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IL TROVANTE
Come già evidenziato nella scheda “La posizione geologica dell’Alpe Selviana”, l’Alpe poggia
su un deposito morenico che si è formato su un terrazzo di granito. Il deposito situato ai
lati ed al termine del percorso del ghiacciaio è composto da limo, sabbia e pezzi di roccia
staccatisi dalla montagna e raccolti dallo stesso lungo il suo percorso.
Le pietre presenti in un deposito morenico si presentano con i contorni più o meno
arrotondati, questo dato varia a seconda della lunghezza del percorso effettuato, dello
sfregamento con altri elementi e dalla composizione chimica del masso stesso.
I massi erratici, data la facile reperibilità, venivano spesso usati per la costruzione di case
e di muri di cinta. Il loro utilizzo consentiva allo stesso tempo di liberare pascoli e campi da
questi ingombri.
Essendo le pietre di forma irregolare, si creavano problemi di stabilità dei muri che
venivano quindi costruiti avvicinando le pietre il più possibile una all’altra e riempiendo gli
spazi con schegge e calce.
Dove possibile, soprattutto nei punti critici delle costruzioni (spigoli delle case e sommità
dei muri di cinta), si preferiva utilizzare pietre pesanti e squadrate.
Alcuni esempi: il muro in pietra a vista all’interno del salone ed il muro di cinta vicino al
cancello d’entrata dell’Alpe Selviana.
In questo punto del percorso didattico ci
troviamo di fronte ad un masso erratico (o
trovante) di granito.
Ad una prima osservazione, il masso appare di
forma
arrotondata.
Osservandolo
attentamente notiamo invece che presenta
una faccia piatta con contorni a spigolo vivo.
La faccia piatta presenta, lungo tutto il suo
perimetro, diverse “tacche” distanziate fra
loro 8-10 cm. Le tacche indicano che il masso
è stato tagliato dall’uomo usando i “punciot”.
Il masso erratico di granito
I punciot, termine dialettale con cui si indica
il cuneo a punta mozza usato per tagliare la
pietra, venivano utilizzati già in tempi antichi per tagliare pietre anche molto grosse.
GUIDA AL SENTIERO DIDATTICO – ALPE SELVIANA
Coop. Agric. “Il Glicine” Via Selviana 42 – 28887 Agrano (VB) Tel: 0323 81287 E-mail: [email protected]
ECOMUSEO CUSIUS Tel: 0323 89622 E-mail: [email protected] www.lagodorta.net
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L’impiego dei “punciot” è il seguente:
si traccia sulla pietra la linea dove si deve effettuare il taglio. La direzione del taglio non
può essere arbitraria ma deve tenere conto del tipo di pietra e della sua eventuale
tendenza naturale a fratturarsi.
Usando la punta e la mazzetta si ricavano dei fori a
sezione rettangolare disposti lungo tutta la linea
stabilita. I fori sono distanziati fra di loro di 8-10 cm e
terminano a punta ad una profondità che varia dai 5 ai
10 cm in base alla misura della porzione di masso da
staccare. Dopo aver eseguito tutti i fori si introduce in
ognuno un ferro a punta mozza, il punciot, della stessa
dimensione della punta precedente. Non toccando il
fondo del foro, il punciot agisce soltanto sulle pareti
dello stesso, come un cuneo. Posizionati tutti i punciot si
inizia da un capo della fila a picchiare un colpo di mazza
sul primo, poi sul secondo e via dicendo fino all’ultimo,
quindi si ricomincia. Si continua così fino a taglio
ultimato. In questo modo si produce una tensione
interna alla roccia che può spezzare massi enormi.
I punciot in posizione per il taglio
Su questo masso si osserva inoltre un foro a sezione
quadrata che serviva probabilmente a sorreggere l’incudine su cui si “batteva” la falce con
un martello. Ciò serviva a rendere più sottile la porzione di lama successivamente affilata
con la cote (pietra abrasiva ad uso manuale). Ciò fa pensare che in tempi passati in questo
luogo si effettuasse la fienagione.
