Giornale - Nuova Informazione Cardiologica

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L’ INFORMAZIONE CARDIOLOGICA
giornale elettronico integrale
Folia Cardiologica: estratti vol. III n. 1-29
www.foliacardiologica.com
n. 1-2 gennaio-giugno 2002
Indice
direttore
Corrado Vassanelli
Cattedra e Divisione Clinicizzata di Cardiologia
Università degli Studi del Piemonte Orientale
“Amedeo Avogadro” - Novara
EDITORIALE
2 -
condirettore
Eraldo Occhetta
Indicatori Prognostici dell’Infarto Miocardico Acuto
di Paolo Rossi
ARTICOLI
Divisione Clinicizzata di Cardiologia
Università degli Studi del Piemonte Orientale
“Amedeo Avogadro” - Novara
5 9 -
coordinatore
Paolo Rossi
Associazione Prevenzione Cardiopatie
V.le Verdi, 18 - Novara
13 -
proprietà
Associazione Prevenzione Cardiopatie
Viale Giuseppe Verdi, 18 - 28100 Novara
periodico trimestrale
spedizione abbonamento postale
15 -
18 -
offerta libera per l’Associazione Prevenzione Cardiopatie
L’INFORMAZIONE CARDIOLOGICA
Conto Corrente Bancario n. 9466/1
Cariplo Agenzia 1; Viale Roma 21-H
Novara
21 -
DI INTERESSE
Beneficio dell’esercizio fisico dopo angioplastica
Commento di Alfredo R. Galassi
L’Acido Folico Previene la Tolleranza ai Nitrati e la
Disfunzione Endoteliale Indotta dalla Nitroglicerina
Commento di Francesco Iachini Belisari e Raffaele
De Caterina
La Calcificazione dell’Anello Mitralico come
Manifestazione di Aterosclerosi
Commento di Cristina Constantin e Stefano Ghio
Disfunzione Microvascolare nelle Occlusioni Totali
Croniche
Commento di Federica Marsico e Patrizia Presbitero
I Beta Bloccanti nello Scompenso Cardiaco Cronico
Grave
Commento di Edoardo Gronda e Luca Genovese
Prognosi Relata al Flusso Coronarico Presente prima
dell’Angioplastica Primaria
Commento di Angelo Sante Bongo
AGGIORNAMENTI
realizzazione grafica e stampa
Cooperativa La Terra Promessa - Novara
Tel. 0321.404438
Fax 0321.463243
24 -
Fisiopatologia della Resincronizzazione nello
Scompenso Cardiaco
di Paolo Rossi
FILOSOFIA
La corrispondenza deve essere indirizzata a:
Prof. Paolo Rossi
Viale Verdi, 18
28100 NOVARA
Tel. 0321.36331 - Fax 0321.
E-mail: [email protected]
29 -
DELLA
MEDICINA
Può il Senso della Vita Esaurirsi nella Coscienza?
di Paolo Rossi
Lettera al Direttore
32 -
Autorizzazione del Tribunale di Novara n. 19
del 15 settembre 1979
Osservazioni su Come dare un senso alla nostra vita
di Noemi Zurlo
Flash
33
34
35
36
-
Progressione della Stenosi Aortica e Statine
Significato Prognostico del Recupero dopo Esercizio
Prevenzione del Diabete Mellito Tipo 2 e Stile di Vita
Stimolazione Atriale nella Sindrome da Apnea del
Sonno
ULTIMISSIME
7 -
IN
CARDIOLOGIA
Meglio l’amiodarone della lidocaina nella fibrillazione
ventricolare resistente allo shock elettrico
Iconografia cardio-vascolare
36 -
Interventi di Riperfusione nell’Infarto Miocardico
Acuto
Figura di copertina
14a -
•1•
Cardioverter Defibrillatore Automatico Indossabile
non richiede intervento chirurgico
L’INFORMAZIONE CARDIOLOGICA
2002;22:2-4
EDITORIALE
Indicatori Prognostici dell’Infarto Miocardico Acuto
volte il rischio di morte nelle settimane seguenti (3
Heidenreich, J Am Coll Cardiol 2001;38:478-485)
. In una sub-analisi di 18
studi concernenti differenti strategie di trattamento
(conservativa o aggressiva) in pazienti con insufficienza coronarica acuta si è rilevata una riduzione
marcata (50%-53%) degli eventi ischemici fra i
pazienti troponina positivi se sottoposti precocemente
(entro 4 h) a trattamento invasivo. E’ interessante
sottolineare che la capacità delle troponine di predire
il beneficio derivante da un approccio invasivo è risultato essere superiore a quella dello slivellamento del
tratto ST ed a quella dell’aumento della creatin-kinasi(4 Morrow, JAMA 2001;286:2405-2412). Tuttavia, per quanto concerne
l’impiego delle troponine sieriche come guida ad un
trattamento aggressivo nei soggetti con insufficienza
coronarica acuta, è necessaria una certa prudenza
perché: 1) sono possibili errori di determinazione per
l’alto coefficiente di variazione nei metodi quantitativi
dei laboratori centrali e la scarsa correlazione con
quelli semiquantitativi eseguiti al letto del paziente(5
Lang, Clin Nephrol 2001;56:44-51)
; 2) con piccoli aumenti di troponina
T (0.06-0.18 ng/mL) si verifica una considerevole
discrepanza intra ed inter- osservatori nella discriminazione di un risultato positivo(6 Muller-Bardoff, Cli Chem 1999;45:10021008)
; 3) non sono rari i falsi positivi in presenza di
sepsi (7 Ammann, Intensive Care Med 2001;27:965-969), coaguli di fibrina,
anticorpi eterofili(8 Fitzmaurice, Clin Chem 1998;44:2212-2214), rabdomiolisi(8), mentre la sottostima (falsi negativi) in casi con
elevati valori di CK-MB, è frequente in presenza di
ittero(9 ver Elst, Am J Clin Pathol 1999;112:745-752), o contemporaneo uso
di eparina(10 Stiegler, Clin Chem 2000;46:1338-1344); 4) elevazioni inaspettate di troponina T e I sono state osservate nei
pazienti con grave malattia renale(11 Wayand, Clin Chem 2000;46:13451350)
, tali aumenti, anche se dovuti probabilmente alle
isoforme dei muscoli scheletrici, sono comunque predittivi dell’evoluzione clinica e non dovrebbero essere
considerati non specifici(12 Dierkes, Circulation 2000;102:1964-1969); 5)
moderati aumenti di troponina sono stati descritti
anche in soggetti con embolie polmonari(13 Giannitsis, Circulation
2000;102:211-217)
, pericardite(14 Brandt, Am J Cardiol 2001;87:1326-1328), o miocardiopatia(15 Sato, Circulation 2001;103:369-374), legati ad un concomitante danno miocardico, mantengono un significato
prognostico indipendente.
L’applicazione di strategie terapeutiche precoci nell’infarto miocardico acuto deve essere basata su indicatori di gravità prognostica che siano attendibili sin
dalle prime ore di malattia. Anche se il trattamento
iniziale è diretto al ristabilimento della pervietà della
coronaria responsabile dell’infarto, la riapertura del
vaso non è di per sé un fattore determinante l’evoluzione clinica perché la lesione miocardica irreversibile
potrebbe essere già molto estesa al momento della
riperfusione. La prognosi è di fatto legata alla vitalità
miocardica. Il flusso nella coronaria responsabile non
è sempre associato alla perfusione del miocardio
ischemico (fenomeno del no-reflow) perché può
essersi instaurato un danno microvascolare irreversibile(1 Ito, Circulation 1992;85:1699-705).
La importanza di una stratificazione prognostica
precoce è sottolineata dal fatto che strategie terapeutiche più aggressive possono essere giustificate in
quei soggetti nei quali risultano essere rilevanti i predittori di prognosi negativa: ad esempio in quelli con:
scompenso cardiaco, ipotensione arteriosa, dolore
precordiale ricorrente nonostante il trattamento, nel
diabete.
Nella maggior parte dei pazienti viene eseguita la
trombolisi come primo intervento per ottenere la
riperfusione precoce, mentre l’angioplastica coronarica (metodo certamente più efficace ma di applicazione più difficile per ragioni logistiche) viene riservata
per la riapertura della coronaria relata all’infarto in
quei soggetti nei quali si ritiene probabile il salvataggio di miociti. Selezionando tali pazienti ad alto rischio
perché vengano sottoposti ad altre procedure specifiche dopo la terapia trombolitica, è possibile migliorare la evoluzione clinica provocando la inversione dello
stordimento e della ibernazione dei miociti ipoperfusi.
In tal modo si attenua il rimodellamento, cioè la progressiva dilatazione del ventricolo sinistro ed il peggioramento della funzione sistolica (diminuzione della
frazione di eiezione) e di quella diastolica (alterato
rilasciamento) prima che si verifichi un danno troppo
esteso.
Le Troponine
La Mioglobina ed altri predittori prognostici
La predizione relativa alla evoluzione clinica di un
infarto miocardico che dà il maggiore affidamento è
quella basata sulla concentrazione sierica delle isoforme cardiache della troponina T (cTnT) e I (cTnI)(2 Ohman,
N Engl J Med 1996;335:1333-41)
; quest’ultime iniziano ad aumentare
entro 6 h dall’infarto e, per la loro determinazione,
occorrono circa 20 minuti. Dette proteine sono molto
specifiche e sensibili come markers di ingiuria miocardica. Gli aumenti di una di queste nell’ambito di
una insufficienza coronarica acuta permettono di
identificare i soggetti nei quali è aumentato di molte
Nei soggetti con infarto miocardico e sopraslivellamento di ST, il riscontro al momento del ricovero di
un aumento della troponina consente di individuare
un sottogruppo di soggetti a maggiore rischio a breve
termine di eventi cardiaci, per il fatto che si è instaurata una necrosi miocardica prima dell’ammissione in
ospedale(16 Stubbs, Circulation 1996;94:1291-97). Tuttavia, per un processo decisionale che si svolga clinicamente in tempo
utile, il valore della troponina T come indicatore pro-
•2•
EDITORIALE
gnostico è limitato perché tra questi pazienti pochi
sono quelli che giungono in ospedale entro 6 h dall’inizio del dolore toracico e che presentano già un’aumentata concentrazione di tale marker biochimico(17
Ohman, Am J Cardiol 1999;84:1281-86)
. La mioglobina invece viene
liberata nel plasma più rapidamente della troponina T.
La determinazione della mioglobina effettuata al letto
del malato in condizione di base, prima cioè di eseguire la trombolisi, fornisce un indice obiettivo della
ingiuria miocardica irreversibile esistente al momento
del ricovero.
Altri predittori di valore prognostico sono: a) le concentrazioni sieriche di creatin kinasi e proteina C reattiva; b) i markers dell’attività autonomica che possono essere utilizzati al fine di predire la morte improvvisa, la loro misurazione però richiede apparecchiature
speciali (sensibilità baro-recettoriale) o almeno 24 ore
(variabilità della frequenza cardiaca) (18 Schartz, Eur Heart J
1998;19:1593-95)
. I test ergometrici, la ecocardiografia con
stress e le tecniche di perfusione nucleare sono similmente metodi specializzati per la valutazione della
vitalità miocardica, della perfusione coronarica e dello
stato di rischio del paziente e vengono eseguiti molti
giorni dopo l’evento acuto.
ospedale e dopo 60 o 90 min. dalla terapia trombolitica. La deviazione di ST viene misurata mediante un
compasso (munito di lente) 20 ms. dopo la fine del
QRS (punto J), prendendo come linea base di riferimento il tratto PR, nelle derivazioni I, AVL, e V1-V6 per
l’infarto anteriore, nelle derivazioni II, III, AVF, V5 e V6
per l’infarto inferiore. La somma di ST a 90 min. dopo
l’inizio della trombolisi viene determinata sommando
la elevazione del segmento ST in tutte le derivazioni
elettrocardiografiche associate con la sede dell’infarto.
L’entità della risoluzione viene espressa come percentuale del valore di base.
Il maxSTE (la deviazione di ST esistente in una sola
derivazione) rappresenta invece la elevazione di ST
(90 min. dopo la trombolisi) che viene determinata in
una sola derivazione, quella che mostra il massimo
sopraslivellamento nei soggetti con infarto anteriore.
Nei pazienti con infarto inferiore il maxSTE viene
misurato come la massima elevazione del tratto ST in
una derivazione inferiore o come massima depressione
del tratto ST in una derivazione precordiale da V1 a V4.
Nei soggetti con blocco di branca viene considerato
soltanto il massimo sopraslivellamento di ST (Fig. 1).
Risultati Clinici
Il significato prognostico dei markers
elettrocardiografici
Si è potuto così dimostrare che variazioni percentuali del 30 o 50% e del 70% sono predittive della prognosi(25 Schroder, J Am Coll Cardiol 1994;24:384-91). L’applicazione di due
valori di taglio della risoluzione precoce della somma
dell’elevazione del tratto ST si è rivelata clinicamente
la più utile per la stratificazione dei pazienti in due
gruppi, a basso e ad alto rischio(24, 25). La risoluzione
del sopraslivellamento del tratto ST rappresenta il
recupero della perfusione miocardica ed è stata suddivisa nelle seguenti categorie: risoluzione completa
(≥70%), parziale (dal 30% a <70%), nessuna (<30%)(26
de Lemos, Am J cardiol 2000;85:299-304; 27 Zeymer, Eur Heart J 2001;22:769-75)
. A queste
tre categorie elettrocardiografiche corrispondono i
gradi TIMI che indicano il livello di perfusione tessutale (da non confondersi con le classi TIMI di pervietà
del vaso coronarico), valutato nell’angiografia coronarica in base alla quantità di mezzo di contrasto intramiocardico riconoscibile al termine dell’iniezione.
La persistenza del sopraslivellamento del tratto ST
costituisce un segno importante di mancata riperfusione tessutale. Le alterazioni precoci della perfusione
sono predittive di una maggiore estensione dell’infarto
(valutata dalla quantità totale di creatine chinasi MB
(CK-MB) liberata e mediante la tomografia computerizzata ad emissione di fotone singolo (SPECT) con il
Tecnezio-99 m Sestamibi). Le misure della perfusione
tessutale, angiografiche ed elettrocardiografiche sono
risultate essere indipendentemente associate con la
successiva estensione dell’infarto miocardico, suggerendo una potenziale dissociazione elettromeccanica
tra il flusso ematico microvascolare e la funzione del
miocita. Mentre l’angiogramma riflette la pervietà
meccanica microvascolare e la integrità dell’endotelio, l’elettrocardiogramma può riflettere lo stato funzionale del miocardio nella regione ischemica .
I markers elettrocardiografici sono di semplice rilevazione e forniscono una informazione d’impiego
immediato. L’elettrocardiogramma rimane a tutt’oggi
il mezzo diagnostico più accessibile e ampiamente
usato nei soggetti che giungono al pronto soccorso
con i sintomi della ischemia miocardica acuta. Le
variazioni del sopraslivellamento ischemico del tratto
ST forniscono importanti informazioni concernenti la
riperfusione miocardica dopo angioplastica coronarica (19 Santoro, Am J Cardiol 1998;82:932-37; 20 Claeys Circulation 1999;99:1972-77) .
Secondo i dati raccolti con lo studio GUSTO-IIb, l’incidenza di mortalità o di reinfarto miocardico a 30 giorni nei 12142 pazienti è risultata essere del 10.5% tra
quelli con sottoslivellamento e del 12.4% tra quelli
con sopra e sotto slivellamento del segmento ST(21
GUSTO IIb Investigators, N Engl J Med 1996;335: 775-82)
. La depressione del tratto ST è risultata essere anche il più forte predittore
della mortalità ad 1 anno fra i soggetti con sindromi
coronariche acute(22 Kaul, J Am Coll Cardiol 2001;38:64-71). Fin dai primi
studi sulla trombolisi, la rapida e netta risoluzione,
cioè il ritorno alla linea isoelettrica, del sopraslivellamento del tratto ST risultò essere un chiaro segno di
successo e di riperfusione(23 Anderson, N Engl J Med 1983;308:1312-18). La
risoluzione nell’elettrocardiogramma del tratto ST
dopo un angioplastica coronarica primaria, attuata
con successo per il trattamento dell’infarto miocardico acuto, è risultata essere relata alla sopravvivenza(24
Van’t Hof, Lancet 1997;350:615-19)
.
Metodi di determinazione: Allo scopo di valutare
meglio la prognosi post-infartuale si è impiegata la
somma della risoluzione del tratto ST. Gli elettrocardiogrammi vengono eseguiti alla presentazione in
•3•
EDITORIALE
Figura 2 - Prognosi in relazione alle variazioni del segmento
ST a 90 min
Tutte le variazioni di ST vengono misurate nella derivazione con
il massimo slivellamento.
