SCHEDA INFORMATIVA ‐ COP21 – SUMMIT DI PARIGI SUL CLIMA CLIMATE CHANGE – IL PUNTO SUGLI SCENARI Sul cambiamento climatico già siamo oltre i “confini planetari” (Planetary Boundaries) indicati dalla comunità scientifica Un team di alcuni tra i maggiori esperti mondiali di Earth System Sciences e Global Sustainability hanno pubblicato, in questi ultimi anni, alcuni lavori fondamentali 1 , sul concetto di confini planetari e dell’individuazione di uno spazio sicuro per l’umanità (Safe and Operating Space). Questo ampio filone di ricerca analizza gli effetti del nostro sempre più pesante impatto sui sistemi naturali e tenta di individuare alcuni fondamentali punti critici, oltrepassati i quali gli effetti a cascata che ne derivano possono essere devastanti per l’umanità. Per questo sono stati individuati “i confini del pianeta” (Planetary Boundaries) che, si ritiene, l’intervento umano non può superare, pena effetti veramente negativi e drammatici per tutti i sistemi sociali. 1
Rockstrom J. et al, 2009, A Safe Operating Space for Humanity, Nature, vol,461; 472‐475; Rockstrom J. et al.; 2009, Planetary Boundaries: Exploring the Safe and Operating Space for the Humanity, Ecology and Society; vol.14, n.2; 32 (www.ecologyandsociety.org/vol14/iss2/art32) , Steffen W. et al., 2015, Planetary boundaries: Guiding human development on a changing planet, Science, vol 347, nl6223, DOI 10.1126/science.1259855. Vedasi anche www.stockholmresilience.org . L’analisi che si basa su decenni di studi nelle scienze del sistema Terra e sulle ricerche nel settore della resilienza, identifica uno “spazio operativo sicuro” biofisico sulla Terra per mantenere gli equilibri dinamici del pianeta Terra nello stato di relativa stabilità che si è tenuto nell’ambito del periodo dell’Olocene, da 11.000 anni fa ad oggi nell’ambito del quale l’umanità, che è passata dalla rivoluzione agricola alla diffusa civilizzazione odierna, ha buone probabilità di prosperare in futuro. I confini planetari individuati sono nove, tutti ovviamente con forti interconnessioni reciproche, e sono il cambiamento climatico, l’acidificazione degli oceani, la riduzione della fascia di ozono nella stratosfera, la modificazione del ciclo biogeochimico dell’azoto e del fosforo, l’utilizzo globale di acqua, i cambiamenti nell’utilizzo del suolo, la perdita di biodiversità (dell’integrità biosferica), la diffusione di aerosol atmosferici, l’inquinamento dovuto ai prodotti chimici antropogenici (alle nuove entità diffuse in natura). Per quattro di questi e cioè il cambiamento climatico, la perdita di biodiversità, il ciclo dell’azoto e del fosforo e le modifiche di utilizzo del suolo gli studiosi ci dicono che siamo già oltre il confine indicato. Per il cambiamento climatico si tratta sia dell’indicazione della concentrazione dell’anidride carbonica nell’atmosfera (calcolata in parti per milione di volume –ppm ‐) che del cambiamento del forcing radiativo, cioè per dirla in maniera molto semplice, la differenza tra quanta energia “entra” e quanta “esce” dall’atmosfera (calcolato in Watt per metro quadro). Per la concentrazione di anidride carbonica nel periodo pre industriale, eravamo a 280 ppm, oggi siamo a 389 (avendo già raggiunto in alcuni mesi degli ultimi tre anni la cifra di 400) e dovremmo scendere, come obiettivo, al confine di 350 . Immaginatevi la portata della sfida di questo limite che, tra l’altro, non è per nulla oggetto di discussione alla 21° Conferenza delle Parti della Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici di Parigi, dove si accettano percentuali di riduzioni di emissioni di gas climalteranti che porterebbero a concentrazioni di CO2 nella composizione chimica dell’atmosfera ben superiori alle 350 ppm indicate. Per quanto riguarda il secondo aspetto relativo al confine planetario del cambiamento climatico si tratta del “forcing radiativo” in era preindustriale è calcolato zero, oggi secondo i dati aggiornati presentati nel 5° ed ultimo rapporto dell’IPCC è 2.3 Watt per metro quadro. il confine accettabile viene indicato dagli studiosi a 1 Watt per metro quadro. In fondo abbiamo già oltrepassato le cifre indicate dagli scienziati come confine planetario per i cambiamenti climatici mentre la negoziazione politica si è data altri obiettivi che riguardano la possibilità, sempre suggerita dalle ricerche degli studiosi, di mantenere l’incremento della temperatura media della superficie terrestre non superiore ai 2°C rispetto alla temperatura presente in epoca preindustriale. Quali sono gli scenari previsti dall’ultimo rapporto IPCC ? Per le proiezioni dei cambiamenti climatici elaborate dal Gruppo di Lavoro I 2 del Quinto e ultimo Rapporto di Valutazione dell'IPCC, la comunità scientifica ha definito un set di 4 nuovi scenari, denominati Representative