Appunti di Analisi Funzionale

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Appunti
di
Analisi Funzionale
a cura di
Stefano Meda
Dipartimento di Matematica e Applicazioni
Università di Milano-Bicocca
c
2006
Stefano Meda
ii
Chapter 1
Spazi localmente convessi
1.1
Spazi vettoriali topologici
Definizione 1.1.1 Chiamiamo spazio vettoriale topologico uno spazio vettoriale X
munito di una topologia τ rispetto alla quale le operazioni di somma e di prodotto per uno
scalare sono continue. Esplicitamente:
(x, y) 7→ x + y
e
(α, x) 7→ α x
sono continue da X × X in X e da F × X in X, dove F indica il campo degli scalari (R o C
nel seguito).
Esempio 1.1.2 Uno spazio normato è uno spazio vettoriale topologico.
Sia X uno spazio vettoriale topologico. A ogni x in V e a ogni α in F \ {0} associamo
l’operatore di traslazione Tv e l’operatore di moltiplicazione Mα , definiti da
Tv w = v + w
e
Mα w = α w
∀w ∈ X.
Osservazione 1.1.3 Gli operatori Tv e Mα sono omeomorfismi di X in sè (esercizio).
Conseguentemente la topologia τ è invariante per traslazioni, cioè A è aperto se e solo
se A + v è aperto per ogni v in X. Ne consegue che per assegnare τ è sufficiente assegnare
un sistema fondamentale di intorni di 0.
Esempio 1.1.4 Uno spazio metrico, che è anche uno spazio vettoriale, non è necessariamente uno spazio vettoriale topologico.
1
2
CHAPTER 1. SPAZI LOCALMENTE CONVESSI
Per ogni x, y in R poniamo d(x, y) = 0 se x = y e



 |x − y| se x, y ∈ (−∞, 0]
d(x, y) = d(y, x) =
|x| + 1 se x ∈ (−∞, 0] e y ∈ (0, ∞)


 1
se x, y ∈ (0, ∞) e x 6= y.
Si verifica facilmente che d è una metrica su R. Notiamo che se x è in R+ , allora {x} è un
intorno aperto di x nella topologia indotta da d. Tuttavia {x} − 2x non è un intorno di −x.
Quindi la topologia indotta da d non è invariante per traslazioni; ne deduciamo che essa non
può essere una topologia di spazio vettoriale topologico.
Si può dimostrare questa affermazione per via più diretta mostrando che la moltiplicazione per uno scalare non è un’operazione continua. In particolare, siano {αn } una successione in R+ , che tende a 0, e y ∈ R+ . Se la moltiplicazione per uno scalare fosse continua,
allora si avrebbe αn y → 0; d’altra parte d(αn y, 0) = 1 per ogni n.
Definizione 1.1.5 Siano X uno spazio vettoriale e C un sottoinsieme di X:
(i) C si dice bilanciato se
α ∈ C : |α| ≤ 1
⇒
α C ⊆ C;
(ii) C si dice assorbente se per ogni x in X esiste t in R+ tale che x appartiene a α C per
ogni α tale che |α| ≥ t.
Osservazione 1.1.6 Un sottoinsieme bilanciato C di X è stellato rispetto a 0.
S
Un sottoinsieme C di X è bilanciato se e solo se C = α: |α|≤1 Mα (C).
Un sottoinsieme C di X è assorbente se e solo se α C è assorbente per ogni α in F \ {0}.
L’intersezione di insiemi bilanciati e l’unione di insiemi bilanciati sono bilanciati.
Se A e B sono insiemi bilanciati, allora A + B è bilanciato.
Osservazione 1.1.7 Notiamo che se B è bilanciato e β è un numero complesso con |β| = 1,
allora βB = B.
Infatti, da un lato βB ⊆ B poiché B è bilanciato. Dall’altro B = ββ −1 B ⊆ βB (perché
−1 β = 1 e B è bilanciato).
Lemma 1.1.8 Sia X uno spazio vettoriale topologico. Valgono le affermazioni seguenti:
(i) ogni intorno di 0 è assorbente;
1.1. SPAZI VETTORIALI TOPOLOGICI
3
(ii) ogni intorno di 0 contiene un intorno bilanciato;
(iii) la famiglia U(0) degli intorni bilanciati di 0 ha le proprietà seguenti:
(a) è una base in 0;
(b) per ogni U in U(0) esiste V in U(0) tale che V + V è contenuto in U ;
(c) per ogni U1 , U2 in U(0) esiste U3 in U(0) tale che U3 ⊆ U1 ∩ U2 .
Dimostrazione.
Dimostriamo (i). Siano U un intorno di 0X e x in X. L’applicazione
α 7→ α x è continua per definizione di spazio vettoriale topologico; in particolare è continua
in 0. Quindi all’intorno U di 0X corrisponde un intorno (−δ, δ) di 0F tale che β x appartiene
a U , cioè x appartiene a β −1 U , per ogni β in (−δ, δ), come richiesto.
Dimostriamo (ii). Sia U un intorno di 0. Per la continuità in (0, 0) dell’applicazione
(α, x) 7→ α x, esistono δ in R+ e un intorno V di 0X tali che α V è contenuto in U per ogni α
tale che |α| < δ. Consideriamo l’insieme W definito da
[
W =
α V.
α: |α|<δ
Evidentemente W è un intorno bilanciato di {0} contenuto in U .
Ora dimostriamo (iii). Indichiamo con U(0) la famiglia degli intorni bilanciati di 0. La
parte (a) è conseguenza diretta di (i) e (ii).
Dimostriamo (b). Sia U un intorno di 0X . Per la continuità della mappa (x, y) 7→ x + y
nel punto (0, 0) esistono due intorni V1 e V2 di 0X tali che V1 + V2 è contenuto in U . Per (ii)
possiamo supporre che V1 e V2 siano bilanciati. Sia ora V = V1 ∩ V2 . È immediato verificare
che V è un intorno bilanciato di 0 tale che V + V è contenuto in U .
Infine (c) è ovvia perché l’intersezione di insiemi bilanciati è bilanciata.
2
Viceversa, abbiamo il seguente importante risultato.
Teorema 1.1.9 Sia X uno spazio vettoriale su F. Sia U una collezione di sottoinsiemi non
vuoti di X che soddisfa le proprietà seguenti:
(i) ogni elemento di U è bilanciato e assorbente;
(ii) per ogni U in U esiste V in U(0) tale che V + V è contenuto in U ;
(iii) per ogni U1 , U2 in U(0) esiste U3 in U(0) tale che U3 ⊆ U1 ∩ U2 .
4
CHAPTER 1. SPAZI LOCALMENTE CONVESSI
Allora esiste un’unica topologia di spazio vettoriale topologico su X rispetto alla quale U è
un sistema fondamentale di intorni di 0.
Dimostrazione.
2
[TL, p. 96].
Esempio 1.1.10 Per ogni a > 0 consideriamo
Σa := {(x, y) ∈ R2 : |y| < a}.
La famiglia {Σa }a>0 è un sistema fondamentale di intorni di 0 per un’unica topologia τ di
spazio vettoriale topologico su R2 . Notiamo che τ non è di Hausdorff (non è nemmeno T1 : i
punti (0, 0) e (0, 1) non hanno intorni distinti). In particolare τ non proviene da una norma.
Esercizi
1.
Sia X lo spazio vettoriale delle funzioni continue su (0, 1). Per ogni f in X e per ogni
ε in R+ indichiamo con U (f ; ε) l’insieme delle funzioni g in X tali che
sup |f (x) − g(x)| < ε.
x∈(0,1)
Sia τ la topologia generata dagli insiemi U (f ; ε), al variare di f in X e di ε in R+ . Mostrare
che la somma in X è τ -continua, ma la moltiplicazione per uno scalare (non nullo) non lo è.
2.
Sia B = {(z1 , z2 ) ∈ C2 : |z1 | ≤ |z2 |}. Mostrare che B è bilanciato, ma il suo interno
non lo è.
3.
Sia τ la topologia discreta di R, indotta dalla metrica discreta d, definita da
(
0 se x = y
d(x, y) =
1 se x 6= y.
La topologia τ è una topologia di spazio vettoriale topologico?
1.2
Spazi localmente convessi
1.2.1
Definizione e prime proprietà
Definizione 1.2.1 Siano X uno spazio vettoriale e C un sottoinsieme di X; C si dice
convesso se
x, y ∈ C, t ∈ [0, 1]
⇒
(1 − t)x + ty ∈ C.
1.2. SPAZI LOCALMENTE CONVESSI
5
Definizione 1.2.2 Diciamo che uno spazio vettoriale topologico di Hausdorff X è localmente convesso se e solo se ammette un sistema fondamentale di intorni di 0 convessi.
Caveat. Molti autori non includono nella definizione di spazio localmente convesso la richiesta che la topologia sia di Hausdorff.
Osservazione 1.2.3 In particolare, una topologia localmente convessa è invariante per
traslazioni, e, per assegnarla, è sufficiente assegnare un sistema fondamentale di intorni di 0.
Teorema 1.2.4 Ogni spazio localmente convesso ammette una base in 0 di intorni convessi
e bilanciati.
Dimostrazione.
2
[TL, Theorem 10.5, p. 102].
Osservazione 1.2.5 Osserviamo che esistono spazi vettoriali topologici di Hausdorff non
localmente convessi. Ad esempio, si può dimostrare che se (M, µ) è uno spazio di misura, e
p è in (0, 1), allora Lp (µ) non è localmente convesso [Ru1, p. 36]. Si può anche dimostrare
che Lp (µ) è privo di funzionali lineari continui non nulli.
Una delle ragioni dell’importanza degli spazio localmente convesso tra gli spazio vettoriale
topologico è l’abbondanza dei funzionali lineari continui.
1.2.2
Seminorme e funzionale di Minkowski
Il modo più frequente di assegnare una topologia localmente convessa è mediante una famiglia
di seminorme.
Definizione 1.2.6 Sia X uno spazio vettoriale. Chiameremo seminorma su X una funzione ρ : X → [0, ∞) con le proprietà seguenti:
(i) ρ(x + y) ≤ ρ(x) + ρ(y)
(ii) ρ(αx) = |α| ρ(x)
∀x, y ∈ X;
∀α ∈ C ∀x ∈ X.
Esempio 1.2.7 Una norma ρ su X è una seminorma su X con in più la proprietà
ρ(x) = 0
⇒
x = 0.
6
CHAPTER 1. SPAZI LOCALMENTE CONVESSI
Esempio 1.2.8 Ad ogni f in C(R) associamo
ρ(f ) := sup |f (x)| ;
x∈[0,1]
ρ è una seminorma, ma non una norma. Osserviamo che Ker(ρ) = {f ∈ C(R) : f |[0,1] ≡ 0}.
Esempio 1.2.9 Ad ogni f in Cc∞ (Rn ) ad ogni compatto K di Rn e a ogni multiindice I
associamo
ρK,I (f ) := sup DI f (x) ;
x∈K
ρK,I è una seminorma su
Cc∞ (Rn ),
ma non una norma.
Esempio 1.2.10 Se ρ è una seminorma su X, l’insieme
Nρ := {x ∈ X : ρ(x) = 0}
è un sottospazio vettoriale di X. La funzione ρ : X/Nρ → [0, ∞), definita da
ρ(x) := inf{ρ(y) : y ∈ x + Nρ },
è una norma sullo spazio quoziente.
Ad esempio, siano p in [1, ∞] e Lp (µ) lo spazio delle funzioni misurabili sullo spazio di
misura (X, M, µ) tali che
  R |f |p dµ 1/p < ∞ se p ∈ [1, ∞)
X
ρp (f ) =
 sup |f | < ∞
se p = ∞.
Allora ρp è una seminorma su Lp (µ), Np è il sottospazio delle funzioni nulle q.o. (µ). Lo
spazio quoziente Lp (µ)/Np è Lp (µ) e ρp (f ) = kf kp .
Proposizione 1.2.11 Sia ρ una seminorma sullo spazio vettoriale X. Valgono le affermazioni seguenti:
(i) |ρ(x) − ρ(y)| ≤ ρ(x − y)
∀x, y ∈ X;
(ii) ρ(0) = 0;
(iii) Bρ (1) := {x ∈ X : ρ(x) < 1} è un insieme convesso, bilanciato, assorbente.
1.2. SPAZI LOCALMENTE CONVESSI
Dimostrazione.
7
2
Esercizio: la dimostrazione è identica a quella per le norme.
Mostriamo ora che un insieme convesso, bilanciato e assorbente in uno spazio vettoriale
individua una seminorma.
Definizione 1.2.12 Siano X uno spazio vettoriale e B ⊂ X convesso, bilanciato e assorbente. Chiamiamo funzionale di Minkowski l’applicazione ρB : X → [0, ∞), definita da
ρB (x) = inf{t > 0 : x ∈ tB}.
Proposizione 1.2.13 Siano X uno spazio vettoriale e B ⊂ X convesso, bilanciato e assorbente. Allora ρB è una seminorma e
{x ∈ X : ρB (x) < 1} ⊆ B ⊆ {x ∈ X : ρB (x) ≤ 1}.
Dimostrazione.
(1.2.1)
Dimostriamo che ρB è omogenea. Siano x in X e α in C \ {0}. Allora
ρB (α x) = inf t > 0 : α x ∈ t B
t −i arg α = inf t > 0 : x ∈
e
B
(per l’Osservazione 1.1.7)
|α|
t
B
= inf t > 0 : x ∈
|α|
= |α| ρB (x),
come richiesto.
Dimostriamo che ρB soddisfa la disuguaglianza triangolare. Siano x e y in X e ε in R+ .
In conseguenza della definizione di funzionale di Minkowski e del fatto che B è bilanciato, i
punti x/ ρB (x) + ε e y/ ρB (y) + ε sono in B.
Infatti, sia t > ρB (x) e mostriamo che x appartiene a tB (un argomento simile si applica
a ρB (y)). Per definizione di ρB (x) esiste t0 in (ρB (x), t) tale che x appartiene a t0 B. Allora
x
x t0
t
=
∈ 0 B ⊆ B,
t
t0 t
t
perché B è bilanciato e t0 /t < 1.
Poiché B è convesso, il punto zt , definito da
zt = (1 − t)
x
y
+t
ρB (x) + ε
ρB (y) + ε
(1.2.2)
8
CHAPTER 1. SPAZI LOCALMENTE CONVESSI
è in B per ogni t in [0, 1]. Osserviamo che α zt = x + y in particolare se
α = ρB (x) + ρB (y) + 2ε
e
t=
ρB (y) + ε
.
ρB (x) + ρB (y) + 2ε
Per ottenere questi valori è sufficiente imporre che i coefficienti di x e y nell’espressione di
α zt che si ottiene da (1.2.2) siano entrambi uguali a 1. In particolare, per questi valori di t
e di α il punto x + y appartiene a α B. Per definizione di funzionale di Minkowski
ρB (x + y) ≤ α = ρB (x) + ρB (y) + 2ε.
La disuguaglianza triangolare cercata segue per l’arbitrarietà di ε.
Infine, dimostriamo la disuguaglianza (1.2.1). Se x appartiene a B, allora ρB (x) ≤ 1 per
definizione di funzionale di Minkowki, da cui segue la disuguaglianza di destra.
Sia ora x in X tale che ρB (x) < 1. Per definizione di funzionale di Minkowski, esiste t
in (ρB (x), 1) tale che x appartiene a tB. Ma tB ⊆ B, perché B è bilanciato, e anche la
2
disuguaglianza di sinistra è provata.
Esercizi
4.
Calcolare il funzionale di Minkowski associato ai sottoinsiemi R, S e Q di R2 definiti
da
R = {(x, y) ∈ R2 : |x| + |y| < 1}
S = {(x, y) ∈ R2 : x2 + y 2 < 1}
Q = {(x, y) ∈ R2 : max(|x| , |y|) < 1}.
5.
Siano X uno spazio vettoriale finito-dimensionale e B un sottoinsieme di X con-
vesso bilanciato e assorbente. La seminorma ρB (funzionale di Minkowski associato a B) è
necessariamente una norma?
6.
Mostrare che le inclusioni nella formula (1.2.1) possono essere proprie.
1.2.3
Topologia seminormata
Definizione 1.2.14 Siano X uno spazio vettoriale e F una famiglia di seminorme su X.
Diciamo che la famiglia F separa i punti di X se
ρ(x) = 0
∀ρ ∈ F
⇒
x = 0.
1.2. SPAZI LOCALMENTE CONVESSI
9
Esempio 1.2.15 Il duale topologico di uno spazio di Banach X separa i punti di X.
Definizione 1.2.16 Sia X spazio vettoriale (su R o su C) munito di una famiglia F di
seminorme che separano i punti di X. La topologia seminormata τF generata da F su X
è la topologia di spazio vettoriale topologico meno fine rispetto alla quale tutte le seminorme
di F sono continue. (N.B.: τF è invariante per traslazioni)
Notazione. Sia ρ una seminorma. Per ogni ε in R+ indichiamo con Bρ (ε) l’insieme
ρ−1 [0, ε) , cioè l’insieme {x ∈ X : ρ(x) < ε}. Siano F una famiglia di seminorme e F un
sottoinsieme finito di F. Per ogni ε in R+ poniamo
\
U (F ; ε) =
Bρ (ε).
(1.2.3)
ρ∈F
Osservazione 1.2.17 Siano F una famiglia di seminorme e F un sottoinsieme finito di F.
Per ogni ε in R+ l’insieme U (F ; ε) appartiene a τF , perché è intersezione finita di insiemi
del tipo Bρ (ε), che sono aperti, essendo ρ una funzione continua per definizione di topologia
seminormata.
Proposizione 1.2.18 Siano X uno spazio vettoriale, F una famiglia di seminorme che
separa i punti di X. Allora la topologia seminormata τF generata da F è di Hausdorff.
Dimostrazione.
Poiché F separa i punti di X, dati x, y in X, con x 6= y, esiste ρ in F tale
che ρ(x−y) 6= 0. Sia 0 < ε < ρ(x−y)/2 e consideriamo l’intorno Bρ (ε) = {z ∈ X : ρ(z) < ε}.
Evidentemente x − y ∈
/ Bρ (ε) e y − x ∈
/ Bρ (ε). Perciò
x∈
/ y + Bρ (ε)
e
y∈
/ x + Bρ (ε).
Notiamo che y + Bρ (ε) è un intorno di y e che x + Bρ (ε) è un intorno di x. Inoltre
y + Bρ (ε) ∩ x + Bρ (ε) = ∅.
Infatti, se z è in
y + Bρ (ε) ∩ x + Bρ (ε) ,
allora ρ(z − y) < ε e ρ(z − x) < ε. Ma allora, per la disuguaglianza triangolare
ρ(x − y) ≤ ρ(x − z) + ρ(z − y)
< 2ε,
contro l’ipotesi che ε < ρ(x − y)/2.
2
10
CHAPTER 1. SPAZI LOCALMENTE CONVESSI
Lemma 1.2.19 Siano X uno spazio vettoriale, F una famiglia di seminorme che separa i
punti di X e τF la topologia seminormata generata da F. Allora τF è una topologia di spazio
localmente convesso. Inoltre, una base di intorni di 0 nella topologia τF è costituita dalla
famiglia U di tutti gli insiemi della forma U (F ; ε) al variare di F tra i sottoinsiemi finiti di
F e di ε in R+ .
Dimostrazione.
Verifichiamo che U soddisfa le condizioni (i)-(iii) del Teorema 1.1.9.
Per la Proposizione 1.2.11 Bρ (ε) è convesso bilanciato e assorbente. Poiché l’intersezione
di un numero finito di insiemi convesso, bilanciati e assorbenti è un insieme convesso, bilanciato e assorbente, tali sono gli elementi di U.
Dato U in U, indichiamo con V l’insieme (1/2) U . È semplice verificare che V è in U e
che V + V ⊆ U : quindi la condizione (ii) del Teorema 1.1.9 è soddisfatta.
La condizione (iii) di tale teorema è soddisfatta in modo ovvio, perché se U1 e U2 sono
in U, anche U1 ∩ U2 lo è.
Possiamo concludere che U è una base in 0 per un’unica topologia τ di spazio vettoriale
topologico. Inoltre gli elementi di U sono anche convessi. Per dimostrare che τ è una
topologia di spazio localmente convesso rimane da dimostrare che è di Hausdorff, cosa che
faremo nel prosieguo della dimostrazione.
Mostriamo che τ = τF .
Da un lato U è contenuta in τF (vd. l’osservazione che precede il lemma), ergo la topologia
generata da U e dai suoi traslati, cioè τ , è contenuta in τF .
Dall’altro, mostriamo che ogni ρ in F è continua rispetto a τ . Poiché |ρ(x) − ρ(y)| ≤
ρ(x − y), e τ è invariante per traslazioni, è sufficiente dimostrare che ρ è continua in 0. Ma
questo è ovvio, perché ρ−1 [0, ε) è in U. Poiché τF è la topologia meno fine rispetto alla
quale ogni seminorma in F è continua, τF ⊆ τ .
2
Osservazione 1.2.20 Poiché la topologia naturale di spazio localmente convesso è invariante per traslazioni,
{x + U (F ; ε) : F sottoinsieme finito di F, ε > 0}
è un sistema fondamentale di intorni di x.
1.2. SPAZI LOCALMENTE CONVESSI
11
Proposizione 1.2.21 Siano τ una topologia di spazio localmente convesso sullo spazio vettoriale X, U una base di intorni convessi e bilanciati di 0 e F la famiglia di seminorme
F = {ρU : U ∈ U},
dove ρU indica il funzionale di Minkowski di U . Allora la topologia seminormata τF generata
da F coincide con τ .
Dimostrazione.
Osserviamo che F separa i punti di X. Infatti, supponiamo che ρU (x) = 0
per ogni U in U. Sia x 6= 0: poiché τ è di Hausdorff, esistono due intorni disgiunti U0 e Ux
di 0 e di x, rispettivamente. Possiamo supporre che U0 sia in U. Ma allora ρU0 (x) ≥ 1 per
la Proposizione 1.2.13; assurdo.
Mostriamo che τF ⊆ τ . È sufficiente mostrare che i funzionali di Minkowski ρU sono τ continui, perché τF , per definizione, è la topologia meno fine rispetto alla quale tutte le
seminorme {ρU } sono continue.
Poiché ρU è sublineare e τ è invariante per traslazioni, è sufficiente mostrare che ρU è
continuo in 0, equivalentemente che per ogni ε in R+ l’insieme ρ−1
U ([0, ε]) contiene un intorno
di 0 nella topologia τ . Per l’omogeneità di ρU
ρ−1
U ([0, ε]) = ε {x ∈ X : ρU (x) ≤ 1},
che contiene ε U per la Proposizione 1.2.13.
Mostriamo che τ ⊆ τF . Poiché τ e τF sono invarianti per traslazioni, è sufficiente mostrare
che per ogni intorno U in U esiste un intorno V di 0 nella topologia τF tale che V ⊆ U . Per
la Proposizione 1.2.13 basta scegliere come V l’insieme {x ∈ X : ρU (x) < 1}.
2
Osservazione 1.2.22 Siano X uno spazio vettoriale e ρ una norma su X. Sia τ la topologia
seminormata su X generata da ρ. Allora τ è la topologia dello spazio normato (X, ρ).
1.2.4
Esempi di spazi localmente convessi
Esempio 1.2.23 Consideriamo in R3 le seminorme
p
ρ1 (x, y, z) = x2 + y 2
e
ρ2 (x, y, z) = |z| .
La topologia generata da ρ1 e quella generata da ρ2 non sono di Hausdorff.
La famiglia {ρ1 , ρ2 } separa i punti di R3 e, quindi, genera una topologia naturale di spazio
localmente convesso. Mostrare che essa è equivalente alla topologia euclidea.
12
CHAPTER 1. SPAZI LOCALMENTE CONVESSI
Ricordiamo il seguente risultato classico.
Teorema 1.2.24 Sia Ω un aperto di Rn . Valgono le affermazioni seguenti:
(i) esiste una successione {VN } di insiemi aperti precompatti tali che V N ⊂ VN +1 per ogni
S
intero positivo N e ∞
N =1 V N = Ω;
(ii) esiste una successione {fN } di funzioni Cc∞ (Ω) tali che supp (fN ) ⊂ VN +1 e fN = 1
su V N .
Dimostrazione.
[Fo1, Prop. 4.31, Prop. 4.32, Lemma 8.18].
2
Esempio 1.2.25 Sia Ω un aperto di Rn . Ricordiamo che L1loc (Ω) è lo spazio vettoriale
delle classi di equivalenza di funzioni misurabili su Ω (rispetto alla relazione di equivalenza
di uguaglianza quasi ovunque) e integrabili su ogni compatto contenuto in Ω.
Sia {VN } una successione di aperti a chiusura compatta contenuta in Ω come nel teorema
precedente. Su L1loc (Ω) consideriamo la successione di seminorme
Z
|f | dλ,
ρk (f ) :=
Vk
dove λ denota la misura di Lebesgue su Rn La famiglia {ρk } separa i punti di L1loc (Ω) e
quindi induce su L1loc (Ω) una topologia di spazio localmente convesso.
Una differente scelta degli insiemi Vk soddisfacenti le ipotesi del teorema precedente
produce una differente famiglia di seminorme, ma la medesima topologia su L1loc (Ω).
Esempio 1.2.26 Consideriamo C ∞ ([0, 1]). La successione di seminorme
ρj (f ) := kDj f k∞
∀j ∈ N
induce su C ∞ ([0, 1]) una topologia naturale di spazio localmente convesso.
Osserviamo che ρ0 è una norma su C ∞ ([0, 1]). Tuttavia le topologie indotte da ρ0 e dalla
famiglia {ρj } sono tra loro diverse. Ad esempio, nell’intorno Bρ1 (1) non è contenuto Bρ0 (ε)
per alcun ε > 0. La topologia indotta dalla norma ρ0 è meno fine di quella indotta dalla
famiglia {ρj }.
1.2. SPAZI LOCALMENTE CONVESSI
13
Esempio 1.2.27 Siano X un insieme e CX lo spazio vettoriale delle funzioni su X a valori
complessi. A ogni x in X associamo la seminorma ρx su CX , definita da
ρx (f ) = |f (x)| .
La famiglia {ρx }x∈X induce su CX una topologia naturale di spazio localmente convesso,
detta topologia della convergenza puntuale. Utilizzando uno degli esercizi al temine della Sezione 1.3 si può mostrare che una successione {fn } di elementi di CX converge
all’elemento f nella topologia di CX ora introdotta se e solo se {fn } converge a f puntualmente.
Esempio 1.2.28 Siano X uno spazio topologico e C(X) lo spazio vettoriale delle funzioni
continue su X a valori complessi. Per ogni K ⊂⊂ X sia ρK la seminorma definita da
ρK (f ) = max |f (x)| .
x∈K
La famiglia {ρK }K⊂⊂X induce su C(X) una topologia naturale di spazio localmente convesso,
detta topologia della convergenza uniforme sui compatti. Utilizzando uno degli esercizi al temine della Sezione 1.3 si può mostrare che una successione {fn } di elementi di
C(X) converge all’elemento f nella topologia di C(X) ora introdotta se e solo se per ogni
compatto K in X la successione {fn } converge a f uniformemente in K.
Esempio 1.2.29 Le topologie seguenti sono importanti nella teoria delle distribuzioni.
Sia Ω un aperto di Rn .
(a) E(Ω) è lo spazio C ∞ (Ω), munito della topologia definita dalle seminorme
ρK,m (f ) = max max |Dα f (x)| ,
|α|≤m x∈K
dove m è un intero non negativo e K è compatto e contenuto in Ω. Notiamo che una
successione {fN } in E(Ω) converge a f ∈ E(Ω) se e solo se per ogni multiindice α la
successione {Dα fN } converge uniformemente a Dα f sui compatti di Ω;
(b) sia K un compatto fissato in Ω. Denotiamo con DK (Ω) lo spazio delle funzioni C ∞ (Ω)
con supporto contenuto in K, munito della topologia definita dalle seminorme
ρm (f ) = max max |Dα f (x)| .
|α|≤m x∈K
Notiamo che DK (Ω) si può identificare con DK (Rn ).
14
CHAPTER 1. SPAZI LOCALMENTE CONVESSI
(c) Cc∞ (Ω) =
∞
K ⊂⊂ Ω DK (Ω) è lo spazio delle funzioni C a supporto compatto in
Ω. Le seminorme dell’esempio (a) definiscono una topologia localmente convessa su
S
Cc∞ (Ω) rispetto a cui Cc∞ (Ω) è metrizzabile, ma non completo. Vedremo in seguito
come introdurre su Cc∞ (Ω) un’altra topologia localmente convessa, non metrizzabile,
rispetto a cui Cc∞ (Ω) sia completo.
Esempio 1.2.30
Topologie deboli. Siano X uno spazio vettoriale e Y un sottospazio
vettoriale del duale algebrico di X (gli elementi di Y sono funzionali lineari non necessariamente continui su X), che separa i punti di X, cioè F (x) = 0 per ogni F in Y implica che
x = 0. La Y –topologia debole su X è la topologia meno fine su X rispetto alla quale tutti
i funzionali della famiglia Y sono continui. Essa viene indicata con σ(X, Y ).
Per ogni F in Y consideriamo la seminorma ρF , definita da
ρF (x) = |F (x)|
∀x ∈ X.
Evidentemente F := {ρF : F ∈ Y } è una famiglia di seminorme che separa i punti di X.
Perciò essa induce su X una topologia di spazio localmente convesso, che indichiamo con τF .
Mostriamo che σ(X, Y ) = τF .
Da un lato, ogni funzionale F in Y è continuo rispetto a σ(X, Y ) per definizione di
topologia debole; conseguentemente ogni seminorma ρF , che è la composizione di F e di |·|,
è continua rispetto a σ(X, Y ). Quindi τF ⊆ σ(X, Y ).
Dall’altro, mostriamo che ogni funzionale F in Y è continuo rispetto alla topologia τF . È
sufficiente mostrare che F è continuo in 0; ma questo è ovvio, perché F −1 (Bε ) (qui Bε indica
il disco in C con centro 0 e raggio ε) è un intorno di 0X nella topologia τF , e precisamente
BρF (ε). Quindi τF ⊃ σ(X, Y ).
La topologia debole di uno spazio di Banach X e la topologia debole∗ del duale X 0 di uno
spazio di Banach sono esempi di topologie deboli nel senso della terminologia ora introdotta:
nel primo caso la famiglia Y dei funzionali coincide con X 0 , nel secondo con J(X), dove J
indica l’immersione canonica di X nel biduale X ∗∗ .
Osservazione 1.2.31 Notiamo che la topologia σ(X 0 , X) è la topologia della convergenza
puntuale su X.
1.2. SPAZI LOCALMENTE CONVESSI
15
Esercizi
7.
Mostrare che Cc∞ (Rn ) non è ridotto alla sola funzione nulla.
8.
Costruire una funzione ϕ in Cc∞ (R) nulla su [−2, 2]c e uguale a 1 in [−1, 1].
1.2.5
Limitatezza
Definizione 1.2.32 Siano (X, τ ) uno spazio vettoriale topologico ed E ⊂ X. Diciamo
che E è limitato (in senso topologico) se per ogni intorno U di 0 esiste s > 0 tale che
E ⊂ tU per ogni t > s.
Osservazione 1.2.33 Si può dimostrare (vd. esercizio alla fine della sezione) che un sottoinsieme E di uno spazio vettoriale topologico è limitato se e solo se per ogni intorno U di 0
esiste almeno un t in R+ tale che E ⊂ t U .
Osservazione 1.2.34 Sia (X, τ ) uno spazio vettoriale topologico. Supponiamo che τ sia
generata dalla norma ρ. Allora un sottoinsieme E di X è limitato (nel senso della definizione
precedente) se e solo se
sup ρ(x) < ∞,
x∈E
cioè se e solo se E è limitato nella norma ρ.
Caveat. Sia (X, τ ) uno spazio vettoriale topologico. Supponiamo che τ provenga da una
metrica (invariante per traslazioni1 ) d. Le nozioni di limitatezza di un sottoinsieme E di X
rispetto a d e nel senso “topologico” non necessariamente coincidono.
Esempio 1.2.35 Consideriamo C ∞ ([0, 1]). Definiamo una topologia τ di spazio vettoriale
topologico, dichiarando sistema fondamentale di intorni di 0 la famiglia delle intersezioni
finite degli insiemi della forma
U (j; ε) := {f ∈ C ∞ ([0, 1]) : kDj f k∞ < ε}
1
Una metrica d su uno spazio vettoriale X si dice invariante per traslazioni se per ogni x in X
d(x + v, x + w) = d(v, w)
∀v, w ∈ X.
16
CHAPTER 1. SPAZI LOCALMENTE CONVESSI
al variare di j in N e di ε in R+ . Sia, poi, d la metrica su C ∞ ([0, 1]) definita da
d(f, g) =
∞
X
j=0
kDj (f − g)k∞
2−j .
j
1 + kD (f − g)k∞
Evidentemente C ∞ ([0, 1]), d è uno spazio metrico limitato e la metrica d è invariante per
traslazioni. Notiamo anche che d induce su C ∞ ([0, 1]) la topologia τ (ciò verrà provato
in ambito più generale nel Teorema 1.4.3). Tuttavia, ciascuno degli intorni U (j; ε) non è
limitato in senso topologico.
Mostriamo, ad esempio, che U (0; 1) non è limitato. Basta mostrare che l’inclusione
U (0; 1) ⊂ U (1; t) è falsa per ogni t > 0.
Infatti U (0; 1) contiene funzioni f con kDf k∞ arbitrariamente grande.
Gli insiemi limitati in senso topologico giocano un ruolo molto importante nella teoria
degli operatori.
Proposizione 1.2.36 Siano X uno spazio localmente convesso con topologia generata dalla
famiglia F di seminorme. Le affermazioni seguenti sono equivalenti:
(i) E è limitato;
(ii) supx∈E ρ(x) < ∞ per ogni seminorma ρ in F;
Dimostrazione.
Dimostriamo che (i) implica (ii). Siano ρ una seminorma e Bρ (1) =
{x ∈ X : ρ(x) < 1}. Poiché E è limitato e Bρ (1) è un intorno di 0, esiste t in R+ tale che
E ⊂ t Bρ (1). Conseguentemente
sup ρ(x) ≤ sup ρ(t x)
x∈E
x∈Bρ (1)
= t.
Dimostriamo che (ii) implica (i). Sia U un intorno di 0. Dobbiamo mostrare che U
“assorbe” E. Ora, U contiene un intorno di 0 della forma U (F ; ε) dove F è un sottoinsieme
finito di F e ε > 0, ergo è sufficiente mostrare che U (F ; ε) “assorbe” E. Sia
s := max sup ρ(x).
ρ∈F x∈E
Per ipotesi s è finito. Ma allora E ⊂ (2s/ε) U (F ; ε). Infatti, l’inclusione da dimostrare
equivale a (ε/(2s)) E ⊂ U (F ; ε), che è immediato verificare, data la definizione di s.
2
1.3. OPERATORI LINEARI
17
Esercizi
9.
È vero che un sottoinsieme E di uno spazio vettoriale topologico è limitato se e solo se
per ogni intorno U di 0 esiste almeno un t in R+ tale che E ⊂ t U ?
10.
Mostrare che se {xn } è una successione convergente nello spazio vettoriale topo-
logico X, allora è limitata.
1.3
Operatori lineari
Teorema 1.3.1 Siano (X, F) e (Y, G) due spazi localmente convessi e T : X → Y una
mappa lineare. Le affermazioni seguenti sono equivalenti:
(i) T è continua;
(ii) per ogni ρ in G esistono un sottoinsieme finito F di F e una costante C tali che
ρ(T x) ≤ C
X
σ(x)
∀x ∈ X.
σ∈F
Dimostrazione.
Poiché T è lineare e le traslazioni sono omeomorfismi, T è continua se e
solo se è continua in 0.
Supponiamo che T sia continua in 0X e mostriamo (ii). Per ogni V in un sistema fondamentale di intorni in 0Y esiste U in un sistema fondamentale di intorni in 0X tale che
T (U ) ⊂ V.
(1.3.1)
Sia, in particolare, V = {y ∈ Y : ρ(y) < 1}. Allora esistono σ1 , . . . , σN in F e δ > 0 tali che
U := x ∈ X : max σ1 (x), . . . , σN (x) < δ
soddisfa (1.3.1).
Notiamo che se x ∈ U e σ1 (x) = . . . = σN (x) = 0, allora deve essere ρ(T x) = 0. In caso
contrario, infatti, avremmo ρ(T (λx)) > 1 per λ sufficientemente grande e tuttavia λx in
U , perché σ1 (x) = . . . = σN (x) = 0.
Sia ora x in X tale che σ1 (x) + . . . + σN (x) > 0. Allora
x0 :=
δ
x
2 σ1 (x) + . . . + σN (x)
18
CHAPTER 1. SPAZI LOCALMENTE CONVESSI
appartiene a U . Quindi T x0 appartiene a V e ρ(T x0 ) ≤ 1. Perciò
2
σ1 (x) + . . . + σN (x) ρ(T x0 )
δ
2
≤
σ1 (x) + . . . + σN (x) .
δ
ρ(T x) =
Scegliendo C := 2/δ, si ottiene (ii).
2
Se vale (ii) allora T è continua in 0: evidente.
Definizione 1.3.2 Siano F e G due famiglie di seminorme sullo spazio vettoriale X che
separano i punti di X. Diciamo che le famiglie F e G sono equivalenti se τF = τG .
Proposizione 1.3.3 Siano F e G due famiglie di seminorme sullo spazio vettoriale X che
separano i punti di X. Le affermazioni seguenti sono equivalenti:
(i) F e G sono equivalenti;
(ii) ogni seminorma σ ∈ F è τG -continua e ogni seminorma ρ ∈ G è τF -continua;
(iii) per ogni σ ∈ F esistono un sottoinsieme finito G di G e una costante C tali che
σ(x) ≤ C
X
ρ(x)
∀x ∈ X
ρ∈G
e per ogni ρ ∈ G esistono un sottoinsieme finito F di F e una costante C tali che
ρ(x) ≤ C
X
σ(x)
∀x ∈ X.
σ∈F
Dimostrazione.
(i) ⇒ (ii). Poiché ogni seminorma σ in F è τF -continua e τF coincide per
ipotesi con τG , σ è τG -continua. Analogamente per le seminorme ρ in G.
Dimostriamo che (ii) ⇒ (i). Se ogni σ in F è τG -continua, allora τF ⊆ τG , perché F è la
topologia di spazio vettoriale topologico meno fine rispetto alla quale le σ sono continue. In
modo simmetrico se ogni ρ in G è F-continua, allora τG ⊆ τF . Ne deduciamo che τF = τG ,
come richiesto.
Notiamo ora che (i) vale se e solo se Id : (X, τF ) → (X, τG ) e Id : (X, τG ) → (X, τF ) sono
operatori continui; in virtù del Teorema 1.3.1, questo equivale a (iii).
2
È sovente utile considerare famiglie di seminorme che godono di una ulteriore proprietà.
1.3. OPERATORI LINEARI
19
Definizione 1.3.4 Diciamo che la famiglia di seminorme F sullo spazio vettoriale X è
diretta se per ogni ρ1 , ρ2 in F esistono ρ in F e una costante C tali che
ρ1 (x) + ρ2 (x) ≤ C ρ(x)
∀x ∈ X.
È semplice mostrare che la proprietà precedente equivale alla seguente: per ogni sottoinsieme
finito F di F esistono ρ0 in F e una costante C tali che
X
ρ(x) ≤ C ρ0 (x)
∀x ∈ X.
ρ∈F
Proposizione 1.3.5 Sia X uno spazio localmente convesso con topologia generata dalla
famiglia di seminorme F. Allora esiste una famiglia diretta di seminorme G equivalente
a F.
Dimostrazione.
Sia G l’insieme dei sottoinsiemi finiti di F. Se G è in G, poniamo
ρG :=
X
σ.
σ∈G
Evidentemente {ρG }G∈G è una famiglia diretta di seminorme.
Si vede facilmente che F e G soddisfano la condizione (iii) della proposizione precedente
e quindi generano la medesima topologia.
2
Osservazione 1.3.6 Sia X uno spazio localmente convesso con topologia generata dalla
famiglia diretta di seminorme F. Allora
{U ({ρ}; ε) : ρ ∈ F, ε > 0}
è un sistema fondamentale di intorni di 0.
Osservazione 1.3.7
È noto che la continuità di un operatore lineare tra spazi di Banach
è equivalente al fatto che trasforma insiemi limitati in insiemi limitati. Come mostrato negli
esercizi questa equivalenza cessa di valere per operatori tra spazi localmente convessi.
Definizione 1.3.8 Uno spazio localmente convesso X si dice spazio di Mackey (o spazio
bornologico) se per ogni spazio localmente convesso Y ogni operatore lineare T : X → Y
che trasforma insiemi limitati in insiemi limitati è continuo.
20
CHAPTER 1. SPAZI LOCALMENTE CONVESSI
Osservazione 1.3.9 Se X è uno spazio localmente convesso metrizzabile (vd. la Sezione 1.4), allora X è bornologico (vd. Esercizi).
Vedremo che gli spazi di funzioni test coinvolti nella teoria delle distribuzioni sono
bornologici.
Si può dimostrare che non tutti gli spazi localmente convessi sono bornologici; ad esempio, sia hX, Y i una coppia duale (cioè X è uno spazio vettoriale e Y un sottospazio dei
funzionali lineari su X che separa i punti) tale che la Y -topologia debole σ(X, Y ) e la topolo
gia di Mackey τ (X, Y ) su X non coincidano. Allora la mappa identica I : X, σ(X, Y ) →
X, τ (X, Y ) porta insiemi limitati in insiemi limitati (gli insiemi limitati sono gli stessi nelle
due topologie, perché i funzionali lineari continui sono gli stessi, vd. Proposizione 1.5.7), ma
può non essere continua, perché, in generale, τ (X, Y ) è più forte di σ(X, Y ).