*Elevazione di ST > 4.5 mm
† Elevazione nell’ECG di base ≤ 4.5 mm
La persistenza del blocco di branca costituisce una indicazione
prognostica di evoluzione, la più sfavorevole, tranne che nei soggetti colpiti da infarto inferiore con una variazione < 2 mm a 90
min nei quali indica una prognosi media.
didascalia: L’infarto anteriore è suddiviso in: esteso e piccolo, in
base al sopraslivellamento di ST nell’elettrocardiogramma di
base (come nella fig. 1). Le variazioni del tratto ST, osservate
dopo 90 min dalla trombolisi, vengono messe in relazione con tre
classi prognostiche: cattiva (la peggiore), buona (la media), ottima (la migliore). Si può notare che la prognosi peggiore è quella
che corrisponde al gruppo ad alto rischio descritto nella figura 1
e che migliora con la diminuzione dello slivellamento di ST(29).
Figura 1 - Definizione dei gruppi di rischio mediante lo slivellamento esistente in una derivazione dopo 90 min dalla trombolisi
(max STE)
Per la stratificazione nell’infarto miocardico anteriore è necessario
fare riferimento alla entità della elevazione del segmento ST nell’elettrocardiogramma di base. Per la stratificazione nei due gruppi di
rischio non è necessaria in molti pazienti la misura calibrata della
elevazione di ST in quanto le misure sono lontane dai valori di taglio.
* Estensione dell’elevazione del segmento ST nella derivazione con
il massimo slivellamento.
† Estensione della deviazione del segmento ST (elevazione D2, D3,
aVF, V5 o V6 o depressione in V1-V4) nella derivazione con il massimo slivellamento. 1 mm=0.1 mV. ‡ Blocco di branca (BBB) ST max più di 2 mm = alto rischio; BBB con ST - max 2 mm o meno medio rischio.
______
Il gruppo ad alto rischio è quello che presenta dopo la trombolisi un
aumento dello slivellamento del tratto ST, (superiore a 5 o 3 mm
nell’IMA anteriore, a 2 mm nell’IMA inferiore) che sta ad indicare
non solo il fallimento della riperfusione ma anche una estensione
della necrosi. Questi soggetti sono classificati correttamente mediante il maxSTE. L’associazione di un blocco di branca è causa di alto
rischio indipendentemente dal sopraslivellamento di ST: nei pazienti
con IMA anteriore e blocco di branca sinistra o destra a 90 min la
mortalità ad un mese è stata del 27% e del 21% rispettivamente(Schröder K
et al. Z Kardiol 2001;90:557-67)
.
(per gentile concessione dell’Editore)
chinasi. Circa il 90% dei pazienti, che venivano classificati nel gruppo a basso rischio dall’analisi elettrocardiografica, presentavano un flusso TIMI di grado 3.
Tuttavia, ben il 45% dei soggetti ad alto rischio (definiti come quelli con <30% della somma ST) presentavano anche un flusso TIMI 2 o 3(31 Zeymer, Eur Heart J 2001;22:384-91).
Tali risultati enfatizzano il fatto che al flusso coronarico, evidenziato nell’angiografia, può non corrispondere la restaurazione della vitalità miocardica; il soggetto rimane ad alto rischio per presentando una buona
pervietà della coronaria epicardica responsabile dell’infarto. Non sembra quindi esservi differenza nella
capacità predittiva del flusso coronarico tra la somma
di ST e il maxSTE. Si può pertanto concludere che lo
slivellamento di ST esistente dopo 90 min dalla trombolisi in una singola derivazione elettrocardiografica è
un marker predittivo prognostico migliore e più semplice della somma della risoluzione del tratto ST, ma
presenta la stessa capacità predittiva per quanto concerne la pervietà della coronaria responsabile dell’infarto.
(per gentile concessione dell’Editore)
Pertanto i due tipi di misura sono indipendenti e complementari nel loro significato prognostico(28 Angeja Brad,
Circulation 2002;105:282-285)
.
In un recente studio multicentrico in doppio cieco è
stato dimostrato che la mortalità a 180 giorni era predetta dall’analisi di una sola derivazione elettrocardiografica (quella con la massima deviazione a 90 min) e
che la deviazione di ST (non la risoluzione) esistente
nella singola derivazione (maxSTE) costituiva un
marker predittivo migliore della somma di ST(29 Schröder,
Lancet 2001;359:1479-86)
. I risultati sono stati riassunti nella Fig.
2 (30 Varma Lancet 2001; 359: 1473-74). In un altro studio gli stessi
Autori, hanno confrontato la risoluzione della somma
di ST con il flusso coronarico in soggetti colpiti da
infarto miocardico che avevano eseguito la strepto-
Prof. Paolo Rossi
Viale Verdi, 18 - Novara
•4•
L’INFORMAZIONE CARDIOLOGICA
ARTICOLI
2002;22:5-7
DI INTERESSE
Beneficio dell’esercizio fisico dopo angioplastica
stent impiantati). Il programma che è durato 6 mesi
prevedeva tre sessioni di esercizio fisico alla settimana. Tutti i pazienti hanno eseguito una prova da sforzo
cardiorespiratoria (con contemporanea misurazione
dei parametri emodinamici e ventilatori), un esame
ecocardiografico Doppler 2D e una scintigrafia miocardica planare ad 1 mese e a 6 mesi. Il profilo di
rischio coronarico uguale nei due gruppi di pazienti
durante la randomizzazione è stato rivalutato dopo 6
mesi; l’osservazione di una riduzione =9% dei livelli di
colesterolo totale sierici, da sola o in combinazione
con la sospensione del fumo e con la riduzione =5%
dei livelli pressori è stata considerata un miglioramento significativo di tale profilo di rischio. L’angiografia
coronarica è stata ripetuta in 104 dei 118 pazienti
(88%) a 6 mesi dalla angioplastica e si è tenuta in
considerazione all’analisi angiografica una progressione o regressione della coronaropatia quando era presente un aumento o una diminuzione >20% di una stenosi. La qualità di vita a 6 e 12 mesi è stata stimata
mediante due questionari (Duke Activity Status Index
e il MOS short-form General Health Survey). Un follow-up clinico nel quale sono state valutate mortalità
e morbilità (IMA, re-PTCA o by-pass aortocoronarico)
è durato 33±7 mesi.
E XERCISE T RAINING I NTERVENTION A FTER C ORONARY
ANGIOPALSTY: THE ETICA TRIAL
BELARDINELLI R, PAOLINI I, CIANCI G. ET AL
I AM COLL CARDIOL 2001; 37: 1891-900
INTRODUZIONE ALL’ARGOMENTO E SCOPI
DEL LAVORO
Sebbene l’introduzione dell’angioplastica negli ultimi 20 anni abbia drasticamente ridotto la morbilità e
la mortalità per coronaropatia, oggigiorno ancora il
25-40% circa dei pazienti sottoposti a tale procedura
a ripeterla tale procedura a causa di una ristenosi che
compare nel periodo compreso tra i 6 e i 12 mesi
dopo una angioplastica. Infatti in circa il 50% di tali
soggetti dopo un iniziale miglioramento nella capacità
funzionale e nella qualità di vita si osserva una angina
ricorrente che richiede attenzione medica, e che
determina una riduzione della capacità funzionale
creando uno stato di stress psicologico. D’altra parte
nel contesto dei pazienti cardiopatici in vari lavori è
stato dimostrato che l’allenamento all’esercizio induce: un effetto benefico sulla capacità funzionale (1 Clausen
JP, Prog Cardiovasc Dis 1976;18:459-85; 2 Ferguson RJ, Am J Physiol 1982;243:H830)
, una
diminuzione della risposta ischemica a carichi di lavoro sottomassimali(3 Belardinelli G, Circulation 1998;97:553-61), una regressione o ritardo nella progressione di coronaropatia ed
un miglioramento della funzione endoteliale(4 Schuler G,
Circulation 1992;86:1-11; 5 Hambrecht R, Circulation 1998;98:2709-15)
. Pertanto scopo
di questo lavoro è stato quello di valutare gli effetti
dell’allenamento all’esercizio di intensità moderata
sulla capacità funzionale e sulla qualità di vita in un
gruppo consecutivo di pazienti che avevano eseguito
una angioplastica con o senza stent. Sono stati anche
valutati la possibilità della riduzione di ristenosi e il
decorso clinico.
RISULTATI
Solo i pazienti allenati mostravano a 6 mesi un
significativo miglioramento delle condizioni emodinamiche e ventilatorie durante prova da sforzo e della
qualità di vita, parallelamente ad una significativa
riduzione del profilo di rischio coronarico. Sempre a 6
mesi nei pazienti allenati rispetto a quelli non allenati
si osservavano, mediante ecocardiografia, una riduzione significativa dei volumi ventricolari telesistolici,
un aumento significativo della frazione di eiezione e
dell’indice di ispessimento sistolico, e, mediante scintigrafia perfusionale, una significativa riduzione nel
numero di segmenti anormali dopo stress, ed un
significativo aumento dei difetti completamente reversibili alle immagini di redistribuzione. È interessante
notare come la ristenosi angiografica non fosse condizionata dall’allenamento e non risultasse significativamente differente dopo angioplastica o stent nei due
gruppi di pazienti.
Al follow-up clinico i pazienti allenati rispetto a
quelli che non lo erano mostravano una più bassa
percentuale di morte, infarto o rivascolarizzazione
(11.9% vs 32.2%, p<0.008, rispettivamente) (Fig. 1) e
una piu’ bassa percentuale di riospedalizzazioni
(18.6% vs 46%, p<0.001 rispettivamente).
Da notare inoltre che un punteggio di captazione al
tallio > 1.65 identificava un gruppo di pazienti con
una più bassa percentuale di eventi nel corso del fol-
METODI
Centodiciotto pazienti (età media 57±10 anni) che
erano stati sottoposti con successo ad una angioplastica sono stati randomizzati ad un esercizio fisico
regolare o meno. In entrambi i gruppi non si è osservata alcuna differenza per quel che riguarda sesso,
età, pregresso infarto miocardico acuto, fattori di
rischio, estensione e tipo di coronaropatia, localizzazione, tipo della procedura di angioplastica effettuata
(considerando anche il numero, tipo e lunghezza degli
•5•
ARTICOLI
DI INTERESSE
la concentrazione di adenosina nell’interstizio ed
aumentando la crescita vascolare(7 Oldridge NB, JAMA 1988;260:94550)
, tutti meccanismi che si concretizzano in ultima
analisi in una migliorata perfusione miocardica.
In conclusione tali effetti benefici si traducono nei
pazienti allenati in un decorso clinico più favorevole
con una percentuale più bassa di eventi cardiovascolari e di riospedalizzazione a 33±7 mesi di follow-up.
COMMENTO
Figura 1 - CURVE
DI
KAPLAN-MEIER
I risultati ottenuti in pazienti che seguono un programma riabilitativo dopo angioplastica confermano il
dato già osservato dopo esercizio fisico in soggetti
coronaropatici(7), evidenziandone i vantaggi in questa
popolazione, sempre più numerosa nel panorama
della cardiopatia ischemica. Un precedente lavoro
effettuato in pazienti nei quali era stata eseguita una
angioplastica di un singolo vaso ha mostrato un
aumento del 15% nella capacità funzionale dopo esercizio fisico(8 Kubo H, Jpn Circ J 1992;56:413-21). Un lavoro più recente(9
Hofman-Bang C, Eur Heart J 1999;20:1465-74)
ha confermato che il seguire
uno stile di vita multifattoriale che assommi riduzione
dello stress, esercizio fisico, dieta e sospensione del
fumo migliora la capacità all’esercizio dopo angioplastica. Tuttavia in questi precedenti lavori non è stato
fatto cenno alle variabili ventilatorie e al decorso clinico del follow-up. Invece in questo studio randomizzato
si rileva chiaramente come dopo 6 mesi i pazienti
allenati con esercizio fisico, mostrino rispetto a quelli
non allenati: una aumentata risposta emodinamica e
ventilatoria durante prova da sforzo, un miglioramento del volume ventricolare telesistolico, della frazione
di eiezione e dell’indice di ispessimento sistolico all’ecocardiografia, un minore aumento nel numero di
segmenti anormali alla scintigrafia con tallio, una
migliore qualità di vita ed un profilo minore di rischio
coronarico. Tutto ciò pur in presenza di una similare
percentuale di ristenosi. Tale documentato vantaggio
si trasla in una minore percentuale di ricoveri e di
eventi in un follow-up di quasi 3 anni nel gruppo dei
pazienti allenati. Detti risultati ben evidenziano come il
punto cruciale della riabilitazione sia non solo quello
dell’esercizio, ma anche quello dell’integrazione con i
benefici che provengono dalla riduzione del rischio
coronarico (fumo, colesterolo e abbassamento dei
livelli di pressione arteriosa). Tuttavia non si deve
dimenticare che i pazienti che rappresentano il gruppo di controllo di questi trial non vengono valutati così
spesso come quelli che invece rientrano nel programma di training e si comprende come ciò possa amplificare i benefici dell’esercizio fisico. Altro dato fondamentale è quello che i vantaggi di tale programma
riabilitativo si mantengono fino a 12 mesi, ben 6 mesi
dopo la fine del programma di esercizio, con la riduzione degli eventi nel gruppo allenato fino a quasi 3
anni, come è stato confermato anche dall’oggettività
dei rilievi scintigrafici. Sarebbe interessante poter
avere informazioni circa il reale vantaggio di tali programmi riabilitativi nella popolazione più anziana, che
è quella sempre più presente sul tavolo di emodina-
DI TUTTI I SOPRAVVISSUTI
(TRAINED LINEA INTE(UNTRAINED LINEA TRAT-
LIBERI DA EVENTI PER I PAZIENTI ALLENATI
RA) E PER I PAZIENTI NON ALLENATI
TEGGIATA ) DURANTE IL FOLLOW- UP NUMERO DEI PAZIENTI A
RISCHIO CENSITI.
(per gentile concessione dell’Editore)
low-up e si mostrava correlato al miglioramento del
profilo di rischio cardiovascolare.
DISCUSSIONE
I risultati di questo studio randomizzato indicano
che un esercizio fisico regolare dopo angioplastica
determina un miglioramento delle capacità funzionali
e della qualità di vita del soggetto. Nei pazienti allenati il miglioramento delle variabili emodinamiche e
ventilatorie si correla con il miglioramento della qualità di vita e del profilo di rischio coronarico indipendentemente dalla presenza o meno di stent (in particolare si è osservato che l’associazione della sospensione del fumo e dell’abbassamento dei valori pressori
costituisce un predittore indipendente di migliore
capacità ventilatoria).
Uno dei dati più interessanti di questo lavoro è il
seguente: il miglioramento della qualità di vita nei
pazienti che praticano un allenamento fisico è principalmente correlato alle variazioni della capacità funzionale e del profilo di rischio coronarico, mentre la
progressione della coronaropatia o la ristenosi non
svolgono un ruolo significativo come è dimostrato
dall’assenza di correlazione tra la capacità funzionale
o la qualità di vita e la percentuale di ristenosi o la
severità di lesione coronarica, rispettivamente.
Un altro dato fondamentale è rappresentato dal
fatto che una migliorata perfusione alla scintigrafia
miocardica nei pazienti allenati a 6 mesi di follow-up
predice un migliore decorso clinico. L’allenamento
all’esercizio, migliorando la disfunzione endoteliale,
può ridurre la ricorrenza di una ischemia miocardica,
aumentando la dilatazione flusso-mediata delle arterie
coronariche(6 Teuscher E, Biomed Biochem Acta 1985;44:493-95), aumentando
•6•
ARTICOLI
DI INTERESSE
Lavori come questo dimostrano sempre più e sempre meglio che i meccanismi attraverso i quali l’esercizio fisico allunga la vita sono vari e vanno dalla riduzione della pressione arteriosa e del colesterolo, alla
abolizione del fumo, e che tali vantaggi si esplicano
meglio proprio in quei soggetti che già godono di un
rimedio molto vantaggioso in termini di miglioramento immediato delle qualità di vita come è quello dell’angioplastica. Pertanto si potrebbe concludere affermando che l’attività fisica aerobica deve essere considerata una ottima medicina a basso costo, quanto
mai utile ed attuale nella odierna sanità ad alto costo!
mica e che è però quella meno disponibile all’esercizio fisico. Sebbene tutto ciò faccia comprendere l’estrema utilità di un tale programma riabilitativo anche
in questo gruppo di pazienti, che sempre più spesso
effettuano una rivascolarizzazione parziale con angioplastica, (quest’ultima in aumento esponenziale dati i
più che soddisfacenti risultati ottenuti negli ultimi
anni), i vantaggi di un immediato benessere dopo la
procedura interventistica e il limitato periodo di ricovero, rendono il programma riabilitativo un desiderio
del medico non soddisfatto della stragrande maggioranza di questi pazienti. Per converso, dopo un certo
periodo di relativo “self-control” del paziente per quel
che riguarda il suo stile di vita, come avviene più frequentemente dopo un evento infartuale, l’effettuare
una angioplastica ridona fiducia nel proprio stato di
salute e consente di dimenticare presto le restrizioni e
gli obblighi di uno stile di vita al quale, spesso con difficoltà, il medico convince il paziente ad adattarsi
prima della rivascolarizzazione.