Concentration Pathways (RCP). Tali scenari sono identificati dal loro forzante radiativo totale approssimato previsto nel 2100 (rispetto al 1750) che è stato indicato di 2,6 W/m2 per RCP2.6, 4,5 W/m2 per RCP4.5, 6,0 W/m2 per RCP6.0, e 8,5 W/m2 per RCP8.5. Quindi tali scenari si differenziano perché oltre alla sigla uguale per tutti, RCP, il loro numero è invece legato alla previsione di Watt per metro quadro previsti rispetto agli incrementi della concentrazione dei gas serra nell’atmosfera. Questi valori dovrebbero essere intesi solo come indicativi, dal momento che il forzante climatico risultante da tutti i driver presenta una sua variabilità dovuta ai diversi modelli utilizzati a causa delle loro caratteristiche specifiche e del trattamento dei forzanti climatici di breve durata. Questi quattro scenari RCP comprendono uno scenario di mitigazione che porta a un livello molto basso del forzante (RCP2.6), due scenari di stabilizzazione (RCP4.5 e RCP6.0), e uno scenario con emissioni di gas serra molto alte (RCP8.5). Ciascuno degli scenari RCP fornisce dei set di dati spazialmente definiti per i cambiamenti di uso del suolo e le emissioni settoriali degli inquinanti dell'aria, specificando le concentrazioni annuali di gas serra e le emissioni antropogeniche fino al 2100. Gli scenari RCP si basano sulla combinazione di modelli di valutazione integrata, modelli climatici semplici, modelli di chimica dell'atmosfera e del ciclo globale del carbonio. Mentre gli scenari RCP abbracciano un ampio spettro di valori del forzante totale, non coprono la gamma completa di emissioni della letteratura scientifica, in particolare per quanto riguarda gli aerosol. 2
Per visionare l’intero quinto rapporto dell’IPCC sul cambiamento climatico vedasi www.ipcc.ch Temperatura Si stima che l'aumento delle temperature superficiali medie globali per il periodo 2081‐2100, rispetto al periodo 1986‐2005, sia compreso, da 0,3°C a 1,7°C (RCP2.6), da 1,1°C a 2,6°C (RCP4.5), da 1,4°C a 3,1°C (RCP6.0), da 2,6°C a 4,8°C (RCP8.5). L'Artico si riscalderà più rapidamente della media globale, e il riscaldamento medio sulla superficie terrestre sarà maggiore che sopra gli oceani. Per quanto riguarda la media del periodo 1850‐1900, si stima che il cambiamento della temperatura superficiale globale entro la fine del 21° secolo sarà superiore a 1,5°C per RCP4.5, RCP6.0 e RCP8.5. È probabile che il riscaldamento superi i 2°C per RCP6.0 e RCP8.5, molto probabile che non superi i 2°C per RCP4.5, ma improbabile che superi i 2°C per RCP2.6 . È improbabile che il riscaldamento superi i 4°C per RCP2.6, RCP4.5, e RCP6.0, ed è tanto probabile quanto improbabile che superi i 4°C per RCP8.5. È virtualmente certo che saranno più frequenti estremi caldi di temperatura e meno frequenti estremi freddi di temperatura sulla maggior parte delle terre emerse su scale temporali giornaliere e stagionali, all'aumentare delle temperature medie globali. È molto probabile che le ondate di calore si verificheranno con una frequenza e una durata maggiore. Continueranno a verificarsi occasionali eventi estremi di freddo in inverno. Innalzamento livello del mare La confidenza nelle proiezioni del livello medio globale del mare è aumentata dal Quarto Rapporto IPCC a causa di una miglior comprensione fisica delle componenti del livello del mare, di una maggior consistenza tra i modelli basati sui processi e le osservazioni, e dell'inclusione dei cambiamenti dinamici delle calotte glaciali. L'innalzamento del livello medio globale del mare per il periodo 2081‐2100 rispetto al periodo 1986‐2005 sarà probabilmente compreso negli intervalli tra 0,26 e 0,55 m per RCP2.6, tra 0,32 e 0,63 m per RCP4.5, tra 0,33 e 0,63 m per RCP6.0, e tra 0,45 e 0,82 m per RCP8.5. Per lo scenario RCP8.5, l'innalzamento entro l'anno 2100 è di 0,52‐0,98 m, con un tasso durante il periodo 2081‐2100 tra gli 8 e i 16 mm/anno. Nelle proiezioni RCP, l'espansione termica rende conto dal 30% al 55% dell'innalzamento medio globale del livello del mare del XXI secolo; i ghiacciai contribuiscono invece dal 15% al 35%. L'aumento dello scioglimento superficiale della calotta glaciale in Groenlandia supererà l'aumento delle precipitazioni nevose, apportando un contributo positivo al futuro livello del mare, da cambiamenti del bilancio della massa superficiale. Mentre lo scioglimento superficiale rimarrà esiguo, si prevede un aumento delle precipitazioni nevose sulla calotta glaciale dell'Antartide, che avrà come conseguenza un contributo negativo al futuro livello del mare, da cambiamenti del bilancio della massa superficiale. Le variazioni degli efflussi da entrambe le calotte glaciali probabilmente apporteranno un contributo nell'intervallo di 0,03‐0,20 m entro il periodo 2081‐2100 . Sulla base delle conoscenze attuali, solo il collasso dei