La profilassi vaccinale nella febbre catarrale degli ovini (bluetongue) E’ universalmente accettato che il vaccino ideale per combattere una malattia infettiva deve ricalcare il più possibile l’infezione naturale senza dare luogo a sintomatologia clinica, ma nello stesso tempo non deve poter essere disseminato nell’ambiente. Per rispondere a questi requisiti il vaccino ideale deve contenere i microrganismi vivi, capaci di moderata replicazione all’interno dell’ospite, deve contenere almeno due mutazioni in parti diverse del genoma che interferiscano nei geni responsabili della virulenza. Se questo è realizzabile per i batteri, per i virus si presentano ancora una serie di difficoltà legate soprattutto alla limitatezza del genoma ed alla stretta dipendenza dal metabolismo delle cellule eucariote. Pertanto con i virus si ricorre all’attenuazione per passaggi colturali o all’isolamento delle frazioni antigeniche più significative (es. vaccino dell’epatite B). Naturalmente esistono ancora vaccini virali e batterici spenti, costituiti da microrganismi uccisi che, iniettati, sono in grado di conferire una certa immunità nei confronti del ceppo selvaggio. La premessa era necessaria per capire le linee di tendenza della ricerca in questo settore. Nei confronti della bluetongue sono stati sperimentati tutti e tre i tipi di vaccino menzionati che esamineremo in dettaglio. Vaccini vivi attenuati: costituiti da BTV attenuati per passaggio su uova embrionate (da 29 a 70 passaggi, secondo il sierotipo) e da 2 a 7 passaggi in cellule BHK. Viene usato in Sudafrica da più di 50 anni, registrato lì solo per le pecore. Siccome nella Repubblica del Sudafrica sono presenti quasi tutti i sierotipi, ogni anno gli animali vengono vaccinati con 3 pool diversi a distanza di 3 settimane l’uno dall’altro, e cioè: la bottiglia A contiene i sierotipi 1, 4, 6, 12. 14 la bottiglia B contiene i sierotipi 3,8, 9, 10, 11 la bottiglia C contiene i sierotipi 2, 5, 7, 13, 19 Possono essere prodotti vaccini contenenti singoli sierotipi o combinazioni particolari su richiesta, ma questo richiede tempo. Questi vaccini costano poco, sono facili da produrre e sono somministrati in singola dose. Sono efficaci per il controllo dei focolai clinici in aree dove la malattia è endemica e per controllare la diffusione dei focolai. Il virus vaccinale si moltiplica nella pecora senza causare sintomatologia clinica significativa, e consente una protezione contro l’infezione dal virus dello stesso sierotipo. Controindicazioni: - i vaccini non sono sempre completamente attenuati e talvolta possono non conferire una protezione completa. - gli insetti possono acquisire il virus vaccinale attraverso la puntura degli animali vaccinati, e trasmettere il virus ad altre pecore o ad altri ruminanti - il virus vaccinale può ricombinare con il virus selvaggio presente nell’animale e dare quindi luogo ad un’infezione più severa e a virus con diverse caratteristiche - il virus vaccinale può recuperare completamente la virulenza - i vaccini sono prodotti in cellule di mammifero che possono albergare altri patogeni, il controllo dei quali è laborioso e costoso - i vaccini dovrebbero essere prodotti in laboratori ad alto livello di sicurezza per un efficace contenimento, cosa che provoca costi addizionali sia per la sicurezza che per l’efficacia di ciascun lotto prodotto - è stato visto che i vaccini vivi attenuati possono dare luogo a teratogenesi nella pecora se somministrati durante la prima metà della gravidanza - in seguito a vaccinazione dei montoni, il virus viene ritrovato nel seme e quindi trasmesso durante l’accoppiamento - non è possibile distinguere gli animali infetti dai vaccinati Vaccini inattivati: durante gli ultimi 20 anni vi sono stati molti tentativi di produrre un vaccino inattivato contro la bluetongue, ma nessuno è stato commercializzato. Esso dovrebbe essere costituito da una carica virale almeno 100 volte più alta di quella del vaccino vivo, somministrato in due dosi e con l’aggiunta di un adiuvante. Per cui il costo di produzione è senz’altro più alto, così come è più alto il costo della vaccinazione nell’allevamento (2 interventi). Il vantaggio maggiore rispetto al vaccino vivo attenuato è che l’inattivazione del virus elimina le preoccupazioni della viremia, della trasmissione da parte del vettore e della riacquisizione della virulenza. Si elimina inoltre il pericolo dell’infezione fetale e del riarrangiamento virale. L’uso di questi vaccini può permettere una rapida risposta a nuovi sierotipi emergenti. Controindicazioni: - l’inattivazione del vaccino non è talvolta completamente efficace, ed ha dato luogo in passato a focolai di malattia. Conferiscono una protezione inferiore rispetto al vaccini vivo attenuato, a dei costi molto superiori e con gli svantaggi del vaccino attenuato. Inoltre, razze differenti di pecora hanno mostrato differenze consistenti nella risposta immunitaria al virus inattivato. Anche con questi vaccini non è possibile distinguere gli animali vaccinati dai naturalmente infetti. Vaccini ricombinanti: ottenuti inserendo i geni responsabili della produzione delle maggiori proteine (VP2, VP5, VP3 e VP7) in baculovirus coltivato in cellule di insetto(caterpillar). Questo sistema è molto efficiente