Marketing Tribale e Tribal Branding
Dal prodotto all’esperienza della community per rafforzare l'identità
Chi non si è sentito membro appassionato di una grandissima tribù nazionalpopolare la notte
del recentissimo 9 luglio? Chi, partecipando ai caroselli di festa e passione scatenati dalla
vittoria mondiale degli Azzurri, non è stato sospinto da una sensazione di community
nazionale? Chi non ha vissuto da protagonista il più grande ed emozionante reality cui avesse
mai partecipato?
Un’immensa tribù di cuori che, più o meno all’unisono, battono per una traguardo altrettanto
immenso, per un’ineffabile gioia patriottica che solo la vittoria di un mondiale di calcio nel
nostro Paese può scatenare. Ecco come è apparso agli occhi del mondo, la seconda domenica
di questo infuocato luglio 2006, il popolo italiano … L’intero popolo italiano… perché a
condividere con i fedelissimi della “Domenica Sportiva” e di “ControCampo” un sentimento
universale, un cardiopalma cadenzato dalle prodezze di San Buffon, dalle meraviglie di Sua
Maestà Cannavaro, dalla straordinaria rivelazione Grosso-Gol c’erano anche le famigerate
casalinghe di Voghera in costante difficoltà nel riconoscere un corner dal fuori-gioco, gli
intellectual-chic più radicali la cui propensione all’attività fisica si esplicita, al massimo,
nell’inforcare una mazza da golf il sabato pomeriggio, così come gli irriducibili del we fuori-città
che per una volta, senza gran sacrificio per la verità, hanno anticipato il rientro nelle metropoli
per non perdersi nemmeno un minuto dell’appuntamento più emozionante dell’anno…
Un’unica grande community unita, seppur temporaneamente, da un sentimento, da
un’emozione che rivoluziona le priorità, che sancisce nuovi batticuori.
Tale sentimento è facilmente interpretabile se si guarda al processo di frammentazione che
sempre più caratterizza la società moderna e a quello della mondializzazione delle esperienze
favorita dalla diffusione di reti di comunicazione sempre più pervasive. Fenomeni che
sviluppano il bisogno di nuovi legami sociali, di nuove tribù, ovvero micro-gruppi sociali
composti da individui eterogenei (per età, sesso, reddito) uniti dalla condivisione di una
passione, di una soggettività o di un’emozione. La loro esistenza ha senso solo nella
manifestazione simbolica e rituale del commitment dei loro membri, capaci di azioni collettive
vissute intensamente (anche se spesso effimere) secondo modalità fortemente ritualizzate. La
tribù è quindi una comunità di esperti pronti a vivere e sperimentare le potenzialità e
l’eccezionalità del loro “oggetto” di interesse senza pregiudizi né tabù, cercando, al contrario,
di manifestare autenticamente il senso, il privilegio e la soddisfazione derivanti dall’abbracciare
un preciso lifestyle.
Non sono gruppi creati da interessi commerciali che si ritrovano per speculare o per fare della
propria passione un business ma numerose associazioni di estimatori che oltre ad un prodotto
hanno aderito ad uno stile di vita.
Si tratta di un orientamento e di caratteristiche esattamente opposte rispetto a quelle che
definiscono i segmenti di mercato del marketing: gruppi di persone omogenee, ma non
collegate tra loro da alcun vincolo di natura relazionale.
Le tribù, per esistere, hanno pertanto bisogno di qualcosa che permetta loro di consolidarsi e
affermarsi: un luogo, un emblema, un rituale, ecc. E’ per questo motivo che, anche nei
prodotti/servizi che condividono, i membri delle tribù cercano più il valore di legame o “linking
value”, che il loro effettivo valore d’uso: in quest’ottica, il marketing tribale si configura
pertanto come una strategia (di marketing) volta a creare entusiasmo e comunità, anche
se ridotta, intorno ad un prodotto o servizio per legittimarne l’insito valore di legame.
Paola Lazzarini
LINKING
VALUE
Desiderio di
appartenenza, di
interazione a creare
una tribù
Il legame con gli altri
diviene più importante
di quello instaurato con
il bene che ha originato
l’incontro
Non si può parlare di tribù di taxisti, di turisti giapponesi in vacanza a Milano, di poliziotti
perchè il motivo primario dell’aggregazione deve essere l’emozione condivisa non l’origine
comune. Non solo… Secondo Michel Maffesoli, uno dei più attenti e riconosciuti studiosi dei
fenomeni legati al trialismo post-moderno e alla ritrovata ricerca di autenticità, la rinascita
delle tribù nelle società avanzate comporta il riemergere di valori “quasi-arcaici”:
l’identificazione nel locale, un forte senso di religiosità, il sincretismo culturale, oltre,
chiaramente, alla forte interdipendenza fra membri uniti da passioni comuni.
L’unità di referenza impiegata nel marketing tribale è infatti quella dell’ambito “microsociale”,
dove gli appartenenti traggono senso e la maggior soddisfazione personale nella condivisione
di esperienze vissute come uniche e autentiche.
Tali tribù non si chiudono in loro stesse poiché la vera condizione della loro esistenza è
l’interazione con altri attori collettivi al fine di influenzare l’opinione pubblica tramite la
valorizzazione della condivisione delle emozioni fra i propri membri.