settori marini della calotta glaciale dell'Antartide, se innescato, potrebbe causare un innalzamento del livello medio globale del mare considerevolmente al di sopra dell'intervallo probabile nel corso del XXI secolo. Tuttavia, c'è confidenza media che questo contributo aggiuntivo non sia superiore ad alcuni decimetri di innalzamento del livello del mare nel corso del XXI secolo. Molte proiezioni con modelli semi‐empirici dell'innalzamento del livello medio globale del mare sono più alte delle proiezioni con modelli di processo (fino a circa due volte più grandi), ma non c'è consenso all'interno della comunità scientifica sulla loro affidabilità, pertanto c'è confidenza bassa nelle loro proiezioni. L'innalzamento del livello del mare non sarà uniforme. Entro la fine del XXI secolo, è molto probabile che il livello del mare aumenti in più di circa il 95% della superficie dell'oceano. Si prevede che circa il 70% delle coste in tutto il mondo sperimenteranno una variazione del livello del mare compresa entro il 20% della variazione del livello medio globale marino. Criosfera Sulla base di medie che fanno capo a diversi modelli, si prevedono durante tutto l'anno riduzioni dell’estensione del ghiaccio marino artico entro la fine del XXI secolo. Queste riduzioni variano dal 43% dello scenario RCP2.6, al 94% dello scenario RCP8.5, nel mese di settembre, e dall'8% di RCP2.6 al 34% di RCP8.5 a febbraio. Sulla base della valutazione di un sottoinsieme di modelli che riproducono con maggiore fedeltà lo stato climatologico medio e l'andamento dell'estensione del ghiaccio marino artico per il periodo 1979‐2012, è probabile che per RCP8.5 il Mar Glaciale Artico nel mese di settembre arrivi a essere quasi libero dai ghiacci prima della metà del secolo. La proiezione di quando l'Artico potrebbe diventare quasi libero dai ghiacci nel mese di settembre nel 21° secolo non può essere fatta con sicurezza per gli altri scenari. In Antartide, una diminuzione dell'estensione e del volume del ghiaccio marino è prevista per la fine del 21° secolo, all'aumentare della temperatura superficiale media globale. Si prevede che entro la fine del 21° secolo, il volume globale dei ghiacciai, con l'esclusione dei ghiacciai alla periferia dell'Antartide, diminuisca dal 15% al 55% per RCP2.6, e dal 35% all'85% per RCP8.5. Si prevede che la copertura nevosa primaverile dell'emisfero settentrionale diminuisca del 7% per RCP2.6 e del 25% per RCP8.5, entro la fine del 21° secolo, secondo la media dei modelli. È virtualmente certo che l'estensione del permafrost prossimo alla superficie alle alte latitudini settentrionali si ridurrà all'aumentare della temperatura superficiale media globale. Entro la fine del 21° secolo, è previsto che l'area di permafrost prossima alla superficie (3,5 m superiori) si riduca di una percentuale tra il 37% (RCP2.6) e l'81% (RCP8.5), secondo la media dei modelli. Oceani Il più forte riscaldamento degli oceani è previsto per l'oceano superficiale nelle regioni tropicali e sub‐tropicali dell'emisfero settentrionale. A maggiore profondità il riscaldamento sarà più pronunciato nell'Oceano Meridionale o Antartico. Entro la fine del XXI secolo, le migliori stime del riscaldamento dell'oceano nei primi 100 metri vanno da circa 0,6°C (RCP2.6) ai 2°C (RCP8.5), da circa 0,3°C (RCP2.6), fino a 0,6° C (RCP8.5) a una profondità di circa 1000 metri. È molto probabile che la circolazione termoalina nell'Atlantico si attenuerà nel corso del 21° secolo. Le migliori stime e intervalli della sua riduzione sono 11% (da 1% a 24%) in RCP2.6, e 34% (da 12% a 54%) in RCP8.5. È probabile che si verifichi un qualche indebolimento di AMOC entro il 2050 circa, ma ci potrebbero essere alcuni decenni in cui AMOC potrebbe aumentare per effetto della grande variabilità interna naturale. Sulla base degli scenari considerati, è molto improbabile che nel 21° secolo AMOC vada incontro a una transizione improvvisa e repentina, o perfino a un collasso. C'è confidenza bassa nel valutare l'evoluzione di AMOC oltre il 21° secolo, a causa del numero limitato di analisi e dei risultati incerti. Tuttavia, un collasso dopo il 21° secolo, per effetto di un riscaldamento intenso e prolungato, non può essere escluso. Ciclo dell’acqua I cambiamenti stimati del ciclo dell'acqua nel corso dei prossimi decenni mostrano pattern su larga scala simili a quelli verso la fine del secolo, ma con un ordine di grandezza inferiore. È probabile che le regioni alle alte latitudini e l'Oceano Pacifico equatoriale sperimenteranno un aumento delle precipitazioni medie annuali per la fine di questo secolo, secondo lo scenario RCP8.5. In molte regioni secche alle medie latitudini e dell'area sub‐tropicale, le precipitazioni medie probabilmente diminuiranno, mentre in molte regioni umide alle medie