Esercizi
11. Supponiamo che X sia uno spazio localmente convesso con topologia naturale generata
da un numero finito di seminorme. Dimostrare che la topologia naturale è generata da una
norma.
12.
(i) Sia S una famiglia di seminorme. Supponiamo che esista una sottofamiglia finita
ρ1 , . . . , ρN di S tale che ρ1 + · · · + ρN sia una norma. Dimostrare che S è equivalente
a una famiglia di norme.
(ii) Mostrare che una topologia di spazio localmente convesso su Rn è la topologia euclidea. (Traccia: usare l’equivalenza di tutte le norme su Rn e la costruzione seguente.
Scegliamo una seminorma ρ1 e sia V1 = {x : ρ1 (x) = 0}. Allora dim(V1 ) ≤ n − 1. Se
V1 6= {0}, sia x1 in V1 e ρ2 tale che ρ2 (x1 ) 6= 0. Sia V2 = {x : ρ1 (x) + ρ2 (x) = 0}.
Procedere iterativamente)
(iii) Mostrare che ogni funzionale lineare su un sottospazio finito-dimensionale di uno spazio
localmente convesso ha un’estensione continua a tutto lo spazio.
(iv) Mostrare che ogni sottospazio finito-dimensionale di un spazio localmente convesso è
chiuso.
1.4. NORMABILITÀ E METRIZZABILITÀ: SPAZI DI FRÉCHET
13.
21
Sia X uno spazio localmente convesso con topologia generata dalla famiglia F di
seminorme. Mostrare che una successione (generalizzata) {xn } converge a x in X se e solo
se ρ(xn − x) tende a 0 per ogni ρ in F.
14.
Completare i dettagli della dimostrazione della Proposizione 1.3.5.
15.
Mostrare che un operatore lineare continuo tra due spazi vettoriali topologici X e Y
manda insiemi limitati in insiemi limitati.
1.4
Normabilità e metrizzabilità: spazi di Fréchet
Definizione 1.4.1 Sia X uno spazio localmente convesso. Diciamo che X è normabile se
la sua topologia naturale è indotta da una norma. Diciamo che X è metrizzabile se la sua
topologia naturale è indotta da una metrica.
Teorema 1.4.2 (Criterio di normabilità di Kolmogorov) La topologia di uno spazio
localmente convesso X è generata da una norma se e solo se 0 ha un intorno convesso e
limitato (nel senso topologico).
Dimostrazione.
La necessità dell’affermazione è ovvia.
Dimostriamone la sufficienza. L’ipotesi e il Teorema 1.2.4 implicano che 0 ha un intorno
U convesso bilanciato e limitato. Sia ρU il funzionale di Minkowski di U . Mostriamo che ρU
è una norma.
Poiché ρU è una seminorma, è sufficiente mostrare che ρU (y) = 0 ⇒ y = 0. Sia ρ0 una
seminorma tra quelle che generano la topologia di X: mostriamo che ρ0 (y) = 0.
Sia U 0 l’insieme {x ∈ X : ρ0 (x) < 1}. Poiché U è limitato, esiste N in R+ tale che
U ⊂ N U 0 . D’altra parte, poiché ρU (y) = 0 e, per definizione di funzionale di Minkowski,
ρU (y) = inf{t ∈ R+ : y ∈ t U },
esiste una successione {tn } di elementi di R+ tale che tn ↓ 0 e y/tn appartiene a N U 0 . Perciò
ρ0
y
tn
<N
∀n ∈ N.
Da questa relazione e dall’omogeneità di ρ0 ricaviamo che ρ0 (y) < N tn per ogni intero positivo
n, e quindi, passando al limite al tendere di n a ∞, che ρ0 (y) = 0. Poiché la famiglia di
22
CHAPTER 1. SPAZI LOCALMENTE CONVESSI
seminorme che genera la topologia di X separa i punti di X, necessariamente y = 0, come
richiesto.
Sia τ la topologia data su X; indichiamo con τU la topologia indotta dalla norma ρU .
Mostriamo che τ = τU . Poiché τ e τU sono invarianti per traslazioni, è sufficiente mostrare
che ogni intorno in una base di intorni di 0 in τ contiene un intorno di 0 in τU e viceversa.
Sia V un intorno di 0 in τ . Poiché U è limitato, esiste N in R+ tale che U ⊂ N V , cioè
(1/N ) U ⊂ V . Perciò V contiene una sfera nella norma indotta da ρU .
Viceversa, per ogni ε in R+ denotiamo con BρU (ε) l’insieme {x ∈ X : ρU (x) < ε}; BρU (ε)
è un intorno di 0 nella topologia τU . Mostriamo che BρU (ε) è anche un intorno di 0 nella
topologia τ .
Infatti, per la Proposizione 1.2.13 e un argomento di dilatazione, vale l’inclusione
BρU (δ) ⊆ δ U ⊆ {x ∈ X : ρU (x) ≤ δ}
∀δ ∈ R+ .
Quindi BρU (ε) ⊇ {x ∈ X : ρU (x) ≤ δ} ⊇ δ U per ogni δ in (0, ε). Perciò τU ⊆ τ .
2
Teorema 1.4.3 (Criterio di metrizzabilità) Sia X uno spazio localmente convesso con
topologia τ . Le affermazioni seguenti sono equivalenti:
(i) X è metrizzabile;
(ii) X ha un sistema fondamentale numerabile di intorni di 0;
(iii) τ è generata da una famiglia numerabile di seminorme.
Dimostrazione.
L’implicazione (i) ⇒ (ii) è vera in ogni spazio metrico.
Dimostriamo l’implicazione (ii) ⇒ (iii). Per il Teorema 1.2.4 esiste una base numerabile
{Un } di intorni di 0 convessi e bilanciati. Per la Proposizione 1.2.21 la successione {ρUn } dei
funzionali di Minkowski degli insiemi Un genera una topologia di spazio localmente convesso
che coincide con la topologia di partenza.
Dimostriamo l’implicazione (iii) ⇒ (i). Sia {ρn }n∈N la famiglia numerabile di seminorme
che genera τ . Poniamo
d(f, g) =
∞
X
n=1
2−n
ρn (f − g)
.
1 + ρn (f − g)
Dimostriamo che d è una metrica su X. Se d(f, g) = 0, allora ρn (f − g) = 0 per ogni n;
poiché la famiglia di seminorme {ρn } separa i punti di X, f − g = 0, cioè f = g.
1.4. NORMABILITÀ E METRIZZABILITÀ: SPAZI DI FRÉCHET
23
Dimostriamo la disuguaglianza triangolare. Indichiamo con φ : [0, ∞) → [0, 1] la funzione
s
φ(s) =
.
1+s
La disuguaglianza triangolare per d segue direttamente dalla disuguaglianza
φ(s + t) ≤ φ(s) + φ(t)
∀s, t ∈ [0, ∞),
che ora dimostriamo. Possiamo riscrivere questa disuguaglianza nella forma
φ(s + t) − φ(s)
φ(t)
≤
;
t
t
geometricamente essa asserisce che la pendenza della corda che unisce i punti sul grafico di
φ di ascissa s e s + t è minore o uguale della pendenza della corda che unisce i punti sul
grafico di φ di ascissa 0 e t. Ma questo fatto è una conseguenza diretta della concavità di φ.
Per provare la concavità di φ è sufficiente dimostrare che la sua derivata seconda è ≤ 0.
Dimostriamo che d induce su X la topologia τ . Poiché la topologia naturale e quella
indotta da d sono entrambe invarianti per traslazioni, è sufficiente confrontare gli intorni di
0 nelle due topologie. È sufficiente considerare gli intorni del tipo U (ρ1 , . . . , ρN ; ε) al variare
di N tra gli interi positivi e di ε in R+ . Per ogni ε in R+ indichiamo con B(ε) l’insieme
{f ∈ X : d(f, 0) < ε}.
Sia ε in R+ .
Mostriamo che se N è sufficientemente grande, allora U (ρ1 , . . . , ρN ; ε/3) ⊆ B(ε). Sia N
P
−j
< ε/3. Sia f in U (ρ1 , . . . , ρN ; ε/3). Poiché
tale che ∞
j=N +1 2
d(f, 0) ≤
N
X
−j
2
j=1
∞
X
ρj (f )
+
2−j
1 + ρj (f )
j=N +1
< ε,
f appartiene a B(ε), come richiesto.
Siano ε in R+ e N in N∗ .
Mostriamo che se η è tale che 2N η < ε/2, allora B(η) ⊆ U (ρ1 , . . . , ρN ; ε) (notiamo che è
sufficiente considerare ε piccolo e N grande). Infatti, se d(f, 0) < η, allora
η > 2−j
ρj (f )
1 + ρj (f )
∀j ∈ N∗ ,
da cui ricaviamo che
ρj (f )
< 2N η
1 + ρj (f )
∀j ∈ {1, . . . , N },
cioè che ρj (f ) < 2N η/(1 − 2N η) < ε, come richiesto.
2
24
CHAPTER 1. SPAZI LOCALMENTE CONVESSI
Osservazione 1.4.4 La dimostrazione precedente mostra che la topologia di uno spazio
localmente convesso metrizzabile può essere sempre generata da una metrica invariante.
Osservazione 1.4.5 Può accadere che due metriche distinte d1 e d2 su uno spazio vettoriale X, che generano la medesima topologia di spazio localmente convesso, siano una
invariante per traslazioni e l’altra no. Può anche accadere che d1 e d2 abbiano proprietà
metriche differenti, ad esempio, che (X, d1 ) sia completo e (X, d2 ) no (vd. esercizi).
In particolare, questo significa che d1 e d2 non sono necessariamente metriche equivalenti.
Definizione 1.4.6 Uno spazio localmente convesso metrizzabile, completo rispetto a una
metrica invariante che induce la topologia naturale, si chiama spazio di Fréchet.
Nella proposizione seguente utilizzeremo le notazioni dell’Esempio 1.2.29.
Proposizione 1.4.7 Sia Ω un aperto di Rn . Valgono le affermazioni seguenti:
(i) E(Ω) è uno spazio di Fréchet non normabile;
(ii) DK (Ω) è uno spazio di Fréchet non normabile;
(iii) la topologia di spazio localmente convesso su Cc∞ (Ω) introdotta nell’Esempio 1.2.29 è
metrizzabile, ma non è completa.
Dimostrazione.
Le affermazioni (i) e (ii) sono lasciate per esercizio.
Dimostriamo (iii). Poniamo KN := V N , dove V N è la successione dei compatti contenuti
in Ω introdotti nel Teorema 1.2.24. Ricordiamo che valgono le proprietà KN ⊂ KN +1
S
(inclusione propria) e N KN = Ω.
La famiglia di seminorme {ρm,KN } è numerabile e la topologia naturale ad essa associata coincide con quella definita dalle seminorme {ρm,K }, dove K varia in tutti i compatti
contenuti in Ω. Perciò tale topologia è metrizzabile.
Sia d la metrica indotta. Mostriamo che Cc∞ (Ω) non è completo rispetto a d. Una verifica
diretta mostra che una successione è di Cauchy rispetto a d se e solo se lo è rispetto a ciascuna
seminorma ρm,KN . Sia {xj } una successione di punti in Ω tali che xj appartiene a Kj+1 \ Kj
c
c
e ha distanza positiva da Kj+1
. Indichiamo con δj la distanza di xj da Kj ∪ Kj+1
. Sia poi
ψ una funzione in Cc∞ (Rn ) con supporto contenuto in B(0, 1). Definiamo ψj mediante la
formula
ψj (x) = ψ 2(x − xj )/δj
∀x ∈ Rn .
1.4. NORMABILITÀ E METRIZZABILITÀ: SPAZI DI FRÉCHET
25
È semplice verificare che il supporto di ψj è contenuto in B(xj , δj /2), e, conseguentemente,
è contenuto in Kj+1 \ Kj . Definiamo, ora,
ϕJ :=
J
X
ψj .
j=1
Evidentemente ρm,KN (ϕj − ϕk ) = 0 per ogni j, k > N , e, quindi, {ϕj } è di Cauchy rispetto
P
alla metrica d. Inoltre, rispetto a d, la successione {ϕJ } converge alla funzione ϕ := ∞
j=1 ψj ,
2
che, però, non appartiene a Cc∞ (Ω).
1.4.1
Operatori tra spazi di Fréchet
Alcuni importanti risultati validi per operatori tra spazi di Banach continuano a valere
per operatori tra spazi di Fréchet: in particolare, tutti i risultati che sono conseguenza del
teorema di Baire. Qui ci limitiamo a ricordare la versione del teorema di Banach–Steinhaus,
di cui faremo uso in seguito.
Definizione 1.4.8 Sia Γ una famiglia di operatori lineari continui dallo spazio di Fréchet
X allo spazio localmente convesso Y .
Diciamo che Γ è puntualmente limitata se per ogni x in X esiste un insieme limitato F
in Y tale che T x ⊂ F per ogni T in Γ.
Diciamo che Γ è uniformemente limitata se per ogni insieme limitato E in X esiste
un insieme limitato F in Y tale che T (E) ⊂ F per ogni T in Γ.
Diciamo che Γ è equicontinua se per ogni intorno V di 0Y esiste un intorno U di 0X
tale che T (U ) ⊂ V per ogni T in Γ.
Osservazione 1.4.9 Se Γ contiene un solo elemento, l’equicontinuità è evidentemente
equivalente alla continuità.
Osservazione 1.4.10 Dalle definizioni segue direttamente che
Γ equic.
⇒
Γ unif. lim.
⇒
Γ punt. lim..
Supponiamo che Γ sia equicontinua. Sia E un insieme limitato in X: dobbiamo mostrare
che esiste un insieme limitato F in Y tale che T (E) ⊂ F per ogni T in Γ. Sia V un intorno
di 0Y . Poiché Γ è equicontinua, esiste un intorno U di 0X tale che T (U ) ⊂ V per ogni T in Γ.
26
CHAPTER 1. SPAZI LOCALMENTE CONVESSI
Essendo E limitato, esso è “assorbito” da U , cioè esiste t in R+ tale che E ⊂ t U . Allora,
per la linearità di T ,
T (E) ⊂ t T (U ) ⊂ t V
Posto F :=
S
T ∈Γ
∀T ∈ Γ.
T (E), abbiamo che F è limitato e che T (E) ⊂ F per ogni T in Γ, come
richiesto.
L’implicazione Γ unif. lim.
⇒
Γ punt. lim. è ovvia (dipende dal fatto che ogni
punto in uno spazio localmente convesso è un insieme limitato).
Teorema 1.4.11 (Banach–Steinhaus) Sia Γ una famiglia di operatori lineari continui
dallo spazio di Fréchet X allo spazio localmente convesso Y . Le affermazioni seguenti sono
equivalenti:
(i) Γ è puntualmente limitata;
(ii) Γ è uniformemente limitata;
(iii) Γ è equicontinua.
Dimostrazione.
2
[Ru1, p. 43–45] .
Corollario 1.4.12 Sia {Tn } una successione di operatori lineari continui dallo spazio di
Fréchet X allo spazio localmente convesso Y tale che
T x := lim Tn x
n→∞
esiste per ogni x in X. Allora T è un operatore lineare continuo da X in Y .
Dimostrazione.
La successione {Tn } è puntualmente limitata, perché per ogni x in X la
successione {Tn x} è convergente in Y per ipotesi (vd. uno degli esercizi della Sezione 1.2.5).
Per il teorema precedente {Tn } è una successione equicontinua. Dimostriamo che T è continuo in 0X . Per ogni intorno V di 0Y esiste un intorno U di 0X tale che Tn (U ) ⊂ V per ogni
n. Conseguentemente T (U ) ⊂ V . Quindi T è continuo, come richiesto.
2
Una conseguenza notevole del risultato precedente è il seguente teorema di “completezza”.
Con X 0 indichiamo lo spazio vettoriale dei funzionali lineari continui su X.
1.4. NORMABILITÀ E METRIZZABILITÀ: SPAZI DI FRÉCHET
27
Corollario 1.4.13 Sia X uno spazio di Fréchet. Sia {Fn } una successione di elementi di X 0
tale che {Fn (x)} è una successione di Cauchy (in C) per ogni x in X. Allora esiste F in X 0
tale che {Fn − F } tende a 0 nella topologia σ(X 0 , X).
Dimostrazione.
Per ogni x in X definiamo F (x) := limn→∞ Fn (x). Per il corollario
0
precedente F è in X e, ovviamente, Fn − F → 0 nella topologia σ(X 0 , X).
2
Esercizi
16.
Mostrare che se d è una metrica invariante su uno spazio localmente convesso X,
allora per ogni intero positivo n vale la disuguaglianza d(nx, 0) ≤ n d(x, 0) (Traccia: utilizzare
ripetutamente la disuguaglianza triangolare).
Mostrare che se X è uno spazio localmente convesso metrizzabile e se {xn } è una successione convergente a 0 in X, allora esiste una successione {rn } di numeri reali positivi tale
che
lim rn = ∞
e
n→∞
lim rn xn = 0.
n→∞
(Traccia: per ogni intero positivo k esiste un intero positivo nk tale che d(xn , 0) < k −2 per
ogni n ≥ nk ). Porre rn = k per ogni n compreso tra nk e nk+1 ).
Utilizzando questo fatto mostrare che se X è uno spazio localmente convesso metrizzabile,
allora è bornologico.
17.
Indichiamo con X lo spazio delle funzioni continue su [0, 1]. Consideriamo due
topologie su X: σ, indotta dalla metrica
Z
d(f, g) =
0
1
|f (x) − g(x)|
dx,
1 + |f (x) − g(x)|
e τ , la topologia seminormata della convergenza puntuale, indotta dalla famiglia {ρx : x ∈
[0, 1]} di seminorme, dove
ρx (f ) = |f (x)|
∀f ∈ X.
Sia J l’identità tra (X, τ ) e (X, σ). Dimostrare le affermazioni seguenti:
(i) ogni insieme τ -limitato è anche σ- limitato. Perciò J manda insiemi limitati in insiemi
limitati;
(ii) J non è continua;
28
CHAPTER 1. SPAZI LOCALMENTE CONVESSI
(iii) J è continua per successioni (suggerimento: utilizzare il teorema di convergenza dominata). Quindi (X, τ ) non è metrizzabile.
18.
Dimostrare che la topologia della convergenza uniforme sui compatti su CR è di
Fréchet. Lo stesso vale per C(R). Mostrare che queste topologie non sono normabili.
Dimostrare che la topologia su L1loc (Ω) descritta nell’Esempio 1.2.25 è di Fréchet.
19.
Mostrare che L1loc (Ω) non è normabile.
20.
Dimostrare le affermazioni (i) e (ii) della Proposizione 1.4.7.
21.
Mostrare che la topologia della convergenza puntuale su RR non è metrizzabile.
Mostrare che la topologia della convergenza puntuale su RN è metrizzabile, ma non normabile.
22. Mostrare che non esiste una norma su C ∞ ([0, 1]) rispetto alla quale l’operatore derivata
D da C ∞ ([0, 1]) in sè sia continuo. (Traccia: considerare gli esponenziali x 7→ eλ x )
23.
Consideriamo due metriche d1 e d2 su R, definite da
d1 (x, y) = |x − y|
e
d2 (x, y) = |arctan x − arctan y|
∀x, y ∈ R.
Mostrare che d1 e d2 inducono su R la medesima topologia di spazio localmente convesso, che
(R, d1 ) è completo e che (R, d2 ) non lo è. Ciò è rilevante in relazione all’Osservazione 1.4.5.
24. Sia d la metrica sullo spazio localmente convesso metrizzabile X (con seminorme {ρn })
introdotta nella dimostrazione del Teorema 1.4.3. Mostrare che {xk } è di Cauchy rispetto a
d se e solo se è di Cauchy rispetto a ciascuna seminorma ρn .
1.5
Duale di uno spazio localmente convesso
Definizione 1.5.1 Sia X uno spazio localmente convesso. Il duale topologico di X è lo
spazio vettoriale dei funzionali lineari continui (a valori complessi) su X, e verrà denotato
con X 0 .
Ricordiamo il seguente risultato, conseguenza diretta del teorema di Hahn–Banach.
Proposizione 1.5.2 Siano X uno spazio localmente convesso, M un suo sottospazio e x in
X \ M non appartenente alla chiusura di M . Allora esiste un funzionale lineare continuo F
su X tale che F (x) 6= 0 e F |M ≡ 0.
1.5. DUALE DI UNO SPAZIO LOCALMENTE CONVESSO
29
Dimostrazione.
2
[TL, Thm 2.8, p. 129].
Osservazione 1.5.3 L’importanza di questo risultato consiste nel fatto che esso assicura
che X 0 separa i punti di X.
Si può munire X 0 di varie topologie. In particolare, considereremo la topologia debole
σ(X 0 , X) introdotta nell’Esempio 1.2.30. Nel caso in cui X sia di Banach, σ(X 0 , X) è la
topologia debole∗ su X 0 .
Osservazione 1.5.4 La convergenza nella topologia σ(X 0 , X) è la convergenza puntuale
su X: una successione (generalizzata) {Fn } converge a F se e solo se
lim Fn (x) = F (x)
n→∞
∀x ∈ X.
Proposizione 1.5.5 Siano X uno spazio vettoriale e Y un sottospazio vettoriale del duale
algebrico di X che separa i punti di X. Il duale topologico di X, munito della topologia σ(X, Y ), è Y .
Dimostrazione.
Per definizione di topologia debole, gli elementi di Y sono funzionali
lineari continui.
Sia ora F un funzionale lineare continuo su X rispetto alla topologia σ(X, Y ). Allora
esistono F1 , . . . , FN in Y \ {0} e una costante C tali che
|F (x)| ≤ C
N
X
|Fj (x)|
∀x ∈ X.
j=1
In particolare,
TN
j=1
ker(Fj ) ⊆ ker(F ).
Mostriamo che F è combinazione lineare dei funzionali F1 , . . . , FN . Supponiamo che F =
C (nel caso in cui F = R la dimostrazione è, mutatis mutandis, la stessa). Sia π : X → CN ,
definita da
π(x) = F1 (x), . . . , FN (x) .
Notiamo che F (x) = F (x0 ) se π(x) = π(x0 ). Perciò è definito un funzionale Λ : π(X) → C
e su CN . Il funzionale Λ
e è rappresentato
da Λ π(x) = F (x). Estendiamo Λ a un funzionale Λ
da un vettore di CN , diciamo (α1 , . . . , αN ); quindi
e 1 , . . . , uN ) = α1 u1 + . . . + αN uN
Λ(u
∀(u1 , . . . , uN ) ∈ CN .
30
CHAPTER 1. SPAZI LOCALMENTE CONVESSI
In particolare,
F (x) = Λ π(x)
e F1 (x), . . . , FN (x)
=Λ
= α1 F1 (x) + . . . + αN FN (x)
∀x ∈ X,
cioè F è combinazione lineare di F1 , . . . , FN , come richiesto.
2
Proposizione 1.5.6 Sia X uno spazio di Fréchet infinito dimensionale. Allora la topologia
X 0 , σ(X 0 , X) non è metrizzabile.
Dimostrazione.
Per assurdo: supponiamo che σ(X 0 , X) sia metrizzabile. Allora esiste
0
una successione di vettori {xj }∞
j=1 tale che gli intorni Un (ε) della forma Un (ε) = {F ∈ X :
|F (xj )| < ε, j = 1, . . . , n} sono una base in 0X 0 .
Indichiamo con V lo spazio vettoriale generato da {x1 , x2 , x3 . . .}. Per ogni intero positivo N sia XN lo spazio vettoriale generato da {x1 , . . . , xN }. È facile verificare che V =
S∞
n=1 XN .
Dimostriamo che esiste un vettore x in X \ V , cioè tale che non si può scrivere come
combinazione lineare finita dei vettori {xn }∞
n=1 .
Infatti, poiché XN è finito dimensionale, XN è di prima categoria in X. Per il teorema
S
di Baire N XN è di prima categoria in X, e, quindi, è strettamente contenuto in X, poiché
X è uno spazio metrico completo per ipotesi.
Per ogni intero positivo N sia FN un funzionale lineare continuo su X tale che
FN (x) = 1
e
FN (x1 ) = . . . = FN (xN ) = 0
(equivalentemente FN |XN ≡ 0). L’esistenza di un funzionale con queste proprietà è garantita
dal teorema di Hahn–Banach (XN è chiuso perché è finito dimensionale). Notiamo che {FN }
è una successione che converge a 0X 0 nella topologia σ(X 0 , X). Infatti, dato un intorno Un (ε),
FN appartiene a Un (ε) per N abbastanza grande (N ≥ n). Tuttavia FN (x) = 1 → 1 6= 0
e questo mostra che {FN } non converge a 0X 0 nella topologia σ(X 0 , X) (ricordiamo che la
convergenza in σ(X 0 , X) è la convergenza puntuale su X): assurdo.
2
Proposizione 1.5.7 Siano X uno spazio localmente convesso con topologia generata dalla
famiglia F di seminorme. Le affermazioni seguenti sono equivalenti:
(i) E è limitato;
1.5. DUALE DI UNO SPAZIO LOCALMENTE CONVESSO
31
(ii) supx∈E |F (x)| < ∞ per ogni funzionale lineare continuo F su X.
Dimostrazione.
Per la Proposizione 1.2.36 E è limitato se e solo se supx∈E ρ(x) è finito
per ogni ρ in F.
Dimostriamo che (i) implica (ii). Per il Teorema 1.3.1 esistono una costante C e ρ1 , . . . , ρN
in F tali che
|F (x)| ≤ C
N
X
ρj (x)
∀x ∈ X.
j=1
Questa disuguaglianza implica direttamente (ii).
Mostriamo che (ii) implica (i). Sia ρ una seminorma della famiglia F. Riprendiamo la
notazione dell’Esempio 1.2.10: siano π la proiezione canonica di X sullo spazio quoziente
X/Ker(ρ), che denotiamo con Y , e ρ la norma su Y indotta da ρ. Indichiamo con Y il
completamento di Y rispetto alla norma ρ. Sia ` un funzionale lineare continuo sullo spazio
di Banach Y . Evidentemente ` ◦ π è un funzionale lineare continuo su X rispetto alla
topologia τF . Inoltre, per ipotesi,
sup |`(y)| = sup |` ◦ π(x)| < ∞.
x∈E
y∈π(E)
Abbiamo mostrato che per ogni ` in Y
0
vale supy∈π(E) |`(y)| < ∞. Per il teorema di Banach–
Steinhaus π(E) è un insieme limitato nella norma ρ, cioè supy∈π(E) ρ(y) < ∞. D’altra parte
supx∈E ρ(x) = supy∈π(E) ρ(y).
La tesi segue dal fatto che questo ragionamento si può ripetere per ogni ρ in F.
2
Osservazione 1.5.8 Siano τ1 e τ2 due topologie localmente convesse su X. Se (X, τ1 ) e
(X, τ2 ) hanno il medesimo spazio duale, allora gli insiemi limitati rispetto a τ1 e rispetto a τ2
coincidono.
1.5.1
Trasposto (aggiunto) di un operatore
Osservazione 1.5.9 Siano X e Y due spazi localmente convessi con topologie generate,
rispettivamente, dalle famiglie F e G di seminorme. Sia T : X → Y un operatore lineare
continuo. Definiamo un operatore lineare T 0 sul duale Y 0 di Y mediante la formula
hx, T 0 y 0 i = hT x, y 0 i
Mostriamo che T 0 y 0 è in X 0 per ogni y 0 in Y 0 .
∀x ∈ X
∀y 0 ∈ Y 0 .
32
CHAPTER 1. SPAZI LOCALMENTE CONVESSI
Infatti, poiché y 0 è in Y 0 , esiste una famiglia finita G di seminorme in G tale che
|hy, y 0 i| ≤ C
X
∀y ∈ Y.
ρ(y)
ρ∈G
Inoltre, poiché T è continuo da X in Y , per ogni seminorma ρ in G esiste una famiglia finita
Fρ di seminorme in F tale che
|ρ(T x)| ≤ C
X
∀x ∈ X.
σ(x)
σ∈Fρ
Conseguentemente,
|hx, T 0 y 0 i| = |hT x, y 0 i|
X
≤C
ρ(T x)
ρ∈G
≤C
XX
σ(x).
ρ∈G σ∈Fρ
0 0
0
Ne deduciamo che T y è un elemento di X .
Definizione 1.5.10 Siano X e Y due spazi localmente convessi e T : X → Y un operatore
lineare continuo. L’operatore lineare T 0 che ad ogni elemento y 0 di Y 0 associa l’elemento T 0 y 0
di X 0 definito mediante la formula
hx, T 0 y 0 i = hT x, y 0 i
∀x ∈ X
∀y 0 ∈ Y 0 ,
si chiama trasposto (o aggiunto) di T .
Osservazione 1.5.11 Siano X e Y due spazi localmente convessi e T : X → Y un operatore
lineare continuo. Il trasposto T 0 di T è continuo da Y 0 , σ(Y 0 , Y ) a X 0 , σ(X 0 , X) .
Infatti, siano x in X e σx la seminorma su X 0 definita da
σ(x0 ) = |hx, x0 i|
∀x0 ∈ X 0 .
Consideriamo la seminorma ρT x su Y 0 definita da
ρT x (y 0 ) = |hT x, y 0 i|
∀y 0 ∈ Y 0 .
Dalla definizione di trasposto di T abbiamo direttamente che σx (T 0 y 0 ) = ρT x (y 0 ) per ogni y 0
in Y 0 . Questo dimostra la continuità richiesta.
Chapter 2
Distribuzioni temperate
2.1
Richiami sulla convoluzione
Definizione 2.1.1 Siano f e g due funzioni misurabili in Rn . La convoluzione di f e g è
la funzione f ∗ g, definita da
Z
f ∗ g(x) =
f (x − y) g(y) dy
(2.1.1)
Rn
per tutti gli x per cui l’integrale esiste.
Osservazione 2.1.2 La convoluzione è una sovrapposizione di traslate di f :
Z
f ∗ g(x) =
τy f (x) g(y) dy,
Rn
dove abbiamo posto τy f (x) = f (x − y).
Osservazione 2.1.3 Se p è in [1, ∞) e f appartiene a Lp (Rn ), allora (Esercizio 2.1)
lim kτy f − f kp = 0.
y→0
La proprietà è falsa nel caso p = ∞. Risulta invece ovviamente vera nel caso p = ∞ sotto
l’ulteriore ipotesi che f sia uniformemente continua.
Osservazione 2.1.4 Osserviamo che se f è Borel misurabile, allora la funzione (x, y) 7→
f (x − y) è Borel misurabile su Rn × Rn , perché composta di f e della funzione continua
(x, y) 7→ x − y. Se f e g sono Lebesgue misurabili, allora esistono due funzioni f0 e g0 Borel
33
34
CHAPTER 2. DISTRIBUZIONI TEMPERATE
misurabili e quasi ovunque uguali a f e a g, rispettivamente. Il valore della convoluzione non
cambia se a f e a g si sostituiscono f0 e g0 nell’integrale (2.1.1). Possiamo quindi assumere
che, ogniqualvolta si considera f ∗ g, sia f sia g siano Borel misurabili, ciò che garantisce
automaticamente la misurabilità della funzione (x, y) 7→ f (x − y) g(y). Nel seguito useremo
questa osservazione senza ulteriori commenti.
Proposizione 2.1.5 Assumendo che gli integrali in questione esistano, valgono le proprietà
seguenti:
(i) f ∗ g = g ∗ f ;
(ii) (f ∗ g) ∗ h = f ∗ (g ∗ h);
(iii) τz (f ∗ g) = (τz f ) ∗ g = f ∗ (τz g) per ogni z in Rn ;
(iv) sia A la chiusura di {x + y : x ∈ supp (f ), y ∈ supp (g)}. Allora supp (f ∗ g) ⊆ A.
Dimostrazione.
2
Esercizio.
Le proprietà fondamentali della convoluzione sono contenute nella proposizione seguente.
Proposizione 2.1.6 Valgono le affermazioni seguenti:
(i) se f è in L1 (Rn ) e g è in Lp (Rn ) per qualche p in [1, ∞], allora f ∗ g è in Lp (Rn ) e
kf ∗ gkLp (Rn ) ≤ kf kL1 (Rn ) kgkLp (Rn ) ;
0
(ii) se p è in [1, ∞], f è in Lp (Rn ) e g è in Lp (Rn ), dove p0 indica l’indice coniugato di p,
allora f ∗ g è una funzione limitata e uniformemente continua e
kf ∗ gk∞ ≤ kf kLp (Rn ) kgkLp0 (Rn ) .
Inoltre, se p è in (1, ∞), allora f ∗ g è in C0 (Rn );
(iii) se f è in L1 (Rn ) e, per qualche k, g è in C k (Rn ) con derivate limitate, allora f ∗ g è
in C k (Rn ) e
Dα (f ∗ g) = f ∗ (Dα g)
per ogni α tale che |α| ≤ k.
2.1. RICHIAMI SULLA CONVOLUZIONE
Dimostrazione.
35
La dimostrazione di (i) è conseguenza diretta della disuguaglianza di
Minkowski generalizzata.
Dimostriamo (ii). La disuguaglianza tra le norme segue dalla disuguaglianza di Hölder.
Mostriamo che f ∗ g è uniformemente continua. Sia x in Rn . Se p è in [1, ∞) scriviamo
τx (f ∗ g) − f ∗ g = (τx f − f ) ∗ g,
da cui
sup |τx (f ∗ g)(y) − f ∗ g(y)| ≤ kτx f − f kp kgkp0
y∈Rn
→0
(Esercizio 2.1)
al tendere di x a 0.
Se p è uguale a ∞, scriviamo
τx (f ∗ g) − f ∗ g = f ∗ (τx g − g),
e ripetiamo il ragionamento precedente.
Infine, se f e g appartengono a Cc (Rn ), allora ovviamente f ∗ g appartiene a Cc (Rn ), e,
0
a fortiori, a C0 (Rn ). Se f è in Lp (Rn ) e g è in Lp (Rn ), allora esistono due successioni {fn }
0
in Lp (Rn ) e {gn } in Lp (Rn ) tali che kf − fn kp → 0 e kg − gn kp0 → 0 al tendere di n a ∞.
Quindi
kf ∗ g − fn ∗ gn k∞ ≤ k(f − fn ) ∗ gn k∞ + kfn ∗ (g − gn )k∞
≤ kf − fn kp kgn kp0 + kfn kp kg − gn kp0
→0
al tendere di n a ∞. Poiché C0 (Rn ) è completo (rispetto alla norma uniforme) e f ∗ g è
limite nella norma uniforme di elementi di C0 (Rn ), possiamo concludere che anche f ∗ g è in
C0 (Rn ), come richiesto.
Dimostriamo (iii). Le ipotesi consentono di derivare sotto il segno di integrale. Perciò,
se |α| ≤ k, allora
α
α
Z
D (f ∗ g)(x) = D
f (y) g(x − y) dy
n
R
Z
=
f (y) (Dα g)(x − y) dy
Rn
= f ∗ (Dα g)(x),
come richiesto. Quindi f ∗ g ha tutte le derivate fino all’ordine k. Il fatto che se |α| = k
allora Dα (f ∗ g) è continua segue da (ii) (con p = 1 e p0 = ∞), utilizzando l’ipotesi che le
derivate di g sono limitate.
2
36
CHAPTER 2. DISTRIBUZIONI TEMPERATE
Definizione 2.1.7 Dati φ in L1 (Rn ) e t in R+ definiamo la dilatata e normalizzata di
φ in L1 (Rn ) mediante la formula
φt (x) = t−n φ(x/t)
∀x ∈ Rn .
La ragione della nomenclatura consiste nel fatto che kφt kL1 (Rn ) = kφkL1 (Rn ) per ogni t.
Proposizione 2.1.8 Sia φ in L1 (Rn ) tale che
R
Rn
φ = 1. Valgono le affermazioni seguenti:
(i) se p è in [1, ∞) e f è in Lp (Rn ), allora
lim kf ∗ φt − f kLp (Rn ) = 0;
t→0+
(ii) se f è limitata e uniformemente continua, allora
lim kf ∗ φt − f k∞ = 0;
t→0+
(iii) se f è in L∞ (Rn ) e continua sull’aperto A, allora f ∗ φt converge uniformemente a f
in ogni compatto contenuto in A;
(iv) siano φ e ψ in Cc∞ (Rn ) e U un intorno di supp (ψ). Allora supp (φt ∗ ψ) è contenuto
in U per t sufficientemente piccolo. Inoltre
lim+ kDα (φt ∗ ψ) − Dα ψk∞ = 0
t→0
per ogni multiindice α.
Dimostrazione.
Sia δ in R+ . Osserviamo preliminarmente che
Z
Z
|φt (y)| dy =
|φt (y)| dy
B(0,δ)c
B(0,δ)c
Z
=
|φ(y)| dy
B(0,δ/t)c
(poiché φ è in L1 (Rn ))
→0
R
al tendere di t a 0+ . Poiché Rn φ(y) dy = 1, possiamo scrivere
Z
f ∗ φt (x) − f (x) =
(τy f − f )(x) φt (y) dy
n
R
Z
Z
=
(τy f − f )(x) φt (y) dy +
(τy f − f )(x) φt (y) dy.
B(0,δ)
B(0,δ)c
2.2. LO SPAZIO DI SCHWARTZ
37
Dimostriamo (i). Dalla formula precedente ricaviamo che
Z
kf ∗ φt − f kp ≤ sup kτy f − f kp + 2 kf kp
|φt (y)| dy.
B(0,δ)c
y∈B(0,δ)
Sia ε in R+ . In virtù dell’Osservazione 2.1.3, esiste δ in R+ tale che kτy f − f kp < ε/2 per
ogni y tale che |y| < δ. Scelto δ, possiamo scegliere t sufficientemente piccolo in modo che
R
|φt (y)| dy < ε/(4kf kp ). Quindi
B(0,δ)c
kf ∗ φt − f kp < ε
per t sufficientemente piccolo, come richiesto.
La dimostrazione di (ii) è molto simile a quella di (i). L’ipotesi f uniformemente continua
serve a garantire che kτy f − f k∞ sia piccolo per y piccolo.
La dimostrazione di (iii) è come quella di (ii), con l’accortezza che ci si deve restringere
a ogni compatto K contenuto in A.
Dimostriamo (iv). L’affermazione riguardante il supporto segue dalla Proposizione 2.1.5.
L’affermazione sulla convergenza segue da (ii), tenuto conto del fatto che Dα (φt ∗ ψ) =
2
φt ∗ Dα ψ.
Esercizi
1.
Dimostrare la Proposizione 2.1.5.
Se p è in [1, ∞) e f appartiene a Lp (Rn ), allora limy→0 kτy f − f kp = 0 (Traccia:
2.
supporre dapprima f in Cc (Rn )).
3.
Indichiamo con 1 la funzione indicatrice dell’intervallo [0, 1]. Calcolare 1 ∗ 1 e 1 ∗ 1 ∗ 1.
2.2
2.2.1
Lo spazio di Schwartz
Definizione e prime proprietà
Definizione 2.2.1 Per ogni coppia di multiindici α e β denotiamo con ρα,β la seminorma
su C ∞ (Rn ), definita da
ρα,β (f ) = sup xα Dβ f (x) ;
x∈Rn
38
CHAPTER 2. DISTRIBUZIONI TEMPERATE
utilizziamo notazioni standard per i multiindici: se x = (x1 , . . . , xn ) e α e β sono multiindici,
allora |β| = β1 + . . . + βn ,
xα = xα1 1 · · · xαnn
Dβ f =
e
∂ |β| f
∂xβ1 1
· · · ∂xβnn
.
Lo spazio di Schwartz S è lo spazio vettoriale di tutte le funzioni C ∞ (Rn ) tali che ρα,β (f ) <
∞ per ogni coppia di multiindici α e β. Dotiamo S della topologia seminormata indotta
dalla famiglia di seminorme ρα,β , al variare di tutti i possibili multiindici α e β.
Osservazione 2.2.2 Evidentemente Cc∞ (Rn ) è incluso in S. L’inclusione è propria. Infatti
2
la funzione x 7→ e−|x| è in S \ Cc∞ (Rn ).
Osservazione 2.2.3 Le seminorme ρα,β controllano il decadimento e l’oscillazione delle
funzioni. In particolare, se f ∈ S, allora f decade all’infinito più rapidamente di ogni
polinomio. Infatti, il fatto che ρα,0 (f ) < ∞ per ogni α implica che per ogni intero non
negativo N esiste una costante CN tale che
|f (x)| ≤ CN (1 + |x|)−N
∀x ∈ Rn .
Analoga considerazione si applica a Dβ f per ogni multiindice β.
2
2
Notiamo infine che la funzione v(x) = e−x cos ex su R decade rapidamente all’infinito,
ma non appartiene a S, perché f 0 non è limitata.
È sovente conveniente utilizzare la famiglia diretta di seminorme {ρ0p,q }p,q∈N , definite da
ρ0p,q (f ) =
X
ρα,β (f ).
(2.2.1)
|α|≤p,|β|≤q
Proposizione 2.2.4 Lo spazio S è uno spazio di Fréchet rispetto alla topologia naturale
indotta dalle seminorme {ρα,β }.
Dimostrazione.
La famiglia di seminorme {ρα,β } è numerabile e quindi S è metrizzabile
per il Teorema 1.4.3. Rimane da mostrare che S è completo.
