BIO Educational Papers - MEDICINA COSTRUZIONE SOCIALE NELLA POST - MODERNITÀ RETROSCENA - Aut. Tribunale di Napoli n. 3724 1-4-1988 - Tariffa R.o.c. Poste Italiane S.p.A. - Sped. in abb. postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27.02.2004 n.46) art. 1, comma 1, Aut: 354/ATSUD/NA. In caso di mancato recapito restituire a Editrice CEMON s.r.l. presso la sede legale che si impegna a pagare il diritto fisso di restituzione. Bi Medicina Educational Papers • Anno III • Numero 12 • Dicembre 2014 cos truz i one sociale nella p ost - modernità R etroscena Editoriale utilizzo di materiale umano - le metafore guida sul corpo: dono • risorsa • merce Homo sapiens animale differenziatosi con l’istinto di narrare - il racconto come simulazione adattiva p. 3 p. 7 Coscienza e consapevolezza reinterpretate alla luce delle neuroscienze sociali nella post-modernità p. 12 Il sesso delle anatre p. 30 conflitto sessuale ed evoluzione estetica Editore: Centro di Medicina Omeopatica Napoletano Viale Gramsci, 18 - 80122 Napoli BIO Nel numero precedente MEDICINA Educational Papers • Anno III • Numero 11 • Settembre 2014 COS TRUZ I ONE SOCIALE NELLA P OST - MODERNITÀ R etroscena Tel. 0817614707 www.cemon.eu a sostegno della rete della vita Direttore responsabile: Rinaldo Octavio Vargas a cura di: Rinaldo Octavio Vargas Eugenia D’Alterio e-mail: [email protected] BIO Educational Papers - MEDICINA COSTRUZIONE SOCIALE NELLA POST - MODERNITÀ RETROSCENA - Aut. Tribunale di Napoli n. 3724 1-4-1988 - Tariffa R.o.c. Poste Italiane S.p.A. - Sped. in abb. postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27.02.2004 n.46) art. 1, comma 1, Aut: 354/ATSUD/NA. In caso di mancato recapito restituire a Editrice CEMON s.r.l. presso la sede legale che si impegna a pagare il diritto fisso di restituzione. Collaboratori: Sara Palma Giovanni Amarone Daniela Bolignano Daniela De Caro Bartolomeo La Ferola Progetto grafico ed impaginazione: Teresa Di Somma [email protected] Stampa: Vulcanica print – Via Beneduce, 44 80059 - Torre del Greco (NA) Tel. / Fax: 081.8823396 Email: [email protected] cosmologia Editoriale – acquisizioni sperimentali p. 3 p. 10 dall’antropologia delle questioni teologiche al pragmatismo etico La fenomenologia della salute e della malattia rivisitata con heidegger • gadamer • svenaeus Fallibilità e comunità di appartenenza p. 26 la possibilità di cadere in errore Origini - Struccando la nostra storia cosmica ed evolutiva questioni di base che ricadono su convinzioni e convenzioni 1 p. 34 2 Aut. Tribunale di Napoli n. 3724 1-4-1988 Impresa iscritta al R.O.C. in data 16.05.2012 aggio Prezzo di venditaco€p9,00 ia om Tutti i diritti sono riservati. La riproduzione dei contenuti, totale o parziale, è concessa se citata la fonte. L’editore è a disposizione degli aventi diritto con i quali non sia stato possibile comunicare, nonché per eventuali omissioni o inesattezze nella citazione delle fonti. In quarta di copertina: TRASHING PERFORMANCE dell’artista iraniano BAVAND BEHPOOR interpretata nella ASIAN CONTEMPORARY ART WEEK a NEW YORK (Ottobre 22 a Novembre 2) dal collettivo PERFORMANCE MATTERS, gruppo che esplora le sfide che il movimento delle performance pone ai valori culturali tradizionali, in un tentativo di riformulare una nuova interpretazione circa quali sono gli argomenti di interesse al mondo contemporaneo e come essi siano importanti. 3 4 1. Juraci Dórea completa una scultura in legno e pelle del suo Terra Project durante l’occupazione artistica del Rancho Fonte Nova. Foto: Alfredo Mascarenhas, Giugno 2014, 3° Biennale di Bahia. 2. ENIGMA di Sebastian Tedesco (23.04.2014) Il progetto consiste nell’istallazione nel Polo Antartico di un oggetto che possa assumere una risonanza simbolica ed enigmatica. La scelta è quella di una struttura magnetica che raffigura un ferro di cavallo di un metro di altezza e una base di 60 cm e di uno spessore di 3 cm. La struttura sarà ancorata da un meccanismo che va sotto la sua parte visibile. Il progetto è stato disegnato tenendo in considerazione le peculiarità del territorio antartico, quale l’asse magnetico e la rotazione della Terra. 3. Uccello giardiniere maschio mostra una graffetta rosa. Foto di Tim Laman. 4. Yto Barrada, vincitrice dell’Abraaj Group Art Prize 2015. Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità Retroscena Editoriale le metafore guida sul corpo: dono • risorsa • merce Rinaldo Octavio Vargas, sociologo & Eugenia D’Alterio, biologa 1 ■■ Le economie di organi, tessuti e cellule, nel capitalismo postmoderno Sebbene la donazione e il commercio di organi, tessuti e cellule, avvengano su scala mondiale, sussiste, ancora, un’implicita chiusura che esclude il largo pubblico dalla questione. Le regole e le procedure circa il prelievo e il trasferimento di organi, tessuti e cellule, sono essenziali non solo nel senso che ad esse concernono i margini tra la vita e la morte ma, anche, nel senso che le decisioni in materia determinano come noi interpretiamo le relazioni umane da una prospettiva etica e socio-culturale. Solitamente, le argomentazioni, in merito alla questione, portano a domandarci: quali obblighi dobbiamo porci sia circa il dono e/o l’acquisizione di ciò che abbiamo sempre ritenuto di più intimamente nostro, il corpo, sia verso gli organi, i tessuti e le cellule di cui esso è costituito; quali limiti morali fisseremmo in merito all’eventualità di decidere di donare o procurarci tali “cose” (sia lecitamente che illecitamente) e consentirne la loro circolazione; quale sarebbe il nostro comportamento nel decidere se donare gli organi di una persona cara in coma irreversibile e quale la linea estrema di accettazione dell’accer- tamento di effettiva morte cerebrale che conceda il nostro consenso e l’espianto stesso. In bilico tra morale, altruismo o egocentrismo, al riguardo, rimaniamo fondamentalmente perplessi. Grazie a tecnologie sempre più perfezionate, gli interventi di trapianto dal secolo scorso ad oggi si sono estesi esponenzialmente e continueranno ad aumentare, sia in termini di tassi di sopravvivenza sempre più elevati che nel numero delle persone in lista di attesa. I correlati progressi nell’immunosoppressione, nella prevenzione delle infezioni e in altri aspetti della pratica dei trapianti hanno condotto, infatti, ad un successo sociale, politico e mediatico, del suo paradigma.1 Come risultato, il numero di pazienti considerati ammissibili al trapianto è aumentato considerevolmente ma non a sufficienza quello dei donatori. Anche la gamma di condizioni per le quali il trapianto viene reso possibile si è allargata notevolmente e il trapianto è una realtà per reni, fegato, cuore, pancreas e polmoni e, anche, per tessuti e cellule come il midollo osseo, le cellule staminali, etc. I donatori non più in vita provvedono a questi organi secondo i casi di decesso mentre le 1 Tilney, Nicholas L. Transplant: From Myth to Reality. Yale University Press, New Haven, 2003 Utilizzo di materiale umano – le metafore guida sul corpo: dono · risorsa · merce utilizzo di materiale umano 3 Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità Retroscena donazioni effettuate da persone vive sono limitate a organi o parti di organi che consentano al donatore, comunque, una sopravvivenza adeguata. Una conseguenza di questa gigantesca espansione delle potenzialità di poter consentire e allungare la vita con i trapianti è stata la crescita di una domanda di organi, tessuti e cellule del corpo umano, su scala globale, richiesta che eccede di molto l’attuale disponibilità di “materiale” umano provenente sia da donatori vivi che da donatori morti. Infatti, da ogni angolo del mondo, si parla di “carenza di organi”.2 I progressi clinici nella pratica dei trapianti, come accennato, ha sviluppi terapeutici sempre in progress, tanto da consentire l’espianto e il trasferimento, in completa sicurezza, non solo di organi completi o di parti di essi (vedi trapianto di fegato) ma, anche, di tessuti e cellule, come midollo osseo, sangue, pelle, gameti, etc. Di conseguenza, come società globale, stiamo entrando in un’era di “economie di tessuti”, ossia il trasferimento e la circolazione di tessuti umani su scala globale,3 includendo anche il prelievo e il trasferimento di spermatozoi e ovuli, consentendo così la fecondazione in vitro e l’impianto di embrioni e, in alcuni casi, l’affitto di uteri o maternità surrogata. Similmente, l’ingegneria dei tessuti4, tecnica che identifica procedure di rigenerazione di tessuti del corpo umano mediante la semina di cellule su strutture (scaffolds) di opportuni materiali (biodegradabili), ha consentito la produzione di pelle, cornee e la rigenerazione ossea ed è prevedibile che questa tecnica permetterà in tempi relativamente brevi di realizzare in laboratorio tessuti anche più complessi ed in un futuro non lontano parti di organi.5 ■■ corpo come dono, risorsa e merce In questo contesto di una crescente economia di organi, tessuti e cellule, ci sono tre metafore che guidano il pensiero contemporaneo nella misura che il dibattito cresce e si focalizza. Queste metafore sono: il corpo considerato come dono, come risorsa e come merce. Anche se il dono è la metafora che sanziona e legittima socialmente l’atto di offrire parti del corpo, spesso la prospettiva di fondo, sia da parte degli Stati sia da parte delle autorità e dall’establishment medico, sembra che il corpo debba essere inteso fondamentalmente come una risorsa. Difatti, il recente spostamento nella legislazione di molti paesi di passare dal consenso informato al consenso presunto, per quanto riguarda la donazione di organi da pazienti cerebralmente morti che non si sono espressi in vita circa la questione, è un chiaro segno di questo andamento. Così, succede per gli ancor più recenti tentativi di riformulare ed estendere le parti di “materiale” umano disponibile per i trapianti, implementando la donazione dopo la morte cardiaca anche nei casi in cui la morte cerebrale totale non si verifica e la speranza di recupero di uno stato di coscienza e di una vita degna di essere vissuta è azzerata. Offrire i propri organi quando non se ne ha più bisogno (ovvero in caso di morte accertata) è considerato dagli Stati e dalle società come un atto di dono a cui non può sottrarsi neanche chi, come familiare, ha la possibilità di decidere per chi non c’è più.6 Inteso il corpo come dono, il rifiuto di donare è interpretato come irrazionale. Vista così la questione, quale persona razionale rifiuterebbe di donare qualcosa di cui non ha più necessità (post-mortem) quando altri ne hanno un disperato bisogno? Di conseguenza, la volontà di tutti i cittadini di attuare la donazione di organi può essere solo presunta se non si sono espressi in vita. Il messaggio ideologico che si intende trasmettere con la metafora del “corpo come dono” è che gli organi sono troppo preziosi per essere sprecati perché le persone sono irrazionali o egoiste o, semplicemente, perché non vogliono pensare alla propria morte prima che ciò accada, o perché dubbiosi sul tipo di accertamento di morte presunta. Così, paradossalmente, la metafora del “corpo come dono”, sostiene e nasconde, allo stesso tempo, anche, la prevalente elevazione del corpo umano a risorsa di organi per i trapianti [“RISORSAFICAZIONE” del corpo]. Infatti, attribuire al corpo la condizione di risorsa è, effettivamente, occultata nella percezione sociale dal continuo utilizzo della metafora del dono. Ma è un “dono” che si presume davvero esserlo? E se il proprio corpo non più in vita costituisce una risorsa così preziosa per aiutare altri in grave bisogno, il corpo andrebbe ancora considerato un oggetto che si ha il diritto a controllare anche post-mortem? Forse la cosa più giusta da fare sarebbe quella di, una volta per tutte, lasciar andare la metafora del dono e, ufficialmente, iniziare a fare riferimento al corpo non più vitale esclusivamente come una risorsa. Sulla scia di tale spostamento retorico, uno spazio pubblico potrebbe aprirsi permettendo l’attuazione di politiche volte ad aumentare il numero di 2 Lock, Margaret and Vinh-Kim Nguyen. An Anthropology of Biomedicine. Wiley-Blackwell. Malden, MA, 2010 pp. 234-6 3 Waldby, Catherine and Robert Mitchell. Tissue Economies: Blood, Organs, and Cell Lines in Late Capitalism. Duke University Press, Durham, NC, 2006 4 Diversamente da altre tecnologie, come nel caso degli xenotrapianti (utilizzo di organi, tessuti e cellule animali per gli umani), tecnica utilizzata nella seconda metà del secolo scorso e interdetta a causa dei rischi di zoonosi (trasmissione di virus tra specie), l’ingegneria dei tessuti è considerata la tecnica più accreditata perché rappresenta il futuro di una nuova generazione di trapianti sia eterologhi (il ricevente è diverso dal donatore), sia autologhi (il soggetto donatore coincide con il ricevente). 5 Sharp, Lesley A. Bodies, Commodities and Biotechnologies. Columbia University Press, New York, 2007 6 In Italia, ad esempio è stato introdotto il criterio del silenzio – assenso che, con riferimento al principio di solidarietà sociale, prevede la donazione degli organi di quella persona che in vita non si è espressa manifestamente in senso contrario, ossia il silenzio in merito diventa un assenso presunto) http://www.fondazionelanza.it/em/gb/Galvagni_trapianti_marzo%202013.pdf. 4 Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità Retroscena Di conseguenza, l’attuazione delle strategie volte ad aumentare il numero di organi disponibili per i trapianti comporta problemi difficili da risolvere, condizioni che le persone coinvolte conoscono bene. In questo contesto, non solo i politici rischiano di perdere la fiducia della gente ma, anche, gli operatori sanitari. Che si tratti di rendere il consenso come requisito necessario per la donazione da parte della frangia più debole (attraverso l’etichettatura di gesto egoista e irrazionale il non farlo) o di allargare il gruppo dei potenziali donatori, passando dal criterio della morte cerebrale totale ad un criterio basato sulla stima solo di quelle parte del cervello indispensabili alla vita7 spente per sempre, la diffidenza può facilmente sorgere e diffondersi. Ciò dipenderà da come si considerino i soggetti coinvolti: interessati solo ai propri diritti e non, invece, come una risorsa disponibile per i bisogni altrui. Le pratiche di emergenza per mantenere gli organi idonei per il trapianto, al limiti tra il cercare di salvare la vita della persona a cui appartengono o salvarne potenzialmente delle altre, sono difficili da gestire sia per il personale sanitario sia per i familiari, chiamati in causa, del presunto donatore. Ogni prognosi in medicina ha una certa percentuale di incertezza e se ci spostiamo dalla morte cerebrale totale a criteri meno rigorosi la possibilità (anche se statisticamente molto vicine allo zero) che qualcuno diagnosticato morto ritorni in vita (cioè recuperi uno stato cosciente) salirà. E anche se questa evenienza, presumibilmente, non accade in casi rigorosamente controllati, ciò potrebbe verificarsi o si potrebbe asserire che sia già successo. La potenziale sfiducia non si limita al dubitare se i medici sono in grado o meno di determinare se una persona è irreversibilmente “cerebralmente morta”, ossia di fare una precisa prognosi in caso di lesioni irreversibili, nonostante alcuni segnali ritenuti vitali siano ancora visibilmente presenti, perché il problema principale è che il considerare il corpo una risorsa [RISORSAFICAZIONE] apre la strada a una MERCIFICAZIONE del corpo stesso. La medicina, come alcuni studiosi cercano di mostrarci, non è un compartimento stagno rispetto all’economia di mercato ma un ambito che si rende evidente, anche, nel valore monetario crescente che viene assegnato alle parti del corpo umano stesso. Infatti, il valore totale di tutte le parti ritenute riutilizzabili di un corpo che ha subito una morte cerebrale è oggi stimato in circa $230.000 dollari.8 Considerando la compensazione sanitaria solo per la donazione de un rene, Faisal, Tufveson & Welin hanno concluso che un compenso fino a $250.000 sarebbe “economicamente produttivo” e adeguato ad una persona che accetta di donarlo spontaneamente.9 Questi esempi mostrano chiaramente come rendere il corpo una risorsa ne faciliti una sua mercificazione (legale o illegale che sia). Il CORPO COME MERCE è la terza metafora usata nel discorso contemporaneo per inquadrare l’ontologia del corpo in caso di trapianto. Come abbiamo accennato sopra, con la disponibilità tecnologica di supporto e la conseguente crescita delle liste di attesa, vi è una scarsità acuta di organi per i trapianti, una scarsità che genera una richiesta disperata in relazione ad un gruppo di potenziali donatori che sono disperati in ugual misura (disperatamente incerti o poveri o disperatamente inermi per i trafficanti d’organi). Di conseguenza, il “trasferimento” di organi è sempre più organizzato su scala globale e, anche se illegale, costituisce un’opzione per i ricchi acquirenti del Nord America ed Europa Occidentale, nonché per i donatori/venditori poveri dell’Asia e dell’Europa dell’Est. Se i poveri hanno venduto il loro lavoro ai ricchi per un tempo molto lungo, ora stanno anche vendendo parti del loro corpo (reni, ovociti, etc.). Per di più, la condizione medica dei donatori/fornitori poveri solitamente peggiora per lo stato di incuria del dopo prelievo e quando, oltretutto, la maggior parte del denaro pattuito finisce nelle mani degli intermediari del traffico stesso.10 Tuttavia, il corpo non è solo mercificato attraverso il commercio illegale. Tuttavia, la mercificazione si verifica anche in termini di un business legale, eticamente problematico, quando coinvolge soggetti che scelgono volontariamente di donare ma in cambio di un compenso. Ci chiediamo se l’etica del trapianto di organi è legata alla questione del tipo di rapporto che abbiamo con i nostri corpi, come è possibile che ci è consentito, da un lato donare parti del nostro corpo (anzi, siamo incoraggiati) e, dall’altra parte non ci è consentito di venderle a chi è disposto a pagarne il prezzo? Come possiamo “essere proprietari” di qualcosa (il proprio corpo) se non ci è permesso di venderne parti? Questo è il paradosso che tormenta la bioetica contemporanea su questo argomento. Dal momento che, anche, la donazione di organi ne presuppone la proprietà, come può tale proprietà essere legittimamente limitata da ogni Stato liberale, soprattutto se la vendita in questione potrebbe essere organizzata in un modo legale tale da beneficiare e tutelare soprattutto i legittimi fornitori?11 7 Quali la consapevolezza e la capacità di sentire il dolore. 8 Sharp, Lesley A, op. cit. p. 11 9 Omar Faisal, Gunnar Tufveson and Stellan Welin. Compensated Living Kidney Donation: A Plea for Pragmatism. In “Health Care Analysis”, Vol. 18, Issue 1, pp: 85–101, March 2010 p. 94 10 Scheper-Hughes, Nancy. “Rotten trade: Millennial capitalism, Human Values and Global Justice in Organs Trafficking.” In “Journal of Human Rights” Vol. 2, Issue 2, pp. 197–226. 2003 11 Erin, Charles A. and John Harris. An Ethical Market in Human Organs. Journal of Medical Ethics Vol. 29, Issue 3, pp: 137–38. June 2003 Utilizzo di materiale umano – le metafore guida sul corpo: dono · risorsa · merce organi disponibili per il trapianto. Ma nel proporre tali cambiamenti, come prevedibile, i leader rischiano di commettere un suicidio politico. 5 Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità Retroscena Ci sono una serie di strategie, che gli studiosi hanno cercato di applicare per risolvere questo dilemma, che vanno dal confronto con altre restrizioni al diritto di proprietà riguardo il proprio corpo e restrizioni inerenti i diritti umani in assoluto (ossia divieti contro la schiavitù, il suicidio o la prostituzione) alle argomentazioni che sottolineano le cattive conseguenze di un mercato legalizzato di organi umani (rischi di sfruttamento e/o soppressione dei potenziali fornitori, consenzienti o meno, esclusione al diritto alla salute dei meno abbienti, riduzione del numero di donazioni volontarie, minacce all’idea di una società sanamente altruistica).12 Tuttavia, tutte queste modalità sembrano condividere una premessa: per difendere la metafora del corpo come dono bisogna dare per scontato che noi possediamo i nostri corpi. Questa premessa è profondamente radicata nella bioetica, così come essa viene ancora intesa e praticata, soprattutto negli Stati Uniti: l’eredità liberale, con la sua attenzione per l’autonomia personale, è un modello basato sulla proprietà che, da Locke in poi, è fondato nel possesso, di ognuno di noi, dei nostri corpi. Quest’etica, secondo i valori sociali dominanti, sarebbe correttamente basata in quanto assume che una persona ha il diritto fondamentale di decidere del proprio corpo in vita e post-morte, un diritto che nessuno può cancellare. Quest’etica secolare fa anche leva sui principi dell’autonomia e della libertà personale come principi guida della bioetica liberale, compresa la libertà di decidere di una morte onorevole in caso di patologie gravi.13 La corrente principale di pensiero che sostiene l’idea dell’autonomia personale in bioetica oggi è l’utilitarismo. L’utilitarismo può essere inquadrato come un’importante alternativa per un’etica basata sull’idea dei diritti se altri potranno beneficiare delle mie cose o, anzi, dei miei organi come di quanto ne beneficio io, questi altri dovranno riceverli, dal momento che la loro futura utilità è ciò che conta per chiunque sia coinvolto nel bisogno. Ma, spesso, l’utilitarismo unisce, piuttosto, forze con l’idea dell’autonomia accettando la stessa limitata interpretazione di ciò che significa essere una persona. Se il liberalismo (libertarismo), con la sua attenzione per l’autonomia personale e la libertà, è il principio difensore del corpo come metafora della mercificazione, l’utilitarismo potrebbe essere visto come il principio difensore del corpo come metafora della risorsa. I due principi, liberismo e utilitarismo, il più delle volte sono uniti assieme in diverse versioni. Ma, troppo spesso, l’idea di donare si fonda e si sviluppa in un modo che non è profondo e abbastanza coerente per aiutarci ad affrontare, nella vita reale, i dilemmi etici che qualsiasi trapianto porta con sé.14 Gli studiosi di riferimento di questa breve argomentazione sono tutti impegnati nel trovare una prospettiva di analisi che non sia allineata al modo utilitarista e liberale di pensare la questione corpo in termini di proprietà (quindi dono) o di risorsa o di merce, modalità che fa assumere un’immagine decontestualizzata della natura umana e che si presenta come la principale corrente nella bioetica contemporanea.15 Difatti, questa limitata interpretazione dell’antropologia filosofica utilitaristica e liberale è troppo spesso un trascurato e problematico punto di partenza16 perché noi, esseri umani, in definitiva, non siamo solo razionali, con cervelli volti a massimizzare il benessere. Inoltre, non prendiamo decisioni su cosa fare con noi stessi e gli altri in un vuoto culturale e sociale. La relazione di una persona con il proprio corpo, così come le relazioni tra le persone e la società di appartenenza devono essere tracciate e analizzate in modo articolato,17 se si vuole andare al di là del semplicistico racconto dell’antropologia filosofica. I metodi per attuare questa prospettiva allargata comprendono la fenomenologia, l’analisi culturale e vari modi di introdurre lo spessore della vita reale utilizzando materiale empirico. Così come i bioeticisti portano con sé materiale empirico per guidare la loro analisi teorica, gli altri ricercatori (sociologi, etnografi, storici) portano con sé teorie di origine e natura filosofica quando si soffermano sul significato e l’importanza dei risultati empirici. Questo modo di fertilizzare, in modo incrociato, la filosofia, la storia e l’analisi culturale e sociale è auspicabile. Tornando alle tre metafore sul corpo, come modalità di concettualizzare e fare uso del corpo stesso e che si trovano in tutta la storia dell’umanità, l’attuale tendenza alla commercializzazione di “materiale” umano ci costringerà sempre di più a identificare e controllare il modo in cui le metafore vengono utilizzate, non solo nell’affrontare l’affascinante questione di quale tipo di oggetto sia il corpo stesso ma, anche, nel tentativo di decifrare quali interessi sociali si nascondono dietro l’uso delle metafore stesse. Concludendo, se questi accenni alla questione sull’utilizzo del “materiale” umano susciteranno una conversazione tra i portatori di interesse circa la necessità di una ermeneutica, non solo di profondità di questioni morali ma, sull’incertezza18 che ogni trapianto evoca, apriremo un varco che consentirà ad altri di inserirsi in dinamiche che non sono per niente lontane dal nostro quotidiano divenire. 12 Campbell, Alastair V. The Body in Bioethics. Routledge, London, 2009 13 Diventano sempre più frequenti i viaggi di malati terminali per una morte degna verso i paesi che la consentano. 14 Svenaeus, Fredrik. The Body as Gift, Resource or Commodity? Heidegger and the Ethics of Organ Transplantation. “Journal of Bioethical Inquiry”, Vol. 7, Issue 2, pp. 163–72. June 2010 15 Gunnarson, Martin & Fredrik Svenaeus. The Body as Gift, Resource, and Commodity Exchanging Organs, Tissues, and Cells in the 21st Century. SÖDERTÖRN STUDIES IN PRACTICAL KNOWLEDGE 6, Stockholm, 2012 16 Ibidem, p. 18 17 Geertz, Clifford. The Interpretation of Cultures. Basic Books, New York, 1973 18 Ricoeur, Paul. Hermeneutics and the Human Sciences. Cambridge University Press, Cambridge, Mass, 1981 6 Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità Retroscena Homo sapiens animale differenziatosi con l’istinto di narrare il racconto come simulazione adattiva Rinaldo Octavio Vargas, sociologo & Eugenia D’Alterio, biologa 2 stione, l’interpretazione evoluzionistica del nostro interesse per il racconto.1 Vista così la questione, non importa dove ci troviamo o andiamo nel mondo, non importa quanto sembriamo diversi e non importa quanto difficile sia la nostra vita: ogni individuo e ogni popolo, ossia ognuno di noi, dedica abbastanza tempo ai “racconti”. Universalmente, i racconti sono, più o meno, simili gli uni agli altri, con la stessa struttura e le stesse ossessioni umane. Infatti, la struttura di base si riduce al racconto delle vicende di un personaggio che cerca di risolvere la situazione problematica in cui si trova. Nei suoi termini più elementari è questo ciò che un racconto è: la narrazione della soluzione di un problema o dilem- 1 In quest’argomentazione utilizziamo il termine “racconto” nel senso della “narrazione” (orale, scritta, per immagini oppure audio e/o audiovisiva) della soluzione di un problema o dilemma da parte di un personaggio. In questo modo, seguiamo la traccia di Jonathan Gottschall, David Sloan Wilson & Brian Boyd, studiosi che hanno proposto la teoria evoluzionista cognitivista dell’uomo come animale narratore. 