L’ INFORMAZIONE CARDIOLOGICA giornale elettronico integrale Folia Cardiologica: estratti vol. III n. 1-29 www.foliacardiologica.com n. 1-2 gennaio-giugno 2002 Indice direttore Corrado Vassanelli Cattedra e Divisione Clinicizzata di Cardiologia Università degli Studi del Piemonte Orientale “Amedeo Avogadro” - Novara EDITORIALE 2 - condirettore Eraldo Occhetta Indicatori Prognostici dell’Infarto Miocardico Acuto di Paolo Rossi ARTICOLI Divisione Clinicizzata di Cardiologia Università degli Studi del Piemonte Orientale “Amedeo Avogadro” - Novara 5 9 - coordinatore Paolo Rossi Associazione Prevenzione Cardiopatie V.le Verdi, 18 - Novara 13 - proprietà Associazione Prevenzione Cardiopatie Viale Giuseppe Verdi, 18 - 28100 Novara periodico trimestrale spedizione abbonamento postale 15 - 18 - offerta libera per l’Associazione Prevenzione Cardiopatie L’INFORMAZIONE CARDIOLOGICA Conto Corrente Bancario n. 9466/1 Cariplo Agenzia 1; Viale Roma 21-H Novara 21 - DI INTERESSE Beneficio dell’esercizio fisico dopo angioplastica Commento di Alfredo R. Galassi L’Acido Folico Previene la Tolleranza ai Nitrati e la Disfunzione Endoteliale Indotta dalla Nitroglicerina Commento di Francesco Iachini Belisari e Raffaele De Caterina La Calcificazione dell’Anello Mitralico come Manifestazione di Aterosclerosi Commento di Cristina Constantin e Stefano Ghio Disfunzione Microvascolare nelle Occlusioni Totali Croniche Commento di Federica Marsico e Patrizia Presbitero I Beta Bloccanti nello Scompenso Cardiaco Cronico Grave Commento di Edoardo Gronda e Luca Genovese Prognosi Relata al Flusso Coronarico Presente prima dell’Angioplastica Primaria Commento di Angelo Sante Bongo AGGIORNAMENTI realizzazione grafica e stampa Cooperativa La Terra Promessa - Novara Tel. 0321.404438 Fax 0321.463243 24 - Fisiopatologia della Resincronizzazione nello Scompenso Cardiaco di Paolo Rossi FILOSOFIA La corrispondenza deve essere indirizzata a: Prof. Paolo Rossi Viale Verdi, 18 28100 NOVARA Tel. 0321.36331 - Fax 0321. E-mail: [email protected] 29 - DELLA MEDICINA Può il Senso della Vita Esaurirsi nella Coscienza? di Paolo Rossi Lettera al Direttore 32 - Autorizzazione del Tribunale di Novara n. 19 del 15 settembre 1979 Osservazioni su Come dare un senso alla nostra vita di Noemi Zurlo Flash 33 34 35 36 - Progressione della Stenosi Aortica e Statine Significato Prognostico del Recupero dopo Esercizio Prevenzione del Diabete Mellito Tipo 2 e Stile di Vita Stimolazione Atriale nella Sindrome da Apnea del Sonno ULTIMISSIME 7 - IN CARDIOLOGIA Meglio l’amiodarone della lidocaina nella fibrillazione ventricolare resistente allo shock elettrico Iconografia cardio-vascolare 36 - Interventi di Riperfusione nell’Infarto Miocardico Acuto Figura di copertina 14a - •1• Cardioverter Defibrillatore Automatico Indossabile non richiede intervento chirurgico L’INFORMAZIONE CARDIOLOGICA 2002;22:2-4 EDITORIALE Indicatori Prognostici dell’Infarto Miocardico Acuto volte il rischio di morte nelle settimane seguenti (3 Heidenreich, J Am Coll Cardiol 2001;38:478-485) . In una sub-analisi di 18 studi concernenti differenti strategie di trattamento (conservativa o aggressiva) in pazienti con insufficienza coronarica acuta si è rilevata una riduzione marcata (50%-53%) degli eventi ischemici fra i pazienti troponina positivi se sottoposti precocemente (entro 4 h) a trattamento invasivo. E’ interessante sottolineare che la capacità delle troponine di predire il beneficio derivante da un approccio invasivo è risultato essere superiore a quella dello slivellamento del tratto ST ed a quella dell’aumento della creatin-kinasi(4 Morrow, JAMA 2001;286:2405-2412). Tuttavia, per quanto concerne l’impiego delle troponine sieriche come guida ad un trattamento aggressivo nei soggetti con insufficienza coronarica acuta, è necessaria una certa prudenza perché: 1) sono possibili errori di determinazione per l’alto coefficiente di variazione nei metodi quantitativi dei laboratori centrali e la scarsa correlazione con quelli semiquantitativi eseguiti al letto del paziente(5 Lang, Clin Nephrol 2001;56:44-51) ; 2) con piccoli aumenti di troponina T (0.06-0.18 ng/mL) si verifica una considerevole discrepanza intra ed inter- osservatori nella discriminazione di un risultato positivo(6 Muller-Bardoff, Cli Chem 1999;45:10021008) ; 3) non sono rari i falsi positivi in presenza di sepsi (7 Ammann, Intensive Care Med 2001;27:965-969), coaguli di fibrina, anticorpi eterofili(8 Fitzmaurice, Clin Chem 1998;44:2212-2214), rabdomiolisi(8), mentre la sottostima (falsi negativi) in casi con elevati valori di CK-MB, è frequente in presenza di ittero(9 ver Elst, Am J Clin Pathol 1999;112:745-752), o contemporaneo uso di eparina(10 Stiegler, Clin Chem 2000;46:1338-1344); 4) elevazioni inaspettate di troponina T e I sono state osservate nei pazienti con grave malattia renale(11 Wayand, Clin Chem 2000;46:13451350) , tali aumenti, anche se dovuti probabilmente alle isoforme dei muscoli scheletrici, sono comunque predittivi dell’evoluzione clinica e non dovrebbero essere considerati non specifici(12 Dierkes, Circulation 2000;102:1964-1969); 5) moderati aumenti di troponina sono stati descritti anche in soggetti con embolie polmonari(13 Giannitsis, Circulation 2000;102:211-217) , pericardite(14 Brandt, Am J Cardiol 2001;87:1326-1328), o miocardiopatia(15 Sato, Circulation 2001;103:369-374), legati ad un concomitante danno miocardico, mantengono un significato prognostico indipendente. L’applicazione di strategie terapeutiche precoci nell’infarto miocardico acuto deve essere basata su indicatori di gravità prognostica che siano attendibili sin dalle prime ore di malattia. Anche se il trattamento iniziale è diretto al ristabilimento della pervietà della coronaria responsabile dell’infarto, la riapertura del vaso non è di per sé un fattore determinante l’evoluzione clinica perché la lesione miocardica irreversibile potrebbe essere già molto estesa al momento della riperfusione. La prognosi è di fatto legata alla vitalità miocardica. Il flusso nella coronaria responsabile non è sempre associato alla perfusione del miocardio ischemico (fenomeno del no-reflow) perché può essersi instaurato un danno microvascolare irreversibile(1 Ito, Circulation 1992;85:1699-705). La importanza di una stratificazione prognostica precoce è sottolineata dal fatto che strategie terapeutiche più aggressive possono essere giustificate in quei soggetti nei quali risultano essere rilevanti i predittori di prognosi negativa: ad esempio in quelli con: scompenso cardiaco, ipotensione arteriosa, dolore precordiale ricorrente nonostante il trattamento, nel diabete. Nella maggior parte dei pazienti viene eseguita la trombolisi come primo intervento per ottenere la riperfusione precoce, mentre l’angioplastica coronarica (metodo certamente più efficace ma di applicazione più difficile per ragioni logistiche) viene riservata per la riapertura della coronaria relata all’infarto in quei soggetti nei quali si ritiene probabile il salvataggio di miociti. Selezionando tali pazienti ad alto rischio perché vengano sottoposti ad altre procedure specifiche dopo la terapia trombolitica, è possibile migliorare la evoluzione clinica provocando la inversione dello stordimento e della ibernazione dei miociti ipoperfusi. In tal modo si attenua il rimodellamento, cioè la progressiva dilatazione del ventricolo sinistro ed il peggioramento della funzione sistolica (diminuzione della frazione di eiezione) e di quella diastolica (alterato rilasciamento) prima che si verifichi un danno troppo esteso. Le Troponine La Mioglobina ed altri predittori prognostici La predizione relativa alla evoluzione clinica di un infarto miocardico che dà il maggiore affidamento è quella basata sulla concentrazione sierica delle isoforme cardiache della troponina T (cTnT) e I (cTnI)(2 Ohman, N Engl J Med 1996;335:1333-41) ; quest’ultime iniziano ad aumentare entro 6 h dall’infarto e, per la loro determinazione, occorrono circa 20 minuti. Dette proteine sono molto specifiche e sensibili come markers di ingiuria miocardica. Gli aumenti di una di queste nell’ambito di una insufficienza coronarica acuta permettono di identificare i soggetti nei quali è aumentato di molte Nei soggetti con infarto miocardico e sopraslivellamento di ST, il riscontro al momento del ricovero di un aumento della troponina consente di individuare un sottogruppo di soggetti a maggiore rischio a breve termine di eventi cardiaci, per il fatto che si è instaurata una necrosi miocardica prima dell’ammissione in ospedale(16 Stubbs, Circulation 1996;94:1291-97). Tuttavia, per un processo decisionale che si svolga clinicamente in tempo utile, il valore della troponina T come indicatore pro- •2• EDITORIALE gnostico è limitato perché tra questi pazienti pochi sono quelli che giungono in ospedale entro 6 h dall’inizio del dolore toracico e che presentano già un’aumentata concentrazione di tale marker biochimico(17 Ohman, Am J Cardiol 1999;84:1281-86) . La mioglobina invece viene liberata nel plasma più rapidamente della troponina T. La determinazione della mioglobina effettuata al letto del malato in condizione di base, prima cioè di eseguire la trombolisi, fornisce un indice obiettivo della ingiuria miocardica irreversibile esistente al momento del ricovero. Altri predittori di valore prognostico sono: a) le concentrazioni sieriche di creatin kinasi e proteina C reattiva; b) i markers dell’attività autonomica che possono essere utilizzati al fine di predire la morte improvvisa, la loro misurazione però richiede apparecchiature speciali (sensibilità baro-recettoriale) o almeno 24 ore (variabilità della frequenza cardiaca) (18 Schartz, Eur Heart J 1998;19:1593-95) . I test ergometrici, la ecocardiografia con stress e le tecniche di perfusione nucleare sono similmente metodi specializzati per la valutazione della vitalità miocardica, della perfusione coronarica e dello stato di rischio del paziente e vengono eseguiti molti giorni dopo l’evento acuto. ospedale e dopo 60 o 90 min. dalla terapia trombolitica. La deviazione di ST viene misurata mediante un compasso (munito di lente) 20 ms. dopo la fine del QRS (punto J), prendendo come linea base di riferimento il tratto PR, nelle derivazioni I, AVL, e V1-V6 per l’infarto anteriore, nelle derivazioni II, III, AVF, V5 e V6 per l’infarto inferiore. La somma di ST a 90 min. dopo l’inizio della trombolisi viene determinata sommando la elevazione del segmento ST in tutte le derivazioni elettrocardiografiche associate con la sede dell’infarto. L’entità della risoluzione viene espressa come percentuale del valore di base. Il maxSTE (la deviazione di ST esistente in una sola derivazione) rappresenta invece la elevazione di ST (90 min. dopo la trombolisi) che viene determinata in una sola derivazione, quella che mostra il massimo sopraslivellamento nei soggetti con infarto anteriore. Nei pazienti con infarto inferiore il maxSTE viene misurato come la massima elevazione del tratto ST in una derivazione inferiore o come massima depressione del tratto ST in una derivazione precordiale da V1 a V4. Nei soggetti con blocco di branca viene considerato soltanto il massimo sopraslivellamento di ST (Fig. 1). Risultati Clinici Il significato prognostico dei markers elettrocardiografici Si è potuto così dimostrare che variazioni percentuali del 30 o 50% e del 70% sono predittive della prognosi(25 Schroder, J Am Coll Cardiol 1994;24:384-91). L’applicazione di due valori di taglio della risoluzione precoce della somma dell’elevazione del tratto ST si è rivelata clinicamente la più utile per la stratificazione dei pazienti in due gruppi, a basso e ad alto rischio(24, 25). La risoluzione del sopraslivellamento del tratto ST rappresenta il recupero della perfusione miocardica ed è stata suddivisa nelle seguenti categorie: risoluzione completa (≥70%), parziale (dal 30% a <70%), nessuna (<30%)(26 de Lemos, Am J cardiol 2000;85:299-304; 27 Zeymer, Eur Heart J 2001;22:769-75) . A queste tre categorie elettrocardiografiche corrispondono i gradi TIMI che indicano il livello di perfusione tessutale (da non confondersi con le classi TIMI di pervietà del vaso coronarico), valutato nell’angiografia coronarica in base alla quantità di mezzo di contrasto intramiocardico riconoscibile al termine dell’iniezione. La persistenza del sopraslivellamento del tratto ST costituisce un segno importante di mancata riperfusione tessutale. Le alterazioni precoci della perfusione sono predittive di una maggiore estensione dell’infarto (valutata dalla quantità totale di creatine chinasi MB (CK-MB) liberata e mediante la tomografia computerizzata ad emissione di fotone singolo (SPECT) con il Tecnezio-99 m Sestamibi). Le misure della perfusione tessutale, angiografiche ed elettrocardiografiche sono risultate essere indipendentemente associate con la successiva estensione dell’infarto miocardico, suggerendo una potenziale dissociazione elettromeccanica tra il flusso ematico microvascolare e la funzione del miocita. Mentre l’angiogramma riflette la pervietà meccanica microvascolare e la integrità dell’endotelio, l’elettrocardiogramma può riflettere lo stato funzionale del miocardio nella regione ischemica . I markers elettrocardiografici sono di semplice rilevazione e forniscono una informazione d’impiego immediato. L’elettrocardiogramma rimane a tutt’oggi il mezzo diagnostico più accessibile e ampiamente usato nei soggetti che giungono al pronto soccorso con i sintomi della ischemia miocardica acuta. Le variazioni del sopraslivellamento ischemico del tratto ST forniscono importanti informazioni concernenti la riperfusione miocardica dopo angioplastica coronarica (19 Santoro, Am J Cardiol 1998;82:932-37; 20 Claeys Circulation 1999;99:1972-77) . Secondo i dati raccolti con lo studio GUSTO-IIb, l’incidenza di mortalità o di reinfarto miocardico a 30 giorni nei 12142 pazienti è risultata essere del 10.5% tra quelli con sottoslivellamento e del 12.4% tra quelli con sopra e sotto slivellamento del segmento ST(21 GUSTO IIb Investigators, N Engl J Med 1996;335: 775-82) . La depressione del tratto ST è risultata essere anche il più forte predittore della mortalità ad 1 anno fra i soggetti con sindromi coronariche acute(22 Kaul, J Am Coll Cardiol 2001;38:64-71). Fin dai primi studi sulla trombolisi, la rapida e netta risoluzione, cioè il ritorno alla linea isoelettrica, del sopraslivellamento del tratto ST risultò essere un chiaro segno di successo e di riperfusione(23 Anderson, N Engl J Med 1983;308:1312-18). La risoluzione nell’elettrocardiogramma del tratto ST dopo un angioplastica coronarica primaria, attuata con successo per il trattamento dell’infarto miocardico acuto, è risultata essere relata alla sopravvivenza(24 Van’t Hof, Lancet 1997;350:615-19) . Metodi di determinazione: Allo scopo di valutare meglio la prognosi post-infartuale si è impiegata la somma della risoluzione del tratto ST. Gli elettrocardiogrammi vengono eseguiti alla presentazione in •3• EDITORIALE Figura 2 - Prognosi in relazione alle variazioni del segmento ST a 90 min Tutte le variazioni di ST vengono misurate nella derivazione con il massimo slivellamento. *Elevazione di ST > 4.5 mm † Elevazione nell’ECG di base ≤ 4.5 mm La persistenza del blocco di branca costituisce una indicazione prognostica di evoluzione, la più sfavorevole, tranne che nei soggetti colpiti da infarto inferiore con una variazione < 2 mm a 90 min nei quali indica una prognosi media. didascalia: L’infarto anteriore è suddiviso in: esteso e piccolo, in base al sopraslivellamento di ST nell’elettrocardiogramma di base (come nella fig. 1). Le variazioni del tratto ST, osservate dopo 90 min dalla trombolisi, vengono messe in relazione con tre classi prognostiche: cattiva (la peggiore), buona (la media), ottima (la migliore). Si può notare che la prognosi peggiore è quella che corrisponde al gruppo ad alto rischio descritto nella figura 1 e che migliora con la diminuzione dello slivellamento di ST(29). Figura 1 - Definizione dei gruppi di rischio mediante lo slivellamento esistente in una derivazione dopo 90 min dalla trombolisi (max STE) Per la stratificazione nell’infarto miocardico anteriore è necessario fare riferimento alla entità della elevazione del segmento ST nell’elettrocardiogramma di base. Per la stratificazione nei due gruppi di rischio non è necessaria in molti pazienti la misura calibrata della elevazione di ST in quanto le misure sono lontane dai valori di taglio. * Estensione dell’elevazione del segmento ST nella derivazione con il massimo slivellamento. † Estensione della deviazione del segmento ST (elevazione D2, D3, aVF, V5 o V6 o depressione in V1-V4) nella derivazione con il massimo slivellamento. 1 mm=0.1 mV. ‡ Blocco di branca (BBB) ST max più di 2 mm = alto rischio; BBB con ST - max 2 mm o meno medio rischio. ______ Il gruppo ad alto rischio è quello che presenta dopo la trombolisi un aumento dello slivellamento del tratto ST, (superiore a 5 o 3 mm nell’IMA anteriore, a 2 mm nell’IMA inferiore) che sta ad indicare non solo il fallimento della riperfusione ma anche una estensione della necrosi. Questi soggetti sono classificati correttamente mediante il maxSTE. L’associazione di un blocco di branca è causa di alto rischio indipendentemente dal sopraslivellamento di ST: nei pazienti con IMA anteriore e blocco di branca sinistra o destra a 90 min la mortalità ad un mese è stata del 27% e del 21% rispettivamente(Schröder K et al. Z Kardiol 2001;90:557-67) . (per gentile concessione dell’Editore) chinasi. Circa il 90% dei pazienti, che venivano classificati nel gruppo a basso rischio dall’analisi elettrocardiografica, presentavano un flusso TIMI di grado 3. Tuttavia, ben il 45% dei soggetti ad alto rischio (definiti come quelli con <30% della somma ST) presentavano anche un flusso TIMI 2 o 3(31 Zeymer, Eur Heart J 2001;22:384-91). Tali risultati enfatizzano il fatto che al flusso coronarico, evidenziato nell’angiografia, può non corrispondere la restaurazione della vitalità miocardica; il soggetto rimane ad alto rischio per presentando una buona pervietà della coronaria epicardica responsabile dell’infarto. Non sembra quindi esservi differenza nella capacità predittiva del flusso coronarico tra la somma di ST e il maxSTE. Si può pertanto concludere che lo slivellamento di ST esistente dopo 90 min dalla trombolisi in una singola derivazione elettrocardiografica è un marker predittivo prognostico migliore e più semplice della somma della risoluzione del tratto ST, ma presenta la stessa capacità predittiva per quanto concerne la pervietà della coronaria responsabile dell’infarto. (per gentile concessione dell’Editore) Pertanto i due tipi di misura sono indipendenti e complementari nel loro significato prognostico(28 Angeja Brad, Circulation 2002;105:282-285) . In un recente studio multicentrico in doppio cieco è stato dimostrato che la mortalità a 180 giorni era predetta dall’analisi di una sola derivazione elettrocardiografica (quella con la massima deviazione a 90 min) e che la deviazione di ST (non la risoluzione) esistente nella singola derivazione (maxSTE) costituiva un marker predittivo migliore della somma di ST(29 Schröder, Lancet 2001;359:1479-86) . I risultati sono stati riassunti nella Fig. 2 (30 Varma Lancet 2001; 359: 1473-74). In un altro studio gli stessi Autori, hanno confrontato la risoluzione della somma di ST con il flusso coronarico in soggetti colpiti da infarto miocardico che avevano eseguito la strepto- Prof. Paolo Rossi Viale Verdi, 18 - Novara •4• L’INFORMAZIONE CARDIOLOGICA ARTICOLI 2002;22:5-7 DI INTERESSE Beneficio dell’esercizio fisico dopo angioplastica stent impiantati). Il programma che è durato 6 mesi prevedeva tre sessioni di esercizio fisico alla settimana. Tutti i pazienti hanno eseguito una prova da sforzo cardiorespiratoria (con contemporanea misurazione dei parametri emodinamici e ventilatori), un esame ecocardiografico Doppler 2D e una scintigrafia miocardica planare ad 1 mese e a 6 mesi. Il profilo di rischio coronarico uguale nei due gruppi di pazienti durante la randomizzazione è stato rivalutato dopo 6 mesi; l’osservazione di una riduzione =9% dei livelli di colesterolo totale sierici, da sola o in combinazione con la sospensione del fumo e con la riduzione =5% dei livelli pressori è stata considerata un miglioramento significativo di tale profilo di rischio. L’angiografia coronarica è stata ripetuta in 104 dei 118 pazienti (88%) a 6 mesi dalla angioplastica e si è tenuta in considerazione all’analisi angiografica una progressione o regressione della coronaropatia quando era presente un aumento o una diminuzione >20% di una stenosi. La qualità di vita a 6 e 12 mesi è stata stimata mediante due questionari (Duke Activity Status Index e il MOS short-form General Health Survey). Un follow-up clinico nel quale sono state valutate