Bush meat Il contrabbando di carne selvatica 2008 Sandra Busatta La carne degli animali selvatici terrestri (topi, antilopi, elefanti, scimmie, coccodrilli, ecc.) uccisi per sussistenza o commercio è di solito chiamata bushmeat, una parola usata in origine per la carne proveniente dalla caccia in Africa centrale e occidentale, anche se è un fenomeno mondiale che interessa i paesi tropicali umidi delle Americhe, dell'Asia e dell'Africa e perciò è stata etichettata come wild meat (carne selvatica) all'Assemblea Generale dello IUCN ad Amman nel 2000. Dato che la carne bushmeat è spesso introdotta di contrabbando nei paesi sviluppati per essere consumata dalle comunità immigrate, è diventata anche una questione internazionale. La carne bushmeat è uno dei prodotti della foresta di maggior valore dopo il legname, il petrolio e il tantalio; è un'importante fonte alimentare sia nelle aree rurali che urbane attraverso un commercio che comprende molti attori differenti (cacciatori, grossisti, commercianti urbani, ristoranti e chopbars) e contribuisce in modo significativo al reddito in denaro sia delle poverissime famiglie rurali che delle donne commercianti Nelle sole foreste dell’Africa centrale, ad esempio, vivono oltre 24 milioni di persone che utilizzano la carne di animali selvatici come principale fonte di proteine: queste popolazioni consumano tanta carne quanta gli europei e gli americani, ma circa l’80 per cento deriva dalla fauna selvatica. Così, solo in questa regione, vengono uccisi ogni anno oltre un milione di tonnellate di antilopi di foresta, scimmie e altri animali: l’equivalente in carne di quattro milioni di bovini. Il bushmeat è dunque una fonte di proteine molto comune in questa regione e, a meno che non vengano trovate alternative più economiche, è assai improbabile che il suo consumo possa diminuire. In Botswana, infatti, il bushmeat costa il 30 per cento in meno della carne di bestiame domestico, un risparmio che raggiunge addirittura il 75 per cento in Zimbabwe. Peraltro il commercio di bushmeat è anche fonte di guadagno per molti cacciatori e rivenditori: in Africa centrale e occidentale il giro di affari è stimato in circa due miliardi di dollari; 50 milioni di dollari solamente nel Gabon. La fauna selvatica è stata da sempre oggetto di caccia da parte dell’uomo, e per questo viene spesso considerata una risorsa “gratuita”. Ancora oggi, nell’Africa centrale e occidentale il bushmeat è un’importante risorsa per migliaia di famiglie povere, sia nei villaggi che nelle città. Inoltre nelle città, per le fasce di popolazione più ricche che tentano di mantenere un “legame” con la vita rurale, consumare bushmeat è considerato uno status symbol, e i ristoranti fanno pagare molto cara questa tradizione. In Ghana il bushmeat è consumato da quasi il 90 per cento della popolazione: il suo commercio è stimato in 385.000tonnellate l’anno, per un giro di affari che si attesta sui 350 milioni di dollari. Sebbene l'abuso della carne di animali selvatici sia un problema in rapida crescita ovunque, la relazione si concentra sull'Africa in quanto in tale continente la questione bushmeat è più significativa e meglio studiata. • Il commercio illegale di carne di animali selvatici non si limita però all'Africa. • In Asia molte specie vengono sfruttate in modo insostenibile per fornire cibo, animali da compagnia o in quanto le popolazioni ritengono che mangiando parti specifiche del corpo degli animali si possano curare malattie o potenziare le capacità sessuali. • Il commercio di animali selvatici in Sudamerica è altresì in crescita e vengono venduti animali come scimmie, uccelli, capibara e altri roditori di grandi dimensioni come tapiri e armadilli nonché cervidi . • In via di principio tutti gli animali selvatici possono