latitudini, le precipitazioni medie probabilmente aumenteranno per la fine di questo secolo, sempre secondo lo scenario RCP8.5 Sulla maggior parte delle aree terrestri alle medie latitudini e delle regioni umide tropicali, gli eventi estremi di precipitazione saranno molto probabilmente più intensi e più frequenti entro la fine di questo secolo, all'aumentare della temperatura superficiale media globale. A livello globale, è probabile che l'area interessata dal sistema dei monsoni aumenti nel corso del 21° secolo. Mentre è probabile che i venti monsonici si indeboliscano, le precipitazioni monsoniche probabilmente si intensificheranno per effetto dell'aumento dell'umidità atmosferica. È probabile che le date di inizio dei monsoni arrivino in anticipo o che non cambino molto. Le date di fine dei monsoni probabilmente posticiperanno, causando un'estensione della stagione monsonica in molte regioni. Esiste tra gli studiosi una confidenza alta che El Niño‐Oscillazione Meridionale (ENSO) rimanga il modo dominante di variabilità interannuale del Pacifico tropicale, con effetti a livello globale entro la fine del 21° secolo. Per un aumento della disponibilità di umidità, la variabilità su scala regionale delle precipitazioni influenzate da ENSO probabilmente si intensificherà. Le oscillazioni naturali dell'ampiezza e del pattern spaziale di ENSO sono grandi, pertanto la confidenza in qualsiasi cambiamento specifico previsto per ENSO e i fenomeni regionali a esso correlati nel 21° secolo rimane bassa. La parte della popolazione globale che subisce la scarsità d'acqua e la parte colpita dalle grandi inondazioni dei fiumi aumenteranno con il livello di riscaldamento previsto nel 21° secolo. Il cambiamento climatico nel corso del 21° secolo è destinato a ridurre significativamente l'acqua rinnovabile di superficie e le risorse idriche sotterranee nella maggior parte delle regioni subtropicali secche, intensificando la competizione per l'acqua tra i diversi settori. Nelle regioni attualmente siccitose, la frequenza delle ondate di siccità probabilmente aumenterà entro la fine del 21° secolo nello scenario ad alte emissioni RCP 8.5. Al contrario, è previsto che la disponibilità d’acqua aumenti a latitudini elevate. Il cambiamento climatico è destinato a ridurre la qualità dell'acqua naturale e comporterà rischi per la qualità dell'acqua potabile anche con i trattamenti convenzionali, a causa dell’interazione tra più fattori: aumento della temperatura; aumento dei sedimenti, dei nutrienti, e dei carichi inquinanti a causa delle forti piogge; aumento della concentrazione di inquinanti durante i periodi di siccità; rottura degli impianti di trattamento durante le inondazioni . Le tecniche adattative per la gestione delle acque, tra cui la pianificazione degli scenari, gli approcci basati sull’apprendimento e le soluzioni flessibili e senza rimpianti (low‐regret), possono contribuire a creare la resilienza dei sistemi agli imprevedibili cambiamenti idrologici ed agli impatti dovuti ai cambiamenti climatici. Ecosistemi Anche il secondo volume del quinto assessment IPCC dedicato alla vulnerabilità e all’adattamento fornisce elementi importanti rispetto agli scenari futuri delle varie componenti del nostro pianeta. Le previsioni del cambiamento climatico, durante ed oltre il 21° secolo, indicano che una grande quantità di specie terrestri e di acqua dolce affronteranno un maggiore rischio di estinzione perché, in particolare, il cambiamento del clima interagisce con altri fattori di stress, tra cui la modifica degli habitat, il sovrasfruttamento, l’inquinamento e la diffusione delle specie invasive causate dall’intervento umano. Il rischio di estinzione è in incremento in tutti gli scenari RCP, e cresce all’aumentare della portata e della velocità con cui si manifesta il cambiamento climatico. Durante il 21° secolo molte specie non saranno in grado di trovare climi per loro adatti al verificarsi degli scenari di medio ed alta velocità di variazione del cambiamento climatico (cioè, RCP 4.5, 6.0 e 8.5) durante il 21° secolo. A tassi inferiori di cambiamento (cioè RCP2.6) corrisponderebbero problemi di entità minore. Alcune specie dovranno adattarsi ai nuovi climi. La popolazione delle specie che non saranno in grado di adattarsi sufficientemente in fretta diminuirà o esse si estingueranno, in tutti o in parte dei loro areali. Azioni di gestione, tra cui la conservazione della diversità genetica, la migrazione e la dispersione assistite delle specie, la manipolazione dei regimi di disturbo (per esempio, incendi, inondazioni), e la riduzione degli altri fattori di stress, possono ridurre, ma non eliminare, i rischi di impatti sugli ecosistemi terrestri e di acqua dolce dovuti ai cambiamenti climatici, così come possono aumentare la capacità