mortalità e morbilità (IMA, re-PTCA o by-pass aortocoronarico) è durato 33±7 mesi. E XERCISE T RAINING I NTERVENTION A FTER C ORONARY ANGIOPALSTY: THE ETICA TRIAL BELARDINELLI R, PAOLINI I, CIANCI G. ET AL I AM COLL CARDIOL 2001; 37: 1891-900 INTRODUZIONE ALL’ARGOMENTO E SCOPI DEL LAVORO Sebbene l’introduzione dell’angioplastica negli ultimi 20 anni abbia drasticamente ridotto la morbilità e la mortalità per coronaropatia, oggigiorno ancora il 25-40% circa dei pazienti sottoposti a tale procedura a ripeterla tale procedura a causa di una ristenosi che compare nel periodo compreso tra i 6 e i 12 mesi dopo una angioplastica. Infatti in circa il 50% di tali soggetti dopo un iniziale miglioramento nella capacità funzionale e nella qualità di vita si osserva una angina ricorrente che richiede attenzione medica, e che determina una riduzione della capacità funzionale creando uno stato di stress psicologico. D’altra parte nel contesto dei pazienti cardiopatici in vari lavori è stato dimostrato che l’allenamento all’esercizio induce: un effetto benefico sulla capacità funzionale (1 Clausen JP, Prog Cardiovasc Dis 1976;18:459-85; 2 Ferguson RJ, Am J Physiol 1982;243:H830) , una diminuzione della risposta ischemica a carichi di lavoro sottomassimali(3 Belardinelli G, Circulation 1998;97:553-61), una regressione o ritardo nella progressione di coronaropatia ed un miglioramento della funzione endoteliale(4 Schuler G, Circulation 1992;86:1-11; 5 Hambrecht R, Circulation 1998;98:2709-15) . Pertanto scopo di questo lavoro è stato quello di valutare gli effetti dell’allenamento all’esercizio di intensità moderata sulla capacità funzionale e sulla qualità di vita in un gruppo consecutivo di pazienti che avevano eseguito una angioplastica con o senza stent. Sono stati anche valutati la possibilità della riduzione di ristenosi e il decorso clinico. RISULTATI Solo i pazienti allenati mostravano a 6 mesi un significativo miglioramento delle condizioni emodinamiche e ventilatorie durante prova da sforzo e della qualità di vita, parallelamente ad una significativa riduzione del profilo di rischio coronarico. Sempre a 6 mesi nei pazienti allenati rispetto a quelli non allenati si osservavano, mediante ecocardiografia, una riduzione significativa dei volumi ventricolari telesistolici, un aumento significativo della frazione di eiezione e dell’indice di ispessimento sistolico, e, mediante scintigrafia perfusionale, una significativa riduzione nel numero di segmenti anormali dopo stress, ed un significativo aumento dei difetti completamente reversibili alle immagini di redistribuzione. È interessante notare come la ristenosi angiografica non fosse condizionata dall’allenamento e non risultasse significativamente differente dopo angioplastica o stent nei due gruppi di pazienti. Al follow-up clinico i pazienti allenati rispetto a quelli che non lo erano mostravano una più bassa percentuale di morte, infarto o rivascolarizzazione (11.9% vs 32.2%, p<0.008, rispettivamente) (Fig. 1) e una piu’ bassa percentuale di riospedalizzazioni (18.6% vs 46%, p<0.001 rispettivamente). Da notare inoltre che un punteggio di captazione al tallio > 1.65 identificava un gruppo di pazienti con una più bassa percentuale di eventi nel corso del fol- METODI Centodiciotto pazienti (età media 57±10 anni) che erano stati sottoposti con successo ad una angioplastica sono stati randomizzati ad un esercizio fisico regolare o meno. In entrambi i gruppi non si è osservata alcuna differenza per quel che riguarda sesso, età, pregresso infarto miocardico acuto, fattori di rischio, estensione e tipo di coronaropatia, localizzazione, tipo della procedura di angioplastica effettuata (considerando anche il numero, tipo e lunghezza degli •5• ARTICOLI DI INTERESSE la concentrazione di adenosina nell’interstizio ed aumentando la crescita vascolare(7 Oldridge NB, JAMA 1988;260:94550) , tutti meccanismi che si concretizzano in ultima analisi in una migliorata perfusione miocardica. In conclusione tali effetti benefici si traducono nei pazienti allenati in un decorso clinico più favorevole con una percentuale più bassa di eventi cardiovascolari e di riospedalizzazione a 33±7 mesi di follow-up. COMMENTO Figura 1 - CURVE DI KAPLAN-MEIER I risultati ottenuti in pazienti che seguono un programma riabilitativo dopo angioplastica confermano il dato già osservato dopo esercizio fisico in soggetti coronaropatici(7), evidenziandone i vantaggi in questa popolazione, sempre più numerosa nel panorama della cardiopatia ischemica. Un precedente lavoro effettuato in pazienti nei quali era stata eseguita una angioplastica di un singolo vaso ha mostrato un aumento del 15% nella capacità funzionale dopo esercizio fisico(8 Kubo H, Jpn Circ J 1992;56:413-21). Un lavoro più recente(9 Hofman-Bang C, Eur Heart J 1999;20:1465-74) ha confermato che il seguire uno stile di vita multifattoriale che assommi riduzione dello stress, esercizio fisico, dieta e sospensione del fumo migliora la capacità all’esercizio dopo angioplastica. Tuttavia in questi precedenti lavori non è stato fatto cenno alle variabili ventilatorie e al decorso clinico del follow-up. Invece in questo studio randomizzato si rileva chiaramente come dopo 6 mesi i pazienti allenati con esercizio fisico, mostrino rispetto a quelli non allenati: una aumentata risposta emodinamica e ventilatoria durante prova da sforzo, un miglioramento del volume ventricolare telesistolico, della frazione di eiezione e dell’indice di ispessimento sistolico all’ecocardiografia, un minore aumento nel numero di segmenti anormali alla scintigrafia con tallio, una migliore qualità di vita ed un profilo minore di rischio coronarico. Tutto ciò pur in presenza di una similare percentuale di ristenosi. Tale documentato vantaggio si trasla in una minore percentuale di ricoveri e di eventi in un follow-up di quasi 3 anni nel gruppo dei pazienti allenati. Detti risultati ben evidenziano come il punto cruciale della riabilitazione sia non solo quello dell’esercizio, ma anche quello dell’integrazione con i benefici che provengono dalla riduzione del rischio coronarico (fumo, colesterolo e abbassamento dei livelli di pressione arteriosa). Tuttavia non si deve dimenticare che i pazienti che rappresentano il gruppo di controllo di questi trial non vengono valutati così spesso come quelli che invece rientrano nel programma di training e si comprende come ciò possa amplificare i benefici dell’esercizio fisico. Altro dato fondamentale è quello che i vantaggi di tale programma riabilitativo si mantengono fino a 12 mesi, ben 6 mesi dopo la fine del programma di esercizio, con la riduzione degli eventi nel gruppo allenato fino a quasi 3 anni, come è stato confermato anche dall’oggettività dei rilievi scintigrafici. Sarebbe interessante poter avere informazioni circa il reale vantaggio di tali programmi riabilitativi nella popolazione più anziana, che è quella sempre più presente sul tavolo di emodina- DI TUTTI I SOPRAVVISSUTI (TRAINED LINEA INTE(UNTRAINED LINEA TRAT- LIBERI DA EVENTI PER I PAZIENTI ALLENATI RA) E PER I PAZIENTI NON ALLENATI TEGGIATA ) DURANTE IL FOLLOW- UP NUMERO DEI PAZIENTI A RISCHIO CENSITI. (per gentile concessione dell’Editore) low-up e si mostrava correlato al miglioramento del profilo di rischio cardiovascolare. DISCUSSIONE I risultati di questo studio randomizzato indicano che un esercizio fisico regolare dopo angioplastica determina un miglioramento delle capacità funzionali e della qualità di vita del soggetto. Nei pazienti allenati il miglioramento delle variabili emodinamiche e ventilatorie si correla con il miglioramento della qualità di vita e del profilo di rischio coronarico indipendentemente dalla presenza o meno di stent (in particolare si è osservato che l’associazione della sospensione del fumo e dell’abbassamento dei valori pressori costituisce un predittore indipendente di migliore capacità ventilatoria). Uno dei dati più interessanti di questo lavoro è il seguente: il miglioramento della qualità di vita nei pazienti che praticano un allenamento fisico è principalmente correlato alle variazioni della capacità funzionale e del profilo di rischio coronarico, mentre la progressione della coronaropatia o la ristenosi non svolgono un ruolo significativo come è dimostrato dall’assenza di correlazione tra la capacità funzionale o la qualità di vita e la percentuale di ristenosi o la severità di lesione coronarica, rispettivamente. Un altro dato fondamentale è rappresentato dal fatto che una migliorata perfusione alla scintigrafia miocardica nei pazienti allenati a 6 mesi di follow-up predice un migliore decorso clinico. L’allenamento all’esercizio, migliorando la disfunzione endoteliale, può ridurre la ricorrenza di una ischemia miocardica, aumentando la dilatazione flusso-mediata delle arterie coronariche(6 Teuscher E, Biomed Biochem Acta 1985;44:493-95), aumentando •6• ARTICOLI DI INTERESSE Lavori come questo dimostrano sempre più e sempre meglio che i meccanismi attraverso i quali l’esercizio fisico allunga la vita sono vari e vanno dalla riduzione della pressione arteriosa e del colesterolo, alla abolizione del fumo, e che tali vantaggi si esplicano meglio proprio in quei soggetti che già godono di un rimedio molto vantaggioso in termini di miglioramento immediato delle qualità di vita come è quello dell’angioplastica. Pertanto si potrebbe concludere affermando che l’attività fisica aerobica deve essere considerata una ottima medicina a basso costo, quanto mai utile ed attuale nella odierna sanità ad alto costo! mica e che è però quella meno disponibile all’esercizio fisico. Sebbene tutto ciò faccia comprendere l’estrema utilità di un tale programma riabilitativo anche in questo gruppo di pazienti, che sempre più spesso effettuano una rivascolarizzazione parziale con angioplastica, (quest’ultima in aumento esponenziale dati i più che soddisfacenti risultati ottenuti negli ultimi anni), i vantaggi di un immediato benessere dopo la procedura interventistica e il limitato periodo di ricovero, rendono il programma riabilitativo un desiderio del medico non soddisfatto della stragrande maggioranza di questi pazienti. Per converso, dopo un certo periodo di relativo “self-control” del paziente per quel che riguarda il suo stile di vita, come avviene più frequentemente dopo un evento infartuale, l’effettuare una angioplastica ridona fiducia nel proprio stato di salute e consente di dimenticare presto le restrizioni e gli obblighi di uno stile di vita al quale, spesso con difficoltà, il medico convince il paziente ad adattarsi prima della rivascolarizzazione. Alfredo R. Galassi Divisione Clinicizzata di Cardiologia Dipartimento di Medicina Interna e delle Patologie Sistemiche Università di Catania, Ospedale Ferrarotto Via Citelli, 1 - Catania [email protected] L’INFORMAZIONE CARDIOLOGICA ULTIMISSIME IN 2002;22:7-8 CARDIOLOGIA Meglio l’amiodarone della lidocaina nella fibrillazione ventricolare resistente allo shock elettrico Molti degli arresti cardiaci che si verificano fuori degli ospedali sono causati da un disturbo del ritmo cardiaco, potenzialmente fatale, denominato fibrillazione ventricolare o FV. Sfortunatamente meno del 10% dei soggetti colpiti da fibrillazione ventricolare sopravvive. Questi pazienti sono destinati a morire se entro 5-7 minuti non vengono sottoposti alla rianimazione cardio-polmonare (CPR) e allo shock elettrico (defibrillazione) attuati allo scopo di ottenere una minima ossigenazione e il ripristino del normale battito cardiaco. Una precoce CPR è quindi essenziale e deve essere rapidamente seguita da una defibrillazione elettrica.. Se la defibrillazione non agisce immediatamente, il passo successivo consiste nella somministrazione di un farmaco anti-aritmico, seguito da ulteriori defibrillazioni. In queste situazioni di arresto cardiaco il farmaco tradizionalmente utilizzato risulta essere la lidocaina(1 Eisenberg MS, N Engl J Med 2001;344:1304-13), ma fino ad ora i farmaci anti-aritmici comunemente impiegati non erano stati scientificamente confrontati per stabilire quale fosse il più efficace. Nel 2000 le linee guida dell’American Hear t Association Advanced Life Support (2 Circulation 2000;102:Suppl I:I-112) hanno raccomandato come alternativa l’amiodarone, senza per altro risolvere la controversia su quale fosse il farmaco preferibile. Lo studio ALIVE (Amiodarone versus Lidocaine In prehospital Ventricular Fibrillation) è la prima ricerca che ha fatto un confronto testa a testa dei due farmaci, somministrati a random e in cieco dal personale infermieristico del Toronto Emergency Medical System in 347 pazienti con arresto cardiaco. Risultati dell’end point primario: Percentuale dei pazienti sopravvissuti fino al ricovero in ospedale • Amiodarone ev 22,8%, lidocaina ev. 12%; riduzione del rischio del 52% (p<0,008) nei pazienti con tempo medio fino alla somministrazione del farmaco di 25±8 min. (fig.1). • Amiodarone ev 28,1%, lidocaina ev 15% nei pazienti che hanno ricevuto il farmaco più precocemente rispetto al tempo medio fino alla somministrazione del farmaco in studio (<24 min.) (p<0,05). •7• ULTIMISSIME • • Amiodarone ev 18%, lidocaina ev 6% nei pazienti che hanno ricevuto il faermaco più tardi rispetto al tempo medio fino alla somministrazione del farmaco dello studio (>24 min.). Amiodarone ev 46%, lidocaina ev 25% nei casi in cui è stata osservata una circolazione • spontanea prima della somministrazione del farmaco dello studio Amiodarone ev 19,9%, lidocaina ev 10,9% nei casi in cui non è stata osservata una circolazione spontanea transitoria prima della somministrazione del far maco dello studio (Fig.2). Figura 1 - F REQUENZA DI SOPRAVVIVENZA AL MOMENTO DEL RICOVERO IN OSPEDALE IN TUTTI PAZIENTI IN RELAZIONE ALLA LUNGHEZZA DEL TEMPO INTERCORSO TRA LA PARTENZA DELL’EQUIPAGGIO DEL SERVIZIO MEDICO DI EMERGENZA E LA SOMMINISTRAZIONE DEL FARMACO DELLO STUDIO MOSTRATO SOPRA OGNI COLONNA). I (IL TEMPO MEDIO±SD È SOGGETTI TRATTATI PRECO- CEMENTE HANNO RICEVUTO IL FARMACO DELLO STUDIO PRIMA O AL TEMPO MEDIANO DELL’INTERVENTO DI EMERGENZA (24 MIN.); I PAZIENTI TRATTATI TARDIVAMENTE HANNO RICEVUTO IL FARMACO DOPO TALE TEMPO MEDIANO. SECONDO L’ANALISI DI REGRESSIO- NE LOGISTICA MULTIPLA, LA SOPRAVVIVENZA È STATA MIGLIORE CON L’AMIODARONE IN TUTTI GLI INTERVALLI MISURATI, E IL BENEFICIO È RISULTATO ESSERE CONSISTENTE SIA CON LA SOMMINISTRAZIONE PRECOCE CHE CON QUELLA TARDIVA. (per gentile concessione dell’Editore) Figura 2 - EFFETTO DEL TRATTAMENTO CON AMIODARONE O LIDOCAINA SULLA FREQUENZA DI SOPRAVVIVENZA AL MOMENTO DEL RICOVERO IN OSPEDALE, IN TUTTI I PAZIENTI E NEI SOTTOGRUPPI. IL SOTTOGRUPPO CON RITORNO SPONTANEO DELLA CIRCOLAZIONE COMPRENDE I CASI CON UNA CIRCOLAZIONE SPONTANEA TRANSITORIA PRIMA DELLA SOMMINISTRAZIONE DEL FARMACO DELLO STUDIO (13% NEL GRUPPO AMIODARONE E IL 6% IN QUELLO DELLA LIDO- CAINA, P=0,04) (per gentile concessione dell’Editore) COMMENTO LA LIDOCAINA COME TRATTAMENTO AGGIUNTIVO PRIMA DEL RICOVERO IN OSPEDALE DELLA FIBRILLAZIONE VENTRICOLARE RESISTENTE ALLO SHOCK E PER LA PREVENZIONE DELLE RICORRENZE DOPO UNA CARDIOVERSIONE EFFICACE, AUMENTA LE ASISTOLIE RISPETTO ALL’ADRENALINA(3 WEAVER WD, CIRCULATION 1990;82:2027-34) 1981;48:353-56; 5 O DW, A E M 1988;13:807-10) , NON È RISULTATA ESSERE MIGLIORE DEL PLACEBO(2) E DEL BRETILIO(4 H RE, A J C SULLA COME FARMACO BLOCCANTE I CANALI DEL SODIO, LA LIDOCAINA, PUÒ SVOLGERE UN’AZIONE PROARITMICA NEL MIOCARDIO ISCHEJF, J C P 1995;25:810-16) MICO(6 A . L’AMIODARONE EV RISULTA ESSERE EFFICACE NELLA PREVENZIONE DELLA FV RICORRENTE E DELLA TACHIPR, C 1995;92:3255-63; 8 L JH J A C C 1996;27:67-75) CARDIA VENTRICOLARE INSTABILE, RESISTENTI A LIDOCAINA E PROCAINAMIDE(7 K . NELLO STUDIO (9 K K PJ NGL ED 1999;341:871-78) ARREST L’AMIODARONE HA AUMENTATO LA SOPRAVVIVENZA RISPETTO AL PLACEBO LA SOMMINISTRAZIONE PER VIA ENDOVENOSA DELL’AMIODARONE FUORI DELL’OSPEDALE PRESENTA QUALCHE PROBLEMA PERCHÉ PRODUCE EFFETTI SECONDARI COME IPOTENSIONE ARTERIOSA, BRADICARDIA, AUMENTO DELLA SISTOLE ELETTRICA E PERCHÉ LA SOLUZIONE DEVE ESSERE PREPARATA AL MOMENTO CON CONSUMO DI TEMPO(7). I RISULTATI DELLO STUDIO ALIVE SONO MOLTO INTERESSANTI PERCHÉ DIMOSTRANO PER LA PRIMA VOLTA CHE L’AMIODARONE AUMENTA NOTEVOLMENTE RISPETTO ALLA LIDOCAINA LA SOPRAVVIVENZA ALL’ARRIVO IN OSPEDALE DEI SOGGETTI CON FIBRILLAZIONE VENTRICOLARE RESIP. .NE J M 2002;346:884-90) STENTE ALLO SHOCK(D . AYNES M ARDIOL LSON NN SOPRAVVIVENZA. UPETIT ARDIOVSC HARMACOL OWEY IRCULATION UDENCHU ORIAN ET AL NGL ED •8• EVINE N E J M M OLL ARIOL MERG ED L’INFORMAZIONE CARDIOLOGICA ARTICOLI 2002;22:9-12 DI INTERESSE L’Acido Folico Previene la Tolleranza ai Nitrati e la Disfunzione Endoteliale Indotta dalla Nitroglicerina F OLIC A CID P REVENTS N ITROGLYCERIN -I NDUCED N ITRIC OXIDE SYNTHASE DYSFUNCTION AND NITRATE TOLERANCE A HUMAN IN VIVO STUDY GORI T, BURSTEIN JM, AHMED S ET AL. CIRCULATION. 2001;104:1119-1123 A INTRODUZIONE ALL’ARGOMENTO E SCOPI DEL LAVORO In volontari sani, la somministrazione continuata di nitroglicerina causa una disfunzione della ossido nitrico sintasi, probabilmente attraverso la ridotta biodisponibilità di tetraidrobiopterina. Recenti ricerche hanno proposto che l’acido folico sia coinvolto nella rigenerazione della tetraidrobiopterina. Pertanto questo studio ha avuto lo scopo di valutare se la somministrazione di acido folico possa prevenire la disfunzione dell’ossido nitrico sintasi e, di conseguenza, la tolleranza alla nitroglicerina. B METODI, CASISTICA Ad una prima visita, 18 volontari sani maschi (in età compresa tra 19 e 32 anni) sono stati randomizzati a ricevere o acido folico per via orale (10 mg una volta al giorno) o placebo, per una settimana, in uno studio in doppio cieco. Tutti i soggetti ricevevano anche nitroglicerina transdermica in maniera continua (0.6 mg/h). Ad una seconda visita è stato misurato il flusso sanguigno nell’avambraccio, mediante pletismografia ad occlusione venosa, in risposta a infusioni incrementali di acetilcolina, di N-monometil-L-arginina e di nitroglicerina. C Figura 1 - A IL FLUSSO EMATICO DELL’AVAMBRACCIO (ESPRESSO COME VARIAZIONE IN RAPPORTO AL BRACCIO NON PERFUSO ) È AUMENTATO IN PROPORZIONE ALLE DOSI INCREMENTALI DI ACETILCOLINA (ACL) NEL GRUPPO TRATTATO CON ACIDO FOLICO (COLONNA NERA) MENTRE NON SI È MODIFICATO NEL GRUPPO CON PLACEBO (COLONNE RISULTATI BIANCHE), PERCHÉ IN QUEST’ULTIMO SI È SVILUPPATA TOLLERANZA IN SEGUITO ALLA SOMMINISTRAZIONE CONTINUATA DI L’acido folico ha prevenuto la disfunzione endoteliale indotta dalla nitroglicerina, valutata con le risposte all’acetilcolina e alla N-monometil-L-arginina intraarteriose. Inoltre, nei soggetti trattati con acido folico e nitroglicerina transdermica le risposte alla nitroglicerina intra-arteriosa erano significativamente maggiori di quelle osservate dopo nitroglicerina e placebo (Fig. 1). NITROGLICERINA. RISPOSTE INIBITORIE ALLA ARGININA B LE (L-NMMA), ANTAGONISTA DELL’OSSIDO NITRICO SINTASI, N-MONOMETIL-L- SONO PIÙ MARCATE NEL GRUPPO TRATTATO CON ACIDO FOLICO. LA C REATTIVITÀ VASCOLARE ALLA INFUSIONE INTRARTERIOSA DI DUE CONCENTRAZIONI DI NITROGLICERINA (GTN 11 E 22NMOL/MIN)È PRESENTE IN TUTTI I SOGGETTI ; NEL GRUPPO CON PLACEBO È AUMENTATA DEL 93%, NEL GRUPPO IN TRATTAMENTO CON ACIDO FOLICO IL FLUSSO È AUMENTATO DELLO (per gentile concessione dell’Editore) •9• 183%. ARTICOLI DI INTERESSE CONCLUSIONI I benefici effetti dei nitrati nei pazienti con cardiopatia ischemica e scompenso cardiaco congestizio sono legati essenzialmente alla vasodilatazione delle vene di capacitanza e delle arterie di conduttanza. La dilatazione delle vene di capacitanza riduce il ritorno venoso, il precarico ventricolare sinistro e quindi la tensione di parete, abbassando così la richiesta miocardica di ossigeno e migliorando il flusso subendocardico. La dilatazione delle arterie di conduttanza abbassa, per converso, il post-carico ventricolare, un altro determinante del consumo miocardico di ossigeno. I nitrati inoltre dilatano le arterie coronarie epicardiche, inclusi i segmenti stenotici, migliorando l’apporto di ossigeno al miocardio. Detti farmaci sono poi in grado di aumentare il flusso sanguigno alle aree ischemiche, in particolare al subendocardio, dilatando circoli collaterali e riducendo la pressione diastolica ventricolare, diminuendo così la compressione sul subendocardio(6 Wood AJ, N Engl J Med 1998;338:520-531). Gli effetti dei nitrati sui diversi distretti vascolari sono dose-dipendenti, in quanto a concentrazioni più basse i nitrati agiscono prevalentemente sulle vene di capacitanza e le arterie di conduttanza, sezioni vascolari che presentano la maggiore capacità di metabolizzare i nitrati in ossido nitrico. Al contrario, nelle arteriole e negli altri piccoli vasi l’attività degli enzimi specifici è praticamente trascurabile(7 Kurz MA, Circ Res 1991;68:84755) . Alle dosi usate