Sia {fN } una successione di Cauchy nella metrica d indotta dalla famiglia di seminorme
{ρα,β }, cioè
d(f, g) =
X
α,β≥0
ρα,β (f − g)
2−|α|−|β| .
1 + ρα,β (f − g)
2.2. LO SPAZIO DI SCHWARTZ
39
(Per la convergenza della serie può essere utile osservare che la cardinalità dell’insieme dei
multiindici γ tali che |γ| = j cresce polinomialmente con j.) Allora {fN } è di Cauchy
in ciascuna delle seminorme ρα,β . Quindi x 7→ xα Dβ fN (x) è una successione di Cauchy in
C0 (Rn ) rispetto alla norma k·k∞ . Poiché C0 (Rn ) è completo, esistono funzioni gα,β in C0 (Rn )
tali che
sup xα Dβ fN (x) − gα,β (x) → 0
x∈Rn
per N tendente a ∞. Il fatto che g0,0 appartenga a C ∞ (Rn ) e che gα,β (x) = xα Dβ g0,0 (x) è
conseguenza di noti teoremi di derivazione per successioni. Quindi g0,0 è in S e ρα,β (fN −
g0,0 ) → 0 per N tendente a ∞. Ne consegue che fN → g0,0 nella topologia di S.
2
Osservazione 2.2.5 Lo spazio S, {ρα,β } non è normabile.
Dimostrazione.
Osserviamo preliminarmente quanto segue. Per ogni coppia di multiindici
α e β sia
Uα,β (ε) = {f ∈ S : ρα,β (f ) < ε}.
Notiamo che, al variare di α, β tra i multiindici e di ε in R+ , gli intorni Uα,β (ε) formano
una sottobase in 0 per la topologia di S. Sia f in Uα,β (ε) e consideriamone le dilatate f λ ,
definite da
f λ (x) = f (λx)
∀x ∈ Rn .
Osserviamo che
ρα,β (f λ ) = sup xα Dβ (f λ )(x)
x∈Rn
= λ|β| sup xα Dβ (f )(λx)
x∈Rn
= λ|β|−|α| sup (λx)α Dβ (f )(λx)
x∈Rn
= λ|β|−|α| ρα,β (f )
∀λ > 0.
Quindi f λ appartiene a Uα,β (ε) per ogni λ in (0, 1) se |β| ≥ |α| e f λ appartiene a Uα,β (ε) per
ogni λ in (1, ∞) se |β| ≤ |α|.
Veniamo ora alla dimostrazione della proprietà richiesta. Procediamo per assurdo. Se S
fosse normabile, la funzione nulla dovrebbe avere un intorno limitato e convesso, per il
Teorema 1.4.2. Mostriamo che gli intorni della sottobase in 0 costituita dagli Uα,β (ε) sono
tutti illimitati.
40
CHAPTER 2. DISTRIBUZIONI TEMPERATE
Supponiamo, ad esempio, di essere nel caso in cui |β| ≥ |α| (il caso in cui |β| < |α|
si tratta in modo analogo). Se Uα,β (ε) fosse limitato, per ogni intorno Up0 ,q0 (ε0 ) dovrebbe
esistere t > 0 tale che
Uα,β (ε) ⊆ t · Up0 ,q0 (ε0 ).
Scegliamo p0 e q 0 tali che |q 0 | < |p0 | e λ in (0, 1). Allora le funzioni {f λ : λ ∈ (0, 1)} dovrebbero
appartenere a t · Up0 ,q0 (ε0 ) (poiché appartengono a Uα,β (ε), come abbiamo visto). Ma ciò non
può accadere, perché se ρp0 ,q0 (f ) 6= 0, allora
0
0
ρp0 ,q0 (f λ ) = λ|q |−|p | ρp0 ,q0 (f )
→∞
2
al tendere di λ a 0+ .
Osservazione 2.2.6 Lo spazio S è incluso con continuità in L1 (Rn ).
Infatti, se f è in S, allora
|f (x)| = |f (x)| (1 + |x|)n+1
≤ ρ0n+1,0 (f )
(per (2.2.1))
1
(1 + |x|)n+1
1
,
(1 + |x|)n+1
cosicché, integrando,
kf k1 ≤
ρ0n+1,0 (f )
Z
Rn
1
dx
(1 + |x|)n+1
= C ρ0n+1,0 (f ).
In modo analogo si prova che S è incluso con continuità in Lp (Rn ) per ogni p in (1, ∞).
Osservazione 2.2.7 Lo spazio S è chiuso rispetto alle seguenti operazioni:
(i) prodotto puntuale di funzioni;
(ii) moltiplicazione per polinomi e per esponenziali della forma x 7→ e−ixξ , dove ξ è in Rn ;
(iii) derivazione;
(iv) traslazione.
Inoltre, le operazioni (i)-(iv) sono continue in S.
Proposizione 2.2.8 Siano φ e ψ in S. Valgono le affermazioni seguenti:
2.2. LO SPAZIO DI SCHWARTZ
41
(i) φ ∗ ψ appartiene a S. Inoltre, l’applicazione (φ, ψ) 7→ φ ∗ ψ è continua da S × S in S;
(ii) se
R
Rn
φ dλ = 1, allora φt ∗ ψ converge a ψ in S al tendere di t a 0+ ;
(iii) se φ(0) = 1, allora φt ψ converge a ψ in S, dove abbiamo posto φt (x) = φ(tx) per ogni
x in Rn e ogni t in R+ . In particolare, scegliendo φ a supporto compatto, si ottiene che
Cc∞ (Rn ) è denso in S(Rn ) (rispetto alla topologia di S).
Dimostrazione.
Dimostriamo (i). Dalla Proposizione 2.1.6 (iii) ricaviamo che φ ∗ ψ è in
C ∞ (Rn ). Poiché
1 + |x| ≤ 1 + |x − y| + |y| ≤ (1 + |x − y|) (1 + |y|),
abbiamo per ogni intero non negativo N e per ogni multiindice α
Z
N
α
(1 + |x − y|)N |Dα φ(x − y)| (1 + |y|)N |ψ(y)| dy
(1 + |x|) |D (φ ∗ ψ)(x)| ≤
n
R
Z
0
0
≤ ρN,|α| (φ) ρN +n+1,0 (ψ)
(1 + |y|)−n−1 dy
Rn
≤C
ρ0N,|α| (φ) ρ0N +n+1,0 (ψ).
Perciò
ρ0N,|α| (φ ∗ ψ) ≤ C ρ0N,|α| (φ) ρ0N +n+1,0 (ψ),
dimostrando anche la continuità da S × S in S della mappa (φ, ψ) 7→ φ ∗ ψ.
Ora dimostriamo (ii). Osserviamo che Dβ (φt ∗ ψ) = φt ∗ Dβ ψ e quindi
ρα,β (φt ∗ ψ − ψ) = ρα,0 (φt ∗ Dβ ψ − Dβ ψ).
Poiché Dβ è un operatore continuo di S in sè, è sufficiente mostrare che per ogni multiindice α
la quantità ρα,0 (φt ∗ ϕ − ϕ) tende a zero al tendere di t a 0+ . Osserviamo che
ρα,0 (φt ∗ ϕ − ϕ) = sup xα [(φt ∗ ϕ)(x) − ϕ(x)]
x∈Rn
Z
≤
ρα,0 (τy ϕ − ϕ) |φt (y)| dy
n
R
Z
Z
≤
ρα,0 (τy ϕ − ϕ) |φt (y)| dy +
B(0,δ)
B(0,δ)c
ρα,0 (τy ϕ − ϕ) |φt (y)| dy.
42
CHAPTER 2. DISTRIBUZIONI TEMPERATE
Notiamo che esistono costanti cβ,γ tali che xα =
x
α
Z
P
β+γ=α cβ,γ
(x − y)β y γ . Notiamo anche che
1
xα ∇ϕ(x − ty) · y dt
0
Z 1
X
=−
cβ,γ
(x − ty)β (ty)γ ∇ϕ(x − ty) · y dt
τy ϕ(x) − ϕ(x) = −
0
β+γ=α
Perciò
X
ρα,0 (τy ϕ − ϕ) ≤ C
|γ|+1
1
|y|
sup |x − ty||β| |∇ϕ(x − ty)| t|γ| dt
0 x∈Rn
β+γ=α
X
≤C
Z
|y|k+1 ρ0j,1 (ϕ).
j+k=|α|
Inserendo questa stima negli integrali su B(0, δ) e su B(0, δ)c , e procedendo come in (i), si
ottiene il risultato desiderato.
Infine dimostriamo (iii). Siano α e β due multiindici. Per la formula di Leibnitz
α
β
t
x D φ ψ − ψ)(x) = x
α
h X
|γ|
cγ,δ t
i
(D φ) (x) D ψ(x) − D ψ(x) .
γ
t
δ
β
γ+δ=β
Osserviamo che per ogni multiindice γ
k(Dγ φ)t k∞ = kDγ φk∞ .
Ne deduciamo la stima
ρα,β φt ψ − ψ) ≤ C
X
t|γ| kDγ φk∞ ρα,δ (ψ) + sup xα Dβ ψ(x) φt (x) − 1 x∈Rn
γ+δ=β,δ6=β
≤C
t ρ00,|β| (φ) ρ0|α|,|β| (ψ)
+
ρ0|α|+N,|β| (ψ)
φt (x) − 1 sup .
N
x∈Rn (1 + |x|)
Ora, il primo addendo della somma qui sopra tende a 0 al tendere di t a 0. È facile mostrare
che anche il secondo tende a 0 al tendere di t a 0. Questo conclude la dimostrazione di (iii)
e del teorema.
Esercizi
4.
Mostrare che le operazioni nell’Osservazione 2.2.7 sono continue in S.
2
2.2. LO SPAZIO DI SCHWARTZ
5.
43
Dare un esempio di una funzione f su R tale che kf k∞ ≤ 10−6 , kDf k∞ ≤ 10−6 , ma
kD2 f k∞ ≥ 106 .
6.
Sia φ una in Cc∞ (Rn ) tale che φ(0) = 1. Mostrare che per ogni N in R+
φt (x) − 1 lim sup = 0.
t→0 x∈Rn (1 + |x|)N
Questo fatto è utilizzato nella dimostrazione della Proposizione 2.2.8 (iii).
2.2.2
La trasformata di Fourier in S
Definizione 2.2.9 Sia f in S. La trasformata di Fourier di f è la funzione Ff : Rn → C,
definita da
Z
f (x) e−2πixξ dx
(Ff )(ξ) =
∀ξ ∈ Rn .
Rn
Sia g in S. La trasformata di Fourier inversa di g è la funzione F −1 g : Rn → C, definita
da
(F
−1
Z
g(ξ) e2πixξ dξ
g)(x) =
∀x ∈ Rn .
Rn
Le funzioni Ff e F −1 g verranno anche denotate con i simboli fb e ǧ.
Proposizione 2.2.10 (Proprietà elementari della trasformata di Fourier) Siano f
e g in S. Valgono le proprietà seguenti:
(i) F(τy f ) = e−2πiy Ff , dove abbiamo posto
τy f (x) = f (x − y)
e
e2πiα (x) = e2πiα·x
∀α, y ∈ Rn ;
(ii) F(e2πiy f ) = τy Ff ;
(iii) F(Dα f ) = pα Ff , dove pα (ξ) = (2πiξ)α ;
(iv) F(pα f ) = (−1)|α| Dα (Ff );
(v) F(f ∗ g) = (Ff ) (Fg).
(v) F(ft ) = (Ff )t e F(f t ) = (Ff )t dove ft (x) = t−n f (x/t) e f t (x) = f (tx).
44
CHAPTER 2. DISTRIBUZIONI TEMPERATE
Dimostrazione.
Dimostriamo, ad esempio, (iii). Abbiamo
Z
α
Dα f (x) e−2πixξ dx
Z
|α|
= (−1)
f (x) Dxα e−2πixξ dx
F(D f )(ξ) =
Rn
(per parti)
Rn
= (−1)|α| (−2πiξ)α Ff (ξ)
= (2πiξ)α Ff (ξ)
∀ξ ∈ Rn .
2
Osservazione 2.2.11 Sia ψ la funzione definita da
ψ(x) = e−π |x|
2
∀x ∈ Rn .
Mostriamo che ψb = ψ.
Poiché la trasformata di Fourier n dimensionale di ψ è il prodotto di n trasformate di
Fourier unidimensionali di gaussiane unidimensionali, è sufficiente mostrare il risultato per
n = 1. Osserviamo che, in tale caso, ψ è soluzione dell’equazione differenziale
Dx + 2πx u = 0.
(2.2.2)
Applicando la trasformata di Fourier a entrambi i membri (con ψ al posto di u), si ottiene
2πiξ + i Dξ ψb = 0,
cioè, ψb è ancora soluzione di (2.2.2). Perciò deve essere ψb = c ψ per qualche costante c.
Basta quindi calcolare
b
ψ(0)
c=
=
ψ(0)
Z
∞
2
e−πx dx = 1.
−∞
Proposizione 2.2.12 La trasformata di Fourier F è un isomorfismo suriettivo di S in sè,
con inverso la trasformata di Fourier inversa F −1 .
Dimostrazione.
Mostriamo che F S ⊆ S con continuità. Siano f in S e α e β due
2.2. LO SPAZIO DI SCHWARTZ
45
multiindici. Allora
ρα,β (Ff ) = sup ξ α Dβ (Ff )(ξ)
ξ∈Rn
(proprietà (iv))
= sup ξ α F(pβ f )(ξ)
ξ∈Rn
(proprietà (iii))
= sup
ξ∈Rn
≤
(Oss. 2.2.6)
1 α
F
D
(p
f
)
(ξ)
β
(2π)|α|
1
kDα (pβ f )k1
|α|
(2π)
≤ C ρ0n+1,0 Dα (pβ f )
≤ C ρ0n+1+|β|,|α| (f ),
mostrando cosı̀ che F è in S e che F è una mappa continua.
Mostriamo che F −1 F = I su S. Sia f in S. Dobbiamo calcolare l’integrale iterato
Z
Z
2πiξv
f (x) e−2πixξ dx.
(2.2.3)
dξ e
Rn
Rn
Notiamo che l’integrale doppio corrispondente non converge assolutamente e quindi nulla
2
assicura che l’ordine di integrazione possa essere invertito. Sia ψ(x) = e−π |x| . Ricordiamo
R
b dy = 1 (vd. Osservazione 2.2.11). Per il teorema di convergenza
che ψ è in S e n ψ(y)
R
dominata
Z
e
Rn
2πiξv
Z
e2πiξv fb(ξ) ψ(εξ) dξ
Z Z
= lim+
e2πiξ(v−x) f (x) ψ(εξ) dx dξ
ε→0
Rn R n
Z
v − x
b
= lim+
f (x) ψ
ε−n dx
ε
ε→0
n
ZR
b dy
= lim+
f (v − εy) ψ(y)
ε→0
n
ZR
b dy
= f (v)
ψ(y)
fb(ξ) dξ = lim+
(integrando in ξ e cambiando var.)
(posto (v − x)/ε = y)
(conv. dominata)
ε→0
Rn
Rn
=1
∀v ∈ Rn .
In modo analogo si mostra che F F −1 = I su S. Quindi F è bigettiva, con inversa F −1 , e,
essendo continua, è un omeomorfismo di S in sè.
2
Proposizione 2.2.13 (Parseval e Plancherel) Siano f e g in S. Valgono le affermazioni
seguenti:
46
CHAPTER 2. DISTRIBUZIONI TEMPERATE
(i)
R
Rn
fbg dλ =
R
Rn
f gb dλ;
(ii) kfbk2 = kf k2 .
Dimostrazione.
Dimostriamo (i). Abbiamo
Z
Z Z
b
f g dλ =
f (x) e−2πixξ g(ξ) dx dξ
n
n
n
R
ZR R
f gb dλ;
=
Rn
notiamo che, essendo f e g a descrescenza rapida, l’inversione dell’ordine di integrazione è
legittima in virtù del teorema di Fubini.
Mostriamo (ii). Abbiamo
Z
2
Ff (ξ) Ff (ξ) dξ
kFf k2 =
Rn
Z
(immediata dalla def. di TF)
(per (i), con F −1 (f ) al posto di g)
Ff (ξ) F −1 (f )(ξ) dξ
=
ZR
n
=
f (ξ) f (ξ) dξ
Rn
= kf k2 2 ,
2
come richiesto.
Corollario 2.2.14 La trasformata di Fourier, inizialmente definita su S, si estende a un’isometria suriettiva di L2 (Rn ) in sè.
Dimostrazione.
La tesi segue direttamente da (ii) della proposizione precedente e dal fatto
che lo spazio di Schwartz è denso in L2 (Rn ).
2
Corollario 2.2.15 La trasformata di Fourier, inizialmente definita su S, si estende a una
mappa contrattiva da L1 (Rn ) in C0 (Rn ).
Dimostrazione.
Sia f in S. Dalla definizione di trasformata di Fourier ricaviamo diretta-
mente che
kfbk∞ ≤ kf k1 .
La tesi segue dal fatto che lo spazio di Schwartz è denso in L1 (Rn ) e in C0 (Rn ).
2
2.3. DISTRIBUZIONI TEMPERATE
47
Esercizi
7.
Completare la dimostrazione della Proposizione 2.2.10.
8.
Calcolare la trasformata di Fourier della funzione indicatrice dell’intervallo (a, b) di R.
9.
Sia p(x) = 1/(1 + x2 ), dove x è in R. Calcolare, utilizzando il teorema dei residui, pb.
10.
2
Sia ψ(x) = e−π x , dove x è in R. Utilizzando le proprietà della trasformata di Fourier
(Corollario 2.2.14) e il fatto che per ogni f in L1 (R) la funzione ψt ∗ f appartiene a L2 (Rn )
e converge in norma L1 (R) a f (Proposizione 2.1.8), mostrare che F : L1 (R) → C0 (Rn ) è
iniettiva.
11.
Sia A una trasformazione lineare non singolare di Rn . Data f in S, calcolare la
trasformata di Fourier di f ◦ A in funzione della trasformata di Fourier di f .
2.3
2.3.1
Distribuzioni temperate
Definizione e primi esempi di distribuzioni temperate
Definizione 2.3.1 Gli elementi del duale topologico S 0 dello spazio di Schwartz S si chiamano distribuzioni temperate. Un funzionale lineare T su S è una distribuzione temperata se esistono una costante C e due interi non negativi p e q tali che
|T f | ≤ C ρ0p,q (f )
∀f ∈ S.
Salvo avviso contrario S 0 sarà munito della topologia debole σ S 0 , S , cioè della topologia
meno fine rispetto alla quale tutti i funzionali Fϕ su S 0 della forma
Fϕ (T ) = hϕ, T i
∀T ∈ S 0 ,
dove ϕ è una funzione di Schwartz, sono continui.
La topologia σ S 0 , S è generata dalla famiglia di seminorme {ρϕ }ϕ∈S , dove
ρϕ (T ) = |hϕ, T i| .
Un sistema fondamentale di intorni di 0S 0 in tale topologia è costituito dagli intorni della
forma
U (G; η) = {T ∈ S 0 : |ρϕ (T )| < η
∀ϕ ∈ G},
48
CHAPTER 2. DISTRIBUZIONI TEMPERATE
dove G è un sottoinsieme finito di elementi di S.
Osserviamo che S ha dimensione infinita; in virtù della Proposizione 1.5.6 la topologia
σ S 0 , S non è metrizzabile.
Esempio 2.3.2 Lo spazio di Schwartz S è incluso con continuità in S 0 .
Alla funzione di Schwartz f facciamo corrispondere il funzionale Tf su S, definito da
Z
hϕ, Tf i =
ϕ f dλ
∀ϕ ∈ S.
Rn
Mostriamo che Tf è una distribuzione temperata. Consideriamo il caso n = 1: gli altri casi
si trattano in modo simile. Allora
hϕ, Tf i ≤ kϕk∞ kf k1
(molt. e dividendo per 1 + x2 )
≤ π kϕk∞ kf k∞ + kx2 f k∞
= π ρ0,0 (ϕ) ρ2,0 (f )
(2.3.1)
∀ϕ ∈ S.
Indichiamo con J : S → S 0 la mappa che alla funzione di Schwartz f fa corrispondere la
distribuzione temperata Tf definita sopra.
R
Mostriamo che J è iniettiva. Infatti, se J f = 0, allora Rn ϕ f dλ = 0 per ogni ϕ in
R
S(Rn ). In particolare, sia ϕ in S(Rn ) tale che Rn ϕ dλ = 1. Abbiamo f ∗ ϕε = 0 per ogni
ε > 0. Per la Proposizione 2.1.8 (i) f ∗ ϕε converge a f in L1 (Rn ), e quindi f = 0.
Mostriamo che J è continua. Poiché J è lineare, è sufficiente mostrare che J è continua
in 0, cioè che per ogni funzione di Schwartz ϕ esistono p, q in N e una costante C tali che
ρϕ (Tf ) ≤ C ρ0p,q (f ).
Ma questo è già stato provato in (2.3.1).
Esempio 2.3.3 Un argomento simile a quello utilizzato nell’esempio precedente mostra che
Lp (Rn ) è incluso con continuità in S 0 .
Esempio 2.3.4 Non tutte le funzioni localmente integrabili su Rn sono distribuzioni temperate. Ad esempio, la funzione x 7→ ex su R non è una distribuzione temperata.
Esempio 2.3.5 (La delta di Dirac) Sia δ0 il funzionale su S, definito da
hϕ, δ0 i = ϕ(0)
∀ϕ ∈ S.
2.3. DISTRIBUZIONI TEMPERATE
49
Evidentemente
|hϕ, δ0 i| ≤ kϕk∞
= ρ00,0 (ϕ)
∀ϕ ∈ S;
quindi δ0 è una distribuzione temperata.
Esempio 2.3.6 (Misure a crescita polinomiale). Diciamo che una misura di Borel µ
su Rn è a crescita polinomiale se esistono costanti N e C tale che
µ B(0, R) ≤ C (1 + RN )
Il funzionale su S definito da ϕ 7→
R
Rn
∀R ∈ R+ .
ϕ dµ è una distribuzione temperata, che indichiamo
ancora con µ.
Osserviamo dapprima che la funzione x 7→ (1 + |x|)−N −1 è in L1 (µ). Infatti,
Z
∞ Z
X
−N −1
(1 + |x|)−N −1 dµ(x)
(1 + |x|)
dµ(x) =
Rn
≤
j=0
∞
X
2j ≤|x|<2j+1
2−(N +1)j µ B(0, 2j+1 )
j=0
< ∞.
Quindi
Z
Rn
Z
N
+1
(1 + |x|)−N −1 dµ(x)
ϕ dµ ≤ sup ϕ(x) (1 + |x|)
x∈Rn
≤C
Rn
ρ0N +1,0 (ϕ)
∀ϕ ∈ S,
come richiesto.
Esempio 2.3.7 (Il valor principale di Cauchy) Sia T il funzionale su S definito da
Z
ϕ(x)
hϕ, T i = lim+
dx
∀ϕ ∈ S,
ε→0
Iεc
x
dove Iε = [−ε, ε]. Mostriamo che T è una distribuzione temperata.
Osserviamo che se 0 < ε < 1 si può scrivere
Z
Z
ϕ(x)
ϕ(x)
hϕ, T i = lim+
dx +
dx
ε→0
e che
I1 \Iε
x
I1c
Z
Z
ϕ(x) dx ≤ kx ϕk∞
I1c
x
I1c
x
1
dx.
x2
50
CHAPTER 2. DISTRIBUZIONI TEMPERATE
Inoltre,
Z
lim+
ε→0
ϕ(x) dx = lim+
x
ε→0
I1 \Iε
Z
ϕ(x) − ϕ(−x) dx
x
1
1
x
ε
Z
= lim+
ε→0
1
ε
Z
0
≤ 2 kϕ k∞
x
−x
ϕ (s) ds dx
0
∀ϕ ∈ S.
In definitiva
|hϕ, T i| ≤ C (kϕ0 k∞ + kx ϕk∞ )
≤ C ρ01,1 (ϕ)
∀ϕ ∈ S.
La distribuzione valor principale è una particolare regolarizzazione dell’integrale divergente
R
(ϕ(x)/x) dx (vd. Definizione 3.2.21).
R
Esercizi
12.
13.
Mostrare che δ0 non è una funzione localmente integrabile.
P
Mostrare che il funzionale su S(R) dato da hϕ, T i = ∞
j=1 ϕ(j) definisce una distri-
buzione temperata.
2.3.2
Convoluzione tra S e S 0
Vogliamo estendere alle distribuzioni temperate le operazioni sulle funzioni di Schwartz che
abbiamo studiato nei paragrafi precedenti. Ci sarà utile l’esempio seguente.
R
Esempio 2.3.8 Sia ψ una funzione in L1 (Rn ) tale che Rn ψ(x) dx = 1. Per ogni ε in R+ ,
poniamo
ψε (x) = ε−n ψ(x/ε)
∀x ∈ Rn .
Mostriamo che ψε converge a δ0 nella topologia σ(S 0 , S). È sufficiente mostrare che per ogni
ϕ in S
lim hϕ, ψε i = ϕ(0).
ε→0+
Ora,
Z
hϕ, ψε i =
ϕ(x) ψε (x) dx
ZR
n
=
ϕ(x) ψeε (−x) dx
Rn
= ϕ ∗ ψeε (0).
2.3. DISTRIBUZIONI TEMPERATE
51
Per la Proposizione 2.1.8 (ii) ϕ ∗ ψeε converge uniformemente a ϕ. In particolare ϕ ∗ ψeε (0) →
ϕ(0), come richiesto.
Definiamo la convoluzione di una distribuzione temperata e di una funzione di Schwartz.
Definizione 2.3.9 La convoluzione tra la distribuzione temperata T e la funzione di
Schwartz ψ è definita da
D
E
eT
hϕ, T ∗ ψi = ϕ ∗ ψ,
∀ϕ ∈ S,
e
dove ψ(x)
= ψ(−x).
Osservazione 2.3.10 Notiamo che se T è una funzione integrabile, allora T ∗ ψ coincide
con l’usuale definizione di convoluzione di funzioni. Questa è la motivazione della definizione
precedente. Notiamo che, indicato con Tψe : S → S l’operatore definito da
e
Tψeϕ = ϕ ∗ ψ,
l’operatore che alla distribuzione temperata T associa T ∗ ψ altro non è che Tψe0 T (cioè il
trasposto di Tψe valutato su T ).
Nelle applicazioni è utile una diversa formula per la convoluzione di una distribuzione
temperata e di una funzione di Schwartz. Osserviamo che se anche T è in S, allora
D
E
eT
T ∗ ψ(x) = τx ψ,
∀x ∈ Rn .
Proposizione 2.3.11 Sia T una distribuzione temperata. Valgono le affermazioni seguenti:
D
E
e T è in O(Rn );
(i) la funzione x 7→ τx ψ,
D
E
e T coincide con T ∗ ψ.
(ii) la funzione x 7→ τx ψ,
Dimostrazione.
D
E
e
Poniamo g(x) = τx ψ, T per ogni x in Rn . Mostriamo che g è in C ∞ (Rn ).
Sia e1 , . . . , en la base canonica di Rn . È facile verificare che
τx+tej ψe − τx ψe
→ τx ∂j ψe
t
52
CHAPTER 2. DISTRIBUZIONI TEMPERATE
in S al tendere di t a 0. Infatti
Z 1
e − τx ψ(y)
e
τx+tej ψ(y)
e
e + x + stej ) − ∂j ψ(y
e + x) ds
− τx ∂j ψ(y)
=
∂j ψ(y
t
Z0 1 Z 1
e + x + stuej ) ds du.
s t ∂j2 ψ(y
=
0
0
Quindi
ρα,β
Z 1Z 1
τx+tej ψe − τx ψe
e + x + stuej ) ds du
e
− τx ∂j ψ ≤
s |t| sup y α Dyβ ∂j2 ψ(y
t
y∈Rn
0
0
≤ |t| ρ0|α|,|β|+2 (ψ),
che tende a 0 al tendere di t a 0.
Conseguentemente,
*
lim
t→0
τx+tej ψe − τx ψe
,T
t
+
D
E
e
= τx ∂j ψ, T ,
D
E
e
cioè ∂j g(x) = τx ∂j ψ, T ; procedendo ricorsivamente si dimostra che g è in C ∞ (Rn ).
Dimostriamo che g è lentamente crescente. Poiché T è una distribuzione temperata, esistono due interi non negativi p e q e una costante C tali che
|hϕ, T i| ≤ C ρ0p,q (ϕ)
∀ϕ ∈ S.
Osserviamo che
ρ0p,q (τx ϕ) ≤ C (1 + |x|)p
∀x ∈ Rn .
Quindi per ogni multiindice I
I
D g(x) ≤ C ρ0p,q (τx DI ϕ) ≤ C (1 + |x|)p
∀x ∈ Rn ,
cioè g è lentamente crescente.
Mostriamo che g = T ∗ ψ. Sia x in Rn . Scegliamo η in Cc∞ (Rn ) tale che η = 1 nella palla
R
di centro x e raggio 1. Sia poi ϕ una funzione in Cc∞ (Rn ) tale che Rn ϕ(x) dx = 1. Per ogni
ε in R+ , poniamo
ϕε (y) = ε−n ϕ(y/ε)
∀y ∈ Rn .
Poiché T ∗ ψ è di classe C ∞ ed è lentamente crescente
Z
hτx ϕε , T ∗ ψi =
τx ϕε (y) (T ∗ ψ)(y) dy
n
ZR
=
τx ϕε (y) η(y) (T ∗ ψ)(y) dy
Rn
2.3. DISTRIBUZIONI TEMPERATE
53
per ε sufficientemente piccolo. La funzione η (T ∗ψ) è in Cc∞ (Rn ), e quindi in S. Interpretiamo
l’ultimo integrale come
hη (T ∗ ψ), τx ϕε i .
Ragionando come nell’Esempio 2.3.8 è facile verificare che τx ϕε converge a δx nella topologia
σ(S 0 , S) di S 0 . Perciò hη (T ∗ ψ), τx ϕε i converge a
η(x) (T ∗ ψ)(x) = (T ∗ ψ)(x)
al tendere di ε a 0. Poiché
D
E
e T
lim hτx ϕε , T ∗ ψi = lim ϕε ∗ (τx ψ),
ε→0
ε→0
D
E
eT
= τx ψ,
(l’ultima
D
E uguaglianza scende dalla Proposizione 2.2.8 (ii)), concludiamo che (T ∗ ψ)(x) =
e T . Facendo variare x in Rn abbiamo la tesi.
τx ψ,
2
Proposizione 2.3.12 Lo spazio di Schwartz S è denso in S 0 nella topologia σ(S 0 , S) di S 0 .
Dimostrazione.
Siano T una distribuzione temperata e φ una funzione S(Rn ). Mostriamo
che la distribuzione temperata T ∗ φt converge a T nella topologia σ(S 0 , S) di S 0 . Infatti
D
E
hϕ, T ∗ φt i = ϕ ∗ φet , T
→ hϕ, T i
∀ϕ ∈ S
per la Proposizione 2.1.8 (v).
Ora, è sufficiente mostrare che una distribuzione della forma T ∗ φt può essere approssimata da funzioni di Schwartz nella topologia σ(S 0 , S).
Sia ψ una funzione in Cc∞ (Rn ) che vale 1 sulla palla di centro 0 e raggio 1. Evidentemente
(T ∗ φt ) ψ ε è in Cc∞ (Rn ) e quindi, in particolare, in S. Rimane da dimostrare che
(T ∗ φt ) ψ ε → T ∗ φt
in S al tendere di ε a 0. Ma
hϕ, (T ∗ φt ) ψ ε i = hϕ ψ ε , T ∗ φt i
→ hϕ, T ∗ φt i
∀ϕ ∈ S
per la Proposizione 2.2.8 (iii), completando cosı̀ la dimostrazione della proposizione.
2
54
CHAPTER 2. DISTRIBUZIONI TEMPERATE
Esercizi
14.
2.3.3
Siano ϕ, ψ in S e T in S 0 . Allora (T ∗ ϕ) ∗ ψ = T ∗ (ϕ ∗ ψ).
Altre operazioni sulle distribuzioni temperate
Vogliamo ora estendere alle distribuzioni temperate altre operazioni sulle funzioni di S. Tale
estensione segue uno schema fisso, che ora illustriamo.
Sia A un operatore continuo da S in sè, che vogliamo estendere a S 0 . Supponiamo che
esista un operatore lineare continuo B : S → S tale che
Z
Z
(Bϕ) ψ dλ =
ϕ (Aψ) dλ
Rn
∀ϕ, ψ ∈ S.
Rn
Ad esempio, nel caso in cui A sia la convoluzione con una fissata funzione ψ di S, l’operatoe Sia J : S → S 0 l’iniezione che associa a ψ in S la
re B è la convoluzione con la funzione ψ.
distribuzione temperata J ψ, definita da
Z
hϕ, J ψi =
∀ϕ ∈ S.
ϕ ψ dλ
Rn
Definiamo A su J (S), mediante la formula
AJ ψ = J Aψ
∀ψ ∈ S.
Osserviamo che
hϕ, AJ ψi = hϕ, J Aψi
Z
ϕ (Aψ) dλ
=
n
ZR
=
(Bϕ) ψ dλ
Rn
= hBϕ, J ψi
∀ϕ, ψ ∈ S.
Nell’Esempio 2.3.2 abbiamo mostrato che J è continua da S in S 0 (munito della topologia
σ(S 0 , S)). Poiché A è continuo da S in sè per ipotesi, J A è continuo da S in S 0 . Ora, S è
denso in S 0 nella topologia σ(S 0 , S) in virtù della Proposizione 2.3.12; dunque J A si estende
in modo unico a un operatore continuo da S 0 in sè, che denotiamo, con abuso di notazione,
ancora con A.
2.3. DISTRIBUZIONI TEMPERATE
55
Data T in S 0 , sia {ψn } una successione di funzioni di Schwartz tale che {J ψn } converge
a T nella topologia σ(S 0 , S). Dalla catena di uguaglianze precedente ricaviamo che
hϕ, J Aψn i = hBϕ, J ψn i
∀ϕ ∈ S
∀n ∈ N;
passando al limite per n tendente a ∞, otteniamo
hϕ, AT i = hBϕ, T i
∀ϕ ∈ S
∀T ∈ S 0 .
Quindi l’operatore A esteso a S 0 è l’operatore trasposto di B.
Queste considerazioni motivano la definizione seguente:
Definizione 2.3.13 Siano A e B operatori continui da S in sè tali che
Z
Z
(Bϕ) ψ dλ =
ϕ (Aψ) dλ
∀ϕ, ψ ∈ S.
Rn
Rn
Allora l’operatore B 0 (trasposto di B) è continuo da S 0 in S 0 ed estende A, cioè B 0 |S = A.
Definiamo A su S 0 come B 0 . Esplicitamente, A su S 0 è definito mediante
hϕ, AT i = hBϕ, T i
∀ϕ ∈ S
∀T ∈ S 0 .
Utilizzando questa definizione e la tabella seguente, possiamo definire le seguenti operazioni sulle distribuzioni temperate: derivazione, trasformata di Fourier, traslazione, moltiplicazione per una funzione di Schwartz, dilatazione, convoluzione con una funzione di Schwartz.
A
B
——
——
D
α
(−1)|α| Dα
F
F
τy
τ−y
Mϕ
Mϕ
dr
dr
dr
dr
Qui
dr ϕ(x) = ϕ(rx)
e
dr ϕ(x) = r−n ϕ(x/r)
∀r ∈ R+ .
Inoltre, Mϕ indica l’operatore di moltiplicazione per la funzione ϕ, cioè l’operatore che a ψ
in S associa la funzione ϕ ψ. Affinché Mϕ possa venire definito sulle distribuzioni temperate è
56
CHAPTER 2. DISTRIBUZIONI TEMPERATE
necessario che Mϕ sia limitato da S in sè. Nella sezione seguente daremo condizioni necessarie
e sufficienti su ϕ affinché ciò accada.
Un’altra operazione sulle distribuzioni temperate di uso frequente è la composizione con
mappe lisce. Qui ci limiteremo a considerare il caso in cui la mappa in questione sia una
trasformazione lineare invertibile di Rn .
Definizione 2.3.14 Siano T una distribuzione temperata e R in GL(n, R) (gruppo delle
trasformazioni invertibili di Rn ). Definiamo T ◦ R la distribuzione temperata tale che
hϕ, T ◦ Ri = |det R|−1 ϕ ◦ R−1 , T
∀ϕ ∈ S.
(2.3.2)
Osservazione 2.3.15 In particolare, se R è una rotazione, allora
hϕ, T ◦ Ri = ϕ ◦ Rt , T
∀ϕ ∈ S.
(2.3.3)
Definizione 2.3.16 Diremo che la distribuzione T è radiale se T ◦ R = T per ogni R in
SO(n) (gruppo ortogonale speciale n-dimensionale).
Osservazione 2.3.17 Sia T una distribuzione temperata “rappresentata” dalla funzione
localmente integrabile f . Se f è radiale in senso classico, allora T è radiale nel senso della
definizione precedente.
Consideriamo il proiettore di radializzazione R su S che associa a ogni ϕ in S la
funzione Rf definita da
Z
ϕ(Rt x) dR
Rf (x) =
SO(n)
Z
=
ϕ(|x| ω) dσ(ω),
Sn−1
dove dR indica la misura di Haar normalizzata (di massa totale 1) sul gruppo SO(n), e σ
indica la misura superficiale invariante per rotazioni di massa unitaria sulla sfera Sn−1 .
Evidentemente Rf è radiale. È facile mostrare che Rf è di classe C ∞ (Rn \ {0}) e che
Rf e tutte le sue derivate sono rapidamente decrescenti all’infinito. L’unico fatto non completamente evidente è che Rf è globalmente di classe C ∞ ; lasciamo la verifica per esercizio.
Osserviamo anche che se T è radiale e ϕ è in S, allora
hϕ, T i = hϕ, T ◦ Ri
= ϕ ◦ Rt , T
∀R ∈ SO(n).
2.3. DISTRIBUZIONI TEMPERATE
57
Integrando ambo i membri sul gruppo SO(n) rispetto alla misura di Haar normalizzata dR,
otteniamo
hϕ, T i = hRϕ, T i
∀ϕ ∈ S.
In altre parole, se T è radiale, per conoscerla è sufficiente applicarla a funzioni di Schwartz
radiali.
Osservazione 2.3.18 Osserviamo che ogni distribuzione temperata ammette derivate di
ogni ordine. Inoltre, se T è una distribuzione temperata in Rn con n ≥ 2, allora per ogni
coppia j, k di indici in {1, . . . , n} vale la formula
2
2
∂jk
T = ∂kj
T.
Esercizi
15.
2
Mostrare che la funzione x 7→ ex non è una distribuzione temperata. Mostrare
2
2
che la funzione x 7→ ex cos(ex ) è una distribuzione temperata. La funzione x 7→ ex è una
distribuzione temperata?
16.
Mostrare che
lim
ε↓0
x − x0
1
= v. p.
2
2
(x − x0 ) + ε
x − x0
nella topologia debole di S 0 . Dimostrare poi che
lim
ε↓0
ε
= π δ(x − x0 ).
(x − x0 )2 + ε2
Concludere che
lim
ε↓0
17.
1
1
= v. p.
− iπ δ(x − x0 ).
x − x0 + iε
x − x0
Sia R il proiettore di radializzazione definito sopra. Mostrare che per ogni ϕ in S la
funzione Rf definita da
Z
Rf (x) =
ϕ(|x| ω) dσ(ω)
Sn−1
è di Schwartz.
58
CHAPTER 2. DISTRIBUZIONI TEMPERATE
2.3.4
Ulteriori commenti sulle operazioni in S 0
1. Moltiplicazione
Affinché Mϕ T definisca una distribuzione temperata secondo lo schema illustrato nella
sezione precedente, è necessario che l’operatore Mϕ sia continuo da S in sè. Ciò accade
se e solo se ϕ appartiene allo spazio O(Rn ), che ora definiamo.
Definizione 2.3.19 Indichiamo con O(Rn ) lo spazio delle funzioni f in C ∞ (Rn ) che godono
della seguente proprietà: per ogni multiindice α esistono due costanti N (α) e C tali che
|Dα f (x)| ≤ C (1 + |x|2 )N (α)
∀x ∈ Rn .
Le funzioni in O(Rn ) si chiamano funzioni lentamente crescenti.
Esempio 2.3.20 La funzione σ(x) = 1 + |x|2
1/2
è lentamente crescente (Esercizio). Le
funzioni di Schwartz sono lentamente crescenti.
Osservazione 2.3.21 Valgono le seguenti osservazioni:
(i) se m è in O(Rn ), allora l’operatore Mm di moltiplicazione per m è continuo da S in sè;
(ii) sia m una funzione misurabile tale che l’operatore Mm di moltiplicazione per m è
continuo da S in sè. Allora m è in O(Rn ).
Dimostrazione.
2
Esercizio.
Esercizi
1/2
18.
Dimostrare che la funzione σ(x) = 1 + |x|2
19.
Dimostrare le affermazioni contenute nell’Osservazione 2.3.21.
è lentamente crescente.
2. Derivazione
2
Osservazione 2.3.22 Consideriamo la funzione f (x) = sin(ex ) su R. Poiché f è limitata,
essa è una distribuzione temperata, definita da
Z
hϕ, f i =
ϕ(x) f (x) dx
R
∀ϕ ∈ S.