e permette di avere le proteine non solo nella loro sequenza amminoacidica primaria, ma anche nella conformazione spaziale tridimensionale, senza che vi sia materiale genetico. Il vaccino maschera quindi perfettamente il virus senza che vi sia alcuna possibilità di rivirulentazione, trattandosi di sole proteine. Vantaggi: 1)completa sicurezza, sia per mancanza di materiale infettante o ricombinante e sia perché il sistema replica in assenza di siero animale, possibile fonte di contaminazione di altri virus (in particolare pestivirus) 2) possibilità di procedere all’eradicazione della malattia, 3) protezione crociata anche nei confronti di altri sierotipi, 4) possibilità di distinguere i vaccinati dai naturalmente infetti. Svantaggi: costo elevato, necessità di trasferire la tecnologia dal laboratorio all’industria, due interventi vaccinali a distanza di 30 gg. Commento finale: i vaccini vivi attenuati rappresentano per l’Italia un livello di rischio molto superiore ai benefici attesi, ma anzi ci sono evidenze che gli effetti negativi possano essere superiori all’andamento naturale della malattia. I vaccini spenti richiedono ancora un elevato livello di studio e di prove per poter essere validati, sebbene l’efficacia sia limitata. I vaccini biotecnologici rappresentano per ora la migliore alternativa, considerando anche che presto i problemi legati alla produzione industriale possono essere risolti. L’alto costo è da considerarsi relativo (nella sola Sardegna la Regione assieme allo Stato spenderanno più di 210 miliardi negli anni 2000-2001 per fronteggiare l’epizoozia, per un costo di circa 1 milione a pecora morta). Lo strumento consente effettivamente di iniziare il cammino dell’eradicazione in maniera moderna e senza lasciarsi condizionare da una pressione che sembra abbia interessi diversi da quelli della salvaguardia del patrimonio ovino in Italia. Guido Leori RELAZIONE La Febbre Catarrale degli Ovini (Bluetongue)in Sardegna: prospettive di controllo. Esaminando criticamente quello che è successo nel corso dell’epizoozia di Bluetongue dalla sua comparsa nell’estate del 2000 si possono avanzare alcune considerazioni che possono servire per affrontare in maniera corretta la nuova possibile ondata di primavera. Le misure sanitarie immediatamente prese non sembrano avere influito sul progresso della malattia che, causa l’andamento climatico favorevole, ha avuto una diffusione a dir poco drammatica. La ragione principale è sicuramente dovuta al fatto che le pecore sarde per la prima volta sono venute a contatto con questo agente, che ha manifestato una virulenza molto elevata in una popolazione completamente priva di memoria immunitaria nei confronti di questo virus. A parte l’eccessivo allarmismo lanciato dalla Stampa e dalle organizzazioni di categoria che cavalcano spesso la tigre della disinformazione e della crisi strutturale dell’agricoltura sarda, la perdita di 200.000 pecore ha di per sé portato solo vantaggi al mercato (da rimarcare il favorevole andamento della campagna di macellazione degli agnelli, così come l’avvio della campagna del latte, a prezzi mai visti). Dal punto di vista sanitario bisogna comunque prepararsi in maniera corretta ad affrontare la prossima primavera, mettendo insieme tutti i dati che nel frattempo sono stati raccolti, e che riguardano: - la distribuzione dei Culicoides nel territorio regionale - l’andamento della malattia in relazione all’altimetria - il livello di protezione anticorpale raggiunto dalla popolazione ovina e bovina. E’ comunque indubbio che dall’esame di questi dati deve nascere la strategia per affrontare una possibile nuova epidemia. Una decisione fondamentale che deve essere presa riguarda che tipo di strumenti mettere in campo, soprattutto vaccinali. Questa decisione è strettamente legata alla prospettiva di risolvere il problema in maniera definitiva e scientifica o continuare a rincorrere l’emergenza, rischiando peraltro di aggravare il problema. L’esame della letteratura scientifica, a questo proposito, fornisce una risposta inequivocabile, a mio parere. L’uso di vaccini vivi attenuati rappresenta un rischio molto alto di super-virulentazione dei ceppi da parte dei Culicoides, per cui i rischi sono molto maggiori rispetto ai vantaggi derivati e si possono riassumere sinteticamente in: 1. L’insorgenza di nuovi sierotipi di virus in aree indenni 2. La persistenza del virus nell’ambiente, consentendo in tal modo all’infezione di persistere in forma endemica nella popolazione zootecnica e selvatica sarda 3. I rischi connessi all’impiego di tali vaccini riconosciuti sicuramente in grado di indurre malformazioni fetali e disordini dell’apparato riproduttore negli animali gravidi 4. I rischi connessi all’impiego di un vaccino vivo non soggetto agli opportuni controlli di qualità ed innocuità previsti dalla normativa corrente (controllo della stabilità dell’attenuazione, assenza di agenti estranei etc.) 5. Impossibilità di differenziare gli animali infetti dai vaccinati, che obbliga ad un totale blocco della movimentazione degli animali e all’impossibilità di stabilire un piano di eradicazione. Pertanto la soluzione tecnica praticabile riguarda l’uso di un vaccino costituito dalle sole proteine immunogene in grado di conferire