intrinseca degli ecosistemi e delle loro specie di adattarsi ai cambiamenti climatici. Durante questo secolo, l’entità e il tasso dei cambiamenti climatici associati agli scenari di medio – alto livello di emissioni (RCP4.5, 6.0 e 8.5) comportano l’alto rischio di un brusco ed irreversibile cambiamento su scala regionale della composizione, della struttura e della funzione degli ecosistemi terrestri e d’acqua dolce, comprese le zone umide. Tra gli ecosistemi che potrebbero apportare un impatto sostanziale sul clima rientra la tundra ‐ il sistema artico boreale e la foresta amazzonica. Il carbonio immagazzinato nella biosfera terrestre (ad esempio, nelle torbiere, nel permafrost e nelle foreste) è suscettibile di perdite nell'atmosfera a causa del cambiamento climatico, della deforestazione e del degrado degli ecosistemi. Nel corso del 21° secolo si verificherà in molte regioni un maggiore tasso di scomparsa degli alberi e un associato deperimento delle foreste, a causa dell’aumento delle temperature e della siccità. Il deperimento delle foreste comporta rischi per lo stoccaggio del carbonio, la biodiversità, la produzione di legno, la qualità dell'acqua, le attività ricreative e l’attività economica. A causa dell’innalzamento del livello del mare previsto per tutto il 21° secolo e oltre, i sistemi costieri e le zone al di sotto del livello del mare sperimenteranno in misura sempre maggiore effetti negativi, tra cui la sommersione, l’erosione e le inondazioni costiere.. Nei prossimi decenni, la popolazione e le attività saranno esposte ai rischi costieri, così come aumenteranno in modo significativo le pressioni umane sugli ecosistemi costieri a causa della crescita della popolazione, dello sviluppo economico e dell’urbanizzazione. I costi associati all’adattamento costiero variano fortemente tra e all'interno di regioni e paesi, nel il 21° secolo. Alcuni paesi, con terre che potranno essere sommerse dall’innalzamento del livello dei mari, in via di sviluppo e le piccole isole affronteranno impatti molto elevati che, in alcuni casi, comporteranno danni e costi per l’adattamento di diversi punti percentuali del PIL. A causa del cambiamento climatico previsto per la metà del 21° secolo e oltre, la ridistribuzione globale delle specie marine e la riduzione della biodiversità marina nelle regioni sensibili, renderanno problematica la produttività della pesca e degli altri servizi ecosistemici. Le migrazioni delle specie marine a causa del riscaldamento previsto causeranno invasioni ad alta latitudine ed alti tassi di estinzione locale nelle zone tropicali e nei mari semichiusi. La ricchezza delle specie e il potenziale di cattura per la pesca dovrebbero aumentare, in media, a medie ed alte latitudini e diminuire a latitudini tropicali. La progressiva espansione delle zone di minima ossigenazione e di "zone morte" anossiche si prevede che limiterà ulteriormente l’habitat dei pesci. La produzione primaria degli oceani si ridistribuirà e, entro il 2100, diminuirà globalmente in tutti gli scenari RCP. Il cambiamento climatico si aggiunge alle minacce della pesca eccessiva e ad altri fattori di stress non climatici, complicando la gestione dei sistemi marini. Nello scenario di emissioni medio alte (RCP4.5, 6.0 e 8.5), l'acidificazione degli oceani comporta notevoli rischi per gli ecosistemi marini e soprattutto per gli ecosistemi polari e le barriere coralline, associati agli impatti sulla fisiologia, il comportamento e la dinamiche delle popolazioni delle singole specie, dal fitoplancton agli animali. I molluschi altamente calcificati, gli echinodermi e i coralli costruttori di barriere sono più sensibili rispetto ai crostacei ed ai pesci, con conseguenze potenzialmente critiche per la pesca e i mezzi di sussistenza. L’acidificazione degli oceani agisce insieme agli altri cambiamenti globali (il riscaldamento, la diminuzione dei livelli di ossigeno) e ai cambiamenti locali (l'inquinamento, l’eutrofizzazione). I driver simultanei, tra cui il riscaldamento e l'acidificazione degli oceani, comportano impatti interagenti, complessi e amplificati per le specie e gli ecosistemi. Sicurezza alimentare e sistemi di produzione alimentare Per quanto riguarda la sicurezza alimentare e i sistemi di produzione alimentare gli scenari IPCC prevedono che per le principali colture (grano, riso e mais) nelle regioni tropicali ed in quelle temperate, in assenza di adattamento, i cambiamenti del clima avranno un impatto negativo sulla produzione locale, in concomitanza di aumenti della temperatura di 2°C o più al di sopra dei livelli del tardo 20° secolo, anche se singole zone potranno beneficiarne. Gli impatti attesi variano per le diverse colture e regioni e tra gli scenari di adattamento: circa il 10% delle proiezioni per il periodo 2030‐2049 mostra