2.3. DISTRIBUZIONI TEMPERATE
59
La derivata distribuzionale di f è ovviamente una distribuzione temperata ed è definita da
Z ∞
2
ϕ0 (x) sin(ex ) dx
∀ϕ ∈ S.
hϕ, Df i = − hDϕ, f i = −
−∞
2
2
D’altro canto la funzione f è derivabile in senso classico e f 0 (x) = 2x ex sin(ex ). Tuttavia,
Df non è la funzione f 0 , nel senso che il funzionale Df applicato alla funzione di Schwartz ϕ
R
non può essere rappresentato dall’integrale R ϕ(x) f 0 (x) dx per ogni ϕ in S.
Per convincersi di questo fatto è sufficiente considerare una funzione di Schwartz ϕ che
per x grande coincida con e−x e mostrare che x 7→ e−x f 0 (x) non è integrabile in un intorno
di ∞.
Osservazione 2.3.23 Supponiamo che T sia una distribuzione temperata che coincide con
una funzione di classe C k (Rn ). Più precisamente, T è la distribuzione temperata associata a
una funzione localmente integrabile, e quest’ultima ammette un rappresentante di classe C k ,
che indichiamo con fT . Se fT e le sue derivate (in senso classico) fino all’ordine k crescono
all’infinito al più come un polinomio, allora per ogni multiindice α tale che |α| ≤ k la derivata
distribuzionale Dα T coincide con la derivata ordinaria Dα fT .
Infatti, per definizione di derivata distribuzionale
hϕ, Dα T i = (−1)|α| hDα ϕ, T i
Z
|α|
(poiché T è associata a fT )
= (−1)
Dα ϕ(x) fT (x) dx
n
R
Z
ϕ(x) Dα fT (x) dx
∀ϕ ∈ S(Rn ).
(integrando per parti)
=
Rn
Nell’ultimo passaggio abbiamo usato il fatto che ϕ è di Schwartz e Dα T cresce al più come
un polinomio: i “termini di bordo” nell’integrazione per parti sono nulli.
Osservazione 2.3.24 Un problema più sottile si pone allorquando la distribuzione temperata T è una funzione fT , che ammette derivata classica quasi ovunque. Ammettiamo
anche che tale derivata sia in L1 (R), dimodoché non possono sorgere i problemi che abbiamo
individuato nell’Osservazione 2.3.22. In generale, la derivata prima fT , che è definita solo
quasi ovunque, non coincide con la derivata distribuzionale T 0 . Ad esempio, sia fT la funzione di Heaviside, cioè la funzione indicatrice dell’intervallo [0, ∞). Evidentemente fT0 = 0
60
CHAPTER 2. DISTRIBUZIONI TEMPERATE
in R \ {0} e fT non è derivabile in 0. Calcoliamo la derivata distribuzionale di T :
hϕ, T 0 i = − hϕ0 , T i
Z ∞
ϕ0 (x) dx
=−
0
= ϕ(0)
= hϕ, δ0 i
∀ϕ ∈ S.
Quindi T 0 = δ0 .
Osservazione 2.3.25 Una generalizzazione utile del risultato precedente è la seguente.
Siano x1 < . . . < xN un numero finito di punti di R e f una funzione di classe C 1
in R \ {x1 , . . . , xN } tale che f ha limiti finiti a destra e a sinistra in ciascuno dei punti
{x1 , . . . , xN } e che la derivata ordinaria f 0 di f è in L1 (R). Allora la derivata distribuzionale
di f è data da
f0 +
N
X
[f (xj +) − f (xj −)] δxj .
j=1
Osservazione 2.3.26 Un caso ancora più “esotico” è il seguente. Sia F : [0, 1] → [0, 1]
la funzione di Cantor. Estendiamo F a una funzione continua su R che vale 0 per x < 0 e
1 per x > 1. Denotiamo tale estensione ancora con F . Certamente F è una distribuzione
temperata; vogliamo calcolarne la derivata distribuzionale.
È noto che F è derivabile in senso classico nel complementare del ternario di Cantor, e
che la derivata classica vale ivi 0.
Indichiamo con µF la misura di Lebesgue–Stieltjes su R associata a F . In particolare
µF (a, b] = F (b) − F (a)
∀a, b ∈ R : a ≤ b.
Ora, per ogni ϕ in S
hϕ, F 0 i = − hϕ0 , F i
Z
= − ϕ0 (x) F (x) dx
ZR
Z x
0
=−
dx ϕ (x)
dµF (y)
R
−∞
2.3. DISTRIBUZIONI TEMPERATE
61
Applicando il teorema di Fubini otteniamo
Z
Z ∞
0
F
ϕ0 (x) dx
hϕ, F i = −
dµ (y)
y
Z R
=
ϕ(y) dµF (y)
R
= ϕ, µF .
Abbiamo cosı̀ mostrato che F 0 = µF nel senso delle distribuzioni.
Notiamo anche che se ϕ è una funzione di Schwartz con supporto contenuto nel complementare del ternario di Cantor, allora hϕ, F 0 i = 0. Quindi il supporto di µF è contenuto nel
ternario.
Osservazione 2.3.27 Un argomento molto simile a quello utilizzato nella dimostrazione
della Proposizione 2.3.11 mostra che le derivate ∂j ϕ di una funzione ϕ in S(Rn ) si possono
ottenere come limiti nella topologia di S dei corrispondenti rapporti incrementali. Conseguentemente, se T è in S 0 (Rn ), allora
hϕ, ∂j T i = − h∂j ϕ, T i
Dτ
E
−tej ϕ − ϕ
= − lim
,T
t→0
t
τtej T − T
= lim ϕ,
,
t→0
cioè
−t
τtej T − T
−t
τ−tej T − T
= lim
t→0
t
∂j T = lim
t→0
nella topologia debole di S 0 .
Esercizi
20.
21.
Calcolare m · δ00 , dove m è in O(R).
Calcolare x · T , dove T è il valor principale di Cauchy. Calcolare, poi, il prodotto
x δ0 T in tutti gli ordini possibili.
22.
Calcolare la derivata prima della distribuzione T che coincide con la funzione local-
mente integrabile x 7→ log |x|. (Risposta: T 0 = p.v.(1/x).)
62
23.
CHAPTER 2. DISTRIBUZIONI TEMPERATE
Calcolare la derivata prima della distribuzione T che coincide con la funzione local-
mente integrabile x 7→ 1R+ (x) log |x|.
24.
Calcolare la derivata prima della distribuzione “valor principale di Cauchy”.
25.
Dimostrare le affermazioni contenute nell’Osservazione 2.3.25.
26.
Calcolare T 00 , dove T è la distribuzione su R che coincide con la funzione localmente
integrabile x 7→ max(1 − |x| , 0).
27.
Sia T il funzionale definito su S(R2 ) da
Z
ϕ(x, x) dx.
hϕ, T i =
R
Mostrare che T è una distribuzione temperata, trovarne il supporto, e calcolare ∂x1 T + ∂x2 T .
28.
Siano σ la misura superficiale della sfera di R2 , f e g le funzioni definite su R2 da
f (x, y) = max 1 −
p
x2 + y 2 , 0
e
g(x, y) = (x2 + y 2 )−1/2 1B(0,1) (x, y).
Mostrare che ∆f = σ − g nel senso delle distribuzioni.
29.
Per ogni r in R+ indichiamo con σr la misura superficiale della sfera di centro 0 e
raggio r in Rn . Mostrare che
lim+
r→0
2n
1
σr − δ0 = ∆δ0
2
r sn rn−1
h
i
nel senso delle distribuzioni. Qui sn indica la misura superficiale della sfera unitaria.
p
30. Sia f la distribuzione che coincide su R2 \ {(0, 0)} con la funzione (x, y) 7→ x2 + y 2 .
Calcolare le derivate parziali prime e seconde di f e, poi, il laplaciano di f .
3. Distribuzioni omogenee
Definizione 2.3.28 Sia α in R. Diciamo che la distribuzione temperata T è omogenea di
grado α se ds T = sα T per ogni s in R+ . Esplicitamente,
hds ϕ, T i = sα hϕ, T i
∀ϕ ∈ S.
Osservazione 2.3.29 È facile verificare che se T è una funzione, allora T è omogenea di
grado α secondo la definizione precedente se e solo se lo è nel senso usuale come funzione.
2.3. DISTRIBUZIONI TEMPERATE
63
Esercizi
31.
Sia T una distribuzione temperata. Mostrare che T è omogenea di grado α se e solo
se T soddisfa (nel senso delle distribuzioni temperate) l’equazione di Eulero
x · ∇T = α T.
32.
Mostrare che δ0 (in Rn ) è una distribuzione temperata omogenea di grado −n.
33.
La distribuzione valor principale di Cauchy è omogenea?
34.
Dare un esempio di distribuzione temperata su R omogenea di grado −2 che non sia
identicamente nulla sulla classe delle funzioni C ∞ con supporto contenuto in R+ .
35.
È vero che se T è una distribuzione temperata omogenea di grado α, allora Dβ T è
omogenea di grado α − |β|? (Risposta: sı̀).
4. Trasformata di Fourier
Proposizione 2.3.30 Siano T una distribuzione temperata in Rn e α in R. Le affermazioni
seguenti sono equivalenti:
(i) T è omogenea di grado α;
(ii) FT è omogenea di grado −n − α.
Dimostrazione.
Osserviamo che
D
E D
E
ϕ, ds Tb = ds ϕ, Tb
D
E
d
= ds ϕ, T
= hds ϕ,
b Ti
= hϕ,
b ds T i
= s−n hϕ,
b ds T i ,
da cui l’equivalenza tra (i) e (ii) scende direttamente.
2
64
CHAPTER 2. DISTRIBUZIONI TEMPERATE
Esempio 2.3.31 La trasformata di Fourier di δ0 è la funzione costante 1. Infatti,
D
E
ϕ, δb0 = hϕ,
b δ0 i
= ϕ(0)
b
Z
=
ϕ(x) dx
Rn
= hϕ,
b 1i
∀ϕ ∈ S.
Proposizione 2.3.32 Siano ϕ, ψ in S e T in S 0 . Valgono le affermazioni seguenti:
(i) Dα (T ∗ ψ) = (Dα T ) ∗ ψ = T ∗ (Dα ψ);
(ii) F(T ∗ ψ) = F(T ) F(ψ).
Dimostrazione.
Dimostriamo (ii). Abbiamo
hϕ, F(T ∗ ψ)i = hF(ϕ), T ∗ ψi
D
E
eT
= F(ϕ) ∗ ψ,
= hF(ϕ) ∗ F[F(ψ)], T i
= hF(ϕ F(ψ)), T i
= hϕ F(ψ), F(T )i
= hϕ, F(T ) F(ψ)i
∀ϕ ∈ S,
2
come richiesto.
Proposizione 2.3.33 La trasformata di Fourier di una distribuzione temperata radiale è
radiale.
Dimostrazione.
Dobbiamo mostrare che
hϕ, (FT ) ◦ Ri = hϕ, FT i
∀R ∈ SO(n).
Osserviamo che
hϕ, (FT ) ◦ Ri = ϕ ◦ Rt , FT
= F(ϕ ◦ Rt ), T
∀R ∈ SO(n).
Poiché T è radiale
F(ϕ ◦ Rt ), T = R[F(ϕ ◦ Rt )], T .
2.3. DISTRIBUZIONI TEMPERATE
65
Ora,
Z
t
F(ϕ ◦ Rt )(R1t ξ) dR1
SO(n)
Z
Z
t
dR1
(ϕ ◦ Rt )(x) e−2πix·R1 ξ dx
=
SO(n)
Rn
Z
Z
t
dR1
ϕ(Rt x) e−2πix·R1 ξ dx
=
SO(n)
Rn
Z
Z
t
dR1
ϕ(v) e−2πiRv·R1 ξ dv
=
SO(n)
Rn
Z
Z
t t
dv ϕ(v)
e−2πiv·R R1 ξ dR1
=
Rn
SO(n)
Z
Z
t
=
dv ϕ(v)
e−2πiv·R2 ξ dR2
R[F(ϕ ◦ R )](ξ) =
Rn
SO(n)
= R[Fϕ](ξ)
∀R ∈ SO(n).
Quindi
hϕ, (FT ) ◦ Ri = hR[Fϕ], T i
= hFϕ, T i
(poiché T è radiale)
= hϕ, FT i
∀R ∈ SO(n),
2
come richiesto.
Esercizi
36.
2.3.5
Calcolare la trasformata di Fourier di un generico polinomio.
Alcune famiglie analitiche di distribuzioni temperate
Esempio 2.3.34 Sia λ un numero complesso con parte reale > −1. Consideriamo i seguenti
funzionali lineari su S(R):
ϕ, xλ+
Z
∞
=
ϕ(x) xλ dx
Z0 0
ϕ, x− =
ϕ(x) |x|λ dx
D
E −∞ λ
ϕ, |x| = ϕ, xλ+ + ϕ, xλ−
D
E ϕ, |x|λ sgn x = ϕ, xλ+ − ϕ, xλ−
λ
∀ϕ ∈ S.
66
CHAPTER 2. DISTRIBUZIONI TEMPERATE
Indichiamo con T λ uno dei quattro funzionali lineari definiti qui sopra. Non è difficile
mostrare che T λ è una distribuzione temperata. Consideriamo il caso di xλ+ . Sia N un
intero positivo > Re(λ) + 1. Abbiamo
Z 1
Z
Re(λ)
N
ϕ, xλ+ ≤ kϕk∞
x
dx + kx ϕk∞
0
∞
xRe(λ)−N dx
1
e quindi
ϕ, xλ+ ≤ C ρ0N,0 (ϕ)
∀ϕ ∈ S,
cioè xλ+ è una distribuzione temperata.
Il teorema di Morera assicura che per ogni ϕ in S l’applicazione λ 7→ ϕ, T λ è una
funzione analitica nel semipiano dove è definita. Diciamo che T λ è una famiglia analitica
di distribuzioni. Ci poniamo il problema se tale famiglia ammette un prolungamento
analitico a una regione che contiene propriamente il semipiano {λ : Re(λ) > −1}. Trattiamo
il caso di xλ+ ; gli altri casi si trattano in modo simile.
Proposizione 2.3.35 La famiglia analitica {xλ+ }Re(λ)>−1 ammette un prolungamento meromorfo, con poli nei punti {−1, −2, −3, . . .} e con residuo in −k dato da
(−1)k−1 (k−1)
.
δ
(k − 1)! 0
Dimostrazione.
Sia ϕ in S. Osserviamo che se Re(λ) > −1, allora
Z ∞
λ
ϕ, x+ =
ϕ(x) xλ dx
Z0 1
Z ∞
λ
=
ϕ(x) x dx +
ϕ(x) xλ dx
1
Z0 1
Z ∞
λ
ϕ(0)
=
ϕ(x) − ϕ(0) x dx +
ϕ(x) xλ dx +
.
0
λ+1
1
L’espressione ottenuta è analitica in
{λ ∈ C : Re(λ) > −2, λ 6= −1}.
Posto, per ogni λ in questa regione
Z 1
Z
λ
λ
ϕ, x+ =
ϕ(x) − ϕ(0) x dx +
0
∞
ϕ(x) xλ dx +
1
si verifica facilmente che questa è una distribuzione temperata.
ϕ(0)
λ+1
∀ϕ ∈ S,
2.3. DISTRIBUZIONI TEMPERATE
67
Ragionando in modo analogo, otteniamo che λ 7→ ϕ, xλ può essere prolungata analiticamente in
{λ ∈ C : Re(λ) > −n − 1, λ 6= −1, −2, . . . , −n},
mediante la formula
Z 1
Z
n
X
(k−1) (0) λ
k−1 ϕ
λ
ϕ(x) −
ϕ, x+ =
x
x dx +
0
(k − 1)!
k=1
∞
λ
ϕ(x) x dx +
1
n
X
k=1
ϕ(k−1) (0)
.
(k − 1)! (λ + k)
(2.3.4)
Per ottenere (2.3.4) si può utilizzare la formula
Z 1
ϕ(k−1) (0) λ
xk−1
x dx =
(k − 1)!
0
Questo dimostra che λ 7→ ϕ, x
λ
ϕ(k−1) (0)
.
(k − 1)! (λ + k)
è meromorfa a valori in S 0 con poli in {−1, −2, −3, . . .}.
È facile verificare che
ϕ(k−1) (0)
lim (λ + k) ϕ, xλ =
(k − 1)!
λ→−k
(−1)(k−1) (k−1)
= ϕ,
δ0
,
(k − 1)!
2
provando cosı̀ anche la parte rimanente dell’enunciato.
Proseguendo nell’analisi, è naturale chiedere quale sia il termine di grado 0 nello sviluppo
di Laurent di λ 7→ ϕ, xλ+ nei poli. Osserviamo che se Re(λ) appartiene all’intervallo
(−n − 1, −n + 1) e k = −1, . . . , −n + 1, allora
Z ∞
1
=−
xλ+k−1 dx.
λ+k
1
Quindi nel caso in cui Re(λ) appartenga all’intervallo (−n − 1, −n + 1) la formula (2.3.4)
può essere riscritta nel modo seguente
Z ∞
n−1
X
ϕ(k−1) (0)
ϕ(n−1) (0)
λ
ϕ, x+ =
ϕ(x) −
xk−1
− xn−1 H(1 − x)
xλ dx +
0
(k − 1)!
k=1
(n − 1)!
ϕ(n−1) (0)
,
(n − 1)! (λ + n)
dove abbiamo indicato con H la funzione indicatrice di [0, ∞). Utilizzando quest’ultima
formula è facile verificare che
lim ϕ, xλ+ −
λ→−n
Z
=
0
∞
ϕ(x) −
n−1
X
k=1
ϕ(n−1) (0)
(n − 1)! (λ + n)
xk−1
ϕ(k−1) (0)
ϕ(n−1) (0)
− xn−1 H(1 − x)
x−n dx.
(k − 1)!
(n − 1)!
68
CHAPTER 2. DISTRIBUZIONI TEMPERATE
Definiamo x−n
+ come il funzionale che a ϕ associa il numero complesso a secondo membro
della formula precedente. Con questa definizione, la formula precedente può essere riscritta
nel modo seguente:
h
(n−1) i
(−1)n−1 δ0
lim xλ+ −
= x−n
+ .
(n − 1)! (λ + n)
λ→−n
Esempio 2.3.36 Consideriamo la seguente variante multidimensionale della famiglia analitica studiata nell’esempio precedente. Indichiamo con r la distanza euclidea di un punto
di Rn dall’origine. Se Re(λ) > −n la funzione rλ è localmente integrabile; ad essa è naturalmente associata la distribuzione temperata, denotata ancora con rλ , definita da
Z
λ
ϕ, r =
ϕ(x) |x|λ dx.
Rn
Per il teorema di Morera la funzione λ 7→ ϕ, rλ è analitica in Re(λ) > −n. Ci proponiamo
di mostrare che essa si estende a una funzione meromorfa, con poli nei punti {−n, −n −
2, −n − 4, . . .}.
Integrando in coordinate polari, otteniamo
Z
n−1 ∞
λ
ϕ, r = S Sϕ (r) rλ+n−1 dλ,
0
dove
Sϕ (r) =
Z
1
|Sn−1 |
ϕ(r ω) dσ(ω)
∀r ∈ [0, ∞)
Sn−1
(qui σ non è normalizzata!). Si verifica facilmente che Sϕ è in C ∞ ([0, ∞)), che Sϕ (0) = ϕ(0),
che
(D2j+1 Sϕ )(0) = 0
inoltre
∀j ∈ N;
(2j)! ∆j ϕ(0)
(D Sϕ )(0) = j
2 j! n(n + 2) · · · (n + 2j − 2)
2j
∀j ∈ N \ {0}.
La verifica di queste formule è facile per j = 1. Definiamo ora Sϕ (−r) = Sϕ (r) per ogni r in
R+ . La funzione su R che cosı̀ si ottiene è in S(R). Perciò
ϕ, rλ
Rn
λ+n−1
= Sn−1 Sϕ , r+
.
R
λ+n−1
Abbiamo mostrato nell’Esempio 2.3.34 che r+
ha poli nei punti {−n, −n−1, −n−2, . . .}.
Poiché le derivate di ordine dispari di Sϕ in 0 sono nulle, ripercorrendo i calcoli svolti si trova
2.3. DISTRIBUZIONI TEMPERATE
69
λ+n−1
che λ 7→ Sϕ , r+
ha poli solo nei punti {−n, −n − 2, −n − 4, . . .}. Quindi questi sono
R
i poli di ϕ, rλ Rn . Il residuo in −n − 2j è
n−1 D2j Sϕ (0)
S .
(2j)!
(2.3.5)
In particolare, il residuo nel punto −n è |Sn−1 | ϕ(0). Con qualche calcolo in più si mostra
che se j è un intero positivo, il residuo della distribuzione temperata rλ nel punto −n − 2j è
n−1 S ∆j δ0
.
2j j! n(n + 2) · · · (n + 2j − 2)
Esempio 2.3.37 Consideriamo la famiglia di distribuzioni temperate {xλ+ }, introdotta
nell’Esempio 2.3.34.
Notiamo che se Re(λ) > 1, allora xλ+ è derivabile in senso classico su tutto R con derivata
continua, data da λ xλ−1
+ , che all’infinito cresce al più come un polinomio. In base alle
considerazioni svolte, la derivata distribuzionale di xλ+ è λ xλ−1
+ . Perciò per ogni ϕ in S e per
ogni λ con Re(λ) > 1
− Dϕ, xλ+ = ϕ, Dxλ+ = λ ϕ, xλ−1
.
+
Osserviamo che il primo e il terzo membro di questa catena di uguaglianze sono funzioni
analitiche in C \ {0, −1, −2, . . .} che coincidono in Re(λ) > 1. Quindi coincidono in C \
{0, −1, −2, . . .}; ne deduciamo che
Dxλ+ = λ xλ−1
+
∀λ ∈ C \ {0, −1, −2, . . .}.
Notiamo che se facciamo tendere λ a 0 nel senso delle distribuzioni nella formula precedente,
otteniamo
Dx0+ = δ0 ,
(2.3.6)
che avevamo ottenuto per calcolo diretto nell’osservazione precedente.
Il discorso precedente si può estendere alle derivate di ordine superiore della famiglia {xλ+ }.
In particolare si trova che se λ è in C \ {k − 1, k − 2, k − 3, . . .}, allora
Dk xλ+ = λ (λ − 1) · · · (λ − k + 1) xλ−k
+
∀λ ∈ C \ {k − 1, k − 2, k − 3, . . .}.
(2.3.7)
Facendo tendere λ a k − 1 nel senso delle distribuzioni nella formula precedente, otteniamo
Dk xk−1
= (k − 1)! δ0 .
+
(2.3.8)
70
CHAPTER 2. DISTRIBUZIONI TEMPERATE
Inoltre, facendo tendere λ a 0 nella formula (2.3.7) (conviene effettuare il cambiamento di
variabile ζ = λ − k, dimodoché ζ tende a −k quando λ tende a 0) si ottiene
Dk x0+ = Dk−1 δ0 .
Esempio 2.3.38 Consideriamo la distribuzione temperata rλ in Rn . Quando Re(λ) > 2
possiamo calcolare ∆rλ in senso classico; un calcolo diretto mostra che
∆rλ = λ (λ − 2 + n) rλ−2 .
Per prolungamento analitico, la stessa formula vale quando λ non appartiene all’insieme
{2 − n, −n, −n − 2, −n − 4, . . .}. Supponiamo che n ≥ 3. Facendo tendere λ a 2 − n, e
tenendo conto della formula (2.3.5), otteniamo
∆r2−n = (n − 2) Sn−1 δ0 .
(2.3.9)
Osservazione 2.3.39 Le distribuzioni xλ+ sono omogenee di grado λ per ogni λ in C \
{−1, −2, −3, . . .}.
Infatti, se Re(λ) > −1 la distribuzione xλ+ è una funzione localmente integrabile, omogenea di grado λ come funzione e quindi anche come distribuzione. Quindi se Re(λ) > −1
allora
ϕ, ds xλ+ = sλ ϕ, xλ+
∀ϕ ∈ S
∀s ∈ R+ .
Notiamo che entrambi i membri sono analitici rispetto a λ in C \ {−1, −2, −3, . . .}. Quindi
la relazione precedente continua a valere in questa regione più ampia, cioè per tutti questi
valori di λ la distribuzione xλ+ è omogenea di grado λ.
Esempio 2.3.40 Calcoliamo la trasformata di Fourier della distribuzione xλ+ .
Supponiamo dapprima che −1 < Re(λ) < 0. In tal caso xλ+ è una funzione localmente
integrabile. Sia ϕ una funzione in S(R) che coincide con la funzione x 7→ e−2πx su R+ .
Mostriamo che ϕε xλ+ converge a xλ+ in S 0 .
Infatti, ϕε ψ converge a ψ in S per ogni ψ in S per la Proposizione 2.2.8. Quindi
ψ, ϕε xλ+ = ϕε ψ, xλ+
→ ψ, xλ+
∀ψ ∈ S.
2.3. DISTRIBUZIONI TEMPERATE
71
Poiché la trasformata di Fourier è un operatore continuo da S 0 in sè, F(ϕε xλ+ ) converge a
F(xλ+ ) in S 0 . Calcoliamo F(ϕε xλ+ ). Osserviamo che ϕε xλ+ appartiene a L1 (R). Quindi la
sua trasformata di Fourier distribuzionale è data da
Z ∞
xλ e−2πx(ε+iξ) dx
∀ξ ∈ R.
0
Γ(λ + 1)
(ε + iξ)−(λ+1) . Osserviamo che
(2π)λ+1
“Cambiando variabili” otteniamo
(ε + iξ)−(λ+1) = |ε + iξ|−(λ+1) e−i(λ+1) arctan(ξ/ε)
−(λ+1) −i(λ+1)π/2
→ ξ+
e
−(λ+1) i(λ+1)π/2
+ ξ−
e
,
nel senso delle distribuzioni, al tendere di ε a 0+ . Abbiamo la formula
Γ(λ + 1) −(λ+1) −i(λ+1)π/2
−(λ+1) i(λ+1)π/2 F(xλ+ )(ξ) =
ξ
e
+
ξ
e
.
+
−
λ+1
(2π)
(2.3.10)
Per prolungamento analitico la formula continua a valere per ogni λ che non appartiene a Z.
Esempio 2.3.41 Calcoliamo la trasformata di Fourier della distribuzione rλ di Rn .
Supponiamo dapprima che 0 < Re λ + n < 1. Una verifica diretta mostra che rλ è una
distribuzione omogenea di grado λ. Per la Proposizione 2.3.30 la trasformata di Fourier di rλ
è omogenea di grado −(λ + n). Inoltre, poiché rλ è radiale, tale è anche la sua trasformata
di Fourier per la Proposizione 2.3.33.
Denotiamo con pε la funzione su Rn definita da
pε (x) = e−2πε|x|
∀x ∈ Rn .
Per il teorema di convergenza dominata
lim ϕ, rλ pε = ϕ, rλ .
ε→0
Poiché la trasformata di Fourier è continua da S 0 in sè,
lim ϕ, F(rλ pε ) = ϕ, F(rλ )
ε→0
Denotiamo con 1 il punto di coordinate (1, 0, . . . , 0). Siccome rλ pε è in L1 (Rn ) ed è radiale,
la sua trasformata di Fourier nel punto ξ è data da
Z
Z ∞
Z
λ −2πε|x|−2πi|ξ|x·1
λ+n−1
|x| e
dx =
ds s
e−2πs(ε+i|ξ|ω·1) dσ(ω)
n−1
Rn
Z0
Z ∞S
=
dσ(ω)
sλ+n−1 e−2πs(ε+i|ξ|ω·1) ds,
Sn−1
0
72
CHAPTER 2. DISTRIBUZIONI TEMPERATE
dove abbiamo usato il teorema di Fubini. Cambiando variabili si può calcolare l’integrale
interno, che vale
(2π)λ+n
Γ(λ + n)
.
(ε + i |ξ| ω · 1)λ+n
Abbiamo dimostrato che
Z
Γ(λ + n)
1
F(r p )(ξ) =
dσ(ω)
λ+n
λ+n
(2π)
Sn−1 (ε + i |ξ| ω · 1)
Z
1
Γ(λ + n)
=
λ+n dσ(ω)
λ+n
λ+n
(2π)
|ξ|
Sn−1 (ε/ |ξ|) + iω · 1
λ
ε
∀ξ ∈ Rn \ {0}.
La scelta del campo di variabilità di λ comporta che ξ 7→ |ξ|−(λ+n) è localmente integrabile
in Rn . Osserviamo che
Z
ξ 7→
Sn−1
1
λ+n dσ(ω)
(ε/ |ξ|) + iω · 1
è uniformemente limitata. Infatti
1
1
,
λ+n ≤ (ε/ |ξ|) + iω · 1
ω · 1Re λ+n
che è integrabile su Sn−1 . Perciò, per il teorema di convergenza dominata
Z
1
Γ(λ + n)
λ ε
∀ξ ∈ Rn \ {0}.
lim F(r p )(ξ) =
λ+n dσ(ω)
λ+n
λ+n
ε→0
(2π)
|ξ|
Sn−1 iω · 1
Questa è la trasformata di Fourier cercata, almeno quando 0 < Re λ + n < 1. La costante
Z
1
∀ξ ∈ Rn \ {0}
(2.3.11)
λ+n dσ(ω)
Sn−1 iω · 1
non è tuttavia immediatamente calcolabile. Il calcolo precedente mostra però che F(rλ )(ξ) =
cλ |ξ|−(λ+n) . Un modo per determinare facilmente la costante cλ è il seguente. Ricordiamo
2
che la funzione x 7→ e−π|x| coincide con la sua trasformata di Fourier. Perciò
Z
Z
2
−(λ+n)
−π|ξ|2
cλ
e
|ξ|
dξ =
e−π|x| |x|λ dx.
Rn
Rn
Passando in coordinate polari, otteniamo
Z ∞
Z
−πs2 −(λ+1)
cλ
e
s
ds =
0
0
∞
2
e−πs sλ+n−1 ds.
2.3. DISTRIBUZIONI TEMPERATE
73
Cambiando variabili (πs2 = v) in entrambi gli integrali otteniamo la formula
Z ∞
Z ∞
−v −(λ/2+1)
−(λ+n)/2
λ/2
e s
dv = π
e−v s(λ+n)/2−1 dv,
cλ π
0
0
da cui si ricava
Γ (λ + n)/2
.
cλ = λ+n/2
π
Γ −λ/2
In definitiva, se 0 < Re λ + n < 1, allora
Γ (λ + n)/2
|ξ|−(λ+n) .
F(r )(ξ) = λ+n/2
π
Γ −λ/2
λ
Notiamo che da questo risultato si può ottenere una formula per l’integrale (2.3.11).
La trasformata di Fourier richiesta per altri valori del parametro λ si ottiene per prolungamento analitico.
Esercizi
37.
Calcolare la trasformata di Fourier della distribuzione temperata “valor principale di
Cauchy”. (Traccia: fare tendere λ a 0 nella formula (2.3.10)).
38.
Calcolare la trasformata di Fourier della funzione x 7→ |x|, x in R. Calcolare poi la
trasformata di Fourier della funzione di Heaviside.
39.
xλ− ,
Provare l’analogo della Proposizione 2.3.35 per le famiglie analitiche di distribuzioni
|x| e |x|λ sgn x.
40.
λ
Sia ϕ in S(Rn ). Poniamo
Sϕ (r) =
1
|Sn−1 |
Z
ϕ(r ω) dσ(ω)
∀r ∈ [0, ∞).
Sn−1
Mostrare che Sϕ è in C ∞ ([0, ∞)), che (D2j+1 Sϕ )(0) = 0 e che
(D2j Sϕ )(0) =
(2j)! ∆j ϕ(0)
2j j! n(n + 2) · · · (n + 2j − 2)
per ogni j in N.
41.
Condurre per le famiglie di distribuzioni xλ− , |x|λ , |x|λ sgn x un’analisi parallela a
quella per xλ+ esposta nel testo.
74
2.4
CHAPTER 2. DISTRIBUZIONI TEMPERATE
Distribuzioni a supporto compatto
Definizione 2.4.1 Siano T una distribuzione temperata e Ω un aperto di Rn . Diciamo che
T è nulla in Ω se
hϕ, T i = 0
per ogni funzione di Schwartz ϕ con supporto contenuto in Ω. Chiamiamo supporto di T
il complementare dell’aperto massimale su cui T è nulla.
Esempio 2.4.2 Per ogni multiindice α e per ogni x in Rn la distribuzione Dα δx ha supporto
ridotto al punto x.
Definizione 2.4.3 Indichiamo con E 0 (Rn ) il duale topologico dello spazio di Fréchet E(Rn )
(vd. Esempio 1.2.29 per la definizione). Salvo avviso contrario, muniremo E 0 (Rn ) della
topologia debole∗ σ E 0 (Rn ), E(Rn ) .
Osservazione 2.4.4 Esplicitamente, un funzionale lineare T definito su E(Rn ) è continuo
se esistono un compatto K contenuto in Rn , un intero non negativo m e una costante C tali
che
T (ϕ) ≤ C ρK,m (ϕ)
∀ϕ ∈ E(Rn ).
Teorema 2.4.5 Valgono le affermazioni seguenti:
(i) lo spazio di Schwartz S(Rn ) è incluso con continuità ed è denso in E(Rn );
(ii) E 0 (Rn ) è incluso con continuità in S 0 (Rn );
(iii) E 0 (Rn ) è il sottospazio di S 0 (Rn ) costituito da tutte e sole le distribuzioni temperate a
supporto compatto.
Dimostrazione.
Dimostriamo (i). Sia J l’inclusione naturale di S(Rn ) in E(Rn ). Mostri-
amo che J è continua. Poiché S(Rn ) e E(Rn ) sono metrizzabili, è sufficiente mostrare che se
{fN } è una successione in S(Rn ) che tende a 0, allora essa tende a 0 anche in E(Rn ). Siano
K un compatto in Rn e m un intero non negativo. Osserviamo che
ρK,m (fN ) ≤ max kDβ fN k∞ ≤ ρ00,m (fN ).
|β|≤m
2.4. DISTRIBUZIONI A SUPPORTO COMPATTO
75
Poiché fN → f in S(Rn ), deve essere ρ00,m (fN ) → 0 al tendere di N a ∞. Perciò ρK,m (fN ) → 0
al tendere di N a ∞, come richiesto.
Dimostriamo che S(Rn ) è denso in E(Rn ) nella topologia di E(Rn ). Sia ψ in D identicamente 1 in un intorno di 0. Data ϕ in E(Rn ), consideriamo la successione di funzioni ϕ ψ 1/j ,
dove, consistentemente con la notazione utilizzata in queste note,
ψ 1/j (x) = ψ(x/j)
∀x ∈ Rn
∀j ∈ N \ {0}.
Ovviamente ϕ ψ 1/j appartiene a D, e quindi, a fortiori, a S(Rn ). Inoltre, per ogni K ⊂⊂ Rn
e per ogni m in N
ρK,m ϕ − ϕ ψ 1/j = 0
per j abbastanza grande (se j è abbastanza grande ψ 1/j vale 1 sul compatto K, cosicché la
differenza ϕ − ϕ ψ 1/j è nulla in K). Perciò ϕ − ϕ ψ 1/j tende a 0 in E(Rn ), e quindi S(Rn ) è
denso in E(Rn ), come richiesto.
Dimostriamo (ii). In virtù dell’Osservazione 1.5.11 l’operatore J 0 , aggiunto di J , è
continuo da E 0 (Rn ) a S 0 (Rn ) (dotati delle rispettive topologie debole∗ ). Ora, per definizione
di operatore aggiunto, e per il fatto che J è l’identità su S(Rn ),
hϕ, J 0 T i = hJ ϕ, T i = hϕ, T i
∀ϕ ∈ S(Rn ) ∀T ∈ E 0 (Rn ).
Quindi J 0 T coincide con la restrizione di T a S(Rn ).
Notiamo anche che se S e T sono in E 0 (Rn ) e J 0 S = J 0 T , allora S = T . Infatti, J 0 S e J 0 T
sono rispettivamente le restrizioni di S e T a S(Rn ). Poiché S(Rn ) è denso in E 0 (Rn ) nella
topologia di E 0 (Rn ), un elemento di E 0 (Rn ) è univocamente determinato dalla sua restrizione
a S(Rn ); conseguentemente S = T .
Infine dimostriamo (iii). Sia T in E 0 (Rn ). Per il punto (ii) T è (identificabile, mediante
restrizione a S(Rn ) con) una distribuzione temperata. Mostriamo che T ha supporto compatto. Poiché T è in E 0 (Rn ), esistono un compatto K di Rn , un intero non negativo m e una
costante C tali che
hϕ, T i ≤ C ρK,m (ϕ)
∀ϕ ∈ E(Rn ).
In particolare, se ϕ è nulla in K, allora hϕ, T i = 0. Quindi T ha supporto contenuto in K.
D’altro canto, supponiamo che T sia una distribuzione temperata a supporto compatto;
indichiamo con K il suo supporto. Sia ψ una funzione in Cc∞ (Rn ) che vale 1 su K. Estendiamo T a E(Rn ), ponendo
D
E
ϕ, Te
E,E 0
= hψ ϕ, T iS,S 0
∀ϕ ∈ E(Rn ).
76
CHAPTER 2. DISTRIBUZIONI TEMPERATE
Notiamo che la restrizione di Te a S(Rn ) coincide con T . Infatti, se ϕ è di Schwartz, scriviamo
ϕ = ψ ϕ + (1 − ψ) ϕ. Allora ψ ϕ e (1 − ψ) ϕ sono di Schwartz e h(1 − ψ) ϕ, T i = 0, perché
(1 − ψ) ϕ è nulla sul supporto di T . Quindi
D
E
e
ϕ, T
= hψ ϕ, T iS,S 0
E,E 0
= hϕ, T iS,S 0 .
Mostriamo che Te è in E 0 (Rn ). Infatti, sia K 0 un compatto che contiene il supporto di ψ.
Allora esiste una costante C tale che
ρ0p,q (ψ ϕ) ≤ C ρK 0 ,q (ϕ) ρ0p,q (ψ).
Conseguentemente
E
D
ϕ, Te
(poiché T è in S 0 (Rn ))
E,E 0
= hψ ϕ, T i
S,S 0
≤ C ρ0p,q (ψ ϕ)
≤ C ρK 0 ,q (ϕ) ρ0p,q (ψ),
cioè Te è in E 0 (Rn ).
2
Osservazione 2.4.6 Il sottospazio delle distribuzioni temperate a supporto compatto, munito della topologia debole∗ di S 0 (Rn ), non è chiuso. Non è difficile esibire una successione di
distribuzioni temperate a supporto compatto che converge nella topologia debole∗ di S 0 (Rn )
a una distribuzione temperata non a supporto compatto.
Osservazione 2.4.7 Si verifica senza difficoltà che le operazioni di derivazione, di moltiplicazione per funzioni C ∞ e di traslazione sono continue da E 0 (Rn ) in sè.
Osservazione 2.4.8 Siano T una distribuzione a supporto compatto e ϕ una funzione di
Schwartz. In virtù del Teorema 2.4.5 T si può interpretare come la restrizione di una distribuzione temperata. Ne deduciamo che T ∗ ϕ è una funzione C ∞ (Rn ) lentamente crescente.
Si può dimostrare (vd. Esercizio alla fine della sottosezione) che T ∗ ϕ è una funzione di
Schwartz.
Definizione 2.4.9 Siano T in S 0 e S in E 0 (Rn ). Poniamo
D
E
hϕ, S ∗ T i = Se ∗ ϕ, T
∀ϕ ∈ S,
2.4. DISTRIBUZIONI A SUPPORTO COMPATTO
dove la distribuzione Se è definita da
D
E D
E
eS
ψ, Se = ψ,
77
∀ψ ∈ S.
Osservazione 2.4.10 Non è difficile verificare che la definizione precedente ha senso e
definisce una distribuzione temperata.
Esercizi
Mostrare che se T appartiene a E 0 (Rn ) e ϕ è una funzione di Schwartz, allora T ∗ ϕ è
42.
una funzione di Schwartz.
Caratterizzare le distribuzioni con supporto ridotto al solo punto x di Rn .
43.
2.4.1
Trasformata di Fourier di distribuzioni a supporto compatto
Teorema 2.4.11 Sia T in E 0 (Rn ). Valgono le affermazioni seguenti:
(i) la funzione g, definita da
g(ξ) = e−2πih·,ξi , T
∀ξ ∈ Rn ,
è una funzione C ∞ lentamente crescente;
(ii) vale la formula Tb(ξ) = e−2πih·,ξi , T per ogni ξ in Rn .
Dimostrazione.
Ragionando come nella dimostrazione della Proposizione 2.3.11 si mostra
che g è di classe C ∞ e che
Dα g(ξ) = (−2πi)|α| xα e−2πih·,ξi , T
∀ξ ∈ Rn .
Poiché T è una distribuzione a supporto compatto, esistono un compatto K e un intero non
negativo N tali che
|hϕ, T i| ≤ C
X
|β|≤N
sup Dβ ϕ(x)
∀ϕ ∈ E(Rn ).
(2.4.1)
x∈K
Nella stima precedente poniamo ϕ(x) = (−2πi x)α e−2πihx,ξi . Supponiamo, senza ledere la
generalità, che K sia B̄(0, R). A primo membro abbiamo |Dα g(ξ)|. Un calcolo elementare
78
CHAPTER 2. DISTRIBUZIONI TEMPERATE
mostra che il secondo membro della disuguaglianza precedente può essere stimato da C (1 +
R)|α| (1 + |ξ|)N , provando cosı̀ che g è lentamente crescente.