PER FAVORE NON SALIRE SUL MASSO
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altrimenti distruggi i licheni.
9b IL GRANITO E I SUOI MINERALI
PRINCIPALI
Origine. Il granito è una roccia di origine magmatica intrusiva, in pratica è magma
raffreddato lentamente in profondità. Più è lento il tempo di raffreddamento e più sono
grossi i granuli del granito. 9
Età. Con vari sistemi di analisi si calcola che la massa di granito del Monte Mottarone sia
giunto alla posizione attuale circa 40 milioni di anni fa. Il granito del Mottarone fa parte
della formazione dei “graniti dei laghi” che si estende dal Biellese al Lago Maggiore.
Composizione. Il granito è composto da 4 minerali principali:
Quarzo (33%), lucentezza vitrea, da trasparente a translucido, incolore, si presenta anche
in varie tonalità di grigio e marrone.
Ortoclasio (32%), lucentezza porcellanacea, opaco, da bianco avorio a rosa fino a rosso.
Plagioclasio (31%), lucentezza porcellanacea, da opaco a translucido, bianco.
Mica, lamette nere, lucide, facilmente sfaldabili.
Sono presenti anche altri minerali, al momento ne sono stati ritrovati circa 70, ma in
quantità irrilevanti ai fini pratici.
GRANITO ROSA
QUARZO
ORTOCLASIO
PLAGIOCLASIO
MICA
I minerali principali del granito
Il granito più diffuso è quello bianco.
A Baveno viene estratto un granito rosa famoso in tutto il mondo che deve il suo colore a
piccole percentuali di ferro contenute nell’Ortoclasio. Ad Agrano, a monte dell’Alpe
Selviana, veniva estratto fino al 1995, un granito molto simile a quello di Baveno.
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I granuli del granito sono cristalli deformatisi uno contro l’altro per mancanza di spazio. A
volte nel granito sono presenti spazi vuoti, lasciati da bolle o fessure piene di liquidi
imprigionati nel magma in via di raffreddamento, in cui i minerali trovano lo spazio per
svilupparsi liberamente. Si vengono così a formare delle cristallizzazioni estremamente
affascinanti dal punto di vista estetico e molto rare. ricercate dai collezionisti di minerali
di tutto il mondo.
Utilizzo: il granito è una roccia molto dura e, come tale, si presta alla preparazione di
pavimentazioni soggette a grande usura, come pavimenti di stazioni, negozi, piazze ecc. Il
grande effetto estetico del granito lucidato, in particolare di quello rosa, rende questa
roccia un materiale ideale anche per opere monumentali e colonne. Viene inoltre utilizzato
per piani di lavoro, ad esempio per banchi bar e cucine, e anche per pavimentazioni di
pregio, magari intarsiando o alternando graniti di varie sfumature cromatiche.
A titolo di esempio è stato usato il granito di Baveno per molte delle colonne del Duomo di
Milano e della stazione di Genova. Con lo stesso tipo di granito sono state ricavate infinite
soglie, gradini di scale, voltini di infissi, cordoli di marciapiedi, pavimentazioni di stazioni e
metropolitane di tutta Italia.
Monumenti di granito di Baveno si trovano in tutto il mondo; ne sono due esempi i
monumenti di Cristroforo Colombo a New York e a Chicago.
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9c
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I LICHENI
Cosa sono
I licheni sono il risultato di una simbiosi mutualistica
(ossia di una convivenza con utilità reciproca) fra
alghe e funghi. L’alga, grazie alla sintesi clorofilliana,
fornisce al fungo le sostanze che gli servono, il fungo
protegge l’alga dalle condizioni atmosferiche avverse.
Aiutandosi a vicenda nel lichene l’alga ed il fungo
riescono a sopravvivere a condizioni estreme. Infatti i
licheni sono presenti in ogni ambiente emerso della
terra: dalle rocce del Sahara a quelle del polo nord,
Licheni fogliosi e crostosi
dalla punta della montagna più alta all’Amazzonia. Si
può definire il lichene anche come “simbiosi per fame”, che si attua quando le condizioni
ambientali sono avverse a entrambi i simbionti, se le condizioni si modificano a favore di
uno dei due questo può prevalere fino a soffocare l’altro.