guadagni di rendimento superiori al 10%, e circa il 10% delle proiezioni mostrano perdite di rendimento superiori al 25%, rispetto alla fine del 20° secolo. Dopo il 2050, il rischio di impatti più gravi sui rendimenti aumenta a seconda del livello di riscaldamento. Il cambiamento climatico aumenterà progressivamente la variabilità inter‐annuale della produzione agricola in molte regioni. Questi impatti si verificheranno in un contesto di rapida crescita della domanda di raccolti. Tutti gli aspetti della sicurezza alimentare sono potenzialmente colpiti dai cambiamenti climatici, tra cui l'accesso al cibo, l'utilizzo e la stabilità dei prezzi. La redistribuzione del potenziale di cattura della pesca marittima verso latitudini più elevate comporta il rischio di riduzione delle forniture, del reddito e dell'occupazione nei paesi tropicali, con implicazioni per la sicurezza alimentare. Aumenti della temperatura globale di circa 4 °C o più al di sopra dei livelli del tardo 20° secolo, insieme all'aumento della domanda di cibo, porrebbero grandi rischi per la sicurezza alimentare a livello globale e regionale. I rischi per la sicurezza alimentare sono in genere più elevati nelle regioni alle basse latitudini. Aree urbane Molti rischi globali del cambiamento climatico si concentrano nelle aree urbane. Le misure che migliorano la resilienza e permettono lo sviluppo sostenibile sono in grado di accelerare il successo dell’adattamento ai mutamenti climatici a livello globale. Gli stress termici, le precipitazioni estreme, le inondazioni interne e costiere, le frane, l’inquinamento atmosferico, la siccità e la scarsità d'acqua comportano rischi nelle aree urbane per le persone, i beni, le economie e gli ecosistemi. I rischi sono amplificati per coloro che non hanno accesso alle infrastrutture ed ai servizi essenziali, o che vivono in alloggi di scarsa qualità ed in zone esposte. Ridurre il deficit dei servizi di base, migliorare gli alloggi e costruire sistemi di infrastrutture resilienti potrebbe ridurre significativamente la vulnerabilità e l'esposizione delle aree urbane. L’adattamento urbano viene favorito da una governance multilivello efficace del rischio urbano, dall'allineamento delle politiche e degli incentivi, dal rafforzamento del governo e della capacità di adattamento delle comunità locali, attivando sinergie con il settore privato e adeguati finanziamenti e il rafforzamento delle istituzioni. Aumentare le capacità, la rappresentatività e l'influenza dei gruppi a basso reddito e delle comunità vulnerabili, e le loro partnership con i governi locali è un modo per favorire l’adattamento. Salute umana Per quanto riguarda la salute umana l’IPCC ritiene che fino alla metà del secolo, l’impatto del cambiamento climatico sulla salute umana si manifesterà principalmente esacerbando i problemi di salute che già sono presenti attualmente. In tutto il 21° secolo, il cambiamento climatico aggraverà le cattive condizioni di salute in molte regioni, soprattutto nei paesi in via di sviluppo a basso reddito, rispetto ad uno scenario che si verificherebbe senza i cambiamenti climatici. Gli esempi includono: maggiori probabilità di infortunio, di malattia e di morte a causa di ondate di calore più intense e di incendi; l’aumento della probabilità di denutrizione derivanti dalla diminuzione della produzione di cibo nelle regioni povere; rischi derivanti dalla perdita della capacità di lavoro e dalla riduzione della produttività del lavoro delle popolazioni vulnerabili; maggiori rischi di malattie trasportate dall’acqua e di malattie trasmesse da vettori. In alcune zone, sono attesi effetti positivi, tra cui modeste riduzioni della mortalità e della morbilità causate dal freddo, a causa della diminuzione del freddo estremo, spostamenti geografici della produzione alimentare e riduzione della capacità dei vettori di trasmettere alcune malattie. Ma a livello globale nel corso del 21° secolo, l'entità e la gravità degli impatti negativi supereranno sempre gli effetti positivi. Le più efficaci misure di riduzione della vulnerabilità per la salute nel breve termine consistono nei programmi che implementano e migliorano le misure di base di salute pubblica, tra cui la fornitura di acqua pulita e i servizi igienico‐sanitari, l'assistenza sanitaria essenziale, compresa la vaccinazione e i servizi per la salute dei bambini, che migliorano la preparazione e la risposta alle catastrofi e alleviano la povertà. Dal 2100, nello scenario ad alte emissioni RCP8.5, la combinazione dell’alta temperatura e dell’umidità in alcune aree e per alcune parti dell'anno comprometteranno le normali attività umane, tra cui la coltivazione del cibo e il lavoro all'aperto. Altre valutazioni scientifiche sugli scenari previsti Altre importanti ricerche ci forniscono ulteriori