Rassegne Vol. 95, N. 7-8, Luglio-Agosto 2004 Una possibile alternativa alla terapia infusiva con i farmaci inotropi positivi tradizionali Laura Scelsi 1, Carlo Campana 1, Stefano Ghio 1, Lorenzo Monti 1, Cristina Opasich 2, Stefania De Feo 2, Franco Cobelli 3, Mario Orlandi 4, Giuseppe Di Pasquale 5, Luigi Tavazzi 1 Riassunto. I farmaci simpaticomimetici e gli inibitori delle fosfodiesterasi sono gli inotropi utilizzati nella pratica clinica. I risultati dei trial sull’uso degli inotropi tradizionali nello scompenso cardiaco sono concordi nel dimostrare la tendenza ad un aumento della mortalità totale (odds ratio 1,50; IC=0,51 a 3,92), ad un maggior numero di interruzioni del trattamento farmacologico (odds ratio 0,46; IC = 0,083 a 2,29) a fronte di un limitato miglioramento clinico (odds ratio 0,75; IC = 1,42 a 0,08) rispetto al placebo. Pertanto si è spostata l’attenzione sui farmaci calcio-sensibilizzanti. Recenti trial (LIDO e RUSSLAN) hanno dimostrato la sicurezza e l’efficacia del levosimendan (Simdax) rispetto ai tradizionali inotropi o al placebo nei pazienti affetti da scompenso cardiaco ad eziologia ischemica e non ischemica. Per iniziare una incorporazione del levosimendan nella pratica clinica sono stati valutati 26 pazienti affetti da scompenso cardiaco cronico ricoverati per instabilizzazione clinica e trattati con levosimendan in infusione per 24 ore. In questa esperienza il levosimendan si è confermato efficace nel migliorare il quadro clinico (riduzione del peso corporeo e miglioramento clinico: p=0,001 e 0,006) e la funzione sistolica del ventricolo sinistro (riduzione del diametro telediastolico e incremento dell’FE%; rispettivamente p=0,005 e 0,0000) nei pazienti con scompenso cardiaco congestizio a varia eziologia. Parole chiave. Inotropi tradizionali, levosimendan (Simdax), scompenso cardiaco. Summary. Levosimendan in heart failure. Clinical trials investigating traditional inotropic agents in patients with heart failure demonstrated an increased mortality rate (odds ratio 1.50; IC=0.51 - 3.92), high incidence of discontinuation of infusion therapy (odds ratio 0.46; IC=0.083 - 2.29) due to major side effects and, most of all, a limited clinical benefit (odds ratio 0.75; IC=1.42 - 0.08). On this background a new class of inotropic drugs, the calcium-sensitisers, have been developed. The safety and efficacy of levosimendan (Simdax) has been recently demonstrated in trials (LIDO e RUSSLAN) in patients with heart failure due to ischemic and not ischemic disease. Twenty-six patients with decompensated heart failure of different etiology have been treated with 24 hour infusion of levosimendan. In this experience the levosimendan improved the clinical status and the left ventricular ejection fraction. Key words. Heart failure, levosimendan (Simdax), traditional inotropic drugs. Introduzione L’andamento clinico dello scompenso cardiaco cronico è caratterizzato dall’alternarsi di periodi di sostanziale stabilità a fasi di peggioramento, che richiedono spesso l’intervento medico. L’instabilizzazione clinica del paziente affetto da scompenso cardiaco cronico rappresenta una delle principali cause di ricovero ospedaliero. Il deterioramento clinico è spesso secondario alla comparsa di fattori precipitanti, che, se non riconosciuti e corretti adeguatamente, rendono difficile e scarsamente efficace ogni tentativo di ristabilire il compenso emodinamico 1,2. Il razionale del trattamento farmacologico dello scompenso cardiaco cronico instabilizzato consiste nel ridurre il lavoro del cuore, agendo sul precarico e sul postcarico, avvalendosi di farmaci come i diuretici e i vasodilatatori. 1 Unità Cardiomiopatie, Scompenso cardiaco e Trapianto di Cuore, Divisione di Cardiologia, IRCCS Policlinico San Matteo, Pavia; 2 IRCCS Fondazione S. Maugeri, Centro Medico, Pavia; 3 IRCCS Fondazione S. Maugeri, Centro Medico, Montescano; 4 Divisione di Cardiologia, Ospedale Maggiore, Lodi; 5 Divisione di Cardiologia, Ospedale Bentivoglio, Bologna. Pervenuto il 17 luglio 2003. L. Scelsi et al.: Una possibile alternativa alla terapia infusiva con i farmaci inotropi positivi tradizionali Non sempre questa associazione è efficace nel migliorare il profilo clinico ed emodinamico del paziente; pertanto può diventare necessario l’uso degli inotropi positivi che stimolano direttamente il cuore, aumentandone la forza di contrazione 3. I farmaci inotropi positivi tradizionali L’attuale terapia infusiva con inotropi si avvale dei farmaci beta-agonisti (dobutamina e dopamina) e degli inibitori