Alfredo R. Galassi
Divisione Clinicizzata di Cardiologia
Dipartimento di Medicina Interna
e delle Patologie Sistemiche
Università di Catania, Ospedale Ferrarotto
Via Citelli, 1 - Catania
[email protected]
L’INFORMAZIONE CARDIOLOGICA
ULTIMISSIME
IN
2002;22:7-8
CARDIOLOGIA
Meglio l’amiodarone della lidocaina nella fibrillazione ventricolare
resistente allo shock elettrico
Molti degli arresti cardiaci che si verificano fuori
degli ospedali sono causati da un disturbo del ritmo
cardiaco, potenzialmente fatale, denominato fibrillazione ventricolare o FV. Sfortunatamente meno del
10% dei soggetti colpiti da fibrillazione ventricolare
sopravvive. Questi pazienti sono destinati a morire se
entro 5-7 minuti non vengono sottoposti alla rianimazione cardio-polmonare (CPR) e allo shock elettrico
(defibrillazione) attuati allo scopo di ottenere una
minima ossigenazione e il ripristino del normale battito cardiaco. Una precoce CPR è quindi essenziale e
deve essere rapidamente seguita da una defibrillazione elettrica.. Se la defibrillazione non agisce immediatamente, il passo successivo consiste nella somministrazione di un farmaco anti-aritmico, seguito da ulteriori defibrillazioni. In queste situazioni di arresto cardiaco il farmaco tradizionalmente utilizzato risulta
essere la lidocaina(1 Eisenberg MS, N Engl J Med 2001;344:1304-13), ma fino
ad ora i farmaci anti-aritmici comunemente impiegati
non erano stati scientificamente confrontati per stabilire quale fosse il più efficace. Nel 2000 le linee guida
dell’American Hear t Association Advanced Life
Support (2 Circulation 2000;102:Suppl I:I-112) hanno raccomandato
come alternativa l’amiodarone, senza per altro risolvere la controversia su quale fosse il farmaco preferibile. Lo studio ALIVE (Amiodarone versus Lidocaine
In prehospital Ventricular Fibrillation) è la prima ricerca che ha fatto un confronto testa a testa dei due farmaci, somministrati a random e in cieco dal personale infermieristico del Toronto Emergency Medical
System in 347 pazienti con arresto cardiaco.
Risultati dell’end point primario: Percentuale dei
pazienti sopravvissuti fino al ricovero in ospedale
• Amiodarone ev 22,8%, lidocaina ev. 12%;
riduzione del rischio del 52% (p<0,008) nei
pazienti con tempo medio fino alla somministrazione del farmaco di 25±8 min. (fig.1).
• Amiodarone ev 28,1%, lidocaina ev 15% nei
pazienti che hanno ricevuto il farmaco più
precocemente rispetto al tempo medio fino
alla somministrazione del farmaco in studio
(<24 min.) (p<0,05).
•7•
ULTIMISSIME
•
•
Amiodarone ev 18%, lidocaina ev 6% nei
pazienti che hanno ricevuto il faermaco più
tardi rispetto al tempo medio fino alla somministrazione del farmaco dello studio (>24
min.).
Amiodarone ev 46%, lidocaina ev 25% nei
casi in cui è stata osservata una circolazione
•
spontanea prima della somministrazione del
farmaco dello studio
Amiodarone ev 19,9%, lidocaina ev 10,9% nei
casi in cui non è stata osservata una circolazione spontanea transitoria prima della somministrazione del far maco dello studio
(Fig.2).
Figura 1 - F REQUENZA DI SOPRAVVIVENZA AL MOMENTO DEL
RICOVERO IN
OSPEDALE
IN TUTTI PAZIENTI IN RELAZIONE ALLA
LUNGHEZZA DEL TEMPO INTERCORSO TRA LA PARTENZA DELL’EQUIPAGGIO DEL SERVIZIO MEDICO DI EMERGENZA E LA SOMMINISTRAZIONE DEL FARMACO DELLO STUDIO
MOSTRATO SOPRA OGNI COLONNA).
I
(IL
TEMPO MEDIO±SD È
SOGGETTI TRATTATI PRECO-
CEMENTE HANNO RICEVUTO IL FARMACO DELLO STUDIO PRIMA O
AL TEMPO MEDIANO DELL’INTERVENTO DI EMERGENZA
(24
MIN.); I
PAZIENTI TRATTATI TARDIVAMENTE HANNO RICEVUTO IL FARMACO
DOPO TALE TEMPO MEDIANO.
SECONDO L’ANALISI
DI REGRESSIO-
NE LOGISTICA MULTIPLA, LA SOPRAVVIVENZA È STATA MIGLIORE
CON L’AMIODARONE IN TUTTI GLI INTERVALLI MISURATI, E IL BENEFICIO È RISULTATO ESSERE CONSISTENTE SIA CON LA SOMMINISTRAZIONE PRECOCE CHE CON QUELLA TARDIVA.
(per gentile concessione dell’Editore)
Figura 2 - EFFETTO DEL TRATTAMENTO CON AMIODARONE O LIDOCAINA SULLA FREQUENZA DI SOPRAVVIVENZA AL MOMENTO DEL
RICOVERO IN OSPEDALE, IN TUTTI I PAZIENTI E NEI SOTTOGRUPPI. IL
SOTTOGRUPPO CON RITORNO SPONTANEO DELLA CIRCOLAZIONE
COMPRENDE I CASI CON UNA CIRCOLAZIONE SPONTANEA TRANSITORIA PRIMA DELLA SOMMINISTRAZIONE DEL FARMACO DELLO STUDIO
(13%
NEL GRUPPO AMIODARONE E IL
6%
IN QUELLO DELLA LIDO-
CAINA, P=0,04)
(per gentile concessione dell’Editore)
COMMENTO
LA
LIDOCAINA COME TRATTAMENTO AGGIUNTIVO PRIMA DEL RICOVERO IN OSPEDALE DELLA FIBRILLAZIONE VENTRICOLARE RESISTENTE ALLO SHOCK
E PER LA PREVENZIONE DELLE RICORRENZE DOPO UNA CARDIOVERSIONE EFFICACE, AUMENTA LE ASISTOLIE RISPETTO ALL’ADRENALINA(3 WEAVER WD,
CIRCULATION 1990;82:2027-34)
1981;48:353-56; 5 O
DW, A E
M 1988;13:807-10)
, NON È RISULTATA ESSERE MIGLIORE DEL PLACEBO(2) E DEL BRETILIO(4 H RE, A J C
SULLA
COME FARMACO BLOCCANTE I CANALI DEL SODIO, LA LIDOCAINA, PUÒ SVOLGERE UN’AZIONE PROARITMICA NEL MIOCARDIO ISCHEJF, J C
P
1995;25:810-16)
MICO(6 A
. L’AMIODARONE EV RISULTA ESSERE EFFICACE NELLA PREVENZIONE DELLA FV RICORRENTE E DELLA TACHIPR, C
1995;92:3255-63; 8 L
JH J A C
C
1996;27:67-75)
CARDIA VENTRICOLARE INSTABILE, RESISTENTI A LIDOCAINA E PROCAINAMIDE(7 K
. NELLO STUDIO
(9 K
K PJ
NGL
ED 1999;341:871-78)
ARREST L’AMIODARONE HA AUMENTATO LA SOPRAVVIVENZA RISPETTO AL PLACEBO
LA SOMMINISTRAZIONE PER VIA
ENDOVENOSA DELL’AMIODARONE FUORI DELL’OSPEDALE PRESENTA QUALCHE PROBLEMA PERCHÉ PRODUCE EFFETTI SECONDARI COME IPOTENSIONE
ARTERIOSA, BRADICARDIA, AUMENTO DELLA SISTOLE ELETTRICA E PERCHÉ LA SOLUZIONE DEVE ESSERE PREPARATA AL MOMENTO CON CONSUMO DI
TEMPO(7). I RISULTATI DELLO STUDIO ALIVE SONO MOLTO INTERESSANTI PERCHÉ DIMOSTRANO PER LA PRIMA VOLTA CHE L’AMIODARONE AUMENTA
NOTEVOLMENTE RISPETTO ALLA LIDOCAINA LA SOPRAVVIVENZA ALL’ARRIVO IN OSPEDALE DEI SOGGETTI CON FIBRILLAZIONE VENTRICOLARE RESIP.
.NE
J M 2002;346:884-90)
STENTE ALLO SHOCK(D
.
AYNES
M
ARDIOL
LSON
NN
SOPRAVVIVENZA.
UPETIT
ARDIOVSC
HARMACOL
OWEY
IRCULATION
UDENCHU
ORIAN
ET AL
NGL
ED
•8•
EVINE
N E
J M
M
OLL
ARIOL
MERG
ED
L’INFORMAZIONE CARDIOLOGICA
ARTICOLI
2002;22:9-12
DI INTERESSE
L’Acido Folico Previene la Tolleranza ai Nitrati
e la Disfunzione Endoteliale Indotta dalla Nitroglicerina
F OLIC A CID P REVENTS N ITROGLYCERIN -I NDUCED N ITRIC
OXIDE SYNTHASE DYSFUNCTION AND NITRATE TOLERANCE
A HUMAN IN VIVO STUDY
GORI T, BURSTEIN JM, AHMED S ET AL.
CIRCULATION. 2001;104:1119-1123
A
INTRODUZIONE ALL’ARGOMENTO
E SCOPI DEL LAVORO
In volontari sani, la somministrazione continuata di
nitroglicerina causa una disfunzione della ossido nitrico sintasi, probabilmente attraverso la ridotta biodisponibilità di tetraidrobiopterina. Recenti ricerche
hanno proposto che l’acido folico sia coinvolto nella
rigenerazione della tetraidrobiopterina. Pertanto questo studio ha avuto lo scopo di valutare se la somministrazione di acido folico possa prevenire la disfunzione dell’ossido nitrico sintasi e, di conseguenza, la
tolleranza alla nitroglicerina.
B
METODI, CASISTICA
Ad una prima visita, 18 volontari sani maschi (in
età compresa tra 19 e 32 anni) sono stati randomizzati a ricevere o acido folico per via orale (10 mg una
volta al giorno) o placebo, per una settimana, in uno
studio in doppio cieco.
Tutti i soggetti ricevevano anche nitroglicerina transdermica in maniera continua (0.6 mg/h).
Ad una seconda visita è stato misurato il flusso sanguigno nell’avambraccio, mediante pletismografia ad
occlusione venosa, in risposta a infusioni incrementali
di acetilcolina, di N-monometil-L-arginina e di nitroglicerina.
C
Figura 1 - A IL
FLUSSO EMATICO DELL’AVAMBRACCIO
(ESPRESSO
COME VARIAZIONE IN RAPPORTO AL BRACCIO NON PERFUSO ) È
AUMENTATO IN PROPORZIONE ALLE DOSI INCREMENTALI DI ACETILCOLINA
(ACL)
NEL GRUPPO TRATTATO CON ACIDO FOLICO
(COLONNA
NERA) MENTRE NON SI È MODIFICATO NEL GRUPPO CON PLACEBO
(COLONNE
RISULTATI
BIANCHE), PERCHÉ IN QUEST’ULTIMO SI È SVILUPPATA
TOLLERANZA IN SEGUITO ALLA SOMMINISTRAZIONE CONTINUATA DI
L’acido folico ha prevenuto la disfunzione endoteliale indotta dalla nitroglicerina, valutata con le risposte
all’acetilcolina e alla N-monometil-L-arginina intraarteriose. Inoltre, nei soggetti trattati con acido folico
e nitroglicerina transdermica le risposte alla nitroglicerina intra-arteriosa erano significativamente maggiori di quelle osservate dopo nitroglicerina e placebo
(Fig. 1).
NITROGLICERINA.
RISPOSTE INIBITORIE ALLA
ARGININA
B LE
(L-NMMA),
ANTAGONISTA DELL’OSSIDO NITRICO SINTASI,
N-MONOMETIL-L-
SONO PIÙ MARCATE NEL GRUPPO TRATTATO CON ACIDO FOLICO.
LA
C
REATTIVITÀ VASCOLARE ALLA INFUSIONE INTRARTERIOSA DI DUE
CONCENTRAZIONI DI NITROGLICERINA
(GTN 11
E
22NMOL/MIN)È
PRESENTE IN TUTTI I SOGGETTI ; NEL GRUPPO CON PLACEBO È
AUMENTATA DEL
93%,
NEL GRUPPO IN TRATTAMENTO CON ACIDO
FOLICO IL FLUSSO È AUMENTATO DELLO
(per gentile concessione dell’Editore)
•9•
183%.
ARTICOLI
DI INTERESSE
CONCLUSIONI
I benefici effetti dei nitrati nei pazienti con cardiopatia ischemica e scompenso cardiaco congestizio sono
legati essenzialmente alla vasodilatazione delle vene
di capacitanza e delle arterie di conduttanza. La dilatazione delle vene di capacitanza riduce il ritorno
venoso, il precarico ventricolare sinistro e quindi la
tensione di parete, abbassando così la richiesta miocardica di ossigeno e migliorando il flusso subendocardico. La dilatazione delle arterie di conduttanza
abbassa, per converso, il post-carico ventricolare, un
altro determinante del consumo miocardico di ossigeno.
I nitrati inoltre dilatano le arterie coronarie epicardiche, inclusi i segmenti stenotici, migliorando l’apporto
di ossigeno al miocardio. Detti farmaci sono poi in
grado di aumentare il flusso sanguigno alle aree
ischemiche, in particolare al subendocardio, dilatando
circoli collaterali e riducendo la pressione diastolica
ventricolare, diminuendo così la compressione sul
subendocardio(6 Wood AJ, N Engl J Med 1998;338:520-531).
Gli effetti dei nitrati sui diversi distretti vascolari
sono dose-dipendenti, in quanto a concentrazioni più
basse i nitrati agiscono prevalentemente sulle vene di
capacitanza e le arterie di conduttanza, sezioni vascolari che presentano la maggiore capacità di metabolizzare i nitrati in ossido nitrico. Al contrario, nelle
arteriole e negli altri piccoli vasi l’attività degli enzimi
specifici è praticamente trascurabile(7 Kurz MA, Circ Res 1991;68:84755)
.
Alle dosi usate in clinica i nitrati non hanno effetto
sui vasi coronarici di resistenza, riducendo così il
rischio di ischemia miocardica dovuta al furto coronarico, che può - per converso - verificarsi con farmaci
come il dipiridamolo o le diidropiridine a breve durata
d’azione, che causano dilatazione arteriolare(8 Fam WM, Circ
Res 1968;22:649-59)
.
Quindi i nitrati possiedono un’unica combinazione
di effetti vascolari, che può favorevolmente influire sul
disaccoppiamento fra apporto e domanda di ossigeno
miocardico in pazienti con malattia coronarica.
Questi dati dimostrano che un supplemento di acido
folico previene sia la disfunzione della ossido nitrico
sintasi indotta dalla somministrazione continua di
nitroglicerina, sia la tolleranza ai nitrati, in volontari
sani. Gli Autori dello studio ipotizzano che la ridotta
biodisponibilità di tetraidrobiopterina, indotta dallo
stress ossidativo, sia implicata nella patogenesi di
entrambi i fenomeni.
INQUADRAMENTO
TERAPIA CON NITRATI
NELLA CARDIOPATIA ISCHEMICA
Nel 1879 William Murrell diede inizio alla terapia
antianginosa moderna somministrando per via sublinguale, a pazienti sintomatici, una soluzione all’1% di
nitroglicerina che aveva l’effetto di alleviare il dolore
toracico e prevenire ulteriori attacchi(1 Murrell M, Lancet 1879;1:8081)
.
Oggigiorno i nitrati organici rappresentano un cardine fondamentale nel trattamento della cardiopatia
ischemica e dello scompenso cardiaco.
I nitrati organici più comunemente usati sono la
nitroglicerina, l’isosorbide dinitrato e l’isosorbide
mononitrato. Questi farmaci sono disponibili in una
varietà di formulazioni con differenti vie di somministrazione, dato che possono essere rapidamente
assorbiti dal tratto gastrointestinale, dalla pelle e dalle
membrane mucose.
I nitrati organici sono dei profarmaci, e devono
essere biodegradati per avere effetti terapeutici.
Questa biotrasformazione, operata da vari enzimi (dal
glutatione S-transferasi, dal citocromo P-450 e forse
dalle esterasi), implica la denitrazione del nitrato, con
la conseguente liberazione di ossido nitrico. L’esatto
meccanismo attraverso il quale i nitrati organici sono
sottoposti a denitrazione rimane controverso. Benché
sia stato originariamente proposto che i gruppi sulfidrilici ridotti siano un substrato essenziale per la bioconversione, essi sono probabilmente richiesti soltanto come cofattori(2 Fang HL, Am J Cardiol 1992;70:4B-10B).
L’ossido nitrico stimola la guanilato ciclasi che
determina la conversione della guanosina trifosfato
(GTP) in guanosina monofosfato ciclico (GMPc), che
a sua volta attiva una protein-kinasi GMPc- dipendente. Questo enzima media la vasodilatazione, attraverso la fosforilazione inibitoria di differenti proteine
implicate nella regolazione dei livelli intracellulari di
Ca++(3 Katsuki S, Mol Pharmacol 1977;13:330-341).