essere usati per il mercato della carne. In Africa più di 50 specie vengono vendute in mercati e ristoranti compresi antilopi, scimmie di piccole e grandi dimensioni, pangolini, maiali, roditori di grandi dimensioni, elefanti, rettili (come serpenti, lucertole e coccodrilli), invertebrati (come gasteropodi e insetti) nonché uccelli quali i bucerotidi. Gran parte del commercio, tuttavia, riguarda esemplari di mammiferi il cui peso supera di norma un chilo. • Le stime attuali testimoniano che il bushmeat viene consumato su vasta scala in tutti i tropici, soprattutto in Africa. Le stime più recenti attinenti alla carne di animali selvatici parlano di 23.500 tonnellate in Sarawak, da 67.000 a 164.000 tonnellate nell'Amazzonia brasiliana e da 1 milione a 5 milioni di tonnellate (ossa escluse) nel bacino del Congo. In Asia, con il restringimento dell'area forestale, la gente ha fatto il passaggio alla carne domestica. La questione resta se gli africani faranno lo stesso, dato che in Africa la storia dell'agricoltura e della domesticazione del bestiame è assai più breve, vi è un minor uso del pesce per ragioni geografiche e per via del super sfruttamento dei banchi di pesca da parte delle flotte nazionali e internazionali, in particolare quelle dell'Unione Europea, le malattie del bestiame terribili e le guerre frequenti hanno reso l'allevamento del bestiame un investimento rischioso in varie aree. la crisi provocata da questo consumo, cioè il livello insostenibile di caccia ha scatenato una grave crisi ecologica, che causa di conseguenza una crisi alimentare. Infatti, il super sfruttamento della vita selvatica altera la composizione della foresta, la sua architettura e biomassa, e altera pure le dinamiche dell'ecosistema. La domanda dalle città ha aumentato il traffico commerciale di bushmeat e ha quindi contribuito notevolmente all'impatto di quest'ultimo. Con l'aumento delle popolazioni urbane la domanda di bushmeat è cresciuta. In alcuni paesi questa è più a buon mercato della carne proveniente da allevamenti mentre la carne di scimpanzé e di gorilla è considerata un cibo di lusso. I mercati della carne selvatica sono presenti nella maggior parte delle cittadine e città di tutta l'Africa occidentale e centrale. Le armi moderne e le attuali tecniche di caccia sono diventate estremamente efficaci. Le trappole a laccio e a botola e i fucili di tutti i tipi di calibro e addirittura le mitragliatrici hanno sostituito i tradizionali metodi di caccia portando ad un maggior numero di uccisioni ed agevolando uno sfruttamento sempre maggiore e il commercio di animali cacciati illegalmente. L'industria del legname contribuisce in modo sostanziale alla crisi del bushmeat in particolare a causa delle sue attività di disboscamento. Le strade aperte con il disboscamento rendono accessibili foreste, in precedenza impenetrabili, a cacciatori professionisti che mirano a facili guadagni grazie alla caccia e al bracconaggio per i mercati urbani. Gli autocarri che trasportano il legname vengono abitualmente usati per trasportare il bushmeat verso i mercati e spesso i dipendenti dell'industria contano su tale carne come principale apporto proteico alla loro alimentazione. Lo scavo dei letti di fiumi e corsi d'acqua in tutta l'Africa occidentale e centrale alla ricerca di diamanti e oro ha un grave impatto negativo sull'ambiente (soprattutto sui corsi d'acqua). Esso comporta anche un numero elevato di immigranti in zone remote che si nutrono di animali selvatici e che possono anche cacciarla per fini commerciali. L'impatto delle miniere di tantalio (coltan) è un importante causa di depauperamento della fauna. Il commercio internazionale di tutta la fauna selvatica è una lucrativa industria di grandi dimensioni. Dopo gli stupefacenti e le armi il commercio