2 Jonathan Gottschall. “The Storytelling Animal: How Stories Make Us Human”, Houghton Mifflin Harcourt, New York, 2012 Homo sapiens Ognuno di noi, a prescindere dalle diversità individuali, generalmente, trascorre più tempo immerso in un universo di simulazioni che nel mondo trasversale, cosiddetto, reale. La Modernità idealizzante ha sferrato, solitamente, una critica che continua a condannare, seppur sommariamente, la quantità di tempo da noi dedicata alla TV, alla radio, al cinema, alla letteratura sentimentale, ai giochi elettronici, etc. La cultura postmoderna emergente, invece, ci offre nuove modalità interpretative dei nostri comportamenti e, quindi, inediti paradigmi in cui riconoscerci. Infatti, se considerassimo questo nostro vivere immersi in narrazioni giornaliere da una prospettiva evoluzionistica, forse ci stupirebbe poter individuare in tale pratica o ritualità una funzione adattiva. Prendiamo, a titolo illustrativo di questa visione darwiniana della que- 7 Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità Retroscena ma.2 Da questa prospettiva strutturalista, il racconto è molto prevedibile e, come ogni forma d’arte tradizionale, ha al suo interno un’enormità di conformità e simulazioni sulle quali modelliamo la nostra vita. Allora, possiamo ben dire che noi umani viviamo immersi in paesaggi di simulazioni. Ma come si produce questa tendenza al racconto? Dalla cultura umanistica alle neuroscienze, dalla psicologia alla biologia evolutiva, ci viene spiegato come l’essere umano sia un animale narrante, ovvero un animale con l’istinto ancestrale di narrare. Tuttavia, rimane da capire, come si è evoluto questo istinto adattivo di “fiction o simulazione”.3 Effettivamente, reperire tutti i gruppi umani interessati al racconto della soluzione di un problema da parte di un personaggio pone però interrogativi che esulano la curiosità dell’antropologo e/o dell’etnologo, perché la questione suscita l’interesse anche della bio-cultura. Infatti, c’è una grande domanda, a priori, su che cosa ci rende umani. Ossia cosa distingue meglio la nostra specie da qualunque altra specie? La Modernità aveva individuato nella “sapienza” la prerogativa umana, la Post-Modernità ha reso controversa questa peculiarità. Precisamente, in merito, vi sono studiosi che sottolineano che, in buona parte del tempo, noi umani, effettivamente, non ci comporta sempre in modo razionale. Allora, cos’è che ci contraddistingue da altre specie? La postura? Il pollice opponibile? Oppure la nostra mistificazione culturale? Certo, nessuno potrebbe negare che tutti questi aspetti contraddistinguono l’homo sapiens come specie, tuttavia in questo importante elenco di caratteristiche manca di solito un elemento di pari rilevanza, cioè il modo in cui noi umani vivono le nostre vite dentro narrazioni. Se riuscissimo a prestare attenzione ai contenuti che fluiscono nelle nostre menti, ci accorgeremmo che noi viviamo immersi in narrazioni giornaliere quali quelle familiari, sociali, commerciali e politiche. Noi generiamo storie ad occhi aperti ogni giorno. Le stime suggeriscono che di giorno facciamo questo per ore e ore modellando piccole e grandi fiction nella nostra mente. E di notte? Il corpo riposa, ma non il cervello che, tra le altre cose, nella sua attività elettrofisiologica, tratta anche di raccontarsi storie per circa due ore. Così, il nostro cervello spende da 8 a 10 anni della nostra vita modellando vivide “storie” nei teatri della nostra mente. Con questa argomentazione non si intende minimizzare nessuna delle evidenze riguardo a “ciò che ren3Ibidem 8 de l’homo sapiens particolare come specie”. Ciò che si vuole sottolineare è una caratteristica che è rimasta fuori dall’elenco per la classificazione dell’homo sapiens come specie peculiare: cioè la sua inclinazione ad una continua attività narrativa. In effetti, noi umani viviamo ancora la nostra vita raccontata in storie, ma il perché di questo rimane ancora un’incognita. A rendere più difficile il disporre di spiegazioni plausibili, sul perché ci ritroviamo sempre impegnati nel racconto, è che la narrazione, difatti, è una di quelle questioni che cadono nel divario tra discipline scientifiche e discipline umanistiche che la nostra cultura stabilisce. Questo divario, riguardo la comprensione del racconto, è così radicale che quasi nessuno si occupa di studiare il territorio di confine in cui si colloca la questione. Da un lato, le discipline umanistiche non dispongono di “strumenti a carattere scientifico”, per affrontare la questione della continua attività narrativa dell’Homo sapiens, che consentano di restringere, pur se faticosamente, il campo delle idee concorrenti con le quali ci procuriamo spiegazioni. Dall’altro, coloro che fanno scienza non considerano la questione degna dalla loro giurisdizione. Ciò che è necessario, tuttavia, è una fusione, ossia mettere insieme metodi, idee, approcci umanistici e scientifici per rispondere alle questioni che pongono la caratteristica evolutiva dell’Homo sapiens riguardo l’ingaggio continuo a raccontare e/o raccontarsi storie. Noi umani, in effetti, sembriamo dipendere dalle narrazioni e l’attività di raccontare e/o raccontarci storie svolge, a quanto pare, pur se ne sappiamo poco o niente, un ruolo cruciale nella vita umana. Questa è un’area di ricerca che merita attenzione per una nuova comprensione di quest’aspetto che contraddistinguerebbe, più degli altri, la nostra specie. Finora, quando gli approcci umanistici hanno considerato la questione della narrazione l’hanno fatto trascurando ogni fondamento nella realtà empirica. Considerando che esiste ogni sorta di narrazione, a qualsiasi quesito circa X, Y o Z, per uno studioso A di talento è molto facile rispondere raccontando una storia meravigliosa e coinvolgente. Le storie così raccontate sono spesso interessanti, molto plausibili, ma il problema è che anche lo studioso B e lo studioso C hanno le loro storie eccellenti e, ugualmente, molto plausibili. Pertanto, anche gli uomini di scienza raccontano le loro storie e, in un certo senso, questa modalità rappresenta ciò che è un’ipotesi. Ossia, da un quesito si configura una storia su come spiega- Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità Retroscena L’argomento che ha impedito di progredire nello studio di questa caratteristica evolutiva dell’homo sapiens, ingaggiato continuamente a raccontare e/o a raccontarsi storie, è sempre stato che nessuno dei criteri differenzianti funziona nelle discipline umanistiche. Sarebbe come dire “non si può andare sulla luna poiché nessuno c’è mai stato”, quando nessuno ci aveva ancora provato. Non è che i metodi empirici non possano essere utilizzati anche nelle discipline umanistiche, succede, però, che abbiamo la tendenza a pensare che questo sia un campo completamente qualitativo e che i metodi qualitativi non possano funzionare nella ricerca di certezze di prevedibilità come attua la scienza. Questo, tuttavia, è falso. Nelle discipline umanistiche si possono trovare studi con metodi empirici abbastanza significativi e, dunque, alcuni studiosi, come JONATHAN GOTTSCHALL,4considerano che entrambi gli approcci, umanistico e scientifico, possano co-esistere, innanzitutto, nel contesto della Post-Modernità. Esula, comunque, dai limiti di questa breve riflessione alla ricerca di un perché l’homo sapiens sia sempre occupato a raccontare e/o a raccontarsi storie, approfondire la questione di un approccio scientifico nel mondo delle discipline umanistiche. L’obiettivo è, semplicemente, esporre la tesi che postula che ciò che ci rende umani è la nostra capacità di immedesimarci nel racconto sia come emittenti che come destinatari. Certamente, l’intenzionalità è questa ma con la consapevolezza che le probabilità che noi riusciamo a capirne qualcosa sono ancora infinitamente piccole. Infatti, una metafora utile a descrivere qualunque nostro tentativo di comprendere come noi umani siamo, è quella del cane che si morde la coda. In ogni modo, sembra esserci stato un graduale miglioramento della nostra comprensione dell’universo e di noi in esso che prima non avevamo e, quindi, ciò che conta è continuare a sperimentare alla ricerca di modelli che possano generare conoscenze più affidabili riguardo gli studi umanistici. Fino allo sviluppo delle neuroscienze sociali, considerate oggi l’approccio più evoluto allo studio della mente, le interpretazioni riguardo la propen- sione alla narrazione dell’uomo erano dominate da teorie psicologistiche e dalle visioni circa la presunta creazione dell’uomo, teorie, naturalmente, precedenti alle interpretazioni evoluzionistiche e costruttiviste della Post-Modernità. Un pioniere nello studio della inclinazione narrativa dell’uomo è Jonathan Gottschall5 che ha introdotto modi di quantificare alcune domande delle discipline umanistiche, sottoponendole poi all’analisi statistica, alla sperimentazione scientifica e anche alla questione della “falsificazione”. 6 A questo nuovo indirizzo ha contribuito enormemente la tecnologia di computazione disponibile, consentendo di eseguire l’analisi di contenuto di racconti popolari da tutto il mondo. Ciò ha permesso di ottenere informazioni strutturali e contenutistiche riguardo un corpus di racconti popolari da circa 100 culture diverse con centinaia di racconti da ogni cultura. Tuttavia, la tensione tra discipline umanistiche e scientifiche è di vecchia data e prosegue, anche se lo scontro tra le due culture si è moderato nella PostModernità. Gli studiosi delle discipline umanistiche sembrano interessati a questioni come i sentimenti, cioè a questioni che sembrano sfuggire alle spiegazioni empiriche che sono, invece, ciò che la disciplina scientifica attua. Perciò, cercare di capire il racconto da una prospettiva scientifica sarebbe, per i puristi delle discipline umanistiche, come ridurlo ad una spiegazione del suo arcano. Altra preoccupazione, nelle discipline umanistiche, ha a che fare con il determinismo e/o il riduzionismo, vale a dire l’idea che qualcosa come la lirica italiana, ad esempio, possa essere liquidata come una questioni di geni egoisti. Nei modelli percettivi umanistici popolari la scienza è vista unicamente come un metodo di ridurre un sistema alle sue parti ma, in effetti, la prospettiva scientifica di “riduzione” altro non è che sviluppare un modello, che spieghi, empiricamente, la questione in esame. In ogni modo, anche se la relazione tra discipline scientifiche e discipline umanistiche è sempre apparsa controversa, le questioni che riguardano entrambe, circa la caratteristica evolutiva dell’homo sapiens impegnato nel raccontare e/o raccontarsi storie, rimangono e aprono alle domande: perché coltiviamo la narrazione? perché raccontiamo e ci raccontiamo storie? perché ci interessiamo tanto alla fiction? In effetti, lo scopo recondito è quello di cercare di interpretare cosa contraddistingua meglio la “specie umana”. 4 JONATHAN GOTTSCHALL, “The Storytelling Animal: How Stories Make Us Human”, Houghton Mifflin Harcourt, New York, 2012 5Ibidem 6 Jonathan Gottschall, Quantitative Literary Study: A Modest Manifesto and Testing the Hypotheses of Feminist Fairy Tale Studies, in “The Literary Animal. Evolution and the Nature of Narrative”, edited by Jonathan Gottschall and David Sloan Wilson. Northwestern University Press, Evanston, Illinois, 2005 Homo sapiens re il caso o il problema stesso. Il vantaggio che le scienze hanno, rispetto alle discipline umanistiche, è che la scienza ha metodo per vagliare e restringere il campo delle ipotesi concorrenti in materia. 9 Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità Retroscena Comunque, le risposte fondamentali vanno cercate a livello empirico. Infatti, la ricerca empirica, circa il perché noi umani ci interessiamo tanto al racconto e alla letteratura in generale, ha consentito di sfatare alcuni luoghi comuni.7 Tra questi si annovera l’idea che leggiamo per la rilevanza culturale dell’autore. La ricerca suggerisce, invece, che noi ci interessiamo al racconto perché nelle vicende raccontate si riflettono i nostri pregiudizi e/o valori, le nostre caratteristiche individuali (sesso, età, background) e, innanzitutto, perché noi siamo in accordo con il significato esistenziale e morale di ciò che attua il racconto. Da premettere che, solitamente, abbiamo le stesse reazioni emotive dinanzi i personaggi, ossia amiamo e/o odiamo i personaggi seguendone le loro attitudini. Così, quando un ampio gruppo è impegnato a leggere lo stesso racconto, ciò che verifichiamo, piuttosto che la diversità di reazioni peculiari di ciascuno, è la straordinaria comunanza mentale ed emotiva. In breve, ciò che la ricerca suggerisce è che ciò che guida la nostra inclinazione al racconto è il nostro adattamento e/o conformità alla simulazione esistenziale attuata nel racconto stesso. Se può sembrarci ovvio che noi umani amiamo i racconti, riflettendoci non è affatto così scontato, soprattutto riguardo la fiction o simulazione. Se torniamo indietro nel tempo, a quando eravamo cacciatori raccoglitori con margini di sopravvivenza molto stretti, si potrebbe pensare che, evolvendosi il linguaggio, troppo tempo ed energia siano state spese in narrazioni e forse sarebbe stato meglio non averne alcuna. Quindi, quale potrebbe essere il vantaggio evolutivo della narrazione? La risposta, forse, è semplicemente nelle nostre mani. Infatti, se ci chiedessimo a cosa servono le nostre mani, potremmo rispondere che sono strumenti multiuso che eseguono cose diverse. Lo stesso è probabilmente vero per la narrazione. Il racconto è stato, probabilmente, modellato da diverse pressioni evolutive per attuare cose diverse ma prevedibili. L’idea sulla quale si concentrano gli studiosi della questione è quella di sviluppare un’ipotesi circa una plausibile funzione del racconto, focalizzandoci nella forma stessa del racconto. In effetti, la domanda è: cosa è, formalmente, il racconto? Infatti, se abbiamo esordito parafrasando questa riflessione, ora si segnala il paradosso tra la visione abbastanza comune che ritiene il racconto sia una forma d’arte creativa e la documentazione degli studiosi in materia che rivela, invece, la sua reale struttura, formale e argomentativa, ripetitiva e conformista. Quindi, il racconto, piuttosto che un mondo di creatività, costituisce un mondo di prevedibilità. I popoli raccontano storie universalmente ed universalmente tutte le storie riguardano le stesse ossessioni umane con la stessa struttura di base, riducibile ad un personaggio che cerca di risolvere una situazione problematica. Perciò si postula che, nei suoi termini basilari, una storia è il racconto della soluzione di un problema da parte di un personaggio. Ma perché le storie raccontate da tutti i popoli sono in questo modo? Da un lato, può sembrare ovvio che le storie sono come sono, cioè focalizzate nella soluzione di un problema. In effetti, questo è ciò che si impara nel primo giorno di lezione di un corso di scrittura creativa dove il professore ti segnala che la tua storia [racconto] deve avere un problema, una crisi, un dilemma da risolvere poiché altrimenti essa non interesserà a nessuno. Ma, dall’altro, non è affatto ovvio che le storie debbano funzionare in questo modo. Ci si potrebbe davvero aspettare di trovare racconti che funzionino come portali di ingresso a paradisi edonistici, paradisi dove non vi sono problemi e il piacere è infinito, ma tali storie sono difficilmente reperibili. Perché le storie che i popoli raccontano sono incentrate sulla soluzione di un problema? Effettivamente, un po’ di convergenza la si trova tra studiosi che interpretano la questione da un punto di vista evoluzionistico. Questi postulano che LE STORIE FUNZIONIANO DA SIMULATORI DI REALTÀ VIRTUALI PER I GRANDI PROBLEMI DELL’ESISTENZA. IL GUADAGNO UMANO È UN CONDIZIONAMENTO ADATTIVO SOCIALE. A conferma di ciò, la ricerca al riguardo sta documentando l’ipotesi che sostiene che queste simulazioni potrebbero aiutare le persone a svolgere meglio alcuni compiti.8 Così, come le simulazioni dei bambini li aiutano ad affinare le loro abilità sociali, sembra che, nello stesso modo, le simulazioni degli adulti procurino gli stessi affetti di miglioramento delle abilità sociali. Se le finzioni degli adulti sono proiettate nelle narrazioni (romanzi, film, etc.) allora 7 Brian Boyd, Joseph Carroll & Jonathan Gottschall. “Evolution, Literature, and Film: A Reader”, Columbia University Press, New York, 2010 Jonathan Gottschall, David Sloan Wilson, E. O. Wilson & Frederick Crews. “The Literary Animal: Evolution and the Nature of Narrative (Rethinking Theory)”. Northwestern University Press, Evanston, 2005 Brain Boyd, “On the Origin of Stories: Evolution, Cognition, and Fiction”, Oxford University Press, London, 2010 8 Joseph Carroll, “Literary Darwinism: Evolution, Human Nature, and Literature”, Routledge, New York, 2004 10 Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità Retroscena quando si assiste e ci si immedesima in quelle simulazioni di dilemmi sociali, ciò migliorerebbe le nostre abilità sociali, la nostra intelligenza emotiva e la nostra empatia. Infatti, ciò che l’ipotesi propone è che i racconti hanno la funzione di simulatori dei problemi esistenziali e ciò ci aiuterebbe ad affrontarli meglio quando li sperimentiamo.9 Cosa dire delle narrazioni che sono eccedono a questa regola? Ciò che si osserva è che le storie che si discostano dalla struttura di base, ciò da un personaggio che cerca di risolvere una situazione problematica, fanno fatica a trovare audience. Tali narrazioni trovano audience soltanto in un’elite accademica, come, ad esempio, in Finnegans Wake di Joyce, dove la struttura tradizionale della storia viene abolita. Molta della narrativa accademica del ventesimo secolo segue il paradigma dell’abolizione della struttura tradizionale del racconto. Se questi sono stati esperimenti eccezionali, essi non hanno prodotto un buon lavoro nel catturare e trattenere l’attenzione umana. Che i racconti (nella loro struttura tradizionale di base, vale a dire il racconto della soluzione di un problema da parte di un personaggio) funzionino come una sorta di simulatori adattativi dei gruppi umani è un’ipotesi che ci suggerisce cautela nella critica perbenista che condanna sommariamente la nostra dipendenza dalla televisione, dal cinema e, anche, da tanta letteratura sentimentale e da tanti giochi elettronici interattivi. Forse, ci alleniamo ad adattarci e ad essere assertivi nei mondi reali in cui abitiamo. Accettare questa possibilità “darwiniana” ci impone anche un compito: distinguere noi come specie e i discorsi idealizzanti circa l’homo sapiens. Forse ciò che ci classifica come specie umana, piuttosto che la trascendenza discorsiva e metafisica, è proprio la nostra capacità di cognizione per simulazione dei dilemmi esistenziali di cui ci rendiamo evolutivamente consapevoli e che riconosciamo come ineluttabili. La Modernità ci aveva fornito come orizzonte di senso caratteristico la nostra razionalità. Le interpretazioni emergenti nella Post-Modernità, basandosi nelle recenti ricerche della biologia e delle neuroscienze, ci consegnano un’idea tassonomica piuttosto modesta: l’uomo come animale con l’istinto di narrare. Ciascuno tragga le proprie conclusioni, certo è, che a prescindere dalle diversità individuali di ognuno, in definitiva, passiamo più tempo immersi in un universo di simulazioni che nel, cosiddetto, mondo reale. Nessun altro animale dipende dalla narrazione quanto l’uomo. Perciò Gottschall parla di un istinto primordiale e perciò le interpretazioni evoluzionistiche di questa caratteristica umana considerano che il nostro istinto a narrare sia un meccanismo di simulazione adattativa attraverso il quale impariamo a gestire i nostri rapporti sociali, esplorando virtualmente, senza ancora viverli in prima persona, i grandi dilemmi esistenziali, esperienza che, comunque, risulta utile nella vita reale. Nel racconto (televisivo, cinematografico, operistico - teatrale, etc.) cementiamo una morale comune che permette alla società - e al bio-potere che la gestisce - di funzionare con un massimo di consenso. 3 Bibliografia Brian Boyd, Joseph Carroll & Jonathan Gottschall. “Evolution, Literature, and Film: A Reader”, Columbia University Press, New York, 2010 Jonathan Gottschall, David Sloan Wilson, E. O. Wilson & Frederick Crews. “The Literary Animal: Evolution and the Nature of Narrative (Rethinking Theory)”. Northwestern University Press, 2005 Jonathan Gottschall. “The Storytelling Animal: How Stories Make Us Human”, Houghton Mifflin Harcourt, New York, 2012 Brain Boyd, “On the Origin of Stories: Evolution, Cognition, and Fiction”, Oxford University Press, London, 2010 Joseph Carroll, “Literary Darwinism: Evolution, Human Nature, and Literature”, Routledge, New York, 2004 Joseph Carroll, “Reading Human Nature: Literary Darwinism in Theory and Practice”, State University of New York Press, NY, 2011 Herman Northrop Frye, Four Essays (1957). Tr. It. Paola Rosa-Clot e Sandro Stratta, Anatomia della critica, Einaudi, Torino, 1969 Homo sapiens 9 Joseph Carroll, “Reading Human Nature: Literary Darwinism in Theory and Practice”, State University of New York Press, NY, 2011 11 Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità Retroscena Coscienza e consapevolezza Rinaldo Octavio Vargas, sociologo & Eugenia D’Alterio, biologa reinterpretate alla luce delle neuroscienze sociali nella post-modernità 4 ■■ La teoria dello schema dell’attenzione sociale Uno dei maggiori ostacoli nella discussione su “coscienza” e “consapevolezza” è il gran numero di definizioni eccentriche al riguardo nel contesto culturale convenzionale.1 Un aspetto particolare circa questa situazione è la mancanza di distinzione tra i due termini ritenuti, erroneamente, uno sinonimo dell’altro. Un modo di distinguere tra “coscienza” e “consapevolezza” è considerare che la coscienza è “inclusiva” (comprendente) e la consapevolezza uno “specifico” significato applicato all’informazione che è insita nella coscienza. Questa modalità di interpretazione richiama due aspetti impliciti. Il primo, riguarda l’informazione processata dal cervello circa la quale si è coscienti. Si è coscienti, ad esempio, della stanza in cui si è, del rumore del traffico stradale, del proprio corpo, dei propri pensieri ed emozioni. Si è coscienti di una gran diversi- tà di informazione ma non di tutta. Il secondo aspetto è quello di essere consapevoli dell’informazione. La questione è che, come accennato, non avendo coscienza di tutta l’informazione, di conseguenza, non a tutta l’informazione fa seguito la consapevolezza. Essere consapevoli di una specifica informazione e in un preciso momento richiede un processo cerebrale addizionale: coscienza e cervello sociale.2 L’idea moderna riguardo la coscienza umana era che questa fosse una “proprietà emergente”3 dall’elaborazione di una certa quantità di informazione a livello cerebrale, coscienza causata, forse, da complessità neuronali e, forse, senza alcuna utilità adattiva. Secondo questo paradigma, dall’informazione poi processata ne derivava la consapevolezza al riguardo. In una tale prospettiva, veniva già fatta una distinzione tra coscienza e la peculiarità umana di averne consapevolezza. 1 Cosa è la coscienza è una domanda che fino ad oggi ha trovato, per lo più, una spiegazione come prodigio umano piuttosto che una spiegazione scientifica. Tornando al passato, da Ippocrate ai neuro scientisti della modernità, la coscienza è prodotta dal cervello. Ciò è probabilmente vero ma non costituisce una spiegazione esauriente. Se per Cartesio la coscienza era causata dalla circolazione di un fluido nel cervello, per Kant era, invece, un dono divino che egli chiamava “forma a priori”. Per varie teorie moderne, la coscienza deriverebbe dalle complesse e mutevoli attività del sistema nervoso, come dalla massiccia rete di connessioni (feedback) di informazioni in aree cerebrali. In definitiva, quando si tratta di spiegare la peculiarità umana della coscienza e quando si tratta di rispondere per quale logica la coscienza stessa accada, esistono un’infinità di ipotesi e tutte condividono un attributo, ossia, tutte puntano ad una sorta di “ prodigio”, associato a svariate narrative metafisiche antropocentriche e teologiche. 