una solida resistenza alla malattia ma anche all’infezione, consentendo effettivamente di gettare le basi per un corretto piano di eradicazione. Questo vaccino è stato messo a punto in Inghilterra dalla prof.ssa Polly Roy, dell’Università di Oxford, ed il procedimento è brevettato in Europa e negli Stati Uniti. La prof. Polly Roy è disponibile a collaborare con noi per risolvere il problema. Il primo problema riguarda la possibilità di trasferire le quantità che è possibile ottenere in laboratorio alla produzione industriale. Per fare questo vi è attualmente un progetto europeo, a cui partecipiamo anche noi, che partirà a breve e la cui realizzazione è prevista in 3 anni. Nel frattempo, per poter disporre di primi quantitativi di vaccino da usare in primavera dobbiamo raggiungere un accordo con la Prof.ssa Roy, disponibile a fabbricare in laboratorio il vaccino a noi occorrente. Personalmente ho fatto presente alla Prof.ssa che avremmo bisogno di circa 4 milioni di dosi di vaccino all’anno, ma queste quantità si possono aspettare solo da una produzione industriale. Sono possibili diverse opzioni: 1. L’Assessorato alla Sanità attraverso l’Istituto Zooprofilattico stabilisce una convenzione con la prof.ssa Roy per la fornitura di un certo quantitativo di vaccino. Tale quantitativo, definibile in 200.000 dosi entro il 30 aprile e 100.000 dosi ogni mese successivo, potrebbe essere sufficiente per iniziare una seria campagna. La convenzione dovrebbe coprire i costi sia del vaccino che della consulenza per l’uso, oltre ai vari controlli necessari. L’Istituto Superiore di Sanità ha dato la sua disponibilità per collaborare per la parte di loro competenza. 2. L’Assessorato alla Sanità acquista, con l’autorizzazione del Ministero della Sanità, il vaccino ad un costo fissato per dose. In questo caso la prof.ssa fa notare che avrebbe necessità di anticipo finanziario per acquistare tutto il materiale necessario alla fabbricazione del vaccino. Il costo del vaccino, trattandosi di vaccino purificato e specifico per la Sardegna, si aggira sui 3-5 dollari USA per dose Qualsiasi delle due ipotesi può essere percorsa, ma è chiaro che la decisione più importante è quella di decidere di usare questo approccio, che rappresenta la prima sperimentazione sul campo nel mondo di un vaccino che ha tutte le premesse per rappresentare un utile strumento per la definitiva soluzione del problema per la Sardegna ed un ottimo strumento anche per il resto della Nazione. Credo pertanto sia urgente una riunione convocata dall’Assessore dove si possano prendere le corrette ed urgenti decisioni. Resto a disposizione per ogni e qualsiasi chiarimento. Nota inviata al Min.San, Regione Sardegna In data 10 novembre 2000 si è tenuta a Sassari una riunione tecnica promossa dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna al fine di discutere e sviluppare una possibile strategia di intervento vaccinale da utilizzare eventualmente a sostegno di un programma di controllo ed eradicazione della bluetongue in Sardegna. A tal fine è stata invitata la professoressa Polly Roy, NERC Institute of Virology & Environmental Microbiology, Mansfield Road, Oxford, ritenuta tra i principali esperti mondiali nella conoscenza degli Orbivirus ed in particolare nella messa a pinto di vaccini innovativi da utilizzare nella profilassi immunizzante della bluetongue. All’incontro di studio è stata anche richiesta la partecipazione di esperti del Ministero, della Regione Sarda, dell’Istituto Superiore di Sanità(ISS), del Centro Nazionale di Referenza per le Malattie Esotiche (CESME), dell’Università e dell’Istituto Zooprofilattico(IZS). Erano pertanto presenti: - Dr. Tonino Firinu, Direttore, IZS Sardegna; - Prof. Marco Pittau, titolare di Malattie Infettive, Facoltà di Med. Vet, Sassari, ed i collaboratori d.ri Cuccuru e Alberti - Dott.ssa Maria Tollis, Direttore del Reparto di Infezioni virali, ISS, Roma - Prof. Vincenzo Caporale e Dr. A. Giovannini del CESME, IZS Teramo - Dott.ssa Cristiana Patta, IZS Sardegna, Unità di crisi regionale per la bluetongue. - Dr. Guido Leori, resp. Produzione vaccini, IZS Sassari - Dott.ssa Sebastiana Tola, Dr. Fabio Zuccon, esperti in biologia molecolare, IZS. - Dr. Salvatore Depalmas e dott.ssa G.Puggioni, Dip. Sanità Animale IZS SS. - Prof. Polly Roy, Oxford. Dopo le presentazioni di rito, tese ad inquadrare il ruolo di ciascun partecipante nell’ambito della discussione, la prof. Polly Roy ha ampiamente illustrato le caratteristiche biologiche e molecolari del virus della bluetongue, soffermandosi sugli aspetti patogenetici dell’infezione correlati alla possibilità di intervento vaccinale. Ha sottolineato le caratteristiche dei vaccini attualmente impiegati, in particolare mettendo in luce gli aspetti legati alla mancanza di innocuità, cosa che rappresenta un rischio nelle zone dove vengono utilizzati. In particolare ha ribadito la facilità con cui si possono ottenere fenomeni di ricombinazione tra ceppi vaccinali e ceppi di campo, in tal modo favorendo: 1. L’insorgenza di nuovi sierotipi di virus in aree indenni 2. La persistenza del virus nell’ambiente, consentendo in tal modo all’infezione di persistere in forma endemica in una popolazione 3. I rischi connessi all’impiego di tali vaccini riconosciuti