In aggiunta all’effetto vasodilatante, l’ossido nitrico
riduce l’aggregazione piastrinica(4 Kelly RA, Circ Res 1996;79:363-80).
La somministrazione di nitrati organici ha effetti simili(5 Loscalzo I, J Clin Invest 1985;76:703-708).
Poiché la disponibilità di ossido nitrico è ridotta in
una varietà di condizioni legate alla disfunzione endoteliale, è possibile che i nitrati organici, come donatori
esogeni, rimpiazzino il deficit di ossido nitrico presente nei vasi aterosclerotici.
LA TOLLERANZA AI NITRATI
Il valore clinico della terapia a lungo termine con
nitrati è limitato dall’insorgenza di tolleranza per gli
effetti emodinamici e clinici. Per esempio, con la somministrazione prolungata, si ha una diminuzione dell’effetto ipotensivo, del mal di testa e della capacità di
esercizio, e un incremento della frequenza di ischemia
miocardica. Stewart riconobbe la tolleranza ai nitrati
più di cento anni fa, e segnalò la necessità di aumentare le dosi di nitroglicerina per mantenere l’effetto
terapeutico in un paziente in terapia cronica con nitrati per “nefrite parenchimatosa”(9 Stewart DD, Polyclinic 1888;6:43). Da
allora, la tolleranza ai nitrati è stata dimostrata in studi
sperimentali sia in vitro che in vivo. Tuttavia il meccanismo che sottende al suo sviluppo non è stato
ancora completamente chiarito.
Le elevate concentrazioni plasmatiche notate nel
corso di trattamenti prolungati rendono poco probabili, come cause, il ridotto assorbimento, l’aumentato
• 10 •
ARTICOLI
DI INTERESSE
metabolismo o una più rapida eliminazione dei nitrati
e dei loro metaboliti attivi(10 Thadani U, Circulation 1980;62:491-502).
La tolleranza ai nitrati sembra essere invece un
fenomeno complesso dipendente da diversi altri meccanismi. Questi ultimi varierebbero a seconda della
situazione di studio (in vivo o in vitro), del letto
vascolare (i fenomeni di tolleranza sono più spiccati
nel letto venoso), dello specifico composto studiato,
della dose somministrata, e della patologia sottostante.
quali un’aumentata produzione di endotelina-1 e l’attivazione della Protein Kinasi-C (PKC) endoteliale, che
causa un’aumentata sensibilità dei vasi ai neuroormoni circolanti, quali catecolamine, angiotensina II
e serotonina, i quali comprometterebbero il potere
vasodilatante della nitroglicerina(19 Munzel T, J Clin Invest 1995;95:18794)
.
Ipotesi dell’Espansione del Volume Plasmatico
Secondo questa ipotesi l’espansione del volume
plasmatico indotta dai nitrati si contrappone agli effetti dei nitrati sul pre-carico ventricolare. La causa dell’espansione è incerta, tuttavia non sembra essere
legata alla ritenzione di sodio(20 Dupuis J, J Am Coll Cardiol 1990;16:92331)
, ma ad uno spostamento di fluidi dal compartimento extra-vascolare a quello intra-vascolare.
L’espansione persiste per diversi giorni nel corso di
terapie prolungate con nitroglicerina, il che suggerisce
come tali effetti dei nitrati continuino nonostante l’insorgenza più precoce di tolleranza emodinamica(21 Parker
JD, J Am Coll Cardiol 1993;21:445-53)
. Inoltre tentativi di prevenire lo
sviluppo della tolleranza con diuretici hanno dato
risultati contrastanti(22 Parker JD, J Am Col Cardiol 1992;20:616-22).
MECCANISMI PROPOSTI PER LO SVILUPPO
DELLA TOLLERANZA AI NITRATI
Ipotesi della Deplezione Sulfidrilica
La perdita dell’efficacia dei nitrati sarebbe legata
alla deplezione dei gruppi sulfidrilici ridotti necessari
per la biotransformazione del nitrato organico inossido nitrico. In particolare, i nitrati organici reagirebbero con gruppi sulfidrilici ridotti a livello del
muscolo liscio vasale, portando alla formazione di
ponti disolfuro. Il recettore del nitrato così, in forma
disulfidrilica, presenterebbe una minore affinità per la
nitroglicerina (11 Needleman P, J Phar macol Exp Ther 1973;184:709-15) .
Quest’ipotesi tuttavia è abbastanza controversa.
Infatti, in uno studio in vivo, i livelli tiolici, venosi e
arteriosi, erano simili in animali tolleranti e non tolleranti, dimostrando come la terapia con nitrati non sia
associata a deplezione tissutale di gruppi tiolici (12
Boesgaard S, Circ Res 1994;74:115-20)
e suggerendo pertanto come
questa non possa essere la causa della tolleranza.
Inoltre, benché donatori di gruppi sulfidrilici esogeni
possano restaurare la responsività ai nitrati di pazienti
resi tolleranti(13 May DC, N Engl J Med 1987;317:805-809), tali farmaci come la N-acetilcisteina - potenziano gli effetti ipotensivi della nitroglicerina anche in assenza di tolleranza(14 Horowitz JD, Circulation 1983;68:1247-53). Da ciò può dedursi che
l’aumento della responsività vascolare da parte di
donatori sulfidrilici non deve essere interpretato
necessariamente come un’eliminazione della tolleranza, dato che l’aumentata responsività e la tolleranza ai
nitrati possono avvenire con meccanismi indipendenti(15 Fung HL, J Pharmacol Exp Ther 1988;245:524-30).
Ipotesi dei Radicali Liberi dell’Ossigeno
Osservazioni sperimentali e cliniche suggeriscono
che la tolleranza possa essere la conseguenza di
un’aumentata produzione di radicali liberi, ed in particolare di anione superossido, da parte dell’endotelio,
secondaria all’attivazione da parte della nitroglicerina
delle ossidasi NAD(P)H-dipendenti di membrana e
della ossido nitrico sintasi endoteliale (eNOS)(23 Rajagopalan
S, J Clin Invest 1996;97:1916-23)
.
L’anione superossido prodotto da questi sistemi
enzimatici, degrada l’ossido nitrico derivato dalla
nitroglicerina, per formare perossinitrito; evidenze per
questo processo sono fondate sull’osservazione di un
aumento delle concentrazioni urinarie di 3-nitrotirosina in soggetti tolleranti ai nitrati(24 Skatchkov M, J Cardiovasc Pharmacol
Ther 1997;2:85-96)
.
Fondamentale per l’aumento di produzione di superossido mediante l’ossido nitrico-sintasi, è la diminuzione del substrato L-arginina oppure di un critico
cofattore dell’enzima quale la tetraidrobiopterina(25
Vasquez-Vivar J, Proc Natl Acad Sci U S A 1998;9220-25)
. Quando i livelli di
tetraidrobiopterina cadono al di sotto della concentrazione richiesta per saturare l’enzima (2 µmol/L), il
superossido si forma dalla riduzione catalizzata dall’eme dell’ossigeno molecolare(26 Stuehr D, J Biol Chem 2001;276:14533-536).
Ipotesi dell’Attivazione Neuro-Ormonale
Secondo l’ipotesi neuro-ormonale la somministrazione di nitrati è associata ad una liberazione riflessa
di diversi ormoni vasocostrittori, che riducono l’effetto
vasodilatante dei nitrati.
Benché alcuni studi abbiano documentato un’attivazione simpatica, con aumentate concentrazioni plasmatiche di catecolamine, renina e arginina-vasopressina(16 Parker JD, Circulation 1991;84:2336-45), altri studi non l’hanno
confermata(17 Katz RJ, Circulation 1991;83:271-77). Inoltre, tentativi di
prevenire la tolleranza con ACE-inibitori hanno avuto
successo soltanto in una parte degli studi(18 Muiesan ML, Eur
Heart J 1993;14:1701-08)
. Recenti evidenze, piuttosto, suggeriscono che la somministrazione di nitroglicerina sia
accompagnata da risposte controregolatorie locali,
COMMENTO SPECIFICO
SUL LAVORO CONSIDERATO
Gori e collaboratori riportano, nell’articolo citato,
che un semplice intervento farmacologico, rappresentato dalla somministrazione di acido folico, può prevenire la tolleranza ai nitrati e la cross-tolleranza all’ossido nitrico endoteliale.
Basandosi su precedenti lavori in vitro(27 Stroes ESG, Circ Res
• 11 •
ARTICOLI
DI INTERESSE
2000;86:1129-34)
e in vivo in soggetti umani con e senza iperomocistinemia(28 Vehaar MC, Circulation 1999;100:335-38), questi ricercatori postulano che l’acido folico aumenti la biodisponibilità della tetraidrobiopterina in condizioni di stress
ossidativo, che si verificano con la somministrazione a
lungo termine di nitroglicerina. Si è supposto che l’acido folico sia implicato nella rigenerazione della
forma ridotta della tetraidrobiopterina e/o nell’interazione funzionale fra la tetraidrobiopterina e l’ossido
nitrico-sintasi. Il risultato dei loro studi supporta tale
ipotesi, ma questa manca tuttora, alla base, di un
chiaro e certo meccanismo.
In condizioni di iperomocistinemia, i benefici dell’acido folico sono ben delineati: il folato è richiesto per
la rimetilazione dell’omocisteina a metionina, che a
sua volta, riduce la concentrazione di omocisteina
disponibile per sostenere lo stress ossidativo(29 Loscalzo J, J
Clin Invest 1996;98:5-7)
. Tuttavia, in assenza di iperomocistinemia, il meccanismo d’azione del folato non è evidente.
Il folato è una vitamina essenziale per le reazioni di
metilazione. Il folato introdotto con la dieta deve essere ridotto a tetraidrofolato per entrare nel ciclo di
metilazione, e questa riduzione è operata dalla diidrofolato-reduttasi usando NADPH come cofattore.
L’NADPH è anche richiesto come cofattore per l’attività della ossido nitrico-sintasi e per la sintesi della
tetraidrobiopterina. In assenza di adeguate concentrazioni di NADPH, come per esempio a seguito dell’esposizione cronica ai nitrati, si ha un disaccoppiamento della ossido nitrico-sintasi endoteliale, che devìa la
sua attività enzimatica dall’ossidazione della L-arginina alla riduzione dell’ossigeno molecolare. Tale disaccoppiamento sarebbe il meccanismo comune sia
della tolleranza ai nitrati organici sia della cross-tolleranza all’ossido nitrico endogeno. Così, una plausibile
argomentazione per quanto concerne i benefici del
folato nella tolleranza ai nitrati è che quest’ultimo
competa con la ossido nitrico-sintasi per l’utilizzo del
NADPH. Non ci sono evidenze per rifiutare o supportare tale meccanismo(27).
Qualunque sia il preciso meccanismo molecolare,
l’osservazione che questo semplice intervento aumenta la funzione endoteliale e migliora la tolleranza ai
nitrati, ha grandi implicazioni cliniche. I benefici della
tetraidrobiopterina nella tolleranza ai nitrati sono stati
dimostrati, ma problemi di sicurezza e di costo rendono una sua aggiunta improponibile. Al contrario, l’acido folico, offrendo notevole sicurezza ed essendo economicamente conveniente, specialmente se somministrato nella forma fisiologica attiva di metiltetraidrofolato di calcio, è il candidato quasi ideale ad una introduzione farmacologica. Questi dati, se confermati,
possono essere generalizzati per raccomandare un
largo uso del metiltetraidrofolato di calcio nei pazienti
con malattia vascolare atero-trombotica, indipendentemente dalla condizione di omocisteinemia.
Prevenendo il disaccoppiamento della ossido nitricosintasi e la sua generazione di anione superossido,
questo semplice trattamento potrebbe migliorare la
funzione endoteliale e vascolare.
Chiaramente, tali miglioramenti a breve termine
della funzione vascolare dovrebbero essere valutati in
studi a più lungo termine che abbiano end-points clinici ben definiti. Ciononostante i risultati presentati
incoraggiano ad intraprendere ulteriori sperimentazioni di questa semplice strategia di trattamento con
folato. Quest’ultimo potrebbe essere somministrato
sia per prevenire la tolleranza ai nitrati - e con ciò si
estenderebbe l’uso di questi vecchi farmaci - sia per
migliorare la funzione endoteliale in pazienti a rischio
di malattie aterotrombotiche.
Francesco Iachini Bellisarii
Raffaele De Caterina
Cattedra di Cardiologia
Università degli Studi “G. d’Annunzio” - Chieti
• 12 •
L’INFORMAZIONE CARDIOLOGICA
ARTICOLO
2002;22:13-14
DI INTERESSE
La Calcificazione dell’Anello Mitralico
come Manifestazione di Aterosclerosi
ASSOCIATION BETWEEN MITRAL ANNULAR CALCIUM
C AROTID A RTERY S TENOSIS AND R OLE OF A GE
GENDER.
ANTONINI-CANTERIN F, CAPANNA M, MANFRONI A
AM J CARDIOL 2001; 88: 581-583
AND
AND
ET. AL.
INTRODUZIONE
Vari studi recenti avvalorano l’ipotesi che le calcificazioni dell’anello mitralico rappresentino, in realtà,
un segno di aterosclerosi. Le calcificazioni dell’anello
mitralico si associano, infatti, a malattia delle arterie
coronarie, a placche ateromasiche aortiche ed a
vasculopatia periferica.
Gli obiettivi dello studio di Antonini-Canterin e coll.
sono stati quelli di verificare l’associazione tra le calcificazioni dell’anello mitralico e la malattia aterosclerotica delle carotidi e quello di valutare le correlazioni
di questa patologia con l’età e il sesso.
Figura 1 - ECOCARDIOGRAMMA
TRANSTORACICO BIDIMENSIONA-
LE IN UN SOGGETTO CON CALCIFICAZIONE DELL’ANELLO MITRALICO.
NELLA
PROIEZIONE APICALE
4
CAMERE SI EVIDENZIA ALLA
BASE DEL LEMBO MITRALICO POSTERIORE
(FRECCIA)
UN AREA
CIRCOSCRITTA, DENSA, ALTAMENTE RIFLETTENTE, PRODOTTA DA
DEPOSIZIONE DI CALCIO.
(per gentile concessione dell’Editore)
sesso, l’associazione tra calcificazioni dell’anello
mitralico e stenosi delle carotidi risultava essere significativa negli uomini di età inferiore a 75 anni e nelle
donne di età maggiore o uguale a 75 anni(1 Antonini-Canterin F,
Am J Cardiol 2001;88:581-83)
.
METODI E CASISTICA
Gli Autori hanno identificato, all’interno del loro
database, tutti i pazienti che hanno avuto la diagnosi
ecocardiografica di calcificazione dell’anello mitralico
e che sono stati sottoposti ad una esplorazione sonografica delle carotidi per motivi clinici diversi. Sono
stati così identificati 128 pazienti; è stato scelto un
gruppo di controllo di 128 soggetti senza evidenza
ecocardiografica di calcificazioni dell’anello mitralico,
anch’essi sottoposti a studio ecografico delle carotidi.
Tra i due gruppi non vi erano differenze significative
per quanto concerne la ipercolesterolemia, il fumo, l’ipertensione arteriosa, il diabete mellito, l’anamnesi
familiare di coronaropatia o l’indicazione clinica allo
studio ecografico delle carotidi.
COMMENTO
La calcificazione dell’anello mitralico come manifestazione di aterosclerosi.
La calcificazione dell’anello mitralico è un processo
degenerativo cronico che coinvolge la componente
fibrosa della base dell’apparato mitralico. Si manifesta
più frequentemente in età avanzata e nelle donne. In
genere le calcificazioni non interferiscono con il funzionamento della valvola, ad eccezione di casi estremi
quando possono determinare una insufficienza valvolare.
La calcificazione dell’anello mitralico è stata associata ad alcuni fattori di rischio cardiovascolare, quali
ipertensione, diabete, dislipidemia. Inoltre, si associa
a dilatazione atriale sinistra, cardiomiopatia ipertrofica, fibrillazione atriale, eventi cerebrovascolari, calcificazione della valvola aortica e stenosi aortica. Anche
disturbi di conduzione come la malattia del nodo del
seno, il blocco atrioventricolare, l’emiblocco anteriore
sinistro ed altri disturbi di conduzione intraventricolare
sono risultati essere associati alla presenza di calcificazioni dell’anello mitralico(2 Adler Y, Atherosclerosis 2001;155:1-8).
RISULTATI
Una stenosi carotidea significativa (maggiore o
uguale al 50% del diametro del lume) è stata identificata nel 43.8% dei pazienti con diagnosi ecocardiografica di calcificazioni dell’anello mitralico e solo nel
22.6% di quelli appartenenti al gruppo di controllo
(Fig, 1).
Considerando insieme l’influenza dell’età e del
• 13 •
ARTICOLI
DI INTERESSE
ga anche un meccanismo legato all’osteoporosi(2).