delle fosfodiesterasi (milrinone ed enoximone), che aumentano la forza di contrazione del cuore attraverso l’incremento della concentrazione di calcio intracellulare con meccanismo mediato dall’AMPc. In particolare i farmaci simpaticomimetici aumentano la concentrazione di AMPc intracellulare in quanto ne stimolano la produzione da parte dell’adenilciclasi, dopo essersi legati ai recettori β1 adrenergici del miocardiocita. Gli inibitori delle fosfodiesterasi, invece, agiscono direttamente inibendo la fosfodiesterasi, cioè l’enzima che degrada l’AMPc. Ne consegue un incremento di AMPc intracellulare, che, attraverso la protein-chinasi, modifica le proprietà di permeabilità del sarcolemma e del reticolo sarcoplasmatico al calcio con il risultato finale di una maggior disponiblità di calcio ione libero ad interagire con il sistema delle proteine contrattili del miocardiocita 4,5. L’effetto inotropo e cronotropo positivo indotto dalla terapia farmacologica costringe il cuore scompensato a lavorare di più e a consumare più ossigeno. Ne può seguire un danno miocitario dovuto all’ischemia miocardica relativa 6 e all’effetto tossico delle alte concentrazioni intracellulari di AMPc e di calcio 7. Inoltre, la meccanica cardiaca può venirne alterata e il tempo di rilasciamento diastolico venire prolungato 8. Tutti questi fattori contribuiscono a rendere il cuore ancora più vulnerabile allo sviluppo di aritmie, anche fatali 9. L’efficacia terapeutica dei farmaci beta-agonisti nello scompenso cardiaco è limitata dalla down-regulation e dal disaccoppiamento dei recettori β1 adrenergici 10, oltre che dal frequente beta-blocco farmacologico indotto dalla terapia con farmaci beta-bloccanti. Da qui la preferenza per l’uso degli inibitori delle fosfodiesterasi in alternativa alla dobutamina, soprattutto nei pazienti in terapia cronica con farmaci beta-bloccanti, in quanto l’effetto inotropo è indipendente dal legame con i recettori β1 adrenergici 11. Lo scopo di questo articolo è una revisione delle esperienze consegnate alla letteratura riguardanti la ricerca clinica sull’uso dei farmaci inotropi nello scompenso cardiaco in fase instabile e un’esperienza osservazionale sulla iniziale introduzione nella pratica clinica di un nuovo inotropo ad azione calciosensibilizzante, il levosimendan. I trial sull’uso infusivo dei farmaci inotropi positivi tradizionali Dal 1966 al 2001 sono stati pubblicati i risultati di 21 trial clinici sulla sicurezza ed efficacia del trattamento infusivo con inotropi tradizionali nei pazienti affetti da scompenso cardiaco. 377 Nel 2002 è stato pubblicato il primo trial con una casistica ampia e una metodologia adeguata (OPTIME-CHF), che considereremo di seguito in maggior dettaglio. Nei trial condotti fino al 2001, sono stati complessivamente reclutati 632 pazienti affetti da scompenso cardiaco. Gli inotropi utilizzati sono stati i beta-agonisti (dobutamina, dopamina o dopexamina) e gli inibitori delle fosfodiesterasi (amrinone, milrinone, enoximone e toborinone). Dei 21 trial clinici, sedici hanno analizzato gli effetti in acuto della terapia infusiva con inotropi, arruolando in totale 474 pazienti affetti da scompenso cardiaco, mentre cinque sono stati condotti su 158 pazienti con lo scopo di valutare sicurezza ed efficacia della terapia infusiva intermittente con dobutamina 12. In 11 trial si è confrontato il trattamento infusivo con inotropi vs. placebo o un gruppo di pazienti non trattati; 9 trial hanno messo a confronto i diversi inotropi; 5 studi, infine, hanno valutato la terapia infusiva intermittente con dobutamina rispetto al placebo nei pazienti con scompenso cardiaco. Di questi studi, tre hanno confrontato gli effetti in acuto della terapia infusiva con amrinone vs dobutamina in situazioni diverse: nei pazienti con insufficienza ventricolare sinistra secondaria ad infarto miocardico acuto (20 pz) 13; nei pazienti anziani con scompenso cardiaco in classe funzionale NYHA IV (14 pz) 14; nei pazienti con scompenso cardiaco cronico avanzato ad eziologia dilatativa primitiva (classe funzionale NYHA III-IV) non responsivo alla terapia con diuretici e vasodilatatori (46 pz) 15. Due studi hanno confrontato in acuto il trattamento infusivo con milrinone vs dobutamina nello scompenso cardiaco cronico avanzato 16 e nell’insufficienza ventricolare sinistra secondaria a recente infarto miocardico (dalle 12 ore ai 5 giorni dall’IMA) 17. Più recentemente sono stati condotti tre studi che hanno paragonato un altro inibitore delle fosfodiesterasi (enoximone) vs