Funzione colonizzatrice
I licheni hanno una funzione importante come primi colonizzatori delle rocce. Quando una
roccia viene messa a nudo a causa di una frana di un’eruzione vulcanica, a causa dello
scioglimento del ghiaccio che la ricopre o altro, il primo vegetale che la colonizza in genere
è un lichene. Grazie alle sostanze che il lichene emette la roccia viene corrosa e disgregata
in superficie. Le piccole nicchie che si formano vengono lentamente riempite di humus,
prodotto dagli stessi licheni, che fornisce il substrato per l’insediamento dei muschi a cui
seguono erbe ed arbusti, fino ad arrivare agli alberi.
Utilità per l’uomo
Utilizzo dei licheni: tutti conosciamo i licheni come alimento per le renne, meno conosciuto
è invece il loro utilizzo come cura (reale o empirica) contro varie affezioni come tosse e
malattie polmonari in genere (Cetraria islandica e Lobaria pulmunaria), febbre (Xanthoria
parietina), idrofobia e altro.
Certi licheni vengono usati come alimento, altri come spezie, altri ancora per ricavarne dei
profumi. Attenzione a non ingerirli se non li conoscete bene. Ci sono licheni che mescolati
ad una polpetta venivano usati per uccidere le volpi. Alcuni licheni sono utilizzati ancora
oggi per tingere la lana. Dato che i licheni sopravvivono anche ad altezze in cui le radiazioni
ultraviolette sono fortissime si cerca di carpirne il segreto per produrre farmaci
antitumorali per la pelle.
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Indicatori di inquinamento
La selezione dei licheni ha portato allo sviluppo di specie adatte anche alle condizioni
ambientali estreme presenti sul nostro pianeta. Per contro la loro grande capacità di
assorbire le sostanze presenti nell’aria li ha resi estremamente sensibili all’inquinamento, in
città infatti i licheni sono quasi scomparsi.
Grazie alla loro estrema rispondenza verso le sostanze inquinanti vengono usati per
monitorare l’ambiente. Non tutti i licheni sono ugualmente sensibili all’inquinamento, ma la
mancanza di alcune specie in un determinato luogo può dare indicazioni interessanti
riguardo al degrado dello stesso.
Alcune specie vengono usate in quanto “spugna” poiché assorbono sostanze presenti nell’aria
che possono essere successivamente misurate con analisi chimica.
In base alla forma di crescita i licheni sono distinguibili in tre principali categorie:
Licheni crostosi
Formano patine aderenti al substrato su cui crescono (roccia, corteccia o terra). Alcuni
licheni crostosi vivono dentro le microfessure delle rocce lasciando all’esterno solo i corpi
fruttiferi. Altri vivono dentro il legno. I più primitivi fra i licheni crostosi appaiono come un
ammasso di polvere (licheni pulverulenti) che formano colonie in posti riparati dall’impatto
diretto delle gocce di pioggia che altrimenti li laverebbe via. I licheni crostosi più
appariscenti formano delle macchie tondeggianti sulle rocce e crescono molto lentamente.
La colonia può aumentare il suo diametro anche solo di 4 mm in cento anni.
Licheni fogliosi
Si staccano parzialmente dal substrato su cui crescono
dove restano ancorati in posizione più o meno parallela
grazie alle rizine, specie di radichette aventi funzione
di ancoraggio e che allo stesso tempo servono anche ad
aumentare la superficie di contatto con l’aria. La
crescita dei licheni fogliosi è molto incentivata dalla
presenza di azoto e di sali minerali. In montagna è
comune vedere licheni rigogliosi sulla punta delle rocce o
in corrispondenza dei bordi; queste sono le zone più
frequentate dagli uccelli e quindi le più concimate.
Licheni fogliosi
Licheni frutticosi
Sono i licheni che crescono a forma di cespuglio con ramificazioni più o meno abbondanti.
Fanno parte di questa categoria i licheni che nutrono le renne.
