Alfredo De Rossi, Thales Research and Technology, France Mercoledì 4 giugno 2014 Polo scientifico e Tecnologico, Università di Ferrara, Aula 9, ore 11.00-13.30 Parte 1. Dall'ottica integrata alla nano-fotonica: fisica, tecnologia ed innovazione. L'ottica integrata nasce alla fine degli anni '60, quando l'integrazione di un gran numero di componenti elettronici su chip è ormai un processo industriale consolidato ed i primi microprocessori sono già in gestazione. La proposta di S.E. Miller dei Bell Labs è semplice: utilizzare le tecnologie di fabbricazione della microelettronica per realizzare dei "circuiti", con cui effettuare operazioni su un segnale a portante ottica. L'industria della fotonica continua tuttavia a svilupparsi intorno a dispositivi relativamente semplici (modulatori, fotodiodi, sorgenti laser) e connessi tramite fibre ottiche. Il "decollo" della fotonica integrata è recente. Nel 2006, Infinera, un'impresa fondata poco prima, presenta un chip capace di ricevere e trasmettere dati a 100 Gbit/s, una funzione fino ad allora realizzata riunendo decine di componenti elementari. Non solo le dimensioni ma anche il consumo di energia ne risultano ridotti drasticamente. Il consumo di energia nelle comunicazioni e nel trattamento dei dati connessi, ad esempio, all’utilizzo di internet è ormai considerato con grande preoccupazione. In tale contesto, l'integrazione in fotonica appare indispensabile. La ricerca nel campo dell'ottica integrata è letteralmente "esplosa" negli ultimi anni. Le "photonic foundries" propongono ormai la fabbricazione standardizzata di circuiti fotonici a partire da disegni realizzate dai "clienti", in stretta analogia con il modello della microelettronica. In questo seminario fornirò una sintesi del progresso della fotonica integrata e della sua probabile evoluzione verso una sempre maggiore densità di integrazione. Presenterò inoltre qualche esempio di circuito fotonico e ne discuterò il funzionamento. La "fontana luminosa", invenzione di Daniel Colladon, presentata nel 1842 Il primo esempio di guida ottica. Parte 2. Cristalli fotonici Nel 1987, E. Yablonovitch e S. John proposero, indipendentemente, strutture artificiali capaci di modificare radicalmente le proprietà dei campi elettromagnetici. Questi due scienziati formularono l'ipotesi che strutture dielettriche, periodiche sulla stessa scala spaziale della lunghezza d'onda della radiazione luminosa che le attraversa, possano fare apparire ai fotoni delle "bande proibite", in analogia con le proprietà elettroniche dei cristalli. Tali strutture furono definite "cristalli fotonici". Le implicazioni più importanti sono la modifica del tasso di emissione spontanea, associato al decadimento degli stati elettronici eccitati, ed una forte localizzazione spaziale del campo elettromagnetico, indotta da lievi perturbazioni della struttura ordinata. Una volta superate le notevoli difficoltà tecnologiche, inerenti alla fabbricazione di strutture rigorosamente periodiche su scale sub-micrometriche, la ricerca sui cristalli fotonici ha condotto ben oltre la conferma delle ipotesi formulate da Yablonovic e John. La ricerca fondamentale intorno all'interazione materia-energia ha evidenziato il fenomeno predetto da Purcell (modifica dell'emissione spontanea) ed il regime di accoppiamento forte, in cui un "atomo" scambia in modo coerente e periodico l'energia con un modo del campo elettromagnetico, invece di decadere irreversibilmente. Oltre a costituire un terreno fertilissimo per l'esplorazione di nuovi fenomeni, i cristalli fotonici sono stati utilizzati per realizzare funzioni utili al trattamento del segnale ottico. In questo seminario illustrerò il principio di funzionamento di un cristallo fotonico e mostrerò gli aspetti salienti delle tecniche di fabbricazione di questi componenti. Inoltre, presenterò qualche esperimento fondamentale alla comprensione del funzionamento dei cristalli fotonici. I cristalli fotonici sono strutture dielettriche periodiche su scale sub-micrometriche. Ciò conferisce a tali materiali delle proprietà ottiche singolari. Le ali di alcune farfalle devono il loro colore non alla pigmentazione, ma alla particolare conformazione dei loro tessuti.