dobutamina in situazioni patologiche diverse con una durata di follow up variabile. Galinier e coll. hanno arruolato 20 pazienti con scompenso cardiaco cronico avanzato e hanno analizzato gli effetti in acuto della terapia con inotropi 18; Caldicott e coll. hanno trattato 20 pazienti con insufficienza ventricolare sinistra secondaria ad infarto miocardico acuto e li hanno seguiti per 2 anni 19; Atallah e coll. hanno studiato in acuto la risposta emodinamica alla terapia infusiva con inotropi di 37 pazienti con defaillance emodinamica dopo intervento cardiochirurgico valvolare 20. Un ultimo studio di confronto fra un inibitore delle fosfodiesterasi (toborinone) vs dobutamina è stato condotto su 17 pazienti affetti da scompenso cardiaco cronico secondario a cardiomiopatia dilatativa primitiva in classe funzionale NYHA II/III per un periodo brevissimo di osservazione, con lo scopo di valutare gli effetti dei due farmaci sulla funzione diastolica del ventricolo sinistro 21. 378 Recenti Progressi in Medicina, 95, 7-8, 2004 L’efficacia e la sicurezza dell’infusione degli inibitori delle fosfodiesterasi è stata analizzata vs placebo nello scompenso cardiaco di grado avanzato con grave compromissione emodinamica (toborinone) 22, nei pazienti con scompenso cardiaco cronico stabile (milrinone) 23 e nell’insufficienza ventricolare sinistra acuta 24. Gli effetti sui principali parametri di attivazione simpatica, in particolare sulla variabilità della frequenza cardiaca, sono stati analizzati dopo 72 ore di terapia infusiva con dobutamina vs dopamina in 20 pazienti con scompenso cardiaco in classe funzionale NYHA III-IV 25. L’efficacia terapeutica di 72 ore di infusione di dobutamina è stata paragonata a quella ottenuta con placebo in 15 pazienti affetti da scompenso cardiaco cronico avanzato ma clinicamente stabile, secondario a cardiomiopatia dilatativa idiopatica o alcolica con un periodo di follow up più lungo rispetto ai precedenti (4 settimane) 26. Due studi, infine, hanno utilizzato la dopexamina vs placebo in un totale di 63 pazienti, di cui 45 con scompenso cardiaco cronico e grave compromissione emodinamica e 18 pazienti con insufficienza ventricolare sinistra acuta 27,28. La sicurezza e l’efficacia della terapia infusiva intermittente con dobutamina è stata analizzata in cinque studi clinici, che hanno arruolato diverse tipologie di pazienti, da quelli affetti da scompenso cardiaco cronico stabile 29 a quelli clinicamente stabili, ma con rilevante compromissione emodinamica 30, ai pazienti con scompenso cardiaco refrattario, nonostante una terapia medica ottimizzata 31,32, selezionando in un solo studio i pazienti con scompenso cardiaco ad eziologia ischemica 33. Il follow up di questi studi è stato alquanto variabile, oscillando da pochi giorni a 3 anni circa. Analizzando in metanalisi i risultati degli studi clinici sopraelencati 12, si è riscontrata la tendenza all’aumento della mortalità totale, seppur non statisticamente significativo, nel gruppo di pazienti trattati con inotropi rispetto ai controlli (odds ratio 1,50 (IC 95%=0,51 a 3,92). In soli 5 trial sull’uso di dobutamina intermittente si sono registrati eventi cardiaci maggiori sia nel gruppo di pazienti trattato che nei controlli; in questi studi inoltre si è avuto il maggior numero di decessi. I dati di mortalità sono risultati non conclusivi per gli altri studi, anche nel brevissimo follow up degli studi con terapia infusiva continua (periodo di osservazione medio non superiore alle 48 ore). Poco numerosi sono stati gli eventi cardiaci maggiori nei trial di confronto fra inibitori delle fosfodiesterasi e gruppi di controllo. Non si sono registrate differenze significative in termini di mortalità fra la dobutamina e gli altri inotropi considerati (odds ratio 1,37 –IC 95%=0,23 a 8,46). Per quanto riguarda la sicurezza della terapia infusiva, si sono verificate più interruzioni della somministrazione del farmaco nel gruppo di pazienti trattati con dobutamina rispetto agli altri inotropi (odds ratio 0,46 -IC 95% 0,083 a 2,29). Nei trial di confronto fra inotropi e placebo si è as- sistito ad un maggior numero di interruzioni del trattamento nei pazienti trattati con placebo (odds ratio 0,52 –IC 95% 0,11 a 2,3), risultato legato alla necessità di intraprendere un trattamento farmacologico attivo in situazioni di emergenza clinica. Infine, la terapia infusiva con inotropi sembrerebbe determinare un miglioramento statisticamente non significativo della classe funzionale NYHA (odds ratio 0,75; IC 95% = 1,42 a 