Rimane da dimostrare che g = Tb. Sia {ϕε } una successione di funzioni radiali in C ∞ (Rn )
c
che converge a δ0 in S 0 . Sia ξ in Rn ; allora τξ ϕε converge a τξ δ0 , cioè a δξ . Sia infine η una
funzione in Cc∞ (Rn ) che vale 1 sul supporto di ϕε . Poiché Tb ∗ ϕδ è una funzione C ∞ lentamente crescente
D
E Z
b
τξ ϕ ε , T ∗ ϕ δ =
τξ ϕε (x) Tb ∗ ϕδ (x) dx
n
ZR
τξ ϕε (x) η(x) Tb ∗ ϕδ (x) dx
=
n
DR
E
= η Tb ∗ ϕδ , τξ ϕε .
Poiché τξ ϕε → δξ in S 0 , possiamo concludere che
D
E
b
lim τξ ϕε , T ∗ ϕδ = η(ξ) Tb ∗ ϕδ (ξ)
ε↓0
= Tb ∗ ϕδ (ξ).
(2.4.2)
D’altro canto, essendo ϕ radiale, ϕ
e = ϕ, cosicché
E D
E
D
τξ ϕε , Tb ∗ ϕδ = τξ ϕε ∗ ϕδ , Tb
= τξ ϕε ∗ ϕδ b, T
= τξ ϕε b ϕδ b, T .
Ora, siccome τξ ϕε → δξ in S 0 e la trasformata di Fourier è continua da S 0 in sè, τξ ϕε b →
e−2πih·,ξi in S 0 . Inoltre,
τξ ϕε b ϕδ b → e−2πih·,ξi ϕδ b
in S al tendere di ε a 0. Quindi
D
E lim τξ ϕε , Tb ∗ ϕδ = e−2πih·,ξi ϕδ b, T .
ε↓0
Dalla precedente e dalla formula (2.4.2) ricaviamo che
Tb ∗ ϕδ (ξ). = e−2πih·,ξi ϕδ b, T
∀ξ ∈ Rn .
Ora, e−2πih·,ξi ϕδ b converge a e−2πih·,ξi in E(Rn ) al tendere di δ a 0, e quindi
e−2πih·,ξi ϕδ b, T → e−2πih·,ξi , T
∀ξ ∈ Rn .
(2.4.3)
2.4. DISTRIBUZIONI A SUPPORTO COMPATTO
79
Affermiamo che questa convergenza è non solo puntuale, ma anche limitata sui limitati. Dimostreremo questa affermazione in seguito. Ora, la convergenza limitata sui limitati implica
la convergenza in S 0 (utilizzare il teorema di convergenza dominata). Perciò
lim ψ, e−2πih·,ξi ϕδ b, T = ψ, e−2πih·,ξi , T
δ→0
D’altro canto
lim ψ, e
−2πih·,ξi
δ→0
∀ψ ∈ S.
D
E
b
ϕδ b, T = lim ψ, T ∗ ϕδ
δ→0
D
E
= lim ψ ∗ ϕδ , Tb
δ→0
D
E
= ψ, Tb
∀ψ ∈ S,
da cui ricaviamo che
E
D
ψ, e−2πih·,ξi , T = ψ, Tb
∀ψ ∈ S,
come richiesto.
Rimane da dimostrare che la convergenza in (2.4.3) è limitata sui limitati. Riprendiamo
la formula (2.4.1), inserendo e−2πih·,ξi ϕδ b al posto di ϕ e permettendo a ξ di variare in un
insieme limitato E e δ in (0, 1). Utilizzando la regola di Leibnitz, si verifica che esiste un
intero q tale che
sup sup e−2πih·,ξi ϕδ b, T ≤ C ρ0,q (ϕ),
b
δ∈(0,1) ξ∈E
mostrando cosı̀ che la convergenza è limitata sui limitati e concludendo la dimostrazione
2
della proposizione.
Utilizzando questo risultato possiamo dimostrare un teorema di struttura per distribuzioni
a supporto compatto.
Teorema 2.4.12 Sia T in E 0 (Rn ). Allora esistono una costante non negativa N e una
funzione G in C0 (Rn ) ∩ L2 (Rn ) tali che
T = (1 − ∆)N G,
dove ∆ indica il laplaciano ordinario in Rn .
Dimostrazione.
Per la parte (i) del teorema precedente Tb è una funzione liscia lentamente
crescente. Sia N un intero non negativo tale che ξ 7→ (1 + 4π 2 |ξ|2 )−N Tb(ξ) sia in L1 (Rn ) (e
80
CHAPTER 2. DISTRIBUZIONI TEMPERATE
quindi, a fortiori, in L2 (Rn )). Indichiamo con g questa funzione e con G la sua trasformata
di Fourier inversa. Allora G è in C0 (Rn ) ∩ L2 (Rn ) e abbiamo la formula
(1 − ∆)N G = T,
2
come richiesto.
Osservazione 2.4.13 Sia T una distribuzione a supporto compatto. Allora Tb si estende a
una funzione intera.
Per il teorema precedente Tb(ξ) = e−2πih·,ξi , T . Sia ζ = ξ + iη; poniamo
Tb(ζ) = e−2πih·,ζi , T ,
dove h·, ·i indica l’estensione del prodotto scalare euclideo in Rn a un prodotto bilineare
in Cn . La funzione cosı̀ definita su Cn estende Tb.
Per mostrare che Tb è intera è sufficiente mostrare che verifica le equazioni di Cauchy–
Riemann. Ciò equivale a mostrare che per ogni j in {1, . . . , n} la funzione
ζj 7→ Tb(ζ1 , . . . , ζj , . . . , ζn )
è una funzione intera della variabile complessa ζj . Un calcolo diretto mostra che ∂ζ j Tb = 0,
come richiesto.
Il seguente importante risultato descrive le distribuzioni con supporto ridotto al solo {0}.
Teorema 2.4.14 Una distribuzione T ha supporto {0} se e solo se esistono un intero non
negativo N e costanti cα tali che
T =
X
cα Dα δ0 .
|α|≤N
Dimostrazione.
Siano ψ una funzione radiale in Cc∞ (Rn ) che vale 1 su B(0, 1), e I un
multiindice.
Mostriamo che xI ψ ε , T non dipende da ε in R+ .
0
Infatti, dati ε e ε0 in R+ la funzione x 7→ xI ψ ε (x) − ψ ε (x) è di Schwartz ed è nulla in
0
un intorno di 0. Poiché T ha supporto ridotto a 0, xI ψ ε − ψ ε , T = 0, cioè
I ε D I ε0 E
x ψ ,T = x ψ ,T ,
2.4. DISTRIBUZIONI A SUPPORTO COMPATTO
81
come richiesto.
Mostriamo che se |I| è abbastanza grande, allora xI ψ ε , T = 0 per ogni ε in R+ .
Poiché T è una distribuzione temperata, esistono due interi non negativi p e q e una
costante C tali che
|hϕ, T i| ≤ C ρ0p,q (ϕ)
∀ϕ ∈ S.
(2.4.4)
Poniamo ϕ = xI ψ ε in questa disuguaglianza. Come abbiamo dimostrato sopra, il primo
membro non dipende da ε; calcoliamo il limite per ε che tende a ∞ del secondo membro.
Siano α e β multiindici tali che |α| ≤ p e |β| ≤ q. Allora
X
ρα,β (xI ψ ε ) = sup xα
cγ,δ xI−γ Dδ (ψ ε )(x)
x∈Rn
γ+δ=β,δ≤I
≤ ε|β|−|I|−|α| ρ0p+|I|,q (ψ).
Ora, se |I| > q l’esponente di ε nell’ultima riga della formula precedente è negativo. Perciò
lim ρ0p,q (xI ψ ε ) = 0
ε→∞
che implica xI ψ ε , T = 0 per ogni ε in R+ , come richiesto.
La trasformata di Fourier di T è un polinomio di grado al più q. Indichiamo con pI il
monomio (2πix)I . Allora
0 = hpI ψ ε , T i
D
E
= F(pI ψ ε ), Tb
D
E
b ε , Tb
= (−1)|I| DI (ψ)
D
E
Ib
b
= (ψ)ε , D T .
Per l’Osservazione 2.4.13 sappiamo che Tb è una funzione intera, la cui restrizione a Rn
è lentamente crescente; tale è quindi anche DI Tb. Osserviamo anche che ψb ha integrale
R
uguale a 1, perché ψ(0) = 1. L’ultima riga della formula precedente è Rn ψbε (x) DI Tb(x) dx.
R
Cambiando variabili e usando il fatto che n φb = 1, otteniamo che essa è uguale a
R
Z
I ε
b
ψ(x)
(D Tb) (x) − (DI Tb)(0) dx + (DI Tb)(0).
Rn
In virtù del teorema di convergenza dominata questo integrale tende a 0 al tendere di ε a
0+ . Concludiamo che DI F(T )(0) = 0 per ogni I tale che |I| > q. Essendo F(T ) intera, essa
82
CHAPTER 2. DISTRIBUZIONI TEMPERATE
è un polinomio di grado al più q, cioè
X
F(T )(x) =
c0I xI
∀x ∈ Rn .
|I|≤q
Antitrasformando otteniamo T =
2.5
P
|I|≤q cI
2
DI δ0 , come richiesto.
Operatori differenziali a coefficienti costanti
Definizione 2.5.1 Siano N in N∗ e P il polinomio
P (x) =
X
aα x α .
|α|≤N
Indichiamo con P (D) l’operatore differenziale definito da
P (D)f =
X
aα Dα f.
|α|≤N
Il simbolo di T è il polinomio σ, definito da σ(y) = P (2πiy). Il simbolo principale di T
è il polinomio omogeneo σN , definito da
σN (y) =
X
aα (2πiy)α .
|α|=N
Osservazione 2.5.2 Notiamo che se f è di Schwartz
Z
P (D)f (x) =
σ(y) fb(y) e2πix·y dy
∀x ∈ Rd .
Rd
Questa formula giustifica la definizione di simbolo di P (D) data nella Definizione 2.5.1.
Osservazione 2.5.3 L’operatore P (D) è continuo su S(Rd ).
Osservazione 2.5.4 Sia T in S 0 (Rn ). Allora
hϕ, P (D)T i = hP (−D)ϕ, T i
∀ϕ ∈ S(Rn ).
Per linearità è sufficiente mostrare che per ogni multiindice α
hϕ, Dα T i = h(−D)α ϕ, T i
∀ϕ ∈ S(Rn ).
(2.5.1)
2.5. OPERATORI DIFFERENZIALI A COEFFICIENTI COSTANTI
83
Ma, per definizione di derivata di T ,
hϕ, Dα T i = (−1)|α| hDα ϕ, T i
∀ϕ ∈ S(Rn ).
La tesi segue dall’ovvia formula (−1)|α| Dα = (−D)α .
Osservazione 2.5.5 Sia R una rotazione di Rn . Osserviamo che
(P ◦ R)(−D) = (P̌ ◦ R)(D),
(2.5.2)
dove P̌ (x) = P (−x). Infatti
∀x ∈ Rn .
(P ◦ R)(−x) = P R(−x) = P (−Rx) = (P̌ ◦ R)(x)
Osservazione 2.5.6 Siano R una rotazione di Rn e u una funzione in C ∞ (Rn ). Allora
(P ◦ R)(D) u ◦ R−1 = (P (D)u) ◦ R−1 .
(2.5.3)
Indichiamo con {rj,k } gli elementi della matrice di R rispetto alla base canonica di Rn .
Supponiamo dapprima che P (x) = xj per qualche j in {1, . . . , n}. Allora
(P ◦ R)(x) = (Rx)j ,
dove indichiamo con (Rx)j la j-esima componente del vettore Rx. Notiamo che
(Rx)j =
n
X
rj,k xk .
k=1
Quindi
(P ◦ R)(D) u ◦ R
−1
(x) =
n
X
rj,k ∂k u ◦ R−1 (x)
k=1
=
n
X
k=1
rj,k
n
X
∂h u (R−1 x) rh,k .
h=1
L’ultima uguaglianza segue dalla regola di derivazione delle funzioni composte e dal fatto
che R−1 = Rt , perché R è ortogonale. Ora scambiamo le due sommatorie, ottenendo
(P ◦ R)(D) u ◦ R
−1
(x) =
n
X
h=1
−1
∂h u (R x)
n
X
k=1
rj,k rh,k .
84
CHAPTER 2. DISTRIBUZIONI TEMPERATE
La sommatoria interna rappresenta il prodotto scalare tra le righe j-esima e h-esima della
matrice di R. Essendo R ortogonale, tale prodotto scalare vale δj,h (simbolo di Kronecker).
Otteniamo perciò
(P ◦ R)(D) u ◦ R−1 (x) = ∂j u (R−1 x),
che è il risultato desiderato nel caso particolare in cui P (x) = xj .
Il caso generale segue dalla ripetuta applicazione della formula ottenuta in questo caso
particolare.
2.5.1
Soluzioni fondamentali: casi particolari
In questo paragrafo mostreremo che alcuni operatori della forma P (D) ammettono soluzioni
fondamentali che sono distribuzioni temperate.
Definizione 2.5.7 Sia P (D) un operatore differenziale a coefficienti costanti. Una distribuzione temperata E si chiama soluzione fondamentale (temperata) di P (D) se
P (D)E = δ0 .
Osservazione 2.5.8 Osserviamo che se E è una soluzione fondamentale di P (D) e f è una
distribuzione temperata per la quale la convoluzione E ∗ f ha senso, allora E ∗ f è soluzione
dell’equazione P (D)u = f , perché
P (D)(E ∗ f ) = (P (D)E) ∗ f
= δ0 ∗ f
= f.
Tutte le uguaglianze precedenti sono nel senso delle distribuzioni.
Quindi l’esistenza di una soluzione fondamentale temperata di P (D) implica un teorema
di esistenza generale per soluzioni dell’equazione P (D)u = f .
Osservazione 2.5.9 La formula (2.3.8) mostra che la distribuzione xk−1
+ /(k − 1)! è una
soluzione fondamentale dell’operatore Dk in dimensione 1.
In virtù della formula (2.3.9), il potenziale newtoniano (1/(n − 2) |Sn−1 |) r2−n è una
soluzione fondamentale del laplaciano in dimensione ≥ 3. Il caso n − 2 sarà trattato in
seguito.
2.5. OPERATORI DIFFERENZIALI A COEFFICIENTI COSTANTI
85
Osservazione 2.5.10 Nel caso unidimensionale è relativamente semplice mostrare che ogni
operatore differenziale a coefficienti costanti ammette una soluzione fondamentale temperata.
L’analogo risultato multidimensionale, noto come Teorema di Malgrange–Ehrenpreis, verrà
dimostrato in seguito (Teorema 3.3.20).
Supponiamo che P abbia grado almeno due e consideriamo la funzione razionale 1/σ,
dove σ indica il simbolo di P (D). Se σ non ha zeri reali, poniamo
Z ∞
1 2πitx
K(t) =
e
dx
∀t ∈ R.
−∞
σ(x)
Se σ ha zeri reali questa formula non ha più senso. Sia ε in R+ tale che 4ε è la minima
distanza fra due zeri qualunque di σ. Siano x1 , . . . , xN gli zeri reali distinti di σ in ordine
crescente. Indichiamo con γj∗ la semicirconferenza di centro xj e raggio ε contenuta nel
semipiano inferiore. Sia γj una curva regolare che ha per sostegno γj∗ (percorsa in senso
antiorario). Siano β1 , β2 , . . . , βN , βN +1 le curve regolari che hanno per sostegno la semiretta
(−∞, x1 − ε], i segmenti [x1 + ε, x2 − ε], . . . , [xN −1 + ε, xN − ε] e la semiretta [xN + ε, ∞),
rispettivamente. Infine, sia
Γ = β1 + γ1 + β2 + γ2 + . . . + βN + γN + βN +1 .
e una curva dello stesso tipo di Γ, nella quale le semicirconferenze γj sono
Indichiamo con Γ
sostituite dalle semicirconferenze γ
ej che hanno il medesimo centro e raggio delle γj ma sono
contenute nel semipiano superiore. Definiamo K mediante la formula
Z
1 2πitz
K(t) =
e
dz
∀t ∈ R.
Γ
σ(z)
Mostreremo che K è la soluzione fondamentale cercata.
Mostriamo che K è una funzione limitata in (−∞, 0]. Infatti, poiché σ ha grado almeno
due, essa è integrabile sui segmenti β1 , . . . , βN +1 . Inoltre l’esponenziale z 7→ e2πitz ha ivi
modulo 1. Poiché le semicirconferenze γj sono contenute nel semipiano inferiore, la parte
reale di itz è negativa al variare di t in (−∞, 0] e di z su γj ; conseguentemente l’esponenziale
z 7→ e2πitz ha ivi modulo al più 1.
Mostriamo che K è una funzione a crescita al più polinomiale in [0, ∞). Per il teorema
dei residui, abbiamo
Z
Γ
1 2πitz
e
dz =
σ(z)
Z
e
Γ
N
X
1 2πitz
e
dz + 2πi
Res(ft ; xj ),
σ(z)
j=1
∀t ∈ R.
86
CHAPTER 2. DISTRIBUZIONI TEMPERATE
dove abbiamo indicato con ft la funzione z 7→ σ(z)−1 e2πitz . Se xj è uno zero di ordine k,
Res(ft ; xj ) = e2πitxj lim (z − xj )k
z→xj
= cj e
2πitxj k−1
1 (2πit)k−1
σ(z) (k − 1)!
∀t ∈ R+ ,
t
dove cj non dipende da t. Con ragionamento analogo a quello fatto in precedenza per
R
l’integrale su Γ si mostra che t 7→ Γe σ(z)−1 e2πitz dz è una funzione limitata in R+ , da cui
segue la desiderata stima polinomiale di K.
Abbiamo dimostrato che K è una distribuzione temperata.
Mostriamo che K è una soluzione fondamentale di P (D). Sia ϕ in Cc∞ (R). Abbiamo
hϕ, P (D)Ki = P (D)t ϕ, K
Z
Z
1 2πitz
t
=
dt P (D) ϕ(t)
e
dz
R
Γ σ(z)
Z
Z
1
=
dz
P (D)t ϕ(t) e2πitz dt;
σ(z)
Γ
R
l’ultima uguaglianza segue dal teorema di Fubini. Ora, integrando per parti nell’integrale
interno, otteniamo
Z
Z
hϕ, P (D)Ki =
dz
Γ
La funzione z 7→
R
R
ϕ(t) e2πitz dt.
R
ϕ(t) e2πitz dt è intera per il teorema di Morera. Per il teorema dell’inte-
grale nullo di Cauchy possiamo modificare il cammino di integrazione, ottenendo cosı̀
Z
Z
hϕ, P (D)Ki =
dz
ϕ(t) e2πitz dt
R
ZR
=
ϕ(z)
b dz
R
= ϕ(0)
= hϕ, δ0 i .
Ricordiamo che abbiamo supposto ϕ in Cc∞ (R). Per la Proposizione 2.2.8 (iii) Cc∞ (R) è
denso in S (nella topologia di S). Un argomento di densità mostra che
hϕ, P (D)Ki = hϕ, δ0 i
cioè che P (D)K = δ0 , come richiesto.
∀ϕ ∈ S,
2.5. OPERATORI DIFFERENZIALI A COEFFICIENTI COSTANTI
87
Osservazione 2.5.11 Sia P un polinomio a coefficienti costanti in una variabile. Consideriamo l’operatore differenziale P (∂1 ) in Rn . Sia K una soluzione fondamentale dell’operatore
P (D) su R (vd. l’osservazione precedente). Allora la distribuzione temperata K ⊗δ0 ⊗· · ·⊗δ0
(n − 1 delta di Dirac) definita da
hϕ, K ⊗ δ0 ⊗ · · · ⊗ δ0 i = hϕ(·, 0, . . . , 0), Ki
∀ϕ ∈ S(Rn )
è una soluzione fondamentale di P (∂1 ).
Osservazione 2.5.12 Sia P (D) un operatore a coefficienti costanti. Supponiamo che il
suo simbolo σ sia tale che 1/σ è una funzione in L1loc (Rn ). Allora 1/σ è una distribuzione
temperata e la sua antitrasformata di Fourier E è una soluzione fondamentale di P (D).
Infatti
F P (D)E = σ F(E)
= 1,
da cui, antitrasformando, P (D)E = δ0 .
Notiamo che se 1/σ non è localmente integrabile non c’è un modo evidente di ripetere il
ragionamento precedente.
Osservazione 2.5.13 Applichiamo il metodo delineato nell’Osservazione 2.5.12 all’operatore del calore ∂t − ∆x , dove t è una variabile reale e ∆x è il laplaciano ordinario in Rn ,
rispetto alle variabili spaziali x. Troveremo che una soluzione fondamentale (temperata) di
∂t − ∆x è la funzione localmente integrabile E, definita da
E(t, x) = 1R+ (s) (4πs)−n/2 e−|x|
2
/(4s)
∀(s, x) ∈ R × Rn .
Il simbolo di ∂t − ∆x è il polinomio σ, definito da
σ(τ, ξ) = 2πiτ + 4π 2 |ξ|2 .
Verifichiamo che σ è localmente integrabile in Rn+1 . Poiché σ è singolare solo in (0, 0), è
sufficiente mostrare che σ è integrabile in un intorno di (0, 0). Sia Q l’intorno dell’origine
definito da
{(τ, ξ) ∈ R × Rn : |τ | < 1, |ξ| < 1}.
Integrando dapprima in coordinate polari in Rn vediamo che
Z
Z
1
rn−1
dτ dξ = ωn−1
dτ dr,
0
Q |σ(τ, ξ)|
Q0 |σ (τ, r)|
88
CHAPTER 2. DISTRIBUZIONI TEMPERATE
dove abbiamo posto
Q0 = {(τ, r) ∈ R × R : |τ | < 1, 0 < r < 1}
e
σ 0 (τ, r) = 2πiτ + 4π 2 r2 .
Per simmetria, è sufficiente stimare
Z 1/r2
Z 1Z 1
Z 1
1
rn−1
n−1
dr
r
dτ
dr
=
dv
2
2 4 1/2
(v 2 + 4π 2 )1/2
0
0
0 (τ + 4π r )
0
Z 1
rn−1 |log r| dr,
≤C
0
che è finito per ogni n ≥ 1. L’uguaglianza nella formula precedente segue dal cambio di
variabili τ = r2 v.
Perciò una soluzione fondamentale dell’operatore del calore è data dall’antitrasformata
di Fourier di 1/σ.
Per ogni ε in R+ consideriamo la funzione σε , definita da
σε (τ, ξ) = σ(τ, ξ) + 2πε
∀(τ, ξ) ∈ R × Rn .
Osserviamo che |σε |−1 ≤ |σ|−1 e che 1/σε converge puntualmente a 1/σ. Questa osservazione
permette di concludere che 1/σε converge a 1/σ in S 0 .
Infatti, per ogni ϕ in S(Rn+1 ) la funzione |ϕ/σ| è una maggiorante integrabile delle
funzioni ϕ/σε . Quindi
Z
ϕ(τ, ξ)
dτ dξ
Rn+1 σε (τ, ξ)
Z
ϕ(τ, ξ)
→
dτ dξ
Rn+1 σ(τ, ξ)
hϕ, 1/σε i =
= hϕ, 1/σi ,
dove la relazione di limite è conseguenza dell’osservazione precedente e del teorema di convergenza dominata.
Osserviamo che se ξ 6= 0
1
=
σε (τ, ξ)
Z
∞
e−2πiτ s−2πε s e−4π
2 |ξ|2
s
ds.
0
Per ogni s > 0 fissato la trasformata di Fourier della funzione ξ 7→ e−4π
2 |ξ|2
−n/2 −|x|2 /(4s)
vazione 2.2.11 e Proposizione 2.2.10 (iv)) la funzione x 7→ (4πs)
perciò
1
=
σε (τ, ξ)
Z
∞
ds e
0
−2π(ε+iτ ) s
Z
Rn
e−2πix·ξ (4πs)−n/2 e−|x|
e
2
/(4s)
dx.
s
è (Osser-
. Abbiamo
2.5. OPERATORI DIFFERENZIALI A COEFFICIENTI COSTANTI
L’integrale doppio a secondo membro è assolutamente convergente e quindi
Z ∞Z
2
1
=
e−2πε s e−2πi(τ s+x·ξ) 1R+ (s) (4πs)−n/2 e−|x| /(4s) ds dx.
σε (τ, ξ)
0
89
(2.5.4)
Rn
Indichiamo con E(s, x) il numero 1R+ (s) (4πs)−n/2 e−|x|
2
/(4s)
. Poiché (s, x) 7→ e−2πε s E(s, x)
è in L1 (Rn+1 ), l’integrale doppio nella formula precedente è la sua trasformata di Fourier.
Notiamo che limε↓0 e−2πε s E = E in S 0 . Infatti, E ∈ L1loc (Rn+1 ) cresce poco; perciò E η
appartiene a L1 (Rn+1 ) per ogni η in S(Rn+1 ). L’affermazione richiesta segue dal teorema di
convergenza dominata. Quindi, essendo F continua da S 0 in S 0 ,
lim F e−2πε s E = FE
ε↓0
in S 0 . D’altra parte per (2.5.4) abbiamo
F e−2πε (·) E = 1/σε ,
che abbiamo mostrato tendere a 1/σ in S 0 . Perciò F(E) = 1/σ.
Osservazione 2.5.14 Consideriamo i seguenti operatori differenziali in R2
∂ = ∂x − i ∂y
e
∂ = ∂x + i ∂y .
Osserviamo che, posto z = x + iy, il simbolo di ∂ è il monomio 2πiz. Poiché la funzione
z 7→ 1/z è localmente integrabile, una soluzione fondamentale di ∂ è data dalla trasformata
di Fourier inversa di 1/(2πiz).
Mostriamo che tale trasformata inversa è 1/(2πz). Notiamo anche che la funzione 1/z
non appartiene a Lp (R2 ) per alcun p in [1, ∞]. Indichiamo con T la distribuzione su R2 associata alla funzione localmente integrabile 1/z. Indichiamo con ψ una funzione in S tale che
kψk1 = 1, e con ψε la sua dilatata e normalizzata in L1 (R2 ). Per la definizione di convoluzione
e le proprietà della trasformata di Fourier inversa ( in particolare la Proposizione 2.2.8 (ii)),
possiamo scrivere
ϕ, F −1 T = lim ψε ∗ ϕ, F −1 T
ε→0
= lim F −1 (ψε ∗ ϕ), T
ε→0
= lim F −1 ψε F −1 ϕ, T
ε→0
= lim F −1 ϕ, F −1 ψε T
ε→0
= lim ϕ, F −1 (F −1 ψε T )
ε→0
90
CHAPTER 2. DISTRIBUZIONI TEMPERATE
Scegliamo ψ(ξ, η) = e−π (ξ
2 +η 2 )
. Dall’Osservazione 2.2.11 deduciamo che
2
(F −1 ψε )(x, y) = (F −1 ψ)ε (x, y) = e−πε
(x2 +y 2 )
Poiché (F −1 ψ)ε T è in L1 (R2 ), l’antitrasformata di (F −1 ψε ) T nel punto (ξ, η) è data da
Z
2
2
2
1
e−πε (x +y )+2πi (xξ+yη) dx dy.
R2
x + iy
Scriviamo x + iy = ρ eiθ e ξ + iη = σ eiφ . Cambiando variabili, otteniamo
Z 2π Z ∞
2 2
e−iθ e−πε ρ +2πiσρ cos(θ−φ) dρ dθ.
0
0
Cambiamo ancora variabili (σρ = v e θ − φ = β); questo integrale si trasforma in
Z 2π Z ∞
1
2
2
2
e−iβ e−π(ε /σ ) v +2πiv cos β dv dβ.
iφ
σe
0
0
Per concludere il calcolo della trasformata inversa di 1/z è sufficiente mostrare che il limite
per ε che tende a 0+ dell’integrale doppio nella formula precedente vale −1/i.
Scriviamo e−iβ = cos β − i sin β nell’integrale doppio; sfruttando la linearità dell’integrale
siamo condotti a considerare due integrali doppi con cos β e con sin β al posto di e−iβ ,
rispettivamente. L’integrale con sin β vale 0, come semplici considerazioni di simmetria
mostrano. Invece
Z 2π Z ∞
Z
−π(ε2 /σ 2 ) v 2 +2πiv cos β
cos β e
dv dβ =
0
0
2π
Z
dβ
0
∞
2 /σ 2 ) v 2
e−π(ε
0
1
Dv [e2πiv cos β ] dv.
2πi
Integrando per parti nell’integrale interno otteniamo
Z 2π
Z ∞
2
2
2
ε2
1
− − 2
dβ
v e−π(ε /σ ) v e2πiv cos β dv,
i
iσ
0
0
che, con il cambiamento di variabile (ε/σ) v = w, si trasforma in
Z 2π
Z ∞
2
1
1
− −
dβ
w e−π w e2πiσ(w/ε) cos β dw.
i
La funzione β 7→
R∞
0
we
−π w2
i
e
0
0
2πiσ(w/ε) cos β
dw è limitata e converge puntualmente a 0 quasi
ovunque al tendere di ε a 0+ , perché la trasformata di Fourier della funzione integrabile
2
w 7→ w e−π w 1R+ (w) su R appartiene a C0 (R) (vd. Corollario 2.2.15). Per il teorema di
convergenza dominata (rispetto alla variabile β) l’integrale doppio della formula precedente
converge a 0 al tendere di ε a 0+ , concludendo la dimostrazione.
Osservazione 2.5.15 Utilizziamo le notazioni dell’esempio precedente. Osserviamo che
∂∂ = ∂∂ = ∆ (laplaciano in R2 ) e che ∂ log |z| = 1/z. Quindi (1/2π) ∆ log |z| = δ0 , cioè
z 7→ (1/2π) log |z| è una soluzione fondamentale di ∆.
2.5. OPERATORI DIFFERENZIALI A COEFFICIENTI COSTANTI
91
Esercizi
44.
Dimostrare le affermazioni contenute nell’Osservazione 2.5.11
45.
Determinare una soluzione fondamentale dell’operatore ∂ 2 /∂1 ∂2 in R2 .
46.
Calcolare, utilizzando il metodo contenuto nell’Osservazione 2.5.10, una soluzione
fondamentale dell’operatore Dk in R. (Traccia: modificando opportunamente il cammino
R
di integrazione mostrare che Γ z −k e2πitz dz = 0 per ogni t < 0). Analoga questione riferita
all’operatore D3 + D.
92
CHAPTER 2. DISTRIBUZIONI TEMPERATE
Chapter 3
Distribuzioni
3.1
Limite induttivo stretto
Definizione 3.1.1 Supponiamo che X sia uno spazio vettoriale (complesso). Sia {Xn } una
successione di sottospazi di X con le proprietà seguenti:
(i) Xn ⊂ Xn+1 ;
(ii) X =
S∞
n=1
Xn ;
(iii) ogni Xn è munito di una topologia di spazio localmente convesso con la proprietà che
la restrizione a Xn della topologia di Xn+1 coincide con la topologia di Xn .
Indichiamo con BX la famiglia di tutti gli insiemi U convessi, bilanciati e assorbenti di X
tali che U ∩ Xn è aperto in Xn per ogni n.
Teorema 3.1.2 Siano X, Xn e BX come nella definizione precedente. Valgono le affermazioni seguenti:
(i) la famiglia BX è una base di intorni di 0 per una topologia τX di spazio localmente
convesso su X;
(ii) τX è la topologia di spazio localmente convesso più fine rispetto alla quale tutte le
inclusioni Xn → X sono continue;
(iii) la restrizione di τX a Xn coincide con la topologia originaria di Xn ;
93
94
CHAPTER 3. DISTRIBUZIONI
(iv) se ogni Xn è completo rispetto alla topologia di Xn , allora X è completo rispetto alla
topologia τX ;
(v) se ogni Xn è un sottospazio proprio di Xn+1 , allora τX non è metrizzabile;
(vi) se ogni Xn è chiuso in Xn+1 , rispetto alla topologia di Xn+1 , allora Xn è chiuso in X
rispetto a τX .
Dimostrazione.
2
Vedi [RS] oppure [Ru2].
Definizione 3.1.3 Lo spazio localmente convesso X con la topologia τX , definita nel teorema precedente, si chiama limite induttivo stretto degli spazi Xn .
Osservazione 3.1.4 Consideriamo Cc∞ (Ω) munita della topologia τ introdotta nell’EsemS
pio 1.2.29. Notiamo che Cc∞ (Ω) = N Cc∞ (KN ), dove KN è una successione di compatti in
S
Ω tali che Ω = N KN e KN ⊂ KN +1 . La topologia τ , ristretta a Cc∞ (KN ), coincide con la
topologia naturale τKN di Cc∞ (KN ) generata dalle seminorme {ρKN ,m } definite da
ρKN ,m (f ) = max max |Dα f (x)| .
|α|≤m x∈KN
Tuttavia τ non è la topologia di limite induttivo stretto generata dalle topologie τKN . Infatti,
se lo fosse, per il teorema precedente Cc∞ (Ω) dovrebbe essere completo, mentre abbiamo
mostrato nella Proposizione 1.4.7 (iii) che non lo è.
Proposizione 3.1.5 Sia X il limite induttivo stretto degli spazi localmente convessi {Xn :
n ∈ N}. Siano Y uno spazio localmente convesso e T : X → Y un’applicazione lineare. Le
affermazioni seguenti sono equivalenti:
(i) T è continua;
(ii) ciascuna delle restrizioni T|Xn è continua.
Dimostrazione.
Se T è continua, allora ciascuna delle restrizioni T|Xn è continua.
Dimostriamo che (ii) implica (i). Basta dimostrare che T è continua in 0. Siano U(0Y )
una base di intorni convessi e bilanciati di 0Y e U in U(0Y ). È facile verificare che T −1 U è
un insieme convesso e bilanciato. Per ipotesi T|−1
U è aperto in Xn . Osserviamo che
X
n
(T −1 U ) ∩ Xn = T|−1
U.
X
n
Quindi T −1 U è un aperto in X e T è continua.
2
3.1. LIMITE INDUTTIVO STRETTO
95
Proposizione 3.1.6 Sia X il limite induttivo stretto dei suoi sottospazi {Xn }. Assumiamo
che Xn sia un sottospazio chiuso proprio di Xn+1 . Sia {fN } una successione in X. Le
seguenti affermazioni sono equivalenti:
(i) {fN } converge a f nella topologia τX ;
(ii) esiste n tale che {fN } è contenuta in Xn e {fN } converge a f nella topologia di Xn .
Dimostrazione.
Poiché τX è invariante per traslazioni possiamo supporre che f sia 0X .
Poiché le inclusioni Jn : Xn → X sono continue, (ii) implica (i).
Dimostriamo che (i) implica (ii). Procediamo per assurdo. Se {fN } non fosse contenuta in
alcun Xn , esisterebbero due successioni crescenti Nj e nj tale che fNj appartiene a Xnj+1 \Xnj .
Poiché Xnj è un sottospazio chiuso di Xnj+1 per ipotesi, allora lo è di X per il Teorema 3.1.2 (iv). Per il teorema di Hahn–Banach esiste un funzionale lineare continuo Fj su
X, nullo su Xnj , e tale che
Fj (fNj ) = j −
j−1
X
Fk (fNk ).
k=0
Sia F il funzionale definito da
F =
∞
X
Fk
k=0
Notiamo che F è lineare e τX -continuo, per la Proposizione 3.1.5. Infatti, per ogni intero
positivo n la sua restrizione a Xn è una somma finita di funzionali lineari continui. Poiché
fN → 0 in τX , abbiamo che F (fN ) → 0 al tendere di N a ∞, e, a fortiori, F (fNj ) → 0 al
tendere di j a ∞. Tuttavia
F (fNj ) =
j
X
Fk (fNj )
k=0
=j−
j−1
X
k=0
Fk (fNk ) +
j−1
X
Fk (fNk )
k=0
=j
che tende a ∞, al tendere di j a ∞.
2
96
CHAPTER 3. DISTRIBUZIONI
Esercizi
1. Mostrare che se X è il limite induttivo stretto di spazi di Fréchet, allora X è bornologico
(di Mackey).
2.
Indichiamo con Xn lo spazio L2 (Bn ), dove Bn indica la palla di centro 0 e raggio n.
Sia X il limite induttivo stretto degli spazi Xn . Determinare il duale di X.
3.2
Distribuzioni e loro prime proprietà
Definizione 3.2.1 Sia Ω un aperto di Rn . Siano {VN } come nel Teorema 1.2.24 e poniamo
KN := V N . Allora {KN } è una successione di compatti contenuti in Ω tali che KN ⊂ KN +1
(inclusione propria) e
[
KN = Ω.
N
Indichiamo con D(Ω) il limite induttivo stretto degli spazi DKN (Ω); ricordiamo che la topologia di spazio localmente convesso convesso su DKN (Ω) è quella indotta dalla famiglia numerabile di seminorme {ρm,KN }m∈N , dove
ρm,KN (f ) = max max |Dα f (x)| ,
|α|≤m x∈KN
e m è un intero non negativo. Scriveremo D invece di D(Rn ).
Osservazione 3.2.2 In virtù della Proposizione 3.1.6 una successione di funzioni {fj } in
D converge a f se e solo se tutte le funzioni fj hanno supporto in un medesimo compatto
KN e Dα fj converge uniformemente a Dα f per ogni multiindice α.
Osservazione 3.2.3 Si può dimostrare, utilizzando il fatto che ciascuno dei sottospazi
DK (Ω) è di Fréchet (vd. Osservazione 1.3.9), che D(Ω) è bornologico; un operatore lineare
T da D(Ω) in uno spazio localmente convesso Y è continuo se e solo se trasforma insiemi
limitati in insiemi limitati.
Definizione 3.2.4 Sia Ω un aperto in Rn . Una distribuzione in Ω è un funzionale lineare
continuo su D(Ω). Il duale topologico di D(Ω), cioè lo spazio dei funzionali lineari continui
su D(Ω) verrà indicato con D0 (Ω). Scriveremo D0 invece di D0 (Rn ).
Considereremo su D0 (Ω) la topologia debole σ D0 (Ω), D(Ω) .
3.2. DISTRIBUZIONI E LORO PRIME PROPRIETÀ
97
Osservazione 3.2.5 In virtù della Proposizione 3.1.5 un funzionale lineare T su D(Ω) è
continuo se e solo per ogni compatto K in Ω la sua restrizione a DK (Ω) è continua; ciò accade
se e solo se per ogni compatto K in Ω esistono una costante C e un intero non negativo m
( che dipendono da T e da K) tali che
|hϕ, T i| ≤ C ρm,K (ϕ)
∀ϕ ∈ DK (Ω).
(3.2.1)
Osservazione 3.2.6 Sia T un funzionale lineare su D(Ω) che gode della proprietà seguente:
per ogni successione {ϕn } di funzioni in D(Ω) che converge a 0 in D(Ω) la successione {T ϕn }
converge a 0 (in C). Allora T è in D0 (Ω).
In virtù della Proposizione 3.1.5 è sufficiente mostrare che per ogni compatto K in Ω la
restrizione di T a DK (Ω) è continua. Per la linearità di T è sufficiente mostrare che tale
restrizione è continua in 0. Poiché DK (Ω) è di Fréchet, in particolare metrizzabile, T|DK (Ω)
è continuo in 0 se e solo se T|DK (Ω) ϕn → 0 per ogni successione {ϕn } di elementi di DK (Ω)
che converge a 0 nella topologia di DK (Ω). Ma se {ϕn } è una tale successione allora essa
converge a 0 in D(Ω); conseguentemente {T ϕn } converge a 0 per ipotesi.
Osservazione 3.2.7 Le inclusioni (proprie) seguenti
D ⊂ S ⊂ S 0 ⊂ D0
sono continue.
La seconda inclusione, nonché la sua continuità, sono già state dimostrate nel capitolo
precedente.
È evidente che D ⊂ S. Sia J l’inclusione di D in S. Mostriamo che J è continua.
Per la Proposizione 3.1.5 è sufficiente mostrare che la restrizione di J a DKN (Ω) è continua. Poiché sia DKN (Ω) sia S sono spazi di Fréchet, è sufficiente mostrare che se {ϕN } è
una successione in DKN (Ω), che converge a 0, allora essa converge a 0 anche in S. Siano α
e β due multiindici. Osserviamo che
sup xα Dβ ϕN (x) ≤
x∈Rn
sup |xα | ρKN ,β (ϕN ),
x∈KN
che converge a 0 al tendere di N a ∞.
Indichiamo con J 0 il trasposto di J . Per la teoria svolta nella Sezione 1.5.1 sappiamo che
J 0 è continuo da S 0 in D0 quando questi spazi sono dotati delle rispettive topologie debole∗ .
È immediato constatare che J 0 è proprio l’inclusione di S 0 in D0 .
98
CHAPTER 3. DISTRIBUZIONI
2
Notiamo che l’inclusione S 0 ⊂ D0 è propria. Ad esempio, la funzione ex , pensata come
distribuzione, non è temperata.
Esempio 3.2.8 Lo spazio L1loc (Ω) è incluso con continuità in D0 (Ω).
Mostriamo che L1loc (Rn ) è incluso con continuità in D0 . Il caso generale si tratta in modo
analogo. Ricordiamo che la topologia di L1loc (Rn ) è definita nell’Esempio 1.2.25. Fissiamo
una successione crescente di compatti KN come nella Definizione 3.2.1. La topologia di
L1loc (Rn ) è indotta dalla famiglia di seminorme ρKN , definite da
Z
|f | dλ.
ρKN (f ) =
KN
Sia f in L1loc (Rn ). Consideriamo il funzionale lineare J f su D definito da
Z
hϕ, J f i =
f ϕ dλ.