di an imali selvatici è il terzo tipo di commercio illegale più redditizio. Sebbene il commercio di bushmeat rappresenti una percentuale relativamente ridotta del commercio globale di animali selvatici, non esiste pressoché città del mondo in cui siano presenti immigrati dell'Africa occidentale che non importi questo tipo di carne. Alcuni animali considerati come simboli di potere e perciò sacri e certe specie tabù usate solo per scopi religiosi tendono ad essere protette e promuovono la sostenibilità. Così pure la caccia di sussistenza per compensare la dieta familiare. Le comunità rurali che si sono evolute dalla caccia e raccolta all'allevamento e le comunità di coltivatori, invece, dipendono in modo pesante dalla bushmeat. Religioni come l'islam, l'induismo e il cristianesimo influenzano molto l'atteggiamento verso la sostenibilità della caccia: mentre islamismo e induismo pongono restrizioni alla caccia e al consumo delle specie, il cristianesimo è indifferente e perciò più favorevole al cinsumo di bushmeat e meno sostenibile. Lo sfruttamento del bushmeat può avere gravi riflessi sulla salute dell’uomo: la caccia, la macellazione e il consumo di carne di animali selvatici possono essere un veicolo di malattie infettive trasmissibili da una specie animale all’altra. Ancora oggi, come ricordato dalle cronache degli ultimi tempi, tutti gli animali selvatici possono essere causa di zoonosi, ovvero di malattie trasmissibili all’uomo. Quello della SARS è uno degli esempi più significativi: secondo gli esperti, a provocare la diffusione di questa malattia respiratoria potrebbero essere stati proprio gli animali selvatici, molti dei quali sono regolarmente venduti nei mercati e consumati dall’uomo, anche nei paesi occidentali. Mangiare carne bushmeat mette a rischio la salute umana e animale: l'Ebola, il Marburg, la SARS, e l'HIV-AIDS sono tutte malattie umane che si pensa siano state trasmesse tramite la macellazione, il processamento e il consumo di carne selvatica: altre malattie di origine animale sono l'influenza aviaria, la febbre della Rift Valley, il vaiolo delle scimmie (monkeypox), la febbre del Nilo occidentale, la febbre Crimea-Congo e l'antrace. Inoltre, durante lo stoccaggio o il transito la carne selvatica o infetta contamina e si contamina con la carne domestica, introducendo la possibilità di acquisire malattie tipiche degli animali selvatici dalla carne domestica, per non parlare dell'avvelenamento da cattiva conservazione. Almeno una trentina di specie di primati (molte delle quali regolarmente cacciate e consumate come bushmeat) sono risultate affette da SIV, il virus da immunodeficienza delle scimmie, il cui equivalente umano è l’HIV. Sembra infatti che il SIV sia riuscito a compiere il salto di specie e a causare in questo modo la diffusione dell’AIDS nell’uomo: in tal senso l’HIV-1 e l’HIV-2 si sarebbero sviluppati da retrovirus presenti rispettivamente negli scimpanzé e nei cercocebi mori (Cercocebus atys) dell’Africa centro-occidentale. Altri studi, che hanno documentato il passaggio di un altro retrovirus (il virus spongiforme delle scimmie, di cui ancora non si conoscono gli effetti) da scimmia a uomo. Altre malattie sono l'antrace, la salmonella, l'E. coli, il vaiolo degli ovini, le pseudo rabbie, la peste equina africana e il virus Nipah. Si sospetta anche che il bushmeat importato possa scatenare epidemie tra gli animali come l'afta epizootica o la peste suina con effetti economici devastanti. Al convegno della Society for Conservation Biology deg giugno 2006 gli scienziati presentarono uno studio sul mercato della bushmeat in sette grandi città degli USA ed Europa. Che dimostrava come ogni mese fossero venduti 6000 chili di carne africana. La maggior parte diu questa bushmeat era stata macellata