2 Michael S. A. Graziano. Consciousness and the social brain. Oxford University Press, New York, 2013 3 J. R. Searle, Mind, Language and Society. Philosophy in the real world. Basic Books, New York, 1999 12 Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità Retroscena Una proposizione di partenza della teoria dello schema dell’attenzione sociale segnala che quando una persona dichiara di essere cosciente di X, qualunque cosa X possa essere (una persona, un oggetto, un colore, una sensazione tattile, un pensiero o un’emozione), l’affermazione dipende da alcuni sistemi nel cervello che devono aver processato l’informazione, in caso contrario, l’informazione non sarebbe disponibile per essere riferita. Non solo l’informazione “oggettiva” rappresentata da X ma, anche, l’essenza della coscienza stessa, la sensazione interiore evocata da X, devono risultare in termini di informazione, diversamente non saremmo in grado di affermare di aver coscienza di qualcosa. In questa ipotesi, la coscienza non è né una proprietà emergente né una emanazione metafisica ma è, essa stessa, informazione processata da un sistema esperto. Questo primo postulato della teoria pone la questione del perché il cervello conterrebbe un sistema neuronale esperto che attua la coscienza. La teoria dello schema dell’attenzione sociale, infatti, cerca di dare una risposta a questo quesito.6 Una seconda proposizione della teoria dello schema dell’attenzione sociale e che noi umani, abitualmente, calcoliamo lo stato di consapevolezza di altre persone. Una parte fondamentale dell’intelligenza sociale è la capacità di calcolare le informazioni del tipo: “Mario è consapevole di X.” Nella nuova visione, la consapevolezza che attribuiamo a un’altra persona deriva dalla nostra ricostruzione dell’attenzione di quella persona. Questa capacità sociale di ricostruire lo stato di attenzione di altre persone è, probabilmente, dipendente da una specifica rete di aree cerebrali che si sono evolute per elaborare l’informazione sociale, anche se l’esatta rappresentazione neuronale dell’intelligenza sociale è ancora in discussione.7 Una terza proposizione della teoria dello schema dell’attenzione sociale è che gli stessi meccanismi che processano le informazioni socialmente rilevanti, del tipo, “Mario è consapevole di X”, processano anche informazioni del tipo “io sono consapevole di X.” Quando facciamo introspezione riguardo la nostra consapevolezza, o prendiamo decisioni circa la presenza o l’assenza della nostra consapevolezza di questa o quella cosa, ci affidiamo agli stessi circuiti cerebrali la cui competenza è di informarci circa lo stato di consapevolezza di altre persone.8 Una quarta proposizione della teoria dello schema dell’attenzione sociale è che la consapevolezza è meglio descritta come un modello percettivo. La consapevolezza non è una proposizione meramente cognitiva o semantica su noi stessi che possiamo verbalizzare ma, invece, è un ricco modello informativo che comprende, tra le altre proprietà processate, 4 A. Graziano & Sabine Kastner. Human consciousness and its relationship to social neuroscience: A novel hypothesis. In “Cognitive Neuroscience”, Vol. 2, Issue 2, pages 98-113, 2011 5 Per la teoria dello schema dell’attenzione sociale, il cervello svolge due funzioni fondamentali. La prima, il cervello utilizza un “metodo” che la maggior parte dei neuroscienziati chiama “attenzione”. Mancando al cervello le risorse per processare tutte le informazioni allo stesso tempo, il cervello focalizza la sua attività di processare delle informazioni in pochi item al contempo. L’attenzione è un accorgimento per la gestione approfondita dell’informazione, per poter processare con cura alcune informazioni a scapito di maggiore informazione. La seconda, il cervello utilizza informazione interna [INTERNAL DATA] per costruire modelli semplificati e schematici degli oggetti e degli eventi nel mondo. Tali modelli possono essere utilizzati per sviluppare previsioni, simulazioni e piani di azione. Cosa succede, però, quando il cervello, come al solito, mette insieme queste due abilità? Nella teoria dello schema dell’attenzione sociale, la “coscienza” è un modello semplificato e schematico del complicato processo di attenzione riguardo la gestione di informazioni. Per di più, il cervello può utilizzare il costrutto della coscienza per modellare il suo stato di attenzione o modellare lo stato di attenzione altrui, cioè per acquisire “consapevolezza”. In teoria, molti degli stessi meccanismi, le stesse regioni del cervello e gli stessi processi di gestione dell’informazione che sono usati in un contesto sociale per attribuire consapevolezza a qualcun altro, sono pure usati su base continua per costruire la nostra consapevolezza e attribuircela. La teoria dello schema dell’attenzione sociale sostiene che percezione sociale e consapevolezza condividano uno stesso substrato. Infatti, la teoria dello schema dell’attenzione sociale spiega la consapevolezza come un meccanismo di rispecchiamento della percezione sociale. 6 Ibidem, pp. 1-2 7 Ibidem, p.2 8 Ibidem, p.2 Coscienza e consapevolezza Nella Post-Modernità, l’interpretazione della coscienza come proprietà emergente è stata, però, messa in discussione dalle neuroscienze sociali in quanto, ancora, non vi è consenso circa ciò che emerge, come emerge e da quale specifico processo neuronale. Le neuroscienze sociali propongono, come possibile spiegazione, che la COSCIENZA sia un “costrutto (modello) del sistema percettivo sociale”, ovvero dell’attenzione. In tale prospettiva, noi umani avremmo sviluppato un sistema neuronale complesso, in primis, per consentirci di costruire modelli mentali per congetturare ciò che accade nella nostra mente e nella mente degli altri e, in questo modo, guadagnare abilità per cercare di intuire i comportamenti altrui. In questa nuova prospettiva, la CONSAPEVOLEZZA sarebbe una ricostruzione percettiva di uno stato di attenzione (coscienza),4 così il cervello può utilizzare il costrutto della coscienza, configurando il suo stato di attenzione e configurando lo stato di attenzione altrui, cioè per acquisire la propria e l’altrui “consapevolezza”. Questa nuova interpretazione, che si sta facendo strada nell’ambito delle neuroscienze sociali, è conosciuta come la teoria dello schema dell’attenzione sociale.5 Essa può essere semplificata in vari punti. 13 Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità Retroscena una struttura spaziale, componente comunemente trascurata o ignorata del tutto riguardo il modello della percezione sociale. La questione riguardo la consapevolezza non è solo quella di costruire un modello circa i pensieri e le emozioni di un’altra persona ma, anche, di collegare quelle attribuzioni mentali a una precisa localizzazione spaziale. Noi non solo ricostruiamo che Mario confida nella propria consapevolezza ma riteniamo che abbia percezione anche di quella degli altri. Inoltre, noi percepiamo tali attributi mentali di Mario come localizzati all’interno di lui stesso e che emanano da lui. L’ipotesi della teoria dello schema dell’attenzione sociale sostiene anche che, attraverso l’uso dei modelli percettivi sociali, si assegna alla proprietà della consapevolezza una localizzazione all’interno di ognuno di noi.9 Infine, la teoria dello schema dell’attenzione sociale ci suggerisce che poiché abbiamo dati più continui e più completi su di noi, il modello percettivo della nostra consapevolezza è più dettagliato e più vicino alla soglia del riconoscimento che i nostri modelli percettivi riguardanti la consapevolezza delle altre persone.10 Ora si svilupperà la teoria sopra sintetizzata esaminando alcune prove disponibili che sono coerenti con essa, ma nessuno degli elementi di prova descritti in questa argomentazione è conclusivo, probabilmente, perché esiste ancora poca evidenza conclusiva nello studio della coscienza e della consapevolezza.11 Eppure, l’evidenza suggerisce una certa plausibilità per l’ipotesi che la consapevolezza sia un costrutto percettivo e che quel modello percettivo sia costruito da una circuiteria o cervello sociale, ossia ciò avverrebbe proprio at- traverso la percezione del comportamento degli altri e l’attribuzione di significato sociale all’informazione processata. 5 ■■ Coscienza e abilità sociali L’ipotesi che la coscienza sia strettamente correlata alle abilità sociali è stata suggerita in precedenza in molte forme, includendo il suggerimento che il “pensiero cosciente” serva per facilitare l’interazione sociale e culturale in quanto la simulazione mentale serve ad interfacciare la dimensione umana, animale e culturale.12 Gli esseri umani hanno un sistema neuronale che contribuisce, a quanto pare, a costruire modelli riguardo la mente degli altri.13 Questa “circuiteria” potrebbe anche contribuire a costruire un modello della propria mente.14 La possibilità di processare informazione esplicita e riferibile sulle nostre emozioni, sui nostri pensieri e obiettivi e sulle nostre credenze, applicando il modello percettivo dell’attenzione sociale su noi stessi, ci consente, potenzialmente, di spiegare la conoscenza di sé. 9 Ibidem, p.2 10 Ibidem, p.2 11 Il termine coscienza è inclusivo e si riferisce sia all’informazione circa la quale si è consapevole che al processo di esserne consapevole. Coscienza è il termine più generale e consapevolezza il più specifico. La coscienza include la totalità dell’esperienza personale ad ogni momento mentre la consapevolezza comporta solo l’atto della specifica esperienza di attribuzione di significato ad un modello percettivo elaborato dalla coscienza stessa. 12 RF Baumeister, EJ Masicampo. Conscious Thought Is for Facilitating Social and Cultural Interactions: How Mental Simulations Serve the Animal-Culture Interface. In “Psychological Review”, Vol. 117, No. 3, pp. 945-971, 2010 P. Carruthers. How we know our own minds: The relationship between mindreading and meta-cognition. In “Behavioral and Brain Sciences”, Vol. 32, Issue 02, pp. 121–182. April 2009 N. Humphrey. Consciousness Regained: Chapters in the Development of Mind. Oxford University Press, Oxford, 1983 RE Nisbett & TD Wilson. Telling More Than We Can Know - Verbal Reports on Mental Processes. In “Psychological Review”, Vol. 84, No. 3, pp. 231–259, 1977 13 E Brunet, Y Sarfati, MC Hardy-Baylé & J Decety. A PET investigation of the attribution of intentions with a nonverbal task. In “NeuroImage”, Vol. 11. Issue 2, pp. 157-166, 2000. A Ciaramidaro, M Adenzato, I Enrici, S Erk, L Pia, BG Bara & H Walter. The intentional network: how the brain reads varieties of intentions. In “Neuropsychologia”, Vol. 45, No. 13, pp.3105–3113, Oct. 2007 Hl Gallagher, F Happé, N Brunswick, PC Fletcher, U Frith & CD Frith. Reading the mind in cartoons and stories: an fMRI study of ‘theory of mind’ in verbal and nonverbal tasks. In “Neuropsychologia”, Vol 38, No. 1, pp.11–21. January 2000 D. Samson, IA Apperly, JJ Braithwaite, BJ Andrews & SE BodleyScott. Seeing it their way: evidence for rapid and involuntary computation of what other people see. Journal of Experimental Psychology Human Perception and Performance. Vol. 36, No. 5, pp. 1255–1266, Oct 2010 R Saxe & N Kanwisher. People thinking about thinking people: fMRI investigations of theory of mind. In “NeuroImage”, Vol. 19, Issue 4, pp. 1835-1842, August 2003 R Saxe & A Wexler. Making sense of another mind: the role of the right temporo-parietal junction. In “Neuropsychologia”, Vol. 43, Issue 10, pp.1391–1399. 2005 14E Brunet, Y Sarfati, MC Hardy-Baylé & J Decety. A PET investigation of the attribution of intentions with a nonverbal task. In “NeuroImage”, Vol. 11. Issue 2, pp. 157-166, 2000. A Ciaramidaro, M Adenzato, I Enrici, S Erk, L Pia, BG Bara & H Walter. The intentional network: how the brain reads varieties of intentions. In “Neuropsychologia”, Vol. 45, No. 13, pp.3105–3113, Oct. 2007 Hl Gallagher, F Happé, N Brunswick, PC Fletcher, U Frith & CD Frith. Reading the mind in cartoons and stories: an fMRI study of ‘theory of mind’ in verbal and nonverbal tasks. In “Neuropsychologia”, Vol 38, No. 1, pp.11–21. January 2000 segue nota 14 14 Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità Retroscena Gli approcci sociali alla coscienza non sono i soli in queste difficoltà. Altre teorie della coscienza soffrono di limitazioni simili. Un settore importante del pensiero sulla coscienza si concentra sulla massiccia integrazione di informazione a livello cerebrale. Ad esempio, nella sua Global Workspace Theory, Bernard Baars è stato uno dei primi a porre un pool unificato di informazione a livello cerebrale che forma il contenuto della coscienza.18 Un possibile meccanismo per allacciare l’informazione tra le regioni cerebrali, attraverso l’attività sincronizzata dei neuroni, è stato proposto da Singer e colleghi.19 Poco dopo il primo rapporto di Singer e colleghi, Crick e Koch20 hanno suggerito che quando l’informazione è tenuta insieme da una regione all’altra della corteccia cerebrale, attraverso l’attività sincronizzata dei neuroni, avviene la coscienza. Molti altri hanno proposto 15 16 17 18 19 20 21 22 23 teorie che includono o approfondiscono l’ipotesi di base che la coscienza dipenda del legame con l’informazione.21 Tutti questi approcci riconoscono che il contenuto della coscienza comprende una grande complessità di informazioni interconnesse. Ma nessuno degli approcci spiega come sia possibile che ci rendiamo conto di tali informazioni, cioè come ne diventiamo consci. Che cosa è esattamente l’essenza interiore e la sensazione della coscienza che sembrano essere collegate alle informazioni? In questa argomentazione si propone che le aree cerebrali specializzate nell’attenzione sociale provvedano alla percezione di coscienza.22 La proposta non necessariamente entra in contraddizione con resoconti precedenti. Essa si potrebbe intendere come un modo di collegare teorie sociali della coscienza con le teorie in cui la coscienza dipende dal mettere insieme delle informazioni. ■■ La consapevolezza come costrutto della percezione sociale Se la coscienza è associata ad uno “spazio di lavoro globale”, 23 o ad un insieme di informazioni associate che abbracciano molte aree corticali, come tanti altri hanno suggerito, nella presente proposta l’ingrediente di consapevolezza, aggiunto al set di informazione complessiva, è anche esso fornito dal meccanismo della percezione sociale. In particolare, si propone che la consapevolezza sia un ricco modello descrittivo del processo di attenzione sociale. D. Samson, IA Apperly, JJ Braithwaite, BJ Andrews & SE BodleyScott. Seeing it their way: evidence for rapid and involuntary computation of what other people see. Journal of Experimental Psychology Human Perception and Performance. Vol. 36, No. 5, pp. 1255–1266, Oct 2010 R Saxe & N Kanwisher. People thinking about thinking people: fMRI investigations of theory of mind. In “NeuroImage”, Vol. 19, Issue 4, pp. 1835-1842, August 2003 R Saxe & A Wexler. Making sense of another mind: the role of the right temporo-parietal junction. In “Neuropsychologia”, Vol. 43, Issue 10, pp.1391–1399. 2005 F Crick & C Koch. Toward a neurobiological theory of consciousness. In “Seminars in the Neurosciences”, Vol. 2, pp. 263-275, 1990 N Block. How can we find the neural correlates of consciousness? In “Trends in Neurosciences”, Vol. 19, Issue 11, pp. 456-459. November 1996 D Chalmers. Facing up to the problem of consciousness. In “Journal of Consciousness Studies”, Vol. 2, Issue 2, pp. 200–219, 1995 BJ Baars. Conscious contents provide the nervous system with coherent, global information. In: Davidson RJ, Schwartz GE, Shapiro D, editors. In “Consciousness and Self Regulation”. Vol. 3, pp. 41-79, 1983 J Newman, BJ Baars. A neural attentional model for access to consciousness: a global workspace perspective. In “Neural Networks”, Vol. 10, No. 7, pp. 1195–1206, 1997 Engel AK, Singer W. Temporal binding and the neural correlates of sensory awareness. In “TRENDS in Cognitive Sciences”, Vol. 5, No. 1, pp. 16-25, January 2001 Crick & Koch, op. cit. 1990 VA Lamme. Towards a true neural stance on consciousness. In “TRENDS in Cognitive Sciences”, Vol.10, No.11, pp. 494-501, Nov. 2006 G. Tononi. Consciousness as integrated information: a provisional manifesto. In “Biological Bulletin”, Vol. 215, No. 3, pp. 216–242. December 2008 MSA Graziano. God, Soul, Mind, Brain: A Neuroscientist’s Reflections on the Spirit World. Leapfrog Press, Teaticket MA, 2010. La Teoria dello Spazio di Lavoro Globale [GLOBAL WORKSPACE THEORY / GWT] è una semplice architettura cognitiva o modello sviluppato da Bernard Baar alla fine del secolo scorzo per tener conto, qualitativamente, di un ampio insieme di coppie corrispondenti di processi consci e inconsci. Le interpretazioni del cervello e le simulazioni dei processi dell’informazione costituiscono il focus di questo filone di ricerca. La GWT assomiglia al concetto di “memoria di lavoro” ed è stato proposto come corrispondente ad un evento, momentaneamente attivo e soggettivamente esperito, nella “memoria di lavoro”- quel dominio interiore in cui possiamo ripeterci numeri telefonici a noi stessi o in cui portare avanti la narrazione delle nostre vite che include il discorso interno e l’immaginario visivo. Il modo più semplice di pensare alla GWT è in termini di una metafora teatrale. Nel teatro della coscienza un “riflettore dell’attenzione selettiva” diffonde luce su un punto luminoso sul palco scenico. Il punto luminoso svela I contenuti della coscienza con attori che entrano e escono dalla scena sviluppando discorsi e interagendo tra loro. Il pubblico è al buio (cioè inconscio) a guardare la recita. Dietro le quinte, al buio, ci sono il direttore (i processi esecutivi), i sceneggiatori e simili. Essi plasmano le attività visibili nel punto luminoso ma sono invisibili. Baars sostiene che questo modello sia diverso del teatro cartesiano, dal momento che non si basa sul presupposto dualistico di “qualcuno” che vede il teatro e non è localizzato in un unico luogo nella mente. La GWT comporta un ricordo fugace con una durata di pochi secondi (molto più brevi rispetto ai 10-30 secondi della classica “memoria di lavoro”). I contenuti della GWT sono proposti come corrispondenti a ciò di cui siamo consapevoli e sono trasmessi ad una moltitudine di processi cerebrali cognitivi inconsci, che viene chiamata la ricezione dei processi. Coscienza e consapevolezza È stato sottolineato, tuttavia, che la conoscenza di sé non spiega facilmente la coscienza.15 Premesso di aver conoscenza di sé e che costruiamo una narrazione per spiegare il nostro comportamento, come esattamente diventiamo consapevoli di tale informazione e come la coscienza si estende ad altri settori di informazione come i colori, suoni e sensazioni tattili? La costruzione di modelli circa i propri processi mentali potrebbe essere classificata come “accesso alla coscienza” e come opposto a “coscienza fenomenica”.16 Questo aspetto potrebbe essere considerato la parte “semplice del problema” della coscienza, ossia determinando l’informazione di cui siamo a conoscenza, piuttosto che del “problema difficile” di stabilire come ci si rende conto di essa.17 15 Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità Retroscena Le nuove tendenze nelle scienze cognitive si sono interessate allo studio del rapporto tra attenzione e consapevolezza.24 Entrambe sono quasi sempre covarianti (l’una varia in correlazione all’altra) ma, in alcune circostanze, è possibile “attenzionare” ad uno stimolo e allo stesso tempo non esserne consapevoli.25 La consapevolezza, quindi, non è la stessa cosa dell’attenzione (coscienza) anche se possano sembrare la stessa cosa. La spiegazione che qui si propone è che la consapevolezza è un modello percettivo di attenzione. Come la maggior parte dei modelli informativi, secondo la teoria dello schema dell’attenzione sociale, questo modello percettivo non è una trascrizione letterale della cosa che rappresenta. Tale modello costituisce una sorta di imitazione che eccede l’informazione utile necessaria. Lo scopo, infatti, non è quello di fornire al cervello un resoconto scientificamente accurato di percezione, ma di processare solo quelle informazioni “utili” a guidare il comportamento. Probabilmente uno dei compiti più elementari dell’attenzione sociale è di percepire il centro dell’attenzione di qualcun altro. Il comportamento di un individuo è trainato soprattutto dagli elementi attualmente messi a fuoco dalla sua attenzione. Quindi, ad esempio, percepire e realizzare che qualcuno è attento ad uno specifico stimolo (visivo, un suono, un’idea o una precisa emozione), fornisce informazione critica circa la sua consapevolezza in funzione della previsione del suo comportamento. L’importanza di realizzare (percepire) lo stato di attenzione di qualcun altro è stata sottolineata da molti studiosi in materia, e costituisce la base per un corpo di lavoro su ciò che è chiamata “attenzione sociale”.26 Uno dei segnali visivi usati per percepire lo stato di attenzione di qualcun altro è la direzione dello sguardo. I neuroni che rappresentano la direzione dello sguardo di qualcun altro sono stati segnalati nelle regioni corticali ritenute che contribuiscano alla percezione sociale tra cui, in particolare, il Solco Temporale Superiore [SUPERIOR TEMPORAL SULCUS] presente negli umani come nelle scimmie.27 Lo sguardo non è, naturalmente, l’unico spunto. Una varietà di altri indizi, quali l’espressione del viso, la postura del corpo e la vocalizzazione, presumibilmente, contribuiscono a percepire il centro dell’attenzione di qualcun altro. Nell’ipotesi qui proposta, quando costruiamo un modello percettivo circa il fuoco di attenzione di qualcun altro, quel modello informativo descrive una consapevolezza diretta a un elemento particolare che origina in quella persona. In questa ipotesi, il cervello “calcola”, esplicitamente, un costrutto di consapevolezza, e la consapevolezza è la ricostruzione percettiva dell’attenzione altrui. La figura 1 fornisce un esempio per spiegare meglio quest’ipotesi di relazione tra attenzione e consapevolezza. Roberto Roberto percepisce che Mario è consapevole della tazza Mario Tazza Attenzione visiva di Mario sulla tazza Figura 1 La consapevolezza come modello percettivo dell’attenzione sociale. Mario focalizza la sua attenzione visiva sulla tazza. Roberto, osservando Mario, costruisce un modello dello stato percettivo di Mario usando un sistema neuronale per l’attenzione sociale. Parte di questo modello è la proposizione: Mario è consapevole della tazza. In questa formulazione, la consapevolezza è una proprietà percettiva che è costruita per rappresentare lo stato di attenzione altrui. Noi percepiamo la consapevolezza nelle altre persone e usiamo lo stesso sistema neuronale della percezione sociale per percepire la nostra consapevolezza. Nella figura 1, Roberto guarda Mario e Mario guarda la tazza di caffè. In primo luogo, si prenda in considerazione Mario, la cui attenzione visiva è focalizzata sulla tazza. Ora è possibile fornire un resoconto abbastanza dettagliato dell’attenzione visiva, che può essere descritta come un processo attraverso il quale una rappresentazione di uno stimolo esubera 24 S Dehaene, JP Changeux, L Naccache, J Sackur & C Sergent. Conscious, preconscious, and subliminal processing: a testable taxonomy. In “Trends in Cognitive Sciences”, Vol. 10, Issue 5, pages 204-211, May 2006 C Koch & N Tsuchiya. Attention and consciousness: two distinct brain processes. In “Trends in Cognitive Sciences”, Vol. 11, Issue 1, pages 16-22, January 2007 25 Y Jiang, P Costello, F Fang, M Huang & S He. A gender- and sexual orientation-dependent spatial attentional effect of invisible images. In “Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America”, Vol. 103, No. 45, pages 17048-17052, November 2006 26 E Birmingham & A Kingstone. Human social attention: A new look at past, present, and future investigations. In “Annals of the New York Academy of Sciences”, Vol. 1156, pages 118–140, March 2009 A Frischen, AP Bayliss & SP Tipper. Gaze cueing of attention: visual attention, social cognition, and individual differences. In “Psychological Bulletin”, Vol. 133, Issue 4, pages 694–724, Jul 2007 L Nummenmaa & AJ Calder. Neural mechanisms of social attention. In “Trends in Cognitive Sciences”, Vol 13, Issue 3, pages 135–143, March 2009 D Samson et al, op. cit. 2010 27 AJ Calder, AD Lawrence, J Keane, SK Scott, AM Owen, I Christoffels & AW Young. Reading the mind from eye gaze. In “Neuropsychologia”, Vol. 40, Issue 8, pages 1129–1138, 2002 EA Hoffman & JV Haxby. Distinct representations of eye gaze and identity in the distributed human neural system for face perception. In “Nature Neuroscience”, Vol. 3, Issue 1, pages 80–84. Jan 2000 16 Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità Retroscena ■■ Il modello dello schema della percezione sociale riguardo il processo dell’attenzione Nella figura 1, il sistema visivo di Mario costruisce un modello percettivo della tazzina di caffè che vince la contesa per l’attenzione. Consideriamo ora Roberto, il cui sistema per la percezione sociale costruisce un modello dell’attenzione di Mario. Questo modello include, tra le altre proprietà, tre tipi di informazioni. La prima, è presente la consapevolezza. La seconda, la consapevolezza emana da Mario. La terza, l’attenzione di Mario è diretta in modo spazialmente specifico nella posizione della tazza. Queste proprietà - l’attenzione e la consapevolezza e le localizzazioni spaziale a cui ci si riferiscono - sono costrutti percettivi del cervello di Roberto sullo stato di attenzione di Mario. In questa formulazione, l’attenzione visiva di Mario è un evento percepibile e la consapevolezza di Roberto è la controparte percettiva sociale di Roberto stesso. Si presti attenzione alla distinzione tra la realtà (il processo dell’attenzione di Mario) e la rappresentazione percettiva della realtà (la percezione di Roberto che Mario sia consapevole della tazza). La realtà è molto complessa. Essa comprende la fisica della luce che penetra l’occhio, l’orientamento del corpo e dello sguardo di Mario, e di un ampio insieme di processi neuronali nel cervello di Roberto e Mario. La rappresentazione percettiva di quella realtà è molto più semplice, contenendo una proprietà della consapevolezza amorfa e un po’ eterea che può essere spazialmente localizzata almeno vagamente in Mario e che, emana da Mario verso l’oggetto della sua attenzione (la tazza).29 Il modello percettivo è semplice, facile, ma utile per tenere traccia dello stato di attenzione di Mario e, quindi, per contribuire a predire il comportamento di Mario. Come in ogni percezione, la percezione della consapevolezza è utile piuttosto che accurata. Si consideri ora la situazione dal punto di vista di Mario. Una persona non è mai al di fuori di un contesto sociale poiché esso, essendo interiorizzato, è sempre con la persona che può sempre usare il suo considerevole sistema sociale percettivo per percepire, analizzare e rispondere a domande su se stesso. Mario concentra la sua attenzione visiva sulla tazza di caffè. Mario costruisce anche un modello del processo di attenzione. Il modello include le informazioni: la consapevolezza è presente; la consapevolezza emana da Mario stesso; la consapevolezza è rivolta alla tazza. Se gli si chiedesse: “Sei a conoscenza della tazza?” Mario può, cognitivamente, eseguire la scansione del contenuto di questo modello e su questa base rispondere: “Sì”. Se si chiedesse a Mario che cosa egli intenda, esattamente, circa la sua consapevolezza riguardo la tazza, egli può nuovamente effettuare la scansione del modello informativo, estrarre proprietà da questo modello e riferire qualcosa come “La mia consapevolezza è un sentimento, una vivacità, una requisizione mentale dello stimolo visivo. Avverto che la mia consapevolezza è localizzata dentro di me. In un certo senso essa è me che apprende qualcosa.” Questa sintesi rispecchia il modello dello schema della percezione sociale riguardo il processo dell’attenzione. La consapevolezza, in questa prospettiva, è la parte dell’intelligenza sociale che in ognuno di noi percepisce il proprio centro di attenzione. Si tratta di una rappresentazione di secondo grado di attenzione. In questo senso l’ipotesi può sembrare molto simile alle proposte che coinvolgono meta-cognizione.30 La meta cognizione generalmente si riferisce ad una conoscenza semantica sui propri processi mentali, vale a dire al processo cosiddetto “pensare di pensare”. La proposta qui, però, è diversa. Mentre le persone hanno una conoscenza semantica circa i loro 28 DM Beck & S Kastner. Top-down and bottom-up mechanisms in biasing competition in the human brain. In “Vision Research”, Vol. 49, Issue 10, pages 1154–1165, May 2009 29 JE Cottrell & GA Winer. Fundamentally Misunderstanding Visual Perception Adults’ Belief in Visual Emissions. In “American Psychologist”, Vol. 57, No. 6/7 pages 417-424, Jun/Jul 2002 CG Gross. The fire that comes from the eye. In “The Neuroscientist”, Vol. 5, Issue 1, pages 58–64, January 1999 30 P. Carruthers, op. cit. 2009 A Pasquali, B Timmermans & A Cleeremans. Know thyself: Metacognitive networks and measures of consciousness. In “Cognition”, Vol. 117, Issue 2, pages 182–190. Nov 2010 Coscienza e consapevolezza una competizione neuronale con altre rappresentazioni.28 La competizione neuronale può essere influenzata da una varietà di segnali. Ad esempio, nel caso dei segnali cosiddetti bottom-up, come la luminosità o l’improvvisa comparsa di uno stimolo, lo stimolo può guadagnare la forza del segnale a scapito delle altre rappresentazioni. Allo stesso modo, i segnali top-down che enfatizzano regioni di spazio o che enfatizzano certe forme o colori possono essere in grado di spingere la concorrenza a favore dello stimolo di una o di un’altra rappresentazione. Una volta che una rappresentazione di uno stimolo emerge, e la sua potenza del segnale viene amplificata, questo stimolo è più probabile che guidi il comportamento. Questo processo di auto-organizzazione è sempre in azione in quanto una o un’altra rappresentazione domina, temporaneamente, la competizione. 