L’associazione tra calcificazioni dell’anello mitralico
e ictus non è stata ancora chiarita. Nella casistica di
Aronow e coll. i pazienti con calcificazioni dell’anello
mitralico e stenosi severe delle carotidi avevano un
rischio 1.5 volte superiore di sviluppare un ictus
rispetto ai pazienti che presentavano solo stenosi delle
carotidi(5 Aronow WS, Am J Cardiol 1992;70:123-34). Nella più ampia casistica (657 pazienti) studiata da Boon e coll. però non
è stata rilevata una differenza statisticamente significativa tra pazienti con e senza calcificazioni dell’anello
mitralico, in termini di ictus(6, Boon A, J Neurol 1997;244:534-41).
Anche Adler e coll. hanno suggerito che il rischio
aumentato di ictus dei pazienti con calcificazioni dell’anello mitralico potrebbe non essere dovuto alla calcificazione stessa ma alla sua associazione con altri
fattori di rischio per ictus, quali le placche ateromasiche aortiche ed in particolare quelle complesse, ad
elevato rischio embolico (spessore uguale o superiore
a 5 mm, protrudenti, ulcerate o con elementi mobili
intraluminali)(7, Adler Y, Atherosclerosis 2000;152:451-56).
Studi anatomo-patologici hanno permesso di identificare la presenza di cellule schiumose nell’endotelio
delle arterie coronarie epicardiche, sulla superficie
ventricolare del lembo mitralico posteriore e sul versante aortico delle cuspidi coronariche, in soggetti di
età compresa fra 13 e 39 anni. Tali raggruppamenti di
cellule schiumose rappresentano lesioni aterosclerotiche iniziali, suggerendo in questo modo che sia l’aterosclerosi coronarica sia le calcificazioni dell’anello
mitralico e delle cuspidi aortiche, patologie frequenti
in età avanzata, abbiano un’eziologia comune(3 Roberts WC,
Am J Cardiol 1986;58:57-64)
.
Già Aldler e coll. avevano dimostrato che l’incidenza di stenosi carotidee (> 40%) è significativamente
maggiore nei pazienti con calcificazioni dell’anello
mitralico. In particolare la presenza di calcificazioni
mitraliche di spessore superiore a 5 mm è predittiva
di malattia carotidea in più del 60% dei casi(4 Adler Y, Stroke
1998;29:1833-37)
.
Lo studio di Adler e quello italiano sono simili per
quanto riguarda il numero e l’età media dei
pazienti(1,4). Anche la prevalenza di malattia carotidea
nei pazienti con calcificazioni dell’anello mitralico è
simile nei due studi (il 43.8% dei soggetti studiati da
Antonini-Canterin e coll. presentavano stenosi carotidee >50% mentre il 45% di quelli studiati da Adler e
coll. presentavano stenosi >40%).
Adler e coll. dimostrano la presenza di una correlazione significativa tra la presenza di calcificazioni
mitraliche ed una più severa espressione di malattia
carotidea (più di due vasi malati o malattia presente
bilateralmente). Nella loro casistica, la presenza di
calcificazioni mitraliche e l’età sono fattori predittivi
indipendenti di malattia aterosclerotica carotidea(4).
Lo studio italiano ha il merito di valutare il ruolo
dell’età e del sesso nell’associazione tra stenosi carotidee e calcificazioni dell’anello mitralico. La predominanza maschile nella prevalenza dell’aterosclerosi e
della coronaropatia è stata già ampiamente dimostrata. Invece, la calcificazione dell’anello mitralico sembra essere prevalente nelle donne dopo la menopausa. Una possibile spiegazione è fornita da studi recenti nei quali è stato dimostrato che i depositi ectopici
di calcio nelle donne sono dovuti all’osteoporosi postmenopausale accelerata. Quindi la presenza di calcificazioni mitraliche negli uomini potrebbe essere
strettamente correlata all’aterosclerosi, mentre nelle
donne in età postmenopausale sembra che si aggiun-
IMPLICAZIONI CLINICHE
Gli studi finora disponibili mostrano una forte associazione tra le calcificazioni dell’anello mitralico e la
presenza di placche aterosclerotiche aortiche, stenosi
delle carotidi, delle arterie coronarie e malattia delle
arterie periferiche e sembrano confermare l’ipotesi
che la calcificazione dell’anello mitralico sia una
manifestazione dell’aterosclerosi, facilmente esplorabile attraverso l’ecocardiografia transtoracica. In questo modo, con un semplice metodo non invasivo si
otterrebbero informazioni utili circa la presenza di aterosclerosi vascolare generalizzata e s’identificherebbero i pazienti a rischio d’eventi coronarici o cerebrali,
che necessitano di una sorveglianza particolare e una
terapia aggressiva contro l’aterosclerosi (statine, adeguato controllo pressorio e glicemico, terapia antiaggregante etc.).
Cristina Constantin,
Stefano Ghio
Divisione di Cardiologia
Ospedale Policlinico San Matteo
Pavia, P.zzale Golgi 2, 27100
• 14 •
L’INFORMAZIONE CARDIOLOGICA
ARTICOLI
2002;22:15-17
DI INTERESSE
Disfunzione Microvascolare
nelle Occlusioni Coronariche Totali Croniche
M I C R O VA S C U L A R D Y S F U N C T I O N
CORONARY OCCLUSIONS
IN
altre condizioni associate o meno alla malattia coronarica aterosclerotica. La riserva della velocità di
flusso coronarica dipende dal comportamento di un
sistema a due componenti in cui il primo è rappresentato dai condotti epicardici ed il secondo dal letto
microcircolatorio. Un valore di riserva della velocità
di flusso coronarica assoluto normale esprime il normale comportamento di entrambi i compartimenti
ma un valore anormale non differenzia quale dei due
compartimenti sia responsabile della ridotta capacità
di vasodilatazione. Oltre al valore assoluto di riserva
di un determinato distretto è pertanto sempre necessario misurare un valore di riserva di un vaso di riferimento sano. La valutazione della riserva della velocità di flusso coronarica in vasi di riferimento permette di identificare l’esistenza di una malattia microvascolare diffusa o di condizioni emodinamiche diverse
in grado di limitare la riserva indipendentemente dal
grado di ostruzione del vaso testato. Il rapporto dei
valori del territorio vascolare testato e di quello di
riferimento viene definito come riserva della velocità
di flusso coronarica relativa. È stata dimostrata una
correlazione lineare fra la riserva della velocità di
flusso coronarica relativa e la riserva di flusso frazionale miocardico (RFF) pertanto, quando le misurazioni pressorie sono applicate ed interpretate in
maniera corretta, la semplice e rapida determinazione della riserva di flusso frazionale miocardica, costituisce l’indice più attendibile per riconoscere lesioni
emodinamicamente significative. Il raggiungimento
della massima iperemia, ottenuto mediante infusione
intracoronarica di adenosina, è essenziale per l’interpretazione delle misure della pressione coronarica e
per il calcolo della riserva di flusso frazionale. Se l’iperemia massima non viene completamente ottenuta
la reale severità della lesione è sottostimata.
Alla luce di questa premessa appare chiaro come
l’interesse maggiore per l’impiego delle guide di flusso e di pressione nella pratica clinica riguardi la valutazione del significato funzionale delle stenosi coronariche di grado intermedio o di morfologia ambigua,
il monitoragggio e la valutazione del risultato delle
procedure di angioplastica coronarica e la valutazione della funzione microcircolatoria. Nonostante ciò
alcune precauzioni sono necessarie e spesso la sola
integrazione delle due metodiche, come dimostrato di
seguito nel lavoro di Werner, consente di ottenere
informazioni fisiopatologiche adeguate.
C H R O N I C T O TA L
WERNER GS; FERRARI M, RICHARTZ BM
CIRCULATION 2001; 104:1129-1134
ET AL.
PREMESSA
Sebbene la coronarografia venga utilizzata per la
valutazione dei pazienti con malattia coronarica, le
limitazioni di questa tecnica sono ben note. In particolare, in alcuni pazienti il ruolo delle anomalie della
vasomotricità e della funzione microcircolatoria non
può essere determinato con la sola angiografia.
Attualmente sono state introdotte in sala di cateterismo nuove tecniche di valutazione funzionale della
stenosi coronarica basate sull’impiego di fili guida
muniti di trasduttori miniaturizzati di flusso (Doppler
wire) o di pressione (Pressure-wire). Entrambe possono fornire una valutazione accurata del significato
funzionale di stenosi coronariche subcritiche e di stenosi residue post-PTCA, distinguendole dalle anomalie della funzione microcircolatoria e della vasomotricità.
La guida di pressione permette di valutare in
maniera semplice e rapida la riserva del flusso frazionale miocardico (RFF), intesa come rapporto fra la
pressione prossimale in aorta e la pressione distale
ad una stenosi, essa rappresenta l’indice più attendibile per riconoscere lesioni emodinamicamente significative.
La guida di flusso (Doppler wire), che consente di
valutare la riserva della velocità di flusso coronarica
(RVFC) (intesa come differenza tra flusso coronarico
basale e flusso coronarico durante massima iperemia), è costituita da un filo guida dotato di un microtrasduttore piezoelettrico. La guida presenta caratteristiche analoghe a quelle dei fili guida utilizzati in
cardiologia interventistica, può essere avanzata attraverso la stenosi e consente la misurazione delle velocità di flusso anche nei segmenti distali delle coronarie. Diversi fattori possono influenzare la riserva della
velocità di flusso coronarica tra i quali: un aumento
delle richieste metaboliche e del flusso basale, la frequenza cardiaca, il pre-carico e la pressione di perfusione, la presenza di ipertrofia miocardica e di anomalie della funzione microcircolatoria quali si riscontrano in pazienti con diabete mellito, pregresso infarto miocardico, sindrome X, ipercolesterolemia ed
INTRODUZIONE
Grazie ai notevoli sviluppi tecnici che hanno per-
• 15 •
ARTICOLI
DI INTERESSE
RISULTATI
messo una miniaturizzazione dei trasduttori di pressione e Doppler, è oggi possibile una valutazione
fisiologica della lesione coronarica, attraverso lo studio della riserva della velocità di flusso coronarica
(RVFC). L’attendibilità di tale metodica dipende dall’integrità della microvascolatura periferica la quale
può essere alterata in situazioni quali infarto miocardico, ipertensione arteriosa, diabete mellito(1 Brush JE, New
Riserva della velocità di flusso coronarica: risultati
immediati ed a 24 ore
I valori di riser va di flusso coronarica erano
2.01±0.66. Il 55% dell’intera popolazione studiata presentava valori di riserva di flusso coronarica ≤2.0. I
ventuno pazienti ristudiati a 24 ore non mostravano
significative variazioni nei valori medi di riserva di
flusso coronarica
Riserva della velocità di flusso coronarica e riserva di
flusso frazionale miocardico dopo PTCA
In ventisette pazienti venivano eseguite entrambe le
metodiche. I valori di riserva di flusso frazionale miocardico dopo PTCA erano di 0.85±0.08. Non è stata
riscontrata alcuna correlazione fra i dati della riserva
della velocità di flusso coronarica e quelli della riserva
di flusso frazionale miocardico. Valori di riserva di
flusso coronarica ≤2.0 sono stati osservati in 16/27
pazienti (59%) ma in 14 (52%) i valori di riserva di
flusso frazionale miocardico erano ≥0.75. Solo in due
casi pari al 7.7% di questa popolazione si rilevavano
bassi valori sia di riserva della velocità di flusso coronarica che di riserva del flusso frazionale miocardico;
tali pazienti mostravano una diffusa malattia ateromasica nel tratto di vaso prossimale all’occlusione coronarica. In nessun caso viceversa venivano riscontrati
elevati valori di riserva della velocità di flusso coronarica in presenza di valori di riserva di flusso frazionale
miocardico ≤0.75 (Fig. 1).
England Journal of Medicine 1988;319:1302-07; 2 Uren NG, New England Journal of Medicine
1994;331:222-27; 3 Nahser PJ, Circulation 1995;91:635-40)
, situazioni spesso presenti in pazienti con malattia coronarica. Tecniche
come lo studio della riserva della velocità di flusso
coronarica o riserva del flusso frazionale miocardico
(RFF) sono state proposte come metodiche complementari in grado di fornire accurate informazioni sulla
valutazione fisiologica di un vaso coronarico.
Scopo del lavoro di Werner e coll è stato quello di
valutare la disfunzione microvascolare stimata
mediante sia la riserva della velocità di flusso coronarica che la riserva del flusso frazionale miocardico in
pazienti con occlusione coronarica cronica sottoposti
a ricanalizzazione mediante angioplastica coronarica
(PTCA) e stent.
METODI
Sono stati studiati 42 pazienti sottoposti con successo a ricanalizzazione coronarica. Era indispensabile che la durata dell’occlusione fosse superiore a
quattro settimane, che angiograficamente vi fosse un
flusso TIMI 0, che clinicamente fosse stata documentata l’evidenza di ischemia e di miocardio vitale nella
zona acinetica, mediante studio scintigrafico (PET).
Tutti i pazienti ricevevano PTCA e successivo
impianto di stent intracoronarico e nel 45% delle
lesioni venivano impiantati stent multipli. In tutti i
pazienti veniva eseguita la valutazione della riserva
della velocità di flusso coronarica mediante guida
Doppler. Il protocollo veniva modificato in corso di
studio e negli ultimi 27 pazienti veniva eseguito il calcolo sia della riserva della velocità di flusso coronarica che della riserva di flusso frazionale miocardico.
Infine i primi 21 pazienti venivano sottoposti ad
angiografia di controllo e misurazione della riserva
della velocità di flusso coronarica a ventiquattro ore
dalla procedura di PTCA.
Entrambe le metodiche sono state eseguite al termine della PTCA, con stenosi residua <20% previa
somministrazione intracoronarica in bolo di adenosina.
Sono stati considerati normali i valori di RVFC ≥2.0
ed i valori di RFF ≥0.75.
Pazienti con valori di riserva della velocità di flusso
coronarica ≤2.0 in assenza di stenosi residua,
mostravano disfunzione microvascolare e venivano
confrontati con quelli che avevano valori di riserva
della velocità di flusso coronarica ≥2.0.
Un’analisi biplana del ventricolo sinistro con successiva classificazione (normale, moderatamente
ipocinetico, severamente ipocinetico/acinetico) veniva effettuata in tutti i pazienti prima della PTCA.
Figura 1 - MISURE
SIMULTANEE DELLA RISERVA DELLA VELOCITÀ
DI FLUSSO CORONARICO
(RVFC) (IN ORDINATA) E DELLA RISER(RFF) MIOCARDICO (IN ASCISSA)
VA DELLA FRAZIONE DI FLUSSO
IN
27
SOGGETTI DOPO IL SUCCESSO DELLA RICANALIZZAZIONE
DELLA OCCLUSIONE CORONARICA TOTALE.
LE LINEE INDICANO I
RVFC (2.0) E DELLA RFF (0.75) NEI
PAZIENTI CON IPERTENSIONE E/O DIABETE N=19) E IN QUELLI
SENZA COMORBILITÀ (°; N=8).
VALORI DI TAGLIO DELLA
(per gentile concessione dell’Editore)
Pazienti diabetici e/o ipertesi mostravano solitamente bassi valori di riserva della velocità di flusso coronarica ≤2.0 ai quali si accompagnava una scarsa
risposta iperemica dopo somministrazione di adenosi-
• 16 •
ARTICOLI
DI INTERESSE
hanno dimostrato come i valori di riserva della velocità di flusso coronarica registrati al momento della
procedura costituiscano i valori prognostici più importanti per la ripresa dei sintomi dopo PTCA (5 Nico HJ,
na (RVFC 1.86±0.69 vs 2.36±0.45 p<0.05). Nessuna
correlazione è stata osservata fra valori di riserva
della velocità di flusso coronarica ed alterazioni della
contrattilità regionale. Pazienti con disfunzione regionale presentavano valori di riserva della velocità di
flusso coronarica >2.0 così come pazienti con normale funzione ventricolare mostravano valori di riserva
della velocità di flusso coronarica <2.0
Catheterization and Cardiovascular Interventions 2000;49:1-16; 6 Bech GJ, Circulation 1999;99:883-888; 7
Bech GJ, Circulation 2001; 8 Serruys PW, Circulation 1997;96:3369-3377)
. In aggiunta alla
presenza di una risposta post-riperfusoria del microcircolo, la riserva della velocità di flusso coronarica è
correlata principalmente alla severità della stenosi
piuttosto che alla vitalità miocardica residua, suggerendo che, limitare il restringimento luminale residuo
attraverso l’uso dello stent nell’ambito dell’infarto
miocardico acuto, può migliorare la risposta fisiologica(9 Clayes MJ J Am Coll Cardiology 1996). L’incidenza di disfunzione
microvascolare riportata in questo lavoro è significativamente maggiore rispetto a quella riportata in lesioni
coronariche non occlusive in cui il 20% dei pazienti
mostrava valori di riserva della velocità di flusso coronarica ≤2.0 (10). Tale percentuale è sostanzialmente
simile anche nei pazienti trattati con impianto di stent
e/o nei quali la PTCA sia guidata mediante gli ultrasuoni intracoronarici (IVUS); ciò a conferma del fatto
che il 10-15% dei pazienti presenta una disfunzione
microvascolare anche se non vi è evidenza di stenosi
residua(10 De Bruyne B, Circulation 2001;104:157-62; 11 Kern MJ, Circulation 1999;100:2491-98;
COMMENTO
Sulla base dei valori di riserva della velocità di flusso coronarica e di riserva di flusso frazionale miocardico riportati metà dei pazienti mostravano disfunzione microvascolare e/o malattia ateromasica diffusa.