e affumicata, ma circa il 27% era cruda e il 21% neppure macellata. Attualmente non c'è nessun controllo per cibo importato da paesi membri all'interno dell'UE. Per i paesi non appartenenti all'UE vengono fatti test a campione, ma solo una piccolissima parte viene in realtà testata. Molte partite illegali, poi, sono dichiarate come frutta e altro alimento non di carne, per cui i controlli sono molto meno severi e la merce può essere subito spostata nei magazzini locali. FEBBRI EMORRAGICHE SCHEDA AGENTI EZIOLOGICI Filoviridae (i virus di Ebola e Marburg); Arenaviridae (i virus della febbre di Lassa, Machupo, Argentina, ecc.); Bunyaviridae (hantavirus, virus delle febbre emorragica della Rift Valley, ecc.); Flaviviridae (virus della febbre gialla e dengue). Virus a RNA rivestiti da un envelope di natura lipidica. CARATTERISTICHE GENERALI Serbatoio naturale in animali o insetti (principalmente roditori o artropodi). Limitazione ad aree geografiche dove è collocato il serbatoio naturale. L’uomo si infetta tramite il contatto con l’ospite infetto. La trasmissione interumana può verificarsi occasionalmente a partire da soggetti affetti. Fenomeni epidemici si verificano sporadicamente e senza regolarità e pertanto non possono essere previsti. Fatta eccezione di rari casi, non esiste alcun trattamento specifico I VIRUS DELLE FEBBRI EMORRAGICHE Diversi virus sono in grado di causare le sindromi delle febbri emorragiche;l’elenco comprende i seguenti virus ad RNA: Filoviridae (i virus di Ebola e Marburg); Arenaviridae (i virus della febbre di Lassa, Machupo, Argentina, ecc.); Bunyaviridae (hantavirus, virus delle febbre emorragica della Rift Valley, ecc.); Flaviviridae (virus della febbre gialla e dengue). L’uomo può essere infettato venendo a contatto con animali infetti o mediante vettori artropodi. Le infezioni sono caratterizzate da un danno vascolare e da una alterata permeabilità, mentre i sintomi comunemente comprendono febbre, mialgia, prostrazione, emorragie delle mucose e shock. La terapia è principalmente di supporto e la morbilità e la mortalità sono molto elevate. Solo i centri di riferimento con livello di biosicurezza totale (BSL 4), attrezzati con laboratori a pressione negativa e di protezioni ermetiche per gli operatori, possono eseguire diagnosi mediante esami colturali, immunologici, istologici e molecolari. FEBBRI EMORRAGICHE AGENTI EZIOLOGICI Virus di 4 distinte famiglie (Arenavirus, Filovirus, Bunyavirus, Flavivirus) che condividono le seguenti caratteristiche: Virus a RNA rivestiti da un envelope di natura lipidica. Serbatoio naturale in animali o insetti (principalmente roditori o artropodi). Limitazione ad aree geografiche dove è collocato il serbatoio naturale. L’uomo si infetta tramite il contatto con l’ospite infetto. La trasmissione interumana può verificarsi occasionalmente a partire da soggetti affetti. Fenomeni epidemici si verificano sporadicamente e senza regolarità e pertanto non possono essere previsti. FEBBRI EMORRAGICHE DI CLASSE A: Febbre di Lassa; Malattia da virus Ebola; Malattia da virus Marburg. FEBBRE DI LASSA AGENTE EZIOLOGICO: virus della famiglia degli Arenavirus diffuso in alcuni paesi del West Africa (Guinea, Liberia, Sierra Leone, Nigeria). MODALITÀ DI TRASMISSIONE: il serbatoio è costituito da una specie di ratti africani (genere Mastomys) presso i quali il virus causa un’infezioneinapparente. La trasmissione all’uomo avviene attraverso contatto diretto con urine o saliva del roditore infetto o con materiali contaminati. Può avvenire anche per ingestione di cibo contaminato o per inalazione di particelle contaminate da secrezioni dei roditori. È possibile la trasmissione interumana per via aerea o con il contatto con sangue, tessuti, secrezioni e liquidi biologici di soggetti