in clinica i nitrati non hanno effetto sui vasi coronarici di resistenza, riducendo così il rischio di ischemia miocardica dovuta al furto coronarico, che può - per converso - verificarsi con farmaci come il dipiridamolo o le diidropiridine a breve durata d’azione, che causano dilatazione arteriolare(8 Fam WM, Circ Res 1968;22:649-59) . Quindi i nitrati possiedono un’unica combinazione di effetti vascolari, che può favorevolmente influire sul disaccoppiamento fra apporto e domanda di ossigeno miocardico in pazienti con malattia coronarica. Questi dati dimostrano che un supplemento di acido folico previene sia la disfunzione della ossido nitrico sintasi indotta dalla somministrazione continua di nitroglicerina, sia la tolleranza ai nitrati, in volontari sani. Gli Autori dello studio ipotizzano che la ridotta biodisponibilità di tetraidrobiopterina, indotta dallo stress ossidativo, sia implicata nella patogenesi di entrambi i fenomeni. INQUADRAMENTO TERAPIA CON NITRATI NELLA CARDIOPATIA ISCHEMICA Nel 1879 William Murrell diede inizio alla terapia antianginosa moderna somministrando per via sublinguale, a pazienti sintomatici, una soluzione all’1% di nitroglicerina che aveva l’effetto di alleviare il dolore toracico e prevenire ulteriori attacchi(1 Murrell M, Lancet 1879;1:8081) . Oggigiorno i nitrati organici rappresentano un cardine fondamentale nel trattamento della cardiopatia ischemica e dello scompenso cardiaco. I nitrati organici più comunemente usati sono la nitroglicerina, l’isosorbide dinitrato e l’isosorbide mononitrato. Questi farmaci sono disponibili in una varietà di formulazioni con differenti vie di somministrazione, dato che possono essere rapidamente assorbiti dal tratto gastrointestinale, dalla pelle e dalle membrane mucose. I nitrati organici sono dei profarmaci, e devono essere biodegradati per avere effetti terapeutici. Questa biotrasformazione, operata da vari enzimi (dal glutatione S-transferasi, dal citocromo P-450 e forse dalle esterasi), implica la denitrazione del nitrato, con la conseguente liberazione di ossido nitrico. L’esatto meccanismo attraverso il quale i nitrati organici sono sottoposti a denitrazione rimane controverso. Benché sia stato originariamente proposto che i gruppi sulfidrilici ridotti siano un substrato essenziale per la bioconversione, essi sono probabilmente richiesti soltanto come cofattori(2 Fang HL, Am J Cardiol 1992;70:4B-10B). L’ossido nitrico stimola la guanilato ciclasi che determina la conversione della guanosina trifosfato (GTP) in guanosina monofosfato ciclico (GMPc), che a sua volta attiva una protein-kinasi GMPc- dipendente. Questo enzima media la vasodilatazione, attraverso la fosforilazione inibitoria di differenti proteine implicate nella regolazione dei livelli intracellulari di Ca++(3 Katsuki S, Mol Pharmacol 1977;13:330-341). In aggiunta all’effetto vasodilatante, l’ossido nitrico riduce l’aggregazione piastrinica(4 Kelly RA, Circ Res 1996;79:363-80). La somministrazione di nitrati organici ha effetti simili(5 Loscalzo I, J Clin Invest 1985;76:703-708). Poiché la disponibilità di ossido nitrico è ridotta in una varietà di condizioni legate alla disfunzione endoteliale, è possibile che i nitrati organici, come donatori esogeni, rimpiazzino il deficit di ossido nitrico presente nei vasi aterosclerotici. LA TOLLERANZA AI NITRATI Il valore clinico della terapia a lungo termine con nitrati è limitato dall’insorgenza di tolleranza per gli effetti emodinamici e clinici. Per esempio, con la somministrazione prolungata, si ha una diminuzione dell’effetto ipotensivo, del mal di testa e della capacità di esercizio, e un incremento della frequenza di ischemia miocardica. Stewart riconobbe la tolleranza ai nitrati più di cento anni fa, e segnalò la necessità di aumentare le dosi di nitroglicerina per mantenere l’effetto terapeutico in un paziente in terapia cronica con nitrati per “nefrite parenchimatosa”(9 Stewart DD, Polyclinic 1888;6:43). Da allora, la tolleranza ai nitrati è stata dimostrata in studi sperimentali sia in vitro che in vivo. Tuttavia il meccanismo che sottende al suo sviluppo non è stato ancora completamente chiarito. Le elevate concentrazioni plasmatiche notate nel corso di trattamenti prolungati rendono poco probabili, come cause, il ridotto assorbimento, l’aumentato • 10 • ARTICOLI DI INTERESSE metabolismo o una più rapida eliminazione dei nitrati e dei loro metaboliti attivi(10 Thadani U, Circulation 1980;62:491-502). La tolleranza ai nitrati sembra essere invece un fenomeno complesso dipendente da diversi altri meccanismi. Questi ultimi varierebbero a seconda della situazione di studio (in vivo o in vitro), del letto vascolare (i fenomeni di tolleranza sono più spiccati nel letto venoso), dello specifico composto studiato, della dose somministrata, e della patologia sottostante. quali un’aumentata produzione di endotelina-1 e l’attivazione della Protein Kinasi-C (PKC) endoteliale, che causa un’aumentata sensibilità dei vasi ai neuroormoni circolanti, quali catecolamine, angiotensina II e serotonina, i quali comprometterebbero il potere vasodilatante della nitroglicerina(19 Munzel T, J Clin Invest 1995;95:18794) . Ipotesi dell’Espansione del Volume Plasmatico Secondo questa ipotesi l’espansione del volume plasmatico indotta dai nitrati si contrappone agli effetti dei nitrati sul pre-carico ventricolare. La causa dell’espansione è incerta, tuttavia non sembra essere legata alla ritenzione di sodio(20 Dupuis J, J Am Coll Cardiol 1990;16:92331) , ma ad uno spostamento di fluidi dal compartimento extra-vascolare a quello intra-vascolare. L’espansione persiste per diversi giorni nel corso di terapie prolungate con nitroglicerina, il che suggerisce come tali effetti dei nitrati continuino nonostante l’insorgenza più precoce di tolleranza emodinamica(21 Parker JD, J Am Coll Cardiol 1993;21:445-53) . Inoltre tentativi di prevenire lo sviluppo della tolleranza con diuretici hanno dato risultati contrastanti(22 Parker JD, J Am Col Cardiol 1992;20:616-22). MECCANISMI PROPOSTI PER LO SVILUPPO DELLA TOLLERANZA AI NITRATI Ipotesi della Deplezione Sulfidrilica La perdita dell’efficacia dei nitrati sarebbe legata alla deplezione dei gruppi sulfidrilici ridotti necessari per la biotransformazione del nitrato organico inossido nitrico. In particolare, i nitrati organici reagirebbero con gruppi sulfidrilici ridotti a livello del muscolo liscio vasale, portando alla formazione di ponti disolfuro. Il recettore del nitrato così, in forma disulfidrilica, presenterebbe una minore affinità per la nitroglicerina (11 Needleman P, J Phar macol Exp Ther 1973;184:709-15) . Quest’ipotesi tuttavia è abbastanza controversa. Infatti, in uno studio in vivo, i livelli tiolici, venosi e arteriosi, erano simili in animali tolleranti e non tolleranti, dimostrando come la terapia con nitrati non sia associata a deplezione tissutale di gruppi tiolici (12 Boesgaard S, Circ Res 1994;74:115-20) e suggerendo pertanto come questa non possa essere la causa della tolleranza. Inoltre, benché donatori di gruppi sulfidrilici esogeni possano restaurare la responsività ai nitrati di pazienti resi tolleranti(13 May DC, N Engl J Med 1987;317:805-809), tali farmaci come la N-acetilcisteina - potenziano gli effetti ipotensivi della nitroglicerina anche in assenza di tolleranza(14 Horowitz JD, Circulation 1983;68:1247-53). Da ciò può dedursi che l’aumento della responsività vascolare da parte di donatori sulfidrilici non deve essere interpretato necessariamente come un’eliminazione della tolleranza, dato che l’aumentata responsività e la tolleranza ai nitrati possono avvenire con meccanismi indipendenti(15 Fung HL, J Pharmacol Exp Ther 1988;245:524-30). Ipotesi dei Radicali Liberi dell’Ossigeno Osservazioni sperimentali e cliniche suggeriscono che la tolleranza possa essere la conseguenza di un’aumentata produzione di radicali liberi, ed in particolare di anione superossido, da parte dell’endotelio, secondaria all’attivazione da parte della nitroglicerina delle ossidasi NAD(P)H-dipendenti di membrana e della ossido nitrico sintasi endoteliale (eNOS)(23 Rajagopalan S, J Clin Invest 1996;97:1916-23) . L’anione superossido prodotto da questi sistemi enzimatici, degrada l’ossido nitrico derivato dalla nitroglicerina, per formare perossinitrito; evidenze per questo processo sono fondate sull’osservazione di un aumento delle concentrazioni urinarie di 3-nitrotirosina in soggetti tolleranti ai nitrati(24 Skatchkov M, J Cardiovasc Pharmacol Ther 1997;2:85-96) . Fondamentale per l’aumento di produzione di superossido mediante l’ossido nitrico-sintasi, è la diminuzione del substrato L-arginina oppure di un critico cofattore dell’enzima quale la tetraidrobiopterina(25 Vasquez-Vivar J, Proc Natl Acad Sci U S A 1998;9220-25) . Quando i livelli di tetraidrobiopterina cadono al di sotto della concentrazione richiesta per saturare l’enzima (2 µmol/L), il superossido si forma dalla riduzione catalizzata dall’eme dell’ossigeno molecolare(26 Stuehr D, J Biol Chem 2001;276:14533-536). Ipotesi dell’Attivazione Neuro-Ormonale Secondo l’ipotesi neuro-ormonale la somministrazione di nitrati è associata ad una liberazione riflessa di diversi ormoni vasocostrittori, che riducono l’effetto vasodilatante dei nitrati. Benché alcuni studi abbiano documentato un’attivazione simpatica, con aumentate concentrazioni plasmatiche di catecolamine, renina e arginina-vasopressina(16 Parker JD, Circulation 1991;84:2336-45), altri studi non l’hanno confermata(17 Katz RJ, Circulation 1991;83:271-77). Inoltre, tentativi di prevenire la tolleranza con ACE-inibitori hanno avuto successo soltanto in una parte degli studi(18 Muiesan ML, Eur Heart J 1993;14:1701-08) . Recenti evidenze, piuttosto, suggeriscono che la somministrazione di nitroglicerina sia accompagnata da risposte controregolatorie locali, COMMENTO SPECIFICO SUL LAVORO CONSIDERATO Gori e collaboratori riportano, nell’articolo citato, che un semplice intervento farmacologico, rappresentato dalla somministrazione di acido folico, può prevenire la tolleranza ai nitrati e la cross-tolleranza all’ossido nitrico endoteliale. Basandosi su precedenti lavori in vitro(27 Stroes ESG, Circ Res • 11 • ARTICOLI DI INTERESSE 2000;86:1129-34) e in vivo in soggetti umani con e senza iperomocistinemia(28 Vehaar MC, Circulation 1999;100:335-38), questi ricercatori postulano che l’acido folico aumenti la biodisponibilità della tetraidrobiopterina in condizioni di stress ossidativo, che si verificano con la somministrazione a lungo termine di nitroglicerina. Si è supposto che l’acido folico sia implicato nella rigenerazione della forma ridotta della tetraidrobiopterina e/o nell’interazione funzionale fra la tetraidrobiopterina e l’ossido nitrico-sintasi. Il risultato dei loro studi supporta tale ipotesi, ma questa manca tuttora, alla base, di un chiaro e certo meccanismo. In condizioni di iperomocistinemia, i benefici dell’acido folico sono ben delineati: il folato è richiesto per la rimetilazione dell’omocisteina a metionina, che a sua volta, riduce la concentrazione di omocisteina disponibile per sostenere lo stress ossidativo(29 Loscalzo J, J Clin Invest 1996;98:5-7) . Tuttavia, in assenza di iperomocistinemia, il meccanismo d’azione del folato non è evidente. Il folato è una vitamina essenziale per le reazioni di metilazione. Il folato introdotto con la dieta deve essere ridotto a tetraidrofolato per entrare nel ciclo di metilazione, e questa riduzione è operata dalla diidrofolato-reduttasi usando NADPH come cofattore. L’NADPH è anche richiesto come cofattore per l’attività della ossido nitrico-sintasi e per la sintesi della tetraidrobiopterina. In assenza di adeguate concentrazioni di NADPH, come per esempio a seguito dell’esposizione cronica ai nitrati, si ha un disaccoppiamento della ossido nitrico-sintasi endoteliale, che devìa la sua attività enzimatica dall’ossidazione della L-arginina alla riduzione dell’ossigeno molecolare. Tale disaccoppiamento sarebbe il meccanismo comune sia della tolleranza ai nitrati organici sia della cross-tolleranza all’ossido nitrico endogeno. Così, una plausibile argomentazione per quanto concerne i benefici del folato nella tolleranza ai nitrati è che quest’ultimo competa con la ossido nitrico-sintasi per l’utilizzo del NADPH. Non ci sono evidenze per rifiutare o supportare tale meccanismo(27). Qualunque sia il preciso meccanismo molecolare, l’osservazione che questo semplice intervento aumenta la funzione endoteliale e migliora la tolleranza ai nitrati, ha grandi implicazioni cliniche. I benefici della tetraidrobiopterina nella tolleranza ai nitrati sono stati dimostrati, ma problemi di sicurezza e di costo rendono una sua aggiunta improponibile. Al contrario, l’acido folico, offrendo notevole sicurezza ed essendo economicamente conveniente, specialmente se somministrato nella forma fisiologica attiva di metiltetraidrofolato di calcio, è il candidato quasi ideale ad una introduzione farmacologica. Questi dati, se confermati, possono essere generalizzati per raccomandare un largo uso del metiltetraidrofolato di calcio nei pazienti con malattia vascolare atero-trombotica, indipendentemente dalla condizione di omocisteinemia. Prevenendo il disaccoppiamento della ossido nitricosintasi e la sua generazione di anione superossido, questo semplice trattamento potrebbe migliorare la funzione endoteliale e vascolare. Chiaramente, tali miglioramenti a breve termine della funzione vascolare dovrebbero essere valutati in studi a più lungo termine che abbiano end-points clinici ben definiti. Ciononostante i risultati presentati incoraggiano ad intraprendere ulteriori sperimentazioni di questa semplice strategia di trattamento con folato. Quest’ultimo potrebbe essere somministrato sia per prevenire la tolleranza ai nitrati - e con ciò si estenderebbe l’uso di questi vecchi farmaci - sia per migliorare la funzione endoteliale in pazienti a rischio di malattie aterotrombotiche. Francesco Iachini Bellisarii Raffaele De Caterina Cattedra di Cardiologia Università degli Studi “G. d’Annunzio” - Chieti • 12 • L’INFORMAZIONE CARDIOLOGICA ARTICOLO 2002;22:13-14 DI INTERESSE La Calcificazione dell’Anello Mitralico come Manifestazione di Aterosclerosi ASSOCIATION BETWEEN MITRAL ANNULAR CALCIUM C AROTID A RTERY S TENOSIS AND R OLE OF A GE GENDER. ANTONINI-CANTERIN F, CAPANNA M, MANFRONI A AM J CARDIOL 2001; 88: 581-583 AND AND ET. AL. INTRODUZIONE Vari studi recenti avvalorano l’ipotesi che le calcificazioni dell’anello mitralico rappresentino, in realtà, un segno di aterosclerosi. Le calcificazioni dell’anello mitralico si associano, infatti, a malattia delle arterie coronarie, a placche ateromasiche aortiche ed a vasculopatia periferica. Gli obiettivi dello studio di Antonini-Canterin e coll. sono stati quelli di verificare l’associazione tra le calcificazioni dell’anello mitralico e la malattia aterosclerotica delle carotidi e quello di valutare le correlazioni di questa patologia con l’età e il sesso. Figura 1 - ECOCARDIOGRAMMA TRANSTORACICO BIDIMENSIONA- LE IN UN SOGGETTO CON CALCIFICAZIONE DELL’ANELLO MITRALICO. NELLA PROIEZIONE APICALE 4 CAMERE SI EVIDENZIA ALLA BASE DEL LEMBO MITRALICO POSTERIORE (FRECCIA) UN AREA CIRCOSCRITTA, DENSA, ALTAMENTE RIFLETTENTE, PRODOTTA DA DEPOSIZIONE DI CALCIO. (per gentile concessione dell’Editore) sesso, l’associazione tra calcificazioni dell’anello mitralico e stenosi delle carotidi risultava essere significativa negli uomini di età inferiore a 75 anni e nelle donne di età maggiore o uguale a 75 anni(1 Antonini-Canterin F, Am J Cardiol 2001;88:581-83) . METODI E CASISTICA Gli Autori hanno identificato, all’interno del loro database, tutti i pazienti che hanno avuto la diagnosi ecocardiografica di calcificazione dell’anello mitralico e che sono stati sottoposti ad una esplorazione sonografica delle carotidi per motivi clinici diversi. Sono stati così identificati 128 pazienti; è stato scelto un gruppo di controllo di 128 soggetti senza evidenza ecocardiografica di calcificazioni dell’anello mitralico, anch’essi sottoposti a studio ecografico delle carotidi. Tra i due gruppi non vi erano differenze significative per quanto concerne la ipercolesterolemia, il fumo, l’ipertensione arteriosa, il diabete mellito, l’anamnesi familiare di coronaropatia o l’indicazione clinica allo studio ecografico delle carotidi. COMMENTO La calcificazione dell’anello mitralico come manifestazione di aterosclerosi. La calcificazione dell’anello mitralico è un processo degenerativo cronico che coinvolge la componente fibrosa della base dell’apparato mitralico. Si manifesta più frequentemente in età avanzata e nelle donne. In genere le calcificazioni non interferiscono con il funzionamento della valvola, ad eccezione di casi estremi quando possono determinare una insufficienza valvolare. La calcificazione dell’anello mitralico è stata associata ad alcuni fattori di rischio cardiovascolare, quali ipertensione, diabete, dislipidemia. Inoltre, si associa a dilatazione atriale sinistra, cardiomiopatia ipertrofica, fibrillazione atriale, eventi cerebrovascolari, calcificazione della valvola aortica e stenosi aortica. Anche disturbi di conduzione come la malattia del nodo del seno, il blocco atrioventricolare, l’emiblocco anteriore sinistro ed altri disturbi di conduzione intraventricolare sono risultati essere associati alla presenza di calcificazioni dell’anello mitralico(2 Adler Y, Atherosclerosis 2001;155:1-8). RISULTATI Una stenosi carotidea significativa (maggiore o uguale al 50% del diametro del lume) è stata identificata nel 43.8% dei pazienti con diagnosi ecocardiografica di calcificazioni dell’anello mitralico e solo nel 22.6% di quelli appartenenti al gruppo di controllo (Fig, 1). Considerando insieme l’influenza dell’età e del • 13 • ARTICOLI DI INTERESSE ga anche un meccanismo legato all’osteoporosi(2). L’associazione tra calcificazioni dell’anello mitralico e ictus non è stata ancora chiarita. Nella casistica di Aronow e coll. i pazienti con calcificazioni dell’anello mitralico e stenosi severe delle carotidi avevano un rischio 1.5 volte superiore di sviluppare un ictus rispetto ai pazienti che presentavano solo stenosi delle carotidi(5 Aronow WS, Am J Cardiol 1992;70:123-34). Nella più ampia casistica (657 pazienti) studiata da Boon e coll. però non è stata rilevata una differenza statisticamente significativa tra pazienti con e senza calcificazioni dell’anello mitralico, in termini di ictus(6, Boon A, J Neurol 1997;244:534-41). Anche Adler e coll. hanno suggerito che il rischio aumentato di ictus dei pazienti con calcificazioni dell’anello mitralico potrebbe non essere dovuto alla calcificazione stessa ma alla sua associazione con altri fattori di rischio per ictus, quali le placche ateromasiche aortiche ed in particolare quelle complesse, ad elevato rischio embolico (spessore uguale o superiore a 5 mm, protrudenti, ulcerate o con elementi mobili intraluminali)(7, Adler Y, Atherosclerosis 2000;152:451-56). Studi anatomo-patologici hanno permesso di identificare la presenza di cellule schiumose nell’endotelio delle arterie coronarie epicardiche, sulla superficie ventricolare del lembo mitralico posteriore e sul versante aortico delle cuspidi coronariche, in soggetti di età compresa fra 13 e 39 anni. Tali raggruppamenti di cellule schiumose rappresentano lesioni aterosclerotiche iniziali, suggerendo in questo modo che sia l’aterosclerosi coronarica sia le calcificazioni dell’anello mitralico e delle cuspidi aortiche, patologie frequenti in età avanzata, abbiano un’eziologia comune(3 Roberts WC, Am J Cardiol 1986;58:57-64) . Già Aldler e coll. avevano dimostrato che l’incidenza di stenosi carotidee (> 40%) è significativamente maggiore nei pazienti con calcificazioni dell’anello mitralico. In particolare la presenza di calcificazioni mitraliche di spessore superiore a 5 mm è predittiva di malattia carotidea in più del 60% dei casi(4 Adler Y, Stroke 1998;29:1833-37) . Lo studio di Adler e quello italiano sono simili per quanto riguarda il numero e l’età media dei pazienti(1,4). Anche la prevalenza di malattia carotidea nei pazienti con calcificazioni dell’anello mitralico è simile nei due studi (il 43.8% dei soggetti studiati da Antonini-Canterin e coll. presentavano stenosi carotidee >50% mentre il 45% di quelli studiati da Adler e coll. presentavano stenosi >40%). Adler e coll. dimostrano la presenza di una correlazione significativa tra la presenza di calcificazioni mitraliche ed una più severa espressione di malattia carotidea (più di due vasi malati o malattia presente bilateralmente). Nella loro casistica, la presenza di calcificazioni mitraliche e l’età sono fattori predittivi indipendenti di malattia aterosclerotica carotidea(4). Lo studio italiano ha il merito di valutare il ruolo dell’età e del sesso nell’associazione