sicuramente in grado di indurre malformazioni fetali e disordini dell’apparato riproduttore negli animali gravidi 4. I rischi connessi all’impiego di un vaccino vivo non soggetto agli opportuni controlli di qualità ed innocuità previsti dalla normativa corrente (controllo della stabilità dell’attenuazione, assenza di agenti estranei etc.) 5. Impossibilità di differenziare gli animali infetti dai vaccinati, che obbliga ad un totale blocco della movimentazione degli animali e all’impossibilità di stabilire un piano di eradicazione. Successivamente la prof. Polly Roy ha illustrato la possibilità di intervento mediante l’utilizzo di vaccini inattivati, che potrebbero costituire una valida alternativa all’impiego di vaccini vivi attenuati qualora si rendesse disponibile un vaccino di provata efficacia, attualmente non disponibile. L’eventuale rischio residuo legato ad una parziale persistenza di virus vivo residuo, benché ridimensionato nei suoi aspetti di rischio minimo, in un’analisi di rischio-beneficio derivante dal suo impiego, rimane comunque presente. Pertanto è stata presa in esame la possibilità di utilizzare vaccini di nuova generazione, totalmente privi di materiale genomico del virus, ma in grado di stimolare i meccanismi immunitari (in particolare quelli dell’immunità cellulomediata) che li rendono totalmente innocui per quanto riguarda il rischio di trasmissione e disseminazione di virus infettante nell’ambiente, efficaci in termini di protezione dalla sintomatologia clinica e di replicazione del virus infettante, ed in grado di poter distinguere gli animali naturalmente infetti dai vaccinati. Sono stati quindi illustrati nel dettaglio i risultati degli esperimenti condotti in collaborazione con esperti del laboratorio di Onderstepoort, Sud Africa, utilizzando singolarmente o in differenti combinazioni quantità diverse di proteine di componenti immunogeniche del virus. Pecore vaccinate con tali preparazioni e sottoposte ad infezione sperimentale sia con virus vivo e virulento omologo che eterologo rispetto al materiale vaccinale di partenza, sono risultate completamente protette in termini di sintomatologia clinica che di resistenza all’infezione. Tale protezione complete è stata dimostrata sia in presenza che in assenza di rilevabili quantità di anticorpi neutralizzanti, rispetto agli animali non vaccinati. I risultati delle sperimentazioni sono stati ampiamente dibattuti nel corso della discussione che ne è seguita. L’analisi dei risultati ha consentito ai presenti di apprezzare la potenzialità d’uso della tecnologia indicata dalla prof. Polly Roy per l’ottenimento di un vaccino di assoluta innocuità e di provata efficacia. I una fase successiva sono stati ampiamente dibattuti i tempi e le difficoltà inerenti all’ottenimento di quantità considerevoli di dosi vaccinali ed il reperimento di strutture e risorse umane in grado di amplificare il prodotto sperimentale ottenuto in condizioni di laboratorio. La prof. Polly Roy ha dato la sua disponibilità a fornire alcune dosi di vaccino da poter testare in Sardegna (da parte dell’Istituto Zooprofilattico nell’azienda di Surigheddu) per poter provare la stessa efficacia sulla pecora sarda. Inoltre l’impegno della prof. Roy sarà quello di fornire nel più breve tempo possibile un rapporto di fattibilità in termini di tempi, costi, tecnologie utilizzate e controlli possibili su un prodotto finito di cui poter disporre all’inizio della prossima primavera. Tale programma, supportato dai risultati del piano di monitoraggio predisposto dall’Unità di crisi ede attuato dall’Istituto Zooprofilattico dovrebbe essere in grado di fornire in tempi adeguati un possibile scenario di interventi di vaccinazione degli animali a rischio di infezione in una prossima prevedibile ondata epidemica. In una programmazione iniziale si è richiesto alla prof. Roy la eventuale disponibilità di 1,5 milioni di dosi. Qualsiasi successiva decisione sarà subordinata all’esame del programma di fattibilità da parte delle competenti autorità coinvolte (Ministero, Regione, ISS, IZS, CESME, Unità di Crisi). In sintesi i presenti raccomandano: - che è assolutamente sconsigliabile e molto rischioso l’uso di vaccini vivi attenuati - che le autorità si attivino per contrastare l’ingresso non autorizzato in Sardegna di vaccini vivi - che gli allevatori, sebbene esasperati, siano correttamente informati sulla pericolosità di interventi di questo tipo - che la scelta di ricorrere ai vaccini dell’ultima generazione sarà in grado di risolvere il problema - che la politica sanitaria regionale sia indirizzata alla salvaguardia del patrimonio zootecnico isolano, come essenziale prerogativa per una corretta prevenzione da ulteriori introduzioni di malattie infettive La vaccinazione contro la febbre catarrale ovina (bluetongue) in Italia La malattia è stata diagnosticata in Italia alla fine del mese di agosto 2000, in Sardegna, dove le misure immediatamente applicate (divieto di movimentazione, abbattimento di tutti i capi con sintomatologia clinica) non hanno portato nessun rallentamento della diffusione della malattia nel territorio interessato, diffondendosi nei due mesi successivi a quasi tutta l’isola, interessando circa il 50% della popolazione ovina, con una