MACROSOCIALE
MICROSOCIAL
E
INDIVIDUAL
E
BIOLOGIC
O
ATTORI AGGREGATI
Culture, Classi sociali, Stili di vita …
ATTORI CONCRETI
Tribù, Clan, Gruppi, Associazioni Microcultura …
ATTORI UNICO
Individui, Soggetti, Sapere Motivazioni …
BISOGNI
Nutrizione
Il marketing tribale, quindi, si contrappone decisamente al cosiddetto approccio
nordamericano, storicamente fondato sull’importanza della personalizzazione spinta del
prodotto e fautore, seppur indirettamente, di quella tendenza all’individualismo che ha
rischiato di condurre, fino a pochi anni fa, ad un drammatico impoverimento delle relazioni
sociali e dell’esperienza di consumo.
Al contrario, rappresenta una nuova prospettiva strategica volta a creare comunità intorno a
un bene o a un servizio concepito come d’elite. Tale approccio fotografa appunto il bisogno da
parte dei consumatori di riconoscere in un prodotto esclusivo, uno status symbol che stimoli il
ripristino di un legame comunitario, emozionale, profondo, in una sorta di “senso di
comunione”.
Un esempio straordinario di applicazione vincente delle tecniche di marketing tribale è
rappresentato dall’azienda Salomon, griffe riconosciuta nel settore dello snowboard e del
roller skating che ha saputo entrare nel settore dei nuovi “style sports” nonostante
un’immagine old-fashioned.
Il genio di Salomon è stato quello si partire proprio da questa visibilità appannata per
approcciare in modo umile (Salomon’s humble approach) le tribù degli snowboarder, entrando
in punta di piedi nei loro rituali, supportandone riti e passioni.
1994: Salomon è un brand tradizionale, un po’ datato nello stile ma leader mondiale nel mercato degli
equipaggiamenti sportivi invernali. Era però escluso dal circuito dei nuovi “style sports” come lo
snowboard.
SNOWBOARD: non è considerato un gioco invernale bensì una passione da strada
Snowboarder: tribù di appassionati strutturata contro l’universo dello sci
Avevano i
loro
piccoli
d tt i
Avevano i
loro canali
distributivi
Avevano i
loro
cult-brand
Odiavano
Salomon,
considerato un
“daddy’s
Nel 1994 Salomon decide di concentrarsi sul fenomeno “Snowboard”
OBETTIVO: costruire e sviluppare prossimità fra Salomon e i snowboarder tramite
osservazione partecipante da parte del popolo Salomon
1995: Salomon costituisce una marketing unit composta da snowboarder. Progettano un
logo specifico per le loro attività e supportano un team di buoni snowboarder
1996: Salomon lancia la sua prima produzione “Snowboard”:
- No Advertising
- Presenza fisica ai campi ed eventi estivi
- Lancio di 200 modelli promozionali
- Dichiarato orientamento alla costituzione di una community
1997: Salomon lancia il suo marketing approach alla tribù degli snowboarder:
- Massiccia presenza sui campi dove si pratica lo snowboard per far testare i prodotti
Salomon agli appassionati senza alcun incentivo all’acquisto (“we are just there)
- Presenza negli ambienti e agli eventi cult di questo sport
- Advertising sui media letti dalla tribù degli snowboarder con diverse soluzioni visual
1999: Salomon:
- raggiunge la 3°posizione nel mercato francese dello snowboarding.
Ciò ha modificato il posizionamento del brand nella mente dei consumatori.
- organizza il suo approccio di marketing attorno ai concetti di tribù e passioni.
- si dota di un nuovo slogan “Freedom Action Sports”, di una nuova identità grafica, di un
nuovo tipo di comunicazione (più non-verbale che verbale)
Adottando la tecnica dell’humble approach, Salomon non si è posta l’obiettivo canonico di
diventare leader del mercato bensì quello più umile di raggiungere la community degli
snowboarder,diventandone prima compagna e sostenitrice di avventure quindi trend
setter e fonte ispiratrice.
Tale scelta le ha permesso a Salomon di ottenere in poco tempo un traguardo eccezionale:
riposizionarsi, all’interno di un mercato nuovo ma in costante crescita come quello
degli “style sports”, in un ambito non presidiato e con un’immagine rinnovata, trendy
e quindi vincente.
L’obiettivo di un’azienda che investe nel marketing tribale non consiste pertanto nell’investire
nella customizzazione “ad ogni costo” o nello stabilire un legame personale con il cliente
(questa è la mission del marketing one-to-one e di quello classicamente relazionale), quanto
piuttosto nel favorire l’interazione fra i suoi clienti creando un valore di legame reciproco
proprio nel marchio o nel prodotto/servizio.
Occorre la sensazione di sfuggire al profitto tout court e di vivere un’esperienza di sapere
comunitario o tribale limitando, per quanto possibile, il lato commerciale e interessato
dell’approccio al mercato e stimolando, al contempo, legami emotivi, passioni condivise,
esperienze di vita che hanno, nella ricerca e nell’esperienza dell’autenticità, il loro valore più
importante.
Paola Lazzarini
Responsabile Comunicazione Key Partners