tra stenosi carotidee e calcificazioni dell’anello mitralico. La predominanza maschile nella prevalenza dell’aterosclerosi e della coronaropatia è stata già ampiamente dimostrata. Invece, la calcificazione dell’anello mitralico sembra essere prevalente nelle donne dopo la menopausa. Una possibile spiegazione è fornita da studi recenti nei quali è stato dimostrato che i depositi ectopici di calcio nelle donne sono dovuti all’osteoporosi postmenopausale accelerata. Quindi la presenza di calcificazioni mitraliche negli uomini potrebbe essere strettamente correlata all’aterosclerosi, mentre nelle donne in età postmenopausale sembra che si aggiun- IMPLICAZIONI CLINICHE Gli studi finora disponibili mostrano una forte associazione tra le calcificazioni dell’anello mitralico e la presenza di placche aterosclerotiche aortiche, stenosi delle carotidi, delle arterie coronarie e malattia delle arterie periferiche e sembrano confermare l’ipotesi che la calcificazione dell’anello mitralico sia una manifestazione dell’aterosclerosi, facilmente esplorabile attraverso l’ecocardiografia transtoracica. In questo modo, con un semplice metodo non invasivo si otterrebbero informazioni utili circa la presenza di aterosclerosi vascolare generalizzata e s’identificherebbero i pazienti a rischio d’eventi coronarici o cerebrali, che necessitano di una sorveglianza particolare e una terapia aggressiva contro l’aterosclerosi (statine, adeguato controllo pressorio e glicemico, terapia antiaggregante etc.). Cristina Constantin, Stefano Ghio Divisione di Cardiologia Ospedale Policlinico San Matteo Pavia, P.zzale Golgi 2, 27100 • 14 • L’INFORMAZIONE CARDIOLOGICA ARTICOLI 2002;22:15-17 DI INTERESSE Disfunzione Microvascolare nelle Occlusioni Coronariche Totali Croniche M I C R O VA S C U L A R D Y S F U N C T I O N CORONARY OCCLUSIONS IN altre condizioni associate o meno alla malattia coronarica aterosclerotica. La riserva della velocità di flusso coronarica dipende dal comportamento di un sistema a due componenti in cui il primo è rappresentato dai condotti epicardici ed il secondo dal letto microcircolatorio. Un valore di riserva della velocità di flusso coronarica assoluto normale esprime il normale comportamento di entrambi i compartimenti ma un valore anormale non differenzia quale dei due compartimenti sia responsabile della ridotta capacità di vasodilatazione. Oltre al valore assoluto di riserva di un determinato distretto è pertanto sempre necessario misurare un valore di riserva di un vaso di riferimento sano. La valutazione della riserva della velocità di flusso coronarica in vasi di riferimento permette di identificare l’esistenza di una malattia microvascolare diffusa o di condizioni emodinamiche diverse in grado di limitare la riserva indipendentemente dal grado di ostruzione del vaso testato. Il rapporto dei valori del territorio vascolare testato e di quello di riferimento viene definito come riserva della velocità di flusso coronarica relativa. È stata dimostrata una correlazione lineare fra la riserva della velocità di flusso coronarica relativa e la riserva di flusso frazionale miocardico (RFF) pertanto, quando le misurazioni pressorie sono applicate ed interpretate in maniera corretta, la semplice e rapida determinazione della riserva di flusso frazionale miocardica, costituisce l’indice più attendibile per riconoscere lesioni emodinamicamente significative. Il raggiungimento della massima iperemia, ottenuto mediante infusione intracoronarica di adenosina, è essenziale per l’interpretazione delle misure della pressione coronarica e per il calcolo della riserva di flusso frazionale. Se l’iperemia massima non viene completamente ottenuta la reale severità della lesione è sottostimata. Alla luce di questa premessa appare chiaro come l’interesse maggiore per l’impiego delle guide di flusso e di pressione nella pratica clinica riguardi la valutazione del significato funzionale delle stenosi coronariche di grado intermedio o di morfologia ambigua, il monitoragggio e la valutazione del risultato delle procedure di angioplastica coronarica e la valutazione della funzione microcircolatoria. Nonostante ciò alcune precauzioni sono necessarie e spesso la sola integrazione delle due metodiche, come dimostrato di seguito nel lavoro di Werner, consente di ottenere informazioni fisiopatologiche adeguate. C H R O N I C T O TA L WERNER GS; FERRARI M, RICHARTZ BM CIRCULATION 2001; 104:1129-1134 ET AL. PREMESSA Sebbene la coronarografia venga utilizzata per la valutazione dei pazienti con malattia coronarica, le limitazioni di questa tecnica sono ben note. In particolare, in alcuni pazienti il ruolo delle anomalie della vasomotricità e della funzione microcircolatoria non può essere determinato con la sola angiografia. Attualmente sono state introdotte in sala di cateterismo nuove tecniche di valutazione funzionale della stenosi coronarica basate sull’impiego di fili guida muniti di trasduttori miniaturizzati di flusso (Doppler wire) o di pressione (Pressure-wire). Entrambe possono fornire una valutazione accurata del significato funzionale di stenosi coronariche subcritiche e di stenosi residue post-PTCA, distinguendole dalle anomalie della funzione microcircolatoria e della vasomotricità. La guida di pressione permette di valutare in maniera semplice e rapida la riserva del flusso frazionale miocardico (RFF), intesa come rapporto fra la pressione prossimale in aorta e la pressione distale ad una stenosi, essa rappresenta l’indice più attendibile per riconoscere lesioni emodinamicamente significative. La guida di flusso (Doppler wire), che consente di valutare la riserva della velocità di flusso coronarica (RVFC) (intesa come differenza tra flusso coronarico basale e flusso coronarico durante massima iperemia), è costituita da un filo guida dotato di un microtrasduttore piezoelettrico. La guida presenta caratteristiche analoghe a quelle dei fili guida utilizzati in cardiologia interventistica, può essere avanzata attraverso la stenosi e consente la misurazione delle velocità di flusso anche nei segmenti distali delle coronarie. Diversi fattori possono influenzare la riserva della velocità di flusso coronarica tra i quali: un aumento delle richieste metaboliche e del flusso basale, la frequenza cardiaca, il pre-carico e la pressione di perfusione, la presenza di ipertrofia miocardica e di anomalie della funzione microcircolatoria quali si riscontrano in pazienti con diabete mellito, pregresso infarto miocardico, sindrome X, ipercolesterolemia ed INTRODUZIONE Grazie ai notevoli sviluppi tecnici che hanno per- • 15 • ARTICOLI DI INTERESSE RISULTATI messo una miniaturizzazione dei trasduttori di pressione e Doppler, è oggi possibile una valutazione fisiologica della lesione coronarica, attraverso lo studio della riserva della velocità di flusso coronarica (RVFC). L’attendibilità di tale metodica dipende dall’integrità della microvascolatura periferica la quale può essere alterata in situazioni quali infarto miocardico, ipertensione arteriosa, diabete mellito(1 Brush JE, New Riserva della velocità di flusso coronarica: risultati immediati ed a 24 ore I valori di riser va di flusso coronarica erano 2.01±0.66. Il 55% dell’intera popolazione studiata presentava valori di riserva di flusso coronarica ≤2.0. I ventuno pazienti ristudiati a 24 ore non mostravano significative variazioni nei valori medi di riserva di flusso coronarica Riserva della velocità di flusso coronarica e riserva di flusso frazionale miocardico dopo PTCA In ventisette pazienti venivano eseguite entrambe le metodiche. I valori di riserva di flusso frazionale miocardico dopo PTCA erano di 0.85±0.08. Non è stata riscontrata alcuna correlazione fra i dati della riserva della velocità di flusso coronarica e quelli della riserva di flusso frazionale miocardico. Valori di riserva di flusso coronarica ≤2.0 sono stati osservati in 16/27 pazienti (59%) ma in 14 (52%) i valori di riserva di flusso frazionale miocardico erano ≥0.75. Solo in due casi pari al 7.7% di questa popolazione si rilevavano bassi valori sia di riserva della velocità di flusso coronarica che di riserva del flusso frazionale miocardico; tali pazienti mostravano una diffusa malattia ateromasica nel tratto di vaso prossimale all’occlusione coronarica. In nessun caso viceversa venivano riscontrati elevati valori di riserva della velocità di flusso coronarica in presenza di valori di riserva di flusso frazionale miocardico ≤0.75 (Fig. 1). England Journal of Medicine 1988;319:1302-07; 2 Uren NG, New England Journal of Medicine 1994;331:222-27; 3 Nahser PJ, Circulation 1995;91:635-40) , situazioni spesso presenti in pazienti con malattia coronarica. Tecniche come lo studio della riserva della velocità di flusso coronarica o riserva del flusso frazionale miocardico (RFF) sono state proposte come metodiche complementari in grado di fornire accurate informazioni sulla valutazione fisiologica di un vaso coronarico. Scopo del lavoro di Werner e coll è stato quello di valutare la disfunzione microvascolare stimata mediante sia la riserva della velocità di flusso coronarica che la riserva del flusso frazionale miocardico in pazienti con occlusione coronarica cronica sottoposti a ricanalizzazione mediante angioplastica coronarica (PTCA) e stent. METODI Sono stati studiati 42 pazienti sottoposti con successo a ricanalizzazione coronarica. Era indispensabile che la durata dell’occlusione fosse superiore a quattro settimane, che angiograficamente vi fosse un flusso TIMI 0, che clinicamente fosse stata documentata l’evidenza di ischemia e di miocardio vitale nella zona acinetica, mediante studio scintigrafico (PET). Tutti i pazienti ricevevano PTCA e successivo impianto di stent intracoronarico e nel 45% delle lesioni venivano impiantati stent multipli. In tutti i pazienti veniva eseguita la valutazione della riserva della velocità di flusso coronarica mediante guida Doppler. Il protocollo veniva modificato in corso di studio e negli ultimi 27 pazienti veniva eseguito il calcolo sia della riserva della velocità di flusso coronarica che della riserva di flusso frazionale miocardico. Infine i primi 21 pazienti venivano sottoposti ad angiografia di controllo e misurazione della riserva della velocità di flusso coronarica a ventiquattro ore dalla procedura di PTCA. Entrambe le metodiche sono state eseguite al termine della PTCA, con stenosi residua <20% previa somministrazione intracoronarica in bolo di adenosina. Sono stati considerati normali i valori di RVFC ≥2.0 ed i valori di RFF ≥0.75. Pazienti con valori di riserva della velocità di flusso coronarica ≤2.0 in assenza di stenosi residua, mostravano disfunzione microvascolare e venivano confrontati con quelli che avevano valori di riserva della velocità di flusso coronarica ≥2.0. Un’analisi biplana del ventricolo sinistro con successiva classificazione (normale, moderatamente ipocinetico, severamente ipocinetico/acinetico) veniva effettuata in tutti i pazienti prima della PTCA. Figura 1 - MISURE SIMULTANEE DELLA RISERVA DELLA VELOCITÀ DI FLUSSO CORONARICO (RVFC) (IN ORDINATA) E DELLA RISER(RFF) MIOCARDICO (IN ASCISSA) VA DELLA FRAZIONE DI FLUSSO IN 27 SOGGETTI DOPO IL SUCCESSO DELLA RICANALIZZAZIONE DELLA OCCLUSIONE CORONARICA TOTALE. LE LINEE INDICANO I RVFC (2.0) E DELLA RFF (0.75) NEI PAZIENTI CON IPERTENSIONE E/O DIABETE N=19) E IN QUELLI SENZA COMORBILITÀ (°; N=8). VALORI DI TAGLIO DELLA (per gentile concessione dell’Editore) Pazienti diabetici e/o ipertesi mostravano solitamente bassi valori di riserva della velocità di flusso coronarica ≤2.0 ai quali si accompagnava una scarsa risposta iperemica dopo somministrazione di adenosi- • 16 • ARTICOLI DI INTERESSE hanno dimostrato come i valori di riserva della velocità di flusso coronarica registrati al momento della procedura costituiscano i valori prognostici più importanti per la ripresa dei sintomi dopo PTCA (5 Nico HJ, na (RVFC 1.86±0.69 vs 2.36±0.45 p<0.05). Nessuna correlazione è stata osservata fra valori di riserva della velocità di flusso coronarica ed alterazioni della contrattilità regionale. Pazienti con disfunzione regionale presentavano valori di riserva della velocità di flusso coronarica >2.0 così come pazienti con normale funzione ventricolare mostravano valori di riserva della velocità di flusso coronarica <2.0 Catheterization and Cardiovascular Interventions 2000;49:1-16; 6 Bech GJ, Circulation 1999;99:883-888; 7 Bech GJ, Circulation 2001; 8 Serruys PW, Circulation 1997;96:3369-3377) . In aggiunta alla presenza di una risposta post-riperfusoria del microcircolo, la riserva della velocità di flusso coronarica è correlata principalmente alla severità della stenosi piuttosto che alla vitalità miocardica residua, suggerendo che, limitare il restringimento luminale residuo attraverso l’uso dello stent nell’ambito dell’infarto miocardico acuto, può migliorare la risposta fisiologica(9 Clayes MJ J Am Coll Cardiology 1996). L’incidenza di disfunzione microvascolare riportata in questo lavoro è significativamente maggiore rispetto a quella riportata in lesioni coronariche non occlusive in cui il 20% dei pazienti mostrava valori di riserva della velocità di flusso coronarica ≤2.0 (10). Tale percentuale è sostanzialmente simile anche nei pazienti trattati con impianto di stent e/o nei quali la PTCA sia guidata mediante gli ultrasuoni intracoronarici (IVUS); ciò a conferma del fatto che il 10-15% dei pazienti presenta una disfunzione microvascolare anche se non vi è evidenza di stenosi residua(10 De Bruyne B, Circulation 2001;104:157-62; 11 Kern MJ, Circulation 1999;100:2491-98; COMMENTO Sulla base dei valori di riserva della velocità di flusso coronarica e di riserva di flusso frazionale miocardico riportati metà dei pazienti mostravano disfunzione microvascolare e/o malattia ateromasica diffusa. La riserva della velocità di flusso coronarica assoluta è l’insieme della risposta iperemica delle arterie di conduttanza e del microcircolo. Per essere in grado di discriminare fra alterazioni del flusso epicardico ed alterazioni microvascolari bisognerebbe calcolare la riserva della velocità di flusso coronarica relativa che richiede un vaso di riferimento normale. Tale approccio è tuttavia limitato nei pazienti con occlusione totale cronica che spesso presentano una malattia multivasale. La riserva della velocità di flusso coronarica relativa, calcolata come riserva coronarica del vaso in oggetto rispetto alla riserva coronarica nel vaso di riferimento, presenta una eccellente correlazione con la riserva di flusso frazionale miocardico, viceversa la riserva della velocità di flusso coronarica assoluta ha una scarsa correlazione a causa delle inaspettate e non prevedibili anormalità del microcircolo(4 Uren NG, J Am Coll Cardiol 1999;29(suppl. A):1250) . Per tale motivo nel lavoro di Werner e coll, al posto della riserva della velocità di flusso coronarica relativa è stata calcolata la riserva di flusso frazionale miocardico. Tale metodica tuttavia richiede una massima vasodilatazione periferica mediante agenti farmacologici la quale può essere spesso ostacolata in pazienti con disfunzione microvascolare e/o aterosclerosi diffusa. Da questo lavoro appare evidente che solo una valutazione combinata della riserva di flusso frazionale miocardico e della riserva della velocità di flusso coronarica può essere in grado di fornire accurate informazioni circa il contributo della malattia ateromasica diffusa, della disfunzione microvascolare, delle resistenze dei vasi epicardici quali fattori responsabili di una riduzione del flusso miocardico. La misurazione simultanea del gradiente di pressione transtenotico e della velocità di flusso offre molti vantaggi pratici. Il possibile errore di interpretazione dovuto ad un basso flusso durante vasodilatazione massimale, è escluso perché la presenza simultanea di un alto gradiente di pressione permette di differenziare un’alterazione del microcircolo da una lesione epicardica che ostacola il flusso stesso. Numerosi sono gli studi nei quali è stata utilizzata la riserva della velocità di flusso coronarica e tali studi 12 Kern MJ, J Am Coll Cardiol 1997;29:1520-27; 13 Van Liebergen RA, J Am Coll Cardiol 1999;34:1899906) . La disfunzione microvascolare è pertanto un reperto usuale nei pazienti con occlusioni totali croniche in quanto una riduzione dei valori di riserva della velocità di flusso coronarica in più del 50% della popolazione studiata non è da attribuire ad una importante stenosi residua visti i normali valori di riserva di flusso frazionale miocardico riscontrati. Lo sviluppo di sensori combinati Doppler-pressione dovrebbe facilitare una completa valutazione dell’emodinamica della stenosi. Ad oggi non è evidente la superiorità di una tecnica rispetto all’altra in quanto pressione e flusso rappresentano due facce della resistenza al flusso coronarico. Valori dubbi ottenuti con una tecnica possono essere meglio valutati usando la tecnica alternativa. La conoscenza delle scoperte relative alla fisiologia del flusso coronarico rappresentano sicuramente un prerequisito essenziale per l’interpretazione dei cambiamenti di velocità di flusso e pertanto nello sviluppo delle applicazioni di queste metodiche. Studi futuri dovrebbero essere infatti focalizzati a valutare la rilevanza clinica della ridotta riser va coronarica in pazienti con disfunzione microvascolare. Federica Marsico Patrizia Presbitero Servizio Emodinamica Istituto Clinico HUMANITAS Via Manzoni 56 Rozzano, Milano Tel 02 82243601 Fax 02 82243690 • 17 • L’INFORMAZIONE CARDIOLOGICA ARTICOLI 2002;22:18-20 DI INTERESSE I Beta Bloccanti nello Scompenso Cardiaco Cronico Grave EFFECT OF CARVEDILOL vano ricevuto nelle ultime 4 settimane bloccanti del canale del calcio o antiaritmici di classe I. Non sono stati ammessi i pazienti con pressione arteriosa sistolica inferiore ad 85 mmHg, frequenza cardiaca inferiore a 68 bpm e quelli sottoposti ad infusione di vasodilatatori o inotropi. Il beta bloccante è stato somministrato 2 volte al giorno, incrementando la dose ogni 2 settimane, con una dose iniziale di 3.125mg, ed in seguito di 6.25mg, di 12.5mg, di 25mg. I pazienti sono stati valutati ogni 2 mesi. Gli end points di questo studio erano rappresentati dalla mortalità per qualsiasi causa e dal rischio combinato di morte ed ospedalizzazione e sono stati valutati analizzando le popolazioni suddivise in sottogruppi per età, sesso, causa di insufficienza cardiaca, frazione di eiezione, locazione del centro di studio, storia di ospedalizzazione entro un anno dall’arruolamento, recenti decompensazioni con ascite, edema o 3 o più ospedalizzazioni nell’ultimo anno. ON SURVIVAL IN SEVERE CHRONIC HEART FAILURE PACKER M., COATS A.J.S., FOWLER M.B. N ENGL J MED 2001;344:1651-8. A ET AL. TRIAL OF THE BETA-BLOCKER BUCINDOLOL IN PATIENTS WITH ADVANCED CHRONIC HEART FAILURE T HE B ETA -B LOCKER E VALUATION OF S URVIVAL T RIAL INVESTIGATORS N ENGL J MED 2001;344:1659-67. INTRODUZIONE ALL’ARGOMENTO E SCOPI DEI LAVORI I beta bloccanti rappresentano un efficace trattamento nell’insufficienza cardiaca cronica. In due recenti trials, il MERIT-HF(1 Lancet 1999;353:2001-07) ed il CIBIS II(2 Lancet 1999;353:9-13), è stato dimostrato che detti farmaci riducono significativamente il rischio di morte e di ospedalizzazione in pazienti con insufficienza mediamoderata, in II, III e IV classe funzionale. Poco conosciuti, però, sono gli effetti di queste sostanze nell’insufficienza cardiaca cronica grave, in pazienti con sintomi a riposo o per minimi sforzi. Negli stessi studi, infatti, stata riscontrata una bassa mortalità nel gruppo di controllo, e ciò è giustificato dal ridotto numero di pazienti arruolati con insufficienza grave. Nel Copernicus(3 Packer M, N Engl J Med 2001;344:1651-58) e nel BEST(4 The Beta-Blocker Evaluation of Survival Trial Investigators N Engl J Med 2001;344:1659-67) sono stati studiati gli effetti del carvedilolo e del bucindololo, rispettivamente, su una popolazione di pazienti in III e IV classe funzionale con sintomi a riposo e per sforzi minimi, valutandone i risultati anche in sottogruppi definiti. Best Sono stati valutati 2708 pazienti in classe funzionale III (92%) e IV (8%), con frazione di eiezione del 35 % o inferiore, in terapia con ACE inibitori e diuretici, escludendo i soggetti colpiti da infarto miocardico acuto negli ultimi 6 mesi, quelli con patologia valvolare, quelli in attesa di trapianto, quelli rivascolarizzati da meno di 6 mesi, quelli con angina instabile, quelli con frequenza cardiaca al di sotto di 50 bpm e con aspettativa di vita inferiore ai 3 anni. Sono stati esclusi inoltre quei pazienti in terapia con bloccanti i canali del calcio, antidepressivi triciclici, amiodarone e beta agonisti assunti entro una settimana dalla valutazione di base. La dose iniziale di bucindololo è stata