elementi per comprendere quali potrebbero essere gli scenari del futuro. Un importante e recente pubblicazione di autorevoli studiosi, guidati dal famoso climatologo Jim Hansen della Columbia University, che per decenni è stato Direttore del prestigioso Goddard Institute for Space Studies (GISS) della NASA 3 , documenta come nell’ultimo periodo interglaciale definito Eemiano che ha avuto luogo circa 125.000 anni fa vi sono evidenze che si sia verificata un‘importante fusione dei ghiacci, un innalzamento dei mari di 5‐9 metri e tempeste significative con una temperatura che era meno di 1°C rispetto a quella odierna. Il team di studiosi, integrando dati paleoclimatici, modelli climatici e osservazioni climatologiche attuali, ha riscontrato che il forzante climatico indotto dall’intervento umano attuale è più forte e più rapido di quello verificatosi allora, dovuto in particolare ai forzanti orbitali. I ghiacci marini sono vulnerabili a fenomeni di disintegrazione non lineari in risposta all’accelerazione del riscaldamento climatico attuale ed è possibile che la perdita dei ghiacci marini potrebbe verificarsi in tempi più rapidi, innalzando così il livello dei mari di diversi metri come è accaduto nell’Eemiano. Pertanto il team di scienziati ritiene che mantenere la temperatura media della superficie terrestre sotto i 2°C rispetto alla temperatura del periodo pre industriale, come ormai indicato e accettato nei negoziati internazionali sul clima, è purtroppo 3
Hansen J. et al., 2015, Ice melt, sea level rise and superstorms: evidence from paleoclimate data, climate modelling
and modern observations that 2°C global warming is highly dangerous, Atmospheric Chemistry and Physics
doi:10.5194/acpd-15-20059-2015
altamente pericoloso e quindi qualsiasi negoziato deve prevedere azioni che contengano significativamente questo incremento di temperatura. Il recente rapporto di Climate Central 4 illustra come un incremento della temperatura sui 4°C rispetto all’epoca industriale potrebbe tradursi in un innalzamento del livello dei mari che sommergerebbe terre che attualmente presentano una popolazione che va dai 470 ai 760 milioni di abitanti. La Cina sarebbe la più coinvolta con una popolazione interessata con una media di 145 abitanti. Se l’incremento giungesse a 2°C il rischio riguarderebbe una cifra di circa 130 milioni di abitanti. Temperatura Inc.livello mari Pop. con terre sommerse …………. 2°C………………………… 4.7 (3.0‐6.3) metri 280 (130‐458) milioni 3°C 6.4 (4.7‐8.2) metri 432 (255‐797) milioni 4°C………………………….8.9 (6.9‐10.8) metri………..627 (470‐760) milioni Il rapporto pubblicato dalla Banca Mondiale nel 2014 “4° Turn Down the Heat: Confronting the New Climate Normal”, realizzato dal prestigioso Potsdam Institute for Climate Impact Research and Climate Analytics 5 afferma «Nelle misura in cui il pianeta si riscalda, le ondate di calore e gli altri fenomeni meteorologici estremi che si producevano una volta ogni secolo, forse mai, diventeranno la “nuova norma climatica”, creando un mondo nel quale i rischi e l’instabilità aumentano». Il rapporto ricorda che «questa situazione avrà gravi conseguenze sullo sviluppo, come la diminuzione dei rendimenti agricoli, la modifica delle risorse idriche, l’innalzamento del livello del mare e metterà in pericolo i mezzi di sussistenza di milioni di persone». Il rapporto sottolinea che «alcuni effetti del cambiamento climatico come le ondate estreme di calore potrebbero diventare ineluttabili. In effetti, un riscaldamento di circa 1,5° C in rapporto all’epoca pre‐industriale è già all’opera nel sistema 4
Strauss B.H., Kulp S. e Levermann A, 2015, Mapping choices: Carbon, Climate and Rising Seas, Our Global Legacy, Climate Central Research Report, www.climatecentral.org ; vedasi anche Strauss B.H., Kulp S. e Levermann A., 2015, Carbon choises determined US cities committed to futures below sea level, Proceedings of the National Academy of Sciences USA, www.pnas.org/cgi/doi/10.1073/pnas.1511186112. 5
Vi è una serie di rapporti della World Bank su questo tema, vedasi http://www.worldbank.org/en/topic/climatechange/publication/turn‐down‐the‐heat atmosferico terrestre e dovrebbe prodursi entro la metà del secolo e anche se dovessimo avviare ora un’azione di attenuazione molto ambiziosa, non si potrà modificare questo andamento». Nella presentazione del rapporto il presidente della Banca mondiale,Jim Yong Kim, ricorda quello che i ricercatori non smettono mai di ripetere: le emissioni passate hanno tracciato una traiettoria ineluttabile del riscaldamento globale per i prossimi due decenni, che colpirà soprattutto le popolazioni più povere e più vulnerabili del mondo. Le tempeste raggiungeranno più frequentemente dei livelli record, le precipitazioni in certi luoghi sono aumentate di intensità, mentre zone