infetti. Il contagio può avvenire inoltre tramite materiale sanitario contaminato (aghi). Il contagio da contatto di cute integra non è descritto. MANIFESTAZIONI CLINICHE: dopo 7-10 giorni l’esordio è caratterizzato da febbre elevata, malessere generale e artralgie. In una minoranza dei casi, durante la seconda settimana di malattia, compaiono dolore retrosternale, dolore lombare, tosse, addominalgie, vomito, diarrea, congiuntivite, edema facciale, proteinuria, emorragie cutanee e mucose. L’evoluzione è frequentemente infausta con decesso per shock ipovolemico ed insufficienza epatica acuta. Nei pazienti che sopravvivono può residuare sordità o ipoacusia. PREVENZIONE: si basa principalmente sull’accortezza nell’evitare il contatto con i roditori serbatoio dell’infezione e quindi sull’igiene ambientale e sulla corretta eliminazione dei residui alimentari. Il paziente affetto da febbre di Lassa deve essere strettamente isolato e assistito osservando delle precise norme per evitare il contatto (uso di guanti, maschere, camici, stivali e sterilizzazione dell’equipaggiamento). I Centers for Disease Control and Prevention in collaborazione con l’Organizzazione Mondiale della Sanità hanno steso delle linee guida pratiche per la prevenzione della trasmissione dei virus emorragici in ambiente ospedaliero (Infection Control for Viral Haemorragic fevers in the African Health Care Setting). Non esiste un vaccino efficace. MALATTIA DA VIRUS EBOLA AGENTE EZIOLOGICO: virus della famiglia dei Filovirus, di cui sono state identificate quattro specie. MODALITÀ DI TRASMISSIONE: il serbatoio naturale del virus è sconosciuto e pertanto non sono note le modalità di trasmissione all’inizio di un’epidemia. Si ipotizza che il caso indice origini dal contatto con animali infetti. Successivamente il virus si diffonde per contatto diretto con sangue o liquidi biologici dei soggetti affetti o per contatto con oggetti contaminati dalle secrezioni infette. MANIFESTAZIONI CLINICHE: dopo 3-18 giorni dal contagio compaiono febbre, cefalea, artromialgie, faringite, vomito, diarrea profusa ed esantema maculopapuloso. A distanza di una settimana si manifestano fenomeni emorragici viscerali che portano al decesso . PREVENZIONE: è difficile applicare delle misure di prevenzione primaria poiché il serbatoio del virus è sconosciuto. Il paziente affetto da malattia da virus Ebola deve essere strettamente isolato e assistito osservando delle precise norme per evitare il contatto (uso di guanti, maschere, camici, stivali e sterilizzazione dell’equipaggiamento). I Centers for Disease Control and Prevention in collaborazione con l’Organizzazione Mondiale della Sanità hanno steso delle linee guida pratiche per la prevenzione della trasmissione dei virus emorragici in ambiente ospedaliero (Infection Control for Viral Haemorragic fevers in the African Health Care Setting). Non esiste un vaccino efficace. MALATTIA DA VIRUS MARBURG AGENTE EZIOLOGICO: virus della famiglia dei Filovirus, diffuso in Uganda, Kenya e Zimbawe. MODALITÀ DI TRASMISSIONE: la malattia è stata per la prima volta identificata a Marburg (Germania) tra il personale di laboratorio addetto alla manutenzione di scimmie africane (Cercopithecus aethiops). Tuttavia il serbatoio animale del virus è ad oggi sconosciuto. Il virus può diffondersi per contatto diretto con scimmie o persone infette, o con i loro liquidi biologici, o tramite oggetti contaminati da sangue o tessuti infetti. MANIFESTAZIONI CLINICHE: dopo un periodo di incubazione di 5-10 giorni, la malattia ha un esordio brusco con febbre, brividi, cefalea, mialgie, vomito e diarrea. Dopo circa 5 giorni compare un esantema maculopapuloso localizzato soprattutto al tronco. Nel 30% dei casi circa si manifesta poi una sindrome emorragica con