La riserva della velocità di flusso coronarica assoluta è l’insieme della risposta iperemica delle arterie di
conduttanza e del microcircolo. Per essere in grado di
discriminare fra alterazioni del flusso epicardico ed
alterazioni microvascolari bisognerebbe calcolare la
riserva della velocità di flusso coronarica relativa che
richiede un vaso di riferimento normale. Tale approccio è tuttavia limitato nei pazienti con occlusione totale cronica che spesso presentano una malattia multivasale. La riserva della velocità di flusso coronarica
relativa, calcolata come riserva coronarica del vaso in
oggetto rispetto alla riserva coronarica nel vaso di
riferimento, presenta una eccellente correlazione con
la riserva di flusso frazionale miocardico, viceversa la
riserva della velocità di flusso coronarica assoluta ha
una scarsa correlazione a causa delle inaspettate e
non prevedibili anormalità del microcircolo(4 Uren NG, J Am
Coll Cardiol 1999;29(suppl. A):1250)
. Per tale motivo nel lavoro di
Werner e coll, al posto della riserva della velocità di
flusso coronarica relativa è stata calcolata la riserva
di flusso frazionale miocardico. Tale metodica tuttavia
richiede una massima vasodilatazione periferica
mediante agenti farmacologici la quale può essere
spesso ostacolata in pazienti con disfunzione microvascolare e/o aterosclerosi diffusa.
Da questo lavoro appare evidente che solo una
valutazione combinata della riserva di flusso frazionale miocardico e della riserva della velocità di flusso
coronarica può essere in grado di fornire accurate
informazioni circa il contributo della malattia ateromasica diffusa, della disfunzione microvascolare, delle
resistenze dei vasi epicardici quali fattori responsabili
di una riduzione del flusso miocardico. La misurazione
simultanea del gradiente di pressione transtenotico e
della velocità di flusso offre molti vantaggi pratici. Il
possibile errore di interpretazione dovuto ad un basso
flusso durante vasodilatazione massimale, è escluso
perché la presenza simultanea di un alto gradiente di
pressione permette di differenziare un’alterazione del
microcircolo da una lesione epicardica che ostacola il
flusso stesso.
Numerosi sono gli studi nei quali è stata utilizzata la
riserva della velocità di flusso coronarica e tali studi
12 Kern MJ, J Am Coll Cardiol 1997;29:1520-27; 13 Van Liebergen RA, J Am Coll Cardiol 1999;34:1899906)
.
La disfunzione microvascolare è pertanto un reperto
usuale nei pazienti con occlusioni totali croniche in
quanto una riduzione dei valori di riserva della velocità di flusso coronarica in più del 50% della popolazione studiata non è da attribuire ad una importante
stenosi residua visti i normali valori di riserva di flusso
frazionale miocardico riscontrati.
Lo sviluppo di sensori combinati Doppler-pressione
dovrebbe facilitare una completa valutazione dell’emodinamica della stenosi. Ad oggi non è evidente la
superiorità di una tecnica rispetto all’altra in quanto
pressione e flusso rappresentano due facce della resistenza al flusso coronarico. Valori dubbi ottenuti con
una tecnica possono essere meglio valutati usando la
tecnica alternativa.
La conoscenza delle scoperte relative alla fisiologia
del flusso coronarico rappresentano sicuramente un
prerequisito essenziale per l’interpretazione dei cambiamenti di velocità di flusso e pertanto nello sviluppo
delle applicazioni di queste metodiche. Studi futuri
dovrebbero essere infatti focalizzati a valutare la rilevanza clinica della ridotta riser va coronarica in
pazienti con disfunzione microvascolare.
Federica Marsico
Patrizia Presbitero
Servizio Emodinamica
Istituto Clinico HUMANITAS
Via Manzoni 56 Rozzano, Milano
Tel 02 82243601
Fax 02 82243690
• 17 •
L’INFORMAZIONE CARDIOLOGICA
ARTICOLI
2002;22:18-20
DI INTERESSE
I Beta Bloccanti
nello Scompenso Cardiaco Cronico Grave
EFFECT
OF
CARVEDILOL
vano ricevuto nelle ultime 4 settimane bloccanti del
canale del calcio o antiaritmici di classe I. Non sono
stati ammessi i pazienti con pressione arteriosa sistolica inferiore ad 85 mmHg, frequenza cardiaca inferiore a 68 bpm e quelli sottoposti ad infusione di vasodilatatori o inotropi. Il beta bloccante è stato somministrato 2 volte al giorno, incrementando la dose ogni 2
settimane, con una dose iniziale di 3.125mg, ed in
seguito di 6.25mg, di 12.5mg, di 25mg. I pazienti
sono stati valutati ogni 2 mesi.
Gli end points di questo studio erano rappresentati
dalla mortalità per qualsiasi causa e dal rischio combinato di morte ed ospedalizzazione e sono stati valutati analizzando le popolazioni suddivise in sottogruppi per età, sesso, causa di insufficienza cardiaca, frazione di eiezione, locazione del centro di studio, storia
di ospedalizzazione entro un anno dall’arruolamento,
recenti decompensazioni con ascite, edema o 3 o più
ospedalizzazioni nell’ultimo anno.
ON SURVIVAL IN SEVERE CHRONIC
HEART FAILURE
PACKER M., COATS A.J.S., FOWLER M.B.
N ENGL J MED 2001;344:1651-8.
A
ET AL.
TRIAL OF THE BETA-BLOCKER BUCINDOLOL IN PATIENTS
WITH ADVANCED CHRONIC HEART FAILURE
T HE B ETA -B LOCKER E VALUATION OF S URVIVAL T RIAL
INVESTIGATORS
N ENGL J MED 2001;344:1659-67.
INTRODUZIONE ALL’ARGOMENTO
E SCOPI DEI LAVORI
I beta bloccanti rappresentano un efficace trattamento nell’insufficienza cardiaca cronica. In due
recenti trials, il MERIT-HF(1 Lancet 1999;353:2001-07) ed il CIBIS
II(2 Lancet 1999;353:9-13), è stato dimostrato che detti farmaci
riducono significativamente il rischio di morte e di
ospedalizzazione in pazienti con insufficienza mediamoderata, in II, III e IV classe funzionale.
Poco conosciuti, però, sono gli effetti di queste
sostanze nell’insufficienza cardiaca cronica grave, in
pazienti con sintomi a riposo o per minimi sforzi.
Negli stessi studi, infatti, stata riscontrata una bassa
mortalità nel gruppo di controllo, e ciò è giustificato
dal ridotto numero di pazienti arruolati con insufficienza grave.
Nel Copernicus(3 Packer M, N Engl J Med 2001;344:1651-58) e nel BEST(4
The Beta-Blocker Evaluation of Survival Trial Investigators N Engl J Med 2001;344:1659-67)
sono
stati studiati gli effetti del carvedilolo e del bucindololo, rispettivamente, su una popolazione di pazienti in
III e IV classe funzionale con sintomi a riposo e per
sforzi minimi, valutandone i risultati anche in sottogruppi definiti.
Best
Sono stati valutati 2708 pazienti in classe funzionale
III (92%) e IV (8%), con frazione di eiezione del 35 % o
inferiore, in terapia con ACE inibitori e diuretici,
escludendo i soggetti colpiti da infarto miocardico
acuto negli ultimi 6 mesi, quelli con patologia valvolare, quelli in attesa di trapianto, quelli rivascolarizzati
da meno di 6 mesi, quelli con angina instabile, quelli
con frequenza cardiaca al di sotto di 50 bpm e con
aspettativa di vita inferiore ai 3 anni. Sono stati esclusi inoltre quei pazienti in terapia con bloccanti i canali
del calcio, antidepressivi triciclici, amiodarone e beta
agonisti assunti entro una settimana dalla valutazione
di base.
La dose iniziale di bucindololo è stata di 3mg due
volte ad dì, incrementando il dosaggio settimanalmente, a 6.25mg, 12.5mg, 25mg, 50mg e, per i
pazienti con peso superiore ai 75 Kg., a 100mg. Il follow-up è stato eseguito a 3, 6 e 12 mesi.
L’ end point primario è stato la mortalità da ogni
causa, quelli secondari la morte da cause cardiovascolari, l’ospedalizzazione per cause cardiache o per
altre cause, la frazione di eiezione a 3 e 12 mesi.
METODI E CASISTICA
Copernicus
Sono stati studiati 2289 pazienti (per l’80% maschi)
con insufficienza cardiaca cronica, in III e IV classe
funzionale NYHA, con sintomi a riposo e per sforzi di
lieve entità, clinicamente euvolemici (senza ascite e
con minimo edema periferico) e con frazione di eiezione inferiore al 25%, già in terapia con diuretici,
ACE inibitori ed antagonisti dell’angiotensina II. Sono
stati esclusi i pazienti con patologia valvolare, quelli in
attesa di trapianto o già trapiantati, e quelli che ave-
RISULTATI
Nello studio randomizzato in doppio cieco COPERNICUS la media di follow-up è stata di 10.4 mesi ed il
carvedilolo ha determinato una riduzione del tasso
annuo di mortalità dell’11.4% contro il 18.5% rilevato
nel gruppo di controllo trattato con placebo e una
riduzione del rischio combinato di morte ed ospedalizzazione del 24% (P=0.001). Questi risultati non hanno
• 18 •
ARTICOLI
DI INTERESSE
zionale (20.7%), anche se non tutti i soggetti con
insufficienza cardiaca cronica severa sono stati arruolati nello studio. Per quanto concerne questi ultimi
non è quindi possibile affermare che il carvedilolo
migliori le condizioni cliniche.
Va inoltre considerato il fatto che la mortalità riportata nel gruppo di pazienti più gravi è sovrapponibile
a quella della popolazione generale classificata in
classe NYHA III e IV nel network italiano per l’insufficienza cardiaca (database ANMCO), in cui il 30% dei
pazienti assume comunque un trattamento beta bloccante.
Se si sottrae questa quota di pazienti più gravi presenti nella popolazione dello studio COPERNICUS la
mortalità globale dello studio scende alla percentuale
riportata negli studi CIBIS II e MERIT-HF.
Il trial BEST non ha messo in evidenza alcun miglioramento nella sopravvivenza mentre il tasso di mortalità da cause cardiovascolari e quello di ospedalizzazione per scompenso cardiaco hanno mostrato una
significativa riduzione.
Tra i pazienti in III classe funzionale il tasso annuo di
mortalità è stato del 16% vs il 12% del trial CIBIS II ed
il 13% del MERIT-HF e tra i pazienti in IV classe funzionale la mortalità ad un anno è stata del 28% vs il
20% del CIBIS II. Questi dati suggeriscono che nel
BEST siano stati arruolati pazienti con insufficienza
cardiaca cronica più avanzata o che coesistano altre
condizioni negli altri trials.
Una possibile spiegazione dell’apparente differenza
tra i risultati di questo studio e i risultati di altri trials in
merito alla mortalità in pazienti trattati con beta bloccanti è data dal fatto che di base era presente una
concentrazione più elevata di norepinefrina nel gruppo trattato e che la riduzione dei livelli plasmatici del
19% a 3 mesi rappresenta una perdita di supporto
adrenergico non tollerata dai pazienti con insufficienza
cardiaca avanzata. Questo dato era già stato segnalato nello studio SAVE nel quale i pazienti con disfunzione ventricolare asintomatica e con maggiori livelli di
norepinefrina presentavano un peggioramento della
sopravvivenza in corso di terapia beta bloccante(5 Pfeffer
MA, Engl Med 1992;327:669-677)
. Tale aspetto potrebbe permettere di
identificare un sottogruppo di malati nei quali il supporto adrenergico è indispensabile per mantenere l’equilibrio emodinamico e che non si giovano della sua
soppressione.
Nei sottogruppi sono state valutate differenze solo
per quanto riguarda la razza. La somministrazione di
bucindololo non ha apportato benefici nei pazienti di
razza nera, risultato che può trovare una spiegazione
in cause genetiche di differente pathway beta adrenergico o di differente interazione del sistema reninaangiotensina.
mostrato differenze nei sottogruppi: i benefici interessano anche i pazienti con insufficienza cardiaca avanzata, nei quali il carvedilolo riduce il rischio di morte
del 39% (P=0.009) e riduce il rischio combinato di
morte ed ospedalizzazione del 29% (P=0.003), anche
se sono stati esclusi dallo studio i pazienti con insufficienza molto grave (con edema e ascite).
Sono stati ritirati dallo studio per cause diverse dalla
morte il 14.8% dei pazienti trattati con carvedilolo ed
il 18.5% di quelli appartenenti al gruppo di controllo;
nei casi andati incontro a decompensazione la mortalità è stata del 24%, compatibile cioè con quella di
altri studi clinici sull’insufficienza cardiaca avanzata.
Sono stati trapiantati 12 pazienti (6 del gruppo trattato con beta bloccanti e 6 del gruppo di controllo) e tra
questi, 3 sono deceduti nel post-trapianto, 2 appartenenti al gruppo trattato ed 1 al gruppo placebo.
Pochi sono i pazienti che hanno dovuto interrompere la somministrazione del farmaco per la comparsa
di effetti collaterali o di ragioni diverse dal decesso;
tra i soggetti con recenti o ricorrenti scompensi della
funzionalità cardiaca il 24.5% del gruppo trattato ed il
17.5% e del gruppo placebo, rispettivamente, sono
stati esclusi dallo studio.
Lo studio BEST ha avuto un follow-up medio di 24
mesi, con un tasso di mortalità annuo simile tra il
gruppo trattato e quello placebo: 15% vs 17%. I risultati a 3 mesi per quanto concerne la frazione di eiezione hanno dimostrato un incremento di 5.5±7.8 unità
nel gruppo trattato e di 2.1±6.9 unità in quello di controllo (P<0.001) e a 12 mesi di 7.3±10.0 unità e
3.3±8.7, rispettivamente (P<0.001).
È stata osservata una significativa riduzione delle
ospedalizzazioni per cause legate all’insufficienza cardiaca mentre non sono state rilevate differenze tra i
due gruppi per quanto riguarda le ospedalizzazioni da
qualsiasi causa. È stata inoltre valutata una riduzione
a 3 mesi e a 12 mesi della frequenza cardiaca nonché
dei livelli plasmatici di norepinefrina più importanti
nel gruppo trattato con beta bloccanti rispetto a quelli
riscontrati nel gruppo di controllo. Il bucindololo si è
inoltre rivelato più efficace nei soggetti di razza non
nera.
DISCUSSIONE DEGLI AUTORI
Il trial COPERNICUS ha dimostrato nel lungo termine l’efficacia del carvedilolo nel trattamento dell’insufficienza cardiaca cronica severa in pazienti già in terapia con ACE inibitori e diuretici. I benefici clinici ottenuti possono essere spiegati sia dall’effetto antiadrenergico del farmaco che contrasta gli effetti sfavorevoli della stimolazione simpatica sull’apparato cardiovascolare, sia dall’azione vasodilatatrice periferica e
antiossidante del carvedilolo.
Il tasso di mortalità a 10.4 mesi è risultato essere
ridotto del 35% e il tasso di mortalità od ospedalizzazione del 24%.
Il tasso di mortalità ad un anno nel gruppo placebo
(18.5%) è simile a quello di trial clinici randomizzati
nei quali erano stati reclutati pazienti in IV classe fun-
COMMENTO
L’obiettivo dei due trials clinici randomizzati è stato
quello di valutare gli effetti dei beta bloccanti nei
pazienti con insufficienza cardiaca cronica grave;
nonostante ciò nella popolazione arruolata, probabil-
• 19 •
ARTICOLI
DI INTERESSE
mente, non sono stati presi in considerazione i
pazienti con maggiore instabilità.
Tale asserzione sembra essere giustificata confrontando i valori di pressione sistolica rilevati nei
pazienti introdotti nei trial, nei quali il valore medio
della pressione arteriosa sistolica è risultato essere
superiore a 110 mm di mercurio anche quando si
trattava di malati ritenuti più gravi come i pazienti con
recente recidiva di scompenso cardiaco arruolati nello
studio COPERNICUS. In un unico studio retrospettivo
e non randomizzato(6 Macdonald PS, J Am Coll Cardiol 1999;33:924-931), condotto in un centro di trapianto cardiaco al quale vengono riferiti solitamente i malati con quadro d’insufficienza cardiaca più severa, è stato documentato che
gli effetti indesiderati del beta bloccante (il carvedilolo
in questo caso) la ipotensione sintomatica e l’aggravamento dello scompenso, erano presenti in pazienti
classe NYHA IV con valori di pressione sistolica inferiore a 100 mm di mercurio (Fig 1) e valori di natremia <137 mEq/dl. Quest’ultimo dato si correla alla
maggiore attivazione neuro-ormonale e quindi alla
instabilità clinica del malato che indica il rischio di
intolleranza verso gli effetti farmacologici dei farmaci
ad attività anti neuro-ormonale(7 Packer M, Eur Heart J. 1990;11(suppl.