di 3mg due volte ad dì, incrementando il dosaggio settimanalmente, a 6.25mg, 12.5mg, 25mg, 50mg e, per i pazienti con peso superiore ai 75 Kg., a 100mg. Il follow-up è stato eseguito a 3, 6 e 12 mesi. L’ end point primario è stato la mortalità da ogni causa, quelli secondari la morte da cause cardiovascolari, l’ospedalizzazione per cause cardiache o per altre cause, la frazione di eiezione a 3 e 12 mesi. METODI E CASISTICA Copernicus Sono stati studiati 2289 pazienti (per l’80% maschi) con insufficienza cardiaca cronica, in III e IV classe funzionale NYHA, con sintomi a riposo e per sforzi di lieve entità, clinicamente euvolemici (senza ascite e con minimo edema periferico) e con frazione di eiezione inferiore al 25%, già in terapia con diuretici, ACE inibitori ed antagonisti dell’angiotensina II. Sono stati esclusi i pazienti con patologia valvolare, quelli in attesa di trapianto o già trapiantati, e quelli che ave- RISULTATI Nello studio randomizzato in doppio cieco COPERNICUS la media di follow-up è stata di 10.4 mesi ed il carvedilolo ha determinato una riduzione del tasso annuo di mortalità dell’11.4% contro il 18.5% rilevato nel gruppo di controllo trattato con placebo e una riduzione del rischio combinato di morte ed ospedalizzazione del 24% (P=0.001). Questi risultati non hanno • 18 • ARTICOLI DI INTERESSE zionale (20.7%), anche se non tutti i soggetti con insufficienza cardiaca cronica severa sono stati arruolati nello studio. Per quanto concerne questi ultimi non è quindi possibile affermare che il carvedilolo migliori le condizioni cliniche. Va inoltre considerato il fatto che la mortalità riportata nel gruppo di pazienti più gravi è sovrapponibile a quella della popolazione generale classificata in classe NYHA III e IV nel network italiano per l’insufficienza cardiaca (database ANMCO), in cui il 30% dei pazienti assume comunque un trattamento beta bloccante. Se si sottrae questa quota di pazienti più gravi presenti nella popolazione dello studio COPERNICUS la mortalità globale dello studio scende alla percentuale riportata negli studi CIBIS II e MERIT-HF. Il trial BEST non ha messo in evidenza alcun miglioramento nella sopravvivenza mentre il tasso di mortalità da cause cardiovascolari e quello di ospedalizzazione per scompenso cardiaco hanno mostrato una significativa riduzione. Tra i pazienti in III classe funzionale il tasso annuo di mortalità è stato del 16% vs il 12% del trial CIBIS II ed il 13% del MERIT-HF e tra i pazienti in IV classe funzionale la mortalità ad un anno è stata del 28% vs il 20% del CIBIS II. Questi dati suggeriscono che nel BEST siano stati arruolati pazienti con insufficienza cardiaca cronica più avanzata o che coesistano altre condizioni negli altri trials. Una possibile spiegazione dell’apparente differenza tra i risultati di questo studio e i risultati di altri trials in merito alla mortalità in pazienti trattati con beta bloccanti è data dal fatto che di base era presente una concentrazione più elevata di norepinefrina nel gruppo trattato e che la riduzione dei livelli plasmatici del 19% a 3 mesi rappresenta una perdita di supporto adrenergico non tollerata dai pazienti con insufficienza cardiaca avanzata. Questo dato era già stato segnalato nello studio SAVE nel quale i pazienti con disfunzione ventricolare asintomatica e con maggiori livelli di norepinefrina presentavano un peggioramento della sopravvivenza in corso di terapia beta bloccante(5 Pfeffer MA, Engl Med 1992;327:669-677) . Tale aspetto potrebbe permettere di identificare un sottogruppo di malati nei quali il supporto adrenergico è indispensabile per mantenere l’equilibrio emodinamico e che non si giovano della sua soppressione. Nei sottogruppi sono state valutate differenze solo per quanto riguarda la razza. La somministrazione di bucindololo non ha apportato benefici nei pazienti di razza nera, risultato che può trovare una spiegazione in cause genetiche di differente pathway beta adrenergico o di differente interazione del sistema reninaangiotensina. mostrato differenze nei sottogruppi: i benefici interessano anche i pazienti con insufficienza cardiaca avanzata, nei quali il carvedilolo riduce il rischio di morte del 39% (P=0.009) e riduce il rischio combinato di morte ed ospedalizzazione del 29% (P=0.003), anche se sono stati esclusi dallo studio i pazienti con insufficienza molto grave (con edema e ascite). Sono stati ritirati dallo studio per cause diverse dalla morte il 14.8% dei pazienti trattati con carvedilolo ed il 18.5% di quelli appartenenti al gruppo di controllo; nei casi andati incontro a decompensazione la mortalità è stata del 24%, compatibile cioè con quella di altri studi clinici sull’insufficienza cardiaca avanzata. Sono stati trapiantati 12 pazienti (6 del gruppo trattato con beta bloccanti e 6 del gruppo di controllo) e tra questi, 3 sono deceduti nel post-trapianto, 2 appartenenti al gruppo trattato ed 1 al gruppo placebo. Pochi sono i pazienti che hanno dovuto interrompere la somministrazione del farmaco per la comparsa di effetti collaterali o di ragioni diverse dal decesso; tra i soggetti con recenti o ricorrenti scompensi della funzionalità cardiaca il 24.5% del gruppo trattato ed il 17.5% e del gruppo placebo, rispettivamente, sono stati esclusi dallo studio. Lo studio BEST ha avuto un follow-up medio di 24 mesi, con un tasso di mortalità annuo simile tra il gruppo trattato e quello placebo: 15% vs 17%. I risultati a 3 mesi per quanto concerne la frazione di eiezione hanno dimostrato un incremento di 5.5±7.8 unità nel gruppo trattato e di 2.1±6.9 unità in quello di controllo (P<0.001) e a 12 mesi di 7.3±10.0 unità e 3.3±8.7, rispettivamente (P<0.001). È stata osservata una significativa riduzione delle ospedalizzazioni per cause legate all’insufficienza cardiaca mentre non sono state rilevate differenze tra i due gruppi per quanto riguarda le ospedalizzazioni da qualsiasi causa. È stata inoltre valutata una riduzione a 3 mesi e a 12 mesi della frequenza cardiaca nonché dei livelli plasmatici di norepinefrina più importanti nel gruppo trattato con beta bloccanti rispetto a quelli riscontrati nel gruppo di controllo. Il bucindololo si è inoltre rivelato più efficace nei soggetti di razza non nera. DISCUSSIONE DEGLI AUTORI Il trial COPERNICUS ha dimostrato nel lungo termine l’efficacia del carvedilolo nel trattamento dell’insufficienza cardiaca cronica severa in pazienti già in terapia con ACE inibitori e diuretici. I benefici clinici ottenuti possono essere spiegati sia dall’effetto antiadrenergico del farmaco che contrasta gli effetti sfavorevoli della stimolazione simpatica sull’apparato cardiovascolare, sia dall’azione vasodilatatrice periferica e antiossidante del carvedilolo. Il tasso di mortalità a 10.4 mesi è risultato essere ridotto del 35% e il tasso di mortalità od ospedalizzazione del 24%. Il tasso di mortalità ad un anno nel gruppo placebo (18.5%) è simile a quello di trial clinici randomizzati nei quali erano stati reclutati pazienti in IV classe fun- COMMENTO L’obiettivo dei due trials clinici randomizzati è stato quello di valutare gli effetti dei beta bloccanti nei pazienti con insufficienza cardiaca cronica grave; nonostante ciò nella popolazione arruolata, probabil- • 19 • ARTICOLI DI INTERESSE mente, non sono stati presi in considerazione i pazienti con maggiore instabilità. Tale asserzione sembra essere giustificata confrontando i valori di pressione sistolica rilevati nei pazienti introdotti nei trial, nei quali il valore medio della pressione arteriosa sistolica è risultato essere superiore a 110 mm di mercurio anche quando si trattava di malati ritenuti più gravi come i pazienti con recente recidiva di scompenso cardiaco arruolati nello studio COPERNICUS. In un unico studio retrospettivo e non randomizzato(6 Macdonald PS, J Am Coll Cardiol 1999;33:924-931), condotto in un centro di trapianto cardiaco al quale vengono riferiti solitamente i malati con quadro d’insufficienza cardiaca più severa, è stato documentato che gli effetti indesiderati del beta bloccante (il carvedilolo in questo caso) la ipotensione sintomatica e l’aggravamento dello scompenso, erano presenti in pazienti classe NYHA IV con valori di pressione sistolica inferiore a 100 mm di mercurio (Fig 1) e valori di natremia <137 mEq/dl. Quest’ultimo dato si correla alla maggiore attivazione neuro-ormonale e quindi alla instabilità clinica del malato che indica il rischio di intolleranza verso gli effetti farmacologici dei farmaci ad attività anti neuro-ormonale(7 Packer M, Eur Heart J. 1990;11(suppl. D):44-52) e conferma l’ipotesi già riportata a proposito dei dati dello studio BEST e SAVE. I pazienti con pressione sistolica inferiore a 110 mmHg sono quelli a maggior rischio e che più difficilmente vengono trattati con terapia beta bloccante. Ciò è dovuto al fatto che il trattamento beta bloccante presenta dei rischi che ne limitano la possibilità di impiego nei pazienti più gravi ed il cardiologo, in questi casi, difficilmente li somministra in doppio cieco. Figura 1 - I PAZIENTI CON GRAVE SCOMPENSO CARDIACO CONGESTIZIO, TRATTATI CON BETABLOCCANTI NEGLI STUDI CLINICI CONTROLLATI IN DOPPIO CIECO, PRESENTANO UNA PRESSIONE SISTOLICA SUPERIORE A 110MHG. FANNO ECCEZIONE I PRIMI DUE STUDI (RETROSPETTIVI) NEI QUALI I SOGGETTI TRATTATI PRESENTAVANO UNA PRESSIONE ARTERIOSA SISTOLICA INFERIORE E SONO PEGGIORATI CON IL BLOCCO ADRENERGICO. La tollerabilità di questi farmaci da parte dei pazienti con maggiori caratteri di instabilità non è quindi tuttora conosciuta. Dott. Edoardo Gronda Dott. Luca Genovese Unità Operativa Cardiologia Clinica Centro Insufficienza Cardiaca e Trapianto Istituto Clinico Humanitas Via Manzoni, 56 Rozzano (MI) Tel. 02.8224.1 • 20 • L’INFORMAZIONE CARDIOLOGICA ARTICOLI 2002;22:21-23 DI INTERESSE Prognosi Relata al Flusso Coronarico Presente prima dell’Angioplastica Primaria ti pazienti di qualsiasi fascia di età con evidenza di infarto miocardico acuto verificatosi nelle 12 ore precedenti. I criteri elettrocardiografici di ammissione comprendevano un sopraslivellamento ST≥1mm oppure il blocco di branca sinistra relativamente al PAMI 1; negli altri 3 Trials si accettava qualsiasi criterio elettrocardiografico compatibile con la diagnosi di infarto miocardico acuto confermata dall’evidenza angiografica di occlusione di un vaso coronarico associata ad anomalie segmentarie di contrazione. Sono stati esclusi i pazienti con shock cardiogeno, controindicazioni assolute alla aspirina o all’eparina (e ticlopidina relativamente allo stent trial), pregresso utilizzo di terapia trombolitica durante lo stesso ricovero, impossibilità di accettazione o rifiuto del consenso informato scritto. Dopo l’esecuzione della coronaro-ventricolografia si è proceduto ad effettuare angioplastica, in quei casi nei quali ne sussisteva l’indicazione. I protocolli prevedevano in casi selezionati l’esecuzione di angioplastica coronarica differita oppure l’indicazione a terapia medica o rivascolarizzazione chirurgica in relazione al quadro anatomico coronarico rilevato. Il flusso anterogrado nel vaso responsabile dell’ infarto miocardico acuto è stato valutato secondo la scala TIMI presso un laboratorio unico di riferimento per ogni studio. N O R M A L F L O W (TIMI 3) B E F O R E M E C H A N I C A L REPERFUSION THERAPY IS AN INDEPENDENT DETERMINANT OF SURVIVAL IN ACUTE MYOCARDIAL INFARCTION A N A LY S I S F R O M T H E P R I M A RY A N G I O P L A S T Y I N MYOCARDIAL INFARCTION TRIALS STONE GW, COX D, GARCIA E ET AL CIRCULATION. 2001;104:636-641 L’angioplastica coronarica percutanea primaria migliora ulteriormente la sopravvivenza nei pazienti con infarto miocardico acuto, rispetto a quelli trattati con trombolisi. Il ritardo dall’esordio dei sintomi all’apertura del vaso epicardico occluso, rappresenta ancor oggi l’elemento più sfavorevole per la sopravvivenza. Si sta tentando attualmente di ottenere una riperfusione farmacologica precoce prima dell’intervento di riapertura meccanica definitiva, la cosiddetta angioplastica primaria facilitata. Questa strategia dovrebbe consentire di migliorare ulteriormente la prognosi dopo un infarto miocardico acuto. In realtà non è noto il significato prognostico di una ricanalizzazione precoce, anche se è molto probabile che i pazienti sottoposti ad angioplastica coronarica su un vaso completamente occluso, manifestino una evoluzione più sfavorevole rispetto a quelli che presentano il vaso responsabile dell’infarto miocardico acuto pervio con un buon flusso TIMI. Lo scopo di questo lavoro è proprio quello di stabilire l’impatto di un buon flusso coronarico precedente l’angioplastica primaria, sulla evoluzione a breve e lungo termine, di pazienti con infarto miocardico acuto trattati con riperfusione meccanica. Per ottenere quest’informazione sono stati riesaminati i dati relativi a 2507 procedure ricavati dai quattro più impor tanti studi PAMI (Primar y Angioplasty in Myocardial Infarction). RISULTATI Il flusso coronarico normale (TIMI 3), prima dell’angioplastica coronarica, era presente nel 15.7% dei vasi responsabili dell’infarto miocardico acuto; il flusso ridotto (TIMI 2) è stato rilevato nel 12.6% dei vasi e nei rimanenti pazienti la coronaria risultava totalmente occlusa (TIMI 0/1) (Fig. 1). I pazienti con flusso TIMI 3 sono stati sottoposti ad angioplastica coronarica meno di frequente ma hanno ricevuto più spesso l’applicazione dello stent e sono usciti dal laboratorio con un flusso TIMI 3 persistente in percentuale maggiore rispetto agli altri pazienti che si presentavano con flusso ridotto o assente. La mortalità intraospedaliera è risultata essere significativamente minore nel gruppo di pazienti che si presentavano con vaso pervio e buon flusso coronarico (TIMI 0/1-2.6%, TIMI 21.5%, TIMI 3-0.5%). Una presentazione con flusso coronarico conservato, condizionava inoltre una evoluzione più favorevole in relazione alla comparsa di complicanze (scompenso, intubazione, ipotensione) ed alla durata del ricovero. Anche la mortalità a 6 mesi è risultata essere minore nei pazienti con flusso TIMI 3, intermedia nei pazienti con TIMI 2 e più alta nei pazienti con TIMI 0/1 (Fig. 2). I fattori che si sono dimostrati predittivi di una più alta mortalità a distan- METODI I dati relativi sono stati riesaminati globalmente inserendoli in un unico data base (PAMI 1, N=195; PAMI 2, N=1100; PAMI Stent Pilot, n=312; PAMI Stent randomized trial, n=900)(1Grines CL, N Engl J Med 1993;328:673-79; 2 Stone GW, J Am Coll Cardiol 1995;25:370-77; 3 Stone GW, J Am Coll Cardiol 1997;29:1459-67; 4 Grines CL, J Am Coll Cardiol 1998;31:967-72; 5 Stone GW, J Am Coll Cardiol 1998;31:23-30; 6 Stone GW, Circulation 1999;99:1548-54; 7 Grines CL, N Engl J Med 1999;341:1949-56) . In questi trials i criteri di arruolamento di maggior rilievo erano simili e volutamente non restrittivi; negli studi venivano inseri- • 21 • ARTICOLI Figura 1 - GRADI TIMI 71.2% litica come la strategia più favorevole nel trattamento del paziente con infarto miocardico acuto(8 Ross AM, J Am Coll Cardiol 1999;34:1954-62; 9 Strategies, Circulation 2000;101:2788-94) . Gli studi del recente passato relativi all’applicazione della angioplastica coronarica immediatamente dopo trombolisi sono risultati essere deludenti, ma attualmente la rapida evoluzione tecnologica e farmacologica con l’ottimizzazione e l’estensiva utilizzazione degli stent, l’applicazione degli antipiastrinici antagonisti dell’ADP e soprattutto la dimostrata efficacia degli inibitori delle glicoproteine piastriniche, hanno consentito di ottenere una situazione vascolare coronarica favorevole all’uso integrato dell’approccio riperfusivo farmacologico e meccanico. In realtà mentre è ampiamente dimostrato che il tempo che intercorre tra l’esordio dell’infarto miocardico acuto e la terapia trombolitica costituisce un potente fattore predittivo di sopravvivenza, questo tipo di correlazione è più difficile da dimostrare con l’angioplastica coronarica primaria. In precedenti rivalutazioni dei trials PAMI, non era stata documentata alcuna associazione tra l’intervallo insorgenza dei sintomi–procedura e mortalità. Dallo studio di Stone e coll. è emersa invece l’importanza di ripristinare un normale flusso epicardico TIMI 3 prima dell’angioplastica in quanto è risultato essere il principale fattore prognostico di sopravvivenza. Enfatizzando il primato dell’ipotesi dell’arteria pervia si è evidenziato come nei pazienti riperfusi con angioplastica coronarica nelle 2 ore successive alla comparsa dei sintomi, la mortalità risultava essere migliore rispetto a quella rilevata nei pazienti che ottenevano questo risultato in tempi più lunghi. Tale tipo di situazione ottimale si verifica purtroppo solo nel 12 % dell’ampia popolazione esaminata. Nel Gusto –IIb ed nel registro NRMI-2 (National Registry of Myocardial Infarction(2, 10 Cannon CP, JAMA 2000;283:2941-47; 11 Berger PB, DEL FLUSSO NELLA PRIMA ANGIOGRAFIA IN CIASCUNO DEI QUATTRO PRINCIPALI STUDI CUMULATIVI. IL DI INTERESSE PAMI E I DATI DEI SOGGETTI PRESENTAVANO L’OCCLU- SIONE COMPLETA DELLA CORONARIA INFARTUATA. (per gentile concessione dell’Editore) Figura 2 - SOPRAVVIVENZA CUMULATIVA A 6 MESI DOPO ANGIO- PLASTICA CORONARICA PRIMARIA SUDDIVISA IN BASE AL GRADO DEL FLUSSO TIMI INIZIALE. LA MORTALITÀ RISULTA ESSERE FORTE- MENTE CORRELATA CON IL FLUSSO TIMI PRECEDENTE L’ANGIOPLA- STICA. Circulation 1999;100:14-20) è stato dimostrato che la mortalità è sfavorevolmente influenzata dal ritardo intra-ospedaliero, mentre il tempo di riperfusione globale (sintomi-riapertura meccanica) non è risultato essere significativamente differente tra i pazienti che morivano ed i sopravvissuti. Un metodo alternativo per valutare l’importanza di una riperfusione precoce nei pazienti sottoposti ad angioplastica coronarica primaria, può essere rappresentato dall’analisi dei pazienti che si presentano con il vaso responsabile dell’infarto miocardico acuto spontaneamente pervio al momento dello studio coronarografico in fase acuta. Questo tipo di situazione si verifica nel 10-20 % dei casi studiati per eventuale angioplastica coronarica primaria e ci si aspetta in questa popolazione una evoluzione clinica più favorevole condizionata dal salvataggio (pre-procedura) di una importante quota di miocardio. Anche la procedura, in questi casi, dovrebbe essere facilitata in quanto il potenziale emboligeno della placca dovrebbe essere minore ed il superamento della stenosi facilitato, grazie alla migliore visibilità e quantificabilità della stessa, consente di prendere decisioni terapeutiche interventistiche più corrette. In realtà questo aspetto del problema, nel passato, non è stato mai esaminato in dettaglio. (per gentile concessione dell’Editore) za sono: l’età avanzata, il sesso femminile, la localizzazione anteriore dell’infarto miocardico acuto, la malattia dei tre vasi coronarici ed un flusso non TIMI 3 pre-intervento. Il ripristino di un flusso TIMI 3 dopo la procedura è risultato essere una potente variabile predittiva di sopravvivenza; la mortalità a 6 mesi, nei casi con TIMI 0/1 finale è stata del 22.2%, nei casi con TIMI 2 del 6.1% e con un flusso finale TIMI 3 del 2.6% (p<0.0001. Nei pazienti che si presentavano con questo tipo di situazione ottimale (TIMI 3 prima e dopo la PTCA), la mor talità a 6 mesi è stata dello 0%. Valutando la mortalità cumulativa con una analisi multivariata, la presenza di TIMI 3 pre-procedurale è risultata essere la variabile predittiva più potente. DISCUSSIONE Gli Autori hanno condotto questo studio partendo dalla attuale tendenza a considerare l’angioplastica coronarica primaria facilitata da una terapia trombo- • 22 • ARTICOLI DI INTERESSE COMMENTO precoce rivascolarizzazione miocardica. Dovranno essere effettuati studi randomizzati su vasta scala prima di poter introdurre nella routine clinica l’angioplastica coronarica primaria farmacologicamente facilitata. Il lavoro di Stone rappresenta dal punto di vista conoscitivo un importante avanzamento in quanto permette di sostenere l’ipotesi attualmente in auge che, il praticare l’angioplastica coronarica primaria su un vaso coronarico ricanalizzato grazie all’uso dei nuovi agenti antitrombotici, consenta di ottenere un risultato anatomo-funzionale migliore e soprattutto una prognosi ancor più favorevole rispetto alla sola riapertura meccanica già vantaggiosa rispetto al trattamento farmacologico. I benefici della angioplastica primaria facilitata sono ben delineati da questo lavoro e sono indiscutibili in quanto ricavati da una ampia casistica che permette di estendere le conclusioni a molti dei pazienti che ci troviamo a trattare nella pratica clinica. In ambienti, come la Divisione Ospedaliera di Novara, con un alto volume di esami, si possono delineare due tipi di strategie: 1) il passaggio diretto in sala di emodinamica dei