gengivorragia, melena, ematemesi. Si possono associare ittero, pancreatite, insufficienza epatica, delirio e insufficienza multi - organo. La mortalità è pari al 23-25%. PREVENZIONE: è difficile applicare delle misure di prevenzione primaria poiché il serbatoio del virus è sconosciuto. Il paziente affetto da malattia da virus Marburg deve essere strettamente isolato e assistito osservando delle precise norme per evitare il contatto (uso di guanti, maschere, camici, stivali e sterilizzazione dell’equipaggiamento). I Centers for Disease Control and Prevention in collaborazione con l’Organizzazione Mondiale della Sanità hanno steso delle linee guida pratiche per la prevenzione della trasmissione dei virus emorragici in ambiente ospedaliero (Infection Control for Viral Haemorragic fevers in the African Health Care Setting). Non esiste un vaccino efficace. e le risposte dei Medici di Medicina Generale Che cosa sono i virus delle febbri emorragiche? Sono un eterogeneo gruppo di virus (il più noto è il virus di Ebola), la maggior parte dei quali trasmessi all’uomo da animali vettori (roditori o artropodi) tramite morsicatura. Come si manifestano? Con febbre elevata, dolori muscolari violenti e successivamente gravi fenomeni emorragici in tutto il corpo. È possibile la trasmissione da uomo a uomo? Sì, i soggetti ammalati sono altamente contagiosi ed il personale sanitario che ha contatti con malati o con materiale infetto deve adoperare misure di massima sicurezza (maschere, tute, guanti ecc.). Sono malattie mortali? Sì, hanno una mortalità elevatissima. C’è modo di prevenirle? Non esistono ad oggi vaccini. La prevenzione primaria consiste nel proteggersi dalle morsicature degli animali vettori nelle zone ad alta endemia (principalmente Africa). Febbre della Rift Valley La febbre della Rift Valley è una malattia infettiva non contagiosa dei Ruminanti, presente in Africa (specie nell'area della Rift Valley) e nella penisola arabica. Costiuisce un’importante zoonosi. Il virus della febbre della Rift Valley (RVFV) è classificato nel genere Phlebovirus, famiglia Bunyaviridae, che comprende altri virus trasmessi attraverso gli insetti pungitori. La febbre della Rift Valley è principalmente una malattia dei Ruminanti; i più sensibili sono gli ovini, seguono i bovini ed i caprini, con ulteriori differenze di sensibilità legate alla razza. Tassi di mortalità elevati si hanno però solo tra i capi più giovani (agnelli e vitelli). Gli esseri umani possono essere colpiti in modo anche diffuso: nel 1977 in Egitto un'epidemia di febbre della Rift Valley fece registrare 200.000 casi con 60 decessi. Il periodo di incubazione è breve (12-36 ore). La gravità della sintomatologia è molto variabile: gli animali delle razze autoctone africane spesso si infettano senza mostrare alcun sintomo, mentre sono quelle esotiche per l’Africa a sviluppare forme cliniche. I sintomi comprendono febbre alta, linfoadenopatia, depressione, anoressia, diarrea emorragica, oltre che aborti ed elevata mortalità neonatale. Nell’uomo la malattia si presenta nella maggior parte dei casi come una sindrome simil influenzale con febbre e dolori muscolari, che guarisce senza necessità di ricovero; nei casi più gravi invece si ha coinvolgimento epatico con ittero, trombocitopenia, tendenza al sanguinamento ed emorragia della retina con conseguente perdita di capacità visiva. In media il tasso di mortalità nell’uomo è intorno all’1 %. In area indenne la prevenzione si basa sulla sorveglianza sulle importazioni di animali e carni dall’Africa. In Africa si utilizza un vaccino vivo attenuato per vaccinare i capi delle razze esotiche di maggior valore; il rischio di infezione umana può essere ridotto mediante la protezione dalle zanzare e buone prassi igieniche nei macelli e negli allevamenti. Febbre