soggette alla siccità, come il Mediterraneo, diventeranno più aride. Questi cambiamenti renderanno più difficile la riduzione della povertà e metteranno in pericolo i mezzi di sussistenza di milioni di persone. Il rapporto esamina i probabili effetti di un riscaldamento di 0,8° C (che è la temperatura attuale), di 2° C e di 4° C – rispetto ai livelli pre‐industriali – sulla produzione agricola, le risorse idriche, le città, i servizi ecosistemici e la vulnerabilità delle zone costiere in America Latina e Caraibi, Medio Oriente ed Africa del Nord e in alcune aree dell’Europa e dell’Asia Centrale. Si tratta del seguito di un rapporto pubblicato dalla Banca mondiale nel 2012 che prevedeva, senza azioni concrete immediate, un riscaldamento planetario di 4° C entro la fine del secolo e questa volta rivela che l’aumento delle temperature mondiali minaccia sempre di più la salute e i mezzi di sussistenza delle popolazioni più vulnerabili, amplificando notevolmente i problemi con i quali attualmente si confronta ogni regione. Nel rapporto si legge che le tre regioni sono tutte esposte alle potenziali ripercussioni delle ondate di calore estreme. I modelli dimostrano che ondate di calore “eccezionali”, simili a quelle osservate in Asia Centrale e in Russia nel 2010 e negli Usa nel 2012 e anche nel 2015, aumenteranno rapidamente in uno scenario di emissioni associate a un aumento della temperatura di 4° C. I modelli dimostrano anche che i rischi di diminuzione dei rendimenti agricoli e della perdita di produttività nelle regioni studiate sono nettamente accentuate nell’ipotesi di un riscaldamento da più 1,5° C a 2° C. Il calo della produttività agricola si farà ugualmente sentire al di fuori delle principali regioni di produzione, con gravi conseguenze sulla sicurezza alimentare, e può mettere in pericolo la crescita e lo sviluppo economico, la stabilità sociale e il benessere delle popolazioni. Medio Oriente e Africa del Nord. Una notevole intensificazione delle ondate di calore, unita a temperature medie più elevate, metterà a dura prova risorse idriche già scarse, con delle conseguenze maggiori per il consumo umano e la sicurezza alimentare nella regione. Nel caso di un riscaldamento da 1,5° C a 2° C, entro il 2050 i rendimenti agricoli rischiano un calo del 30% in Giordania, in Egitto e in Libia mentre le migrazioni che ne derivano e le pressioni climatiche sulle risorse potrebbero accrescere il rischio di conflitti. Balcani occidentali e Asia Centrale. La diminuzione delle risorse idriche disponibili in alcune località diventano una minaccia significativa nella misura in cui il rialzo delle temperature procede verso i 4° C. La fusione dei ghiacciai in Asia centrale e la modifica dei regimi fluviali produrranno una diminuzione delle risorse idriche durante i mesi estivi e dei rischi elevati di piogge torrenziali. Nei Balcani, l’aumento del rischio di siccità può provocare un calo dei rendimenti agricoli, un degrado della salute negli ambienti urbani ed una diminuzione della produzione di energia. In Macedonia, un aumento delle temperature di 2° C potrebbe produrre entro il 2050 perdite di rendimenti che arrivano fino al 50% per il mais, il grano, legumi e frutta. America Latina e Caraibi. Le ondate di calore estreme e i cambiamenti del regime delle precipitazioni avranno delle conseguenze nefaste sulla produttività agricola. In assenza di misure di adattamento, un riscaldamento di 2° C comporterà un calo dei rendimenti che, entro il 2050, in Brasile arriverà fino al 70% per la soia e al 50% per il grano. L’acidificazione degli oceani, l’innalzamento del livello del mare, I cicloni tropicali e le variazioni delle temperature incideranno negativamente sui mezzi di sussistenza delle popolazioni costiere, sul turismo e sulla sicurezza sanitaria, alimentare ed idrica, in particolare nei Caraibi. La fusione dei ghiacciai sarà catastrofico per le città delle Ande. Il rapporto avverte che se il global warming proseguirà al ritmo attuale, “potrebbe provocare dei cambiamenti irreversibili su grande scala». Nel nord della Russia, il deperimento delle foreste ed il disgelo del permafrost minacciano di intensificare il riscaldamento planetario, mano a mano che il metano stoccati nel sottosuolo ghiacciato vengono liberati nell’atmosfera, dando luogo ad un feedback positivo infernale che si autoalimenta. Con un mondo a +2° C, entro il 2050 in tutta la Russia le emissioni di metano, un gas serra molto potente, potrebbero aumentare dal 20 al 30%. Ma anche la Banca Mondiale, come tutta la comunità scientifica, è convinta che un buon numero dei peggiori effetti prevedibili del cambiamento climatico potrebbe ancora essere evitato limitando il riscaldamento a meno di 2° C. Novembre 2015 A cura di Gianfranco Bologna, direttore scientifico del WWF Italia