Nei paesi nordici i licheni coprono enormi distese che assomigliano ai nostri prati d’erba.
In occasione di una visita di Lapponi all’Alpe Selviana ci hanno spiegato che c’è una grossa
differenza rispetto al nostro pascolo: il luogo in cui un branco di renne ha pascolato i
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licheni non può più essere pascolato per trent’anni, il tempo necessario ai licheni per
ricrescere.
Fanno parte dei licheni frutticosi anche le “barbe di bosco”, licheni di diverse specie che
crescono a penzoloni sui rami degli alberi in alta montagna.
Ci sono sfumature infinite fra queste tre categorie.
Ecco i licheni sul nostro masso erratico:
Licheni crostosi
Formano delle colonie
a macchia
tondeggiante,
crescono molto
lentamente
Licheni endolittici
(crostosi) Crescono
dentro la roccia. Creano
macchie di colore nero.
Licheni fogliosi
Più abbondanti sul perimetro di
questo masso piatto perché
questa è la zona più
frequentata dagli uccelli e
quindi la più concimata.
Licheni pulverulenti
Si sono stabiliti in zone
riparate per evitare di
essere portati via dalla
pioggia.
Il masso erratico con i licheni
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ALBERI PIONIERI
E BOSCO STABILE
Riprendendo l’argomento della vegetazione spontanea e di quella guidata dall’uomo, già
affrontata al n°7, abbiamo in questa zona del sentiero didattico un esempio pratico di lotta
fra i vegetali.
Il sentiero che percorriamo attraversa due tipi di bosco.
A monte un bosco chiaro formato in prevalenza da
betulle e pioppi le cui foglie piccole e tremolanti
permettono un parziale passaggio della luce solare.
Durante l’autunno le foglie cadute a terra si
decompongono velocemente e coprono il terreno di
strame solo per breve tempo, mantenendo le condizioni
necessarie alla sopravvivenza di alcuni tipi di erba e
della felce aquilina (in questo caso più rada e bassa che
in terreno aperto). Si può quindi osservare come betulle
e pioppi abbiano il sopravvento sulle felci nella lotta
verso il bosco stabile. Questo momento di lotta
rappresenta il passaggio da pascolo abbandonato a bosco
stabile.
Bosco di betulle
A valle un bosco composto prevalentemente da castagni e
querce.
Entrambe le essenze hanno foglie grosse e spesse che formano
una chioma fitta che trattiene quasi tutta la luce solare. Le
foglie che cadono a terra in autunno si decompongono
lentamente, impedendo ai semi di germogliare e oltrepassare lo
strato che ricopre il suolo.
Il sottobosco è quindi quasi assente e formato solo da qualche
rara felce aquilina esile e da piccoli rovi. Soltanto nei luoghi
umidi si sono insediati i muschi e le felci che non richiedono
molta luce.
Bosco di castagni
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All’Alpe Selviana si riproduce nelle coltivazioni il principio che limita la crescita dell’erba
nel bosco con una tecnica agronomica denominata “pacciamatura organica”: le foglie e l’erba
tagliata nelle piantagioni sono utilizzate per coprire il terreno in modo da ostacolare la
crescita dell’erba in prossimità delle piante coltivate, in questo modo si riesce anche a
mantenere il terreno umido. L’apporto di sostanza organica permette altresì la formazione
dell’ humus direttamente sul posto.
Alcune osservazioni riguardanti la manutenzione del pascolo:
E’ errato pensare di eliminare l’invasione della felce aquilina utilizzando il fuoco perché
queste spunteranno più rigogliose di prima.
Le felci aquiline devono essere tagliate costantemente (per diversi anni), possibilmente
prima che si apra il ricciolo apicale. Risultati migliori si otterrebbero strappandole facendo
attenzione a non tagliarsi (usare guanti robusti).
Il taglio delle felci è seguito da una crescita spontanea di rovi che devono essere strappati
prima che l’apice del pollone tocchi il suolo provocandone la moltiplicazione per capogatto,
termine con cui si indica il radicamento dell’apice del pollone, cosa che avviene tra agosto e
settembre.