0,08). Questo risultato è di scarsa rilevanza trattandosi per lo più di studi condotti in pazienti instabili con scompenso cardiaco avanzato seguiti per brevi periodi di osservazione, in cui la classe funzionale non è certo un criterio di valutazione appropriato. In effetti in soli due trias, fra quelli analizzati precedentemente, sono stati rilevati dati riguardanti il passaggio di classe funzionale. La bassa numerosità campionaria, i dati relativi solo al passaggio di classe in acuto, la mancanza di informazioni sul mantenimento nel medio-lungo termine del miglioramento clinico ottenuto farmacologicamente, rendono deboli queste conclusioni. È difficile estrapolare dati di sopravvivenza visto il breve follow up riportato nella maggior parte degli studi. Dai trial di confronto fra beta-agonisti e inibitori delle fosfodiesterasi sono emerse alcune differenze, talora anche statisticamente significative, nel destino dei pazienti trattati 12, soprattutto relative alla maggior efficacia in acuto della terapia con inibitori delle fosfodiesterasi nei pazienti in terapia con beta-bloccante. Dei 21 trial considerati tre studi sono stati condotti in pazienti con shock cardiogeno secondario ad infarto miocardio acuto con un numero totale di pazienti arruolati pari a 75 17,18,19. L’uso infusivo di inotropi in condizioni di ischemia miocardica acuta può riacutizzare l’ischemia miocardica, può aumentare l’estensione dell’area infartuata e peggiorare l’ipotensione arteriosa sistemica34; quest’ultimo effetto è più frequente per gli inotropi con proprietà di vasodilatazione come gli inibitori delle fosfodiesterasi e la dobutamina a basso dosaggio. Da questa sommaria revisione dei trial condotti con farmaci inotropi nello scompenso, risulta chiara la precarietà di ogni conclusione: il numero dei pazienti reclutati è piccolo nella maggior parte degli studi, spesso il periodo di osservazione è stato talmente breve da non consentire il raggiungimento degli obiettivi prefissati, le popolazioni studiate sono estremamente eterogenee sia per caratteristiche cliniche che per tipo di terapia farmacologica in atto durante lo studio. Lo studio OPTIME-CHF è il primo e unico studio condotto con farmaci che agiscono attraverso l’AMPc metodologicamente ben impostato e con numerosità campionaria sufficiente per giungere a conclusioni credibili. Lo studio clinico randomizzato, controllato, in doppio cieco, ha valutato l’utilità e la sicurezza del milrinone vs. placebo in pazienti ospedalizzati per peggioramento dello scompenso cardiaco, in cui non era considerata obbligatoria la terapia infusiva con inotropi. L. Scelsi et al.: Una possibile alternativa alla terapia infusiva con i farmaci inotropi positivi tradizionali Sono stati arruolati 951 pazienti che sono stati trattati per 48-72 ore con terapia infusiva continua con milrinone o placebo, in aggiunta alla terapia medica standard in atto per la cura dello scompenso cardiaco cronico. L’obiettivo primario dello studio era dimostrare la riduzione delle ospedalizzazioni per eventi cardiovascolari nei due mesi successivi al trattamento infusivo in acuto con milrinone. Gli obiettivi secondari erano i seguenti: valutare la sicurezza del farmaco, l’efficacia nel migliorare il quadro clinico e sintomatologico del paziente in acuto e nel mantenere i beneficî nel successivo follow up; la possibilità di poter ottimizzare la terapia medica (aumento dose ACE-inibitore), nonostante la recente instabilizzazione. I risultati principali sono stati i seguenti: paritetico beneficio sintomatologico ottenuto al momento della dimissione nei due gruppi; uguale scadimento dello stato di salute dopo 60 giorni dal trattamento infusivo; sovrapponibile raggiungimento della dose raccomandata di ACE-inibitore durante il ricovero e al momento della dimissione nei due gruppi. Sono state significativamente più frequenti le interruzioni del trattamento infusivo nel gruppo di pazienti trattati con milrinone per la comparsa di effetti collaterali indesiderati (ipotensione arteriosa, fibrillazione atriale e aritmie ventricolari). La mortalità intraospedaliera è stata rispettivamente dello 3,8% per i pazienti trattati con milrinone rispetto al 2,3% del gruppo di controllo. A 60 giorni i dati di mortalità erano rispettivamente: 10,3% per i pazienti trattati vs 8,9% per il gruppo placebo (figura 1). Questi dati non raggiungono la significatività statistica ma confermano la tendenza, già evidenziata negli studi precedenti, verso una maggiore mortalità nei pazienti trattati con inotropi. Analizzando