17 Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità Retroscena stati di attenzione, ciò che viene qui proposto è in particolare la presenza di un ricco modello percettivo descrittivo dello stato di attenzione che, come la maggior parte delle percezioni, viene “calcolato” [COMPUTED] involontariamente e continuamente aggiornato. Quando riusciamo a ottenere un accesso cognitivo a quel modello percettivo e lo riassumiamo in parole, riportiamo questa esperienza come coscienza. Al riguardo, Block31 distingue tra “coscienza fenomenica” e “coscienza di accesso”. Mettendo a confronto il modello dell’attenzione sociale con l’ipotesi di Block, la rappresentazione percettiva dello stato di attenzione è simile alla coscienza fenomenica, mentre l’accesso cognitivo a tale rappresentazione, che ci consente la conoscenza semantica astratta e di riferire su di essa, è simile alla coscienza di accesso. ■■ Per capire la propria e l’altrui dietro di noi, e la percezione che la consapevolezza è diretta ad un oggetto specifico. Questa percezione aiuta a dimostrare che la consapevolezza non è solo qualcosa che un cervello elabora come un suo prodotto – nel senso sono consapevole di questo o quello - ma qualcosa che un cervello può riconoscere come proveniente da un’altra fonte. Nella presente argomentazione, la consapevolezza è una proprietà percettiva che può essere attribuita alla mente di qualcun altro o alla propria mente. Fonte della percezione Focus della percezione Figura 2 Percezione che qualcuno dietro di noi ci stia ad osservare. consapevolezza Ora si propone una similitudine tra percepire la consapevolezza di qualcun altro e percepire la propria consapevolezza. Entrambi i processi sono ritenuti essere percezioni sociali dipendenti dagli stessi meccanismi neuronali. Ma noi davvero percepiamo la consapevolezza di qualcun altro nello stesso modo che percepiamo la nostra, oppure noi meramente riconosciamo, in senso astratto o cognitivo che sia, che l’altra persona è probabilmente consapevole di qualcosa? In una conversazione faccia a faccia con un’altra persona, tante percezioni e modelli cognitivi sono presenti per quanto riguarda il suo tono della voce, l’espressione del viso, la gestualità e il significato semantico delle parole, tant’è che è difficile isolare l’esperienza percettiva specifica della consapevolezza dell’altra persona. Eppure c’è una circostanza in cui le percezioni estranee sono ridotte al minimo e la percezione della consapevolezza di qualcun altro su un determinato elemento è relativamente isolata e quindi più evidente. Questa circostanza è illustrata in figura 2. Chiunque ha familiarità con la sensazione inquietante che qualcuno ci sta osservando da dietro. Presumibilmente costruita su livelli di indizi sensoriali inferiori, come ombre o suoni sottili, la percezione di un soggetto che si trova dietro di noi e che è a conoscenza di noi è un tipo di percezione sociale e un caso particolarmente autentico del modello della percezione sociale sulla costruzione della consapevolezza. Nell’esempio citato, la sensazione inquietante comprende una miscela di tre componenti: la percezione che è presente la consapevolezza, la percezione che la consapevolezza emana da un luogo più o meno localizzato 31 N Block, op. cit. 1996 18 L’attuale ipotesi emerge dalla constatazione che il modello della percezione sociale non è solo ricostruire i pensieri, le credenze o le emozioni di qualcun altro, ma anche determinare lo stato di attenzione di qualcun altro. L’informazione sull’attenzione di qualcun altro è utile nel prevedere il comportamento probabile, momento per momento, della persona in oggetto. Il sistema del modello percettivo sociale indica che Mario è consapevole di questo, di quello e dell’altro. Pertanto, il modello di percezione sociale, se applicato a noi stessi, non solo fornisce una descrizione dei propri pensieri interiori, delle proprie credenze e dei propri sentimenti, ma fornisce, anche, una descrizione della consapevolezza di altri elementi (Mario) nell’ambiente esterno. È per questo motivo che la consapevolezza di qualunque cosa, come di un colore o di un suono o un odore, e non solo quella di sé stessi, può essere intesa come un calcolo o costrutto sociale. Gli esempi riportati sopra si focalizzano sull’attenzione visiva e sulla consapevolezza visiva. Il concetto, tuttavia, è generale. Nell’esempio in figura 1, Mario potrebbe altrettanto bene mettere la sua attenzione su un suono, una sensazione, un pensiero, un’intenzione di movimento, oppure su molti altri eventi cognitivi, emozionali e sensoriali. Nella ipotesi dello schema dell’attenzione sociale, la consapevolezza è la ricostruzione percettiva dell’attenzione e, quindi, tutto ciò che può essere oggetto di attenzione può anche essere oggetto di consapevolezza. Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità Retroscena e della cognizione Le neuroscienze sociali probabilmente ebbero inizio con la scoperta di Gross e i suoi colleghi di neuroni collegati a cellule della mano e del viso nella corteccia temporale inferiore delle scimmie.32 Ulteriori lavori indicarono che un’area corticale vicina, l’area temporale superiore poli-sensoriali (Superior Temporal Polysensory: STP), contiene un’alta percentuale di neuroni collegati a stimoli visivi socialmente rilevanti, compresi i volti, il movimento biologico dei corpi e delle membra e la direzione dello sguardo.33 Negli esseri umani, attraverso l’uso di risonanza magnetica funzionale (fMRI), una regione che risponde maggiormente alla vista di facce, oggetti cromatici e parole, che ad altre Informazioni, è stata individuata nella circonvoluzione fusiforme.34 Altre ricerche35 hanno individuato aree del solco temporale superiore umano (STS) che diventano attive durante la percezione della direzione dello sguardo e del movimento biologico come i movimenti facciali e i momenti di raggiungimento. Questa documentazione riguardo le scimmie e gli umani suggerisce che il sistema visivo dei primati contiene un insieme di aree corticali che si specializza nel trattamento di segnali sensoriali legati ai volti e ai gesti che sono rilevanti per l’intelligenza sociale. Altri studi nel campo delle neuroscienze sociali hanno esaminato un aspetto, più cognitivo, riguardo l’intelli- genza sociale, definito, a volte, la “teoria della mente.”36 L’assioma di base di questa teoria è che le attività che consentono la costruzione di modelli circa gli aspetti cognitivi altrui coinvolgono una serie di aree corticali, tra cui il Solco Temporale Superiore (STS), la Giunzione Temporo-Parietale (TPJ) e la corteccia prefrontale mediale (MEDIAL PREFRONTAL CORTEX), con una maggiore, ma non esclusiva, attivazione nell’emisfero destro.37 I ruoli relativi di queste aree nel modello della percezione sociale e della cognizione sono ancora in discussione. È stato suggerito che la Giunzione Temporo-Parietale (TPJ) è selettivamente sollecitata durante l’esecuzione dei processi mentali che richiedono la costruzione di modelli riguardo le credenze altrui.38 Questi processi sono quelli presi in considerazione dalla cosiddetta Teoria della Mente. Questa teoria intende spiegare il funzionamento strutturale dei processi mentali che attribuiscono stati mentali, quali credenze, intensioni, desideri, simulazione, conoscenza ecc, sia a se stessi come agli altri e che consentono di comprendere che gli altri hanno credenze, desideri e intensioni che sono diversi dalla propria. I danni nella Giunzione Temporo-Parietali sono, infatti, associati alle insufficienze nei ragionamenti prese in considerazioni dalla teoria della mente.39 È stato sostenuto che il Solco Temporale Superiore (STS), adiacente alla Giunzione Temporo-Parietale, svolga un ruolo nella percezione delle intenzioni altrui.40 Il solco temporale superiore non solo è attivo 32 CG Gross, DB Bender & CE Rocha-Miranda. Visual receptive fields of neurons in inferotemporal cortex of the monkey. In “Sciences, New Series”, Vol. 166, No. 3910, pp. 1303-1306, Dec. 1969 R Desimone, TD Albright, CG Gross & C Bruce. Stimulus-selective properties of inferior temporal neurons in the macaque. In “The Journal of Neuroscience”, Vol. 4, No. 8, pp. 2051-2062, August 1984 33 NE Barraclough, D. Xiao, MW Oram, DI Perrett. The sensitivity of primate STS neurons to walking sequences and to the degree of articulation in static images. In “Progress in Brain Research”. Vol. 154, pp. 135–148. 2006 T Jellema & DI Perrett. Neural representations of perceived bodily actions using a categorical frame of reference. In “Neuropsychologia”, Vol. 44, Issue 9, pages 15351546. 2006 34 N Kanwisher, J McDermott & MM Chun. The fusiform face area: a module in human extrastriate cortex specialized for face perception. In “Journal of Neuroscience”, Vol. 17, issue 11, pages 4302–4311. June 1997 35 E Grossman, M Donnelly, R Price, D Pickens, V Morgan, G Neighbor & R Blake. Brain areas involved in perception of biological motion. In “Journal of Cognitive Neuroscience”, Vol. 12, Issue 5, pages 711–720. Sept 2000 KA Pelphrey, JP Morris, CR Michelich, T Allison & G McCarthy. Functional anatomy of biological motion perception in posterior temporal cortex: an FMRI study of eye, mouth and hand movements. In “Cerebral Cortex”. Vol. 15, Issue 12, pages 1866–1876, Dec 2005 JC Thompson, JE Hardee, A Panayiotou, D Crewther & A Puce. Common and distinct brain activation to viewing dynamic sequences of face and hand movements. In “NeuroImage” Vol. 37, Issue 3, pages 966–973. Sept 2007 36 Uta Frith, Christopher D. Frith. Development and neurophysiology of mentalizing. In “Philosophical Transactions of The Royal Society B Biological Sciences”, Vol. 358, No. 1431, pp. 459-473, March 2003 David Premack & Guy Woodruff. Does the chimpanzee have a theory of mind? In “Behavioral and Brain Sciences”, Vol. 1, Issue 04, pp. 515-526, December 1978 37 E Brunet, Y Sarfati, MC Hardy-Baylé & J Decety, op. cit. 2000 A Ciaramidaro, M Adenzato, I Enrici, S Erk, L Pia, BG Bara & H Walter, op. cit. 2007 R Saxe & A Wexler, op. cit. 2005 38 R Saxe & N Kanwisher, op. cit. 2003 R Saxe & A Wexler, op. cit. 2005 39 IA Apperly, D Samson, C Chiavarino & GW Humphreys. Frontal and temporo-parietal lobe contributions to theory of mind: neuropsychological evidence from a falsebelief task with reduced language and executive demands. In “Journal of Cognitive Neuroscience”, Vol. 16, Issue 10, pp. 1773–84, Dec 2004 D Samson, Ian Apperly, C Chiavarino & GW Humphreys. Left temporoparietal junction is necessary for representing someone else’s belief. In “Nature Neuroscience”, Vol. 7, Issue 5, pp. 499–500, May 2004 E Weed, W McGregor, J Feldbaek Nielsen, A Roepstorff & U Frith. Theory of Mind in adults with right hemisphere damage: What’s the story? In “Brain & Language”, Vol. 113, Issue 2, pp. 65–72, May 2010 40 SJ Blakemore, P Boyer, M Pachot-Clouard, A Meltzoff, C Segebarth, J Decety. The detection of contingency and animacy from simple animations in the human brain. In “Cerebral Cortex”, Vol. 13, Issue 8, pp. 837–844, Aug 2003 segue a pag. seg. Coscienza e consapevolezza ■■ Il modello della percezione sociale 19 Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità Retroscena durante l’atto biologico della visione passiva, ma l’attività distingue tra le “azioni orientate ad uno scopo”, come riuscire ad afferrare un oggetto, e le “azioni non orientate ad uno scopo”, come i movimenti del braccio che non sono orientati ad afferrare qualcosa.41 Anche quando si osservano semplici forme geometriche che si muovono sullo schermo di un computer, gli atti motori che vengono percepiti come intenzionali attivano il Solco Temporale Superiore, mentre quelli che avvengono in modo meccanico non l’attivano.42 Il ruolo della corteccia media pre-frontale non è ancora chiaro. Esso è, comunque, costantemente coinvolto nei processi della percezione sociale e nei processi mentali che richiedo la costruzione di modelli riguardo gli stati mentali altrui (Teoria della Mente)43, ma le lesioni nella corteccia media pre-frontale non causano un chiaro deficit nei ragionamenti coinvolti nella cosiddetta Teoria della Mente, cioè nella costruzione dei modelli riguardo gli stati mentali e le intenzionalità altrui.44 Alcune speculazioni sul ruolo della corteccia media prefrontale, secondo il modello della cognizione sociale, suggeriscono che una rete di aree corticali, principalmente ma non esclusivamente nell’emisfero destro, collettivamente costruiscono modelli delle menti altrui. Diverse aree all’interno di questo cluster possono evidenziare diversi aspetti del modello, anche se sembra probabile che le aree interagiscono in modo cooperativo. Il punto di vista che la percezione e la cognizione sociale si evidenzino in un insieme di aree corticali dedicate a processare l’informazione sociale non è universalmente accettato. Al riguardo esistono due principali punti di vista in contrasto. Uno riguarda la giunzione temporo-parietale destra e il solco temporale superiore che svolgerebbero un ruolo più generale riguardo l’elaborazione dell’informazione circa l’attenzione piuttosto che un ruolo specifico relativo alla cognizione sociale.45 L’altro punto di vista, alternativo, è che la percezione sociale è mediata, almeno in parte, dai neuroni specchio nel sistema motorio che calcolano le proprie azioni e che simulano pure le azioni osservate in altri.46 Dalla documentazione sperimentale,47 circa il ruolo ipotizzato della giunzione temporo-parietale destra e del solco temporale superiore, secondo il modello della percezione e della cognizione sociale, si possono desumere i seguenti postulati: (a) i danni riguardo la percezione sociale dovrebbero causare un deficit di consapevolezza, (b) l’apparato per la percezione sociale dovrebbe comportare segnali che correlano con l’attenzione, (c) lo schema per la percezione sociale dovrebbe servire a costruire un modello di sé. Nell’ipotesi in discussione, un compito fondamentale del modello della percezione sociale è quello di ricostruire il centro dell’attenzione di qualcun altro. Allo stesso tempo, nel percepire noi stessi, il modello della percezione sociale ricostruisce lo schema di attenzione, di ognuno di noi, in continua evoluzione. Una previsione che segue da questa ipotesi è che le attività che coinvolgono la messa a fuoco dell’attenzione o lo spostamento dell’attenzione dovrebbe evocare l’attività cerebrale non solo nei settori che partecipano al controllo dell’attenzione (come ad esempio la rete di attenzione parieto-frontale)48 ma anche nel circuito sociale che genera una ricostruzione del proprio centro dell’attenzione. La previsione è quindi che la giunzione temporo-parietale e il solco temporale superiore dovrebbero essere attivi in associazione con cambiamenti di attenzione. Nell’ipotesi in discussione, la ricostruzione delle credenze di qualcun altro (come nel test della falsa cre- KA Pelphrey, JP Morris, G McCarthy. Grasping the intentions of others: the perceived intentionality of an action influences activity in the superior temporal sulcus during social perception. In “Journal of Cognitive Neuroscience”, Vol. 16, Issue 10, pp. 1706–1716, Dec 2004 Brent C Vander Wyk, CM Hudac, EJ Carter, DM Sobel, KA Pelphrey. Action understanding in the superior temporal sulcus region. In “Psychological Science”, Vol. 20, Issue 6, pp. 771–777, Jun 2009 41 KA Pelphrey et al, op. cit. 2004 42 SJ Blakemore et al, op. cit. 2003 43 E Brunet et al, op. cit. 2000 C Frith, op. cit. 2002 RE Passingham, SL Bengtsson & HC Lau. Medial frontal cortex: from self-generated action to reflection on one’s own performance. In “Trends in Cognitive Sciences”, Vol. 14, Issue 1, pp. 14:16–21. Jan 2010 44 CM Bird, F Castelli, O Malik, U Frith & M Husain. The impact of extensive medial frontal lobe damage on ‘Theory of Mind’ and cognition. In “Brain”, Vol. 127, Issue 4, pp. 914–928, Apr 2004 45 SV Astafiev, GL Shulman & M Corbetta. Visuospatial reorienting signals in the human temporo-parietal junction are independent of response selection. In “The European Journal of Neuroscience”, Vol. 23, Issue 2, pp. 591–596. Jan 2006 M Corbetta, JM Kincade, JM Ollinger, MP McAvoy & GL Shulman. Voluntary orienting is dissociated from target detection in human posterior parietal cortex. In “Nature Neuroscience”, Vol. 3, Issue 3, 292–297. Mar 2000 46 G Rizzolatti & C Sinigaglia. The functional role of the parieto-frontal mirror circuit: interpretations and misinterpretations. In “Nature Review Neuroscience”, Vol 11, pp. 264–274. Apr 2010 47 Per una discussione approfondita della documentazione sperimentale circa il ruolo ipotizzato della giunzione temporo-parietale destra e del solco temporale superiore nella percezione e nella cognizione sociali si veda Michael S. A. Graziano & Sabine Kastner. Human consciousness and its relationship to social neuroscience: A novel hypothesis. In “Cognitive Neuroscience”, Vol. 2, Issue 2, pages 98-113, 2011 48 DM Beck, S Kastner, op. cit. 2009 20 Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità Retroscena L’altra previsione che deriva dalla presente ipotesi è che il sistema corticale che costruisce i modelli riguardo le menti degli altri dovrebbe anche servire a costruire un modello percettivo di sé. Alcune delle prove più convincenti del modello di sé comporta l’illusione cosiddetta “esperienza extracorporea” in cui la localizzazione percepita dalla mente non corrisponde alla localizzazione reale del corpo.50 Si tratta, essenzialmente, di un errore nella costruzione di un modello percettivo della propria mente. La collocazione percettiva sbagliata di sé può essere indotta in persone normali e sane manipolando abilmente le informazioni visive e somato-sensoriali in una configurazione di realtà virtuale.51 Un’illusione della cosiddetta “esperienza extracorporea” può essere indotta mediante stimolazione elettrica della corteccia cerebrale. In un sperimento, la superficie della corteccia cerebrale di soggetti umani svegli veniva stimolata elettricamente. Quando la stimolazione elettrica era applicata alla giunzione temporo-parietale nell’emisfero destro, un’esperienza extracorporea indotta era vissuta.52 La stimolazione evidentemente interferisce con il sistema che normalmente assegna la localizzazione di sé. Esperimenti successivi hanno documentato che le attività che coinvolgono la manipolazione mentale della propria collocazione spaziale evoca attività nella giunzione temporo-parietale destra.53 La documentazione suggerisce che un meccanismo specifico del cervello è responsabile della costruzione di un modello spaziale della propria mente e che la giunzione temporo-parietale destra svolge un ruolo centrale in questo processo. Dato che la giunzione temporo-parietale è stata implicata così fortemente nella percezione sociale degli altri, questa documentazione sembra sostenere l’ipotesi che il meccanismo della percezione sociale costruisca anche un modello percettivo della propria esperienza mentale. 6 ■■ Le difficoltà potenziali dell’ipotesi in corso Finora abbiamo presentato una nuova ipotesi sulla coscienza e la consapevolezza umana, delineato tre previsioni generali che seguono dall’ipotesi (cioè, che i danni nel sistema della percezione sociale dovrebbero causare un deficit nella consapevolezza, che il sistema della percezione sociale dovrebbe fornire segnali che rendono esplicito un processo di attenzione e che il sistema della percezione sociale dovrebbe servire a costruire un modello di sé), e accennato circa la documentazione sperimentale coerente con queste previsioni. Tale documentazione non costituisce affatto una presentazione di “evidenze” conclusive, ma suggeriscono che l’ipotesi ha qualche plausibilità. La fenomenologia della coscienza umana potrebbe essere il prodotto dello stesso sistema che costruisce i modelli della percezione sociale riguardo lo stato mentale degli altri. Probabilmente la più forte evidenza a favore dell’ipotesi è che il danno nel sistema della percezione sociale provoca un deficit di coscienza. L’ipotesi ha, comunque, alcune difficoltà potenziali. Alcuni aspetti dell’esperienza cosciente non sembrano, in via preliminare, facilmente spiegabili con l’ipotesi in questione. Infatti, ora ci occuperemo di tre di queste sfide potenziali. In ciascuna di queste viene presentato un ragionamento circa come l’ipotesi potrebbe spiegare, o almeno essere compatibile 49 Il test della falsa credenza serve a verificare lo sviluppo della capacità meta-rappresentazionale negli esseri umani, ovvero lo sviluppo di una teoria della mente. È costruito in modo da testare la capacità dei bambini di attribuire un convincimento alla mente di altre persone. Il nodo cruciale consiste nel ruolo giocato dall’attribuzione di una credenza falsa: infatti, prevedere il comportamento di un altro individuo, fondandosi su di una credenza che il bambino sa essere falsa, costituisce la prova che non sta banalmente proiettando la sua opinione della realtà sull’altro soggetto. Ciò significa che il protagonista del test identifica quel particolare comportamento e lo considera “causalmente determinato” da uno stato mentale “intenzionale” dell’altra persona. Questo stato mentale, che coincide con la falsa credenza, esiste solo nella mente dell’altra persona e non in quella del bambino, che pertanto è in grado di distinguerla ed attribuirla scientemente al prossimo. 50 L’espressione esperienza extracorporea [out-of-the-body experience] sta ad indicare tutte quelle esperienze, la cui interpretazione rimane controversa, nelle quali una persona percepisce di “uscire” dal proprio corpo fisico, cioè di proiettare la propria coscienza oltre i confini corporei. 51 HH Ehrsson. The experimental induction of out-of-body experiences. In “Science” Vol. 317, Issue 5841, p.1048, August 2007 B Lenggenhager, T Tadi, T Metzinger & O Blanke. Video ergo sum: manipulating bodily self-consciousness. In “Science”, Vol. 137, Issue 5841, pp. 1096–1099. August 2007 52 O Blanke, S Ortigue, T Landis & M Seeck. Stimulating illusory own-body perceptions. In “Nature”, Vol. 419, Issue 6904, pp. 269–270, Sept 2002 53 Blanke O, Mohr C, Michel CM, Pascual-Leone A, Brugger P, Seeck M, Landis T, Thut G. Linking out-of-body experience and self processing to mental own-body imagery at the temporoparietal junction. In “The Journal of Neuroscience”, Vol. 25, Issue 3, pp. 550–557, Jan 2005 Coscienza e consapevolezza denza49) è solo un componente della percezione sociale. Un altro componente è quello di tracciare l’attenzione della persona osservata (l’altro). Un ulteriore componente è quello di costruire un modello delle intenzioni dell’altro. Presumibilmente esistono molti altri componenti della percezione sociale e questi componenti possono essere rappresentati nella corteccia cerebrale in regioni adiacenti parzialmente separabili. 