Le ginestre, che durante la primavera regalano colore ai pascoli grazie al colore giallo dei
fiori, devono essere strappate poiché si rischierebbe un’invasione, infatti i semi di questa
specie vengono “sparati” lontano dai baccelli che si aprono di scatto facendo da fionda. In
questo modo la ginestra si propaga molto velocemente.
Strame di betulla
Strame di castagno e quercia
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IL TORRENTE PESCONE
Al punto n° 11 del sentiero didattico ci troviamo nella zona delle cascate del torrente
Pescone, il maggiore immissario del Lago d’Orta.
ATTENZIONE a non scivolare, tenere per mano i bambini!
Parte dell’acqua del torrente viene deviata a monte dell’Alpe Selviana per alimentare,
attraverso la condotta forzata che vediamo all’entrata dell’Alpeggio, la turbina della
centrale elettrica posta a valle dell’Alpe. Parte viene invece prelevata per rifornire i bacini
idrici dei Comuni di Omegna e Pettenasco.
Il Pescone nasce nella “valascia”, una delle vallette terminali del Monte Mottarone e lungo il
suo percorso raccoglie le acque di altri torrenti (Bottigetto, Pesconetto ecc.).
Il percorso iniziale si snoda in un ambiente granitico, lungo scivoli viscidi ed attorno a massi
che sembrano erratici, in realtà sono residui dell’antica crosta di granito erosa dal tempo.
Più a valle il Pescone raccoglie veri massi erratici depositati da antichi ghiacciai, e li
accompagna verso valle sfruttando la potenza dell’acqua durante i temporali estivi (il
ghiaione ed i massi non granitici depositati nelle lanche hanno questa origine).
Il torrente prosegue poi il suo percorso uscendo dall’alta valle del Pescone, che all’altezza
dell’Alpe Tògn, si chiude a catino lasciando soltanto uno stretto passaggio che permette il
deflusso dell’acqua.
Più a valle inizia la serie delle cascate dell’Alpe Selviana che
termina con l’orrido. Dopo un breve tratto pianeggiante la
seconda serie di cascate in località Pescone chiude
definitivamente la vita selvaggia del torrente che da qui
diventa più domestico.
Un tempo il torrente era parte attiva della civiltà contadina
ed industriale, le sue acque erano utilizzate per il
funzionamento di mulini e tornerie (ora diroccate) e per
irrigare campi e prati (ora abbandonati).
Il torrente Pescone si immette nel Lago d’Orta presso
Pettenasco.
Una delle cascate del torrente Pescone
nei pressi dell’Alpe Selviana
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Curiosità:
- Le rocce granitiche presenti all’Alpe Selviana sono di colore bianco, mentre la sabbia
depositata sul fondo delle lanche è rosa perché a monte il granito è di colore rosa.
- Il granito sul quale scorre l’acqua è levigato a causa dell’effetto erosivo dell’acqua stessa
e della sabbia trasportata che ha un “effetto lima.”
- Il granito tende a “sgranarsi” poiché uno dei suo componenti, il feldspato, si decompone,
anche se molto lentamente, a contatto con l’acqua. In questo modo viene a mancare un
componente dell’incastro dei granelli che compongono il granito che quindi collassa
formando il sabbione che il torrente porta a valle. Oltre a questo motivo chimico il granito,
come tutte le altre rocce, si sgretola anche a causa della dilatazione termica specifica
diversa dei minerali che lo compongono e che si staccano una dall’altro per sfregamento.
A Pettenasco è stata ristrutturata un’antica torneria del legno visitabile dall’anno 2000. Il
recupero dell’edificio ha permesso di riscoprire l’importanza e le tradizioni del passato e di
far rivivere le testimonianze di coloro che sino a qualche decennio fa, proprio lungo il corso
del torrente Pescone, avevano ubicato le proprie aziende traendo l’energia dalla forza
dell’acqua.
La valle del Pescone vista dalla cava di granito.
Sullo sfondo il Lago d’Orta e l’Isola di San Giulio
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