in dettaglio i risultati anche sulla base dell’eziologia dello scompenso, è emerso un dato rilevante: mortalità intraospedaliera e riospedalizzazioni a 60 giorni di follow up erano significativamente più frequenti per i Figura 1. Risultati dell’OPTIME-CHF trial. Si segnala 1) un numero maggiore di interruzioni del trattamento infusivo durante le 48 ore di terapia nei pazienti trattati con milrinone rispetto al placebo (20,6% vs 9,2%); 2) la mortalità intraospedaliera e a 60 giorni dal trattamento è equivalente nei pazienti trattati con milrinone e nel gruppo placebo (3,8% vs 2,3% e 10,3% vs 8,9% rispettivamente); 3) identico è il risultato combinato morte e riospedalizzazione a 60 giorni dal trattamento infusivo nei due gruppi. 379 pazienti con scompenso cardiaco ad eziologia ischemica trattati con milrinone 35. L’insieme dei risultati degli studi clinici sui farmaci inotropi nello scompenso cardiaco è quindi scoraggiante e l’inefficacia del milrinone dimostrata nell’OPTIME trial ha probabilmente chiuso ogni possibilità di incorporazione sistematica dei farmaci che agiscono attraverso una aumenta disponibilità di cAMP 36. Un’alternativa possibile: i farmaci calcio sensibilizzanti La caratteristica fondamentale dell’azione dei farmaci calcio-sensibilizzanti è che, legandosi alla troponina C, aumentano l’affinità dell’apparato contrattile del miocita al calcio-ione libero e disponibile nel liquido intracellulare 37. Il risultato è un incremento del potere contrattile dei miofilamenti, non secondario all’aumento delle concentrazioni intracitoplasmatiche di calcio e di AMPc, responsabili degli effetti negativi della terapia infusiva con gli inotropi tradizionali 6. I farmaci calcio-sensibilizzanti testati in clinica finora sono il pimobendan e il levosimendan (Simdax). Il primo, nel trial PICO 44, non ha dato risultati favorevoli. Ciò è stato attribuito all’azione inibitrice sulla fosfodiesterasi che il pimobendan possiede oltre a quella calcio-sensibilizzante. Il levosimendan è un calcio-sensibilizzante puro (ha un effetto inibente le fosfodiesterasi che si esprime per dosaggi lontani da quelli usati in clinica). Inoltre il suo legame con la troponina C è fortemente calcio-dipendente, avviene perciò nella prima parte della sistole quando maggiori sono le concentrazioni intracellulari di calcio, mentre si slega dalla troponina quando il calcio citosolico si riduce, evitando così di prolungare il periodo di rilasciamento isovolumetrico 38. Oltre ad un’azione calcio-sensibilizzante, il levosimendan è un potente vasodilatatore sia sistemico che distrettuale del circolo coronario. La sua azione è veicolata dall’attivazione dei canali del potassio ATP dipendenti delle cellule muscolari lisce delle pareti vascolari, con il risultato finale di una riduzione del postcarico e del precarico, e di una miocardioprotezione indotta dalla vasodilatazione coronarica 39. Rispetto alla terapia infusiva con i farmaci inotropi positivi tradizionali, il levosimendan sembra non esporre il cuore agli effetti tossici e aritmogeni delle aumentate concentrazioni di calcio e di AMPc intracellulari, sembra proteggerlo dall’ischemia miocardica e favorire la cardiomeccanica. Un ulteriore vantaggio è il mantenimento dell’efficacia terapeutica nonostante la concomitante terapia beta-bloccante 40. I trial sull’uso infusivo del levosimendan Recenti trial clinici hanno dimostrato la sicurezza e l’efficacia del levosimendan rispetto ai tradizionali inotropi o al placebo nei pazienti affetti da scompenso cardiaco ad eziologia ischemica e non ischemica. 380 Recenti Progressi in Medicina, 95, 7-8, 2004 Nello studio LIDO 40 (trial randomizzato, controllato, in doppio cieco, a gruppi paralleli) si è confrontata l’efficacia e la sicurezza di 24 ore di terapia infusiva con levosimendan vs dobutamina in 203 pazienti affetti da scompenso cardiaco avanzato con grave compromissione emodinamica. I risultati dello studio hanno dimostrato: una maggior efficacia in acuto della terapia con levosimendan rispetto alla dobutamina sul miglioramento dei principali parametri emodinamici [miglioramento ottenuto nel 28% dei pazienti trattati con levosimendan e nel 15% dei pazienti trattati con dobutamina (HR 1,9, IC = 95% 1,1-3,3; p=0,022]; la persistenza di un miglioramento emodinamico anche nei pazienti in terapia cronica con beta-bloccante trattati con levosimendan rispetto all’attenuato miglioramento emodinamico ottenuto con la dobutamina; miglioramento della prognosi e della sopravvivenza a breve e medio termine