percentuale di infezione molto variabile. Alla fine si può affermare che la malattia ha portato all’eliminazione di circa 250.000 ovini, di cui una buona metà sono stati abbattuti solo per rialzo termico e perché pecore di scarto, con la prospettiva del risarcimento. Nel frattempo ancora non è stato chiarito quale sia stato il meccanismo con cui la malattia ha fatto la sua comparsa in Sardegna, posto come base per impostare una corretta prevenzione. L’ipotesi del trasporto di Culicoides infetto col vento sembra la più accreditata, ma non vi sono dimostrazioni scientifiche al riguardo. La situazione in Sicilia, che pure ha condizioni climatiche favorevoli allo sviluppo del Culicoides quanto la Sardegna non sembra avere lo stesso andamento, probabilmente dovuto alla minore presenza di insetti vettori. In Calabria…. Poiché l’andamento della malattia in Sardegna, dovuta anche all’amplificazione del fenomeno da parte dei media, ha avuto aspetti estremamente preoccupanti in una realtà dove l’allevamento della pecora costituisce la maggiore industria isolana, soprattutto per mancanza di informazioni chiare dall’inizio, e che ha costretto gli allevatori a protestare in maniera violenta nei confronti degli organismi politici regionali, si è venuta formando in questi soggetti l’idea di sottoporre il patrimonio ovino italiano a vaccinazione, partendo da particolari aree. Un draft della Commissione europea individuava l’area compresa fra la provincia di Salerno, la Basilicata e la Calabria la “zona cuscinetto” da sottoporre a vaccinazione, con l’idea, forse, di impedire la diffusione della malattia nel resto del territorio nazionale. Lo strumento che si metteva in campo era il vaccino vivo attenuato prodotto in Sudafrica, costituito dal solo sierotipo 2, coinvolto nell’epizoozia italiana. Non si conosce se prima di questa decisione siano state fatte le opportune ed approfondite valutazioni epidemiologiche, ma certamente è necessario far rilevare quali rischi comporta una decisione del genere. Anzitutto bisogna rilevare che questo vaccino non è registrato secondo le norme previste dalla Farmacopea Europea per i biologici. L’uso di questo vaccino sarebbe quindi in deroga alle disposizioni europee e a totale responsabilità del Paese che lo utilizza. Certamente non vi è il tempo materiale per poter controllare questo vaccino tramite l’Istituto Superiore di Sanità, per avere le garanzie di innocuità ed di purezza. Per quanto riguarda la preparazione vaccinale, il vaccino è costituito dal sierotipo vivo e virulento del virus BT, attenuato per una serie di passaggi in uovo embrionato (da 29 a 70, secondo il sierotipo) e da passaggi in cellule BHK (da 2 a 9 passaggi), coltivato in seguito in cellule BHK e liofilizzato. Un numero eccessivo di passaggi provoca una attenuazione del virus tale da renderlo inefficace. Come si vede il sistema non offre sufficienti garanzie di sicurezza. Infatti è stato dimostrato che: il virus vaccinale può essere assunto dal Culicoides e riacquistare la virulenza ; gli insetti possono acquisire il virus vaccinale dagli animali vaccinati, e trasmettere il virus ad altre pecore o ad altri ruminanti (domestici o selvatici), consentendo la permanenza del patogeno nell’ambiente il virus vaccinale può ricombinare con il virus selvaggio presente nell’animale e dare quindi luogo ad un’infezione più severa e a virus con diverse caratteristiche i vaccini sono prodotti in cellule di mammifero, con l’uso di siero animale, i quali possono albergare altri patogeni, il controllo dei quali è laborioso e costoso i vaccini dovrebbero essere prodotti in laboratori ad alto livello di sicurezza per un efficace contenimento, cosa che provoca costi addizionali sia per la sicurezza che per l’efficacia di ciascun lotto prodotto è stato visto che i vaccini vivi attenuati possono dare luogo a teratogenesi nella pecora se somministrati durante la prima metà della gravidanza in seguito a vaccinazione dei montoni, il virus viene ritrovato nel seme e quindi trasmesso durante l’accoppiamento non è possibile distinguere gli animali infetti dai vaccinati In una situazione del genere il blocco della movimentazione animale deve essere totale, con pesanti ricadute di tipo economico e sociale In una situazione del genere è chiaro che le ricadute possono essere le seguenti: 1- che l’infezione diventa endemica in Italia 2- è molto facile che l’infezione, invece di rimanere relegata ai focolai, possa andare incontro ad una accelerazione e diffondersi all’Italia Centrale. 3- Che si dia origine a ceppi ad elevata virulenza 4- Che le pecore vaccinate manifestino altre sindromi dovute alla inoculazione di altri inquinanti (es. pestivirus) 5- In assenza di controlli non sappiamo se nel vaccino sarà contenuto solo il sierotipo 2 o anche altri, 6- Dovendo vaccinare tutti gli animali, sarà impedito qualsiasi movimento di animali sieropositivi verso le zone indenni 7- Per alcune realtà come la Sardegna questo significa il blocco totale del commercio del materiale genetico (montoni e sperma per f.a.) verso gli allevamenti del centro Italia, che hanno sempre mostrato un grande interesse per la razza sarda 8- Il possibile uso del vaccino vivo provocherà una diffusione tale di RNA virale da costituire una concreta possibilità che diverse ricombinazioni genetiche del virus possano portare a situazioni che in seguito non saremo in grado di controllare, fra cui bisogna citare il ruolo dei bovini. Attualmente i bovini non manifestano nessuna sintomatologia clinica, ma non è escluso che la vaccinazione diffusa non possa portare alla virulentazione del ceppo nei confronti dei bovini, così come sembra sia successo dal cavallo alla pecora. Evidenze genetiche riferiscono che il capostipite della famiglia degli Orbivirus fosse il virus della peste equina, che in seguito si è adattato alla pecora. 