Rn
Notiamo che se ϕ ha supporto in KN , allora
Z
|hϕ, J f i| ≤
|f | |ϕ| dλ
Z
≤ kϕk∞
|f | dλ
Rn
KN
= kϕk∞ ρKN (f ).
Quindi J f è in D0 . Sia J : L1loc (Rn ) → D0 l’inclusione che a f in L1loc (Rn ) associa il
funzionale J f definito sopra. Mostriamo che J è continuo. Poiché J è lineare, è sufficiente
mostrare che J è continua in 0.
Siano ϕ1 , . . . , ϕJ in D(Ω). Consideriamo l’intorno V di 0 in D0 (Ω), definito da
V = {T ∈ D0 (Ω) : hϕj , T i < ε, j = 1, . . . , J}.
Allora
J −1 V = {f ∈ L1loc (Rn ) : hϕj , f i < ε, j = 1, . . . , J}.
Sia N tale che KN contenga i supporti di ϕj per ogni j in {1, . . . , J}. Sia U l’intorno di 0 in
L1loc (Rn ), definito da
U = {f ∈ L1loc (Rn ) : ρKN (f ) < ε0 }.
3.2. DISTRIBUZIONI E LORO PRIME PROPRIETÀ
99
Mostriamo che se ε0 maxj=1,...,J kϕj k∞ < ε, allora J U ⊂ V . Infatti,
Z
|hϕj , f i| ≤
|f | |ϕj | dλ
Rn
Z
≤ kϕj k∞
|f | dλ
KN
= kϕj k∞ ρKN (f )
<ε
∀f ∈ U,
come richiesto.
Questo dimostra la continuità di J .
Il risultato che ora presentiamo è fondamentale per comprendere le osservazioni che
seguiranno sulle misure di Radon.
Definizione 3.2.9 Sia Y uno spazio localmente compatto. Indichiamo con M (Y ) lo spazio
vettoriale delle misure complesse su Y . Data µ in M (Y ), indicheremo con |µ| la variazione
totale di µ. Essa è una misura positiva di Borel finita su Y . Normiamo M (Y ), ponendo
kµkM (Y ) = |µ| (Y ).
Rispetto alla norma ora introdotta M (Y ) è uno spazio di Banach.
Definizione 3.2.10 Sia Y uno spazio localmente compatto. Indichiamo con C0 (Y ) lo
spazio delle funzioni continue su Y che si annullano all’infinito (f ∈ C0 (Y ) se e solo
se per ogni ε in R+ esiste un compatto X contenuto in Y tale che |f (x)| < ε per ogni x
in Y \ X). Si può mostrare che C0 (Y ) è il completamento di Cc (Y ) nella topologia della
convergenza uniforme (cioè di Cc (Y ) munito della norma kf k∞ = supx∈Y |f (x)|).
Teorema 3.2.11 (Riesz-Markov) Sia Y uno spazio topologico localmente compatto. Il
duale di C0 (Y ) è isometricamente isomorfo allo spazio M (Y ) delle misure complesse su Y .
Definizione 3.2.12 Siano Ω un aperto di Rn , VN e KN come nella Definizione 3.2.1. Lo
spazio CVN (Ω) delle funzioni di Cc (Ω) con supporto contenuto in VN è normato rispetto alla
norma ρKN definita da
ρVN (f ) = sup |f (x)| .
x∈VN
Il completamento di CVN (Ω) è identificabile con lo spazio C0 (VN ) introdotto nella Definizione 3.2.10.
100
CHAPTER 3. DISTRIBUZIONI
Osservazione 3.2.13 Notiamo che lo spazio C0 (VN ) coincide con lo spazio delle restrizioni
degli elementi di CKN (Ω) a VN .
Infatti, da un lato CVN (Ω) è evidentemente contenuto in CKN (Ω), e, poiché CKN (Ω) è
di Banach rispetto alla norma uniforme, la chiusura di CVN (Ω), cioè C0 (VN ), è contenuta in
CKN (Ω).
Dall’altro, sia f una funzione in CKN (Ω). Per ogni ε in R+ sia KN,ε l’insieme
{x ∈ KN : dist(x, KNc ) ≥ ε}.
L’insieme KN,ε è, per ε abbastanza piccolo, un sottoinsieme compatto non vuoto di VN . La
funzione f è nulla su ∂KN ed è uniformemente continua su KN . Perciò essa è piccola su
KN \ KN,ε .
Per il Lemma di Urisohn, per ogni ε in R+ esiste una funzione continua ψε su Ω che
vale 1 su KN,2ε , 0 su KN \ KN,ε , e tale che 0 ≤ ψε ≤ 1. È facile verificare che f ψε converge
uniformemente a f . Poiché f ψε appartiene a CVN (Ω), possiamo concludere che f appartiene
alla chiusura uniforme di CVN (Ω), e, cioè, a C0 (VN ).
Definizione 3.2.14 Osserviamo che Cc (Ω) =
S
N
CKN (Ω). Definiamo su Cc (Ω) la topologia
localmente convessa limite induttivo stretto degli spazi di Banach CKN (Ω). Gli elementi del
duale di Cc (Ω) sono detti misure di Radon su Ω.
Osservazione 3.2.15 Con la topologia introdotta nella definizione precedente Cc (Ω) è
completo, ma non metrizzabile (in virtù del Teorema 3.1.2 (iv)-(v)). Inoltre è noto che
Cc∞ (Ω) è denso in CKN (Ω) per ogni N .
Un funzionale lineare µ su Cc (Ω) è una misura di Radon (cioè è continuo) se e solo se
per ogni N esiste una costante C, che dipende da µ e da N , tale che
|µ(ϕ)| ≤ C ρKN (ϕ)
∀ϕ ∈ CKN (Ω).
(3.2.2)
Questa formula asserisce che la restrizione di µ a CKN (Ω) è nel duale topologico dello spazio
di Banach CKN (Ω). Quindi per il Teorema di Riesz–Markov il funzionale µ, ristretto a
CKN (Ω), è rappresentato dall’integrale contro un’unica misura complessa, che indichiamo
con µKN . Abbiamo, perciò, la formula
Z
µ(ϕ) =
ϕ dµKN
KN
∀ϕ ∈ CKN (Ω).
3.2. DISTRIBUZIONI E LORO PRIME PROPRIETÀ
101
Chiaramente la restrizione di µKN +1 a CKN (Ω) coincide con µKN (si usa l’unicità della misura
complessa associata a un funzionale continuo su CKN +1 (Ω)).
Esempio 3.2.16 Conserviamo le notazioni dell’osservazione precedente. Sia µ una misura
Radon su Ω. Poiché DKN (Ω) è incluso con continuità in CKN (Ω), la stima (3.2.2) implica
che il funzionale µ è in D0 (Ω). Osserviamo che se µ e ν sono due misure di Radon che
individuano il medesimo elemento di D0 (Ω), allora coincidono (come misure di Radon).
È sufficiente mostrare che coincidono su CKN (Ω) per ogni N . Infatti, poiché DKN (Ω) è
denso in CKN (Ω), dall’identità µ = ν (come misure di Radon) segue che
Z
Z
ϕ dµKN =
ϕ dνKN
∀ϕ ∈ CKN (Ω),
Ω
Ω
da cui si ottiene che µKN = νKN per ogni N .
Esempio 3.2.17 Siano Ω un aperto di Rn , {xj } una successione in Ω e {αj } una successione
di multiindici. Consideriamo il funzionale T su D(Ω), definito da
ϕ 7→
∞
X
Dαj ϕ(xj )
∀ϕ ∈ D(Ω).
j=1
Se {xj } non ha punti di accumulazione in Ω, T è una distribuzione in Ω. In particolare, se
αj è non nullo per qualche j, allora T non è una misura di Radon. Osserviamo che
T =
∞
X
Dαj δxj .
j=1
Osservazione 3.2.18 Discutiamo brevemente il problema dell’estensione di distribuzioni.
Siano Ω1 e Ω2 due aperti di Rn tali che Ω1 ⊂ Ω2 e T1 un elemento di D0 (Ω1 ); esiste una
distribuzione T2 in D0 (Ω2 ) tale che T2 ristretto a D(Ω1 ) coincide con T1 ?
Definiamo la mappa J : D0 (Ω2 ) → D0 (Ω1 ) come segue:
hϕ1 , J T2 i = hϕ1 , T2 i
∀ϕ1 ∈ D0 (Ω1 ).
Non è difficile verificare che J T2 è un elemento di D0 (Ω1 ) (vd. Esercizi alla fine della sezione).
Evidentemente J non è iniettiva. Ad esempio siano x un punto in Ω2 \ Ω1 e T2 in D0 (Ω2 ).
Allora T2 e T2 + δx sono distribuzioni diverse che hanno la medesima restrizione a Ω1 .
102
CHAPTER 3. DISTRIBUZIONI
Mostriamo che J non è suriettiva, rispondendo cosı̀ negativamente al problema dell’estensione posto sopra. Per semplicità consideriamo il caso particolare in cui n = 1, Ω1 è
l’intervallo (0, 1) e Ω2 è l’intervallo (−1, 1). Sia T1 la distribuzione
∞
X
hϕ, T1 i =
ϕ(j) (1/j)
∀ϕ ∈ D(Ω1 ).
j=2
Si tratta di un caso particolare dell’esempio precedente: T1 appartiene a D0 (Ω1 ).
Supponiamo che esista una distribuzione T2 in D0 (Ω2 ) tale che J T2 = T1 . Allora per ogni
compatto K in Ω2 , devono esistere un intero non negativo m e una costante C tali che
|hϕ, T2 i| ≤ C ρK,m (ϕ)
∀ϕ ∈ DK (Ω2 )
e, inoltre,
hϕ, T2 i = hϕ, T1 i
∀ϕ ∈ D(Ω1 ).
Scegliamo K = [−1/2, 1/2]. Allora per ogni ϕ in D(Ω1 ) con supporto contenuto in K
dobbiamo avere
∞
X
(j)
ϕ (1/j) ≤ C ρK,m (ϕ).
(3.2.3)
j=2
Mostriamo che ciò è impossibile. Per ogni J > m (m è come nella stima precedente) sia ϕJ
una funzione in D(Ω1 ) con supporto contenuto in un intorno di 1/J che non contienen altri
punti della successione {1/j} e che gode delle proprietà seguenti: ϕJ e le sue derivate fino
(J)
all’ordine m sono limitate da 1 e ϕJ (1/J) = J. Applicando (3.2.3) a ϕJ si ottiene J ≤ C,
che è falsa per J sufficientemente grande.
La morale di questa osservazione è che se una distribuzione in D0 (Ω1 ) ha un comportamento “molto singolare” vicino al bordo di Ω1 , allora è impossibile estenderla. Rimane da
stabilire cosa esattamente significhi “molto singolare” (vd. anche Esercizi). Osserviamo che
l’analogo problema di estensione per spazi di Sobolev presenta una fenomenologia differente.
3.2.1
Distribuzioni a supporto compatto in un aperto
Definizione 3.2.19 Sia Ω un aperto in Rn . Indichiamo con E 0 (Ω) il duale topologico dello
spazio di Fréchet E(Ω) (vd. Esempio 1.2.29 per la definizione). Salvo avviso contrario,
muniremo E 0 (Ω) della topologia debole∗ σ E 0 (Ω), E(Ω) .
Teorema 3.2.20 Sia Ω un aperto di Rn . Valgono le affermazioni seguenti:
3.2. DISTRIBUZIONI E LORO PRIME PROPRIETÀ
103
(i) D(Ω) è incluso con continuità ed è denso in E(Ω) (rispetto alla topologia di E(Ω));
(ii) E 0 (Ω) è incluso con continuità in D0 (Ω);
(iii) sia T in E 0 (Ω). Allora esiste K ⊂⊂ Ω tale che hϕ, T i = 0 per ogni ϕ in E(Ω) nulla
su K;
(iv) E 0 (Ω) è il sottospazio di D0 (Ω) costituito da tutte e sole le distribuzioni con supporto
compatto contenuto in Ω.
Dimostrazione.
Dimostriamo (i). Sia J l’inclusione naturale di D(Ω) in E(Ω). Mostriamo
che J è continua. Poiché J è lineare, è sufficiente mostrare che J è continua in 0. Una base
di intorni di 0 in E(Ω) è costituita dagli intorni della forma
V (ρK,m ; ε) = {ϕ ∈ E(Ω) : ρK,m (ϕ) < ε}.
Dobbiamo mostrare che in corrispondenza di V (ρK,m ; ε) esiste un intorno U di 0 in D(Ω)
tale che J U ⊂ V (ρK,m ; ε).
Sia U il sottoinsieme di D(Ω), definito da
U = {ϕ ∈ D(Ω) : ρK,m (ϕ) < ε}.
Mostriamo che U è un intorno di 0 (in D(Ω)). Bisogna mostrare che per ogni K 0 ⊂⊂ Ω,
l’insieme U ∩ DK 0 (Ω) è un intorno di 0 in DK 0 (Ω).
Se K 0 ⊂⊂ Ω tale che K 0 ⊆ K, allora
U ∩ DK 0 (Ω) ⊃ {ϕ ∈ DK 0 (Ω) : ρK 0 ,m (ϕ) < ε},
che è un intorno di 0 in DK 0 (Ω).
Se K 0 ⊂⊂ Ω tale che K 0 ⊇ K, allora
U ∩ DK 0 (Ω) ⊃ {ϕ ∈ DK 0 (Ω) : ρK 0 ,m (ϕ) < ε},
che è un intorno di 0 in DK 0 (Ω).
Perciò U è un intorno di 0 in D(Ω). Ovviamente J U ⊆ V (ρK,m ; ε); questo mostra che J
è continua.
Dimostriamo che D(Ω) è denso in E(Ω) nella topologia di E(Ω). Sia {ψj } una successione
di elementi di D tali che ψj ∈ DKj (Ω) e ψj = 1 in Kj−1 . Data ϕ in E(Ω), consideriamo la
104
CHAPTER 3. DISTRIBUZIONI
successione di funzioni {ϕ ψj }. Ovviamente ϕ ψj appartiene a DKj (Ω), e quindi, a fortiori,
a D(Ω). Inoltre, per ogni K ⊂⊂ Ω e per ogni m in N
ρK,m ϕ − ϕ ψj = 0
per j abbastanza grande (se j è abbastanza grande ψj vale 1 sul compatto K, cosicché la
differenza ϕ − ϕ ψj è nulla in K). Perciò ϕ − ϕ ψj tende a 0 in E(Ω), e quindi D(Ω) è denso
in E(Ω), come richiesto.
Dimostriamo (ii). In virtù dell’Osservazione 1.5.11 l’operatore J 0 , aggiunto di J , è
continuo da E 0 (Ω) a D0 (Ω) (dotati delle rispettive topologie debole∗ ). Ora, per definizione di
operatore aggiunto, e per il fatto che J è l’identità su D(Ω),
hϕ, J 0 T i = hJ ϕ, T i = hϕ, T i
∀ϕ ∈ D(Ω) ∀T ∈ E 0 (Ω).
Quindi J 0 T coincide con la restrizione di T a D(Ω).
Notiamo anche che se S e T sono in E 0 (Ω) e J 0 S = J 0 T , allora S = T . Infatti, J 0 S e
J 0 T sono rispettivamente le restrizioni di S e T a D(Ω). Poiché D(Ω) è denso in E 0 (Ω) nella
topologia di E 0 (Ω), un elemento di E 0 (Ω) è univocamente determinato dalla sua restrizione a
D(Ω); conseguentemente S = T .
Dimostriamo (iii). Sia T un elemento di E 0 (Ω). Allora esistono una costante C, un
compatto K in Ω e un intero positivo m tali che
|hϕ, T i| ≤ C ρK,m (ϕ)
∀ϕ ∈ E(Ω).
Sia ora ϕ in E(Ω) nulla su K. Dalla stima precedente segue immediatamente che hϕ, T i = 0,
come richiesto.
Infine dimostriamo (iv). Sia T in E 0 (Ω). Per il punto (ii) T è (identificabile, mediante
restrizione a D(Ω) con) una distribuzione in D0 (Ω). Per (iii), T ha supporto compatto.
D’altro canto, supponiamo che T sia in D0 (Ω) e abbia supporto compatto, diciamo K.
Sia ψ una funzione in Cc∞ (Ω) che vale 1 su K. Estendiamo T a E(Ω), ponendo
D
E
e
ϕ, T
E,E 0
= hψ ϕ, T iD,D0
∀ϕ ∈ E(Ω).
Notiamo che la restrizione di Te a D(Ω) coincide con T . Infatti, se ϕ è in D(Ω), scriviamo
ϕ = ψ ϕ + (1 − ψ) ϕ. Allora ψ ϕ e (1 − ψ) ϕ sono in D(Ω), e h(1 − ψ) ϕ, T i = 0, perché
3.2. DISTRIBUZIONI E LORO PRIME PROPRIETÀ
105
(1 − ψ) ϕ è nulla sul supporto di T . Quindi
D
E
ϕ, Te
= hψ ϕ, T iD,D0
E,E 0
= hϕ, T iD,D0 .
Mostriamo che Te è in E 0 (Ω). Infatti, sia K 0 un compatto che contiene il supporto di ψ.
Allora esiste una costante C tale che
ρK 0 ,m (ψ ϕ) ≤ C ρK 0 ,m (ϕ) ρK 0 ,m (ψ).
Conseguentemente
E
D
ϕ, Te
(poiché T è in D0 (Ω) e quindi T|DK 0 (Ω) è continuo)
E,E 0
= hψ ϕ, T i
D,D0
≤ C ρK 0 ,m (ψ ϕ)
≤ C ρK 0 ,m (ϕ) ρK 0 ,m (ψ),
2
cioè Te è in E 0 (Ω).
3.2.2
Regolarizzazione di integrali divergenti
Definizione 3.2.21 (Regolarizzazione di integrali divergenti) Siano y un punto fissato di Rn ; indichiamo con Ω l’aperto Rn \ {y}. Sia f in L1loc (Ω). Per l’Esempio 3.2.8 f
individua un elemento di D0 (Ω). Supponiamo anche che
Z
|f | dλ = ∞.
B(y,1)
Se esiste un elemento F di D0 tale che per ogni ϕ in D con la proprietà che y ∈
/ supp (f ) si
abbia
Z
hϕ, F i =
ϕ f dλ,
Rn
diremo che F è una regolarizzazione dell’integrale divergente
Esempio 3.2.22 Sia f : R \ {0} → R, definita da
1
x
f (x) = .
R
Rn
ϕ f dλ.
106
CHAPTER 3. DISTRIBUZIONI
Possiamo definire una regolarizzazione di f nel modo seguente: scelti due numeri a e b tali
che a < 0 < b, sia F il funzionale definito da
Z a
Z b
Z
hϕ, F i =
ϕ(x) f (x) dx +
ϕ(x) − ϕ(0) f (x) dx +
−∞
a
∞
ϕ(x) f (x) dx.
b
Ovviamente, se 0 non appartiene al supporto di ϕ, allora
Z ∞
ϕ(x) f (x) dx.
hϕ, F i =
−∞
Procedendo come per la distribuzione “valor principale di Cauchy” si mostra che F è una
distribuzione temperata.
Una regolarizzazione differente si ottiene prendendo ϕ(x)−ϕ(0)−x ϕ0 (0) invece di ϕ(x)−
ϕ(0) nell’integrale sopra. Oppure si può utilizzare un troncamento liscio, al posto di 1[a,b] .
Proposizione 3.2.23 Siano y un punto fissato di Rn ; indichiamo con Ω l’aperto Rn \ {y}.
Sia f in L1loc (Ω). Valgono le affermazioni seguenti:
(i) se esiste ν > 0 tale che
Z
|x − y|ν |f (x)| dx < ∞,
B(y,1)
allora esiste una regolarizzazione di f ;
(ii) se f ammette una regolarizzazione F , allora tutte e sole le regolarizzazioni di f sono
della forma F + T , dove T è una distribuzione concentrata in y.
Dimostrazione.
Dimostriamo (i). Definiamo F mediante la formula
Z h
i
X Dα ϕ(y)
α
hϕ, F i =
ϕ(x) − 1B(y,1)
(x − y) f (x) dx
Rn
|α|≤N
α!
dove N è un qualunque intero ≥ ν. Le proprietà richieste sono di facile verifica.
Dimostriamo (ii). Per definizione di regolarizzazione, due regolarizzazioni differenti sono
distribuzioni F1 e F2 che coincidono su Rn \{y}. La loro differenza è perciò una distribuzione
con supporto ridotto al solo punto y, come richiesto.
Viceversa, se F è una regolarizzazione e T è una distribuzione concentrata in y, allora
F + T è una distribuzione e per ogni ϕ in Cc∞ (Ω) il cui supporto non contiene y
hϕ, F + T i = hϕ, F i + hϕ, T i
Z
=
ϕ f dλ,
Rn
e quindi F + T è ancora una regolarizzazione.
2
3.2. DISTRIBUZIONI E LORO PRIME PROPRIETÀ
107
Osservazione 3.2.24 Osserviamo che non sempre una regolarizzazione esiste. Sia f una
funzione in C ∞ (R \ {0}), nulla in R \ [−1, 1], decrescente in (0, ∞) e tale che
lim xk f (x) = ∞
x→0+
per ogni k in N. Allora f non può essere regolarizzata.
Sia ϕ una funzione in D con supporto contenuto in [−1, 1] e
R∞
−∞
ϕ dλ = 1. Per ogni
intero positivo k sia ψk definita da
ψk (x) = εk ϕ k(x − 2/k)
∀x ∈ R.
Notiamo che il supporto di ψk è contenuto nell’intervallo [1/k, 3/k]. Poiché DN ψk (x) =
k N εk DN ϕ k(x − 2/k) , abbiamo
kDN ψk k∞ ≤ k N εk kDN ϕk∞
→0
al tendere di k a ∞ non appena si sceglie εk = O(k −N ) per ogni N . Le funzioni ψk hanno
tutte supporto in [0, 2]. Perciò la stima precedente mostra che ψk → 0 in D.
Se F fosse una regolarizzazione di f , si dovrebbe avere hψk , F i → 0 al tendere di k a ∞.
Tuttavia, poiché 0 non appartiene al supporto di ψk , si deve anche avere
Z ∞
hψk , F i =
f (x) ψk (x) dx
−∞
Z ∞
= εk
f (x) ϕ k(x − 2/k) dx
−∞
Z ∞
ϕ k(x − 2/k) dx
(poiché f è decrescente in (0, 2])
≥ εk f (3/k)
−∞
ε
= k f (3/k).
k
Scegliendo εk =
3.2.3
k
, possiamo concludere che hψk , F i non tende a 0 al tendere di k a ∞.
f (3/k)
Operazioni con le distribuzioni
Molte delle operazioni introdotte per le distribuzioni temperate si estendono in modo ovvio
a operazioni sulle distribuzioni. Siano Ω un aperto di Rn e T in D0 (Ω).
108
CHAPTER 3. DISTRIBUZIONI
Ad esempio, sia α un multiindice. Definiamo derivata di ordine α di T la distribuzione
definita da
hϕ, Dα T i = (−1)|α| hDα ϕ, T i
∀ϕ ∈ D(Ω).
È facile mostrare che Dα T è effettivamente un elemento di D0 (Ω).
Se ψ è un elemento di E(Ω), il prodotto ψ T è definito da
hϕ, ψ T i = hψ ϕ, T i
∀ϕ ∈ D.
Se Ω = Rn , allora è possibile definire la traslazione τy T e la convoluzione di una funzione
ψ in D e di T , mediante le formule
hϕ, τy T i = hτ−y ϕ, T i
e
D
hϕ, ψ ∗ T i = ψe ∗ ϕ, T
E
∀ϕ ∈ D,
e
dove ψ(x)
= ψ(−x).
Nel caso Ω = Rn si possono anche definire le distribuzioni dr T e dr T in modo analogo a
quanto fatto per le distribuzioni temperate (vd. il paragrafo riguardante le operazioni sulle
distribuzioni temperate).
Infine, siano T1 in D0 e T2 in E 0 . Mostriamo che è possibile definire T1 ∗ T2 .
Osserviamo preliminarmente che se ψ è in D, allora T2 ∗ ψ è in D. Infatti, poiché ψ è di
Schwartz e T2 è a supporto compatto, sappiamo che T2 ∗ψ è di classe C ∞ . Per dimostrare che
T2 ∗ ψ è in D è sufficiente mostrare che è a supporto compatto. Siano V un aperto a chiusura
compatta che contiene il supporto di T2 e K il supporto di ψ. Mostriamo che il supporto
di T2 ∗ ψ è contenuto in V + K. Sia ϕ in D, con supporto contenuto nel complementare di
V + K. È facile verificare che ψe ∗ ϕ è nulla in V ; quindi
D
E
ψe ∗ ϕ, T2 = 0,
cioè T2 ∗ ψ = 0 fuori da V + K, come richiesto.
Definiamo T1 ∗ T2 mediante la formula
D
E
hϕ, T1 ∗ T2 i = Te2 ∗ ϕ, T1
∀ϕ ∈ D.
È facile verificare che T1 ∗ T2 è in D0 .
Teorema 3.2.25 Sia T in D0 (Ω). Per ogni sottoinsieme aperto precompatto V di Ω esistono
una costante non negativa N e una funzione G in C0 (Rn ) ∩ L2 (Rn ) tali che
T = (1 − ∆)N G
su V .
3.2. DISTRIBUZIONI E LORO PRIME PROPRIETÀ
Dimostrazione.
109
Sia ψ una funzione in Cc∞ (Ω) che vale 1 su V . La distribuzione ψ T è
in E 0 (Rn ). Per il Teorema 2.4.12 esistono un intero non negativo N e una funzione G0 in
C0 (Rn ) ∩ L2 (Rn ) tali che
ψ T = (1 − ∆)N G0 .
2
Perciò T = ψ (1 − ∆)N G0 su V , come richiesto.
Esercizi
3.
Mostrare che δ00 non è una misura di Radon su R.
4.
Siano Ω un aperto di Rn e {fN } una successione in L1loc (Ω) tale che
Z
fN dλ = 0
lim
N →∞
K
per ogni K ⊂⊂ Ω. Mostrare che per ogni multiindice α la successione {Dα fN } converge a 0
in D0 (Ω).
Sia I l’intervallo (0, 1). Consideriamo la distribuzione T su D(I) definita da
5.
hϕ, T i =
∞
X
ϕ(1/j)
∀ϕ ∈ D(I).
j=1
Esiste un’estensione di T a una distribuzione sull’intervallo (−1, 1)?
Sia ϕ in D(R). Per ogni intero positivo n poniamo ϕn (x) = (1/n) ϕ(x − n). La
6.
successione {ϕn } converge a 0 in D(R)? Esiste una distribuzione T tale che hϕn , T i 6→ 0?
Esiste una distribuzione temperata T tale che hϕn , T i 6→ 0?
Siano Ω1 e Ω2 due aperti in Rn tali che Ω1 ⊂ Ω2 . Mostrare che le distribuzioni in
7.
D0 (Ω2 ) si possono restringere a distribuzioni in D0 (Ω1 ).
8. Siano (a, b) un intervallo di R, x1 < . . . < xN un numero finito di punti di (a, b) e f una
funzione di classe C 1 in (a, b) \ {x1 , . . . , xN } tale che f ha limiti finiti a destra e a sinistra in
ciascuno dei punti {x1 , . . . , xN } e che la derivata ordinaria di f è in L1loc (a, b) . Calcolare
la derivata distribuzionale di f .
Questo esercizio generalizza l’Osservazione 2.3.25.
9.
10.
Per quali f in C ∞ (R) è vero che f δ00 = 0? Analoga domanda per f δ000 .
Costruire una successione di funzioni in D(R) che converge a 0 nella topologia di
S(R), ma non in quella di D(R).
110
11.
CHAPTER 3. DISTRIBUZIONI
Costruire una sucessione di polinomi che converge nella topologia di D0 (R), ma non
in quella di S 0 (R).
12.
Sia {Tj } una successione di distribuzioni temperate tali che {Tj ϕ} converge per ogni
ϕ in D(Ω). Mostrare che il funzionale lineare T su D(Ω), definito da
T (ϕ) = lim hϕ, Tj i
j→∞
∀ϕ ∈ D(Ω),
è in D0 (Ω).
3.3
Equazioni differenziali e distribuzioni
In questa sezione illustreremo alcune applicazioni delle distribuzioni alla teoria delle equazioni
differenziali. Indichiamo con P (x, D) l’operatore differenziale
X
aα (x) Dα ,
|α|≤k
dove i coefficienti aα sono funzioni lisce in un aperto Ω di Rn . Problemi naturali sono
l’esistenza e la regolarità delle soluzioni dell’equazione
P (x, D)u = f,
(3.3.1)
dove f è il dato. Notiamo che l’esistenza di soluzioni non è assicurata nemmeno per operatori
dall’aspetto piuttosto semplice, come l’operatore L in R3 , definito da
L = ∂x + i∂y − 2i(x + iy) ∂t .
(3.3.2)
Quest’operatore, trovato da Lévy, gode della proprietà seguente: sia f una funzione continua
a valori reali dipendente solo da t. Se esiste una funzione u in C 1 (R3 ) tale che Lu = f , allora f è analitica in un intorno di 0. In altri termini, se f è una funzione di classe Cc∞ (R), ma
non è analitica, allora il problema (3.3.1) non ha soluzioni. Vedremo che se i coefficienti di
P (x, D) sono costanti, oppure se siamo in dimensione 1, questa patologia non si presenta.
Trattiamo ora il caso n = 1.
Proposizione 3.3.1 Siano Ω un intervallo aperto di R e u in D0 (Ω) tali che u0 = 0 nel
senso di D0 (Ω). Allora u è costante (come distribuzione).
3.3. EQUAZIONI DIFFERENZIALI E DISTRIBUZIONI
111
L’ipotesi u0 = 0 è equivalente a hϕ0 , ui = 0 per ogni ϕ in D(Ω).
R
Mostriamo che hψ, ui = 0 per ogni ψ in D(Ω) a media nulla, cioè Ω ψ(x) dx = 0. In-
Dimostrazione.
fatti, se ψ ha media nulla, allora la sua primitiva ϕ definita da
Z x
ϕ(x) =
ψ(s) ds
∀x ∈ R
−∞
è una funzione in D(Ω), e ϕ0 = ψ. Dunque, hψ, ui = 0 per ipotesi.
Sia ora ψ una funzione generica in D(Ω). Indichiamo con ψ0 una funzione in D(Ω) tale
R
R
che Ω ψ0 (x) dx = 1. La funzione ψ − Ω ψ(x) dx ψ0 è in D(Ω) e ha media nulla. Per quanto
appena dimostrato,
Z
ψ−
ψ(x) dx ψ0 , u = 0,
Ω
cioè
hψ, ui =
Z
ψ(x) dx hψ0 , ui .
Ω
2
Possiamo concludere che u = hψ0 , ui 1Ω .
Proposizione 3.3.2 Siano Ω un intervallo aperto di R, a in C ∞ (Ω), f in C(Ω) e u in
D0 (Ω) tali che u0 + au = f nel senso di D0 (Ω). Allora u è in C 1 (Ω); quindi u è una soluzione
classica dell’equazione.
Dimostrazione.
Supponiamo dapprima che a = 0. L’equazione diventa u0 = f . Sia F una
qualunque primitiva di f ; evidentemente F è di classe C 1 (Ω) e F 0 = f . La distribuzione
u − F soddisfa (u − F )0 = 0. Perciò, per la proposizione precedente, u − F = const, cioè u è
di classe C 1 (Ω).
Sia ora a una generica funzione di classe C ∞ (Ω). Sia A una qualunque primitiva di a e
poniamo E = eA . Evidentemente E 0 = a E e
D(E u) = E 0 u + E u0
= a E u + E u0
= E a u + u0
= E f.
Perciò E u è di classe C 1 (Ω), ed essendo E liscia e sempre diversa da 0, u è di classe C 1 (Ω),
come richiesto.
2
112
CHAPTER 3. DISTRIBUZIONI
Osservazione 3.3.3 Un argomento pressoché identico si applica ai sistemi di equazioni
differenziali ordinarie del primo ordine in forma normale con coefficienti di classe C ∞ (Ω)
e termine noto continuo, e permette di concludere che tali sistemi hanno solo soluzioni
classiche.
È noto che equazioni differenziali lineari di ordine m in forma normale con coefficienti di
classe C ∞ (Ω) e termine noto continuo sono equivalenti a sistemi lineari m × m come quelli
descritti sopra. Quindi, anche in questo caso le uniche soluzioni di tali equazioni sono quelle
classiche.
Ad esempio, se f è continua in (−1, 1), allora l’equazione u00 = f (nel senso delle distri
buzioni) ha solo soluzioni classiche, cioè di classe C 2 (−1, 1) .
3.3.1
Soluzioni fondamentali e parametriche
Definizione 3.3.4 Sia P (D) un operatore differenziale a coefficienti costanti. Si chiama
soluzione fondamentale di P (D) una distribuzione E in D0 (Rn ) tale che P (D)E = δ0 .
Osservazione 3.3.5 Se E è una soluzione fondamentale di P (D) e F soddisfa P (D)F = 0
in D0 (Rn ), allora E + F è una soluzione fondamentale di P (D).
Definizione 3.3.6 Sia P (D) un operatore differenziale a coefficienti costanti. Si chiama
parametrica di P (D) una distribuzione E in D0 (Rn ) tale che P (D)E = δ0 + ω, dove ω
appartiene a C ∞ (Rn ).
3.3.2
Ipoellitticità e Lemma di Weyl
Definizione 3.3.7 Siano Ω un aperto di Rn e T in D0 (Ω). Sia A un aperto di Ω. Diciamo
che T è di classe C ∞ in A se esiste una funzione fT in C ∞ (A) tale che
Z
hϕ, T i =
ϕ fT dλ
∀ϕ ∈ Cc∞ (A).
Ω
Osservazione 3.3.8 Si può dimostrare che se T e Ω sono come nella definizione precedente,
A1 e A2 sono due aperti contenuti in Ω, e T è di classe C ∞ su A1 e su A2 , allora T è di
classe C ∞ in A1 ∪ A2 .
Definizione 3.3.9 Si chiama supporto singolare di una distribuzione u l’insieme complementare dell’aperto massimale su cui u è una funzione C ∞ .
3.3. EQUAZIONI DIFFERENZIALI E DISTRIBUZIONI
113
Proposizione 3.3.10 Supponiamo che u1 e u2 siano distribuzioni in Rn , almeno una delle
quali ha supporto compatto. Allora
sing supp (u1 ∗ u2 ) ⊂ sing supp u1 + sing supp u2 .
Dimostrazione.
Supponiamo che u2 sia a supporto compatto. Sia ψ una funzione in
Cc∞ (Rn ) che vale 1 in un intorno del supporto singolare di u2 . Decomponiamo u2 come
somma di ψ u2 e di (1 − ψ) u2 . Evidentemente (1 − ψ) u2 è una funzione in Cc∞ (Rn ) e il
supporto singolare di u2 coincide con il supporto singolare di ψ u2 . Quindi u1 ∗ [(1 − ψ) u2 ] è
una funzione di classe C ∞ e il supporto singolare di u1 ∗ u2 coincide con il supporto singolare
di u1 ∗ [ψ u2 ].
Mostriamo che sing supp u1 ∗ [ψ u2 ] ⊆ sing supp u1 + supp [ψ u2 ].
Denotiamo con C l’insieme sing supp u1 + supp [ψ u2 ]. Sia ϕ in Cc∞ (Rn ) tale che supp ϕ ⊂
C c . Per definizione di convoluzione
D
E
e
hϕ, u1 ∗ [ψ u2 ]i = ϕ ∗ [ψ u2 ] , u1 .
Sappiamo che il supporto di ϕ ∗ [ψ u2 ]e è contenuto in supp ϕ + supp [ψ u2 ]e, che, a sua volta,
è uguale a supp ϕ − supp [ψ u2 ]. Ora, supp ϕ − supp [ψ u2 ] non contiene punti di sing supp u1 ;
in caso contrario supp ϕ conterrebbe almeno un punto di C, contro l’ipotesi che ϕ abbia
supporto compatto contenuto in C c . Ricordiamo che ϕ ∗ [ψ u2 ]e è in D. Per definizione di
supporto singolare, esiste una funzione fu1 di classe C ∞ in (sing supp u1 )c tale che
D
E
e
hϕ, u1 ∗ [ψ u2 ]i = ϕ ∗ [ψ u2 ] , fu1
= hϕ, fu1 ∗ [ψ u2 ]i .
Osserviamo che fu1 ∗ [ψ u2 ] è di classe C ∞ su C c , e la formula precedente mostra che tale è
u1 ∗ [ψ u2 ]. Quindi sing supp u1 ∗ [ψ u2 ] è contenuto in C.
Siccome supp [ψ u2 ] è contenuto nel supporto di ψ, esso può essere scelto prossimo al
supporto singolare di u2 quanto desiderato. Quindi
sing supp (u1 ∗ u2 ) = inf{sing supp u1 ∗ [ψ u2 ] : sing supp u2 ⊆ supp ψ}
⊆ sing supp u1 + sing supp u2 ,
come richiesto.
2
114
CHAPTER 3. DISTRIBUZIONI
Definizione 3.3.11 L’operatore P (D) si dice ellittico se esiste una costante C tale che
1
|y|N ≤ |σN (y)| ≤ C |y|N
C
∀y ∈ Rd .
Esempio 3.3.12 È facile dimostrare che P (D) è ellittico se e solo se σN si annulla solo
in 0. In particolare, ogni operatore differenziale a coefficienti costanti (non costante) in R è
ellittico.
Esempio 3.3.13 L’operatore ∆ e le sue potenze sono operatori ellittici; l’operatore del
calore ∂t − ∆x non è ellittico (anche se il suo simbolo si annulla solo in (0, 0)).
Teorema 3.3.14 Sia P (D) un operatore a coefficienti costanti in Rn . Valgono le affermazioni seguenti:
(i) se P (D) ammette una parametrica E con sing supp E = {0}, allora per ogni aperto Ω
di Rn e per ogni u in D0 (Ω) vale
sing supp u = sing supp P (D)u;
(ii) (lemma di Weyl) se P (D) è ellittico, allora ammette una parametrica E in S 0 (Rn )
il cui supporto singolare è contenuto in {0}.
Dimostrazione.
Dimostriamo (i). È vero in generale che sing supp P (D)u ⊂ sing supp u.
Rimane da dimostrare l’inclusione opposta. Supponiamo dapprima che u sia in E 0 . Evidentemente P (D)u appartiene a E 0 . Inoltre
u + ω ∗ u = E ∗ [P (D)u].
Ricordiamo che ω ∗ u è di classe C ∞ , cosicché, in virtù della Proposizione 3.3.10,
sing supp u = sing supp (E ∗ P (D)u) ⊂ sing supp (P (D)u),
provando la tesi nel caso in cui u sia a supporto compatto.
Supponiamo ora che Ω0 si un aperto precompatto tale che Ω0 ⊂ Ω e che u sia in D0 (Ω).
Sia ψ una funzione in Cc∞ (Ω) che vale 1 su Ω0 . La distribuzione ψ u appartiene a E 0 , e quindi
Ω0 ∩ sing supp [P (D)u] = Ω0 ∩ sing supp [P (D)(ψ u)]
= Ω0 ∩ sing supp [ψ u]
= Ω0 ∩ sing supp u.
3.3. EQUAZIONI DIFFERENZIALI E DISTRIBUZIONI
115
Facendo variare Ω0 si ottiene la tesi.
Dimostriamo (ii). Sia ψ una funzione in Cc∞ (Rn ) che vale 1 su B(0, 1). Poiché P (D) è
ellittico, il simbolo σ si annulla solo in 0 e quindi la funzione (1 − ψ)/σ è di classe C ∞ (Rn ) e
limitata; perciò essa è la trasformata di Fourier di una distribuzione temperata E. Osserviamo che
1−ψ
[P (D)E]b = σ
= 1 − ψ.
σ
b abbiamo P (D)E = δ0 +ω. Evidentemente ω è di classe C ∞ (Rn ) (addirittura è
Posto ω = −ψ,
una funzione di Schwartz). Per concludere la dimostrazione del teorema dobbiamo mostrare
che E è di classe C ∞ (Rn \ {0}).
Scriviamo il simbolo σ di P (D) come
σ(ξ) = σN (ξ) + σN −1 (ξ) + . . . + σ1 (ξ),
dove σj è un polinomio omogeneo di grado j e σN è diverso da 0 in Rn \ {0}. Poiché σN
è diverso da 0 sulla sfera unitaria Sn−1 di Rn , denotato con m in minimo di |σN | su Sn−1 ,
abbiamo la stima
Poiché il polinomio σN
|σN (ξ)| ≥ m |ξ|N
∀ξ ∈ Rn .
P −1
domina N
j=0 σj all’infinito, esistono due costanti positive C e R
tale che
|σ(ξ)| ≥ C |ξ|N
∀ξ : |ξ| ≥ R.
Si può mostrare senza difficoltà per induzione che una derivata di ordine k di 1/σ è della
forma q/σ k+1 dove q è un polinomio di grado al più (N − 1) k. Quindi per ogni ξ tale che
|ξ| ≥ R
β α 1
(ξ) ≤ C |ξ||β|−|α|−N .
ξ D
σ
(3.3.3)
Siano α e β due multiindici e consideriamo la trasformata di Fourier di Dβ (xα E), che vale,
a meno di costanti,
ξ β Dα
1 − ψ σ
(ξ).
Utilizzando la formula di Leibnitz e la stima (3.3.3), ricaviamo che se |β|−|α|−N < −n, allora
essa appartiene a L1 (Rn ). Da proprietà elementari della trasformata di Fourier (inversa), vd.