21 Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità Retroscena con, i fenomeni in questione. Questi ragionamenti sono, necessariamente, altamente speculativi, ma le questioni debbono essere affrontate in modo che l’ipotesi possa avere qualche pretesa di plausibilità. SFIDA 1: COME PUÒ ESSERE SPIEGATA LA “SENSAZIONE” INTERIORE DELLA COSCIENZA? La prima sfida riguarda la differenza tra la costruzione di un modello informativo sulla consapevolezza e sentirsi consapevole in termini fattuali. Nell’ipotesi in questione, le reti che sono specializzate nel processare l’informazione sociale analizzano il comportamento di altre persone e processano informazioni del tipo, “Mario è a conoscenza di X.” Le stesse reti, per ipotesi, processano informazioni del tipo, “Sono consapevole di X”, consentendo, in tal modo, che uno possa comunicare la propria consapevolezza. Può un sistema del genere in realtà “sentirsi” consapevole o questo processa semplicemente una risposta senza alcuna esperienza interiore? La questione è torbida. Se qualcuno si chiedesse, “Sono solo una macchina programmata per rispondere alle domande circa la consapevolezza o io sento, effettivamente, la mia consapevolezza,” è molto probabile che la risposta sarebbe che la consapevolezza la si sente. Questo qualcuno potrebbe anche specificare che la sente dentro di sé come una cosa un po’ amorfa ma, comunque, reale. Ma così facendo, si stanno semplicemente processando ed erogando risposte riguardo altre domande. Distinguere tra avere, effettivamente, un’esperienza interiore e, meramente, computare l’informazione, quando richiesto, di averne consapevolezza, è un difficile, se non impossibile, compito. In questa relazione non si sta ipotizzando che un insieme di proposizioni semantiche, simboliche o linguistiche possano prendere il posto dell’essenza interiore della consapevolezza, ma che una rappresentazione, un quadro informativo, comprende la consapevolezza. Nella distinzione tra coscienza fenomenica e accesso alla coscienza suggerito da Block54, la rappresentazione informativa proposta qui è simile alla coscienza fenomenica, e la nostra capacità di accedere cognitivamente a tale rappresentazione e di rispondere a domande su di esso è simile all’accesso alla coscienza di Block. Eppure, anche ipotizzando un ricco modello di rappresentazione dell’attenzione, e anche supponendo che il modello comprenda ciò che si segnala essere la consapevolezza, perché la si “sente” come qualcosa relativa a noi? Perché la somiglianza tra consapevolezza e sensazione? Per affrontare le questioni iniziamo con una serie di illusioni, legate alla struttura spaziale assegnata al modello della consapevolezza. Come accennato in precedenza, l’esperienza extracorporea comporta l’illusione di fluttuare al di fuori del proprio corpo. La fonte percepita della propria consapevolezza non corrisponde più alla posizione spaziale effettiva del proprio corpo. L’illusione può essere indotta da stimolazione elettrica diretta applicata alla giunzione temporo-parietale destra.55 Inganni di localizzazione della reale posizione spaziale possono essere indotti nelle persone manipolando le informazioni visive e somato-sensoriali in una configurazione di realtà virtuale.56 Evidentemente un meccanismo specifico del cervello è responsabile della realizzazione o della costruzione di un modello spaziale della consapevolezza di sé. Una proprietà simile di realizzazione si applica anche quando si costruisce un modello circa la consapevolezza di qualcun altro? L’illusione illustrata nella figura 2 suggerisce che l’elaborazione di un modello circa la consapevolezza di qualcun altro comporta una posizione spaziale assegnata. La percezione che qualcuno ci stia fissando da dietro comprende una struttura spaziale in cui la consapevolezza emana da un luogo più o meno localizzato dietro di noi e che si rivolge a noi. Queste illusioni dimostrano un fondamentale punto circa l’intelligenza sociale che viene spesso ignorato. Quando si costruisce un modello di una mente, sia della propria o di qualcun altro, il processo non è semplicemente di inferire attributi mentali sconnessi - credenze, emozioni, intenzioni, consapevolezza. Il modello dispone anche di una forma spaziale. Il modello, come qualsiasi altro modello percettivo, è costituito da un insieme di attributi assegnati a una precisa posizione o localizzazione. Il modello della percezione sociale non è normalmente confrontato direttamente al modello della percezione sensoriale ma, in questo modo, sono simili. Entrambi coinvolgono proprietà calcolate - proprietà mentali o proprietà sensoriali - così come una posizione, proprietà legate insieme per formare il modello di un oggetto. In questa ipotesi, la coscienza è un modello percettivo in cui le proprietà calcolate sono attribuite 54 N Block, op. cit. 1996 Coscienza fenomenica e coscienza cognitiva. Una distinzione di particolare rilievo si ha tra coscienza fenomenica e coscienza cognitiva o di accesso. Si ha coscienza fenomenica quando si ha l’esperienza in prima persona del possesso di vissuti qualitativi, di un punto di vista, di una prospettiva. La coscienza cognitiva potrebbe essere caratterizzata funzionalmente (secondo Block) come la capacità di un sistema di avere accesso ai propri stati interni, a fini comportamentali. 55 O Blanke et al, op. cit. 2002 56 HH Ehrsson, op. cit. 2007 22 Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità Retroscena Una questione filosofica centrale riguardo la coscienza potrebbe essere interpretata in questo modo: Perché il pensiero si avverte come un qualcosa? Quando Mario risolve un problema di algebra nella sua testa, perché non si limita a elaborare le informazioni numeriche ed ad erogare il risultato numerico senza “sentirlo”? Perché, invece egli sente che un processo è in corso dentro la sua testa? Perché è, nell’introspezione, quando egli si impegna in un processo decisionale per confrontare il processo del pensiero al processo somato-sensoriale, che egli conclude, coerentemente, che esiste una somiglianza tra le due procedure? Prospetticamente, si ipotizza che una parte della risposta può essere data ritenendo che la consapevolezza di Mario, circa il suo pensiero, è un modello del suo ambiente interno, assegnato ad una posizione all’interno del suo corpo e, come tale, è un tipo di percezione corporea. L’atteggiamento di Mario riferisce, pertanto, che il pensiero condivide associazioni con le elaborazioni nel dominio somato-sensoriale. Si consideri di nuovo l’illusione schematizzata nella figura 2, la sensazione che qualcuno ci osservi da dietro. Soggettivamente, è come sentire qualcosa sulla parte posteriore del collo o nella mente che sembra avvertirci, ovvero si sente la presenza della consapevolezza. Ma non è solo la nostra consapevolezza. Si tratta di un modello percettivo sulla consapevolezza di qualcun altro. Come può essere spiegata una tale sensazione? Il modello percettivo include una proprietà (consapevolezza) e due posizioni spaziali (la fonte della consapevolezza dietro di noi e la messa a fuoco della consapevolezza in noi). Una di queste due posizioni spaziali si sovrappone con il confine tra noi e ciò che “sentiamo” come qualcosa, nel senso che una proprietà viene assegnata a un luogo dentro di noi. Ciò appartiene, letteralmente, alla categoria della SOMESTHESIS perché è una ricostruzione percettiva dell’ambiente corporeo interno. Fondamentalmente, a questo punto, sono da localizzare le ricche associazioni informative che seguono a tale localizzazione corporea, le associazioni con altre forme di SOMESTHESIS, compresi tatto, temperatura, pressione, ecc. In questa ipotesi, la rappresentazione percettiva dell’attenzione di qualcun altro sul retro della nostra testa arriva con un vasto e oscuro complesso di informazioni che è legato ad essa ed è sottilmente attivato con essa. Oltre alla circostanza di “avvertire” la consapevolezza di qualcun altro diretta a noi, si prenda in considerazione la circostanza opposta in cui la nostra consapevolezza si rivolge ad un oggetto. “Avvertiamo” la nostra consapevolezza dell’oggetto? Nella presente ipotesi, nell’ambito dei processi di attenzione, il nostro sistema per la percezione sociale costruisce quel modello dei nostri processi di attenzione che include la proprietà della consapevolezza, una fonte di consapevolezza dentro di noi e un focus della consapevolezza sull’altro. Una di queste localizzazioni spaziali si sovrappone con il senso di confine di sé (noi). Nell’introspezione noi possiamo decidere che “avvertiamo” la fonte della nostra consapevolezza, nel senso che si tratta di un modello percettivo del nostro ambiente interno e, quindi, condividere ricche associazioni informative con altre forme di SOMESTHESIS. In sintesi, si ipotizza che, anche se l’esperienza cosciente sia informazione processata da sistemi esperti (proprio come le informazioni processate in una calcolatrice o un computer), essa nondimeno è in grado di farci “avvertire” come qualcosa dentro, almeno nel seguente modo specifico: un processo decisionale, accedendo al modello di sé, arriva alla conclusione e innesca il rapporto che la consapevolezza condivida delle associazioni informative con altre forme di SOMESTHESIS. Questa spiegazione, naturalmente, non spiega l’esperienza cosciente nella sua interezza ma aiuta a fare un punto centrale della presente prospettiva. La proprietà dell’esperienza in sé può essere un complesso intreccio di informazioni, ed è possibile prendere in gioco almeno alcune di queste informazioni (ad esempio la somiglianza alla SOMESTHESIS) e capire come potrebbe essere processata. SFIDA 2: C OME IL MODELLO DELLA PERCEZIONE SOCIALE GUADAGNA ACCESSO AD INFORMAZIONE IN UNA MODALITÀ SPANNING Il modello della percezione sociale rappresenta una sfida alla rappresentazione neuronale. Nella percezione del colore, ad esempio, si possono studiare le aree del cervello che ricevono le informazioni a riguardo, così per la percezione uditiva, si può studiare la corteccia uditiva. Ma nello schema della percezione sociale una vasta rete di informa- 57 Sensibilità del corpo compresi i sensi cutanei e cinestesiche. L’esperienza cosciente si presenta sotto forma di percezioni, di idee, di emozioni o sentimenti. Oltre a quelle relative ai cinque sensi (vista, udito, olfatto, gusto, tatto), Titchener sottolinea l’esistenza delle sensazioni cinestetiche che provengono dai nostri tendini, muscoli e giunture. Coscienza e consapevolezza a una posizione all’interno del proprio corpo. In questo senso, la coscienza è un altro esempio di SOMESTHESIS57, anche se altamente specializzato. Si tratta di una rappresentazione percettiva del funzionamento dell’ambiente interno, come la percezione di un mal di stomaco, la percezione di posizione spaziale (in piedi o seduti, ad esempio), la percezione della testa vuota o, ancora, la percezione di freddo e di caldo. In effetti, la percezione della propria consapevolezza è uno strumento di monitoraggio dei processi all’interno del corpo. 23 Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità Retroscena zioni devono convergere. L’altra persona (Roberto) è consapevole della tazza di caffè? È consapevole del freddo in camera? È consapevole del l’idea astratta che sta cercando di comunicare o è distratto dai suoi stessi pensieri? Che emozione c’è a percepire l’altra persona (Mario)? Lo schema della percezione sociale richiede uno straordinario collegamento multimodale delle informazioni. Tutte le attribuzioni sensoriali, emotive o cognitive, che potrebbero influenzare il comportamento di un’altra persona, devono essere portate insieme e considerate al fine di costruire un modello predittivo utile della mente dell’altra persona. Quindi, il meccanismo neuronale per la percezione sociale deve essere un nesso di informazioni. Risulta improbabile, dunque, parlare di una specifica regione del cervello che attenda a tutte le percezioni sociali. Se la giunzione temporo-parietale e il solco temporale superiore svolgono un ruolo centrale, che sembra probabile dalla documentazione esaminata da questo filone di ricerca, queste regioni devono servire come nodali in una complessa rete cerebrale. Nella presente ipotesi, la consapevolezza è parte di un modello percettivo sociale elaborato dalla propria mente. Si consideri il caso in cui si segnala, “Sono consapevole della mela verde.” (1) Quale parte di questo insieme connesso di informazione è codificato prettamente nel sistema percettivo sociale, tra cui, forse, la giunzione temporo-parietale o il solco temporale superiore, e quale parte dell’informazione è codificata in altre parti del cervello? (2) Possono la giunzione temporo-parietale e il solco temporale superiore contenere una rappresentazione completa unificata della consapevolezza riguardo la mela verde? (3) Oppure, il circuito sociale processa il costrutto della consapevolezza, la corteccia visiva rappresenta la “mela verde”, mentre un processo vincolante collega le due rappresentazioni neuronali? Speculando le questioni poste, l’ultima (3) sembra più probabile.58 Dal punto di vista della teoria dell’informazione, è stato suggerito che la coscienza è informazione massicciamente legata.59 Il contributo della presente ipotesi è di suggerire che il legame delle informazioni attraverso aree corticali non è, di per sé, la materia prima della consapevolezza ma, piuttosto, 58 59 60 61 62 24 che la consapevolezza è informazione specifica, un costrutto sulla natura dell’esperienza che viene processata e rappresentata in circuiti specifici che possono essere collegati a rappresentazioni di reti complesse più grandi. Secondo teoria dell’attenzione di Treisman60 riguardo l’integrazione delle caratteristiche informative, quando percepiamo un oggetto diverse caratteristiche informative, come la forma, il colore, il movimento, sono legate insieme per formarne una rappresentazione univoca. L’integrazione di queste qualità primarie richiede attenzione. Senza attenzione all’oggetto, l’integrazione di informazioni disparate sull’oggetto è possibile ma incompleta e spesso in errore. Se la consapevolezza agisce come una caratteristica che può essere legata ad una rappresentazione dell’oggetto, l’attenzione su un oggetto dovrebbe essere necessaria perché la consapevolezza coerente e robusta sia collegata all’oggetto. Al contrario, la consapevolezza di un oggetto non dovrebbe essere necessaria per l’attenzione all’oggetto stesso. In altre parole, se è possibile attenzionare un oggetto senza avere consapevolezza di esso, è difficile essere consapevoli di un oggetto senza attenzione. Questo modello corrisponde ampiamente alla letteratura sul rapporto tra attenzione e consapevolezza.61 Al riguardo è stato sostenuto62 che, qualitativamente, sembra possibile essere a conoscenza di stimoli alla periferia dell’attenzione e, quindi, la consapevolezza deve essere possibile con un minimo di attenzione. Ma si noti che in questa circostanza, parlando qualitativamente, si tende a sentirci a conoscenza di qualcosa senza sapere esattamente ciò che la cosa è. Si consideri la proverbiale intuizione che qualcosa non va, o la presenza di qualcosa, o che qualcosa sta facendo intrusione nella nostra consapevolezza ai margini della visione, senza riuscire a individuare ciò che tale elemento sia esattamente. Questa sensazione può essere descritta come una consapevolezza che non è completamente affidabile o attribuita a un elemento specifico. Solo ri-dirigendo l’attenzione si diventa in modo affidabile consapevole dell’oggetto. In questo senso, la consapevolezza agisce esattamente come le congiunzioni inaffidabili o false che si verificano al di fuori della messa a fuoco della consapevolezza nella Per un approfondimento riguardo la coscienza come informazione connessa attraverso ampie regioni del cervello si vedano: BJ Baars, op. cit. 1983 Crick & Koch, op. cit. 1990 AR Damasio. Synchronous activation in multiple cortical regions: a mechanism for recall. In “Seminars in Neuroscience”, 2: 287–296. 1990 AK Engel & W Singer, op. cit. 2001 VA Lamme, op. cit. 2006 G. Tononi, op. cit. 2008 A Treisman & G Gelade. A feature-integration theory of attention. In “Cognitive Psychology”, Vol. 12, pp. 97-136, 1980 Dehaene et al, op. cit. 2006, Jiang et al, op. cit. 2006. Koch & Tsuchiya, op. cit. 2007 Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità Retroscena Nella presente ipotesi, dunque, il rapporto tra attenzione e consapevolezza è piuttosto complesso. Non solo la consapevolezza è una ricostruzione percettiva di attenzione, ma collegare la consapevolezza ad una rappresentazione di uno stimolo richiede attenzione, perché l’attenzione partecipa al meccanismo di integrazione. SFIDA 3. L A TEORIA DELLO SCHEMA DELL’ATTENZIONE SOCIALE È COMPATIBILE CON LA TEORIA DELLA SIMULAZIONE? Nell’ipotesi in discussione, il cervello umano evolse meccanismi riguardo il modello la percezione sociale, percezione che permette una modellazione predittiva dell’attuazione di complessi meccanismi controllati dal cervello. Non vi è alcun presupposto riguardo a quale percezione sia emersa prima: la percezione degli altri o la percezione di se stesso. Presumibilmente si sono evolute allo stesso tempo. Sia che la percezione sociale venga applicata a se stesso o a qualcun altro, essa serve ad attuare la funzione adattiva di previsione del comportamento umano. Un punto di vista alternativo alle ipotesi citate è che la consapevolezza sia emersa nel cervello umano per motivi sconosciuti, forse come un epifenomeno della complessità del cervello stesso. In tale visione, la percezione sociale è stata resa possibile mediante l’uso dell’empatia. In tale prospettiva noi capiamo le menti di altre persone rispetto alla nostra esperienza interiore. Questa ulteriore visione ha lo svantaggio di non fornire alcuna spiegazione di cosa sia esattamente la consapevolezza e del perché potrebbe essersi evoluta. Essa si limita a postulare che la coscienza e consapevolezza esistono. Questi diversi punti di vista possibili circa la coscienza e la consapevolezza hanno le loro controparti nella letteratura sulla percezione sociale.63 Attualmente ci sono due concezioni principali concorrenti circa la percezione sociale. La prima, esaminata nelle sezioni precedenti è che la percezione sociale dipenda da sistemi esperti probabilmente centrati nella giunzione temporoparietale destra e nel solco temporale superiore che si sono evoluti per calcolare utili modelli predittivi della mente altrui. La seconda, è la teoria della simulazione. Nella teoria della simulazione, la percezione sociale è il risultato dell’empatia. Capiamo le menti delle altre persone facendo riferimento alla nostra esperienza interna. L’ipotesi su coscienza e consapevolezza è stata discussa in precedenza quasi interamente facendo riferimento alla prospettiva dei “sistemi esperti” nella percezione sociale. Può, però, questa ipotesi trovare una qualche compatibilità con la teoria di simulazione? Al momento si sostiene che la prospettiva dei sistemi esperti e teoria della simulazione non si escludono a vicenda e potrebbero operare, almeno in linea di principio, in modo cooperativo, per consentire la percezione sociale. L’ibrido dei due meccanismi è coerente con l’attuale ipotesi su coscienza e consapevolezza. Il cuore sperimentale della teoria della simulazione è il fenomeno dei neuroni specchio. Le prime descrizioni riguardo i neuroni specchio sono state fatte in riferimento alla corteccia premotoria dei macachi, in una regione cerebrale ritenuta coinvolta nel controllo della mano per afferrare.64 Ciascun neurone specchio diventava attivo durante un particolare complesso di tipo di presa, ad esempio una presa di precisione o una presa di forza. Il neurone diventava attivo anche quando la scimmia vedeva uno sperimentatore eseguire lo stesso tipo di presa. Tale documentazione sperimentale suggeriva che i neuroni specchio erano sia motori che sensoriali. Essi rispondevano sia quando la scimmia eseguiva o vedeva eseguire una particolare azione. Proprietà simili a quella dei neuroni specchio sono state riportate nella corteccia umana negli sperimenti fMRI in cui la stessa area di corteccia cerebrale diventava attiva se il soggetto eseguiva o vedeva una particolare azione.65 La rete dei neuroni specchio ipotizzata comprende aree senso-motorie del lobo parietale, regioni anatomicamente connesse della corteccia premotoria e, forse, regioni del solco temporo-parietale.66 63 Michael S.A. Graziano & Sabine Kastner, op. cit. 2011 64 di Pellegrino G, Fadiga L, Fogassi L, Gallese V, Rizzolatti G. Understanding motor events: a neurophysiological study. In “Experimental Brain Research”, Vol. 91, Issue 1, pp. 176–180. Oct 1992 Gallese V, Fadiga L, Fogassi L, Rizzolatti G. Action recognition in the premotor cortex. In “Brain”, Vol. 119, Issue 2, pp. 593–609. April 1996 65 Buccino G, Binkofski F, Fink GR, Fadiga L, Fogassi L, Gallese V, Seitz RJ, Zilles K, Rizzolatti G, Freund HJ. Action observation activates premotor and parietal areas in a somatotopic manner: an fMRI study. In “The European Journal of Neuroscience”, Vol. 13, Issue 2, pp. 400–404. Jan 2001 Filimon F, Nelson JD, Hagler DJ, Sereno MI. Human cortical representations for reaching: mirror neurons for execution, observation, and imagery. In “NeuroImage”, Vol. 37, Issue 4, pp. 1315–1328. Oct. 2007 66 Rizzolatti G, Sinigaglia C. op. cit. 2010 Coscienza e consapevolezza teoria dell’attenzione di Treisman circa l’integrazione delle caratteristiche informative. Essa agisce come l’informazione processata circa un oggetto, come una caratteristica che, senza attenzione, non è legata in modo affidabile alla rappresentazione dell’oggetto. 25 Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità Retroscena Il ruolo ipotizzato dei neuroni specchio è quello di aiutare a comprendere le azioni degli altri. In tale ipotesi, comprendiamo le azioni della mano di qualcuno attivando il nostro sistema motorio e sensoriale, simulandone, nascostamente, le azioni. L’ipotesi dei neuroni specchio è, in qualche modo, un’elaborazione dell’ipotesi originale di Liberman circa il discorso della comprensione,67 in cui noi classifichiamo suoni vocali utilizzando il nostro sistema motorio e sensoriale per imitare segretamente gli stessi suoni. Il concetto di rispecchiamento può, in linea di principio, essere generalizzato al di là della percezione delle azioni della mano di altre persone a tutte le percezioni sociali. Possiamo capire la gioia di qualcun altro, con sfumature e implicazioni psicologiche, utilizzando il nostro sistema emotivo per simulare quella gioia. Possiamo capire il punto di vista intellettuale di qualcun altro attivando una versione di questo punto di vista nei nostri cervelli. Possiamo capire le menti degli altri, in generale, simulandole, utilizzando gli stessi sistemi all’interno dei nostri cervelli. La misura in cui i neuroni specchio causano direttamente la percezione sociale, come un prodotto di meccanismi generali più associativi o predittivi, è stato oggetto di qualche discussione.68 Una difficoltà di fronte alla teoria della simulazione è che essa non fornisce alcun modo ovvio per distinguere i propri pensieri e le proprie intenzioni ed emozioni dai pensieri e dalle emozioni e intenzioni di qualcun altro. Entrambi sono gestiti dallo stesso “hardware”. Se la teoria della simulazione è rigorosamente vera, allora si dovrebbe essere in grado di capire la differenza tra la propria esperienza interiore e la percezione di quella di qualcun altro. Una seconda difficoltà circa la teoria della simulazione è che essa contiene una certa circolarità. Prima che il cervello A possa rispecchiare lo stato del cervello B, ha bisogno di sapere quale stato rispecchiare di B, poiché il cervello A ha bisogno di un meccanismo che genera ipotesi sullo stato del cervello B. Queste difficoltà con la teoria della simulazione scompaiono nel sistema ibrido proposto a seguire. Il sistema nel diagramma della figura 3 contiene sistemi esperti (tra cui la giunzione temporo-parietale e il solco temporale superiore) che contribuiscono a generare modelli relativi alla consapevolezza delle menti degli altri e le reti di neuroni specchio che simulano e, quindi, perfezionano questi modelli. Figura 3 Schema proposto che integra la teoria della simulazione con la teoria delle aree corticali dedicate per la cognizione sociale (percezione). La casella “Mirror Neuron System” [Sistemi neuroni specchio] rappresenta le reti a livello cerebrale che simulano e, quindi, precisano modelli di menti generati in TPJ - STS. La casella “TPJ, STS” rappresenta un insieme di aree corticali che contribuisce alla costruzione di modelli percettivi di menti, tra cui un modello della propria percezione sociale e di quelli inerenti le menti altrui. La casella “MPFC” rappresenta una zona prefrontale che contribuisce alle decisioni in campo sociale. Come discusso nelle sezioni precedenti, un modello percettivo di una mente include una posizione spaziale assegnata al modello. Questo modello riferisce ad una vera percezione nel senso che le proprietà percepite hanno una posizione percepita, per formare un oggetto percepito. Questa forma di realizzazione spaziale ci permette di tenere traccia sia che si tratti di un modello della propria mente o della mente di questa o quella persona, risolvendo la prima difficoltà della teoria simulazione. In questo modo si sarebbe in grado di sapere se gli stati mentali percepiti sono nostri o di qualcun altro nello stesso modo che si sa se un certo colore appartiene ad un oggetto o ad un altro attraverso il riferimento spaziale. Un modello percettivo di una mente può anche fornire le informazioni necessarie per guidare le simulazioni dei neuroni specchio. Il sistema dei neuroni specchio, in questa proposta, sa simulare una distanza, perché i sensori del movimento biologico nel solco temporale superiore hanno usato segnali visivi per categorizzare l’azione dell’altra persona come distanza. Questo processo risolve la seconda difficoltà della teoria della simulazione. La probabile dipendenza dei neuroni specchio da una interazione con il solco temporale superiore è stata sottolineata prima.69 I neuroni specchio, pertanto, non dovrebbero essere considerati come rivali alla teoria che la percezione sociale sia enfatizzata in regioni specializzate come la giunzione temporo-parietale e il solco temporale superiore. Invece, i due meccanismi di percezione sociale possono, in linea di principio, operare in modo 67 Liberman AM, Cooper FS, Shankweiler DP, Studdert-Kennedy M. Perception of the speech code. In “Psychological Review”, Vol. 74, Issue 6. Pp. 431–461. Nov 1967 68 Heyes C. Where do mirror neurons come from? In “Neuroscience and Biobehavioral Review”, Vol. 34, Issue, 4, pp. 575–583. Mar 2010 69 Rizzolatti & Sinigaglia, op. cit. 2010 26 Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità Retroscena Pensate quanto più complicato, in un modo ricorsivo, ciclo per ciclo, il sistema diventa quando il processo di percezione sociale è rivolto verso l’interno. Supponiamo che il tuo modello di te include l’ipotesi che sei felice in questo momento. Per migliorare tale ipotesi, per arricchire i dettagli attraverso la simulazione, il sistema che costruisce il modello di te contatta ed utilizza il tuo sistema generatore di emozioni. In tal caso, se non eri davvero felice, il processo di rispecchiamento dovrebbe farti diventare così come effetto collaterale. Se tu fossi già felice, forse ne diventi ancor più. Il tuo modello riguardo la tua coscienza di te e il tuo “Io” [o sé] che viene modellato, diventano intrecciati in modi complicati. Percepire la propria mente cambia la cosa percepita, un fenomeno noto da tempo ai psicologi.70 ■■ Coscienza come elaborazione di informazione La Figura 4 diagramma un modo tradizionale di concettualizzare la questione della coscienza. Quando l’informazione viene processata nel cervello in qualche modo specifico, ma ancora indeterminata (riquadro 1), un’esperienza soggettiva comunque emerge (riquadro 2). Riquadro 2 Coscienza Freccia a Freccia B Elaborazione neuronale dell’informazione Riquadro 1 Figura 4 Una visione tradizionale in cui la coscienza emerge dalla informazioni elaborate nel cervello. Freccia A: come il cervello produce la coscienza porta a molte polemiche e poca comprensione. Freccia B: come la coscienza contagia il cervello porta alla deduzione che la coscienza deve essere informazione processata, perché solo l’informazione può agire come materiale utile per l’elaborazione di decisioni, e averne coscienza. Una visione tradizionale in cui la coscienza emerge dalla informazioni elaborate nel cervello. Freccia A: come il cervello produce la coscienza porta a molte polemiche e poca comprensione. Freccia B: come la coscienza contagia il cervello porta alla deduzione che la coscienza deve essere informazione processata, perché solo l’informazione può agire come materiale utile per l’elaborazione di decisioni, e averne coscienza. Per esempio, immaginate di guardare una mela verde. Il sistema ottico processa le informazioni relative allo spettro di assorbimento della luce che indica le frequenze che vengono assorbite dall’oggetto in questione, la mela. La presenza di questa informazione riguardo la lunghezza d’onda della luce che impatta la nostra finestra ottica in merito al colore “verde” percepibile dall’occhio umano, processata dal cervello può essere misurata direttamente inserendo elettrodi nelle aree visive come l’area corticale V471. Come risultato di tali informazioni, per ragioni sconosciute, si dispone di un‘esperienza cosciente del colore “verde” nota sullo spettro visibile. Potremmo dire che due elementi sono rilevanti per la discussione: il processo dell’informazione riguardo lo spettro di assorbimento e di lunghezza d’onda nel cervello che segnala che la mela è verde (riquadro 1 in figura 4), e l’”esperienza” (coscienza) del colore verde (riquadro 2). In una visione dottrinale o cosiddetta spirituale, “l’esperienza”, ovvero la coscienza stessa, è considerata una sostanza non-fisica, immateriale, qualcosa di simile allo “spirito”. Per la New Age la coscienza è “energia” o “forza vitale”. Nella medicina tradizionale cinese è il “Chi”. Le persone che vivono in un orizzonte di senso provvisto da queste visioni e che fanno introspezione descrivono la coscienza come un sentimento, una sensazione, un’esperienza, una vivacità soggettiva che permea il corpo. Nella visione di Cartesio (1641), la coscienza è la “res cogitans” o “sostanza mentale.” Dal punto di vista del medico del secolo XVIII, Mesmer, e dei molti praticanti che hanno sottoscritto le sue idee per più di un secolo, la coscienza è una forza speciale di natura chiamata magnetismo animale.72 Nella visione di Kant (1781) la coscienza è fondamentalmente incomprensibile. Nella visione di Searle73 (2007), la 70 Bandura A. Social cognitive theory: an agentic perspective. In “Annual Review of Psychology”, Vol. 52, 1-26, Feb 2001 Beauregard M. Mind does really matter: evidence from neuroimaging studies of emotional selfregulation, psychotherapy, and placebo effect. In “Progress in Neurobiology”, Vol. 81, Issue 4, pp. 218–236. 