9- In un momento in cui l’opinione pubblica è sconvolta dalla storia della BSE, andare a proporre una vaccinazione contenente siero bovino, senza le necessarie garanzie, sembra veramente una contraddizione difficile da sostenere. La ricerca invece ha fatto passi da gigante in questi anni, arrivando a mettere a punto un vaccino costituito da sole proteine (di superficie e strutturali) capace di stimolare una immunità (soprattutto cellulo-mediata) in grado di resistere al challenge non solo con il sierotipo con cui si ottengono le proteine, ma anche con altri ceppi. Il vaccino è stato ottenuto inserendo nel Baculovirus i geni responsabili della produzione delle proteine; il Baculovirus viene coltivato in cellule di insetto, le quali non richiedono l’aggiunta di siero animale. Questo vaccino è in grado di differenziare gli animali vaccinati da quelli naturalmente infetti, consentendo quindi la movimentazione degli animali, ma soprattutto consentendo un corretto approccio alla soluzione definitiva del problema. Sebbene il vaccino sia stato messo a punto circa 10 anni fa, non è mai stata fatta una produzione industriale perché Paesi come gli USA e l’Australia non hanno mai considerato la vaccinazione un problema di profilassi di stato, ma un problema degli allevatori. Gli altri Paesi coinvolti hanno la malattia endemica e ci convivono senza eccessivi danni. In Europa il problema deve essere affrontato in maniera diversa, partendo dal presupposto, anzitutto, che dobbiamo salvaguardare il nostro patrimonio zootecnico, ottenuto con selezioni che si perdono nella notte dei tempi. E la prima cosa da fare è l’attivazione, presso gli Istituti Zooprofilattici, degli Osservatori Epidemiologici Regionali con personale adeguato che possa istituire un efficace sistema di sorveglianza in grado di valutare i rischi di introduzioni di malattie infettive e di proporre le opportune misure di sorveglianza. Il personale deve avere una adeguata formazione in Epidemiologia e nell’analisi del rischio e trasferire le conoscenze ai Servizi Veterinari delle ASL attraverso incontri periodici specifici per problematiche. Inoltre è necessario che le Regioni provvedano ad istituire i Parchi Quarantenari, strutture indispensabili se si vuole salvaguardare il patrimonio zootecnico della Regione e del Paese. Ancora, è necessario dare vita a tutte quelle azioni che possano portare ad una definitiva soluzione del problema, considerato che si tratta di malattia della lista A dell’O.I.E., e come tale abbiamo tutto l’interesse di eradicarla dal nostro Paese. Bibliografia Acree J .A. 1991. Failure of embryos from Bluetongue infected cattle to transmit virus to susceptible recipients or their offspring. Theriogenology, 36: 689-697. Afshar A., F .C. Thomas, p .F .Wright, J .L. Shapiro, J. Anderson and R. W. Fulton 1987. Blocking dot. Elisa, using a monoclonal antibody for detection of antibodies to Bluetongue virus in bovine and ovine sera. Journal of Virological Methods, 18: 271-280. Afshar A. 1994. Bluetongue: Laboratory diagnosis. Comparative Immunology, Microbiology and Infectious Diseases, 17: 221-242. Alexander G.I., T.D. St George and G.P. Gard 1994. Bluetongue research in Australia- 1993. Australian Veterinary Journal, 71(6): 182-183. Alexander K.A., N .J .MacLachlan et al. 1994. Evidence of natural Bluetongue virus infection among African carnivores. American Journal of Tropical Medicine and Hygiene, 51: 568-576. Barber.T.L. and M.M. Jochim 1985 Bluetongue and Related Orbiviruses. Progress in Clinical Research, vol. 178.New York: Alan R. Liss. Cloete M., D.H. Du Plessis, A.A. Van Dijk, H. Huismans, G.J. Viljoen, D.H. Du Plessis and A.A. Van Dijk 1994. Vaccinia virus expression of the VP7 protein of South African Bluetongue virus serotype 4 and its use as an antigen in a capture Elisa. Archives of Virology, 135(3-4): 405-418. Dangler C.A., C.A. De Mattos, C.C. De Mattos and B.I. Osburn 1990. Identifying Bluetongue virus ribonucleic acid sequences by the polymerase chain reaction. Journal of Virological Methods, 28: 281-292. De Mattos C.C., C.A. De Mattos, B.I. Osburn, C.A. Dangler, R.Y. Chuang and R.H. Doi 1989. Recombinant DNA probe for serotype-specific identification of blue- tongue virus 17. American Journal of Veterinary Research, 50: 536-541. Doyle K.A., B.A. Robinson, D.W. Wilson 1995. Quarantine requirements for the importation of black rhinoceros from Zimbabwe into Australia. Aust. Vet. J., 72(10): 364-368. Du Plessis D.H. 1992. Serological differentiation of five Bluetongue viruses serotypes in indirect Elisa. Onderstepoort Journal of Veterinary Medicine, 59: 119-122. EI Hussein A., C.H. Calisher, F.R. Holbrook, R.J. Schoepp and B.J. Beaty 