per i pazienti trattati in acuto con levosimendan: a 30 giorni è deceduto il 7,8% dei pazienti trattati con levosimendan e il 17% dei pazienti trattati con dobutamina (p=0,049); a 180 giorni è deceduto il 26% dei pazienti trattati con levosimendan e il 38% dei pazienti trattati con dobutamina p=0,029); la sicurezza dell’uso del levosimendan nei pazienti trattati. Si sono verificati eventi avversi nel 47% dei pazienti trattati con levosimendan e nel 42% di quelli in terapia con dobutamina (p=0,88). Durante le 24 ore di infusione nessun paziente è deceduto nel gruppo trattato con levosimendan, mentre in quello in terapia con dobutamina si sono registrati 3 decessi. Sei pazienti hanno sospeso precocemente l’infusione di levosimendan e dieci pazienti l’infusione di dobutamina per comparsa di effetti collaterali limitanti. Nei pazienti trattati con dobutamina è stato statisticamente più frequente, rispetto al gruppo in terapia con levosimendan, il riscontro di ischemia miocardica, di angina pectoris, di dolore toracico (p=0,013) e la comparsa di aritmie ipercinetiche (p=0,023). Effetti collaterali legati all’azione vasodilatatrice del levosimendan si sono presentati più frequentemente nei pazienti trattati con il calcio-sensibilizzante rispetto al gruppo in terapia con dobutamina (cefalea p=0,052, riduzione valori di emoglobina p=0,005, calo della potassiemia p=0,05, discesa dei valori di creatininemia p=0,03 da probabile emodiluizione). La sicurezza e l’efficacia del levosimendan sono state confermate nello studio RUSSLAN 41, che ha arruolato 504 pazienti con insufficienza ventricolare sinistra secondaria ad infarto miocardico acuto. Nello studio, i pazienti sono stati trattati con levosimendan a dosaggi crescenti o placebo in infusione per 6 ore. I risultati dello studio hanno dimostrato: 1) la sicurezza del levosimendan con un’incidenza di ipotensione arteriosa e/o di ischemia miocardica simile nei due gruppi (p=0,319); in particolare, la frequenza degli episodi di ipotensione arteriosa e/o di ischemia miocardica saliva con il progressivo aumento delle dosi del calciosensibilizzante: dal 10,7% per dosaggio più basso al 19% per il dosaggio più alto; p=0,054; 2) l’effica- cia del levosimendan, indipendentemente dalle dosi di farmaco utilizzate, rispetto al placebo in termini di riduzione del rischio di morte e di peggioramento dello scompenso cardiaco (2% vs 5,9%; p=0,033), riduzione che si è mantenuta a distanza di tempo dalla sospensione dell’infusione (dopo 24 ore: 4% vs 8,8%; p=0,044). La mortalità a 14 giorni dall’evento acuto è stata più bassa nei pazienti trattati con levosimendan rispetto al gruppo placebo (11,7% vs 19,6%; HR 0,56 [IC 95%0,33-0,95]; p=0,031), riduzione evidente anche prolungando il periodo di osservazione a 180 giorni (22,6% vs 31,4%; HR 0,67 [IC 95% 0,45-1,00]; p=0,053). Nieminen et al. hanno confrontato, in uno studio randomizzato controllato in doppio cieco, le modificazioni dei parametri emodinamici ottenute dopo 24 ore di terapia endovenosa con levosimendan rispetto a quelle ottenute dopo terapia con dobutamina in pazienti affetti da scompenso cardiaco cronico in classe funzionale NYHA III-IV. I risultati indicano un miglioramento dose-dipendente significativamente superiore per il levosimendan rispetto alla dobutamina (p>0,001), soprattutto nei pazienti con pressioni di riempimento superiori a 15 mmHg42. La dose di levosimendan considerata sicura ed efficace nei trial clinici fino ad ora pubblicati oscilla fra i 6 e i 24 mcg/kg in bolo e.v. in 10 minuti, seguiti da un’infusione continua al dosaggio di 0,005 a 0,2 mcg/kg/min per 24 ore. Gli effetti collaterali più frequentemente osservati sono legati alle proprietà di vasodilatazione (cefalea, ipotensione arteriosa sintomatica, astenia, nausea, etc). Non si sono registrate aritmie ventricolari maggiori né alterazioni della conduzione atrio-ventricolare o intraventricolare, ad eccezione di un lieve incremento della frequenza cardiaca e dell’intervallo QTc. Raro è stato il riscontro di riduzione della potassiemia e di anemizzazione, eventi che diventano più frequenti superando i dosaggi consigliati 40,41,42. Un’iniziale esperienza osservazionale Sulla base dei recenti dati della letteratura che presentano il levosimendan come il farmaco di riferimento nella classe dei calcio-sensibilizzanti e lo propongono in alternativa alla tradizionale terapia con inotropi nello scompenso cardiaco, si è iniziata l’incorporazione nella pratica clinica di questo farmaco. In generale, è utile che l’introduzione