pazienti che si presentano al DEA con infarto miocardico acuto recente ed indicazioni alla riapertura immediata, dopo una rapida stratificazione precoce (applicando ad es. il TIMI risck score); 2) una procedura differita nei pazienti provenienti da centri limitrofi o dal 118 locale, preceduta da un trattamento con dosi ridotte di trombolitico ed inibitore delle IIb – IIIa. In quest’ultimo caso la possibilità di riaprire il vaso precocemente con il trattamento farmacologico, permette di recuperare il miocardio vitale residuo e controbilanciare l’effetto sfavorevole di un più lungo “door to balloon time”. A volte è possibile anche ottenere la stabilizzazione completa del paziente, il che consente di ottimizzare i tempi dello studio coronarografico in relazione al quadro clinico rilevato ed alla situazione logistica locale. Con questo nuovo tipo di approccio integrato “farmaco-pallone” si può estendere il beneficio ad una quota maggiore di soggetti ed evitare di perdere dei pazienti per difficoltà logistiche. Dal riesame dei 2507 pazienti arruolati nei 4 studi PAMI, si evidenzia che la riperfusione spontanea, rilevata con lo studio coronarografico precedente l’angioplastica coronarica diretta, si verifica nel 16% dei casi. Non si riscontrano differenze significative demografiche basali tra i pazienti riperfusi spontaneamente e quelli con occlusione ma i primi si presentano in condizioni più stabili con una minor incidenza di scompenso cardiaco, una frazione di eiezione più alta presumibilmente in relazione all’avvenuto salvataggio di miocardio ottenuto con la spontanea riperfusione precoce. Il dato più importante desunto da questo studio è il seguente; la precoce riperfusione del vaso responsabile dell’infarto miocardico acuto, prima della procedura di riapertura meccanica, è un potente fattore predittivo indipendente di mortalità intraospedaliera e tardiva. La rivalutazione di questa casistica induce a supporre che il recupero precoce di miocardio ischemico stia alla base della miglior sopravvivenza dei pazienti che sono stati sottoposti all’angioplastica coronarica pur presentando un flusso iniziale normale. Tale risultato potrebbe essere correlato alla frazione di eiezione basale, la quale rappresenta, com’è noto, un elemento maggiormente predittivo di mortalità rispetto allo stesso flusso TIMI basale. Per quanto riguarda gli eventi come reinfarto, ischemia ricorrente ed aritmie non si è rilevata alcuna differenza tra i pazienti precocemente riperfusi e quelli con occlusione totale. Il secondo meccanismo importante che giustifica una evoluzione più favorevole nei pazienti con precoce riperfusione, è rappresentato dal miglior successo procedurale che viene conseguito in questi casi. Ciò presumibilmente può essere messo in relazione al minor rischio emboligeno della placca, dopo la trombolisi, e alla possibilità di un trattamento più mirato e facilitato grazie alla possibilità di quantificare correttamente la stenosi. L’interesse attuale della ricerca è focalizzato sull’uso dell’associazione tra inibitori delle glicoproteine IIb/IIIa e basse dosi di trombolitici che si è dimostrata più efficace della dose piena di trombolitici nell’ottenere una precoce ricanalizzazione coronarica. Sarebbe però errato considerare i pazienti riperfusi spontaneamente simili a quelli riperfusi farmacologicamente. Quest’ultimi possono infatti evidenziare un rischio emorragico con complicanze vascolari tali da controbilanciare negativamente il vantaggio della Dr. Angelo Sante Bongo Divisione Ospedaliera di Cardiologia Azienda Ospedaliera Maggiore della Carità Corso Mazzini 18 Novara [email protected] • 23 • L’INFORMAZIONE CARDIOLOGICA 2002;22:24-28 AGGIORNAMENTI Fisiopatologia della Resincronizzazione nello Scompenso Cardiaco Molte anormalità della insufficienza cardiaca sono state individuate a livello miocardico e l’attuale terapia è principalmente diretta alla correzione degli effetti peggiorativi della cascata neuro-ormonale ed a modificare le risposte allo stress associate al rimodellamento, alla dilatazione ed al progressivo deterioramento delle camere ventricolari. Gli aspetti più importanti tuttavia vengono rilevati a livello delle camere cardiache considerate come un complesso integrato. Un esempio qualche volta trascurato è costituito dall’effetto prodotto dall’attivazione elettrica sui tempi della sistole atriale e ventricolare e sulla sincronizzazione della contrazione delle pareti muscolari. La contrazione scoordinata come quella che si verifica in presenza di un blocco della conduzione intraventricolare, con o senza il prolungamento dell’intervallo atrio-ventricolare, influenza negativamente la funzione ventricolare (1 Askenazi Am J Cardiol 1984;53:148-156; 2 Rosenqvist Am J Cardiol 1991;67:99-104; 3 Murkofsky J Am Coll Cardiol 1998;32:476-82) . Il corrispettivo allargamento del complesso QRS nell’elettrocardiogramma di superficie si associa ad un aumento della morbilità e della mortalità nei soggetti con scompenso cardiaco(4 Likoff Am J Cardiol 1987;59:634-8; 5 Venkateshar J Am Coll Cardiol.2000;33:145A). del modello dell’attivazione ventricolare sinistra e del ritardo fra la sistole atriale e quella ventricolare. Normalmente le cellule muscolari del ventricolo sinistro si contraggono in modo pressoché sincrono con una variazione dell’inizio dell’attivazione elettrica attraverso tutte le pareti non superiore a 40 ms. Una simile bassissima variabilità viene rilevata anche nei tempi dell’attivazione meccanica. Tale sincronismo nella contrazione è d’importanza fondamentale perché la frazione di eiezione risulti essere la più efficiente (come energia) e la più efficace (come quantità). Nel caso in cui una parte del cuore venga stimolata prematuramente, come ad esempio in presenza di blocco di branca sinistra o nella stimolazione uni-ventricolare destra, la sequenza dell’attivazione si modifica notevolmente in quanto vengono generate regioni con attivazione sia precoce che ritardata(8 Prinzen Am J Physiol 1990;259:H300-8; 9 Prinzen J Am Coll Cardiol 1999;33:1735-42; 10 Wyman Am J Phyisiol 1999; 276:H881-91) (Fig. 1). La resincronizzazione cardiaca Con il termine resincronizzazione cardiaca viene oggi definito un nuovo tipo di stimolazione cardiaca che corregge il ritardo della conduzione intraventricolare e atrio-ventricolare. È questo un nuovo tipo di trattamento dello scompenso cardiaco che si può eseguire sia in forma acuta di breve durata che in forma cronica mediante l’impianto definitivo di uno speciale pacemaker. Tale terapia elettrica (recentemente approvata dalla FDA) consiste nella stimolazione della parete libera del ventricolo sinistro (con un catetere in seno coronarico) o del fascio di His (con un catetere avvitato sul setto interventricolare) o sincronizzata bi-ventricolare (con un catetere nel seno coronarico per il ventricolo sinistro ed un altro nell’apice del ventricolo destro). In tal modo viene ristabilita la fisiologica sequenza atrio-ventricolare e la sincronizzazione della contrazione(6 Brecker Lancet 1992;340:1308-12; 7 Linde Am J Cardiol 1995;75:919-23) . Figura 1 - VARIAZIONI (T S ) (BASELINE) E (3 MONTH). IN CONDIZIONI REGIONALI NEL TEMPO AL PICCO DELLA CONTRAZIONE SISTOLICA SOSTENUTA PRIMA DOPO STIMOLAZIONE BI-VENTRICOLARE DI BASE SI EVIDENZIAVA UNA MARCATA DIFFERENZA REGIONALE DI TS FRA I SEGMENTI DEL VENTRICOLO SINISTRO E I DUE VENTRICOLI. IL TS PIÙ BREVE (CONTRAZIONE PIÙ PRECOCE) SI VERIFICAVA NEL SEGMENTO BASALE ANTERO-SETTALE (BAS), QUELLO PIÙ LUNGO NEL SEGMENTO BASALE LATERALE (BL). DOPO STIMOLAZIONE BIVENTRICOLARE , IL T S VENIVA RITARDATO IN MODO OMOGENEO VERSO UNA DURATA VICINA A QUELLA DEL SEGMENTO BL COSICCHÉ ERA ABOLITA LA VARIAZIONE TRA I SEGMENTI ED ANCHE TRA I DUE VENTRICOLI. *P<0.05 VERSO IL SEGMENTO BAS IN CONDIZIONI DI +P<0.05 NEL CONFRONTO PRIMA E DOPO STIMOLAZIONE BIVENTRICOLARE DELLO STESSO SEGMENTO. B=BASALE; M=MEDIO; A=ANTERIORE; AS=ANTEROSETTALE; I=INFERIORE; L=LATERALE; P=POSTERIORE; S=SETTALE; RV=VENTRICOLARE DESTRO(42). BASE. Conseguenze emodinamiche della desincronizzazione ventricolare e del ritardo atrio-ventricolare (per gentile concessione dell’Editore) Una contrazione anticipata nelle sedi di attivazione precoce genera un lavoro inutile che viene sprecato e non produce eiezione perché la pressione nella came- I due obiettivi principali della terapia elettrica nello scompenso cardiaco sono costituiti dalla correzione • 24 • AGGIORNAMENTI ra ventricolare è ancora troppo bassa. Anche il lavoro generato nelle regioni lontane dallo stimolatore, pertanto stimolate tardivamente, viene sprecato. Si richiede infatti un maggiore sforzo di accorciamento (o stress parietale) dovuto al fatto che le regioni prima stimolate hanno già sviluppato una certa pressione intracavitaria. Queste ultime, sottoposte alla tensione sviluppata dalla contrazione delle regioni attivate tardivamente, subiscono ora una distensione (stretch) paradossale (rilevata con la RMN 3D) che disperde, assorbendola, l’energia necessaria alla eiezione (11Curry Circulation 2000;101:e2). Gli effetti risultanti sono i seguenti: • si verifica un declino della funzione sistolica e dell’efficienza(12 Baller Pacing Clin Electrophysiol 1988;11:394-403, 13 Owen Pacing Clin Electrophysiol 1998;21:1417-29) con una diminuzione della portata cardiaca di circa il 20%, • il volume telesistolico e lo stress parietale aumentano (14 Burkhoff Am J Physiol 1986;251:H428-35, 15 Park Circ Res 1985;57:706-17) , mentre il rilasciamento ventricolare viene ritardato(16 Heyndrickx Am J Physiol 1988;254:H817-22, 17 Ariel Circulation 1987;75:1287-94) . Differenza tra blocco di branca sinistra e stimolazione ventricolare destra La disfunzione meccanica prodotta dal ritardo della conduzione intrinseca come nel blocco di branca sinistra non si può considerare equivalente a quella dipendente dalla stimolazione uni-ventricolare all’apice del ventricolo destro. Alcuni dati suggeriscono che la prima abbia un effetto peggiore sulla contrazione della seconda in quanto nel BBS un territorio di miocardio più esteso viene attivato prematuramente(18 Xiao Brit Heart J 1993;69:166-73) . Effetto aritmogeno dello stretch sistolico La scoordinazione elettro-meccanica contribuisce non solo alla disfunzione regionale ma anche alla genesi delle aritmie. Nel setto interventricolare scoordinato lo stretch sistolico tardivo provoca una rapida disorganizzazione nei filamenti contrattili dei ponti incrociati tra actina e miosina riducendo la generazione della forza(19 Nelson Circulation 2000;101:2703-9). Lo stesso stretch meccanico può inoltre dare inizio alla liberazione di calcio dal reticolo sarcoplasmico, inducendo la genesi di potenziali tardivi, i quali possono innescare aritmie ventricolari maligne(20 Sarubbi Can J Cardiol 1998;14:245-52, 21 ter Keurs Can J Physiol Pharmacol 2001;79:73-81) . Il ritardo atrio-ventricolare Alle alterazioni delle meccaniche ventricolari sopra descritte si aggiunge l’influenza del ritardo della conduzione atrio-ventricolare. Intervalli AV troppo brevi o troppo lunghi determinano un riempimento sub-ottimale della camera che conduce alla comparsa di una insufficienza della valvola mitralica(6). Lo scarso riempimento del ventricolo sinistro fa si che la valvola mitralica si riapra (dopo la contrazione atriale) nella parte finale della diastole con una configurazione aperta ad un flusso centrale che provoca un rigurgito all’inizio della sistole ventricolare(22 David Circulation 1983;67:640-5). Alcuni studi hanno evidenziato l’esistenza di un nesso fra il tempo ottimale della sistole atriale rispetto all’inizio dell’attivazione ventricolare e il miglioramento della portata cardiaca nei soggetti con scompenso cardiaco(23 Auricchio Pacing Clin Electrohysiol 1998;21:957 abstr). La insufficienza mitralica può ulteriormente complicare la fibrilla- zione atriale in seguito al fatto che la irregolarità nella lunghezza dei cicli determina una posizione sub-ottimale della valvola. Tale inconveniente può essere eliminato ristabilendo una frequenza regolare mediante l’ablazione del nodo atrio-ventricolare e l’impianto di un pacemaker per la stimolazione ventricolare a frequenza fissa (VVI) o con un sensore (VVI-R) che fa variare la frequenza con l’attività muscolare. Effetti Acuti della Resincronizzazione Cardiaca I primi studi sulla terapia elettrica dello scompenso cardiaco furono diretti alla correzione del ritardo della conduzione atrio-ventricolare. Il ripristino di un intervallo atrio-ventricolare ottimale può far migliorare la portata cardiaca(6) ma tale beneficio viene in genere annullato dal peggioramento funzionale indotto dalla dissincronia generata de novo dalla stimolazione nell’apice del ventricolo destro(24 Gold J Am Coll Cardiol 1996;26:67-73I). In studi di breve durata si è dimostrato che la stimolazione bi-ventricolare e/o del solo ventricolo sinistro produce in soggetti con grave scompenso cardiaco (classe NYHA III-IV, frazione di eiezione <20%, BBS con durata del QRS>150 ms.): • un marcato aumento della portata cardiaca e della pressione sistolica ed una diminuzione della pressione capillare polmonare(25 Leclercq J Am Coll Cardiol 1998;32:1825-31, 26 Blanc Circulation 1997;96:3273-77) , • un innalzamento della funzione sistolica ventricolare(27 Auricchio Circulation 1999;99:2993-3001, 28 Kass Circulation 1999;99:1567-73) , • un miglioramento della entità e della sincronizzazione della contrazione parietale(29 Saxon J Cardiovasc Electrophysiol 1998;9:13-21, 30 Kerwin J Am Coll Cardiol 2000;35:1221-7) . In concomitanza con il miglioramento della funzione sistolica, si riducono sia il consumo energetico miocardico, risultandone una maggiore efficienza(31 Nelson Circulation 2000:102:3053-9), sia l’attività simpatica rispetto a quella evidenziata con la stimolazione del ventricolo destro(32 Hamdan Circulation 2000;102:1027-32) . Nella figura 2 vengono evidenziati i criteri soglia che permettono la migliore individuazione dei soggetti con la risposta più efficiente alla prestimolazione del ventricolo sinistro. Effetti inaspettati della resincronizzazione In questi studi a breve termine alcuni effetti meccanici della resincronizzazione sono risultati essere inaspettati e difficili da comprendere: 1) gli effetti immediati dell’attivazione in un sito singolo del ventricolo sinistro furono più preminenti o simili rispetto a quelli ottenuti con la stimolazione bi-ventricolare(26, 27, 28). Quest’ultima, fino ad oggi, ha coinvolto la stimolazione simultanea del ventricolo destro e di quello sinistro con delle difficoltà di tecnica non certo ottimali specialmente nei cuori dilatati e scompensati. La stimolazione singola del ventricolo sinistro preeccita soltanto la parete laterale e sembra spostare semplicemente il ritardo elettrico sul versante destro. In realtà gli effetti meccanici sono differenti in relazione al tempo richiesto per la diffusione intramiocardica della conduzione elettrica dalla sede stimolata verso il sistema di conduzione intra-fascicolare della branca destra preservata. Inoltre, la stimolazione bi-ventrico- • 25 • AGGIORNAMENTI magnetica nucleare della distorsione Doppler tessutale(35 Ansalone Am Heart J 2001;142:881-96), o con la ecocontrastografia(36 Nelson Circulation 2000;120Suppl II:539). Tali misure hanno permesso di evidenziare una forte correlazione con le risposte alla resincronizzazione. 3. Il restringimento del complesso QRS, prodotto dalla stimolazione bi-ventricolare o del ventricolo sinistro, negli studi di breve durata, non ha dimostrato di essere un segno che permetta di prevedere la efficacia meccanica della resincronizzazione. Risultati clinici a lungo termine Figura 2 - I soggetti con valori basali del QRS ≥155ms e/o del dP/dtmax ≤700 mmHg/s hanno presentato il maggiore miglioramento durante la pre-stimolazione (quadratini neri e cerchietto bianco) con aumento del % ∆ dP/dp ≥ 25% e della pressione differenziale % ∆ pulse pressure ≥ 10%. Con la combinazione dei due parametri non si sono verificati falsi positivi o negativi(31). Nello studio MUSTIC (37 Cazeau N Engl J Med 2001;344:873-80) si è usato un disegno crossover con i pazienti randomizzati a ricevere per tre mesi la stimolazione bi-ventricolare o ad esserne privati per altri tre mesi. I 67 soggetti in ritmo sinusale hanno presentato un miglioramento della capacità fisica soltanto durante il trattamento attivo (+23% nella distanza percorsa in 6 min, p<0.001), un aumento del massimo consumo di ossigeno (+8%, p<0,03) ed un miglioramento della sintomatologia (del 32% nel questionario sulla qualità della vita, p<0.001). Lo studio MIRACLE è fino ad oggi il più ampio con 453 pazienti, randomizzati in 2 gruppi paralleli: 228 alla terapia con la resincronizzazione, 225 al gruppo placebo. Tutti erano in ritmo sinusale, in classe funzionale NYHA III o IV stabile. Dopo sei mesi i soggetti in trattamento attivo hanno mostrato un miglioramento (+13%) della distanza percorsa in 6 min e della qualità della vita. In un sottogruppo di pazienti è stata anche rilevata una riduzione della dimensione ventricolare sistolica e diastolica. La mortalità è risultata essere <10% dopo 6 mesi in entrambi i gruppi. Le frequenze di ri-ospedalizzazione ed i numeri di giorni di ospedalizzazione sono stati significativamente minori nel gruppo in trattamento attivo. Un effetto placebo è stato osservato in relazione alla qualità della vita ma non per quanto concerne i parametri dell’esercizio e della funzione cardiaca(38 Abraham J Am Coll Cardiol 2001;38:604-5) . Il livello del miglioramento della capacità fisica ottenuto con la resincronizzazione in soggetti con grave scompenso cardiaco non è trascurabile e si confronta favorevolmente con quello conseguito mediante l’uso di inibitori ACE e di beta-bloccanti. I dati concernenti i risultati a distanza non sono stati ancora pubblicati. Alcuni risultati preliminari depongono per un beneficio funzionale che si mantiene dopo un anno di trattamento. (per gentile concessione dell’Editore) lare è stata realizzata con la stimolazione sincronizzata di entrambi i ventricoli che non riproduce in modo ottimale la sequenza dell’attivazione normale. 2) La correzione del ritardo atrio-ventricolare ha influenzato la risposta sistolica netta alla stimolazione ventricolare sinistra o a quella bi-ventricolare ma con una differenza di effetto molto modesto rispetto alla sede stimolata. Le risposte meccaniche osservate in un’ampia variazione degli intervalli PR (da 110 a 140 ms.) sono risultate essere simili con i due tipi di attivazione(27, 28), e superiori a quelle ottenute con la stimolazione del solo ventricolo destro. 3) Gli stessi studi non hanno permesso di evidenziare nel breve termine effetti benefici (o nocivi) sulla funzione cardiaca diastolica valutata con la costante del tempo di rilasciamento isometrico e con la curva pressione-volume diastolica(28). Ricerca dei soggetti responsivi La individuazione tra i soggetti in scompenso cardiaco refrattario al trattamento medico di coloro che potrebbero maggiormente giovarsi della terapia elettrica di resincronizzazione non è stata ancora bene delineata. In base agli studi eseguiti si può ritenere che: 1.I soggetti con il maggior allargamento del complesso QRS presentino la risposta meccanica immediata più marcata alla resincronizzazione(19, 28, 31, 33 Alonso Am J Cardiol 1999;84:1417-21) . 