1989. Detection of Bluetongue virus antigens in Culicoides variipennis by enzyme immuno-assay. Journal of Clinical Microbiology, 27: 1320-1323. EIs H.J. and D.W. Verwoerd 1969. Morphology of Bluetongue virus. Virology, 38: 213-219. Emau P., S.N. Giri, G.A. Anderson, J.L. Stott and B.I. Osburn 1984. Function of prostaglandins, thromboxane A2, and histamine in hypersensitivity reaction to experimental Bluetongue disease in calves. American Journal of Veterinary Research, 45: 1852-1857. Erasmus B.J. 1975. Bluetongue in sheep and goats. Australian Veterinary Journal, 51:165-170. Erasmus B.J. 1975. The epizootiology of Bluetongue: The African situation. Australian Veterinary Journal, 51: 196-198. Erasmus B.J. 1980. The epidemiology and control of Bluetongue in South Africa. Bulletin de l'Office International des Epizooties, 92: 461-467. Erasmus B.J. 1990. Bluetongue. In: Dinter Z. and Morein B., (eds). Virus Infections of Ruminants. VoI. 3. Amsterdam: Elsevier Science Publishers. Gard G .P. 1987. Studies of Bluetongue virulence and pathogenesis in sheep. Department of Industries and Development, Darwin, Technical Bulletin, No 103. Gibbs E.P. and E.C. Greiner 1994. The epidemiology of Bluetongue. Comparative lmmunology, Microbiology and Infectious Diseases, 17: 207-220. Gillespie J.H., D.H. Schlafer, R.H. Foote, S. Quick, E. Dougherty, I. Schiff and S. Allen 1990. Comparison of persistence of seven bovine viruses on bovine embryos following in vitro exposure. Deutsche Tierarztliche Wochenschrift, 97: 65-68. Gould A.R. 1987. The complete nucleotide sequence of Bluetongue virus serotype 1 RNA 3 and a comparison with other geographic serotypes from Australia, South Africa and the USA and with other Orbivirus isolates. Virus Research, 7: 169-183. Gould A.R. 1988. The use of recombinant DNA probes to group and type Orbiviruses. A comparison of Australian and South African isolates. Archives of Virology, 99: 205-220. Hare W .C.D., A.J. Luedke, F.C. Thomas, R.A. Bowen, E.L. Singh, M.D. Eaglesome, C.C.B. Randall and A. Bielanski 1988. Non transmission of the bluetongue virus by embryos from Bluetongue virus-infected sheep. American Journal of Veterinary Research, 49: 468-472. Hernandez A.J., M.D. Salman, T.E. Walton, T.J. Raich, M.C. Pujol, J. Mason and E.C. Greiner 1994. Epidemiological and entomological aspects of Bluetongue in cattle. Veterinaria Mexico, 25(3): 227. Hoff G.L. and D.M. Hoff 1976. Bluetongue and epizootic haemorrhagic disease: A review of these diseases in non-domestic artiodactyls. Journal of Zoo Animal Medicine, 7: 26-30. Holbrook F.R. 1985. Research on the control of Bluetongue in livestock by vector suppression. In: Barber T.L. and Jochim M.M., (eds). Bluetongue and Related Orbiviruses. New York: Alan Liss, Inc. Homan E.J., L. Claudette, L.H. Thompson, C.H. Barreto, M.T. Oviedo, E.P.J. Gibbs and E.C. Greiner 1990. Epidemiological study of Bluetongue viruses in Central America and the Caribbean: 1986-1988. American Journal Veterinary Research, 51: 1089-1094. Hubschle O.J.B., R.J. Lorenz and K.D. Matheka 1981. Enzyme-linked immunosorbent assay for detection of Bluetongue virus antibodies. American Journal of Veterinary Research, 42: 61-65. Huismans H. and B.J. Erasmus 1981. Identification of the serotype-specific and group-specific antigens of Bluetongue virus. Onderstepoort Journal of Veterinary Research, 48: 51-58. Huismans H. and A.A. Van Dijk A.A. 1990. Bluetongue virus structural components. Current Topics in Microbiology and Immunology, 162: 21-41. Jeggo M.H. and R.C. Wardley 1985. Bluetongue vaccine: Cells and/or antibodies. Vaccine, 3: 57-58. Kitano Y., S. Yamashita and K. Makinoda 1994. A congenital abnormality of calves, suggestive of a new type of arthropod borne virus infection. J. Comp. Pathol., l11(4): 427-437. Mellor P.S. 1986. Culicoides: Vectors, climate change and disease risc. Review of Medical and Veterinary Entomology, 84: 235-230. Mo C.L., L.H. Thompson, E.J. Homai1, M.T. Oviedo, E.C. Greiner, J. Gonza1ez and M.R. Saenz 1994. Bluetongue virus iso1ations from vectors and ruminants in Centra1 America and the Caribbean. Interamerican B1uetongue Team. Am. J. Vet. Res., 55(2): 211-215. Osburn B.I., 1994. The impact of Bluetongue virus on reproduction. Comparative Immuno1ogy and Microbio1ogyof Infectious Diseases,17: 189-196. Osburn B.I. 1994. Bluetongue virus. Veterinary C1inics of North America, Food Animal Practice, 10(3): 547-560. Osburn B.I., I. Arabaib and C. Schore 1995. Comparison of Bluetongue and epizootic haemorrhagic disease comp1ex. Bovine Practitioner, 29: 106-109. Ozawa Y. 1985. B1uetongue and re1ated Orbiviruses: Overview of the world situation. In: Barber T .L. and Jochim M.M., (eds). B1uetongue and Related Orbiviruses. New York: A1an R. Liss. Parsonson I.M. 1990. Pathology and pathogenesis of b1uetongue infections. In: Roy P. and GormanB.M. (eds). Bluetongue Viruses. Current Topics in Microbio1ogy and Immuno1ogy. Vo1. 