D):44-52)
e conferma l’ipotesi già riportata a proposito dei
dati dello studio BEST e SAVE.
I pazienti con pressione sistolica inferiore a 110
mmHg sono quelli a maggior rischio e che più difficilmente vengono trattati con terapia beta bloccante.
Ciò è dovuto al fatto che il trattamento beta bloccante
presenta dei rischi che ne limitano la possibilità di
impiego nei pazienti più gravi ed il cardiologo, in questi casi, difficilmente li somministra in doppio cieco.
Figura 1 - I PAZIENTI CON GRAVE SCOMPENSO CARDIACO CONGESTIZIO, TRATTATI CON BETABLOCCANTI NEGLI STUDI CLINICI CONTROLLATI
IN DOPPIO CIECO, PRESENTANO UNA PRESSIONE SISTOLICA SUPERIORE
A
110MHG. FANNO
ECCEZIONE I PRIMI DUE STUDI
(RETROSPETTIVI)
NEI QUALI I SOGGETTI TRATTATI PRESENTAVANO UNA PRESSIONE ARTERIOSA SISTOLICA INFERIORE E SONO PEGGIORATI CON IL BLOCCO
ADRENERGICO.
La tollerabilità di questi farmaci da parte dei pazienti
con maggiori caratteri di instabilità non è quindi tuttora conosciuta.
Dott. Edoardo Gronda
Dott. Luca Genovese
Unità Operativa Cardiologia Clinica Centro
Insufficienza Cardiaca e Trapianto
Istituto Clinico Humanitas
Via Manzoni, 56 Rozzano (MI)
Tel. 02.8224.1
• 20 •
L’INFORMAZIONE CARDIOLOGICA
ARTICOLI
2002;22:21-23
DI INTERESSE
Prognosi Relata al Flusso Coronarico Presente prima
dell’Angioplastica Primaria
ti pazienti di qualsiasi fascia di età con evidenza di
infarto miocardico acuto verificatosi nelle 12 ore precedenti. I criteri elettrocardiografici di ammissione
comprendevano un sopraslivellamento ST≥1mm
oppure il blocco di branca sinistra relativamente al
PAMI 1; negli altri 3 Trials si accettava qualsiasi criterio elettrocardiografico compatibile con la diagnosi di
infarto miocardico acuto confermata dall’evidenza
angiografica di occlusione di un vaso coronarico
associata ad anomalie segmentarie di contrazione.
Sono stati esclusi i pazienti con shock cardiogeno,
controindicazioni assolute alla aspirina o all’eparina (e
ticlopidina relativamente allo stent trial), pregresso
utilizzo di terapia trombolitica durante lo stesso ricovero, impossibilità di accettazione o rifiuto del consenso informato scritto. Dopo l’esecuzione della coronaro-ventricolografia si è proceduto ad effettuare
angioplastica, in quei casi nei quali ne sussisteva l’indicazione. I protocolli prevedevano in casi selezionati
l’esecuzione di angioplastica coronarica differita
oppure l’indicazione a terapia medica o rivascolarizzazione chirurgica in relazione al quadro anatomico
coronarico rilevato. Il flusso anterogrado nel vaso
responsabile dell’ infarto miocardico acuto è stato
valutato secondo la scala TIMI presso un laboratorio
unico di riferimento per ogni studio.
N O R M A L F L O W (TIMI 3) B E F O R E M E C H A N I C A L
REPERFUSION THERAPY IS AN INDEPENDENT DETERMINANT
OF SURVIVAL IN ACUTE MYOCARDIAL INFARCTION
A N A LY S I S F R O M T H E P R I M A RY A N G I O P L A S T Y I N
MYOCARDIAL INFARCTION TRIALS
STONE GW, COX D, GARCIA E ET AL
CIRCULATION. 2001;104:636-641
L’angioplastica coronarica percutanea primaria
migliora ulteriormente la sopravvivenza nei pazienti
con infarto miocardico acuto, rispetto a quelli trattati
con trombolisi. Il ritardo dall’esordio dei sintomi all’apertura del vaso epicardico occluso, rappresenta
ancor oggi l’elemento più sfavorevole per la sopravvivenza. Si sta tentando attualmente di ottenere una
riperfusione farmacologica precoce prima dell’intervento di riapertura meccanica definitiva, la cosiddetta
angioplastica primaria facilitata. Questa strategia
dovrebbe consentire di migliorare ulteriormente la
prognosi dopo un infarto miocardico acuto. In realtà
non è noto il significato prognostico di una ricanalizzazione precoce, anche se è molto probabile che i
pazienti sottoposti ad angioplastica coronarica su un
vaso completamente occluso, manifestino una evoluzione più sfavorevole rispetto a quelli che presentano
il vaso responsabile dell’infarto miocardico acuto pervio con un buon flusso TIMI. Lo scopo di questo lavoro è proprio quello di stabilire l’impatto di un buon
flusso coronarico precedente l’angioplastica primaria,
sulla evoluzione a breve e lungo termine, di pazienti
con infarto miocardico acuto trattati con riperfusione
meccanica. Per ottenere quest’informazione sono stati
riesaminati i dati relativi a 2507 procedure ricavati dai
quattro più impor tanti studi PAMI (Primar y
Angioplasty in Myocardial Infarction).
RISULTATI
Il flusso coronarico normale (TIMI 3), prima dell’angioplastica coronarica, era presente nel 15.7% dei
vasi responsabili dell’infarto miocardico acuto; il flusso ridotto (TIMI 2) è stato rilevato nel 12.6% dei vasi e
nei rimanenti pazienti la coronaria risultava totalmente occlusa (TIMI 0/1) (Fig. 1). I pazienti con flusso
TIMI 3 sono stati sottoposti ad angioplastica coronarica meno di frequente ma hanno ricevuto più spesso
l’applicazione dello stent e sono usciti dal laboratorio
con un flusso TIMI 3 persistente in percentuale maggiore rispetto agli altri pazienti che si presentavano
con flusso ridotto o assente. La mortalità intraospedaliera è risultata essere significativamente minore nel
gruppo di pazienti che si presentavano con vaso pervio e buon flusso coronarico (TIMI 0/1-2.6%, TIMI 21.5%, TIMI 3-0.5%). Una presentazione con flusso
coronarico conservato, condizionava inoltre una evoluzione più favorevole in relazione alla comparsa di
complicanze (scompenso, intubazione, ipotensione)
ed alla durata del ricovero. Anche la mortalità a 6
mesi è risultata essere minore nei pazienti con flusso
TIMI 3, intermedia nei pazienti con TIMI 2 e più alta
nei pazienti con TIMI 0/1 (Fig. 2). I fattori che si sono
dimostrati predittivi di una più alta mortalità a distan-
METODI
I dati relativi sono stati riesaminati globalmente
inserendoli in un unico data base (PAMI 1, N=195;
PAMI 2, N=1100; PAMI Stent Pilot, n=312; PAMI Stent
randomized trial, n=900)(1Grines CL, N Engl J Med 1993;328:673-79; 2 Stone GW,
J Am Coll Cardiol 1995;25:370-77; 3 Stone GW, J Am Coll Cardiol 1997;29:1459-67; 4 Grines CL, J Am
Coll Cardiol 1998;31:967-72; 5 Stone GW, J Am Coll Cardiol 1998;31:23-30; 6 Stone GW, Circulation
1999;99:1548-54; 7 Grines CL, N Engl J Med 1999;341:1949-56)
. In questi trials i criteri di arruolamento di maggior rilievo erano simili e
volutamente non restrittivi; negli studi venivano inseri-
• 21 •
ARTICOLI
Figura 1 - GRADI TIMI
71.2%
litica come la strategia più favorevole nel trattamento
del paziente con infarto miocardico acuto(8 Ross AM, J Am Coll
Cardiol 1999;34:1954-62; 9 Strategies, Circulation 2000;101:2788-94)
. Gli studi del
recente passato relativi all’applicazione della angioplastica coronarica immediatamente dopo trombolisi
sono risultati essere deludenti, ma attualmente la
rapida evoluzione tecnologica e farmacologica con
l’ottimizzazione e l’estensiva utilizzazione degli stent,
l’applicazione degli antipiastrinici antagonisti
dell’ADP e soprattutto la dimostrata efficacia degli
inibitori delle glicoproteine piastriniche, hanno consentito di ottenere una situazione vascolare coronarica favorevole all’uso integrato dell’approccio riperfusivo farmacologico e meccanico. In realtà mentre è
ampiamente dimostrato che il tempo che intercorre
tra l’esordio dell’infarto miocardico acuto e la terapia
trombolitica costituisce un potente fattore predittivo
di sopravvivenza, questo tipo di correlazione è più
difficile da dimostrare con l’angioplastica coronarica
primaria. In precedenti rivalutazioni dei trials PAMI,
non era stata documentata alcuna associazione tra
l’intervallo insorgenza dei sintomi–procedura e mortalità. Dallo studio di Stone e coll. è emersa invece
l’importanza di ripristinare un normale flusso epicardico TIMI 3 prima dell’angioplastica in quanto è risultato essere il principale fattore prognostico di sopravvivenza. Enfatizzando il primato dell’ipotesi dell’arteria pervia si è evidenziato come nei pazienti riperfusi
con angioplastica coronarica nelle 2 ore successive
alla comparsa dei sintomi, la mortalità risultava essere migliore rispetto a quella rilevata nei pazienti che
ottenevano questo risultato in tempi più lunghi. Tale
tipo di situazione ottimale si verifica purtroppo solo
nel 12 % dell’ampia popolazione esaminata. Nel
Gusto –IIb ed nel registro NRMI-2 (National Registry
of Myocardial Infarction(2, 10 Cannon CP, JAMA 2000;283:2941-47; 11 Berger PB,
DEL FLUSSO NELLA PRIMA ANGIOGRAFIA
IN CIASCUNO DEI QUATTRO PRINCIPALI STUDI
CUMULATIVI. IL
DI INTERESSE
PAMI
E I DATI
DEI SOGGETTI PRESENTAVANO L’OCCLU-
SIONE COMPLETA DELLA CORONARIA INFARTUATA.
(per gentile concessione dell’Editore)
Figura 2 - SOPRAVVIVENZA
CUMULATIVA A
6
MESI DOPO ANGIO-
PLASTICA CORONARICA PRIMARIA SUDDIVISA IN BASE AL GRADO
DEL FLUSSO
TIMI
INIZIALE.
LA
MORTALITÀ RISULTA ESSERE FORTE-
MENTE CORRELATA CON IL FLUSSO
TIMI
PRECEDENTE L’ANGIOPLA-
STICA.
Circulation 1999;100:14-20)
è stato dimostrato che la mortalità è
sfavorevolmente influenzata dal ritardo intra-ospedaliero, mentre il tempo di riperfusione globale (sintomi-riapertura meccanica) non è risultato essere
significativamente differente tra i pazienti che morivano ed i sopravvissuti. Un metodo alternativo per
valutare l’importanza di una riperfusione precoce nei
pazienti sottoposti ad angioplastica coronarica primaria, può essere rappresentato dall’analisi dei
pazienti che si presentano con il vaso responsabile
dell’infarto miocardico acuto spontaneamente pervio
al momento dello studio coronarografico in fase
acuta. Questo tipo di situazione si verifica nel 10-20
% dei casi studiati per eventuale angioplastica coronarica primaria e ci si aspetta in questa popolazione
una evoluzione clinica più favorevole condizionata
dal salvataggio (pre-procedura) di una importante
quota di miocardio. Anche la procedura, in questi
casi, dovrebbe essere facilitata in quanto il potenziale
emboligeno della placca dovrebbe essere minore ed
il superamento della stenosi facilitato, grazie alla
migliore visibilità e quantificabilità della stessa, consente di prendere decisioni terapeutiche interventistiche più corrette. In realtà questo aspetto del problema, nel passato, non è stato mai esaminato in dettaglio.
(per gentile concessione dell’Editore)
za sono: l’età avanzata, il sesso femminile, la localizzazione anteriore dell’infarto miocardico acuto, la
malattia dei tre vasi coronarici ed un flusso non TIMI 3
pre-intervento. Il ripristino di un flusso TIMI 3 dopo la
procedura è risultato essere una potente variabile predittiva di sopravvivenza; la mortalità a 6 mesi, nei casi
con TIMI 0/1 finale è stata del 22.2%, nei casi con
TIMI 2 del 6.1% e con un flusso finale TIMI 3 del 2.6%
(p<0.0001. Nei pazienti che si presentavano con questo tipo di situazione ottimale (TIMI 3 prima e dopo la
PTCA), la mor talità a 6 mesi è stata dello 0%.
Valutando la mortalità cumulativa con una analisi
multivariata, la presenza di TIMI 3 pre-procedurale è
risultata essere la variabile predittiva più potente.
DISCUSSIONE
Gli Autori hanno condotto questo studio partendo
dalla attuale tendenza a considerare l’angioplastica
coronarica primaria facilitata da una terapia trombo-
• 22 •
ARTICOLI
DI INTERESSE
COMMENTO
precoce rivascolarizzazione miocardica. Dovranno
essere effettuati studi randomizzati su vasta scala
prima di poter introdurre nella routine clinica l’angioplastica coronarica primaria farmacologicamente
facilitata.
Il lavoro di Stone rappresenta dal punto di vista
conoscitivo un importante avanzamento in quanto
permette di sostenere l’ipotesi attualmente in auge
che, il praticare l’angioplastica coronarica primaria su
un vaso coronarico ricanalizzato grazie all’uso dei
nuovi agenti antitrombotici, consenta di ottenere un
risultato anatomo-funzionale migliore e soprattutto
una prognosi ancor più favorevole rispetto alla sola
riapertura meccanica già vantaggiosa rispetto al trattamento farmacologico. I benefici della angioplastica
primaria facilitata sono ben delineati da questo lavoro
e sono indiscutibili in quanto ricavati da una ampia
casistica che permette di estendere le conclusioni a
molti dei pazienti che ci troviamo a trattare nella pratica clinica. In ambienti, come la Divisione
Ospedaliera di Novara, con un alto volume di esami,
si possono delineare due tipi di strategie: 1) il passaggio diretto in sala di emodinamica dei pazienti che si
presentano al DEA con infarto miocardico acuto
recente ed indicazioni alla riapertura immediata, dopo
una rapida stratificazione precoce (applicando ad es.
il TIMI risck score); 2) una procedura differita nei
pazienti provenienti da centri limitrofi o dal 118 locale, preceduta da un trattamento con dosi ridotte di
trombolitico ed inibitore delle IIb – IIIa. In quest’ultimo
caso la possibilità di riaprire il vaso precocemente con
il trattamento farmacologico, permette di recuperare il
miocardio vitale residuo e controbilanciare l’effetto
sfavorevole di un più lungo “door to balloon time”. A
volte è possibile anche ottenere la stabilizzazione
completa del paziente, il che consente di ottimizzare i
tempi dello studio coronarografico in relazione al quadro clinico rilevato ed alla situazione logistica locale.
Con questo nuovo tipo di approccio integrato “farmaco-pallone” si può estendere il beneficio ad una quota
maggiore di soggetti ed evitare di perdere dei pazienti
per difficoltà logistiche.
Dal riesame dei 2507 pazienti arruolati nei 4 studi
PAMI, si evidenzia che la riperfusione spontanea, rilevata con lo studio coronarografico precedente l’angioplastica coronarica diretta, si verifica nel 16% dei casi.
Non si riscontrano differenze significative demografiche basali tra i pazienti riperfusi spontaneamente e
quelli con occlusione ma i primi si presentano in condizioni più stabili con una minor incidenza di scompenso cardiaco, una frazione di eiezione più alta presumibilmente in relazione all’avvenuto salvataggio di
miocardio ottenuto con la spontanea riperfusione precoce. Il dato più importante desunto da questo studio
è il seguente; la precoce riperfusione del vaso responsabile dell’infarto miocardico acuto, prima della procedura di riapertura meccanica, è un potente fattore
predittivo indipendente di mortalità intraospedaliera e
tardiva. La rivalutazione di questa casistica induce a
supporre che il recupero precoce di miocardio ischemico stia alla base della miglior sopravvivenza dei
pazienti che sono stati sottoposti all’angioplastica
coronarica pur presentando un flusso iniziale normale.
Tale risultato potrebbe essere correlato alla frazione di
eiezione basale, la quale rappresenta, com’è noto, un
elemento maggiormente predittivo di mortalità rispetto allo stesso flusso TIMI basale. Per quanto riguarda
gli eventi come reinfarto, ischemia ricorrente ed aritmie non si è rilevata alcuna differenza tra i pazienti
precocemente riperfusi e quelli con occlusione totale.