Corollario 2.2.15, possiamo concludere che se |β| − |α| − N < −n, allora Dβ (xα E) appartiene
a C0 (Rn ). Questo implica che la funzione
Dβ |x|2k E
116
CHAPTER 3. DISTRIBUZIONI
appartiene a C0 (Rn ) se |β| < N + 2k − n cioè che |x|2k E appartiene a C N +2k−n−1 (Rn ), da
cui ricaviamo che E appartiene a C N +2k−n−1 (Rn \ {0}). Facendo variare k si ottiene che E
appartiene a C ∞ (Rn \ {0}), come richiesto.
2
Corollario 3.3.15 (di regolarità) Siano f in C ∞ (Rn ) e P (D) un operatore a coefficienti
costanti in Rn che ha una parametrica E con sing supp E ridotto a {0}. Allora ogni soluzione
dell’equazione
P (D)u = f
è in C ∞ (Rn ).
Dimostrazione.
Sia u in D0 tale che P (D)u = f nel senso delle distribuzioni. Per il
Teorema 3.3.14 (i) il supporto singolare di u coincide con il supporto singolare di P (D)u,
cioè di f . Poiché f è liscia, il suo supporto singolare è vuoto; quindi anche il supporto
singolare di u è vuoto, cioè u è in C ∞ (Rn ).
2
In particolare, il Corollario 3.3.15 si applica all’operatore del calore e ad ogni equazione
ellittica; non si applica, ad esempio, per l’equazione delle onde.
Definizione 3.3.16 Diciamo che l’operatore differenziale P (D) è ipoellittico nell’aperto
Ω di Rn se per ogni u in D0 (Ω) vale
sing supp u = sing supp P (D)u.
Osservazione 3.3.17 Esistono varie caratterizzazioni dell’ipoellitticità di operatori P (D).
Un’analisi approfondita dell’argomento esula dallo scopo di queste note. Ci limitiamo a
enunciare, senza dimostrarlo, il seguente risultato, rimandando a [Ho2, Cap. 11] per una
trattazione esaustiva dell’argomento.
Teorema 3.3.18 Sia P (D) un operatore differenziale a coefficienti costanti. Le affermazioni
seguenti sono equivalenti:
(i) P (D) è ipoellittico;
(ii) Dα P (ξ)/P (ξ) tende a 0 al tendere di ξ a ∞ per ogni multiindice α non nullo.
(iii) P (D) ha una soluzione fondamentale E con sing supp E = {0}.
Da questo risultato segue immediatamente che l’operatore del calore ∂t − ∆x in Rn+1 è
ipoellittico. D’altra parte esso non è ellittico.
3.3. EQUAZIONI DIFFERENZIALI E DISTRIBUZIONI
117
Esercizi
13.
Quali sono i supporti singolari delle distribuzioni δ00 e x 7→ |x|2−n in Rn ?
14.
Dimostrare l’analogo della Proposizione 3.3.2 per sistemi lineari del primo ordine in
forma normale con coefficienti C ∞ e per le equazioni lineari di ordine superiore. (Traccia: il
ruolo della funzione E nella dimostrazione della Proposizione 3.3.2 è giocato dalla matrice
formata da un sistema fondamentale di soluzioni del sistema omogeneo associato).
15.
Sia P (D) è un operatore ellittico di ordine N in Rn . Mostrare che se N è dispari,
allora n = 1 oppure n = 2. Mostrare che se n = 2, allora i coefficienti dei termini di grado
massimo non possono essere tutti reali.
16.
Analizzando la dimostrazione del Lemma di Weyl, mostrare che se P (D) è un
operatore ellittico a coefficienti costanti di ordine almeno n + 1 in Rn , allora esso ammette
una parametrica continua su tutto Rn .
17.
Siano P (D) un operatore a coefficienti costanti non nullo in Rn ed E una sua
parametrica. Può accadere che E appartenga a C ∞ (Rn )?
3.3.3
Il teorema di Malgrange–Ehrenpreis
Osservazione 3.3.19 Sarebbe utile avere soluzioni fondamentali a supporto compatto. Se
E fosse una soluzione fondamentale a supporto compatto di P (D), E ∗ f avrebbe senso per
ogni distribuzione f ; questo condurrebbe a un teorema generale di esistenza per soluzioni
dell’equazione P (D)u = f , con f in D0 .
Tuttavia è semplice mostrare che E non può mai avere supporto compatto.
b sarebbe una funzione intera
Ragioniamo per assurdo. Se E avesse supporto compatto, E
b = 1 in Cn . Ma questo implica che sia σ sia E
b debbano
e dovrebbe soddisfare l’equazione σ E
essere costanti.
Dimostriamo il seguente fondamentale teorema.
Teorema 3.3.20 (Malgrange–Ehrenpreis) Sia P (D) un operatore differenziale non nullo a coefficienti costanti. Valgono le affermazioni seguenti:
(i) per ogni f in Cc∞ (Rn ) esiste una funzione u in C ∞ (Rn ) tale che P (D)u = f.
(ii) P (D) ammette una soluzione fondamentale.
118
CHAPTER 3. DISTRIBUZIONI
Dimostrazione.
Dimostriamo (i). Indichiamo con N l’ordine di P (D).
Supponiamo dapprima che σ abbia la forma speciale
σ(ξ 0 , ξn ) = c ξnN + termini di ordine inferiore in ξn ,
(3.3.4)
dove c è una costante non nulla. Qui e nel seguito ξ 0 indicherà il vettore (ξ1 , . . . , ξn−1 ) di
Rn−1 . Per ogni tale ξ 0 fissato, σ(ξ 0 , ξn ) è un polinomio di grado N nella variabile (complessa)
ξn . Indichiamo con λ1 (ξ 0 ), . . . , λN (ξ 0 ) gli zeri complessi di ξn 7→ σ(ξ 0 , ξn ), ordinati in modo
che se j ≤ k, allora Im λj (ξ 0 ) ≤ Im λk (ξ 0 ) e nel caso in cui Im λj (ξ 0 ) = Im λk (ξ 0 ), allore
Re λj (ξ 0 ) ≤ Re λk (ξ 0 ). Per il teorema di Rouché (vd., ad esempio, [Ru2, p. 225]) una
piccola perturbazione dei coefficienti di σ(ξ 0 , ·) produce una piccola variazione degli zeri del
polinomio. In particolare le funzioni λj (ξ 0 ) sono continue in Rn−1 .
Mostriamo che esiste una funzione misurabile φ : Rn−1 → [−N − 1, N + 1] tale che per
ogni ξ 0 in Rn−1
min φ(ξ 0 ) − Im λj (ξ 0 ) : 1 ≤ j ≤ N ≥ 1.
L’idea è semplice: l’intervallo [−N − 1, N + 1] ha lunghezza 2N + 2. Quindi deve esistere
un suo sottointervallo I(ξ 0 ) di lunghezza 2 che non contiene alcuno dei punti Im λj (ξ 0 ),
j = 1, . . . , N . Sceglieremo
φ(ξ 0 ) = punto medio di I(ξ 0 )
∀ξ 0 ∈ Rn−1 .
Rimane da dimostrare che è possibile scegliere l’intervallo I(ξ 0 ) in modo tale che φ risulti
misurabile.
Per far questo, definiamo le funzioni µ0 , . . . , µN +1 su Rn−1 mediante le formule seguenti:
µ0 (ξ 0 ) = −N − 1
h
i
µj (ξ 0 ) = max min Im λj (ξ 0 ), N + 1 , −N − 1
∀j ∈ {1, . . . , N }
µN +1 (ξ 0 ) = N + 1.
Osserviamo che per ogni ξ 0 in Rn−1 valgono le relazioni
µ0 (ξ 0 ) ≤ . . . ≤ µN +1 (ξ 0 ),
e che
µN +1 (ξ 0 ) − µ0 (ξ 0 ) = 2N + 1.
Le funzioni µj sono continue; conseguentemente gli insiemi
Vj = {ξ 0 : µj+1 (ξ 0 ) − µj (ξ 0 ) ≥ 2}
∀j ∈ {0, . . . , N }
3.3. EQUAZIONI DIFFERENZIALI E DISTRIBUZIONI
119
sono misurabili. Notiamo che gli insiemi Vj coprono Rn−1 . Possiamo definire degli insiemi
misurabili W0 , . . . , WN mutuamente disgiunti tali che
Wj ⊆ Vj
∀j ∈ {0, . . . , N }
e
N
[
Wj = Rn−1 .
j=0
Definiamo
φ(ξ 0 ) =
1
µj+1 (ξ 0 ) + µj (ξ 0 )
2
∀ξ 0 ∈ Wj .
Evidentemente φ è una funzione misurabile, come richiesto.
Costruiamo la soluzione u. Poniamo
Z
Z
fb(ξ 0 , ξn ) 2πi(x0 ξ0 +xn ξn ) 0
e
dξ dξn
u(x) =
0
Rn−1
Im ξn =φ(ξ 0 )
σ(ξ , ξn )
∀x ∈ Rn :
qui l’integrale rispetto a ξn è un integrale di linea sulla retta Im ξn = φ(ξ 0 ) nel piano complesso. Notiamo che se Im ξ si mantiene limitato, allora fb(ξ) è rapidamente decrescente al
tendere di Re ξ a ∞. Inoltre, per costruzione, la retta Im ξn = φ(ξ 0 ) si mantiene lontano
almeno di un’unità dal più vicino zero di σ(ξ 0 , ·) e al più di N unità dall’asse Im ξn = 0.
Dunque l’integranda è limitata e rapidamente descrescente all’infinito e l’integrale assolutamente convergente.
Un argomento analogo mostra che si può differenziare infinite volte sotto il segno di
integrale. Perciò la funzione u è di classe C ∞ . Infine,
Z
Z
0 0
fb(ξ 0 , ξn ) e2πi(x ξ +xn ξn ) dξ 0 dξn .
P (D)u(x) =
Rn−1
Im ξn =φ(ξ 0 )
La funzione integranda è ora intera. Per il teorema dell’integrale nullo di Cauchy (in una
variabile complessa) possiamo perciò modificare il cammino di integrazione, ottenendo
Z
P (D)u(x) =
fb(ξ) e2πixξ dξ
Rn
= f (x)
e completando cosı̀ la dimostrazione di (i) sotto l’ipotesi aggiuntiva che σ abbia la forma
speciale (3.3.4).
Sia ora P (D) generico. Poiché stiamo assumendo che N sia il grado effettivo di P , esiste
un vettore v non caratteristico per P (D), cioè tale che σN (v) 6= 0, dove σN indica il simbolo
principale di P (D). Supponiamo anche che |v| = 1.
120
CHAPTER 3. DISTRIBUZIONI
Sia R una rotazione di Rn tale che R−1 v = (00 , 1), dove 00 indica il vettore nullo in Rn−1 .
Evidentemente (00 , 1) è un vettore caratteristico del polinomio σ ◦ R. Il simbolo σP ◦R del
polinomio P ◦ R ha la forma speciale (3.3.4).
Per quanto abbiamo ora dimostrato, esiste una funzione U in C ∞ (Rn ) tale che
(P ◦ R)(D)U = f ◦ R−1 .
(3.3.5)
Indichiamo con u la funzione U ◦ R. Mostriamo che P (D)u = f .
Infatti, da (3.3.5)
(per la definizione di u)
(per (2.5.3))
f = (P ◦ R)(D)U ◦ R
= (P ◦ R)(D)(u ◦ R−1 ) ◦ R
= P (D)u ◦ R−1 ◦ R
= P (D)u,
come richiesto per concludere la dimostrazione di (i).
Ora dimostriamo (ii). Per ogni intero positivo J indichiamo con P J il polinomio definito
da
P J (x) = P (x) (1 − |x|2 )J .
Il simbolo dell’operatore differenziale P J (D) è il polinomio σ J definito da
σ J (ξ) = σ(ξ) (1 + 4π 2 |ξ|2 )J .
Supponiamo che σ abbia la forma speciale (3.3.4). Allora anche σ J ha la forma speciale
(3.3.4). Definiamo la funzione E J mediante la formula
J
Z
0 0
Z
E (x) =
Rn−1
Im ξn
=φJ (ξ 0 )
e2πi(x ξ +xn ξn )
dξ 0 dξn
σ J (ξ 0 , ξn )
∀x ∈ Rn ,
dove φJ è scelta, in relazione al polinomio σ J come φ era scelta in relazione al polinomio
σ nella dimostrazione di (i). Notiamo che se J > n/2, allora l’integrale è assolutamente
convergente ed E J è in D0 .
Mostriamo che P J (D)E J = δ0 in S 0 (Rn ). Sia ϕ in S(Rn ). Osserviamo che il trasposto
3.3. EQUAZIONI DIFFERENZIALI E DISTRIBUZIONI
121
dell’operatore P J (D) è l’operatore P J (−D) (vd. (2.5.1)). Abbiamo
ϕ, P J (D)E J = P J (−D)ϕ, E J
Z Z
Z
0 0
e2πi(x ξ +xn ξn ) J
=
P (−D)ϕ(x) dx dξ 0 dξn
J (ξ 0 , ξ )
σ
n
n−1
J
0
n
Im ξn =φ (ξ )
ZR RZ
Z
0 0
1
=
P J (−D)ϕ(x) e2πi(x ξ +xn ξn ) dx dξ 0 dξn
J
0
n−1
J 0 σ (ξ , ξn )
Rn
ZR ZIm ξn =φ (ξ )
0
=
ϕ(−ξ
b
, −ξn ) dξ 0 dξn
n−1
Im ξn =φJ (ξ 0 )
ZR
=
ϕ(−ξ)
b
dξ
Rn
= ϕ(0)
= hϕ, δ0 i
∀ϕ ∈ S(Rn ),
cioè P J (D)E J = δ0 in S 0 (Rn ). Posto E = (I − ∆)J E J , abbiamo
P (D)E = P (D) (I − ∆)J E J = P J (D)E J = δ0 ,
e quindi E è una soluzione fondamentale di P (D), come richiesto.
Rimane da considerare il caso in cui σ sia un generico polinomio di grado effettivo N .
Siano v e R come nella prima parte della dimostrazione. Notiamo che (σ J )N +J (v) 6= 0, cioè
v è non caratteristico anche per σ J . Osserviamo anche che
(P J ◦ R)(x) = (P ◦ R)(x) (1 + |x|2 )J .
Procedendo come sopra, otteniamo una soluzione fondamentale eJ di (P J ◦ R)(D). Sia E J la
distribuzione eJ ◦ R (vd. la Definizione 2.3.14 per la definizione della composizione eJ ◦ R).
122
CHAPTER 3. DISTRIBUZIONI
Mostriamo che E J è una soluzione fondamentale di P J (D). Infatti per (2.5.1)
ϕ, P J (D)E J = P J (−D)ϕ, E J
= P J (−D)ϕ, eJ ◦ R
= (P J (−D)ϕ) ◦ R−1 , eJ
(per (2.5.5))
= (P̌ J (D)ϕ) ◦ R−1 , eJ
(per (2.5.3))
= (P̌ J ◦ R)(D)(ϕ ◦ R−1 ), eJ
(per (2.5.1))
= ϕ ◦ R−1 , (P̌ J ◦ R)(−D)eJ
(per (2.5.5))
= ϕ ◦ R−1 , (P J ◦ R)(D)eJ
= ϕ ◦ R−1 , δ0
= hϕ, δ0 i
∀ϕ ∈ S(Rn ).
Procedendo come sopra si vede che (I − ∆)J E J è una soluzione fondamentale di P (D).
La dimostrazione di (ii), e del teorema, è completa.
2
Osservazione 3.3.21 L. Hörmander [Ho2] ha dimostrato che è sempre possibile trovare
una soluzione fondamentale di P (D) che sia temperata.
Chapter 4
Spazi di Sobolev
4.1
Spazi di Sobolev su Rn
Definizione 4.1.1 Sia k in N. Lo spazio di Sobolev H k è lo spazio di tutte le funzioni f
in L2 (Rn ) le cui derivate distribuzionali Dα f sono in L2 (Rn ) per ogni α tale che |α| ≤ k,
munito della norma
kf kH k =
X
kDα f kL2 (Rn ) 2
1/2
.
|α|≤k
Osservazione 4.1.2 Osserviamo che H k è uno spazio di Hilbert (esercizio).
Osservazione 4.1.3 Lo spazio Cc∞ (Rn ) è denso in H k per ogni intero non negativo k.
R
Siano φ in S e ψ in Cc∞ (Rn ) tali che Rn φ dλ = 1 e ψ(0) = 1. Data f in H k , consideriamo
f ∗φt . Poiché f è in L2 (Rn ), f ∗φt converge a f in L2 (Rn ) in virtù della Proposizione 2.1.8 (i).
Inoltre, per ogni multiindice α tale che |α| ≤ k, Dα (f ∗ φt ) = (Dα f ) ∗ φt nel senso delle
distribuzioni. Per ipotesi Dα f appartiene a L2 (Rn ) e quindi (Dα f ) ∗ φt converge a Dα f in
L2 (Rn ) in virtù della Proposizione 2.1.8 (i). Scelto ε in R+ , abbiamo allora
kf − f ∗ φt kH k < ε
pur di scegliere t sufficientemente piccolo. Osserviamo che f ∗ φt è una funzione di classe
C ∞ (Rn ) in H k .
Per concludere la dimostrazione è sufficiente mostrare che una funzione g di classe C ∞ (Rn )
in H k può essere approssimata in norma H k da una funzione in Cc∞ (Rn ). Osserviamo che
123
124
CHAPTER 4. SPAZI DI SOBOLEV
φt g è in Cc∞ (Rn ). Inoltre
lim kg − ψ t gkL2 (Rn ) = 0,
t→0
per il teorema di convergenza dominata.
Rimane da mostrare che Dα g − Dα (ψ t g) tende a zero in L2 (Rn ) per ogni multiindice α
tale che |α| ≤ k. Mostriamo che ciò è vero per le derivate del primo ordine; la dimostrazione
negli altri casi è simile. Infatti,sia j in {1, . . . , n}; abbiamo
Dj (ψ t g) = t (Dj ψ)t g + ψ t Dj g.
Per il teorema di convergenza dominata kDj (ψ t g) − Dj gkL2 (Rn ) converge a zero al tendere
di t a 0, come richiesto.
Definizione 4.1.4 Siano k in N e f una funzione in L2 (Rn ). Diciamo che f ammette
derivate deboli in L2 (Rn ) fino all’ordine k se per ogni multiindice α tale che |α| ≤ k esiste
una funzione gα in L2 (Rn ) tale che
Z
Z
α
|α|
f D ϕ dλ = (−1)
gα ϕ dλ
Rn
Rn
∀ϕ ∈ Cck (Rn ).
In tal caso gα si chiama derivata debole di ordine α di f in L2 (Rn ) e si indica con Dα f .
Osservazione 4.1.5 Notiamo che la definizione precedente è ben data, perché se u è una
R
funzione di L2 (Rn ) tale che Rn u ϕ dλ = 0 per ogni ϕ in Cck (Rn ), allora u è quasi ovunque
nulla.
Infatti, sia {ϕj } una successione di elementi di Cc∞ (Rn ) che converge a ū in L2 (Rn ). Per
R
la disuguaglianza di Schwarz u ϕj converge in L1 (Rn ) a |u|2 ; poiché Rn u ϕj dλ = 0 per ogni
R
j, Rn |u|2 dλ = 0, da cui ricaviamo che u è quasi ovunque nulla.
Definizione 4.1.6 Siano j in {1, . . . , n} e h in R. L’operatore alle differenze ∆hj è definito
da
τ−hej f − f
.
h
Se α = (α1 , . . . , αn ) è un multiindice, poniamo
∆hj f =
∆hα f = (∆h1 )α1 · · · (∆hn )αn f.
Gli operatori ∆h1 , . . . , ∆hn commutano; quindi l’ordine non ha importanza nella formula precedente. Siano k in N e f una funzione in L2 (Rn ). Diciamo che f ammette derivate forti in
4.1. SPAZI DI SOBOLEV SU RN
125
L2 (Rn ) fino all’ordine k se per ogni multiindice α tale che |α| ≤ k esiste una funzione gα in
L2 (Rn ) tale che
lim k∆hα f − gα k= 0.
h→0
In tal caso gα si chiama derivata forte di ordine α di f in L2 (Rn ) e si indica con Dα f .
Proposizione 4.1.7 Indichiamo con k un intero positivo. Le affermazioni seguenti sono
equivalenti:
(i) f appartiene a H k ;
(ii) esiste una successione di funzioni {fj } in Cc∞ (Rn ) che converge a f in norma L2 (Rn )
e tale che {Dα fj } è di Cauchy in L2 (Rn ) per ogni multiindice α tale che |α| ≤ k;
(iii) f ammette derivate deboli in L2 (Rn ) fino all’ordine k;
(iv) f ammette derivate forti in L2 (Rn ) fino all’ordine k.
Dimostrazione.
Abbiamo già provato che (i) implica (ii).
Mostriamo che (ii) implica (iii). Sia {fj } una successione di funzioni in Cc∞ (Rn ) che
converge a f in norma L2 (Rn ) e tale che {Dα fj } è di Cauchy in L2 (Rn ) per ogni α tale che
|α| ≤ k. Poiché L2 (Rn ) è completo, esistono funzioni gα tali che kDα fj − gα kL2 (Rn ) tende a
0 al tendere di j a ∞. Allora, in virtù del teorema di convergenza dominata
Z
Z
α
f D ϕ dλ = lim
fj Dα ϕ dλ
j→∞
n
n
R
R
Z
|α|
(integrando per parti)
= (−1) lim
(Dα fj ) ϕ dλ
j→∞ Rn
Z
|α|
(teorema di conv. dominata)
= (−1)
gα ϕ dλ
∀ϕ ∈ Cck (Rn ).
Rn
Quindi gα è la derivata debole di ordine α di f in L2 (Rn ), come richiesto.
Ora, è evidente che (iii) implica (i): abbiamo cosı̀ mostrato che (i), (ii) e (iii) sono
equivalenti.
Mostriamo che (i) implica (iv). Diamo i dettagli della dimostrazione solo nel caso k = 1;
gli altri casi sono simili, anche se leggermente più complicati dal punto di vista tecnico. Sia
j in {1, . . . , n}. È semplice dimostrare che se g è in Cc∞ (Rn ), allora
lim k∆hj g − Dj gkL2 (Rn ) = 0.
h→0
(4.1.1)
126
CHAPTER 4. SPAZI DI SOBOLEV
Siano f in H k e f` come in (ii). Sappiamo che f ha derivate distribuzionali in L2 (Rn ). Dato
ε in R+ sia N tale che kf` − f kH k < ε/3 per ogni n ≥ N . Per la disuguaglianza triangolare
k∆hj f − Dj f kL2 (Rn ) ≤ k∆hj f − ∆hj fN kL2 (Rn ) + k∆hj fN − Dj fN kL2 (Rn ) + kDj fN − Dj f kL2 (Rn )
Il terzo addendo è stimato da kfN − f kH k . Osserviamo che anche il primo è stimato da
kfN − f kH k . Infatti,
∆hj fN (x)
Z
1
=
Dj fN (x + shej ) ds
0
Z
1
τ−shej (Dj fN )(x) ds
=
∀x ∈ Rn .
0
Ora
k∆hj f
−
∆hj fN kL2 (Rn )
Z
1
kτ−shej (Dj f ) − τ−shej (Dj fN )kL2 (Rn ) ds
≤
0
Z
1
kDj f − Dj fN kL2 (Rn ) ds
=
0
≤ kf − fN kH k .
Per (4.1.1) il secondo addendo è < ε/3 per h piccolo. Complessivamente per h piccolo
k∆hj f − Dj f kL2 (Rn ) < ε,
come richiesto.
Infine è facile verificare che (iv) implica (iii).
2
La dimostrazione è completa.
Osservazione 4.1.8 Sia σ la funzione su Rn , definita da
σ(ξ) = 1 + |ξ|2
1/2
∀ξ ∈ Rn .
Siano k un intero positivo e s in R. Valgono le seguenti proprietà (esercizio):
(i) esistono due costanti positive C1 e C2 tali che
X
C1 σ(ξ)2k ≤
|ξ α |2 ≤ C2 σ(ξ)2k ;
|α|≤k
(ii) la funzione σ s è in O(Rn ). In particolare,
|Dα σ s (ξ)| ≤ C (1 + |ξ|)s−|α|
∀ξ ∈ Rn ;
4.1. SPAZI DI SOBOLEV SU RN
127
(iii) la moltiplicazione per σ s è un omeomorfismo suriettivo di S in sè, con inverso dato
dalla moltiplicazione per σ −s ;
(iv) l’operatore Λs : S → S, definito da
Λs f = F −1 σ s Ff
∀f ∈ S,
è un omeomorfismo suriettivo di S in sè, con inverso dato da Λ−s . Inoltre, Λs si estende
a un omeomorfismo suriettivo di S 0 in sè, con inverso dato dall’estensione a S 0 di Λ−s .
Osservazione 4.1.9 Sia k in N. Valgono le seguenti proprietà (esercizio, utilizzando (i)
dell’osservazione precedente):
(i) f è in H k se e solo se σ k fb è in L2 (Rn );
(ii) esistono due costanti positive C1 e C2 tali che
C1 kσ k fbkL2 (Rn ) ≤ kf kH k ≤ C2 kσ k fbkL2 (Rn ) .
Questa osservazione ci permette di estendere la definizione di spazio di Sobolev H k al
caso in cui k non sia intero.
Definizione 4.1.10 Sia s in R. Lo spazio di Sobolev H s è lo spazio di tutte le distribuzioni temperate f tali che Λs f è in L2 (Rn ), munito della norma
kf kH s = kΛs f kL2 (Rn )
= kσ s fbkL2 (Rn ) .
Definiamo su H s il prodotto interno
Z
(f, g)H s =
Λs f Λs g dλ
∀f, g ∈ H s .
Rn
Proposizione 4.1.11 Siano s, t in R. Valgono le affermazioni seguenti:
(i) la trasformata di Fourier è un isomorfismo isometrico di H s su L2 (µs ), dove dµs =
σ 2s dλ. In particolare, H s è uno spazio di Hilbert;
(ii) S è denso in H s ;
128
CHAPTER 4. SPAZI DI SOBOLEV
(iii) H s è incluso con continuità in S 0 ;
(iv) se s < t, allora H t è denso in H s nella topologia di H s e k·kH s ≤ k·kH t ;
(v) Λt è un isomorfismo isometrico di H s su H s−t ;
(vi) H 0 = L2 (Rn ) e k·k(0) = k·kL2 (Rn ) ;
(vii) per ogni multiindice α l’operatore Dα è limitato da H s in H s−|α| .
Dimostrazione.
2
Esercizio.
Osservazione 4.1.12 Notiamo che se s è positivo allora ogni funzione di H s è in L2 (Rn ).
Dimostriamo che se s è negativo, allora H s contiene distribuzioni temperate che non sono
funzioni localmente integrabili.
Sia ψ una funzione in Cc∞ (Rn ), uguale a 1 in B(0, 1). Se ogni distribuzione in H s fosse
localmente integrabile, l’operatore f 7→ ψ f , definito su H s , sarebbe a valori in L1 (Rn ).
Indichiamo quest’operatore con J e dimostriamo che J è chiuso.
Infatti, supponiamo che {fN } converga a f in H s e che {J fN } converga a g in L1 (Rn ). In
virtù della Proposizione 4.1.11, la successione {fN } converge a f in S 0 . D’altronde {J fN }
converge a g in S 0 , perché L1 (Rn ) è incluso con continuità in S 0 . Poiché J è continuo su S 0 ,
g = J f , e dunque J è chiuso, come richiesto; essendo ovunque definito, J è limitato per il
teorema del grafico chiuso. Perciò esiste una costante C tale che
kJ f kL1 (Rn ) ≤ C kf kH s
∀f ∈ H s .
Ricordiamo che per ogni R in R+ e per ogni funzione f abbiamo indicato con f R la funzione
definita da
f R (x) = f (R x).
Sia f una funzione non nulla in H s , positiva su B(0, 1) (una tale funzione esiste, perché sappiamo che L2 (Rn ) è incluso con continuità in H s ). Applichiamo la disuguaglianza precedente
a f R . Con alcune semplici manipolazioni si perviene alla disuguaglianza
Z
hZ 2s i1/2
fb(v)2 σ(v)2s R2n σ(Rv)
|f | dλ ≤ C
dv
∀R ∈ R+ .
B(0,1)
σ(v)
Rn
È facile verificare che
lim+ R2n
R→0
σ(Rv) 2s
σ(v)
=0
∀v ∈ Rn .
(4.1.2)
4.1. SPAZI DI SOBOLEV SU RN
129
Si può anche mostrare che esiste una costante C tale che
σ(Rv) 2s
R2n
≤C
∀v ∈ Rn ∀R ∈ (0, 1).
σ(v)
Per il teorema di convergenza dominata il secondo membro di (4.1.2) tende a 0 al tendere di
R
R a 0+ . Perciò B(0,1) |J f | dλ = 0, contro l’ipotesi che f sia positiva in B(0, 1).
Proposizione 4.1.13 Sia s in R. La dualità tra S e S 0 induce un isomorfismo unitario tra
H −s e (H s )0 . Più precisamente, se f è in H −s , allora il funzionale ϕ 7→ hϕ, f i su S si estende
a un funzionale lineare continuo su H s , con norma kf kH −s . Viceversa, ogni funzionale in
(H s )0 si ottiene in questo modo.
Dimostrazione.
Omessa: vedi, ad esempio, [Fo1, Prop 9.16].
2
Nel caso in cui s > 0 gli elementi di H s sono funzioni che “hanno derivate in L2 fino
all’ordine s”. È naturale chiedersi quale relazione ci sia tra H s e spazi di funzioni che
ammettono derivate in senso ordinario. Naturalmente, quando si pensa a funzioni di H s come
a funzioni di L2 o a distribuzioni, non si fa distinzione tra funzioni uguali quasi ovunque.
Da questo punto di vista, quindi, quando si dice che una funzione di H s è di classe C k , si
intende che essa ammette un rappresentante che è di classe C k .
Definizione 4.1.14 Sia k un intero non negativo. Introduciamo la notazione seguente:
C0k = {f ∈ C k (Rn ) : Dα f ∈ C0 (Rn )
∀ |α| ≤ k},
dove C0 (Rn ) sono le funzioni continue che tendono a zero all’infinito. È facile verificare che
C0k (Rn ) è un sottospazio chiuso di C k (Rn ).
Teorema 4.1.15 (Teorema di immersione di Sobolev) Siano s in R e k un intero non
negativo tali che s > k + n/2. Valgono le affermazioni seguenti:
(i) se f è in H s , allora F(Dα f ) è in L1 (Rn ) per |α| ≤ k. Inoltre esiste una costante C,
che dipende solo da s − k, tale che
kF(Dα f )kL1 (Rn ) ≤ C kf kH s
(ii) H s è incluso con continuità in C0k (Rn );
∀f ∈ H s ;
130
CHAPTER 4. SPAZI DI SOBOLEV
T
(iii) S è incluso in
(iv) E 0 ⊂
S
u∈R
u∈R
H u;
H u.
Dimostriamo (i). Siano f in H s e α un multiindice tale che |α| ≤ k.
Ricordiamo che F(Dα f )(ξ) = (2π)|α| ξ α fb(ξ). Conseguentemente
Dimostrazione.
(2π)−|α| kF(Dα f )kL1 (Rn ) ≤ kσ k fbkL1 (Rn )
≤ kσ s fbkL2 (Rn ) kσ k−s kL2 (Rn )
≤ C kf kH s ,
e (i) è dimostrato
Poiché la trasformata di Fourier di una funzione in L1 (Rn ) appartiene a C0 (Rn ), da (i)
segue direttamente (ii).
Dimostriamo (iii). Sia f in S. Dobbiamo mostrare che f appartiene a H u per ogni u in R.
Ricordiamo che fb appartiene a S. In particolare, per ogni N in R+ esiste una costante C
tale che
fb ≤ C σ −N .
Scegliamo u in R; sia N > u + n/2. Allora
2
kf kH u 2 = kσ u fbkL2 (Rn )
2
= kσ u−N σ N fbkL2 (Rn )
≤ C kσ u−N kL2 (Rn )
2
< ∞.
Infine dimostriamo (iv). Sia T una distribuzione a supporto compatto. Per il Teorema 2.4.12 esistono un intero non negativo N e una funzione G in C0 (Rn ) ∩ L2 (Rn ) tali che
T = (1 + ∆)N G. Mostriamo che T appartiene a H −2N . Infatti
2
kT kH −2N 2 = kσ −2N TbkL2 (Rn )
b L2 (Rn ) 2
≤ C kGk
< ∞,
come richiesto.
2
4.1. SPAZI DI SOBOLEV SU RN
131
Osservazione 4.1.16 Mostriamo che H s non è incluso in C k (Rn ) se s < k + n/2.
Sia ψ una funzione liscia, pari, a supporto compatto, che vale 1 in un intorno di 0. Per
ogni λ in R sia fλ la funzione definita da
fλ (x) = ψ(x) |x|λ
∀x ∈ Rn \ {0}.
Valgono le affermazioni seguenti:
(i) se λ > s − n/2, allora fλ appartiene a H s ;
(ii) fλ appartiene a C k (Rn ) se e solo se λ > k.
La dimostrazione di (ii) è elementare. Dimostriamo (i) nel caso n = 1: la dimostrazione nel
R 2
caso n > 1 è simile. Dobbiamo calcolare fb e stimare fb σ 2s dλ. Notiamo che fb è una
R
funzione intera, perché fλ è a supporto compatto e pari. È sufficiente, perciò, stimarne il
decadimento all’infinito. Supponiamo ξ grande (positivo). Osserviamo che
Z
b
f (ξ) =
ψ(x) |x|λ e−2πixξ dx
R
Z
1
= λ+1
ψ(v/ξ) |v|λ e−2πiv dv
ξ
ZR∞
2
ψ(v/ξ) v λ cos(2πv) dv.
= λ+1
ξ
0
Scriviamo
Z
∞
ψ(v/ξ) v λ cos(2πv) dv
Z0 ∞
∞
Z
λ
(1 − ψ(v)) ψ(v/ξ) v λ cos(2πv) dv
ψ(v) ψ(v/ξ) v cos(2πv) dv +
=
0
0
e stimiamo separatamente i due integrali a secondo membro. Per il teorema di convergenza
dominata il primo converge a
Z
ψ(0)
∞
ψ(v) v λ cos(2πv) dv.
0
Integrando per parti nel secondo integrale un numero di volte pari alla parte intera di λ
più due, si vede che anch’esso è uniformemente limitato in ξ. Le considerazioni precedenti
mostrano che esiste una costante C tale che
fb(ξ) ≤
C
|ξ|λ+1
132
CHAPTER 4. SPAZI DI SOBOLEV
2
per |ξ| grande. Perciò fb σ 2s è integrabile se λ > s − n/2, come richiesto.
Sia ora s < k + n/2; allora s − n/2 < k. Scegliamo λ tale che s − n/2 < λ < k. Da (i) e
(ii) ricaviamo che fλ appartiene a H s , ma non appartiene a C k (Rn ).
Osservazione 4.1.17 Mostriamo ora che se H s è incluso in C0k (Rn ), allora s > k + n/2.
Rispetto all’osservazione precedente guadagnamo in precisione; d’altro canto, l’argomento
che proponiamo è del tutto astratto e non fornisce controesempi concreti.
Procediamo per assurdo. Supponiamo che H s sia incluso in C k (Rn ) e denotiamo con J
l’inclusione.
Mostriamo che J è un operatore chiuso. Sia {fN } una successione di elementi di H s che
converge a f (in H s ) e tale che {J fN } converga in C0k (Rn ), diciamo a g. Vogliamo mostrare
che g = J f . Poiché sia H s sia C0k (Rn ) sono inclusi con continuità in S 0 , abbiamo che {fN }
converge a f e a g in S 0 . Perciò g = f .
Essendo ovunque definito, J è continuo. Perciò esiste una costante C tale che
∀f ∈ H s .
kJ f kC0k (Rn ) ≤ C kf kH s
Mostriamo che se |α| ≤ k, allora Dα δ0 appartiene a (H s )0 . Infatti
|hϕ, Dα δ0 i| = |Dα ϕ(0)|
≤ kDα ϕkC0k (Rn )
≤ C kϕkH s
∀ϕ ∈ H s .
D’altra parte, sappiamo che (H s )0 si identifica con H −s ; concludiamo quindi che Dα δ0 appartiene a H −s e questo accade se e solo se −s < −k − n/2, cioè s > k + n/2, come richiesto.
Proposizione 4.1.18 Siano s in R e φ in C0 (Rn ) tale che
Z
b
A :=
φ(ξ) σ(ξ)|s| dξ
Rn
sia finito. Allora l’applicazione f 7→ φ f è limitata da H s in sè.
Dimostrazione.
Dobbiamo mostrare che
R
Rn
|(φ f )b(ξ)|2 σ(ξ)2s dξ è controllata da una
costante, indipendente da f , per kf kH s 2 . Notiamo che esiste una costante C tale che
σ(ξ) ≤ C σ(η) σ(ξ − η)
∀ξ, η ∈ Rn .
(4.1.3)
4.1. SPAZI DI SOBOLEV SU RN
133
Perciò, se s è positivo o nullo, allora
φ ∗ fb(ξ) ≤ C
σ(ξ) b
s
Z
b
φ(η) σ(η)s fb(ξ − η) σ(ξ − η)s dη.
Rn
Tenuto conto del fatto che (φ f )b = φb ∗ fb, e, utilizzando la disuguaglianza di Minkowski
generalizzata, otteniamo
hZ
i1/2 Z
2
2s
|(φ f )b(ξ)| σ(ξ) dξ
≤
Rn
h
φ(η) σ(η)s
dη b
Z
Rn
i1/2
fb(ξ − η)2 σ(ξ − η)2s dξ
Rn
≤ A kf kH s ,
come richiesto.
Se, invece, s è negativo, allora
σ(ξ) b
φ ∗ fb(ξ) ≤ C
s
Z
σ(ξ) s b
fb(ξ − η) σ(ξ − η)s dη.
φ(η)
σ(ξ − η)
Rn
Si osserva ora che, ponendo ξ 0 al posto di ξ − η, ξ 0 − η 0 al posto di ξ e, conseguentemente, η 0
al posto di −η in (4.1.3),
inf
ξ∈Rn
C
σ(ξ)
≥
,
σ(ξ − η)
σ(η)
e, tenuto conto che s è negativo, si procede come prima.
Osservazione 4.1.19
2
Dalla proposizione precedente segue direttamente che se φ è di
Schwartz, allora la moltiplicazione per φ è un operatore limitato su H s per ogni s in R.
Teorema 4.1.20 (Teorema di Rellich) Siano s e t in R tali che t < s e sia K un compatto in Rn . Sia {fj } una successione di distribuzioni in H s supportate in K e tali che
supj kfj kH s < ∞. Allora esiste una sottosuccessione fjk che converge in H t .
Dimostrazione.
Per il Teorema 2.4.11 la trasformata di Fourier di fj è una funzione C ∞ a
crescita lenta. Sia φ una funzione in Cc∞ (Rn ) che vale 1 in un intorno di K. Perciò fj = fj φ,
e, passando alla trasformata di Fourier,
b
fbj = fbj ∗ φ.
134
CHAPTER 4. SPAZI DI SOBOLEV
Notiamo che la convoluzione a secondo membro è definita da un integrale assolutamente
convergente, perché φb è di Schwartz. In virtù della formula (4.1.3) abbiamo
Z
sb
b
φ(η) σ(η)|s| fbj (ξ − η) σ(ξ − η)s dη
σ(ξ) fj (ξ) ≤ C
Rn
(dis. di Schwarz)
≤ C kφkH |s| kfj kH s
≤ C,
dove, in virtù dell’ipotesi che la successione {fj } è equilimitata in H s , C non dipende da j.
Osserviamo che per ogni h in {1, . . . , n}
b = fbj ∗ Dh φ.
b
Dh fbj = Dh (fbj ∗ φ)
Poiché anche Dh φb appartiene allo spazio di Schwartz, possiamo ripetere l’argomento precedente, ottenendo che
sup σ(ξ)s Dh fbj (ξ) < ∞.
j,ξ
In particolare possiamo concludere che le funzioni fbj e le loro derivate prime sono uniformemente limitate sui compatti di Rn . Per il Teorema di Ascoli–Arzelà, esiste una sottosuccessione {fbj } che converge uniformemente sui compatti.
k
Dimostriamo che {fbjk } è di Cauchy in H t . Dobbiamo mostrare che l’integrale
Z
2
σ 2t fbjk − fbj` dλ
(4.1.4)
Rn
è piccolo quando jk e j` sono grandi. Scriviamo l’integrale come somma di due integrali, su
B(0, R) e su B(0, R)c , rispettivamente. Osserviamo che
(
(1 + R2 )max(t,0) su B(0, R)
2t
σ ≤
(1 + R2 )t−s σ 2s su B(0, R)c .
Quindi l’integrale (4.1.4) si può stimare con
2
2
C Rn (1 + R2 )max(t,0) sup fbjk − fbj` + (1 + R2 )t−s fbjk − fbj` H s .
B(0,R)
2
Dato ε in R+ , esiste N tale che (1 + N 2 )t−s fbjk − fbj` H s < ε/2 per ogni jk e j` (la
sottosuccessione è equilimitata in H s e t − s < 0). Scegliamo poi jk e j` abbastanza grandi
2
in modo che C N n (1 + N 2 )max(t,0) supB(0,R) fbjk − fbj` < ε/2. Complessivamente per jk e j`
abbastanza grandi l’integrale (4.1.4) è < ε, come richiesto.