162. Ber1in: Springer-Ver1ag. Parsonson I.M., A.J. Luedke., T.L. Barber and T.E. Wa1ton 1994. B1uetongue virus infection in pregnant ewes. Am. J. Vet. Res., 55(5): 666-669. Parsonson I.M. and K.A. McColl1995. Retrospective diagnosis of b1uetongue virus in stored frozen tissue samples using PCR. Veterinary Microbio1ogy, 46: 143-149. Parsonson I.M., L.H. Thompson and T.E. Wa1ton 1994. Experimental1y induced infection with Bluetongue virus serotype 11 in cows. Am. J. Vet. Res., 55(11): 1529- 1534. Pedley S., M.E. Mohamed and P.P.C. Mertens 1988. Analysis of genome segments from six different isolates of Bluetongue virus using RNA-RNA hybridisation: A genera1ised coding assignment for Bluetongue viruses. Virus Research, 10: 381-390. Pini A. 1976. A study on the pathogenesis of Bluetongue: Rep1ication of the virus in the organs of infected sheep. Onderstepoort Journal of Veterinary Research, 43: 159- 164. Pini A., W. Coack1ey and H. Ohder 1966. Concentration of Bluetongue virus in experimentally infected sheep and virus identification by immunofluorescence technique. Archiv fur Gesamte Virusforschung, 18: 385-390. Poli G., J. Stott, Y.S. Liu and J.S. Manning 1982. Bluetongue virus: Comparative evaluation of enzyme-linked immunosorbent assay, immunodiffusion, and serum neutra1ization for detection of viral antibodies. Journa1 of Clinica1 Microbiology, 15: 159-162. Pritchard L.I., A.R. Gould, W.C. Wilson, L. Thompson, P.P. Mertens and A.M. Wade Evans 1995. Complete nucleotide sequence of RNA segment 3 of b1uetongue virus serotype 2 (Ona-A). Phylogenetic analyses riveal the probable origin and relationship with other orbiviruses. Virus-Res., 35(3): 247-261. Roberts D.H., M.H. Lucas and R.A. Bell1993. Animal and animal product importation and the assessment of risk from Bluetongue and other ruminant Orbiviruses. British Veterinary Journal, 149: 87-99. Roeder P.L. and W.P. Taylor 1991. Failure to establish congenital Bluetongue virus infection by infecting cows in early pregnancy. The Veterinary Record, 128: 301-304. Roy P. 1989. Bluetongue virus genetics and genome structure. Virus Research, 13: 179-206. Roy P. 1995. Synthesis of particulate structures as Bluetongue virus vaccine and their use as multiple immunogen delivery systems. Bulletin de l'Institut Pasteur, France, 93(1): 3-20. Roy P., D.H.L. Bishop, H. LeBlois and B.J. Erasmus 1994. Long-lasting protection of sheep against Bluetongue challenge after vaccination with virus-like particles: evidence of homologous and partial heterologous protection. Vaccine, 12(9): 805-811. Roy P., T. Urakawa, A.A. Van Dijk and B.J. Erasmus 1990. Recombinant virus vaccine for Bluetongue disease in sheep. Journal of Virology, 64: 1498-2003. Sellers R.F. 1975. Bluetongue in Cyprus. Australian Veterinary Journal, 51: 198203. Sellers R.F. 1981. Bluetongue and related diseases. In: Gibbs E.P.J., (ed.). Virus Diseases of Food Animals: A World Geography of Epidemiology and Control. London, Academic Press. Sharifah S.H., M.A. Ali, G.P. Gard and I.G. Polkinghome 1995. Isolation of multiple serotypes of Bluetongue virus from sentinel livestock in Malaysia. Tropical Animal Health and Production. 27(1): 37-42. Tabachnick W.J. 1996. Culicoides variipennis and Bluetongue-virus epidemiology in The United States. Annual Review of Entomology, 41: 23-43. Taylor W .P. 1987. Monitoring systems for Bluetongue in mammalian hosts. In: Taylor W .P ., (ed). Bluetongue in the Mediterranean region. Luxembourg, Commission of the European Communities, pp. 79-83. Taylor W.P. and P.S. Mellor 1994. Distribution of Bluetongue virus in Turkey, 1978- 81. Epidemiol. Infect., 112(3): 623-633. Venter G.J. and R. Meiswinkel 1994. The virtual absence of Culicoides imicola (Diptera: Ceratopogonidae) in a light-trap survey of the colder, high-lying area of the Easter Orange Free State, South Africa, and implications for the transmission of arboviruses. Onderstepoort Journal of Veterinary Research, 61(4): 327-340. Verwoerd D.W. and B.J. Erasmus 1994. Bluetongue. In: J.A.W. Coetzer, G.R. Thompson and R.C. Tustin, (eds.), Infectious disease of Livestock, vol.l. Oxford University Press, Southem Africa. Wade Evans A.M., P.P.C. Mertens and C.J. Bostock 1990. Development of the polymerase chain reaction for the detection of Bluetongue virus in tissue samples. Journal of Virological Methods, 30: 15-24. Wade Evans and P.P.C. Mertens 1990. Expression of the outer capsid proteins of Bluetongue virus using vaccinia virus recombinant. 8th International Congress of Virology, Berlin, 44 W16-005. Ward M.P. 1994. The epidemiology of Bluetongue virus in Australia a review. Aust. Vet. J., 71(1): 3-7. Ward M.P., I.A. Gardner and M. Flanagan 1995. Evaluation of an agar gel immunodiffusion test to detect infection of cattle with Bluetongue viruses in Queensland, Australia. Vet. Microbiol., 45(1): 27-34. White J.R. 1994. Validation of a quantitative Elisa for comparison of monoclonal antibody affinities for isolates of Bluetongue virus. J. Immunol. Methods, 177(12): 79-88. Wilbur L.A., J.F. Evermann, R.L. Levings, I.R. Stoll, D.E. Starling, C.A. Spillers, G.A. Gustafson and A.J. McKeiman 1994. Abortion and death in pregnant bitches associated with a canine vaccine contaminated with Bluetongue virus. Journal of the American Veterinary Medical Association, 204 (11 ): 1762-1765 . Wirth W.W. and A.L. Dyce 1985. The current taxonomic status of the Culicoides vectors of Bluetongue viruses. In; Barber T.L., Jochim M.M. and Osbum B.I., (eds). Bluetongue and Related Orbiviruses. New York: Alan R. Liss. bluetongue.htmlbluetongue.html