emorragica di Congo-Crimea La febbre emorragica di Congo-Crimea (CCHF) è una febbre emorragica virale trasmessa da zecche (argasidi e ixodidi). Si tratta di una zoonosi causata da virus del gruppo dei Nairovirus appartenente alla famiglia dei Bunyaviridae. Scoperta la prima volta in Crimea nel 1944 e successivamente nel 1956 in Congo; è stata identificata successivamente in diverse epidemie nel corso degli ultimi anni. La CCHF è registrata in più di 30 paesi dell’ASfrica, Asia, Sud-Est Europa e Medio oriente. La distribuzione coincide approssimativamente con la diffusione del principale vettore: le zecche del genere Hyalomma spp. Si tratta di una malattia grave con alta mortalità. E’ una zoonosi che colpisce molte specie animali (bovini, ovini, caprini) ed uccelli (struzzi). Tra i vettori i più comuni sono gli ixodidi del genere Hyalomma che fungono anche da reservoir del virus mediante una trasmissione trans-ovarica e venerea. La trasmissione avviene sia per puntura della zecca sia attraverso contatto con sangue, tessuti di animali infetti, occasionalmente latte. L’incubazione dipende dalle modalità di contagio: dopo puntura di zecca il periodo è tra 1 e 3 gg. (fino a 9); dopo contatto con sangue o tessuti di animali infetti è di 5-6 gg (fino a 13). L’esordio è brutale con febbre, mialgie, vertigini, dolore al collo, rigidità, dolore lombare, cefalea, dolore periorbitario e fotofobia. Possono coesistere nausea, vomito, diarrea e dolore addominale. Seguono stato di agitazione, alternanza di umore, confusione ed aggressività; dopo pochi giorni succedono sonnolenza e prostrazione. Si associano epatomegalia, tachicardia, linfoadenopatie, rash petecchiale, emorragie cutanee e mucose ed emorragie intestinali, delle vie aeree (epistassi), ed urinarie (ematuria); nei casi più gravi compare insufficienza epatorenale e respiratoria. Il tasso di letalità è del 30%; il decesso avviene di solito nel corso della seconda settimana di malattia. La diagnosi si ottiene mediante dosaggio degli anticorpi specifici. E’ anche possibile isolare il virus dal sangue o identificarne gli antigeni (PCR). Non esiste una vaccinazione. I viaggiatori si possono difendere impiegando ; proteggersi dal contatto con le zecche mediante abbigliamento idoneo e l'uso di repellenti (dietitoluamide) ed insetticidi. Coloro che vivono in aree endemiche dovrebbero utilizzare misure di protezione personali che includono l’astenersi da erre con abbondanza di zecche soprattutto nei periodi di primavera ed autunno; utile controllare regolarmente gli indumenti e la pelle per la presenza di zecche e ovviamente rimuoverle. Coloro che lavorano con il bestiame o altri animali in aree endemiche devono proteggersi con repellenti, e indossare guanti o altri indumenti per prevenire il contatto della cute con tessuti infetti o sangue animale. Il trattamento consiste nelle cure di supporto; tra i farmaci si ipotizza l’impiego della ribavirina. Epidemie sono state osservate negli ultimi anni in Kosovo, Albania, Iran, Pakistan, Sud Africa e Mauritania (2003). West Nile Virus West Nile virus è un virus appartenente al genere dei flavivirus; viene trasmesso attraverso la zanzara della specie Culex. La trasmissione umana non è stata provata, anche se si è verificato un caso sospetto a seguito di trasfusione di sangue. Gli uccelli sono il serbatoio naturale dell’infezione: sopravvivono all’infezione sviluppando una immunità permanente e svolgono un ruolo centrale nella diffusione della malattia attraverso le ondate migratorie. Diverse specie di mammiferi sono suscettibili all’infezione: uomo, cavalli, gatti, conigli, scoiattoli, castori, pipistrelli. Il virus è endemico in Africa, Asia, Europa e Australia, dove si possono verificare epidemie o casi sporadici e solo recentemente è stato