante notare che Jabbi e colleghi trovarono
che individui più empatici attivavano le loro emozioni più fortemente di
individui meno empatici durante l’osservazione di espressioni facciali e
che Singer e colleghi mostrarono che individui più empatici attivavano
il loro dolore più fortemente mentre osservavano il loro partner soffrire.
Dapretto e colleghi trovarono inoltre che individui autistici che più mostravano severe difficoltà nel capire gli altri, attivavano il loro sistema
specchio più debolmente di altri individui autistici durante la percezione
di espressioni facciali. Si potrebbe quindi intuitivamente proporre che
un sistema specchio responsivo sia importante per lo sviluppo di abilità
sociali. Il fatto che differenze inter-individuali possano essere la causa (o
la conseguenza) di diverse risposte del sistema specchio stimola un’altra
domanda: quanto sono attendibili queste attivazioni tra i soggetti? E se
queste attivazioni sono attendibili, quanto costante è la loro posizione?
Trovammo che, nonostante differenze nell’estensione, tutti i soggetti mostrarono regioni di sovrapposizione, attivate sia durante l’osservazione
(o ascolto) e l’esecuzione di azioni, ma nella maggior parte dei soggetti la
regione più comunemente attivata non era la corteccia premotoria, bensì la corteccia somatosensoriale primaria, normalmente coinvolta nella
percezione delle nostre sensazioni e non considerata parte del sistema
specchio. Informazioni di ritorno somatosensoriali sono però un elemento integrale del controllo delle azioni; quando per esempio prendiamo
un oggetto abbiamo anche sempre la sensazione prodotta dalla nostra
mano mentre entra in contatto con l’oggetto. Quando raccogliamo un
fiore nel campo per il nostro amato immediatamente riconosciamo se
è una rosa, anche senza bisogno di guardarne il gambo: semplicemente sentiamo la spina penetrare nel nostro dito. Da questa prospettiva,
simulare quello che si sente mentre si osserva un’azione (che in questo
caso non è compiuta da noi ma da qualcun altro) richiede sia una rappresentazione motoria che una sensoriale. Come potrebbe svilupparsi
questa mappatura dell’azione osservata nella nostra rappresentazione?
Una possibilità è che queste rappresentazione condivise siano semplicemente una conseguenza dell’osservazione di noi stessi. Nei primi periodi
di vita, le scimmie e gli umani spendono molto tempo ad osservare se
stessi. Ogni volta che la mano del bambino prende un oggetto e lo porta
vicino a se, un particolare gruppo di attività neuronali si sovrappone nel
tempo. Neuroni nella corteccia premotoria, responsabili dell’esecuzione
89
Sommario
di questa azione, saranno attivati contemporaneamente a neuroni visivi (e
auditori) in altre regioni del cervello che rispondono all’osservazione (e al
suono) dal prendere. Questa scarica contemporanea di neuroni di diverse
regioni rafforzerebbe le connessioni tra i neuroni coinvolti, collegando
fortemente la visione (e il suono) di quella azione con l’atto eseguito.
Dopo osservazioni ripetute di se stesso da parte del bambino, i neuroni
nella corteccia premotoria inizierebbero a scaricare non solo durante la
pianificazione di quella azione ma anche alla sola visione (o ascolto) di
una prensione. Quello che spesso osserviamo, è che una ‘nuova’ mamma
inizia molto presto a generare espressioni facciali molto infantili di fronte
al suo bambino. Una ragione per questo comportamento potrebbe essere
la necessità di uno ‘specchio’ per azioni che non possiamo direttamente
osservare, come le espressioni facciali. Imitando l’espressione del bambino, la madre assicura che la sua espressione facciale coincida con quella
del bambino. Questo rafforzerebbe le connessioni tra i neuroni coinvolti
nell’esecuzione e nell’osservazione di corrispondenti espressioni facciali.
Le mamme potrebbero essere geneticamente predisposte a fare da specchio esterno per il bambino.
In parole povere, quando vediamo il nostro corridore favorito cadere
appena prima di tagliare il traguardo, non percepiamo tanto i muscoli
delle sue gambe contrarsi nel momento sbagliato, causando una distorsione della caviglia che finisce nella caduta, e nemmeno vediamo il movimento verso il basso degli angoli della sua bocca. Quello che facciamo
è sentire il bruciore nella nostra caviglia e il dolore delle nostre ginocchia che urtano il suolo, trasformiamo la nostra espressione facciale in
disperazione, sentiamo la sua frustrazione, la sua rabbia, condividiamo
la sua sconfitta. Tutto questo è possibile grazie all’attività spontanea dei
neuroni specchio.
Quello che ho studiato in questi anni è ciò che succede nel nostro
cervello quando osserviamo (o ascoltiamo) il comportamento di altre
persone. Lo scopo finale, peró, è quello di capire le interazioni sociali
più in generale: uno dei più importanti modulatori del nostro comportamento. Quando interagiamo con altre persone, ogni atto compiuto è
dinamicamente influenzato dalla reazione degli altri e la comunicazione
(sia verbale che non verbale) non è quasi mai uno scambio unidirezionale.
Studiare solo quello che succede nel nostro cervello quando osserviamo
il comportamento altrui, è solo un primo passo verso la comprensione
delle relazioni sociali. Negli anni futuri, cercherò di studiare interazioni
in tempo reale tra gli individui, cercando di capire quali aree sono più
suscettibili alla modulazione e quali aspetti sono criticamente coinvolti
nelle interazioni sociali.
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