2. Quanto maggiore è la depressione della funzione cardiaca, riflettente di per sé anche la dissincronia, tanto maggiore è la risposta alla resincronizzazione(19). La disfunzione ventricolare sinistra può essere evidenziata dalla frazione di eiezione (25) , dall’indice dP/dtmax(19), dal rapporto del tempo diastolico e sistolico(34 Zhou Heart 2000;84:272-6), o dalla durata della contrazione isovolumetrica. L’analisi diretta della dissincronia è anche fattibile mediante l’imaging con la risonanza Inversione del rimodellamento ventricolare La progressione dello scompenso cardiaco è legata al rimodellamento ventricolare. Tale complesso fenomeno è caratterizzato dalla dilatazione del ventricolo sinistro, la quale da una fase iniziale di tipo compensatorio passa successivamente in quella terminale con la perdita progressiva e inarrestabile della funzio- • 26 • AGGIORNAMENTI ne contrattile. La severità di tale processo comporta un peso prognostico negativo indipendente(39 Lee Am J Cardiol 1993;72:672-76) . Ogni trattamento che consenta di prevenire o anche fare regredire il rimodellamento del ventricolo sinistro, come è stato dimostrato per gli ACE-inibitori(40 Konstam Circulation 1992;86:431-38), aumenta la sopravvivenza dei soggetti con scompenso cardiaco. Valutazione con ultrasuoni della dissincronia ventricolare L’immagine Doppler del movimento parietale consente di ricostruire le curve di velocità miocardica (Sm) nelle diverse regioni del ventricolo sinistro. Su tali curve è possibile misurare sia il picco della velocità sistolica miocardica regionale sia il tempo impiegato dall’inizio del QRS per giungere a detto picco (Ts)(41 Pai J Am Soc Echocardiogr 1998;11:105-111). Più è piccola la deviazione standard (cioè le differenze delle medie) del tempo al picco e maggiore è la sincronizzazione dell’attivazione nei 12 segmenti del ventricolo sinistro. Tanto più ampia è la differenza regionale del tempo impiegato per raggiungere il picco della velocità miocardica sistolica e maggiore può essere considerata la dissincronia (Fig. 1)(42). Questi valori sono stati misurati in soggetti con grave scompenso cardiaco e complesso elettrocardiografico allargato (QRS>140ms), prima e dopo tre mesi di stimolazione bi-ventricolare. Quest’ultima ha ritardato l’attivazione nei segmenti antero-settale, settale inferiore e posteriore che presentavano un picco precoce della contrazione sistolica cioè un breve Ts. In tal modo il Ts è divenuto omogeneo a quello più lungo delle regioni latero-basali, venendo così abolite le differenze regionali (Fig.1). Con la stimolazione biventricolare viene ritardato il tempo di picco anche nel ventricolo destro. Pertanto la contrazione simultanea dei due ventricoli ripristina la sincronizzazione inter-ventricolare. Agli effetti elettrofisiologici segue la riduzione dei volumi ventricolari, cioè l’inversione del rimodellamento ventricolare sinistro, come viene evidenziato nella fig. 3. Tale inversione è associata al miglioramento della funzione sistolica (aumento di FE e di dP/dt), della capacità fisica (distanza percorsa in 6 minuti) e della qualità della vita(42 CM Yu Circulation 2002;105:438445) . L’imaging del Doppler tissutale consente di individuare le regioni del ventricolo sinistro nelle quali si verifica l’attivazione più tardiva. La stimolazione diretta di dette zone consente di ottenere i migliori risultati funzionali(43 Ansalone J Am Coll Cardiol 2002;39:489-99). L’inversione del rimodellamento ventricolare assume particolare rilievo (Fig.4) nei soggetti affetti da cardiomiopatia dilatativa e candidati al cardioverterdefibrillatore impiantabile(44 Küblkampv J Am Coll Cardiol 2002;39:790-7). L’impianto profilattico del defibrillatore automatico nei soggetti con tachicardia ventricolare non sostenuta in presenza di una frazione di eiezione ≤30%, consente la prevenzione primaria (oltre che secondaria) della morte improvvisa aritmica, ma non modifica, tuttavia, il decorso dello scompenso cardiaco(45 Grimm J Am Coll Cardiol 2002;39:780-7) . L’abbinamento nella stessa protesi della stimolazione bi-ventricolare sembra cambiare radicalmente il futuro di questi pazienti in quanto alla prevenzione della morte improvvisa si aggiunge la possi- Figura 4 - RADIOGRAFIA DEL TORACE DI UN PAZIENTE CON UN CARDIOVERTER-DEFIBRILLATORE IMPIANTABILE, CON UN ELETTRODO ATRIALE DESTRO, UN ELETTRODO VENTRICOLARE A DOPPIA SPIRALE, UN CATETERE IN UNA VENA POSTERO-LATERALE ATTRAVERSO IL SENO CORONARICO PER IL VENTRICOLO SINISTRO. LA PARTE DESTRA DELLA FIGURA MOSTRA UNA RADIOGRAFIA DEL TORACE ESEGUITA TRE GIORNI DOPO L’IMPIANTO DELLA PROTESI, LA PARTE SINISTRA MOSTRA LA STESSA PROIEZIONE AP ESEGUITA SI NOTI LA TRE MESI DOPO STIMOLAZIONE BI - VENTRICOLARE . NOTEVOLE RIDUZIONE DEL RAPPORTO CARDIO-TORACICO(44). (per gentile concessione dell’Editore) bilità di determinare la inversione del rimodellamento ventricolare, migliorando in tal modo sia la qualità di vita che la prognosi dello scompenso cardiaco(44, 45). Nuove tecnologie Nonostante le notevoli conoscenze acquisite rimangono irrisolti molti problemi. Certamente i quesiti più importanti sono i seguenti: i benefici prodotti dalla terapia elettrica di resincronizzazione sulla morbilità e sulla ridotta ospedalizzazione si mantengono a lungo nel tempo? vi è anche un effetto favorevole sulla mortalità cardiaca e totale? Alcuni studi ancora in corso cercheranno di dare risposte adeguate a tali interrogativi Un altro punto concerne la identificazione prospettica dei responders. Nuovi metodi di esame del movimento parietale regionale sembrano essere promettenti al fine di determinare un indice di dissincronia che potrebbe migliorare tale identificazione rispetto ai metodi correnti più indiretti. Quale sia il metodo di terapia ottimale è un quesito ancora non risolto. Non sappiamo infatti: • se sia sempre necessaria una stimolazione bi-ventricolare, • se una stimolazione multisito del ventricolo sinistro ne innalzerebbe l’efficacia, • se debba sempre essere posizionato un catetere in ventricolo destro e quale sia la sua sede ottimale, • quale sia il ritardo ottimale dei tempi di stimolazione tra ventricolo destro e sinistro. Un altro importante problema riguarda l’utilità della resincronizzazione nei soggetti con fibrillazione atriale. I risultati pubblicati sono insufficienti e contradditori. Mentre nei soggetti in ritmo sinusale vi è un certo grado di libertà nel ritardo atrio-ventricolare per tem- • 27 • AGGIORNAMENTI porizzare in modo ottimale un effetto di resincronizzazione, nei pazienti fibrillanti prima viene ablato il nodo AV e poi viene impiantato un sistema di stimolazione bi-ventricolare. Ciò comporta una regolarizzazione della frequenza cardiaca con generatori rate responsive e l’attivazione di entrambi i ventricoli. L’aumento della frequenza di stimolazione in risposta a diversi tipi di stress ha lo scopo di simulare gli effetti normali del tono autonomico, ma non risulta essere una perfetta sostituzione del controllo fisiologico. La dissincronia indotta con la stimolazione è una causa dimostrata del deterioramento della funzione sistolica e della efficienza energetica, pertanto nei soggetti con scompenso cardiaco l’apice del ventricolo destro non sembra essere l’approccio ottimale. L’efficacia della stimolazione bi-ventricolare nei soggetti con depressione della funzione cardiaca, ma con complesso QRS stretto e normalità della conduzione intraventricolare, non è stata ancora dimostrata. Prof. Paolo Rossi Via Verdi, 18 Novara [email protected] • 28 • L’INFORMAZIONE CARDIOLOGICA FILOSOFIA DELLA 2002;22:29-31 MEDICINA Può il Senso della Vita Esaurirsi nella Coscienza? L’interrogativo viene sollevato in me dalle osservazioni contenute nella lettera inviatami dalla prof.ssa Noemi Zurlo e pubblicata in calce. Innanzi tutto è necessario un chiarimento semantico, perché, come appare in prima evidenza, il significato che noi diamo alle parole che coinvolgono problemi esistenziali non è univoco. Ciò naturalmente non deve sorprendere, proprio per il fatto che ogni persona percepisce e interpreta gli aspetti dell’esistenza da un suo punto di vista. Anche in presenza di grandi affinità i punti di vista individuali non possono che essere diversi. La differenza di significato che ciascuno di noi attribuisce alla stessa parola non consiste nel senso grammaticale, quello che tutti possiamo trovare consultando un vocabolario, ma nelle componenti che potremmo definire metafisiche (nel senso di nascoste e inespresse) che vengono sottese alle parole nel contesto di un determinato discorso. Tali componenti possono presentare un contenuto intellettuale (legato al livello culturale), affettivo (legato alle esperienze liete o tristi), emotivo (dipendente dal temperamento e dalla forza del carattere) o fisico (legato alla forza delle passioni e dell’istinto). sto, quello di farsi uguali a Dio nella saggezza cioè nella conoscenza del bene e del male. Attraverso il linguaggio simbolico della Bibbia possiamo quindi dare una prima definizione della superbia che può essere applicata all’uomo evoluto anche ai nostri giorni: “E’ superbo colui che vuole farsi uguale a Dio”. Sembrerebbe a prima vista che tale definizione sia irrealistica e innaturale e potrebbe suscitare le seguenti obbiezioni: a) colui che crede, ha un concetto di Dio (immenso, onnipotente eterno, ecc.) tale che rende senza senso il fatto che un individuo normale possa farsi uguale a Lui; b) colui che non crede, rifiutando ogni idea di Dio non può farsi uguale a ciò che ritiene non esistente. L’interpretazione del passo biblico alla luce delle parole e delle opere compiute da Gesù e descritte nel Vangelo rende le due obiezioni prive di ogni fondamento. Possiamo tentare di sintetizzare i punti essenziali che motivano quanto abbiamo affermato. Dio il creatore di tutte le cose, le sostiene ininterrottamente nell’essere e nel divenire e come veste i gigli del campo tanto più ama i figli dell’uomo che ha creato a sua immagine. Nella somiglianza al suo creatore, l’uomo cerca la felicità e l’amore e pertanto il suo unico vero fine è Dio stesso. Soltanto Dio scruta e conosce il cuore dell’uomo ed ama la sua creatura, rispettando la libertà che gli ha donato, anche quando si allontana da Lui. L’incontro tra Dio e l’uomo è interpersonale e si verifica nell’intimità della coscienza e nessuno può esserne escluso né eluderlo. Maestro, qual’è il comandamento più grande della legge?, domandò lo scriba a Gesù che rispose: <<Amerai il signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima, e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. E il secondo è simile al primo>>. Il secondo, legato in modo indissolubile al primo, recita: Amerai il prossimo tuo come te stesso. In questo si condensa tutta la legge e i profeti (Mt 22, 36-40)>>. Ma Cristo aveva già modificato la legge mosaica, del dente per dente. Proclamando il Regno elencò le beatitudini nel discorso della montagna (Mt 5, 1-12) e in altra occasione disse:<<ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l’altra (Mt 5, 38-39) <<amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni... (Mt 5, 44-45)>>. La disobbedienza alla legge dell’amore origina nel cuore stesso dell’uomo ed è alimentata continuamente dalle tre concupiscenze: dell’intelletto, degli occhi, della carne. In ogni forma di concupiscenza (desiderio bramoso) l’uomo si fa uguale a Dio perché si crede il padrone di se stesso, degli altri e del mondo ed il giudice del bene e del male. Ogni qual volta l’uomo attri- Umili e Superbi E’ proprio dell’essere umano che ha raggiunto l’età della ragione l’esperire un continuo passaggio dalla superbia all’umiltà e da quest’ultima alla prima. Dobbiamo pertanto definire cosa s’intende per umiltà e superbia dal punto di vista esistenziale che è quello che ci interessa quando si parla di dare un senso alla vita. La Superbia La prima descrizione della superbia la troviamo in Genesi 3, 1-7. Nei punti 4-7 è scritto: <<… Ma il serpente disse alla donna: <<Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che, quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male>>. Allora la donna vide che l’albero era buono da mangiare, gradito agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito che era con lei, e anch’egli ne mangiò. Allora si aprirono gli occhi di tutte due e si accorsero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e ne fecero cinture>>. Nel racconto biblico, i nostri progenitori ricevettero in dono la vita privilegiata del paradiso terrestre: “senza il dolore, la fatica del lavoro, il limite della morte”. Pur essendo liberi nella conoscenza scientifica della natura (l’uomo aveva dato il nome a tutte le cose) furono attratti a violare l’unico limite loro impo- • 29 • FILOSOFIA DELLA MEDICINA senza palliativi, secondo verità. Constatando la nostra pochezza, ci apriremo alla grandezza di Dio: è questa la nostra grandezza… solo la sincera conoscenza del nostro nulla ha la forza di attirare su di noi la grazia divina>>2. San Tommaso qualifica l’umiltà insieme alla fede come il fondamento delle altre virtù:<<In due modi si può intendere che una virtù è la prima nell’acquisizione delle altre. Primo, in quanto rimuove ciò che a esse sono di ostacolo. E in tal senso l’umiltà è al primo posto, in quanto scaccia la superbia, alla quale Dio resiste, e rende l’uomo sottomesso e aperto a ricevere l’infusione della grazia divina, togliendo l’ostacolo della superbia, secondo le parole di san Giacomo: “Dio resiste ai superbi, ma dà la sua grazia agli umili”(Gc4, 6). In tal senso l’umiltà è il fondamento dell’edificio spirituale. Secondo, una virtù può essere la prima direttamente: quale mezzo per avvicinarsi a Dio. Ora, il primo passo verso Dio si fa con la fede, come dice san Paolo: “E’ necessario che chiunque si accosta a Dio creda”. E in tal senso si dice che il fondamento è la fede>>3. buisce unicamente a se stesso il risultato di una idea, un sentimento, un’azione, un’opera, si comporta (anche senza rendersene conto) come se si facesse uguale a Dio. Solo la superbia permette all’uomo di farsi uguale a Dio e risulta essere perciò il fondamento di ogni peccato. Nessun uomo può dirsi esente da tale peccato che insidia ogni momento della sua vita. Soltanto Gesù, vero uomo, non ha commesso alcun peccato di superbia, essendo vissuto facendo per intero la volontà del Padre celeste, fino a morire sulla croce anche per i propri nemici, per espiare i peccati di tutti gli uomini. Con la sua resurrezione ha dimostrato di essere anche vero Dio. Come il primo Adamo fu causa del peccato di tutti, Cristo – il secondo Adamo – fu causa della salvezza di tutti. Alla disobbedienza del primo uomo si contrappone l’obbedienza del secondo Adamo, così che <<per l’obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti>> (Rm 5, 19). La concupiscenza dell’intelletto induce l’uomo a respingere ciò che sfugge al dominio della ragione e quindi rifiuta la rivelazione della croce: “scandalo per i giudei, pazzia per i greci”. Tale rifiuto costituisce un atto di superbia fondamentale per la persona perché condiziona tutte le scelte esistenziali volte a dare un senso alla vita. Disobbedienza questa che presenta caratteristiche del tutto simili a quella compiuta dai nostri progenitori nell’Eden, che si è ripetuta nelle generazioni successive, e si ripete nei nostri giorni. L’Etica può essere il Fine che dà Senso alla Vita? I vizi e le virtù che caratterizzano gli atteggiamenti e le relazioni tra gli uomini possono derivare rispettivamente dalla superbia e dall’umiltà ma non le sostituiscono. I primi possono essere l’odio, il disprezzo, la prepotenza o il sopruso, lo sfruttamento del più debole, la maldicenza, l’avarizia, ecc. Le seconde possono essere l’amicizia, la generosità, la modestia, la timidezza, il pudore, l’apertura agli altri, il saper ascoltare, la comprensione, la delicatezza, la disponibilità, la benevolenza, ecc. Queste belle virtù concorrono a rendere buone le relazioni tra gli uomini e a migliorare l’individuo che le pratica, e sono necessarie alla vita morale indipendentemente dalla fede o dalla ideologia che anima la opzione fondamentale. Tuttavia nessuna di esse si presenta come un valore di per sé perché costituiscono solo il mezzo necessario alla realizzazione della vita morale. Quest’ultima invece si definisce sulla base dei principi che guidano scelte e comportamenti nei quali trovano applicazione i vizi o le virtù sopra elencati. Tale distinzione che, a mio avviso riveste una importanza cruciale, dovrebbe aiutare ad evitare la confusione che sembra essere assai diffusa nella società attuale. Indico un esempio che, pur potendo sembrare banale, è realistico e può aiutare a capire. <<Una donna rimane incinta in seguito ad un rap- La Umiltà Mentre la superbia è connaturata alla carne e quindi la si ritrova con espressioni diverse in tutti gli uomini, l’umiltà è una dimensione nuova che lo spirito umano conquista attraverso un cammino di ascesi irto di ostacoli. Ogni passo di questo cammino è insidiato dalle tre concupiscenze e l’individuo esperimenta la propria debolezza. L’umiltà è la virtù che modera il desiderio della propria eccellenza e conduce a sapere chi siamo: <<ci aiuta a comprendere, ad un tempo, la nostra miseria e la nostra grandezza>>1. Questa virtù si trova in un certo senso alla radice di tutte le virtù dell’uomo, in quanto creatura chiamata alla conoscenza e all’amore di Dio. E’ quindi la virtù che la creatura esercita nella relazione con Dio (e non riguarda pertanto le relazioni con gli altri uomini), verso il quale si riconosce indigente e in assoluto bisogno del suo costante aiuto. La consapevolezza della nostra condizione umana – in cui consiste sostanzialmente l’umiltà – è fondamento di tutta la vita morale. <<Umiltà significa vederci come siamo, 1) Beato Josemarìa Escrivà, Amici di Dio, n. 94. Edizioni Ares 20131 Milano Via Stradivari, 7 1996 2) ibi, nn. 96-97. 3) San Tommaso, Summa theol., II-II, q. 161, a. 5, ad 2. • 30 • FILOSOFIA DELLA MEDICINA può essere ricercato come fine; ma poiché la bontà che possiede non gli viene da sé, ma l’ha ricevuta da Dio, anche la sua condizione di fine è qualcosa di ricevuto e dipendente dalla Bontà Prima, infinita; non può essere perciò un vero fine ultimo. Ciò comporta che i molteplici beni creati – per esempio la scienza, la ricchezza, ecc. – sono pienamente perfettivi dell’uomo se ricercati ordinatamente secondo il proprio valore ma non lo sono quando vengono assunti come la meta che assicura tutte le aspirazioni. Oggettivamente il fine ultimo dell’uomo può solamente essere quel Bene che è il fondamento di tutti gli altri beni esistenti, cioè Dio. E’ un bene che non si riferisce ad un aspetto professionale o economico o morale o spirituale, ma alla globalità della persona. Il fine ultimo corrisponde perciò al bene essenziale della persona umana, intesa nella sua unicità corporea. Poiché l’uomo è tenuto a glorificare Dio liberamente, egli può non farlo: può ricercare altre cose come meta della sua esistenza. Quando si perde di vista che il fine ultimo della vita è l’unione con Dio, il desiderio di perfezione e di felicità si svuota di contenuto; le cose si riducono alla loro piccolezza e banalità; possono soddisfare alcuni desideri dell’uomo, ma non appagare il suo anelito di infinito. porto extra o pre matrimoniale, vorrebbe interrompere la gravidanza, cerca consiglio e chiede aiuto: al compagno, ad un medico, ad un’amica o un amico, alla mamma. Prima ipotesi. Ognuno di questi potrebbe comportarsi verso la donna con prepotenza o disprezzo o indifferenza e verrebbe in tal caso stigmatizzato negativamente dalla maggioranza degli individui del gruppo sociale. Seconda ipotesi. Uno o più dei soggetti coinvolti nel problema mostrano comprensione, disponibilità e benevolenza verso la donna. Qui i comportamenti si dividono in modo netto e fondano la differenza dei valori e del giudizio morale. Coloro che sono guidati dal principio secondo il quale la donna è libera e padrona delle proprie scelte collaborano in modo diretto o indiretto alla interruzione della gravidanza (per altro sancita anche dalla legge dello Stato). Coloro che sono guidati dal principio secondo il quale il valore sacro della vita, in questo caso del bambino, non può essere posposto ai desideri o alle preoccupazioni della madre usano tutte le vie e i mezzi per consigliare, guidare, sostenere e aiutare la donna a portare a termine la gravidanza>>. La formulazione del giudizio morale spetta solo alla responsabilità dei singoli i quali troveranno la risposta nella loro coscienza. Questa risposta risulterà essere retta se la coscienza è limpida e bene informata, non potrà esserlo se la coscienza è corrotta. In linea di principio generale, nell’esempio descritto possiamo riconoscere, nei primi individui l’attualizzazione della superbia, nei secondi la via del sacrificio per il bene dell’altro. Ma in entrambe le situazioni né i principi ispiratori né i valori realizzati né le virtù espletate presentano consistenza e proprietà tali che consentano all’individuo di soddisfare alla domanda: “quale senso dare alla propria vita”. Vediamo perché. Può la Coscienza Generare la Legge? Nella lettera sono stati usati dei termini che non posso passare sotto silenzio. 1) “L’uomo (che nega Dio) ama e rispetta l’altro perché glie lo impone la coscienza”. La coscienza diventa in tal modo l’origine della legge. Niente quindi impedirebbe alla coscienza, legiferando per se stessa, di imporre: in certi momenti l’amore di amicizia, in altri il disprezzo dell’odio. Come accade nella realtà quotidiana del relativismo morale. Intendendo con il termine coscienza “il sistema dei valori etici di una persona, che le permette di approvare o disapprovare i propri atti”, il giudizio morale che ne scaturisce è posteriore all’atto e dipende dai principi che la persona ha precedentemente scelto come regola di vita. 2) La dimensione teologica e quella etica non possono essere considerate equipollenti perché la prima concerne il rapporto con Dio (anche se viene negato), la seconda riguarda le relazioni umane. Queste ultime possono aiutare a diminuire il vuoto della solitudine e la noia dell’esistenza condotta senza un fine adeguato alla dignità della persona ma non possono rispondere alla vera domanda di senso. 