di un nuovo farmaco avvenga monitorizzando attentamente se e quanto di ciò che è stato verificato nel contesto standardizzato del trial si riproduce nel mondo reale della pratica clinica. Con questo obiettivo è stata impostata l’osservazione sistematica dei primi casi trattati, in alcuni ospedali tra di loro collaboranti. Fra il maggio e il novembre 2002 si sono valutati 26 pazienti affetti da scompenso cardiaco cronico ricoverati per instabilizzazione clinica. L’eziologia dello scompenso cardiaco era ischemica in 15 pazienti e dilatativa primitiva in 11 pazienti. L’età media dei pazienti era di 62±12 anni e 23 pazienti erano di sesso maschile. Dei 26 pazienti il 31% (9 pz) era in trattamento con beta-bloccante e l’84% (22 pz) in terapia con ACE-inibitore o sartanico. L. Scelsi et al.: Una possibile alternativa alla terapia infusiva con i farmaci inotropi positivi tradizionali La causa dell’instabilizzazione clinica era cardiaca nel 73% dei casi. Il 65% dei pazienti era in ritmo sinusale ed il 35% in fibrillazione atriale. Dopo un’adeguata valutazione clinica e strumentale iniziale, comprensiva di esame clinico, determinazione ecocardiografica e dei principali dati ematochimici, volta a caratterizzare in basale il paziente e ad escludere la presenza di controindicazioni alla terapia infusiva (tabella 1), si è proceduto a somministrare levosimendan 12 mcg/kg in 10 minuti in bolo seguito da infusione e.v. continua per 24 ore al dosaggio di 0,1 mcg/kg/min. Durante le 24 ore di trattamento con levosimendan la maggior parte dei pazienti, pari al 73%, era in terapia con furosemide e.v. ad alto dosaggio in associazione spesso all’antialdosteronico. Diciannove pazienti erano in terapia con furosemide e.v. al dosaggio medio di 175±217 mg; di questi 14 pazienti erano in trattamento anche con antialdosteronico per os (dose media 53±31 mg) e 2 pazienti con kanreonato di potassio e.v. (dose media 350±212 mg); 6 pazienti hanno mantenuto la terapia diuretica con furosemide per os al dosaggio di 49±14 mg e 3 di questi sono stati trattati anche con spironolattone per os. I criteri per l’interruzione temporanea o definitiva dell’infusione sono riportati in tabella 2. Tabella 1. - Criteri di esclusione dal trattamento infusivo con levosimendan nei trial clinici finora pubblicati. Aritmie ventricolari sostenute recenti entro 3 mesi Angina instabile Infarto miocardico acuto o ictus cerebri nei 3 mesi precedenti Valvulopatia non corretta o evidenti disfunzioni proteiche Broncopneumopatia cronica ostruttiva severa in trattamento farmacologico Frequenza cardiaca >115 bpm BAV II-III Pressione arteriosa sistolica <85 mmHg o >200 mmHg Creatinina >2,5 mg/dl GOT/GPT >2 volte il limite superiore Malattia tiroidea non corretta Potassiemia <3,5 o >5,5 mEq/L Uso di amlodipina Causa evidente extracardiaca di instabilizzazione 381 Tabella 2. - Criteri per interruzione dell’infusione. Peggioramento clinico Frequenza cardiaca >115 bpm Ipotensione (PAS<80 mmHg) asintomatica o sintomatica Ischemia miocardia acuta Aritmie maggiori Diciannove pazienti hanno completato il trattamento infusivo con levosimendan al dosaggio massimo previsto dal protocollo di studio senza presentare alcun effetto collaterale. In tre casi la pressione arteriosa sistolica è scesa temporaneamente sotto i 90 mmHg, appena dopo il bolo di levosimendan e si è successivamente stabilizzata senza dover ricorrere a sospensione o a riduzione del dosaggio previsto di farmaco. In due casi l’infusione di levosimendan è stata temporaneamente sospesa e ripresa dopo 1 ora a dosaggio dimezzato (0,05 mcg/kg/min) per comparsa di ipotensione arteriosa sintomatica (pressione arteriosa sistolica <80 mmHg). Un paziente ha lamentato inizialmente, durante il bolo di levosimendan, sensazione di nausea, che si è risolta spontaneamente dopo pochi minuti, senza peraltro rilievo di una riduzione significativa della pressione arteriosa. In un solo paziente è stata interrotta definitivamente l’infusione del farmaco per comparsa di aritmie ventricolari sostenute, verosimilmente secondarie a grave ipopotassiemia (fino a 1,6 mEq/L al momento della sospensione del farmaco), determinatasi in associazione alla somministrazione del farmaco in un paziente già depleto di potassio per una terapia diuretica intensiva. Le aritmie sono state controllate e cardiovertite prontamente dall’intervento dell’ICD, di cui il paziente era portatore. Le modificazioni dei principali parametri clinici e strumentali dopo 24 ore di infusione continua sono riportate in dettaglio in tabella (tabella 3). Si è registrato un significativo calo del peso corporeo nelle 24 ore di terapia infusiva, accompagnato da una obiettiva riduzione dei segni di congestione polmonare e venosa sistemica. Inoltre si è rilevata una riduzione statisticamente significativa delle dimensioni del ventricolo sinistro calcolate come diametro telediastolico. Tabella 3. - Confronto fra le variabili misurate in basale e dopo il trattamento in 26 pazienti con scompenso cardiaco in fase instabile. Peso kg PASs mmHg PASd mmHg Creatininemia mg% Natremia mEq/L Potassiemia mEq/L BNP pg/ml Log BNP DTDVsx mm FE% Score CHF Basale Dopo 24 ore di levosimendan Delta 95% C.I. p 73±10 102±8 64±9 1,5±0,6 135±4 4,2±0,6 434±284 5,87±0,96 71±10 23±8 5±2 70±9 99±12 61±10 1,4±0,6 135±4 4,3±0,5 405±344 5,60±1,08 70±11 26±7 2±2 + 2,88 + 2,64 + 3,2 + 0,03 + 0,66 – 0.09 + 28,61 + 0,22 + 0,9 – 3,36 + 3,4 1,22 – 2,49 – 0,9 – 0,13 – 0,95 – 0,42 – 214 – 0,83 0,28 – 4,69 0,31 4,54 7,77 7,3 0,19 2,3 0,23 271 1,29 1,47 – 2,02 1,34 0,001 0,29 0,12 0,72 0,40 0,55 0,77 0,60 0,005 0,0000 0,006 Legenda: PASs=pressione arteriosa sistemica sistolica; PASd= pressione arteriosa sistemica diastolica; BNP=brain natriuretic peptide; Log BNP= espressione logaritmica del valore di BNP; DTDVsx=diametro telediastolico del ventricolo sinistro; FE%=frazione d’eiezione del ventricolo sinistro; Score CHF= grado dell’insufficienza cardiaca congestizia. 382 Recenti Progressi in Medicina, 95, 7-8, 2004 Si è osservato altresì un miglioramento statisticamente significativo della funzione sistolica globale del ventricolo sinistro ad infusione ultimata dopo 24 ore. Anche il valore plasmatico del BNP si è ridotto, anche se in misura non statisticamente significativa. Il levosimendan si è confermato farmaco sicuro anche nella nostra esperienza. L’evenienza di aritmie ventricolari, pur nel contesto di una precedente deplezione ionica, evidenzia comunque la necessità di porre attenzione alla potassiemia e la cautela dovuta nei casi nei quali sia stata forzata la diuresi con alte dosi di diuretici. La temuta riduzione dei valori di pressione arteriosa, accompagnata o non da sintomi, secondaria all’effetto vasodilatante del levosimendan, ha consigliato la sospensione momentanea dell’infusione soltanto in due pazienti. Dai risultati mostrati in tabella 3 si osserva la tendenza ad una riduzione dei valori di pressione arteriosa durante il trattamento, riduzione che non raggiunge la significatività statistica, anche se l’ampio intervallo di confidenza suggerisce la precarietà dell’analisi per la limitatezza della casistica. Non si segnalano modificazioni statisticamente significative dei parametri di laboratorio relativi all’andamento degli elettroliti e della funzionalità renale. I dati ecocardiografici mostrano un miglioramento statisticamente significativo della funzione sistolica globale e del diametro telediastolico del ventricolo sinistro. Conclusione Dai risultati degli studi clinici fino ad ora pubblicati, si rileva un sostanziale e probabilmente definitivo tramonto dei farmaci inotropi positivi che agiscono inducendo un aumento di AMPc e di calcio intramiocitario. I dati clinici attualmente disponibili presentano il levosimendan come il farmaco di riferimento nella classe dei calcio-sensibilizzanti e lo propongono come valida alternativa sotto il profilo sia della sicurezza che dell’efficacia nei pazienti con scompenso cardiaco cronico avanzato, nelle fasi di instabilizzazione e nell’insufficienza ventricolare sinistra secondaria ad ischemia miocardica acuta 43. La nostra limitata esperienza incoraggia l’incorporazione del farmaco nella pratica clinica. Sono in corso altri trial clinici sull’utilizzo del levosimendan nello scompenso cardiaco acuto e nella insufficienza cardiocircolatoria post-operatoria successiva ad interventi cardiochirurgici. Gli autori dichiarano l’inesistenza di elementi potenzialmente all’origine di conflitti di interesse. Bibliografia 1. Cowie MR, Fox KF, Wood DA, et al. Hospitalization of patients with heart failure. A population-based study. Eur Heart J 2002; 23: 877-85. 2. Stewart S, Jenkins A, Buchan S, et al. The current cost of heart failure to the National Health Service in the UK. Eur J Heart Fail 2002; 4: 361-71. 3. Felker GM, O’Connor CM. Inotropic therapy for heart failure: an evidence-based approach. Am Heart J 2001; 142: 393-401. 4. Hopie HL, Gersh BJ. Drugs for the heart. Copyright 2001; 6: 191-201. 5. Holyroyde MJ, Robertson SP, Johnson JD, et al. 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