2007 71 Il termine corteccia visiva si riferisce principalmente alla corteccia visiva primaria (nota anche come corteccia striata o V1), ma include anche le aree visive corticali extra-striate come la V2, V3, V4, e V5. 72 Alvarado CS. Late 19th- and early 20th-century discussions of animal magnetism. In “International Journal of Clinical and Experimental Hypnosis”, Vol. 57, No. 1, pp. 366-381. Oct 2009 73 Searle JR. Dulaism revisited. In “Journal of Physiology”, Vol. 101, Issues 4-6, pp. 169-178, Paris, Jul-Nov 2007 Coscienza e consapevolezza cooperativo. Aree come la giunzione temporo-parietale e il solco temporale superiore potrebbero generare ipotesi circa gli stati mentali e le intenzioni degli altri. I neuroni specchio potrebbero, quindi, utilizzare queste ipotesi generate per guidare le simulazioni. Le simulazioni hanno il potenziale di fornire un dettagliato feedback di alta qualità, risultando in un modello più elaborato, più accurato della mente dell’altro. In questo schema proposto (figura 3), il sistema dei neuroni specchio è ciclicamente esteso, esso aggiunge e migliora quei meccanismi che costruiscono i modelli nelle menti. 27 Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità Retroscena coscienza è come allo stato dell’acqua, a cui sembra non corrispondere un corpo fisico. Secondo molti studiosi nelle neuroscienze sociali, la coscienza, qualunque cosa essa sia e in qualunque modo sia causata, può concretizzarsi solo per le informazioni che sono entrate in una complesso e vincolato sistema.74 La freccia A, nella figura 4, rappresenta il processo attraverso il quale il cervello genera coscienza. La freccia A è l’incognita centrale in cui gli studiosi della coscienza si sono applicati, senza nessuna risposta definitiva o di comune accordo. È estremamente difficile capire come una “macchina fisica” potrebbe produrre una “sensazione non-fisica”. La nostra incapacità di concepire un percorso da “processo fisico” a “esperienza mentale” è la ragione per il tradizionale persistente pessimismo nello studio della coscienza. Quando Cartesio sostiene che la res extensa (sostanza fisica) non può mai essere usata per costruire la res cogitans (sostanza mentale), quando Kant indica che la coscienza non può mai essere compresa dalla ragione, quando Creutzfeldt75 sostiene che la scienza non può dare una spiegazione alla coscienza, e quando Chalmers76 eufemisticamente chiama la coscienza il “problema difficile”, tutti questi punti di vista disfattistici derivano dalla pura incapacità umana di immaginare come qualsiasi freccia A possa, eventualmente, andare dal riquadro 1 al riquadro 2. È istruttivo, tuttavia, concentrarsi invece sulla freccia B, un processo che viene sotto-valutato sia sul piano scientifico che filosofico. La freccia B rappresenta il processo attraverso il quale la coscienza può influenzare i sistemi di elaborazione delle informazioni nel cervello, permettendo alle persone di riferire in merito alla presenza della coscienza. Considerando la freccia B si può imparare molto di più riguardo la coscienza che considerando la freccia A. In proposito, Graziano & Kastner77 considerano che chiedendo cosa, in particolare, la coscienza può fare nel mondo, cosa essa può influenzare, cosa può causare, si guadagna la leva dell’oggettività. Qualunque cosa sia la coscienza, essa, in ultima analisi, può influenzare il discorso dal momento che possiamo parlarne. Al riguardo, qualche chiarimento è utile. Gran parte del lavoro sulla coscienza si è concentrato sulle informazioni di cui uno diventa cosciente. Si può segnalare di essere consapevoli di questo o quello. Ma si può anche riferire sulla coscienza stessa. Si può affermare con sicurezza che si ha una sensa- zione interiore, un’essenza, una consapevolezza, che è collegata a questo o quel elemento. L’essenza stessa della consapevolezza può essere segnalata e riferita, qualora si decida che essa sia presente. Si consideri il processo decisionale. Filosofi e studiosi della coscienza sono abituati a chiedersi “Cosa è la coscienza?” Formulata più precisamente, per i dati di cui oggi disponiamo, ci chiederemmo, “Come è possibile che, nel fare introspezione, possiamo, coerentemente, decidere che siamo cosciente?” Tutti gli studi sulla coscienza, sia nella modalità di “meditazione filosofica”, di introspezione causale che di esperimento formale, dipendono da un paradigma di rilevamento di segnale e di processo decisionale. Se una persona si chiedesse: “È la consapevolezza di X presente dentro di me?” Si noti che la domanda non è “È X presente?” o “È l’informazione su X presente?” ma, piuttosto, “È la consapevolezza presente?” Molto è stato appreso di recente circa la base neuronale del processo decisionale, soprattutto nel caso di decisioni percettive sul movimento visivo.78 La decisione sul movimento visivo dipende da due processi. Innanzitutto, il meccanismo percettivo nel sistema visivo costruisce segnali che rappresentano il movimento in direzioni particolari. In secondo luogo, questi segnali vengono ricevuti in varie parti del cervello da integratori decisionali che determinano quale segnale di movimento è coerente o abbastanza forte per attraversare una soglia tale che una risposta possa essere attivata. Riportando la stessa logica a una decisione circa la consapevolezza, si è propensi alla seguente ipotesi: rispondere se un qualcuno contenga consapevolezza dipende almeno da due processi. In primis, il meccanismo neuronale (il meccanismo di percezione sociale con una particolare attenzione alla giunzione temporo-parietale destra e al solco temporale superiore) genera segnali neuronali espliciti che rappresentano la consapevolezza. Secondariamente, un processo decisionale (forse nella corteccia prefrontale media) riceve e integra segnali per valutare se la proprietà della consapevolezza è presente in un punto di forza al di sopra della soglia di decisione. Realizzare che la possibilità di riferire che si è consapevoli di qualcosa dipenda da un processo decisionale aiuta enormemente a capire cosa, esattamente, sia la consapevolezza. Tutto ciò che è noto circa il processo decisionale nel cervello suggerisce che la consa- 74 BJ Baars, op. cit. 1983, Crick & Koch, op. cit. 1990, Engel & Singer, op. cit. 2001, G. Tononi, op. cit. 2008 75 Creutzfeldt, O. Inevitable deadlocks of the brain-mind discussion. In: Gulayas, B., editor. The Brain Mind Problem: Philosophical and Neurophysiological Approaches. Leuven University Press; 1987. p. 3-27 76 D Chalmers, op. cit. 1995 77 Michael S. A. Graziano & Sabine Kastner, op. cit. 2011 78 Gold JI, Shadlen MN. The neural basis of decision making. In “Annual Review of Neuroscience”, Vol. 30, pp. 535-574, 2007 28 Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità Retroscena Una proprietà fondamentale del processo decisionale è che, non solo la decisione stessa è una manipolazione di dati, ma il suo meccanismo della decisione dipende dai dati informativi. Tale meccanismo ammette solo informazioni. Nel fare introspezione, nel chiederci se abbiamo esperienza cosciente nel prendere decisioni su ciò che si decide, su ciò che si sta valutando, la materia fattuale che il “processo” della decisione sta raccogliendo e ponderando, è informazione. L’esperienza stessa, la coscienza, la sensazione soggettiva, l’essenza della consapevolezza che si decide di avere, non può che essere informazione processata da qualche parte nel cervello che viene trasmessa ad un integratore decisionale. Considerando la freccia B e lavorando a ritroso, si arriva ad una conclusione: La coscienza deve essere informazione. Solo le informazioni possono essere considerate il materiale per prendere decisioni e di averne coscienza. Si potrebbe, comunque, cercare di contrastare questa argomentazione. Riesaminiamo l’ipotesi che la coscienza è una proprietà emergente del cervello che non è precisamente informazione ma può influenzare i processi elaborativi nel cervello stesso. In pratica, il cervello conterrebbe una proprietà emergente che è essa stessa una rappresentazione di informazione. Tale proprietà è l’attenzione. Il cervello conterrebbe anche una rappresentazione in termini di informazione di tale proprietà. Possiamo, cognitivamente, accedere a tale rappresentazione informativa, cioè all’attenzione, permettendoci così di decidere che la possediamo e di comunicarlo agli altri. Tuttavia, l’elemento che noi, introspettivamente, decidiamo di possedere e segnaliamo non è propriamente l’attenzione, in senso stretto ciò che abbiamo è la rappresentazione, in termini di informazione, dell’attenzione. Nei casi in cui la rappresentazione informativa differisce dalla cosa che rappresenta, noi, necessariamente, riportiamo la proprietà della rappresentazione, perché è quello a cui abbiamo accesso. Le proprietà che differiscono dalla cosa rappresentata e che noi riportiamo e attribuiamo alla coscienza, devono essere piuttosto attribuite alla rappresentazione informativa dell’attenzione. Secondo la teoria esposta, la rappresentazione informativa raffigura, utilmente, se non del tutto accuratamente, il processo di attenzione. L’attenzione è qualcosa che il cervello attua su qualcosa (informazione) che prima non conosceva. L’attenzione è procedurale mentre la consapevolezza in tale ipotesi è dichiarativa. Chiudiamo ricordando il famoso quadro di Magritte che raffigura una pipa con le parole scarabocchiate sotto “Ceci n’est pas une pipe” [Questa non è una pipa].80 Si tratta di una rappresentazione evidente di un oggetto che conosciamo, ma quello che Magritte intende trasmetterci con questo accorgimento è che esiste una distinzione tra la rappresentazione e la realtà rappresentata. In definitiva, la coscienza è una rappresentazione di attenzione, MA LA RAPPRESENTAZIONE, SOGGETTIVAMENTE, ASSUME VITA PROPRIA. Quest’autonomia della rappresentazione ci colloca però in una condizione esistenziale, quotidiana, abbastanza ironica quando scambiamo le rappresentazioni, cioè i modelli mentali che ognuno di noi costruisce circa le cose, col mondo fenomenico che queste cose portano in sé. Questo offuscamento ci porta spesso a pensare che abbiamo una conoscenza diretta della realtà e, anche, a presumere di conoscere una verità assoluta del mondo e delle cose, sia che si tratti dei nostri figli, della nostra macchina, delle nostre idee sul clima, dei nostri simili, della salute, delle cure o anche semplicemente di ciò che stiamo facendo in questo momento, dimenticando lo scarto tra i nostri modelli di attenzione, coscienza e consapevolezza, e le realtà rappresentative a cui fanno riferimento. Il richiamo che le neuroscienze sociali e la postmodernità producono sul nostro sistema cognitivo costituisce, sicuramente, un invito alla riflessione circa le nostre convinzioni di ogni genere. Se la nostra coscienza non è che un costrutto di attenzione eseguito dal nostro cervello sociale, siamo indotti a realizzare che la realtà di cui parliamo, piuttosto che una realtà indipendente dalla nostra soggettività culturale, è socialmente costruita e, in quanto tale, modificabile. La consapevolezza della nostra fragilità genera però le fobie postmoderne circa le nostre identità sociali a termine, paure che tra le loro espressioni comprendono anche la “conversione” di molti giovani delle nostre società occidentali a credenze religiose più ancorate all’idea di un ordine teocratico da ristabilire. Approdati a questo punto, la presente argomentazione piuttosto che un esercizio intellettuale può rivelarsi uno strumento per renderci più consapevoli nel nostro quotidiano divenire. C’è lo auguriamo. 79 Hernandez A, Nacher V, Luna R, Zainos A, Lemus L, Alvarez M, Vazquez Y, Camarillo L, Romo R. Decoding a Perceptual Decision Process across Cortex. In “Neuron”, Vol. 66, Issue 2, pp. 300–314. Apr 2010 80 La Trahison des images [Il tradimento delle immagini] è un dipinto del pittore surrealista belga René Magritte. Coscienza e consapevolezza pevolezza sia un insieme di segnali neuronali esplicitamente generati che vengono ricevuti da un integratore decisionale. Un punto simile è stato fatto per quanto riguarda l’esperienza sensoriale riferibile.79 29 Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità Retroscena Rinaldo Octavio Vargas, sociologo Eugenia D’Alterio, biologa & Sara Palma, studentessa di biologia Il sesso delle anatre conflitto sessuale ed evoluzione estetica 7 Nell’immaginario popolare, si è soliti concepire l’evoluzione biologica come una sorta di metodo, insito in natura, che guida un “perfezionamento delle specie” attraverso la “promozione di caratteri fisici e mentali” ritenuti, dalla natura stessa, “positivi”, ovvero, più adatti e quindi ideali per la sopravvivenza di una determinata specie biologica. Tale metodo è la “selezione naturale”. Nella sua versione più arcaica, il concetto di selezione naturale si riferisce al “meccanismo con cui, nell’ambito della diversità genetica delle popolazioni, avviene l’evoluzione delle specie e secondo cui si ha un progressivo (e cumulativo) aumento della frequenza di sopravvivenza degli individui con caratteristiche ottimali per il loro adattamento all’ambiente”. L’idea della rimozione di tratti considerati “negativi”, basata su un determinismo di selezione naturale ed eseguita dalla selezione naturale stessa, nel suo progetto intelligente, piuttosto che generata da una documentazione, cosiddetta, “scientifica”, è generata dai nostri valori sociali. Invero, qualunque argomentazione riguardo l’idea dell’evoluzione è sempre controversa perché i “fatti” 30 di cui si discute sono “fatti” costruiti con i pattern di assegnazione di significato delle culture specifiche che orientano le diverse popolazioni umane. Essi, piuttosto che fatti “ontologici”, quali una montagna, un terremoto e la luce del sole, sono fatti codificati da una “conoscenza” (che non può che essere “soggettiva”) e istituiti socialmente. Precisamente, quando i “fatti” sono aperti allo scrutino di nuove prospettive socioculturali, essi sono interpretati riconfigurando la realtà convenzionata e offrendo alle popolazioni orizzonti esistenziali inediti. Quest’argomentazione si propone, infatti, di reinterpretare la convinzione eugenetica circa la selezione sessuale nell’evoluzione, alla luce di un nuovo paradigma che include la scelta estetica e la selezione sociale nell’evoluzione biologica. ■■ l’esperienza soggettiva è un agente dell’evoluzione degli organismi Nell’ambiente intellettuale dominato ancora dalle idee della Modernità, la ricerca riguardo l’evoluzione delle specie cerca di confermare la sua ipotesi di base riguardo le preferenze di accoppiamento nella selezione intersessuale, ovvero, che la selezione Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità Retroscena Nell’ambiente intellettuale in cui emergono le idee della Post-Modernità, si ritiene, invece, che il modo in cui la natura si presenta, come il colore, il profumo dei fiori, il canto e i piumaggi degli uccelli, piuttosto che un determinismo meccanicistico di selezione naturale adattiva, suggerisce che anche le esperienze e le scelte soggettive siano di importanza fondamentale in biologia. fettivamente spiegare perché la natura tenda a presentarsi così arbitrariamente bella. In effetti, Darwin utilizzò il concetto di selezione sessuale per spiegare un processo che ha più a che fare con l’estetica che con i risvolti pratici.2 Se si prende ispirazione dalle sue osservazioni si potrebbe asserire che gli animali, compreso l’uomo, abbiano un senso estetico e di apprezzamento della bellezza dei propri simili. L’aspetto estetico, infatti, è stato discusso sin dall’inizio del Darwinismo quando nell’800 Darwin ipotizzò che gli uccelli femmine attuavano un senso estetico nella scelta del maschio per l’accoppiamento, cioè operavano la selezione sessuale.3 Quest’ipotesi presentò, sin dall’inizio, un’aporia per la prima interpretazione della teoria della selezione naturale intesa come adattamento e fitness, cioè come l’aumento della frequenza degli individui con caratteristiche ottimali per adattarsi all’ambiente. Infatti, se la preferenza della femmina si basava su considerazioni estetiche, allora, una scelta talmente arbitraria non poteva che essere attuata svincolata dalla selezione naturale nel suo senso di adattamento e fitness.4 Con l’emergere di una visione evoluzionista del mondo, si fa strada l’interpretazione che postula che la natura ci si presenta in modo bizzarro perché questa sua peculiarità è fonte di selezione nella diversità biologica. In definitiva, la biologia evoluzionista ci suggerisce di reinterpretare le nostre idee dell’ ”estetica della natura” e di riconoscere l’esperienza soggettiva nel paradigma della biologia stessa. Durante le ultime decadi degli anni in corso, gli etologi hanno cominciato a realizzare che una buona parte del loro lavoro, circa i colori e i canti degli uccelli e circa l’evoluzione dei loro comportamenti di esibizione e visualizzazione, è una questione che ha a che vedere con il ruolo della bellezza in natura e come essa evolve. In effetti, le domande che gli etologi (evoluzionisti) si pongono, oggi, sono: che cosa è la bellezza, come essa evolve e quali sono le conseguenze in natura. Prima di affrontare l’argomento della selezione sessuale lo stesso Darwin, in una delle sue lettere, scrisse che “la vista della coda del pavone lo faceva star male”, proprio perché la sua coda multi colorata non è altro che un’umiliante caratteristica lontana dai principi della logica della selezione naturale. La sua coda fin troppo evidente di certo non contribuisce alla sua sopravvivenza, nel nasconderlo dai predatori o nel riscaldarlo, ma è di certo una caratteristica che comunque attrae le femmine nella procreazione della specie e ciò ne deriva che: la teoria dell’evoluzione, intesa come aumento della frequenza degli individui con caratteristiche ottimali per adattarsi all’ambiente, non può ef- Vi è una lunga storia sull’interesse degli studiosi riguardo gli ornamenti in natura, cioè quegli aspetti del corpo e del comportamento degli organismi che risultano attrattivi nella percezione di altri organismi. Di solito pensiamo a questo in termini di selezione sessuale e di scelta per le copie di specie animali, ma ci sono tanti altri contesti in cui ciò può verificarsi per scopi riproduttivi o meno, come i fiori che attirano gli insetti impollinatori, la frutta che attrae i frugivori o, le piante carnivore che attirano le loro prede o, ancora, gli aculei del riccio che tengono lontani eventuali aggressori. Questi sono caratteristiche degli organismi che si sono evolute per funzionare come fattori di attrazione o repul- 1 Selezione intersessuale: Lo sviluppo di caratteri fenotipici i quali risultano attraenti per il sesso opposto, tale modalità di competizione avviene fra i due sessi, ciò porta alla scelta intersessuale, o scelta di partner. Gli individui di un sesso (generalmente le femmine) sono particolarmente esigenti nella scelta del compagno. 2 Rothenberg, David. Survival of the Beautiful: Art, Science and Evolution. Bloomsbury Press, New York, 2011. 3 Prum, Richard O. Aesthetic evolution by mate choice: Darwin’s really dangerous idea. In “Philosophical Transactions of the Royal Society of London B”, vol. 367, pp.22532265, 2012 4 Successivamente nel 1958 il biologo evoluzionista Smith estese queste analisi, in effetti, i piumaggi multicolorati attirano la femmina e il loro danzare non è altro che la dimostrazione delle sue condizioni fisiche, ovvero, solo un corpo sano può danzare bene ne consegue, quindi, un aumento di possibilità di nascite con figli sani ciò non toglie, però, che la loro bellezza sia, comunque, un fattore di attrazione che influenza la scelta del compagno. Il sesso delle anatre naturale ne costituisca la causa determinante. Ciò significa che le preferenze di accoppiamento nella selezione intersessuale1 sono guidate da un meccanismo di progressivo aumento della frequenza di individui con caratteristiche ottimali per adattarsi all’ambiente. In un tale clima intellettuale, nonostante i fallimenti nel confermare l’ipotesi adattiva (cioè del progressivo aumento della frequenza degli individui con caratteristiche ottimali per adattarsi all’ambiente) la possibilità che i tratti esibiti nella selezione intersessuale non indichino alcun segnale di fitness è raramente considerata. La scelta sessuale è diventata una questione in cui il ruolo della selezione naturale riguardo le preferenze di accoppiamento è assunta al di là di ogni verifica ed è resa come la definizione stessa di selezione sessuale. 31 Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità Retroscena sione nella percezione di altri organismi viventi. Così funziona per molti elementi del fiore, compresi il colore, la forma dei petali, la fragranza, che sono emittenti di segnali per essere percepiti da altri organismi. Il fiore, infatti, attira api ed altri insetti, nonché colibrì, che se ne cibano e favoriscono l’impollinazione e l’inseminazione che provvede alla riproduzione della pianta stessa. Difatti, come risultato degli elementi percettibili del fiore si avvia un processo percettivo a carico di altri organismi. Per arrivare ad una descrizione completa della funzione di un fiore, è necessario disporre di un altro tipo di informazione che si trova al di fuori del fiore stesso. Ovvero non è sufficiente una semplice descrizione del mondo fisico ma, in tal caso, si richiede, anche, una cognizione, qualcosa che sta, se si preferisce usare questa espressione, dentro la “mente” o al sistema percettivo di altri organismi. Questa realizzazione è un grande “spartiacque” nella biologia evoluzionista, ed è la prova che vi è un processo diverso che si verifica quando l’evoluzione avviene attraverso il substrato cognitivo o mentale, vale a dire, quando si tratta di attrarre un altro individuo o organismo. La concettualizzazione di questo processo può essere espressa col termine di “evoluzione estetica” e l’argomento principale che ci impone l’evoluzione estetica è l’origine della bellezza. Naturalmente, estetica e bellezza fanno riferimento a fenomeni che non sono stati mai considerati oggetto della scienza. In effetti, la scienza è sempre stata un po’ intimorita dalla bellezza e dall’estetica. Questo ha a che fare con il fatto che questi fenomeni si riferiscono a esperienze soggettive, ossia si riferiscono a un qualcosa di inconoscibile e non misurabile che accade all’interno delle capacità cognitive di ogni organismo. I ricercatori hanno difficoltà a parlare dell’esperienza soggettiva, area che per convenzione la società ha ceduto alle cosiddette discipline umanistiche. La questione è che il modo in cui la natura ci appare - la vistosità e fragranze dei fiori, l’articolazione dei canti degli uccelli e il loro piumaggio - comporta l’accettare che le esperienze soggettive sono di fondamentale importanza in biologia. In effetti, come già detto, per le interpretazioni evoluzionistiche e postmoderne del mondo, la natura si presenta in modo bizzarro perché questa sua peculiarità è fonte di selezione nella diversità biologica. La biologia evoluzionista suggerisce, infatti, di re-interpretare le nostre idee sull’ ”estetica della natura” e di riconoscerne l’esperienza soggettiva nel paradigma della biologia. La questione dell’esperienza soggettiva sembra, con le nostre impostazioni mentali convenzionali, sfuggire alle questioni scientifiche. Infatti, solo di recente si è iniziato a studiare cosa accade nel cervello umano, ad esempio, quando facciamo esperienza del colore rosso o quando ascoltiamo Elton John, ciò accade perché preferiamo certe cose ad altre. Tuttavia, sembra che i nuovi paradigmi della biologia possano avere un’interessante opportunità di indagine al riguardo. Ad esempio, vi sono circa 10.000 specie di uccelli ognuna “versi e canti” con meccanismi di corteggiamento diversi sia per attrarre il partner che per comunicare con gli altri membri della propria specie. Tutto ciò sembra essersi evoluto come risultato delle esperienze soggettive nel valutare il partner giusto, vale a dire attuare una percezione sensoriale, una valutazione cognitiva e una scelta. Questi elementi: la percezione sensoriale, la valutazione cognitiva e la scelta, danno origine al fenomeno dell’estetica evoluzionista.5 Quantificare o descrivere lo stato percettivo di un organismo è un’impresa molto impegnativa. Una delle cose che si cerca di fare oggi in biologia è quella di studiare il modo in cui le esperienze soggettive evolvono. Non possiamo sapere cosa sta succedendo di preciso nel sistema percettivo di una specie particolare di uccelli, ma studiandone il comportamento che si discosta da specie a specie realizziamo che l’evoluzione dell’esperienza soggettiva può essere studiata attraverso la biologia comparata. È un po’ come la storia della fisica quando vi era il problema di non poter effettivamente identificare, allo stesso tempo, la velocità dell’elettrone, la sua posizione e il suo senso di rotazione. I fisici però non accantonarono il problema in attesa che un’altra disciplina lo affrontasse. Loro crearono nuovi strumenti (cioè i meccanismi della meccanica quantistica e un corpo concettuale al riguardo) che permisero loro di studiare la questione della posizione e della velocità dell’elettrone in modo probabilistico. Così come è stato per i fisici, noi non possiamo sapere cosa succede nel sistema pecettivo di un organismo quando esso “fa una valutazione [di gradimento] soggettiva”, ma siamo in grado di capirlo osservando e interpretando il suo comportamento oggettivabile e cercando di intuire in che modo le preferenze di quell’organismo si evolvono. Ugualmente, si può anche guardare 5 Prum, Richard O. Aesthetic evolution by mate choice: Darwin’s really dangerous idea. In “Philosophical Transactions of the Royal Society of London B”, vol. 367, pp.22532265, 2012 32 Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità Retroscena alla storia della diversificazione delle preferenze. Essa rappresenta una nuova modalità di “entrare” nello scenario dell’evoluzione dell’esperienza soggettiva ed è per questo che la biologia evoluzionista ha un ruolo speciale nella comprensione di questo aspetto della natura che possiamo chiamare “l’estetica”. Le persone restie a considerare la bellezza e l’estetica come oggetto di indagine scientifica possono chiedersi: “come può un’ape avere un’esperienza soggettiva, come può un’ape sperimentare la bellezza?” Tuttavia si tratta di un sistema molto semplice di rispondere in modo meccanico o istintivo a degli stimoli. Il caso che i fiori siano specificamente progettati per apparire irresistibili e per indirizzare uno stimolo alle api ad avvicinarsi e cibarsene, allora tutti i fiori convergerebbero sullo stesso stimolo, e quindi i fiori sarebbero abbastanza simili facendo sì che, indiscriminatamente tutte le api, si cibino degli stessi fiori. Ma, di fatto, i fiori sono diversi ed evolvono per essere specificamente attraenti e seducenti in modo differenziato. Ciascuna varietà di fiore, costantemente, chiama quell’ape sfruttando il suo passaggio di fiore in fiore per agevolare l’impollinazione favorendone la riproduzione. Naturalmente, per le api i fiori sono cibo, economico e irresistibile. Molte api, istintivamente, percorrono lunghi percorsi cercando quel particolare fiore e quindi cibo speciale. Ciò che le api attuano è la dimostrazione del perché l’esistenza e il potere dell’esperienza soggettiva è un mezzo dell’evoluzione degli organismi. 