3) Se la scelta della fede fosse strumentale (l’aggettivo fa pensare ad un calcolo meschino), non corrisponderebbe a quella via di verità e di vita indicate dall’amore di Cristo ad ogni uomo. 4) Nell’esperienza di tutti coloro che l’hanno praticata, la via radicale della fede richiede molto più coraggio intellettuale e molta più forza morale per mantenere fino all’ultimo istante una condotta di vita coerente, rispetto a quanto viene richiesto da un facile accomodamento con la propria coscienza. Prof. Paolo Rossi Via Verdi, 18 Novara Il Senso della Vita e la Ricerca del Fine Ultimo non sono sinonimi né equivalenti, ma interdipendenti. L’uomo non si può porre la domanda sul senso della vita, in qualunque momento emerga dalla sua intimità, senza al contempo chiarire quale potrebbe essere per lui il suo ultimo fine. Questo è un fenomeno tipico della natura umana ed è stupefacente constatarlo. Lo testimoniano in tutte le epoche fino ai nostri giorni: i culti religiosi, la cultura dei morti, certe espressioni dell’arte, credenze popolari, miti e tradizioni. Possono cambiare le risposte ma non si separano i due termini. Anche nel linguaggio convenzionale “dare un senso” significa scegliere una direzione, è una forma propositiva proiettata verso il proprio futuro che perciò non vuol dire colmare il vuoto o la noia di un giorno, ma impostare e organizzare tutta la vita in modo tale da raggiungere un determinato risultato. Questo risultato è il bene della persona. Qualunque bene creato può essere perseguito come fine e, di fatto, l’uomo si propone i fini più disparati, tanti quanti sono i beni concreti che vuole conseguire: alcuni per se stesso come i beni fondamentali della persona, altri come mezzi per un fine ulteriore. Ogni bene concreto • 31 • L’INFORMAZIONE CARDIOLOGICA 2002;22:32 Lettera al Direttore Osservazioni su Come dare un senso alla nostra vita Interrogarsi sul senso della vita è certamente ineludibile: è il primo e fondamentale passo per definire i valori sui quali orientare le nostre scelte e finalizzare i nostri comportamenti. Che il cammino da percorrere per realizzare il nostro modo di essere in relazione a noi stessi e agli altri sulla base dei valori che abbiamo riconosciuto come tali, si offre agevole e sicuro se sostenuto dalla fede in Dio, è certamente vero poiché la Grazia –“dono gratuito dello Spirito” – alimenta ineusaribilmente la speranza di un futuro salvifico. E’ una pienezza di vita e del senso della vita al di sopra di ogni altro tentativo possibile di raggiungere lo stesso risultato per altra via. Ma, se è vero che ciò è tanto più possibile quanto più si è umili, non credo affatto che coloro i quali non riescono ad acquistare “la grazia necessaria all’incontro e all’abbraccio del Padre” siano “i superbi”! Dividere gli uomini in umili e superbi è un pò semplicistico: la natura umana non è così elementare! Affidare ai sacramenti della Chiesa l’unico mezzo per dare un senso all’esistenza, è negare che prima e fuori della Chiesa ci siano valori etici sufficienti a giustificarla, è affermare che non siano mai state praticate la pietà, la solidarietà e la giustizia prima del Vangelo, e che non siano possibili indipendentemente dai “Comandamenti”. Io credo che lo siano; la differenza non sta nei fini, ma nel mezzo: nel rapporto dell’uomo con Dio, l’uomo ama e rispetta l’altro perché vuole ciò che Dio gli chiede; nel rapporto con gli altri uomini, ama e rispetta perché glielo impone la coscienza. Sono due dimensioni diverse: teologica l’una, più gratificante; etica l’altra, più coraggiosa perché meno strumentale; ma il risultato – almeno nell’impegno a dare un senso all’esistenza – è lo stesso. Perciò, proporre la scelta di abbandonarsi alla Fede e vivere nella Grazia come unica e quindi insostituibile alternativa a una vita vuota e inutile, mi sembra una affermazione arbitrariamente riduttiva! prof.ssa Noemi Zurlo Carugno Via della Rocca, 66 67039 Sulmona 01-03-2002 • 32 • L’INFORMAZIONE CARDIOLOGICA 2002;22:33 Flash Stimolazione Atriale nella Sindrome da Apnea del Sonno Molti soggetti affetti da sindrome da apnea del sonno (sonnolenza durante il giorno, stanchezza mattutina, russamento, indice di apnea notturna ≥5, dato dal numero degli episodi di apnea di almeno 10 sec diviso il numero delle ore di sonno) presentano bradicardia notturna, tachicardie parossistiche o entrambe che si giovano della stimolazione atriale permanente. In 15 soggetti affetti da sindrome di apnea del sonno, ostruttiva (n.7) o centrale, venne impiantato un pacemaker bicamerale per il trattamento di bradi-aritmie sopraventricolari. L’esame polisonnografico fu eseguito in ritmo spontaneo e in stimolazione bicamerale con sovra-stimolazione atriale (di 15 battiti più frequente del ritmo sinusale notturno medio). L’indice di ipopnea (<50% del flusso oro-nasale associato a –4% di saturazione dell’ossiemoglobina arteriosa) si è ridotto da 9±4 in ritmo spontaneo a 3±3 durante la sovra-stimolazione atriale (P<0.001). Per entrambi gl’indici di ipopnea e apnea, il valore di 28±22 in ritmo spontaneo si è ridotto a 11±14 durante la sovrastimolazione atriale (P<0.001). L’effetto della sovrastimolazione atriale sull’indice di apnea centrale o ostruttiva è riportato nella fig.1. Figura 1 - EFFETTI DELLA SOVRA-STIMOLAZIONE ATRIALE SULL’INDICE DI APNEA NEI SOGGETTI CON APNEA DI ORIGINE CENTRALE TUTTI (A) E IN QUELLI CON APNEA OSTRUTTIVA (B). I SOGGETTI IN DIVERSO GRADO HANNO MIGLIORATO DURANTE IL PACING. (per gentile concessione dell’Editore) COMMENTO GLI EPISODI DI APNEA NOTTURNA CENTRALE SONO CARATTERIZZATI DALLA IPOSSIEMIA, DALLA RITENZIONE DI CO2, DALLA BRADICARDIA E DALLA QUEST’ULTIMO A SUA VOLTA DETERMINA VARIAZIONI CICLICHE DELLA L 1984;1:126-31, N C FREQUENZA CARDIACA LE QUALI POSSONO INFLUENZARE L’INCIDENZA DELL’APNEA NOTTURNA CENTRALE(G 1998;98:1071-77) . LA STIMOLAZIONE ATRIALE AD ALTA FREQUENZA RISPETTO ALLA BRADICARDIA SINUSALE SPONTANEA PERMETTE DI MANTENERE UN’ATTIVITÀ SIMPATICA CHE CONTRASTA L’AUMENTO SOSTENUTO DEL TONO VAGALE. TALE IPOTESI CONCORDA ANCHE CON I RISULTATI OTTENUTI CON LA C E 1998;21:1473-75) , • NELLA PREVENZIONE DELLA SOVRA-STIMOLAZIONE ATRIALE: • NEL TRATTAMENTO DELLA SINCOPE VASO-VAGALE(A P P C E 1998;21:1751-50) . NEI SOGGETTI CON BRADICARDIA SINUSALE SINTOMATICA LA SOVRA-STIFIBRILLAZIONE ATRIALE INDOTTA DAL VAGO(G MOLAZIONE ATRIALE HA DETERMINATO UNA RIDUZIONE DELL’INDICE APNEA-IPOPNEA SUPERIORE AL 50%, PERTANTO TALE TRATTAMENTO PUÒ ESSERE CONSIDERATO IN ALTERNATIVA ALLE ALTRE POSSIBILITÀ TERAPEUTICHE DELLA APNEA DA SONNO. QUESTE SONO NELLA APNEA OSTRUTTIVA: LA VENA R R D 1993;147:630-34) O H N S TILAZIONE CON PRESSIONE POSITIVA(D E LA DISOSTRUZIONE CHIRURGICA CON LA FARINGO-PLASTICA(W 1994:111:38-43) NE J M 1996;335:562-67) ; IN ENTRAMBI I TIPI DI APNEA ANCHE LA TEOFILLINA(J . (DA GARRIGUE S ET AL. N ENGL J MED 2002;346:404-12) IPOTENSIONE ARTERIOSA, CHE SI ASSOCIA ALL’AUMENTO DEL TONO VAGALE. UILLEMINAULT BE ARRIGUE AVIES M EV ESPIR ACIN LIN ACING LIN ANCET ARKIEWICZ IRCULATION LECTROPHYSIOL LECTROPHYSIOL IS OODSON AVAHERI NGL ED • 33 • TORYNGOL EAD ECK URG L’INFORMAZIONE CARDIOLOGICA 2002;22:34 Flash Progressione della Stenosi Aortica e Statine Non si conosce ancora una terapia medica che permetta di ridurre la progressione della stenosi aortica calcifica. In 174 soggetti con stenosi aortica moderata e funzione normale del ventricolo sinistro sono stati misurati il gradiente e l’area valvolare con ecocardiogrammi seriati. L’evoluzione della malattia valvolare è risultata essere diversa nei 57 soggetti trattati con inibitori della idrossimetilglutaril-coenzima-A-reduttasi rispetto a quelli senza tale terapia. Il gruppo trattato, sebbene presentasse età più avanzata e una maggior prevalenza di ipertensione, diabete mellito e malattia coronarica, ha mostrato nel corso del follow up (21 mesi) un minore aumento del gradiente e una minore diminuzione dell’area valvolare (fig.1). Il valore annualizzato di quest’ultima è risultato essere lo 0.11±018 cm2 nel gruppo non trattato confrontata con lo 0.06±0.16 del gruppo trattato con statine (p=0.03). Il profilo lipidico dei due gruppi è mostrato nella fig. 2. Figura 1 - PROGRESSIONE DELLA STENOSI AORTICA NEL PERIODO DI STUDIO (21 MESI) EVIDENZIATA COME VARIAZIONE ASSOLUTA (VALORI MEDI±SE) DEI PARAMETRI ECOCARDIOGRAFICI DEL GRADIENTE DI PICCO E MEDIO E DELL’AREA VALVOLARE (COLONNE (COLONNE NERE) MENTO (AVA) NEL GRUPPO NON IN TRATTA- BIANCHE) E NEL GRUPPO TRATTATO CON STATINE (per gentile concessione dell’Editore) Figura 2 - VARIAZIONE PERCENTUALE DEI PARAMETRI LIPIDICI NEL PERIODO DI STUDIO NEL GRUPPO TRATTATO CON STATINE QUELLO NON TRATTATO (41 PAZ.). SOLTANTO (52 PAZ.) E IN IL COLESTEROLO LDL È DIMINUITO IN MODO SIGNIFICATIVO. (per gentile concessione dell’Editore) COMMENTO DAI DATI DELLA LETTERATURA SI EVINCE CHE LA PROGRESSIONE DELLA STENOSI AORTICA CALCIFICA SI VERIFICA CON UNA RIDUZIONE MEDIA DEL1997;127:2261-70) L’AREA DI 0.1<CM2 PER ANNO(O C , SIMILE A QUELLA RILEVATA IN QUESTO STUDIO NEL GRUPPO NON IN TRATTAMENTO CON STATINE. I FATTORI DI RISCHIO RICONOSCIUTI CHE RISULTANO ESSERE LEGATI ALLA PROGRESSIONE PIÙ RAPIDA DELLA STENOSI AORTICA SONO: L’ETÀ, L’I2000;101:2497-502) PERCOLESTEROLEMIA, L’AUMENTO DELLA CREATININA, L’USO DEL TABACCO E GRADI PIÙ LIEVI DI STENOSI(P C . LA VALUTAZIONE DELLA QUANTITÀ DI CALCIO DEPOSITATO NELLA VALVOLA AORTICA (CON LA TOMOGRAFIA A RAGGIO ELETTRONICO) HA PERMESSO DI DIMOSTRARE C 2001;104:1927-1932) . I RISULTATI OTTEUNA FORTE INFLUENZA DEL COLESTEROLO LDL SULLA PROGRESSIONE DELLA STESSA CALCIFICAZIONE(P NUTI IN QUESTO STUDIO, SEBBENE SIA RETROSPETTIVO, GIUSTIFICANO L’IMPIEGO DELLE STATINE IN QUESTO TIPO DI MALATI. UNA PUR MODESTA TTO IRCULATION ALTA OHLE IRCULATION IRCULATION RELAZIONE È STATA RILEVATA CON LE VARIAZIONI DEL PROFILO LIPIDICO ESSENDO LA PROGRESSIONE DELLA STENOSI PIÙ LENTA NEI SOGGETTI CON COLESTEROLO LDL <100 MG/DL. (DA NOVARO GM ET AL. CIRCULATION 2001;104:2205-2209) • 34 • L’INFORMAZIONE CARDIOLOGICA 2002;22:35 Flash Prevenzione del Diabete Mellito Tipo 2 e Stile di Vita La diagnosi del diabete mellito non insulino-dipendente viene spesso ritardata finché non compaiono complicazioni. Poiché i metodi di trattamento correnti non eliminano tutte le conseguenze legate a tale malattia, è preferibile attuare interventi di prevenzione. A tale scopo 3234 soggetti non diabetici con eccesso ponderale (IC ≥24), glicemia, a digiuno, 95125 mg/dL, e, dopo carico, 140-199 mg/dL 2h, furono assegnati random a uno dei tre interventi seguenti: 1) stile di vita standard più metformina (Glucophage) 850 mg x 2/die, 2) stile di vita standard più placebo due volte al di, 3) programma intensivo di modificazione dello stile di vita con l’intento di conseguire e mantenere una riduzione del peso corporeo di almeno il 7% con dieta ipocalorica e pochi grassi e attività fisi- ca di moderata intensità (camminata veloce per almeno 150 min. alla settimana). In un periodo medio di 2,8 anni, rispetto al gruppo con placebo, l’intervento sullo stile di vita ha ridotto l’incidenza del diabete mellito del 58% (IC al 95%: 48-66%) e la metformina del 31% (IC al 95%: 17-43%); l’intervento sullo stile di vita è risultato essere significativamente più efficace del trattamento con metformina (Fig. 1). La riduzione della media della glicemia a digiuno è risultata essere simile nei gruppi 1 e 3, ma con l’intervento sullo stile di vita l’effetto sulla emoglobina glicosilata è risultato essere maggiore di quello della metformina e una proporzione più grande di soggetti presentavano glicemia normale anche dopo carico di glucosio (Fig. 2). Figura 1 - INCIDENZA CUMULATIVA DEL DIABETE NEI TRE GRUPPI DELLO STUDIO (P<0.001) PER OGNI CONFRONTO. (per gentile concessione dell’Editore) Figura 2 - CONCENTRAZIONI DEL GLUCOSIO PLASMATICO A DIGIUNO (A) E DELLA EMOGLOBINA GLICOSILATA DI OSSERVAZIONE (0.5-3 (B) NEI TRE GRUPPI DI STUDIO. NEL PERIODO ANNI) LE VARIAZIONI DELLE GLICEMIE A DIGIUNO E DELL’EMOGLOBINA GLICOSILATA SONO RISULTATE ESSERE DIVERSE IN MODO SIGNIFICATIVO NEI TRE GRUPPI (P<0.001). (per gentile concessione dell’Editore) COMMENTO LA PREVENZIONE DEL DIABETE PUÒ ESSERE CONSEGUITA IN TUTTI I GRUPPI ETNICI E RAZZIALI DI ENTRAMBI I SESSI. VITA HA RIDOTTO L’INCIDENZA DEL DIABETE (-31%), (-58% L’INTERVENTO SULLO STILE DI RISPETTO AL PLACEBO), IN GRADO MAGGIORE RISPETTO AL TRATTAMENTO CON METFORMINA ED È RISULTATO ESSERE EFFICACE SIA NEI PIÙ GIOVANI (25-44 ANNI) COME NEGLI ANZIANI (≥60 ANNI). IN STUDI PRECEDENTI NON ERA STATO DIMOSTRATO CHE I FARMACI IMPIEGATI PER LA CURA DEL DIABETE FOSSERO EFFICACI PER LA SUA PREVENZIONE(KNOWLER DIABETES 1995;44:483-88). INVECE LA METFORMINA CHE È UNA BIGUANIDE CHE AGISCE MIGLIORANDO LA SENSIBILITÀ ALL’INSULINA, HA DIMINUITO IL RISCHIO DEL DIABETE NEI SOGGETTI AD ALTO RISCHIO PER TALE MALATTIA. PREVENTIVA MIGLIORE. (DA TUTTAVIA, LA DIMINUZIONE DEL PESO CORPOREO E L’ATTIVITÀ FISICA SISTEMATICA DIABETES PREVENTION PROGRAM RESEARCH GROUP. N ENGL J MED 2002;346:393:403) • 35 • ESERCITANO UN’AZIONE L’INFORMAZIONE CARDIOLOGICA 2002;22:36 Flash Significato Prognostico del Recupero dopo Esercizio Al termine di uno sforzo fisico i parametri cardiovascolari, in particolare frequenza cardiaca e pressione arteriosa ritornano gradualmente verso i valori di riposo. Il recupero della frequenza cardiaca è stato determinato calcolando la differenza tra il valore della frequenza al picco dello sforzo e quello registrato un minuto dopo la sua interruzione (brusca). Veniva considerato anormale un valore ≤18 b/p/m. Un recupero della frequenza cardiaca è stato rilevato anormale in 805 (15%) dei 5438 soggetti senza storia di cardiopatia per i quali era stata richiesto un ecocardiogramma sotto sforzo. Dopo un periodo di osservazione di 3 anni, si è evidenziato che un recupero anormale possiede una forte capacità predittiva di morte (RR 2.09, 95% CI 1.492.82, P<0.001) indipendente dall’età, dal sesso, dalla capacità di esercizio, dalla funzione sistolica del ventricolo sinistro (Fig. 1), dalla presenza o assenza di ischemia miocardica, dal fumo e dal diabete. Figura 1 - CURVE NON AGGIUSTATE DI SOPRAVVIVENZA SECONDO KAPLAN-MEYER, IN RELAZIONE AL RECUPERO DELLA FREQUENZA CARDIACA E ALLA DISFUNZIONE VENTRICOLARE SINISTRA SISTOLICA (FRAZIONE DI EIEZIONE ≤40%). UN RECUPERO ANORMALE (ABNORMAL HHR ONLY) RISULTA DELLA FREQUENZA CARDIACA ESSERE UN INDICE PROGNOSTICO NEGATIVO SIMILE A QUELLO DELLA DISFUNZIONE SISTOLICA SENZA DI ENTRAMBI (BOTH (ABNORMAL LV ONLY). LA PRE- ABNORMAL) PRESENTA UN PESO PRO- GNOSTICO CUMULATIVO MOLTO GRAVE. (per gentile concessione dell’Editore) COMMENTO IL RECUPERO DELLA FREQUENZA CARDIACA DIPENDE DALLA RIATTIVAZIONE VAGALE CHE SI VERIFICA NEL PRIMO MINUTO DOPO LO SFORZO E RISULTA ESSERE ACCELERATO NEI SOGGETTI BENE ALLENATI MENTRE VIENE RALLENTATO NEI PAZIENTI CON SCOMPENSO CARDIACO CRONICO(IMAI J AM COLL CARDIOL 1994;24:1529-35) . L’AUMENTO DEL TONO VAGALE DIMINUISCE IL RISCHIO DI MORTE NELLA POPOLAZIONE CON O SENZA MALATTIA CARDIOVASCOLARE(LA ROVERE LANCET 1998,351:478-84, TSJI CIRCULATION 1994;90:878-83) . IL CALCOLO (MOLTO SEMPLICE) DEL RECUPERO DELLA FREQUENZA CARDIACA PUÒ ESSERE ESEGUITO DURANTE IL PERIODO DI RAFFREDDAMENTO O MEGLIO ALLA CESSAZIONE BRUSCA DELLO SFORZO. TE DA TUTTI GLI ALTRI FATTORI CONFONDENTI. PERTANTO PRESENTA UNA CAPACITÀ PREDITTIVA DI MORTE INDIPENDEN- SI È RIVELATO UN PARAMETRO UTILE DI VALUTAZIONE PER LA STRATIFICAZIONE DEL RISCHIO DI MORTE NEI SOGGETTI CON SOSPETTA O RICONOSCIUTA MALATTIA CORONARICA. (DA L’INFORMAZIONE CARDIOLOGICA WATANABE J ET AL. CIRCULATION 2001;104:1911-1916). 2002;22:36 Iconografia cardio-vascolare Interventi di Riperfusione nell’Infarto Miocardico Acuto Nella grande maggioranza dei casi la causa immediata dell’infarto miocardico con sopraslivellamento del tratto ST risulta essere la occlusione trombotica dell’arteria coronarica regionale. Il rapido ripristino del flusso ematico verso il miocardio ischemico, ma ancora vitale, limita la estensione necrotica e diminuisce la mortalità. La riperfusione coronarica può essere perseguita tramite interventi medici, con la somministrazione di farmaci trombolitici, o mediante l’azione invasiva meccanica dell’angioplastica coronarica, così detta primaria, abbinata o meno all’applicazione di uno o più stents coronarici (Fig. 1). Ciascuno di tali metodi ha vantaggi e limitazioni. La terapia trombolitica è ampiamente disponibile, è efficace, ma può essere associata a complicazioni emorragiche. Nel 10-15% dei pazienti che ricevono il trattamento trombolitico, non si ottiene la lisi del trombo. Soltanto la metà dei soggetti nei quali si è riaperto il vaso coronarico presenta un flusso anterogrado normale e in alcuni di questi si verifica la riocclusione prima della dimissione dall’ospedale. L’angioplastica coronarica (PTCA), detta primaria se viene applicata come primo intervento nell’infarto miocardico acuto, prontamente e da mani esperte, permette di ottenere la riapertura del vaso e un flusso anterogrado normale in un maggiore numero di pazienti rispetto alla terapia trombolitica; in tal modo migliora le frequenze di sopravvivenza e riduce la inci- • 36 • ICONOGRAFIA denza del reinfarto e dell’ictus(1 Weaver WD, et al. JAMA 1998;279:2093-8; 2 . Sulla base di tali risultati si ritiene che l’angioplastica primaria costituisca un intervento preferibile alla trombolisi farmacologica, specialmente nei soggetti con controindicazioni a tali farmaci, in quelli di età superiore a 70 anni, e nei più giovani in shock cardiogenico. La somministrazione concomitante di un inibitore della glicoproteina IIb/IIIa (abciximab) diminuisce la incidenza delle complicazioni precoci associate all’angioplastica coronarica. Tuttavia anche dopo tali interventi la ischemia recidiva nel 10-15% dei pazienti, il reinfarto nel 3-5%, la restenosi tardiva nel 50% e la riocclusione dopo alcuni mesi dell’arteria infartuata nel 10%(3 Nunn C, et al. J Am Coll Cardiol 1999;33:640-6) . In uno studio randomizzato che ha coinvolto 2082 soggetti con infarto miocardico acuto, l’end point pri- Zijlstra F, et al. N Engl J Med 1999;341 :1413-9) CARDIOVASCOLARE mario (composto da morte, reinfarto, ictus debilitante o ischemia recidivante) è risultato essere del 20% dopo la sola PTCA, del 16.5% dopo la PTCA più abciximab, dell’11.5% dopo impianto di stents, e del 10.2% dopo lo stent più abciximab (P<0.001). Il flusso coronarico normale è stato ripristinato nel 94.596.9 dei soggetti indipendentemente dal tipo di intervento. Le differenze osservate nell’end point primario sono dovute unicamente alla diversa incidenza (dal 15.7% al 5.2% dopo stent più abciximab p<0.001) della necessità di ripetere la rivascolarizzazione del vaso bersaglio nei sei mesi successivi. La restenosi era del 40.8% dopo PTCA, del 22.2% dopo stent, la riocclusione dell’11.3% e del 5.7%, (Fig.2) indipendentemente dalla somministrazione di abciximab(4 Stone GW, et al N Engl J Med 2002;346:957-66) . Arteria occlusa Terapia trombolitica Scopi Ristabilire pervietà coronarica Salvataggio miocardico Angioplastica Migliorare sopravvivenza Stent Figura 2 - RAPPORTO DISPARI (ODDS RATIO) CHE CONFRONTA I RISULTATI OTTENUTI SULL’END POINT PRIMARIO COMPOSITO (MORTE, REINFARTO , RIVASCOLARIZZAZIONE E ICTUS ) A Figura 1 - M ETODI DI RIPERFUSIONE NEI SOGGETTO CON SOGGETTI ASSEGNATI ALL’ANGIOPLASTICA 6 MESI IN 1046 (PTCA) CON QUELLI 1036 ASSEGNATI ALL’APPLICAZIONE DI STENT(4). INFARTO MIOCARDICO ACUTO. OTTENUTI IN (per gentile concessione dell’Editore) (per gentile concessione dell’Editore) COMMENTO BENCHÉ LO STENT RIDUCA LA FREQUENZA DELLE RESTENOSI E LA NECESSITÀ DI RIPETERE LA PROCEDURA DI RIVASCOLARIZZAZIONE, TALE VANTAG- GIO È RELATIVAMENTE PICCOLO (CORRISPONDE AD UNA RIDUZIONE ASSOLUTA DEL 6%)(4). NON È STATO ANCORA CHIARITO SE LO STENT COMPORTI UN POSITIVO RAPPORTO COSTO-BENEFICI NELL’INFARTO MIOCARDICO ACUTO, E SE COSTITUISCA UNA STRATEGIA EFFICACE ANCHE NEI SOGGETTI CON PICCOLI VASI (DIAMETRO <2.5MM), O IN QUELLI CON BYPASS DI GRAFT VENOSI, O IN QUELLI CON SHOCK CARDIOGENICO. STUDI PILOTA IN SOG- GETTI CON ANGINA PECTORIS HANNO DIMOSTRATO CHE LA RESTENOSI È VIRTUALMENTE ELIMINATA CON GLI STENT CHE AGISCONO LOCALMENTE RILASCIANDO, PER 15 GIORNI NELLA FORMULAZIONE FR, PER > 28 GIORNI NELLA FORMA SR, SIROLIMUS (RAPAMYCIN IN UNA MATRICE POLIMERA), UNA SOSTANZA CON POTENTE AZIONE IMMUNOSOPPRESSIVA CHE INIBISCE LA RISPOSTA DELLA PROLIFERAZIONE NEOINTIMALE. LE, RILEVATA MEDIANTE GLI ULTASUONI INTRACORONARICI, ERA VIRTUALMENTE ASSENTE A 2001;104:2007-2011) . SE 6 MESI (2±5%) E A 12 MESI LA IPERPLASIA (2±5%)(S JD, OUSA INTIMA- ET AL CIRCULATION TALI RISULTATI SARANNO CONFERMATI DA ALTRI STUDI ESEGUITI SU UN MAGGIOR NUMERO DI PAZIENTI, LO STENT A RILASCIO FAR- MACOLOGICO POTRÀ COSTITUIRE LA STRATEGIA PREFERITA DI RIVASCOLARIZZAZIONE NEI SOGGETTI CON INFARTO MIOCARDICO ACUTO. (per gentile concessione dell’Editore)