introdotto in Nord America La maggior parte delle infezioni da West Nile virus decorre in modo del tutto asintomatico. Le forme non complicate si manifestano dopo un periodo di incubazione di 2-14 giorni, con febbre >39°C, cefalea, mialgia, sintomi gastrointestinali; generalmente la fase acuta della malattia si risolve in una settimana, ma può permanere a lungo uno stato di astenia; in circa il 50% dei casi si può riscontrare un rash maculopapulare e linfoadenopatia. In alcuni casi la malattia si manifesta come una meningoencefalite e si presenta con vomito, diminuzione dei riflessi tendinei profondi, debolezza muscolare, paralisi flaccida, insufficienza respiratoria, alterazioni dello stato mentale fino al coma. La mortalità è intorno al 4-14% con un maggior rischio di esito fatale nei pazienti anziani. Altre manifestazioni rare sono le miocarditi, pancreatiti ed epatiti fulminanti. Non esiste ancora un vaccino per il virus West Nile, nonostante diversi laboratori stiano portando avanti studi e ricerche con questo obiettivo. Data la bassa incidenza di casi umani riscontrati la vaccinazione non sembra essere il miglior intervento di salute pubblica; per un’efficace prevenzione della malattia sono necessari sistemi di sorveglianza della diffusione del virus e di controllo nei confronti degli agenti vettori. Altro fattore importante di ogni programma di prevenzione è l’educazione della popolazione nel diminuire il rischio di punture di zanzare potenzialmente infette. Negli Stati Uniti nel periodo compreso tra il 1999 e il 2000 sono stati riscontrati 78 casi di Meningoencefalite da West Nile virus nell’area cittadina di New York; nel corso degli ultimi anni il virus si è diffuso rapidamente in tutti gli Stati degli Usa, Canada e Messico. Nel 2002 negli USA si sono verificati 4.156 casi umani di cui 234 mortali. CARBONCHIO O ANTRACE Il carbonchio o antrace è una malattia batterica causata dal Bacillus anthracis. E' una zoonosi, cioè una malattia con un serbatoio animale ed una circolazione propria nell’ambito della popolazione animale (erbivori domestici) ed un coinvolgimento dell’uomo i particolari circostanze. La malattia è ubiquitaria con alcune regioni maggiormente interessate e considerate endemiche: Asia centro-medio-orientale e del Sud, Sud America, Africa centrale e Russia. L'uomo si contamina per inoculazione diretta delle spore attraverso la cute lesa o più raramente per inalazione delle spore o ingestione di carne contaminata. Il carbonchio ha una incubazione di 2-3 giorni. La principale manifestazione clinica è la pustola che inizia coma una papula centrata da una vescicola; dopo 24 ore la lesione si ingrandisce per la presenza di vescicole intorno. La lesione tende ad asciugarsi ed a formare un'escara nerastra. Possono coesistere importante edema circostante e ingrandimento dei linfonodi regionali. L'evoluzione anche con la terapia è lenta e la guarigione avviene in 2-6 settimane. Le forme polmonari e digestive sono molto più rare e sono gravissime. Il vaccino è di difficile reperimento e non è in genere indicato. La maggior parte dei casi viene contratta per contatto diretto con pelli contenenti spore. Occorre pertanto fare molta attenzione nell'acquisto e nella manipolazione di pelli. Non toccare carcasse di animali. Non bisogna assolutamente mangiare carne di animali morti dopo malattia. Chemioprofilassi: (durata 8 settimane): Adulti: Ciprofloxacina per os (500 mg ogni 12 h) o doxiciclina (100 mg per os ogni 12 h). Bambini e donne in allattamento: Amoxicillina 500 mg x 3 per os; in caso di esposizione molto probabile o certa si può impiegare anche la Ciprofloxacina 20-30mg/Kg/die per os in due somministrazioni (max 1g/die) o la Doxiciclina 5mg/Kg/die per os (quest'ultima solo nei bambini di età >8 anni). FINE