8 ■■ la “pericolosa” idea di darwin: l’esperienza estetica attuata nella scelta della coppia Quando Darwin descrisse il meccanismo dell’evoluzione e della selezione naturale, nella sua opera “Origine delle specie”, si trovò davanti ad una questione: “come spiegare l’ornamentazione caratteristica dei corpi degli animali e nelle piante” che, nella sua teoria, non funzionavano come elementi direttamente sviluppatisi per promuovere la sopravvivenza in natura ma che funzionavano nella comunicazione con altri individui, spesso, nel contesto dell’accoppiamento e delle interazioni ecologiche. Infatti, Darwin ricevette molte critiche per quest’aporia nella sua teoresi. La sua consapevolezza circa la questione si evince dalla sua lettera al botanico Asa Gray nel 1861, in cui, come abbiamo precedentemente citato, dichiarò: “L’immagine della coda di un pavone, ogni volta che la guardo, mi fa star male”. Infatti, nel 1871, egli scrisse un secondo libro “The Descent of Man” nel quale egli descriveva ed affrontava la teoria dell’evoluzione per selezione sessuale6. La “selezione sessuale” era un modello distinto dalla “selezione naturale” in quanto, come abbiamo detto, la selezione sessuale aveva a che fare con il successo riproduttivo differenziale soggettivo. L’accesso differenziale all’accoppiamento è 6 La selezione sessuale, è un meccanismo evolutivo identificato da Charles Darwin, tale modalità di selezione è un elemento importante della teoria sulla selezione naturale. Il paradigma esplicativo formulato da Darwin nel suo libro del 1859 “L’origine delle specie” recita: “Questa non dipende da una lotta per l’esistenza, ma da una lotta tra i maschi per il possesso delle femmine, e il risultato non è la morte del competitore sconfitto, bensì la scarsità od assenza di prole.” Nel 1871 con l’opera “The Descent of Man, and Selection in Relation to Sex” Darwin amplia notevolmente il trattamento della selezione sessuale. Il paradigma esplicativo è: “La selezione sessuale dipende dal successo di certi individui sopra altri dello stesso sesso in relazione alla propagazione delle specie, mentre la selezione naturale dipende dal successo di entrambi i sessi, a tutte le età, in relazione alle condizioni generali di vita. La lotta sessuale è di due specie: una è la lotta tra individui dello stesso sesso, generalmente maschi, onde allontanare e uccidere i rivali, mentre le femmine rimangono passive, l’altra è pure tra individui dello stesso sesso per attrarre od eccitare quelli del sesso opposto, e qui le femmine non sono più passive, ma scelgono il compagno più piacevole. Quest’ultima specie di selezione è intimamente analoga alla scelta che l’uomo fa inconsapevolmente, ma efficacemente, tra i suoi prodotti domestici quando, per un tempo lungo, continua a scegliere gli individui più e più utili, pur senza alcun desiderio cosciente di modificare la razza”. Il sesso delle anatre Molti ricercatori nell’ambito, cosiddetto, “scientifico” sono ancora allergici alle parole “bellezza” ed “estetica”. Loro pensano che queste dimensioni non possano appartenere mai alla loro ricerca in quanto cariche di soggettività. La questione è, quindi, che queste dimensioni, cariche di soggettività, hanno conseguenze reali. Esse esprimono esattamente che cosa vogliamo ottenere, motivandoci a esprimerci riguardo ciò che ci piace o meno, che a sua volta incentiva ed ha conseguenze reali per tutti gli organismi a tutti i livelli. 33 Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità Retroscena il risultato di due possibili meccanismi: quello della concorrenza maschio - maschio e quello della scelta della femmina. Darwin spiegò come la concorrenza maschio - maschio comportasse una corsa agli armamenti evolutiva7, come le enormi dimensioni del corpo degli elefanti marini, e come la natura dovrebbe dar luogo a “miglioramenti”, quali il canto e il bel piumaggio degli uccelli e molte altre caratteristiche ornamentali, come mezzo attrattivo. Darwin utilizzò un linguaggio esplicitamente “estetico” per descrivere la sua teoria. Come abbiamo detto, egli descrisse le preferenze di accoppiamento degli uccelli come “canoni di bellezza”. Egli descrisse le femmine degli uccelli come aventi una prerogativa estetica e descrisse gli stessi come i più con senso estetico di tutti gli organismi, eccetto, naturalmente, l’uomo, e per questo fu molto criticato. In realtà la sua teoria implicava che i giudizi estetici delle femmine erano una forza trainante nell’evoluzione. Ciò è stato immediatamente manipolato dai misogini per suggerire che la scelta delle femmine erano “vizi capricciosi”. L’introduzione del modello della selezione sessuale nella spiegazione dell’evoluzione è stata considerata dall’ideologia sociale dominante come una visione immorale riguardo la natura. Ideologia che, in qualche modo, già accettava l’idea della selezione naturale (nel suo senso ortodosso) come una spiegazione universale dell’origine della biodiversità. Il critico più accanito di Darwin, riguardo il modello della selezione sessuale, è stato, paradossalmente, l’altro pioniere della selezione naturale: Alfred Russel Wallace. Darwin arrivò alla fine della sua vita combattendo con Wallace riguardo il significato della selezione sessuale. Wallace era estremamente scettico circa l’ipotesi che la bellezza e l’estetica avessero alcun ruolo in natura. Quando Wallace ammise la plausibilità dell’ipotesi di una selezione sessuale egli precisò che ciò poteva accadere solo in condizioni particolari, condizioni che si presenterebbero solo quando gli “ornamenti” ef- fettivamente fossero correlati con qualità migliori e dimostrabili in termini di selezione naturale, vale a dire in termini di migliorativi di vita o di risorse, ossia quando il tratto avesse sviluppato un qualche tipo di significato o senso dal quale la femmina avrebbe tratto vantaggio nel sceglierlo. Oggi, ancora, si pensa di Wallace come colui che uccise la teoria della selezione sessuale, ma in realtà ciò che Wallace fece fu descrivere per la prima volta il modello più popolare della selezione sessuale fino ad oggi e che propone che l’ornamento funziona fornendo un ricco corpus di informazione circa la qualità della coppia di cui entrambi i partner debbono averne cognizione. Le fondamenta di questo ragionamento è che la scelta della coppia è basata fondamentalmente sulla considerazione di migliorare la condizione della prole. L’interesse, oggi, su questo confronto storico non è perché esso sia rilevante alla scienza in sé ma per il suo rilievo intellettuale in quanto il dibattito tra Darwin e Wallace costituisce un’interessante prospettiva per il dibattito che oggi è richiesto al riguardo nella biologia odierna. Si tratta di confrontare il più ampio punto di vista estetico di Darwin che riconosce che il piacere sensoriale, l’attrazione e l’esperienza soggettiva sono in realtà gli agenti della selezione, con l’idea di Wallace circa il modello di indicazione di una qualità nella quale l’evoluzione di preferenza è controllata da un potere superiore, cioè dalla selezione naturale adattiva. Questo è l’attuale dibattito tra gli esperti in materia e nel quale si insiste sulla legittimità della prospettiva darwiniana. L’idea di Wallace dell’indicazione di una qualità era ed è, effettivamente, un’idea anti-darwiniana. Ed anche i, cosiddetti, moderni neo-darwiniani sono, in effetti, “seguaci” di Wallace in quanto hanno riciclati l’eredità di Darwin eliminandone l’ipotesi circa l’estetica come una forza indipendente nell’evoluzione biologica, una forza potenzialmente svincolata dalla selezione naturale. 7La corsa agli armamenti evolutiva (Evolutionary arms race, tradotta anche come corsa evolutiva agli armamenti consiste in un miglioramento della propria linea genealogica per poter sopravvivere, come diretta conseguenza dei miglioramenti di altre linee genealogiche. È un tipo di coevoluzione. In termini più semplice si tratta di un tipo di competizione, fra due o più organismi, della stessa o di diverse specie, i quali presentano, nel corso del tempo, degli adattamenti che gli permetteranno, sempre con maggiore efficienza, di riuscire a resistere, se non in alcuni casi a vincere, la sfida. Fatte queste premesse, si può dire che si tratta di un potente motore dell’evoluzione (come d’altronde suggerisce l’ipotesi della Regina Rossa). Questo concetto è stato definito da Richard Dawkins. Il nome scelto per questo fenomeno, è evidentemente ispirato all’omonimo fenomeno, tutto umano, dell’affrettarsi a produrre e sviluppare il maggior numero di armi e tecnologie militari, nel minore tempo possibile. Esistono due tipi di corsa agli armamenti: quella simmetrica, e quella asimmetrica. La simmetrica si verifica quando due o più organismi competono per lo stesso obbiettivo (diritto di accoppiamento, attenzioni da parte dei genitori...) o per le stesse risorse (nutrienti, luce, acqua...). La asimmetrica si verifica quando due o più organismi competono per obbiettivi differenti (il predatore cerca di prendere la preda, e la preda cerca di sfuggire al predatore). Di quella simmetrica abbiamo, ad esempio, che per riuscire a guadagnarsi il diritto all’accoppiamento con le femmine, molti maschi di diverse specie, hanno affilato le loro corna, zanne e artigli proprio per poter riuscire a battere l’avversario, e aumentare così, la propria fitness. Di quella asimmetrica abbiamo, ad esempio, la lotta fra parassiti e ospiti, dove il parassita inventa sempre nuovi sistemi per riuscire ad impossessarsi dell’ospite e cercare di viverci assieme il tempo più lungo possibile, e dove l’ospite, inventa nuovi metodi per non contrarre il parassita, o di sbarazzarsene una volta contratto. Questo vuol dire che il moderno sistema immunitario dei moderni organismi, è una diretta conseguenza di tale corsa. 34 Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità Retroscena ■■ modelli ESPLICATIVI della selezione sessuale Vi è una visione popolare riduzionista della neuro-estetica che propone che, ad esempio, attraverso una combinazione di immagini generatesi nel cervello e la comprensione della neuro-funzione, noi potremmo capire come la struttura del cervello determini quali cose saranno interessanti per noi. Questo porta ad una serie di teorie riduzioniste circa l’estetica. Ad esempio, che la simmetria e gli indicatori di simmetria sono particolarmente importanti. Ciò che qualunque rassegna d’arte o delle caratteristiche estetiche negli organismi mostrerà è che non vi sono regole e che quelle che ci sono vengono infrante e che c’è qualcosa di irreducibilmente emergente sul modo in cui l’esperienza soggettiva si evolve. Ciò ha a che fare con ciò che accade quando si rimuove la forza di controllo della selezione naturale e si consente all’esperienza soggettiva di essere un giocatore indipendente. Questa teoria è stata effettivamente sviluppata da Ronald Fisher, biologo evoluzionista del 20esimo secolo.8 Egli propose di immaginare alcune femmine di uccelli che hanno le code rosse e altre con la coda blu. Poi, ci sono i maschi che hanno le code, blu o rosse. Non a caso, le femmine che amano le code rosse vanno a cercare i maschi che hanno le code rosse e le femmine che preferiscono le code blu vanno a individuare i maschi che con le code blu. Quello che succede è che, a seguito della selezione dei tratti maschili, le preferenze di accoppiamento diventeranno geneticamente correlate con i tratti che esse preferiscono. Cioè, la variazione in desiderio e la variazione negli oggetti di desiderio diventeranno correlate ed evolutivamente coinvolte. Il meccanismo di selezione sessuale pertinente questa argomentazione è quello che va da Darwin a Fisher e più recentemente ai modelli genetici matematici di Russ Lande & Mark Kirkpatrik e il loro lignaggio intellettuale. Secondo questa tradizione, la selezione sessuale avviene quando la selezione naturale non è realmente funzionante o coinvolta. Di contro, ci sarebbe il meccanismo dell’adattamento quando la selezione naturale è la forza di controllo. La tradizione di Wallace, espressa oggi nella prospettiva adattazionista, è quasi un’impresa basata sulla fede nel senso che ciò che gli studiosi fanno è andare alla “natura” esaminando una caratteristica, sia che si tratti di un patch di piumaggio o del colore di una piuma o del canto di un uccello. Loro esaminano tutto il possibile per cercare di mostrare che il tratto in questione è in qualche modo correlato con un qualche indicatore di qualità o con una qualche misura di benefici diretti o di buoni gene. Di conseguenza, ciò che si ha nella letteratura al riguardo sono esempi che si adattano coerentemente al modello della selezione sessuale della teoria adattiva e che confuterebbero l’idea che la selezione sessuale sia una questione estetica arbitraria. Di contro, si può avanzare l’idea che tutto quanto non si conforma alla teoria adattazionista sono evidenze consistenti con il modello della selezione sessuale arbitraria su preferenze estetiche. 8 Ronald Aylmer Fisher statistico, matematico e biologo, viene considerato colui che ha fatto della statistica una scienza moderna, in quanto ha fondato i concetti di riferimento della statistica matematica moderna. Nel 1930 propose la Teoria genetica della selezione naturale (The genetical theory of natural selection) nella quale studiava in maniera innovativa diversi concetti nel campo dell’evoluzione, come la selezione sessuale e il mimetismo, arrivando ad enunciare il teorema fondamentale della selezione naturale che afferma che in presenza di selezione naturale la fitness media di una popolazione tende ad aumentare. Il sesso delle anatre 9 Ciò significa che quando gli individui, attraverso l’azione delle loro preferenze, selezionano dei tratti, loro stanno, anche, indirettamente, selezionando sulla propria preferenza. Ciò significa che la preferenza è un motore auto-organizzante dell’evoluzione. Cioè, una volta che un tratto ornamentale (estetico) ha popolarità (successo), la popolarità stessa può guidare l’evoluzione dell’ornamento. Ciò significa che la bellezza e il desiderio per essa e le preferenze co-evolvono insieme e che si trasformano a vicenda. La coda del pavone, nel suo evolversi, trasforma il cervello della femmina e la sua capacità di comprendere cosa sia la bellezza. Contemporaneamente, le preferenze del cervello della femmina trasformano la coda del maschio. Ossia, entrambi, maschio e femmina evolvono in un percorso di co-evoluzione. Differenti specie evolvono tutte in differenti direzioni e questo è il motivo per cui la natura, nel modo in cui lo fa, sembri mostrare una biodiversità. 35 Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità Retroscena In ogni modo, anche assumendo che il modello di Fisher sia un’ipotesi nulla,9 esso costituisce la predizione delle conseguenze della variazione genetica nei tratti e nelle preferenze in assenza della selezione naturale sulle preferenze. Infatti, questo è ciò che si osserva in modo predominante.10 Allo stato attuale delle conoscenze si potrebbe assumere, come ipotesi, che la bellezza capita nell’evoluzione. Tuttavia questa ipotesi risulta inaccettabile ai ricercatori, cosiddetti, scientifici, particolarmente nella biologia evoluzionista, dove tutte le caratteristiche in natura vogliono essere spiegate in termini di adattamento. Loro sono interessati a confermare il loro modello e vedono l’altro modello come intellettualmente insufficiente. Una delle difficoltà nell’accettazione del paradigma dell’approccio estetico nella selezione sessuale è che buona parte delle persone nel campo della biologia evoluzionista entrano in questo campo perché sono attratte dal concetto di adattamento e dal voler spiegare le complessità della natura in termini di un’idea prevalente che sembra una legge. Contrariamente, l’estetica co-evolve in molte direzioni diverse in specie diverse, evadendo il riduzionismo dell’idea della legge che spiega i processi in termini di utilità alla fitness. In effetti, l’idea della co-evoluzione estetica è una minaccia esistenziale al potere globale di legge della selezione naturale per spiegare la biodiversità. Un argomento a favore di accettare un’ipotesi nulla è che nella sua assenza è difficile fare scienza per cui è perfettamente legittimo e assolutamente utile valersi di un’ipotesi nulla per l’evoluzione della biodiversità e delle esperienze estetiche anche se ancora non vi è un movimento capace di adottare modelli nulli (ipotesi nulle) per spiegare la selezione sessuale e l’evoluzione estetica.11 Anche se il concetto di adattamento è stato importante, è necessario realizzare che la contingenza della storia e della biodiversità danno origine a tutti i tipi di cose che sono molto più complicate, molto più eccentriche e molto più affascinanti rispetto alla proprietà, simile ad una legge, dell’adattamento. Ciò è osservabile nel campo della filogenetica, della fisica della produzione del colore e in tutte quelle aree dove la contingenza e la storia hanno una forza di controllo. Come chiamare tutto questo processo? Indipendentemente dal termine, si tratta di un strutturalismo evoluzionista in cui la contingenza della storia è un importante principio nel modo in cui l’evoluzione procede. L’approccio adattazionista è quello che vede l’ornamento come un pezzo di informazione qualitativa incarnatasi. Il modello arbitrario è quello in cui i tratti e le preferenze co-evolvono tra loro in modo puramente estetico e senza altro che i benefici della popolarità. La posizione adattazionista è un po’ come l’ipotesi del mercato efficiente in economia, vale a dire, che il valore di una merce - quanto utile questo accoppiamento possa essere - è in realtà esplicitamente misurabile e approccerà sempre un valore reale perché tutti i giocatori sono onesti e razionali. L’approccio estetico o il modello arbitrario è un po’ come le, cosiddette, “bolle di mercato irrazionalmente esuberanti”. E, naturalmente, nonostante tutta la strada in salita fino al momento del crollo del mercato immobiliare e il conseguente disastro economico che è successo in tutto il mondo nel 2007 e 2008, i teorici del mercato efficiente continuavano a dire che le bolle erano impossibili e che, poiché non esistevano, era un esercizio stupido cercare di descriverle. Questi economisti sono come i biologi adattazionisti che considerano insufficienti i modelli di Fisher e Lande. Una delle importanti conseguenze della prospettiva estetica nella biologia evoluzionista ha a che vedere con la storia della teoria dell’evoluzione nel 20esimo secolo, periodo in cui la selezione sessuale era meramente una forma di selezione naturale e non vi era né una teoria circa la scelta della coppia né una teoria estetica disponibili al riguardo. Questo è riferibile, fondamentalmente, al periodo tra 1880 e 1970. Una delle caratteristiche di questo periodo, in cui la biologia non aveva alcun concetto circa la scelta della coppia e tutti gli accoppiamenti erano considerati sotto il controllo della selezione naturale, è che tutta la biologia evoluzionista era dominata dalla teoria dell’eugenetica. E questo è il periodo in cui molti concetti ancora utilizzati in biologia evoluzionista sono stati codificati e definiti. 9 La definizione semplicistica di un’ipotesi nulla è considerare che essa sia l’opposto dell’ipotesi alternativa, anche se il principio è più complesso. L’ipotesi nulla è un’ipotesi che il ricercatore cerca di confutare, rifiutare o annullare. Il termine “nulla” si riferisce spesso alla prospettiva convenzionale su una questione, mentre l’ipotesi alternativa è quella che il ricercatore pensa davvero sia la causa di un fenomeno. La conclusione di un esperimento si riferisce sempre all’ipotesi nulla, rifiutandola oppure accettandola. 10 Prum, Richard O. Aesthetic evolution by mate choice: Darwin’s really dangerous idea. In “Philosophical Transactions of the Royal Society of London B”, vol. 367, pp.22532265, 2012 11Ibidem 36 Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità Retroscena Se si aderisce rigidamente alla prospettiva adattazionista della selezione sessuale, nella quale la scelta della coppia è sempre fatta nell’ambito di quelle caratteristiche della coppia che indicano “qualità”, quindi, in sostanza, ogni scelta della coppia è un evento della selezione naturale. In tale “racconto” quanto accade riguarda una modalità di ottenere vantaggio. Al contrario, nella teoria estetica, nella quale, a volte, i tratti, solo perché sono popolari, evolvono per essere più presenti, esiste la possibilità che la loro evoluzione porti, anche, alla decadenza, compresi tratti strettamente legati alla sopravvivenza. L’eugenetica è stata la scienza che legittimava l’ideologia della superiorità razziale per cui alcune razze si sono evolute per essere superiori ad altre come conseguenza della selezione naturale. Questa premessa condusse ad una preoccupazione sia per la superiorità genetica che per i mezzi eugenetici. Infatti, l’eugenetica si è anche interessata alle questioni della classe sociale, del denaro e dell’ambiente. Si tratta di ciò che noi oggi chiamiamo benefici diretti. Entrambe le preoccupazioni dell’eugenetica sono ancora attivamente presenti nella teoria adattazionista circa la scelta della coppia in termini di “qualità genetica”. Ancora ad oggi, come accennato, il campo della selezione sessuale e dell’evoluzione della scelta della coppia è realmente dominato dalla scuola adattazionista, cioè dalla posizione di Wallace che sostiene che tutti i tratti e preferenze evolvono perché sono correlati con le caratteristiche che sono in realtà legittimamente ed esplicitamente, migliori. Dare spazio ad un’argomentazione che contrasta le idee con le quali abbiamo stabilito una familiarità è generalmente destabilizzante ma ciò viene fatto con la convinzione di contribuire ad allargare il pensiero unico e comune. In effetti, sembra intellettualmente poco credibile dimostrare che si possa fare scienza dell’evoluzione senza legittimamente accettare una definizione estetica più ampia di come la scelta della coppia potrebbe funzionare, limitata tuttora alla posizione adattazionista. ■■ la femmina come agente evolutivo Una delle conseguenze, accomodanti, della prospettiva adattazionista in merito alla selezione sessuale (cioè, il punto di vista di Wallace) è che in essa non c’è davvero bisogno di una spiegazione del perché le femmine preferiscono quello che fanno né c’è bisogno di focalizzare la nostra attenzione sulla FEMMINA COME AGENTE EVOLUTIVO. In questo senso, la prospettiva dell’evoluzione estetica è una teoria più comprensiva della teoria adattazionista, in quanto la prospettiva estetica descrive ciò che la femmina fa e ne attribuisce una forza determinante all’estetica, riconoscendo la capacità delle femmine, con le loro scelte estetiche, di influenzare l’evoluzione delle loro specie. Se si elimina la selezione naturale o si ammette che a volte è presente e a volte non lo è, allora possiamo porci la domanda: che cosa stanno facendo le femmine? Perché le femmine preferiscono le loro scelte? Quest’apertura dà luogo ad una serie di programmi di ricerca nell’ambito del conflitto sessuale, vale a dire, ricerca in merito a ciò che accade quando la scelta della coppia e la competizione tra i possibili compagni concorrenti si contrastano l’una con l’altra. Un perfetto esempio di questo è quello delle anatre. Infatti, le anatre maschi con le loro teste verde brillante compiono interessanti “rituali” o richiami di attenzione che ci invitano a riflettere. Le femmine scelgono sulla base di tali “spettacoli” e, di conseguenza, tutte le diverse specie di anatre presentano differenti piumaggi e colori. Nel frattempo, c’è un’altra forza in corso. Ciò che si scopre è che c’è una quantità molto grande di concorrenza maschio - maschio e, in effetti, questa competizione risale a qualche profonda biologia riproduttiva delle anatre. Infatti, l’anatra maschio è uno dei pochi uccelli che ancora hanno un pene. La sua morfologia funzionale, a forma di cavatap- Il sesso delle anatre In sostanza, adottando un’ipotesi nulla o un modello