2
4.1. SPAZI DI SOBOLEV SU RN
135
Osservazione 4.1.21 Se nel teorema di Rellich si omette l’ipotesi che le funzioni {fj } siano
supportate in un medesimo compatto, la conclusione cessa di valere. Ad esempio, sia φ una
funzione in Cc∞ (Rn ) e {xj } una successione di punti divergente all’infinito. Poniamo
fj (x) = φ(x − xj )
∀j ∈ N ∀x ∈ Rn .
Evidentemente le funzioni fj hanno tutte la medesima norma in H s , qualunque sia s in
R. Mostriamo che la successione {fj } non ammette una sottosuccessione convergente in H t
qualunque sia t in R. Infatti, sia una {fjk } una sottosuccessione convergente in H t , diciamo
a f . Allora si dovrebbe avere
lim kσ t (fbjk − fb)kL2 (Rn ) = 0.
k→∞
Per un noto risultato, pur di passare a un ulteriore sottosuccessione, che chiamiamo ancora
fj , dovremmo avere che fbj converge a fb puntualmente quasi ovunque. Ma
k
k
b e2πixjk ·ξ ,
fbjk (ξ) = φ(ξ)
e quindi dovremmo avere che la successione e2πixjk ·ξ converge puntualmente per quasi ogni ξ.
È facile mostrare che questo non è possibile. Consideriamo il caso n = 1. Se e2πixjk ξ
convergesse puntualmente ad a(ξ), allora, per il teorema di convergenza dominata, si avrebbe
per ogni α > 0
Z
e
lim
k→∞
α
2πixjk ξ
Z
dξ =
α
a(ξ) dξ.
0
0
Ora, l’integrale a sinistra vale
e2πixjk α − 1
,
xjk
che tende a 0 al tendere di k a ∞. Conseguentemente avremmo
Z α
a(ξ) dξ = 0
∀α ∈ R,
0
e quindi a(ξ) = 0 quasi ovunque. D’altra parte e2πixjk ξ = 1 per ogni k e quindi |a(ξ)| = 1;
assurdo.
Esercizi
1.
Dimostrare le affermazioni contenute nell’Osservazione 4.1.8 e nell’Osservazione 4.1.9.
136
CHAPTER 4. SPAZI DI SOBOLEV
2.
Mostrare che δ0 appartiene a H s se e solo se s < −n/2 e che Dα δ0 appartiene a H s se
e solo se s < −k − n/2.
3.
Mostrare che ogni misura complessa (finita) su R appartiene a H −s per ogni s > 1/2.
4.
A quali spazi di Sobolev H s appartiene la funzione x 7→ x |x| (su R)?
5.
Mostrare che una funzione assolutamente continua e a supporto compatto appartiene
a H 1 . Cosa si può dire di una funzione a variazione limitata?
6.
Mostrare che la distribuzione Wt , definita da
ct (ξ) = sin(2πt |ξ|
W
2π |ξ|)
∀ξ ∈ Rn
è in H s se e solo se s < 1 − n/2. Mostrare che Wt non è una funzione se n ≥ 3.
7.
Per quali s in R la funzione x 7→ e−|x| appartiene a H s ?
8.
Sia f una funzione in L2 (R2 ) tale che ∂ 2 f /∂x∂y sia in L2 (R2 ). È vero che f è in
H 2 (R2 )?
9.
Utilizzando funzioni della forma ra (log r)b vicino a 0, costruire una funzione f in
H 1 (R2 ) ∩ E 0 (R2 ) illimitata vicino a 0.
10.
Costruire una funzione in H 1/2 (R) che non è limitata in [−1, 1]. Generalizzare
mostrando che se s ≤ k + n/2 e α è un multiindice tale che |α| = k, allora esiste una
funzione in H s (Rn ) tale che Dα f è illimitata.
11.
Sia f la funzione (continua e in L2 (R2 )) tale che
−4 h
i−1
fb(ξ) = 1 + |ξ|
log 2 + |ξ|
∀ξ ∈ R2 .
Mostrare che f è in C 1 (R2 ) \ C 2 (R2 ).
4.1.1
Operatori invarianti per traslazione
Definizione 4.1.22 Sia T un operatore lineare continuo da S(Rn ) a S 0 (Rn ). Diciamo che
T è invariante per traslazioni se
τ x T = T τx
∀x ∈ Rn .
Osservazione 4.1.23 Sia T una distribuzione temperata. Consideriamo l’operatore T
definto da
Tϕ=T ∗ϕ
∀ϕ ∈ S.
(4.1.5)
4.1. SPAZI DI SOBOLEV SU RN
137
Una verifica diretta mostra che T è invariante per traslazioni. In questo paragrafo vogliamo
mostrare che se T è un operatore lineare continuo da S a S 0 e verifica qualche condizione
aggiuntiva, allora T è un operatore della forma (4.1.5).
Teorema 4.1.24 (Hörmander) Siano p e q tali che 1 ≤ p ≤ q ≤ ∞. Sia T un operatore limitato da Lp (Rn ) a Lq (Rn ) invariante per traslazioni. Allora esiste una distribuzione
temperata T tale che che
Tϕ=T ∗ϕ
Dimostrazione.
∀ϕ ∈ S.
Dimostreremo il teorema nel caso p = q = 2. La dimostrazione negli altri
casi è simile, ma richiede un teorema di immersione tra spazi di Sobolev leggermente più
raffinato del Teorema 4.1.15.
Sia ϕ in S. Mostriamo che T ϕ ha derivate di ogni ordine in L2 (Rn ) e che per ogni multiiindice α vale la formula
Dα (T ϕ) = T (Dα ϕ)
(4.1.6)
Poniamo h = |h| ej , dove ej indica il j-esimo vettore della base canonica di Rn . Poiché T è
invariante per traslazioni
τh (T ϕ) − T ϕ
=T
|h|
τ ϕ − ϕ
h
|h|
.
(4.1.7)
Ora,
τh ϕ − ϕ
→ ∂j ϕ
|h|
in S. Poiché S è contenuto con continuità in L2 (Rn ), [τh ϕ − ϕ]/ |h| → ∂j ϕ in L2 (Rn ). Poiché
T è continuo in L2 (Rn )
T
τ ϕ − ϕ
h
|h|
→ T (∂j ϕ)
in L2 (Rn ). Da (4.1.7) deduciamo che [τh (T ϕ) − T ϕ]/ |h| converge in L2 (Rn ). D’altra parte,
[τh (T ϕ) − T ϕ]/ |h| converge in S 0 a ∂(T ϕ). Possiamo concludere che ∂j (T ϕ) = T (∂j ϕ) in
senso L2 (Rn ).
Iterando il ragionamento precedente si dimostra (4.1.6).
Ora identifichiamo la distribuzione T . Per il teorema di immersione di Sobolev, T ϕ può
138
CHAPTER 4. SPAZI DI SOBOLEV
essere modificata su un insieme di misura nulla in modo da diventare continua; inoltre
X
|(T ϕ)(0)| ≤ C
kDα (T ϕ)k2
|α|≤k
=C
X
kT (Dα ϕ)k2
|α|≤k
(T è limitato su L2 (Rn ) per ipotesi)
≤ C |||T |||2
X
kDα ϕk2
|α|≤k
≤ C |||T |||2 ρ0r,s (ϕ)
per r e s interi positivi sufficientemente grandi. L’ultima disuguaglianza della catena di
disuguaglianze precedenti è lasciata per esercizio. Sia T0 definita da
hϕ, T0 i = (T ϕ)(0)
∀ϕ ∈ S.
La disuguaglianza precedente mostra che T0 è una distribuzione temperata.
Mostriamo che la distribuzione Te0 , che denoteremo con T , è la distribuzione cercata. Infatti,
T ∗ ϕ(x) = hτx ϕ,
e Ti
D
E
e
= (τ−x ϕ) , T
D
E
= τ−x ϕ, Te
= hτ−x ϕ, T0 i
= [T (τ−x ϕ)](0)
= [τ−x (T ϕ)](0)
= (T ϕ)(x)
∀x ∈ Rn ,
come richiesto.
4.2
2
Spazi di Sobolev localizzati
Definizione 4.2.1 Siano Ω un aperto di Rn e s un numero reale. Lo spazio di Sobolev
s
localizzato Hloc
(Ω) è lo spazio vettoriale di tutte le distribuzioni f in D0 (Ω) tali che per
ogni aperto Ω0 con chiusura compatta in Ω esiste una funzione g in H s tale che f = g in Ω0 .
s
Operativamente è utile la seguente caratterizzazione di Hloc
(Ω).
4.2. SPAZI DI SOBOLEV LOCALIZZATI
139
Proposizione 4.2.2 Siano Ω un aperto di Rn , s un numero reale e f una distribuzione in
D0 (Ω). Le seguenti affermazioni sono equivalenti:
s
(i) f appartiene a Hloc
(Ω);
(ii) per ogni φ in Cc∞ (Ω) la distribuzione φ f appartiene a H s .
Dimostrazione.
s
Mostriamo che (i) implica (ii). Siano f in Hloc
(Ω) e φ una funzione in
Cc∞ (Ω). Vogliamo mostrare che φ f appartiene a H s .
Sia Ω0 un aperto a chiusura compatta contenuto in Ω e contenente il supporto di φ.
s
Poiché f appartiene a Hloc
(Ω), esiste g in H s tale che f = g in Ω0 . Per l’Osservazione 4.1.19
φ g appartiene a H s . D’altra parte φ f = φ g, e quindi φ f appartiene a H s , come richiesto.
Mostriamo ora che (ii) implica (i). Siano f tale che φ f appartiene a H s per ogni φ in
Cc∞ (Ω) e Ω0 un aperto compattamente contenuto in Ω. Vogliamo mostrare che esiste g in
H s , che, ristretta a Ω0 , coincide con f . Sia φ in Cc∞ (Rn ) che vale 1 su Ω0 . Allora φ f è la
2
distribuzione g cercata.
4.2.1
Regolarità ellittica
Lemma 4.2.3 Sia P (D) un operatore ellittico di ordine m. Se u e P (D)u appartengono
a H s , allora u appartiene a H s+m .
Dimostrazione.
Abbiamo
Z
Rn
Osserviamo preliminarmente che esiste una costante C tale che
σ(ξ)2m ≤ C 1 + |ξ|2m
∀ξ ∈ Rn .
2
u
b(ξ) σ(ξ)2(s+m) dξ ≤ C
Z
Rn
2
u
b(ξ) σ(ξ)2s dξ + C
2
Z
Rn
(4.2.1)
m
2
|ξ| u
b(ξ) σ(ξ)2s dξ
2
≤ C kukH s + C kP (D)ukH s ,
da cui la stima richiesta segue direttamente.
2
Osservazione 4.2.4 Osserviamo che se P (D)u appartiene a H s , allora, in generale, non è
vero che u appartiene a H s+m .
Consideriamo l’esempio in cui P (D) è il laplaciano ∆ in R3 e u è il potenziale newtoniano
corrispondente. Allora
∆u = δ0 .
140
CHAPTER 4. SPAZI DI SOBOLEV
Poiché u
b(ξ) = cost/ |ξ|2 , possiamo verificare facilmente che u
b non appartiene a L2 in un
intorno di 0, e, quindi, non appartiene a H t per alcun t.
Teorema 4.2.5 (Regolarità ellittica) Siano P (D) un operatore ellittico a coefficienti costanti di ordine m, Ω un aperto di Rn , s in R e u in D0 (Ω). Valgono le affermazioni seguenti:
s+m
s
(i) se P (D)u appartiene a Hloc
(Ω), allora u appartiene a Hloc
(Ω);
(ii) se P (D)u appartiene a C ∞ (Ω), allora u appartiene a C ∞ (Ω).
Dimostrazione.
Dimostriamo (i). In virtù della Proposizione 4.2.2 è sufficiente mostrare
s+m
s
(Ω), allora φ u appartiene a Hloc
per ogni φ in Cc∞ (Ω). Sia
che se P (D)u appartiene a Hloc
V un aperto contenente il supporto di φ e con chiusura contenuta in Ω. Sia poi ψ in Cc∞ (Ω)
che vale 1 su V . La distribuzione ψ u è a supporto compatto. Per il teorema di struttura
delle distribuzioni a supporto compatto, Teorema 2.4.12, esistono un intero positivo N e una
funzione G in L2 (Rn ) ∩ C0 (Rn ) tale che
ψ u = (1 − ∆)N G.
0
Passando alla trasformata di Fourier, è evidente che ψ u appartiene a H s , per ogni s0 < −2N .
Fissiamo s0 in modo che s+m−s0 sia un intero positivo, diciamo k. Siano ψ0 , . . . , ψk funzioni
in Cc∞ (Ω) che valgono 1 in un intorno del supporto di φ e tali che ψ0 = ψ, ψk = φ, ψj vale 1
sul supporto di ψj+1 per j = 0, 1, . . . , k−1. Dimostreremo ricorsivamente che ψj u appartiene
0
0
a H s +j . Quando j = k otteniamo che ψj u appartiene a H s +k , cioè a H s+m , come richiesto.
L’osservazione cruciale è che per ogni ζ in Cc∞ , l’operatore [P (D), ζ], definito su D0 da
[P (D), ζ]f = P (D) ζ f − ζ P (D)f
è un operatore differenziale di ordine m − 1, i cui coefficienti sono combinazioni lineari di
derivate di ζ; in particolare, i coefficienti sono funzioni Cc∞ , che risultano nulle negli aperti
dove ζ è costante. Se ora f appartiene a H t , allora [P (D), ζ]f appartiene a H t−(m−1) .
0
Ragioniamo induttivamente. Se j = 0, allora ψ0 u appartiene a H s . Supponiamo di aver
0
stabilito che ψj u appartiene a H s +j per j < J e consideriamo ψJ u. Osserviamo che
P (D) ψJ u = [P (D), ψJ ]u + ψJ P (D)u.
4.2. SPAZI DI SOBOLEV LOCALIZZATI
141
Ora ψJ P (D)u appartiene a H s per ipotesi. Inoltre [P (D), ψJ ]u è nulla fuori dal supporto
di ψJ . Quindi
[P (D), ψJ ]u = [P (D), ψJ ](ψJ−1 u).
0
Poiché ψJ−1 u appartiene a H s +J−1 per ipotesi induttiva, [P (D), ψJ ](ψJ−1 u), e quindi an0
che [P (D), ψJ ]u, appartiene a H s +J−m . Notiamo che essendo s + m = s0 + k, vale la
disuguaglianza s ≥ s0 + J − m. Complessivamente abbiamo dimostrato che P (D) ψJ u
0
appartiene a H s +J−m .
0
Osserviamo ora che ψJ u = ψJ ψJ−1 u e che ψJ−1 u appartiene a H s +J−1 per ipotesi
0
0
induttiva, e quindi, a fortiori, a H s +J−m . Per il lemma precedente ψJ u appartiene a H s +J ,
completando cosı̀ il passo induttivo, e la dimostrazione di (i).
s
(Ω) per ogni s
Dimostriamo (ii). Se P (D)u appartiene a C ∞ (Ω), allora appartiene a Hloc
s+m
in R. Per (i) u appartiene a Hloc
(Ω) per ogni s in R, e quindi alla loro intersezione. Per il
teorema di immersione di Sobolev u è in C ∞ (Ω).
2
Osservazione 4.2.6 Osserviamo che nel teorema di regolarità ellittica “non si possono
guadagnare più di m derivate”. Consideriamo, in dimensione n ≥ 3, la funzione
E(x) = ψ(x) |x|2−n ,
dove ψ è una funzione in Cc∞ (Rn ) che vale 1 in un intorno di 0. Notiamo che
∆E = δ0 + R,
s
dove R è una funzione liscia. Quindi ∆E appartiene a Hloc
(Rn ) se e solo se δ0 appartiene
s
a Hloc
(Rn ). Ricordiamo che questo accade se e solo se s < −n/2. Ora, abbiamo mostrato
nell’Osservazione 4.1.16 che E appartiene a H t se e solo se t < 2 − n/2. Nella fattispecie,
perciò, il guadagno di regolarità è pari all’ordine di ∆, cioè 2.
Osservazione 4.2.7 Il teorema di regolarità ellittica continua a valere se si sostituisce
a P (D) un operatore ellittico a coefficienti C ∞ . La dimostrazione segue la falsariga della
precedente, ma è tecnicamente più complicata e richiede metodi nuovi (vd. ad esempio,
[Fo2]).
Osservazione 4.2.8 Il teorema di regolarità ellittica dice sostanzialmente che la differenza
tra i gradi di regolarità della soluzione e del dato di un’equazione ellittica a coefficienti
142
CHAPTER 4. SPAZI DI SOBOLEV
costanti di ordine m è m. Notiamo tuttavia che questa affermazione è vera, come mostrato
sopra, se la regolarità è misurata mediante gli spazi di Sobolev, ma che è falsa, ad esempio,
nella scala degli spazi C k . Si può mostrare che se ∆u = f e f è di classe C(Ω), la soluzione
u non appartiene neccessariamente alla classe C 2 (Ω) (vd, ad esempio, [GT, Es. 4.9, p. 71]).
4.3
Spazi di Sobolev H k (Ω)
Definizione 4.3.1 Sia Ω un aperto limitato di Rn . Indichiamo con C k (Ω) lo spazio di
tutte le funzioni u in C k (Ω) tali che Dα u si estende a una funzione continua su Ω per ogni
multiindice α tale che |α| ≤ k.
Definizione 4.3.2 Sia Ω un aperto di Rn (non necessariamente limitato). Indichiamo con
H k (Ω) lo spazio di tutte le funzioni u in L2 (Ω) le cui derivate distribuzionali (in D0 (Ω)) fino
all’ordine k appartengono a L2 (Ω), normato con la norma
X Z
1/2
kukH k (Ω) =
|Dα u|2 dλ
.
|α|≤k
Ω
Osservazione 4.3.3 Più in generale, per ogni p in [1, ∞) si può considerare lo spazio
W k,p (Ω), definito come lo spazio di tutte le funzioni u in Lp (Ω) le cui derivate distribuzionali
(in D0 (Ω)) fino all’ordine k appartengono a Lp (Ω), normato con la norma
X Z
1/p
α p
kukH k (Ω) =
|D u| dλ
.
|α|≤k
Ω
Nel seguito tratteremo solo gli spazi H k (Ω). Notiamo, tuttavia, che tutte le dimostrazioni
di questa sezione si estendono in modo ovvio al caso degli spazi W k,p (Ω).
In tutta questa sezione denotiamo con ψ una funzione in Cc∞ (Rn ) con supporto in B(0, 1),
R
positiva in B(0, 1) e tale che Rn ψ dλ = 1. Consistentemente con quanto fatto fino ad ora,
indichiamo con ψt la dilatata e normalizzata di ψ in L1 (Rn ).
Proposizione 4.3.4 Valgono le affermazioni seguenti:
(i) H k (Ω) è di Banach:
(ii) H k (Ω) ∩ C ∞ (Ω) è denso in H k (Ω).
4.3. SPAZI DI SOBOLEV H K (Ω)
Dimostrazione.
143
Lasciamo la dimostrazione di (i) per esercizio.
Dimostriamo (ii). Sia f in H k (Ω) e scegliamo ε in R+ . Per ogni intero positivo j definiamo
Ωj = {x ∈ Ω : d(x, Ωc ) > 1/j}
Cj = Ωj+1 \ Ωj−1
e
∀j = 1, 2, . . . .
Poniamo anche Ω−1 = ∅. Sia {ζj } una partizione dell’unità subordinata alla famiglia {Cj },
cioè:
(a) ζj appartiene a Cc∞ (Cj ) e 0 ≤ ζj ≤ 1;
(b)
P∞
j=1 ζj
= 1 su Ω.
Evidentemente ζj f appartiene a H k (Ω) e il suo supporto è un compatto contenuto in Cj .
Quindi esiste εj in R+ tale che ψεj ∗ (ζj f ) ha supporto compatto contenuto in Cj . Inoltre
ψεj ∗ (ζj f ) è in Cc∞ (Cj ) e, per la Proposizione 2.1.8 (i)
kψεj ∗ (ζj f ) − ζj f k2 <
ε
2j
pur di scegliere εj sufficientemente piccolo. Poiché
Dα ψεj ∗ (ζj f ) = ψεj ∗ Dα (ζj f )
nel senso delle distribuzioni, lo stesso ragionamento si applica a tutte le derivate Dα (ζj f )
fino all’ordine k (perché supponiamo che Dα (ζj f ) è il L2 (Ω) per ipotesi). Poniamo
fε =
∞
X
ψεj ∗ (ζj f ).
j=1
Notiamo che la somma precedente è localmente finita. Abbiamo
kf − fε kH k (Ω) =
X
kDα f − Dα fε k2 2
1/2
|α|≤k
=
∞
X X
ε 2 1/2
|α|≤k
j=1
2j
≤ C ε,
come richiesto.
2
144
CHAPTER 4. SPAZI DI SOBOLEV
Osservazione 4.3.5 Lo spazio C ∞ (Ω) non è, in generale, denso in H k (Ω).
Indichiamo con Ω l’insieme (−1/2, 0) ∪ (0, 1/2) in R. Mostriamo che C ∞ (Ω) non può
essere denso in H 1 (Ω). Procediamo per assurdo. Sia f la funzione che assume valore −1
sull’intervallo (−1/2, 0) e 1 sull’intervallo (0, 1/2). Evidentemente f appartiene a H 1 (Ω) e
kf kH 1 (Ω) = kf kL2 (Ω) , perché la derivata distribuzionale di f è nulla. Supponiamo che {ϕn }
sia una successione di funzioni in C ∞ ([−1/2, 1/2]) che converge a f in H 1 (Ω). Allora {ϕn }
converge a f in L2 (Ω) e quindi
lim kϕn kL2 (Ω) = kf kL2 (Ω) = 1.
n→∞
Pur di passare eventualmente a una sottosuccessione, che, per comodità, indichiamo ancora
con {ϕn }, ϕn converge quasi ovunque a f . Perciò ϕn si annullerà in almeno un punto, diciamo
xn , in (−1/2, 1/2). Per il teorema fondamentale del calcolo,
ϕn (x) = ϕn (x) − ϕn (xn )
Z x
=
ϕ0n dλ,
xn
da cui ricaviamo la stima
Z
1/2
|ϕn (x)| ≤
|ϕ0n | dλ
−1/2
≤ kϕ0n kL2 (Ω)
∀x ∈ [−1/2, 1/2]
(l’ultima disuguaglianza è conseguenza della disuguaglianza di Schwarz). Perciò, passando
all’estremo superiore rispetto a x in [−1/2, 1/2], otteniamo
kϕn k∞ ≤ kϕ0n k2
∀n ∈ N.
D’altra parte, kϕn k2 ≤ kϕn k∞ , e quindi
kϕn k2 ≤ kϕ0n k2
∀n ∈ N.
Perciò
kf kH 1 (Ω) = lim kϕn kH 1 (Ω) ≥ 2 lim kϕn k2 = 2 kf kH 1 (Ω) .
n→∞
n→∞
Questo implica kf kH 1 (Ω) = 0; assurdo.
Osservazione 4.3.6 Il seguente risultato mostra che la situazione patologica che abbiamo
ora esaminato non può verificarsi se la frontiera di Ω è (moderatamente) regolare.
4.3. SPAZI DI SOBOLEV H K (Ω)
145
Teorema 4.3.7 Siano Ω limitato e ∂Ω Lipschitz. Allora C ∞ (Ω) è denso in H k (Ω).
Dimostrazione.
Sia x un punto sul bordo di Ω; vicino a x il bordo può essere descritto
come il grafico di una funzione lipschitziana γ : Rn−1 → R. A meno di rotazioni, possiamo
supporre che x = (x0 , xn ), dove x0 appartiene a Rn−1 e xn appartiene a R, e che la frontiera
di Ω possa essere rappresentata, vicino al punto x, dal grafico di γ. Siano Q e Q0 i cubi
(aperti) di centro x e lati r e r/2, rispettivamente, con r piccolo quanto serve. Supponiamo
anche che Ω ∩ Q sia l’insieme dei punti in Q che si trovano al di sopra del grafico di γ.
Supponiamo dapprima che f sia nulla vicino a ∂Q0 ∩ Ω. Per ogni y in Q0 ∩ Ω e per ogni
ε in R+ sia y ε il vettore y + εαen , dove en indica il versore dell’asse xn e dove abbiamo
posto α = Lip(γ) + 2 (Lip(γ) indica la costante di Lipschitz di γ). Semplici considerazioni
trigonometriche mostrano che B(y ε , ε) è contenuto in Ω ∩ Q se ε è abbastanza piccolo.
Definiamo fε mediante la formula seguente:
Z
fε (y) =
ψε (z) f (y ε − z) dz
B(0,ε)
= f ∗ ψε (y ε )
∀y ∈ Q0 ∩ Ω.
Nell’ultima formula implicitamente pensiamo di estendere f alla funzione nulla fuori da
Q0 ∩ Ω.
Poiché stiamo assumendo f nulla vicino a ∂Q0 ∩ Ω, anche fε è nulla vicino a ∂Q0 ∩ Ω
per ε abbastanza piccolo. Evidentemente fε è in C ∞ (Rn ) (e quindi fε appartiene a C ∞ (Ω)).
Inoltre
fε → f
in
H k (Q0 ∩ Ω).
Infatti, indichiamo con h il vettore εαen − z, dove z è un punto qualunque in B(0, ε).
Osserviamo che per ε sufficientemente piccolo y + h appartiene a Ω ∩ Q e che |h| ≤ ε(α + 1).
Abbiamo
kfε − f kL2 (Ω∩Q)
Z
≤
ψε (z) f (· + εαen − z) − f (·) dz L2 (Ω∩Q)
Z B(0,ε)
≤
ψε (z) τ−h f − f L2 (Ω∩Q) dz
B(0,ε)
≤
sup
h∈εαen +B(0,ε)
τ−h f − f 2
.
L (Ω∩Q)
Per l’uniforme continuità delle traslazioni in L2 (Ω ∩ Q) (vd. risoluzione dell’Esercizio 2.1)
quest’ultima quantità tende a zero al tendere di ε a 0. In modo analogo si procede con la
stima di kDα fε − Dα f kL2 (Ω∩Q) con |α| ≤ k.
146
CHAPTER 4. SPAZI DI SOBOLEV
Poiché ∂U è compatto, possiamo ricoprire ∂U con un numero finito, N diciamo, di cubi
Q01 , . . . , Q0N centrati in punti xj del bordo di Ω e di raggi rj /2. Sia {ζj }N
j=0 una successione
di funzioni lisce tali che
ζ0 ∈ Cc∞ (Ω),
ζj ∈ Cc∞ (Q0j ) j = 1, . . . , N,
N
X
ζj = 1
j=0
e poniamo
f j = f ζj
j = 0, 1, . . . , N.
Fissiamo ora δ in R+ . Procedendo come al passo precedente, possiamo determinare εj in R+
tali che (f j )εj ha supporto compatto contenuto in Ω ∩ Q0j , e
k(f j )εj − f j kH k (Ω∩Qj ) <
δ
.
2N
Infine, procediamo come nella parte (ii) della proposizione precedente per approssimare f 0 ,
che è nulla vicino a ∂Ω, con (f 0 )ε0 in Cc∞ (Ω), in modo che
δ
2
k(f 0 )ε0 − f 0 kH k (Ω) < .
Poniamo, poi,
g=
N
X
(f j )εj .
j=0
Evidentemente g ha le proprietà richieste e
kg − f kH k (Ω) ≤
N
X
k(f j )εj − f kH k (Ω)
j=0
≤ δ,
2
come richiesto.
k
Vogliamo stabilire per H (Ω) proprietà di immersione e di compattezza simili a quelle
godute da H k (Rn ). Un modo economico di procedere consiste nel mostrare che se il bordo
di Ω ha minime proprietà di regolarità, allora ogni funzione di H k (Ω) ha un’estensione a una
funzione di H k (Rn ), per poi sfruttare i teoremi di immersione e compattezza già dimostrati
per H k (Rn ). Classicamente i teoremi di estensione per funzioni in H k (Ω) vengono dimostrati
per domini che localmente sono grafici di funzioni C k con derivate di ordine k date da funzioni
lipschitziane: in questo caso l’operatore di estensione dipende dal grado di regolarità k e
4.3. SPAZI DI SOBOLEV H K (Ω)
147
aumenta di complessità all’aumentare di k. Tutte queste estensioni hanno la proprietà che se
Ω0 è un dominio che contiene propriamente Ω, allora si può fare in modo che l’estensione abbia
supporto contenuto in Ω0 . E.M. Stein ha dimostrato che, in realtà esiste un unico operatore
di estensione per tutti gli spazi H k (Ω). In altre parole, la lipschitzianità della frontiera di Ω
è una condizione di regolarità sufficiente perché le funzioni di H k (Ω) ammettano estensione
a funzioni di H k (Rn ) per ogni k, e l’operatore di estensione è il medesimo per tutti i k. Non
daremo la dimostrazione del teorema di Stein. Ci limitiamo al seguente risultato per funzioni
di H 1 (Ω).
Teorema 4.3.8 Siano Ω un aperto limitato con frontiera Lipschitz e Ω0 un aperto che contiene Ω. Allora esiste un operatore lineare limitato
E : H 1 (Ω) → H 1 (Rn ),
detto di estensione, tale che
Ef = f
Dimostrazione.
su
Ω
e
supp Ef ⊂ Ω0 .
Utilizzeremo le notazioni seguenti: x = (x0 , xn ), C(x, r, h) indica il cilindro
in Rn definito da
C(x, r, h) = {y ∈ Rn : |y 0 − x0 | < r, |yn − xn | < h}.
Sia x un punto sulla frontiera di Ω; poiché ∂Ω è Lipschitz, esistono r, h in R+ e γ : Rn−1 → R
tali che
(i) max|x0 −y0 |<r |γ(y 0 ) − xn | < h/4;
(ii) Ω ∩ C(x, r, h) = {y ∈ Rn : |y 0 − x0 | < r, γ(y 0 ) < yn < h + xn };
(iii) C(x, r, h) ⊂ Ω0 .
Poniamo C 0 = C(x, r/2, h/2), Ω+ = Ω ∩ C 0 e Ω− = C 0 \ Ω. Notiamo che se (y 0 , yn ) appartiene
a Ω− , allora
γ(y 0 ) < 2γ(y 0 ) − yn < xn + h.
La disuguaglianza di sinistra è immediata. Per dimostrare la disuguaglianza di destra, osserviamo che
2γ(y 0 ) − yn ≤ γ(y 0 ) + γ(y 0 )yn < γ(y 0 ) + h.
148
CHAPTER 4. SPAZI DI SOBOLEV
Supponiamo dapprima che f sia in C 1 (Ω) e che supp f sia contenuto in C 0 ∩ Ω (cioè f è
nulla vicino a ∂C 0 ∩ Ω). Definiamo f + e f − mediante le formule
(
f + (y) = f (y)
∀y ∈ Ω+
f − (y) = f (y 0 , 2γ(y 0 ) − yn )
∀y ∈ Ω− ,
e l’operatore di estensione E mediante

+
+


 f (y) su Ω
f − (y) su Ω−


 0
su Rn \ Ω+ ∪ Ω− .
Ef =
Osserviamo che f + = f − su ∂Ω ∩ C 0 . Osserviamo anche che se n = 1, allora l’operatore E è
semplicemente la riflessione intorno al punto di frontiera.
Mostriamo che
kf − kH 1 (Ω− ) ≤ C kf kH 1 (Ω) .
Osserviamo che
Z
Ω−
− 2
f dλ =
Z
ZΩ
2
|f (y 0 , 2γ(y 0 ) − yn )| dy 0 dyn
−
=
|f |2 dλ;
Ω+
l’ultima uguaglianza segue dal cambio di variabile z 0 = y 0 , zn = 2γ(y 0 ) − yn e dal fatto che f
è nulla fuori da C 0 ∩ Ω.
Dobbiamo stimare ora le derivate di f − . Si tratta di un facile esercizio di integrazione
per parti se si assume che γ è di classe C 1 . Infatti, in tal caso, se ϕ è in Cc∞ (Ω− ) e j ∈
{1, . . . , n − 1}, allora
Z
Z
−
f (y 0 , 2γ(y 0 ) − yn ) Dj ϕ(y 0 , yn ) dy 0 dyn
f Dj ϕ dλ =
−
−
Ω
ΩZ
h
i
0
0
0
0
0
=−
Dj f (y , 2γ(y ) − yn ) + Dn f (y , 2γ(y ) − yn ) 2Dj γ(y ) ϕ(y 0 , yn ) dy 0 dyn ,
Ω−
e
Z
−
Z
f Dn ϕ dλ =
Ω−
Dn f (y 0 , 2γ(y 0 ) − yn ) ϕ(y 0 , yn ) dy 0 dyn .
Ω−
Poiché k∇γk∞ = Lip(γ), abbiamo
Z
Z
− 2
− 0
∇f dλ ≤ C 1 + Lip(γ)
∇f (y , 2γ(y 0 ) − yn )2 dy 0 dyn
−
Ω−
ZΩ
= C 1 + Lip(γ)
|∇f |2 dλ
Ω+
≤ C 1 + Lip(γ) kf kH 1 (Ω) 2 .
4.3. SPAZI DI SOBOLEV H K (Ω)
149
L’uguaglianza nella catena di formule precedenti segue dal cambio di variabile già usato
sopra nella stima di kf − kL2 (Ω− ) .
∞
Se ora γ è solo Lipschitz, allora esiste {γk }∞
tale che
k=1 di classe C
(i) γk ≥ γ;
(ii) γk → γ uniformemente;
(iii) ∇γk → ∇γ quasi ovunque in Rn−1 ;
(iv) supk k∇γk k∞ < ∞,
e si riapplica il discorso precedente, con, in più, un passaggio al limite sotto il segno di
integrale, giustificato dal teorema di convergenza dominata.
Osserviamo che il supporto di Ef è contenuto in C 0 (⊂ Ω0 ) e dimostriamo che
kEf kH 1 (Rn ) ≤ C kf kH 1 (Ω) .
Notiamo che Ef è continua su Rn . Sia ϕ una funzione in Cc∞ (C 0 ). Allora, per ogni j ∈
{1, . . . , n}
Z
Z
f − Dj ϕ dλ
f Dj ϕ dλ +
(Ef ) Dj ϕ dλ =
C0
Z
+
Ω−
Ω+
Z
=−
Z
+
Dj f ϕ dλ −
−
Dj f ϕ dλ +
Ω−
Ω+
Z
(f + − f − ) ϕ ν dσ.
∂U
Notiamo che l’ultimo addendo è nullo, perché f + = f − su ∂Ω (f è continua!). Quindi
Dj (Ef ) = −Dj f + − Dj f − (nel senso delle distribuzioni) e
k∇(Ef )kL2 (Ω) ≤ k∇f + kL2 (Ω) + k∇f − kL2 (Ω)
≤ 2 k∇f kL2 (Ω) ,
come richiesto.
Supponiamo ora che f sia in C 1 (Ω), ma rimuoviamo l’ipotesi che il supporto di f sia contenuto in C 0 . Poiché ∂U è compatto, possiamo ricoprire ∂Ω con un numero finito di cilindri
C(xk , rk , hk ) (k = 1, . . . , N ) e trovare una partizione liscia {ζk } come nella dimostrazione del
teorema precedente. Poniamo
Ef = ζ0 f +
N
X
k=1
E(ζk f );
150
CHAPTER 4. SPAZI DI SOBOLEV
si verifica facilmente che Ef ha le proprietà richieste.
Infine, se f appartiene a H 1 (Ω), allora per il teorema precedente esiste una successione
di funzioni fk appartenenti a H 1 (Ω) ∩ C ∞ (Ω) che approssima f in norma. In questo caso
poniamo
Ef = lim Efk .
k→∞
Notiamo che la successione {Efk } è di Cauchy in H 1 (Rn ). Infatti, per quanto già dimostrato
kEfh − Efk kH 1 (Rn ) ≤ C kfh − fk kH 1 (Rn ) ,
con C indipendente da h e k. La verifica che Ef possiede le proprietà richieste è semplice.
2
Osservazione 4.3.9 Se ∂Ω non è Lipschitz, può non esistere alcuna estensione. Per semplicità mostriamo che se Ω non ha frontiera lipschitziana e f appartiene a H 2 (Ω), allora
non è detto che f ammatta un’estensione a una funzione di H 2 (Rn ). In R2 consideriamo il
dominio
Ω = {(x, y) : y > |x|1/4 },
dove γ è in (0, 1). Sia f (x, y) = log y vicino a zero e nulla fuori da un compatto. Si vede
facilmente che f appartiene a H 2 (Ω). Se f avesse un’estensione Ef a R2 , per il teorema di
immersione di Sobolev Ef dovrebbe essere continua in R2 , cosa evidentemente impossibile.
Osservazione 4.3.10 Sia f in H 1 (Ω), nulla vicino a ∂Ω. L’estensione costruita nel teorema di estensione implica che Ef sia nulla fuori da Ω, pur di scegliere i cilindri C(x, r, h)
sufficientemente piccoli.
Teorema 4.3.11 Siano Ω un aperto limitato di Rn con frontiera Lipschitz e s un intero
> k + n/2. Allora H s (Ω) è incluso con continuità in C k (Ω).
Dimostrazione.
Sia E : H s (Ω) → H s (Rn ) l’operatore di estensione considerato nel
teorema precedente. Ricordiamo che esiste un aperto Ω0 che contiene Ω tale che per ogni
f in H s (Ω) la funzione Ef ha supporto compatto in Ω0 . Per il teorema di immersione già
dimostrato (Teorema 4.1.15) H s (Rn ) è incluso con continuità in C0 (Rn ), da cui ricaviamo
che la restrizione di Ef a Ω è in C k (Ω), come richiesto.
2
Teorema 4.3.12 Siano Ω un aperto limitato di Rn con frontiera Lipschitz e 0 ≤ j < k due
interi. Allora H k (Ω) è incluso con continuità in H j (Ω) e l’immersione è compatta.
4.3. SPAZI DI SOBOLEV H K (Ω)
Dimostrazione.
151
Sia {fN } una successione equilimitata in H k (Ω). Consideriamo la succes-
sione {EfN }. Poiché
kEfN kH k (Rn ) ≤ C kfN kH k (Ω) ,
la successione {Efn } è equilimitata in H k (Rn ). Inoltre tutte le funzioni EfN sono supportate
in uno stesso compatto. Per il teorema di compattezza già dimostrato (Teorema 4.1.20)
esiste una sottosuccessione {EfN` } che converge in H j (Rn ) a una funzione che chiamiamo f .
Evidentemente la restrizione di EfN` a Ω converge alla restrizione di f a Ω in H j (Ω). Poiché
la restrizione di EfN` a Ω coincide con fN` , si ha la tesi.
2
152
CHAPTER 4. SPAZI DI SOBOLEV
Contents
1 Spazi localmente convessi
1
1.1
Spazi vettoriali topologici
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1
1.2
Spazi localmente convessi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
4
1.2.1
Definizione e prime proprietà . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
4
1.2.2
Seminorme e funzionale di Minkowski . . . . . . . . . . . . . . . . . .
5
1.2.3
Topologia seminormata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
8
1.2.4
Esempi di spazi localmente convessi . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
11
1.2.5
Limitatezza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
15
1.3
Operatori lineari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
17
1.4
Normabilità e metrizzabilità: spazi di Fréchet . . . . . . . . . . . . . . . . .
21
1.4.1
Operatori tra spazi di Fréchet . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
25
Duale di uno spazio localmente convesso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
28
1.5.1
31
1.5
Trasposto (aggiunto) di un operatore . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2 Distribuzioni temperate
33
2.1
Richiami sulla convoluzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
33
2.2
Lo spazio di Schwartz . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
37
2.2.1
Definizione e prime proprietà . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
37
2.2.2
La trasformata di Fourier in S . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
43
2.3
Distribuzioni temperate
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
47
2.3.1
Definizione e primi esempi di distribuzioni temperate . . . . . . . . .
47
2.3.2
Convoluzione tra S e S 0 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
50
2.3.3
Altre operazioni sulle distribuzioni temperate . . . . . . . . . . . . .
54
2.3.4
0
Ulteriori commenti sulle operazioni in S . . . . . . . . . . . . . . . .
153
58
154
CONTENTS
2.3.5
2.4
Distribuzioni a supporto compatto
65
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
74
Trasformata di Fourier di distribuzioni a supporto compatto . . . . .
77
Operatori differenziali a coefficienti costanti . . . . . . . . . . . . . . . . . .
82
2.5.1
84
2.4.1
2.5
Alcune famiglie analitiche di distribuzioni temperate . . . . . . . . .
Soluzioni fondamentali: casi particolari . . . . . . . . . . . . . . . . .
3 Distribuzioni
93
3.1
Limite induttivo stretto
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
93
3.2
Distribuzioni e loro prime proprietà . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
96
3.3
3.2.1
Distribuzioni a supporto compatto in un aperto . . . . . . . . . . . . 102
3.2.2
Regolarizzazione di integrali divergenti . . . . . . . . . . . . . . . . . 105
3.2.3
Operazioni con le distribuzioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 107
Equazioni differenziali e distribuzioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 110
3.3.1
Soluzioni fondamentali e parametriche . . . . . . . . . . . . . . . . . 112
3.3.2
Ipoellitticità e Lemma di Weyl . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 112
3.3.3
Il teorema di Malgrange–Ehrenpreis . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 117
4 Spazi di Sobolev
4.1
Spazi di Sobolev su R
4.1.1
4.2
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 123
Operatori invarianti per traslazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 136
Spazi di Sobolev localizzati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 138
4.2.1
4.3
123
n
Regolarità ellittica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 139
Spazi di Sobolev H k (Ω)
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 142
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