nullo riguardo la scelta della coppia (nella riproduzione sessuale) o circa l’evoluzione attraverso la scelta della coppia, in cui tratti estetici e arbitrari possono evolvere, si vaccina, permanentemente, la biologia evoluzionista contro il suo passato eugenetico. Questo è estremamente importante poiché tale passato non si allontana soltanto perché ciò ci piace o meno. 10 37 Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità Retroscena pi estensibili, è accompagnata da un meccanismo di erezione esplosiva linfatica, piuttosto che vascolare, che avviene in volo. La sua estensibilità può, in pochi secondo, raggiungere perfino 40 centimetri, lunghezza che supera quella della papera oggetto dell’attenzione.12 Un straordinario tratto biologico. Cosa, allora, sta succedendo in queste anatre? In molte varietà di anatre, l’accoppiamento è “forzato”13. Nelle specie dove l’accoppiamento è “forzato” le femmine presentano una complessa morfologia vaginale che le consente di ostacolare l’introduzione del pene del maschio. Nei casi dell’anatra in cui la specie ha sviluppato un pene a forma di spirale antioraria (cioè a forma di cavatappi) con creste e formazioni esterne a modo di denti, la femmina ha sviluppato una vagina che ha anche dei vicoli ciechi, in modo che il pene introdotto forzatamente non riesca a percepire di essere vicino all’ovidotto, più in alto dell’ovidotto e se più vicino agli ovuli. Inoltre, a questi vicoli ciechi, le anatre hanno sviluppati “bobine in senso orario”, quindi, sono dotate praticamente di dispositivi anti-vite che impediscono la penetrazione durante i tentativi di accoppiamento forzato.14 Ciò che è successo è che le femmine hanno sviluppato, nella loro evoluzione, la capacità di prevenire la fecondazione risultante dalla copulazione forzata. QUESTA È UN’INDICAZIONE DELL’EVOLUZIONE DI UN VANTAGGIO FEMMINILE ATTRAVERSO IL CONFLITTO SESSUALE. Ma, in che modo questo accade e cosa questo ha a che fare con la bellezza? Beh, il modo in cui accade lo si può desumere se si prova ad immaginare che la femmina ottiene il compagno che lei desidera. Assumiamo che questa anatra maschio abbia la testa del colore verde brillante, e che esso faccia il verso che lei preferisce. La sua prole maschile erediterà i geni di questi tratti attrattivi per la femmina. Questa prole maschile beneficerà di geni preferiti da altre femmine della stessa specie che abbiano sviluppato le stesse preferenze. Se la fecondazione è forzata, allora la prole erediterà una “caratteristica casuale” perché non ha superato la prova della preferenza oppure erediterà tratti che sono stati specificamente respinti da altre femmine e, quindi, la prole maschile non sarà sessualmente attraente per altre femmine e questo è un costo genetico per l’anatra. Questo è un costo genetico indiretto alla sua fitness. Di conseguenza, la femmina subirà un costo per la coercizione sessuale. Quelle femmine che hanno una morfologia vaginale che consenta loro di raggiungere ciò che esse desiderano, beneficeranno la loro prole femminile che erediterà quella caratteristica. Questo è circa in che modo la normatività sviluppata - il concetto coevoluto, se si vuole, di ciò che è “sexy”, di ciò che le femmine preferiscono, provvede una leva che le femmine possono usare per sviluppare (evolvere) e ampliare la loro autonomia sessuale, per espandere il loro controllo e il loro “libero arbitrio” di fronte alla “violenza” sessuale. Nel caso delle anatre uno dei problemi con questo meccanismo è che esso è puramente difensivo, così la femmina evolve (sviluppa) una vagina più complicata e il maschio evolve un pene più grande. La femmina sviluppa una morfologia a forma di bobina in senso orario e il maschio sviluppa un pene che ha una struttura simile a denti antiorario su di esso. Diventa una corsa agli armamenti evolutiva. E ciò va interpretato come un grande spreco. Vi sarebbe, tuttavia, un’alternativa al conflitto. L’alternativa potrebbe essere che quando la scelta attuata dalla femmina viene attuata su una questione “estetica”, essa, effettivamente, rimodella o trasforma esteticamente il comportamento del maschio in modo fondamentale nella sua evoluzione. Un straordinario esempio di questo sono gli uccelli giardinieri [BOWERBIRDS / PTILONORHYNCHIDAE], famiglia di uccelli dell’ordine dei Passeriformi. Questi uccelli frugivori provengono dall’Australia, dalla New Guinea e dalle isole vicine. Ciò che rende particolari gli uccelli giardinieri è che il maschio costruisce dei pergolati per il corteggiamento. Questa struttura è composta spesso da due pareti di bastoni con un passaggio in mezzo. La struttura viene anche adornata con frutti, bacche, funghi, fiori, gusci di lumaca e, a volte, il maschio giunge anche a dipingere alcuni spazi con pigmenti naturali applicati per mezzo di una sorta di “pennello” tenuto col becco. La femmina visita il gazebo e sceglie il suo compagno in funzione dell’architettura del pergolato e dei materiali utilizzati in essa. In questo caso, con gli uccelli giardinieri, il maschio costruisce un teatro della seduzione, per volere della femmina, in una continua evoluzione perché le femmine preferiscono tale architettura per avanzare le loro scelte di accoppiamento, cioè per la selezione sessuale. Ciò che è interessante, naturalmente, è che queste strutture sono estetiche ma hanno la proprietà speciale di proteggere la 12 Patricia L. R. Brennan, Christopher J. Clark & Richard O. Prum. Explosive eversion and functional morphology of the duck penis supports sexual conflict in waterfowl genitalia. In “Proceeding of the Royal Society, Biological Sciences”, vol. 207, 2010 13 Circa il 10 per cento dei decessi del germano reale femmina possono essere attribuiti ad accoppiamenti forzati. Ibidem. 14Ibidem 38 Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità Retroscena La femmina può osservare ed esplorare il maschio e le sue meraviglie da una distanza stretta eppure lei è protetta da essere assalita sessualmente dal maschio. Perché? Perché la femmina preferisce si quelle strutture che oltre il rifugio le consentano di soddisfare i suoi desideri estetici ma, anche di fuggire. In questo caso, noi abbiamo negli uccelli giardinieri l’evoluzione di un’architettura estetica che protegge la femmina della copula forzata e questo è un altro modo in cui le femmine posso usare il concetto normativo sviluppato circa ciò che è bello per portare avanti la loro autonomia. 11 ■■ evoluzione estetica in risposta al conflitto sessuale Riflettendo sul sesso delle anatre e l’evoluzione estetica, si è iniziato a sviluppare un concetto “scientifico” dell’autonomia sessuale – il modo in cui un concetto di ciò che è, evolutivamente, attraente provvede potere e/o vantaggio per il progresso della libertà di scelta, la libertà nella scelta della coppia per l’accoppiamento sessuale riproduttivo. Il lavoro degli ornitologi porta ad aprirsi alla possibilità dell’EVOLUZIONE ESTETICA IN RISPOSTA AL CONFLITTO SESSUALE nell’evoluzione umana. Infatti, uno degli aspetti notevoli circa gli umani è la trasformazione della violenza maschile. Abbiamo ancora una specie in cui il 98 o 99 % della violenza è ancora (secondo i nostri paradigmi di comprensione e valorizzazione) il risultato del comportamento maschile, eppure siamo notevolmente meno violenti dei nostri più immediati e prossimi parenti, gli scimpanzé e i gorilla. Uno dei modi in cui noi umani siamo particolarmente meno violenti è la nostra moderazione del conflitto sessuale. Per capire dove noi umani siamo arrivati, evolutivamente, possiamo provare ad immaginare quando ancora eravamo più simili alle scimmie o ai gorilla oppure agli scimpanzé. La situazione per le femmine umane era piuttosto triste. Vi era un maschio al controllo politico e sociale del suo gruppo di appartenenza e, di conseguenza, egli controllava la vita sessuale di ogni femmina. Ciò che succedeva a volte, quando vi era tensione sociale, era che il maschio al comando del gruppo veniva deposto e un nuovo maschio arrivava al suo posto. Una delle prima cose che il nuovo maschio faceva era uccidere tutti i lattanti discendenti del precedente capogruppo. Ma perché faceva questo? Semplice. Perché l’allattamento al seno impedisce l’ovulazione, cioè, impedisce la riproduzione. Uccidendo tutti i lattanti del maschio dominante precedente, il nuovo maschio capobranco migliorava la sua opportunità riproduttiva. Tutte le femmine andavano in estro e in breve egli aveva l’occasione di avanzare la sua prole. Era un comportamento maschile “egoista” che si evolve nella concorrenza maschio - maschio umano e sembra che abbia avuto un impatto negativo sulle femmine. Già negli anni ’80 del secolo scorzo, Sarah Blaffer Hrdy ed altri stabilirono che una delle risposte che le femmine diedero a questo conflitto sessuale fu accoppiarsi e produrre prole con più maschi, specialmente con maschi di fuori del gruppo, nella speranza di acquistare una “polizza assicurativa”, in quanto, se uno di quei maschi diventava dominante, avrebbe potuto astenersi di uccidere il neonato dinnanzi alla possibilità che quel bambino fosse veramente suo figlio [ILLUSION OF PATERNITY]. Infatti, la ricerca sembra concludere che non vi sia ormai un imperativo genetico all’infanticidio tra gli umani. Tuttavia, questa “promiscuità”, come illustra il comportamento delle anatre, sembra che abbia dato luogo ad una corsa agli armamenti evolutiva. Se la femmina inizia ad avere rapporti sessuali con altri maschi, poi, naturalmente, il maschio dominante sarà molto più propenso a rispondere con forza per rafforzare il suo controllo sociale. Anche nell’evoluzione umana abbiamo avuto una “corsa agli armamenti” e se le femmine iniziarono ad avere accoppiamenti sessuali molteplici ciò non si è verificato per appagare le loro fantasie sessuali ma come una possibilità di operare al meglio in una brutta situazione, cioè ridurre l’infanticidio della loro prole eseguito dai nuovi maschi dominanti. Il sesso delle anatre femmina da un accoppiamento forzato, vale a dire, la femmina si presenta all’interno delle pareti del pergolato mentre il maschio si mostra nella parte anteriore, esibendo le sue cose meravigliose (fili colorati, tappi di plastica colorata, semi, fiori), ma prima che egli possa copulare con lei, egli deve andare indietro, alla parte posteriore del pergolato, e questo giro consente alla femmina di scappare qualora quel maschio non sia preferito. 39 Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità Retroscena Ciò che interessa agli studiosi oggi è la possibilità che la scelta estetica della coppia negli umani, in particolare la scelta attuata dalla femmina, abbia giocato un ruolo fondamentale nel rimodellamento della concorrenza maschio maschio, essenzialmente, stabilendo che quelle caratteristiche dei maschi che sono associate direttamente con la competizione violenta sono caratteristiche “sessualmente inattraenti” o, detto in modo positivo, che le caratteristiche associate con l’affermarsi dell’autonomia delle femmine si sono evolute come aspetti sessualmente attraenti. Questo è il tipo di interazione dinamica tra “conflitto sessuale” ed “estetica nella scelta della coppia” che gli osservatori documentano quando studiano gli uccelli giardinieri e gli uccelli che partecipano nell’arena dell’accoppiamento, cioè i cosiddetti LEKKING BIRDS15 e attraverso il mondo degli uccelli in generale. Quali sarebbero allora questi tratti? Una delle cose interessanti al riguardo è che, anche se noi umani ci siamo evoluti presentando un corpo più alto rispetto ai nostri antenati simili, come gli scimpanzé. Gli umani, maschi e femmine, presentano inoltre una minor differenza in altezza. I maschi e le femmine umani sono più simili, in termini di dimensione corporea, rispetto gli scimpanzé. Questo è esattamente contro le leggi dell’allometria che indicano che più grande è la dimensione corporea in una specie qualunque differenza tra i sessi diventa più marcata. Ciò significa che c’è stata una selezione attiva per ridurre la differenza della dimensione del corpo tra i maschi e le femmine umani, e questa caratteristica è molto probabile che si sia sviluppata (evoluta) attraverso la scelta del compagno attuata dalla femmina. Per avere un altro esempio basta guardare il sorriso umano. Abbiamo canini che sono sessualmente monomorfici. In tutti i nostri parenti primati dai primordi, compresi i nostri “parenti” più stretti, i gorilla e gli scimpanzé, i maschi hanno “armi letali” nelle loro bocche che mancano nei maschi umani. La domanda che ci poniamo dinanzi a queste caratteristiche è: a quali condizioni i maschi sono intenzionati a rinunciare alle loro “armi”? La risposta è davvero difficile ma sembra, comunque, che queste siano condizioni “estreme”. Forse la prima manifestazione di una “consapevolezza” circa la questione è quella espressa dal pensiero greco nella commedia di Aristofane “Lisistrata”, nella quale Lisistrata convoca le donne ateniesi e spartane ad attuare uno sciopero del sesso fino a quando gli uomini non mettessero fine alla Guerra del Peloponneso e firmassero la pace. Alla fine, dopo molte commedie i maschi si placano e firmano la pace e, in un tripudio di danze e banchetti, si celebra il ritorno delle donne dai loro mariti. Il pattern che in questo si può percepire è che le femmine possono trasformare le relazione sociali tra maschi e maschi attraverso la loro scelta del compagno ideale per l’accoppiamento. E questa è l’importanza della “bromance” prima del “romance”.16 Vi è qualcosa circa la cooperazione maschile che è particolarmente attrattiva alle femmine e che ha avuto un effetto di trasformazione. Naturalmente, questa è davvero una questione importante. Tutto ciò che sappiamo che ciò che è distintivo della biologia umana si basa sull’allungamento dell’infanzia, sulla dipendenza infantile e sugli investimenti dei genitori, sia che si tratti dalla dimensione del cervello, dello sviluppo di una capacità di linguaggio, della cultura o della tecnologia. Tutto questo ha richiesto tempi di crescita più lunghi e tempi più lunghi per sviluppare individui più intelligenti. L’eliminazione dell’infanticidio è stato uno sviluppo di grande impatto per le popolazioni umane. Sarebbe stato molto difficile investire sempre di più nella prole delle popolazioni umane se un terzo o un quarto della prole venisse uccisa a causa della competizione sociale - sessuale. E per questo che gli studiosi della materia propongono che una delle caratteristiche chiave per l’evoluzione dell’umanità è la soluzione del conflitto sessuale - sociale e il problema dell’infanticidio che ne generava ed è per questo che L’EVOLUZIONE ESTETICA E LA SUA INTERAZIONE CON IL CONFLITTO SESSUALE gioca un ruolo affascinante nella comprensione della, cosiddetta, “natura umana” e dell’evoluzione della biologia umana. Queste considerazioni possono risultare così peculiari ai non addetti che forse un’annotazione circa il mondo di un ornitologo evoluzionista potrebbe aiutare a renderle meno singolari. Un tale studioso 15 Un “LEK” è un raggruppamento di uccelli che si radunano in esibizioni competitive per attirare l’attenzione delle femmine che assistono allo spettacolo con la prospettiva di scegliere maschio per accoppiarsi. 16Una bromance è uno stretto rapporto, non sessuale, tra due o più uomini. È una forma di intimità omo-sociale, cioè un rapporto sociale non erotico tra persone di sesso maschile. La parola “bromance” è una parola composta di “bro” (brother / fratello) e “romance” (romanticismo). Dave Carnie coniò il termine nella rivista di skateboard Big Brother nel 1990 per fare riferimento specificamente al tipo di relazioni che si sviluppano tra i pattinatori, i quali trascorrono molto tempo insieme. 40 Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità Retroscena AL CENTRO DELL’EVOLUZIONE ESTETICA17 VI È L’IDEA CHE GLI ORGANISMI SONO AGENTI ESTETICI NELLA PROPRIA EVOLUZIONE. In altre parole, gli uccelli sono belli perché loro sono belli per loro stessi. Questa conclusione “scientifica”, in realtà, HA IL POTERE DI TRASFORMARE IL NOSTRO RAPPORTO CON LA NATURA cioè che possiamo passeggiare nella natura apprezzando in un nuovo modo i fiori, i canti e i movimenti degli uccelli. L’evoluzione estetica come un concetto scientifico ha il potere di trasformare davvero il modo in cui sperimentiamo la natura stessa. Quando si osserva un esemplare maschio INDIGO BUNTING [PASSERINA CYANEA] della famiglia CARDINALIDAE, che è un bel uccello blu, oppure uno SCARLET TANAGER [PIRANGA OLIVACEA], brillantemente rosso con ali olivastre e coda nera, e ci chiediamo come sono diventati così attraverso questa danza co-evolutiva, tra i tratti del maschio e le preferenze della femmina, questa comprensione trasforma ciò che vediamo. Questo accenno alla questione dell’estetica e della bellezza, reinterpretate da questa prospettiva evoluzionista, è un invito a noi umani a guardare la natura con la comprensione della scienza circa la vita estetica degli organismi. Comprendere che la natura non è un eden creato per deliziare l’uomo ha effetti trasformativi. Le prospettive antropocentriche18 in estetica impediscono il riconoscimento della complessità ontologica dell’estetica della natura e dell’agire19 estetico di molti organismi non-umani. Perciò accettare l’idea della preferenza estetica nella selezione sessuale e, quindi, nella selezione naturale, comporta accettare una teoria dell’estetica che comprenda sia l’arte biotica che l’umana. Le nuove visioni della Post-Modernità hanno permesso di postulare come il processo valutativo di co-evoluzione sia condiviso da tutte le manifestazioni biotiche [BIOTIC ADVERTISEMENTS]. Ciò è coerente se si considera che l’arte consiste in una forma di comunicazione che co-evolve con la propria valutazione.20 L’arte, nel senso postmoderno inaugurato da Arthur Danto21, e la storia dell’arte, sono fenomeni che riguardano le popolazioni. Infatti, in questa nuova visione il concetto d’arte è estensibile a qualunque popolazione di produttori e valutatori. I concetti attuali di arte non si circoscrivono esclusivamente alle arti umane ma sono estesi alle forme di arte biotica non-umane.22 Qualora la prospettiva assunta non sia antropocentrica, qualunque concetto d’arte dovrà impegnarsi con la biodiversità e dovrà riconoscere molti casi di manifestazioni biotiche come arte così come escludere alcuni esempi considerati arte umana. La teoria dell’estetica co-evoluzionista offre un’euristica per un nuovo paradigma estetico che contenga al suo interno sia i mondi dell’arte biotica che umana. Il riconsiderare l’estetica e la storia dell’arte, senza gli umani come il centro organizzante di queste manifestazioni, stimola un cambiamento sia nella nostra comprensione dell’arte che del contributo umano specifico all’estetica e dell’estetica in generale alla biodiversità. 17 L’evoluzione estetica si può definire come l’evoluzione di un segnale di comunicazione attraverso la valutazione sensoriale e cognitiva, che è ulteriormente elaborato attraverso la co-evoluzione del segnale e della sua valutazione. 18 L’antropocentrismo, cioè l’idea che l’uomo sia al centro dell’universo, percorre tutte le culture umane. Nella nostra tradizione occidentale, il primo a contestarla fu Galileo con i suoi tentativi di separare la filosofia dalla teologia. La contestazione più radicale è stata quella di Darwin quando, esponendo il meccanismo delle selezione naturale, propone che l’uomo sarebbe un prodotto casuale assieme alle altre specie che convivono con noi nel pianeta. 19 Nel senso di libero arbitrio. 20 Quando Marcel Duchamp esibì un orinatoio, un atto che egli chiamò di deliberata indifferenza estetica, ciò che egli fece fu creare una situazione diversa dall’utilizzo convenzionale dell’oggetto, sostenendo: possiamo mettere qualunque cosa in una galleria d’arte, perché, così facendo, si induce il pubblico a conferirle un valore. Ciò che egli ci trasmette è che la transazione tra noi e l’oggetto, in un particolare contesto, crea il valore dello stesso. 21 Danto, Arthur. La trasfigurazione del banale (Laterza, 2008), La destituzione filosofica dell’arte (2008), L’abuso della bellezza (2007), Dopo la fine dell’arte (2008), Andy Warhol (2010), Oltre il Brillo Box (2010) 22 Prum R.O Co-evolutionary aesthetics in human and biotic art-worlds. In “Biology and Philosophy”, vol. 28, pp. 811-832, 08/2013 Il sesso delle anatre è interessato alla biodiversità e all’origine delle diverse famiglie di uccelli. Infatti, tale studioso oltre ad osservare ed elencare gli uccelli ed ascoltarne i loro versi, ricostruisce la loro filogenesi e, molto probabilmente, interessandosi alla filogenesi finisce studiando l’evoluzione dei rituali di corteggiamento degli uccelli stessi. Infatti, studiare il comportamento degli uccelli, di per sé, deve essere un’esperienza estetica formidabile, si pensi soltanto ai piumaggi. 41 INDICE Editoriale........................................................................................................................................................................ Utilizzo di materiale umano LE METAFORE GUIDA SUL CORPO: DONO • RISORSA • MERCE ■■ LE ECONOMIE DI ORGANI, TESSUTI E CELLULE, NEL CAPITALISMO POSTMODERNO ■■ CORPO COME DONO, RISORSA E MERCE ............................................................................................... Homo sapiens ......................................................................................................................................................... ANIMALE DIFFERENZIATOSI CON L’ISTINTO DI NARRARE IL RACCONTO COME SIMULAZIONE ADATTIVA 3 3 4 7 Rinaldo Octavio Vargas, sociologo & Eugenia D’Alterio, biologa Coscienza e consapevolezza ..................................................................................................................... REINTERPRETATE ALLA LUCE DELLE NEUROSCIENZE SOCIALI NELLA POST-MODERNITÀ 12 Rinaldo Octavio Vargas, sociologo & Eugenia D’Alterio, biologa ■■ LA TEORIA DELLO SCHEMA DELL’ATTENZIONE SOCIALE ■■ COSCIENZA E ABILITÀ SOCIALI ■■ LA CONSAPEVOLEZZA COME COSTRUTTO DELLA PERCEZIONE SOCIALE ■■ IL MODELLO DELLO SCHEMA DELLA PERCEZIONE SOCIALE RIGUARDO IL PROCESSO ........................................................... 12 ............................................................................................................... 14 ........................... DELL’ATTENZIONE 15 .......................................................................................................................................... 17 ■■ PER CAPIRE LA PROPRIA E L’ALTRUI CONSAPEVOLEZZA ■■ IL MODELLO DELLA PERCEZIONE SOCIALE E DELLA COGNIZIONE ■■ LE DIFFICOLTÀ POTENZIALI DELL’IPOTESI IN CORSO ........................................................... 18 ..................................... 19 ............................................................ 21 SFIDA 1: COME PUÒ ESSERE SPIEGATA LA “SENSAZIONE” INTERIORE DELLA COSCIENZA? SFIDA 2: COME IL MODELLO DELLA PERCEZIONE SOCIALE GUADAGNA ACCESSO AD INFORMAZIONE IN UNA MODALITÀ SPANNING................................................. SFIDA 3: LA TEORIA DELLO SCHEMA DELL’ATTENZIONE SOCIALE È COMPATIBILE CON LA TEORIA DELLA SIMULAZIONE ■■ COSCIENZA COME ELABORAZIONE DELL’INFORMAZIONE ...................................................... 27 Il sesso delle anatre ............................................................................................................................................. conflitto sessuale ed evoluzione estetica 30 Rinaldo Octavio Vargas, sociologo, Eugenia D’Alterio, biologa & Sara Palma, studentessa di biologia ■■ L’ESPERIENZA SOGGETTIVA È UN AGENTE DELL’EVOLUZIONE DEGLI ORGANISMI ■■ LA “PERICOLOSA” IDEA DI DARWIN: L’ESPERIENZA ESTETICA ATTUATA NELLA SCELTA DELLA COPPIA . 30 ................................................................................................................................. 33 ■■ MODELLI ESPLICATIVI DELLA SELEZIONE SESSUALE ■■ LA FEMMINA COME AGENTE EVOLUTIVO ■■ EVOLUZIONE ESTETICA IN RISPOSTA AL CONFLITTO SESSUALE ................................................................ 35 ........................................................................................... 37 42 ....................................... 39 Ogni passo compiuto da noi umani per allontanarci dall’idea di essere il centro organizzatore dell’universo produce un’espansione della nostra conoscenza della realtà e migliora il nostro giudizio circa le nostre origini e la nostra condizione casuale insieme a tutti gli altri organismi. Buone festività Bio Educational Papers Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità - Retroscena DIDASCALIE DELLE IMMAGINI 1. the gijs+emmy spectacle, Stedelijk Museum Amsterdam, Feb - Aug 2014, Foto: Spartaco Peviani 2. Le maschere teatrali raffiguranti la tragedia e la commedia costituiscono a tutt’oggi uno dei simboli dell’arte teatrale nel suo complesso. Mosaico, Museo di Fiesole. 3. Simulazione di guida. Fonte: WIKIPEDIA, PUBLIC DOMAIN 4. DOROTHY SPEARS. Immagini dell’istallazione video e performance BLACK MIRROR di DOUG AITKEN. Atena 2011. 5. PAGE SPREAD. Immagine dell’istallazione video e performance BLACK MIRROR di DOUG AITKEN con la partecipazione di CHLOE SEVIGNY. Atena 2011 6. Immagine dell’istallazione video e performance BLACK MIRROR di DOUG AITKEN. Atena 2011. 7. Un maschio Satin Bowerbird (Ptilonorhynchus violaceus minor) si mostra ad una femmina che è entrata nel suo pergolato. Wooroonooran National Park, Queensland, Australia. Foto: Tim Laman. 8. Un uccello giardiniere maschio (Chlamydera nuchalis) al suo pergolato con vetro verde, un giocattolo elefante di plastica, un giocatolo soldato ed altre decorazioni. Townsville, Queensland, Australia. Foto: Tim Laman. 9. Uccello del Paradiso di Wilson (Cicinnurus respublica). L’esemplare maschio adulto esegue la sua esibizione più importante al centro della sua area di performance. Waigeo Island, Raja Ampat Islands, Indonesia. Foto: Tim Laman. 10. Esibizione del “bottino” da parte del maschio nel “rituale” di ricerca di accoppiamento negli uccelli giardinieri. Foto: Tim Laman. 11. Un maschio Satin Bowerbird (Ptilonorhynchus violaceus) nel suo pergolato decorato con tappi di plastica e con una piuma azzurra di pappagallo nel becco. Queensland, Australia. Foto: Tim Laman. 43 http://medicinacostruzionesociale.wordpress.com/ Gentile Lettrice / Gentile Lettore, La informiamo che può utilizzare il modulo di adesione e relativa busta preaffrancata, acclusi, per segnalarci cambi di indirizzo, feebdack e nuovi nominativi di utenza interessata. Editore Centro di Medicina Omeopatica Napoletano Viale Gramsci, 18 - 80122 Napoli Tel. 0817614707 - www.cemon.eu a sostegno della rete della vita 99BIO