Il secondo meccanismo importante che giustifica una
evoluzione più favorevole nei pazienti con precoce
riperfusione, è rappresentato dal miglior successo
procedurale che viene conseguito in questi casi. Ciò
presumibilmente può essere messo in relazione al
minor rischio emboligeno della placca, dopo la trombolisi, e alla possibilità di un trattamento più mirato e
facilitato grazie alla possibilità di quantificare correttamente la stenosi. L’interesse attuale della ricerca è
focalizzato sull’uso dell’associazione tra inibitori delle
glicoproteine IIb/IIIa e basse dosi di trombolitici che si
è dimostrata più efficace della dose piena di trombolitici nell’ottenere una precoce ricanalizzazione coronarica. Sarebbe però errato considerare i pazienti riperfusi spontaneamente simili a quelli riperfusi farmacologicamente. Quest’ultimi possono infatti evidenziare
un rischio emorragico con complicanze vascolari tali
da controbilanciare negativamente il vantaggio della
Dr. Angelo Sante Bongo
Divisione Ospedaliera di Cardiologia
Azienda Ospedaliera Maggiore della Carità
Corso Mazzini 18 Novara
[email protected]
• 23 •
L’INFORMAZIONE CARDIOLOGICA
2002;22:24-28
AGGIORNAMENTI
Fisiopatologia della Resincronizzazione
nello Scompenso Cardiaco
Molte anormalità della insufficienza cardiaca sono
state individuate a livello miocardico e l’attuale terapia è principalmente diretta alla correzione degli effetti peggiorativi della cascata neuro-ormonale ed a
modificare le risposte allo stress associate al rimodellamento, alla dilatazione ed al progressivo deterioramento delle camere ventricolari. Gli aspetti più importanti tuttavia vengono rilevati a livello delle camere
cardiache considerate come un complesso integrato.
Un esempio qualche volta trascurato è costituito dall’effetto prodotto dall’attivazione elettrica sui tempi
della sistole atriale e ventricolare e sulla sincronizzazione della contrazione delle pareti muscolari. La contrazione scoordinata come quella che si verifica in
presenza di un blocco della conduzione intraventricolare, con o senza il prolungamento dell’intervallo
atrio-ventricolare, influenza negativamente la funzione
ventricolare (1 Askenazi Am J Cardiol 1984;53:148-156; 2 Rosenqvist Am J Cardiol
1991;67:99-104; 3 Murkofsky J Am Coll Cardiol 1998;32:476-82)
. Il corrispettivo
allargamento del complesso QRS nell’elettrocardiogramma di superficie si associa ad un aumento della
morbilità e della mortalità nei soggetti con scompenso
cardiaco(4 Likoff Am J Cardiol 1987;59:634-8; 5 Venkateshar J Am Coll Cardiol.2000;33:145A).
del modello dell’attivazione ventricolare sinistra e del
ritardo fra la sistole atriale e quella ventricolare.
Normalmente le cellule muscolari del ventricolo
sinistro si contraggono in modo pressoché sincrono
con una variazione dell’inizio dell’attivazione elettrica
attraverso tutte le pareti non superiore a 40 ms. Una
simile bassissima variabilità viene rilevata anche nei
tempi dell’attivazione meccanica. Tale sincronismo
nella contrazione è d’importanza fondamentale perché la frazione di eiezione risulti essere la più efficiente (come energia) e la più efficace (come quantità).
Nel caso in cui una parte del cuore venga stimolata
prematuramente, come ad esempio in presenza di
blocco di branca sinistra o nella stimolazione uni-ventricolare destra, la sequenza dell’attivazione si modifica notevolmente in quanto vengono generate regioni
con attivazione sia precoce che ritardata(8 Prinzen Am J Physiol
1990;259:H300-8; 9 Prinzen J Am Coll Cardiol 1999;33:1735-42; 10 Wyman Am J Phyisiol 1999;
276:H881-91)
(Fig. 1).
La resincronizzazione cardiaca
Con il termine resincronizzazione cardiaca viene oggi
definito un nuovo tipo di stimolazione cardiaca che
corregge il ritardo della conduzione intraventricolare e
atrio-ventricolare. È questo un nuovo tipo di trattamento dello scompenso cardiaco che si può eseguire
sia in forma acuta di breve durata che in forma cronica mediante l’impianto definitivo di uno speciale
pacemaker. Tale terapia elettrica (recentemente
approvata dalla FDA) consiste nella stimolazione
della parete libera del ventricolo sinistro (con un catetere in seno coronarico) o del fascio di His (con un
catetere avvitato sul setto interventricolare) o sincronizzata bi-ventricolare (con un catetere nel seno coronarico per il ventricolo sinistro ed un altro nell’apice
del ventricolo destro). In tal modo viene ristabilita la
fisiologica sequenza atrio-ventricolare e la sincronizzazione della contrazione(6 Brecker Lancet 1992;340:1308-12; 7 Linde Am J
Cardiol 1995;75:919-23)
.
Figura 1 - VARIAZIONI
(T S )
(BASELINE) E
(3 MONTH). IN CONDIZIONI
REGIONALI NEL TEMPO AL PICCO
DELLA CONTRAZIONE SISTOLICA SOSTENUTA PRIMA
DOPO STIMOLAZIONE BI-VENTRICOLARE
DI BASE SI EVIDENZIAVA UNA MARCATA DIFFERENZA REGIONALE DI
TS FRA I SEGMENTI DEL VENTRICOLO SINISTRO E I DUE VENTRICOLI.
IL TS PIÙ BREVE (CONTRAZIONE PIÙ PRECOCE) SI VERIFICAVA NEL
SEGMENTO BASALE ANTERO-SETTALE (BAS), QUELLO PIÙ LUNGO
NEL SEGMENTO BASALE LATERALE (BL). DOPO STIMOLAZIONE BIVENTRICOLARE , IL T S VENIVA RITARDATO IN MODO OMOGENEO
VERSO UNA DURATA VICINA A QUELLA DEL SEGMENTO BL COSICCHÉ
ERA ABOLITA LA VARIAZIONE TRA I SEGMENTI ED ANCHE TRA I DUE
VENTRICOLI.
*P<0.05 VERSO IL SEGMENTO BAS IN CONDIZIONI DI
+P<0.05 NEL CONFRONTO PRIMA E DOPO STIMOLAZIONE BIVENTRICOLARE DELLO STESSO SEGMENTO. B=BASALE; M=MEDIO;
A=ANTERIORE; AS=ANTEROSETTALE; I=INFERIORE; L=LATERALE;
P=POSTERIORE; S=SETTALE; RV=VENTRICOLARE DESTRO(42).
BASE.
Conseguenze emodinamiche
della desincronizzazione ventricolare
e del ritardo atrio-ventricolare
(per gentile concessione dell’Editore)
Una contrazione anticipata nelle sedi di attivazione
precoce genera un lavoro inutile che viene sprecato e
non produce eiezione perché la pressione nella came-
I due obiettivi principali della terapia elettrica nello
scompenso cardiaco sono costituiti dalla correzione
• 24 •
AGGIORNAMENTI
ra ventricolare è ancora troppo bassa. Anche il lavoro
generato nelle regioni lontane dallo stimolatore, pertanto stimolate tardivamente, viene sprecato. Si
richiede infatti un maggiore sforzo di accorciamento
(o stress parietale) dovuto al fatto che le regioni
prima stimolate hanno già sviluppato una certa pressione intracavitaria. Queste ultime, sottoposte alla
tensione sviluppata dalla contrazione delle regioni
attivate tardivamente, subiscono ora una distensione
(stretch) paradossale (rilevata con la RMN 3D) che
disperde, assorbendola, l’energia necessaria alla eiezione (11Curry Circulation 2000;101:e2). Gli effetti risultanti sono i
seguenti: • si verifica un declino della funzione sistolica e dell’efficienza(12 Baller Pacing Clin Electrophysiol 1988;11:394-403, 13 Owen
Pacing Clin Electrophysiol 1998;21:1417-29)
con una diminuzione della
portata cardiaca di circa il 20%, • il volume telesistolico e lo stress parietale aumentano (14 Burkhoff Am J Physiol
1986;251:H428-35, 15 Park Circ Res 1985;57:706-17)
, mentre il rilasciamento
ventricolare viene ritardato(16 Heyndrickx Am J Physiol 1988;254:H817-22, 17
Ariel Circulation 1987;75:1287-94)
.
Differenza tra blocco di branca sinistra e stimolazione
ventricolare destra
La disfunzione meccanica prodotta dal ritardo della
conduzione intrinseca come nel blocco di branca sinistra non si può considerare equivalente a quella
dipendente dalla stimolazione uni-ventricolare all’apice del ventricolo destro. Alcuni dati suggeriscono che
la prima abbia un effetto peggiore sulla contrazione
della seconda in quanto nel BBS un territorio di miocardio più esteso viene attivato prematuramente(18 Xiao
Brit Heart J 1993;69:166-73)
.
Effetto aritmogeno dello stretch sistolico
La scoordinazione elettro-meccanica contribuisce
non solo alla disfunzione regionale ma anche alla
genesi delle aritmie. Nel setto interventricolare scoordinato lo stretch sistolico tardivo provoca una rapida
disorganizzazione nei filamenti contrattili dei ponti
incrociati tra actina e miosina riducendo la generazione della forza(19 Nelson Circulation 2000;101:2703-9). Lo stesso stretch
meccanico può inoltre dare inizio alla liberazione di
calcio dal reticolo sarcoplasmico, inducendo la genesi
di potenziali tardivi, i quali possono innescare aritmie
ventricolari maligne(20 Sarubbi Can J Cardiol 1998;14:245-52, 21 ter Keurs Can J
Physiol Pharmacol 2001;79:73-81)
.
Il ritardo atrio-ventricolare
Alle alterazioni delle meccaniche ventricolari sopra
descritte si aggiunge l’influenza del ritardo della conduzione atrio-ventricolare. Intervalli AV troppo brevi o
troppo lunghi determinano un riempimento sub-ottimale della camera che conduce alla comparsa di una
insufficienza della valvola mitralica(6). Lo scarso riempimento del ventricolo sinistro fa si che la valvola
mitralica si riapra (dopo la contrazione atriale) nella
parte finale della diastole con una configurazione
aperta ad un flusso centrale che provoca un rigurgito
all’inizio della sistole ventricolare(22 David Circulation 1983;67:640-5).
Alcuni studi hanno evidenziato l’esistenza di un nesso
fra il tempo ottimale della sistole atriale rispetto all’inizio dell’attivazione ventricolare e il miglioramento
della portata cardiaca nei soggetti con scompenso
cardiaco(23 Auricchio Pacing Clin Electrohysiol 1998;21:957 abstr). La insufficienza mitralica può ulteriormente complicare la fibrilla-
zione atriale in seguito al fatto che la irregolarità nella
lunghezza dei cicli determina una posizione sub-ottimale della valvola. Tale inconveniente può essere eliminato ristabilendo una frequenza regolare mediante
l’ablazione del nodo atrio-ventricolare e l’impianto di
un pacemaker per la stimolazione ventricolare a frequenza fissa (VVI) o con un sensore (VVI-R) che fa
variare la frequenza con l’attività muscolare.
Effetti Acuti
della Resincronizzazione Cardiaca
I primi studi sulla terapia elettrica dello scompenso
cardiaco furono diretti alla correzione del ritardo della
conduzione atrio-ventricolare. Il ripristino di un intervallo atrio-ventricolare ottimale può far migliorare la
portata cardiaca(6) ma tale beneficio viene in genere
annullato dal peggioramento funzionale indotto dalla
dissincronia generata de novo dalla stimolazione nell’apice del ventricolo destro(24 Gold J Am Coll Cardiol 1996;26:67-73I).
In studi di breve durata si è dimostrato che la stimolazione bi-ventricolare e/o del solo ventricolo sinistro
produce in soggetti con grave scompenso cardiaco
(classe NYHA III-IV, frazione di eiezione <20%, BBS
con durata del QRS>150 ms.): • un marcato aumento
della portata cardiaca e della pressione sistolica ed
una diminuzione della pressione capillare polmonare(25
Leclercq J Am Coll Cardiol 1998;32:1825-31, 26 Blanc Circulation 1997;96:3273-77)
, • un
innalzamento della funzione sistolica ventricolare(27
Auricchio Circulation 1999;99:2993-3001, 28 Kass Circulation 1999;99:1567-73)
, • un miglioramento della entità e della sincronizzazione della contrazione parietale(29 Saxon J Cardiovasc Electrophysiol 1998;9:13-21, 30 Kerwin J Am
Coll Cardiol 2000;35:1221-7)
. In concomitanza con il miglioramento
della funzione sistolica, si riducono sia il consumo
energetico miocardico, risultandone una maggiore
efficienza(31 Nelson Circulation 2000:102:3053-9), sia l’attività simpatica
rispetto a quella evidenziata con la stimolazione del
ventricolo destro(32 Hamdan Circulation 2000;102:1027-32) . Nella figura 2
vengono evidenziati i criteri soglia che permettono la
migliore individuazione dei soggetti con la risposta più
efficiente alla prestimolazione del ventricolo sinistro.
Effetti inaspettati della resincronizzazione
In questi studi a breve termine alcuni effetti meccanici della resincronizzazione sono risultati essere inaspettati e difficili da comprendere:
1) gli effetti immediati dell’attivazione in un sito singolo del ventricolo sinistro furono più preminenti o simili
rispetto a quelli ottenuti con la stimolazione bi-ventricolare(26, 27, 28). Quest’ultima, fino ad oggi, ha coinvolto
la stimolazione simultanea del ventricolo destro e di
quello sinistro con delle difficoltà di tecnica non certo
ottimali specialmente nei cuori dilatati e scompensati.
La stimolazione singola del ventricolo sinistro preeccita soltanto la parete laterale e sembra spostare
semplicemente il ritardo elettrico sul versante destro.
In realtà gli effetti meccanici sono differenti in relazione al tempo richiesto per la diffusione intramiocardica
della conduzione elettrica dalla sede stimolata verso il
sistema di conduzione intra-fascicolare della branca
destra preservata. Inoltre, la stimolazione bi-ventrico-
• 25 •
AGGIORNAMENTI
magnetica nucleare della distorsione Doppler tessutale(35 Ansalone Am Heart J 2001;142:881-96), o con la ecocontrastografia(36 Nelson Circulation 2000;120Suppl II:539). Tali misure hanno permesso di evidenziare una forte correlazione con le risposte
alla resincronizzazione.
3. Il restringimento del complesso QRS, prodotto dalla
stimolazione bi-ventricolare o del ventricolo sinistro,
negli studi di breve durata, non ha dimostrato di essere un segno che permetta di prevedere la efficacia
meccanica della resincronizzazione.
Risultati clinici a lungo termine
Figura 2 - I soggetti con valori basali del QRS ≥155ms e/o
del dP/dtmax ≤700 mmHg/s hanno presentato il maggiore
miglioramento durante la pre-stimolazione (quadratini neri e
cerchietto bianco) con aumento del % ∆ dP/dp ≥ 25% e della
pressione differenziale % ∆ pulse pressure ≥ 10%. Con la
combinazione dei due parametri non si sono verificati falsi
positivi o negativi(31).
Nello studio MUSTIC (37 Cazeau N Engl J Med 2001;344:873-80) si è
usato un disegno crossover con i pazienti randomizzati a ricevere per tre mesi la stimolazione bi-ventricolare o ad esserne privati per altri tre mesi. I 67 soggetti
in ritmo sinusale hanno presentato un miglioramento
della capacità fisica soltanto durante il trattamento
attivo (+23% nella distanza percorsa in 6 min,
p<0.001), un aumento del massimo consumo di ossigeno (+8%, p<0,03) ed un miglioramento della sintomatologia (del 32% nel questionario sulla qualità della
vita, p<0.001). Lo studio MIRACLE è fino ad oggi il
più ampio con 453 pazienti, randomizzati in 2 gruppi
paralleli: 228 alla terapia con la resincronizzazione,
225 al gruppo placebo. Tutti erano in ritmo sinusale,
in classe funzionale NYHA III o IV stabile. Dopo sei
mesi i soggetti in trattamento attivo hanno mostrato
un miglioramento (+13%) della distanza percorsa in 6
min e della qualità della vita. In un sottogruppo di
pazienti è stata anche rilevata una riduzione della
dimensione ventricolare sistolica e diastolica. La mortalità è risultata essere <10% dopo 6 mesi in entrambi
i gruppi. Le frequenze di ri-ospedalizzazione ed i
numeri di giorni di ospedalizzazione sono stati significativamente minori nel gruppo in trattamento attivo.
Un effetto placebo è stato osservato in relazione alla
qualità della vita ma non per quanto concerne i parametri dell’esercizio e della funzione cardiaca(38 Abraham J Am
Coll Cardiol 2001;38:604-5)
.
Il livello del miglioramento della capacità fisica ottenuto con la resincronizzazione in soggetti con grave
scompenso cardiaco non è trascurabile e si confronta
favorevolmente con quello conseguito mediante l’uso
di inibitori ACE e di beta-bloccanti. I dati concernenti i
risultati a distanza non sono stati ancora pubblicati.
Alcuni risultati preliminari depongono per un beneficio funzionale che si mantiene dopo un anno di trattamento.
(per gentile concessione dell’Editore)
lare è stata realizzata con la stimolazione sincronizzata di entrambi i ventricoli che non riproduce in modo
ottimale la sequenza dell’attivazione normale.
2) La correzione del ritardo atrio-ventricolare ha
influenzato la risposta sistolica netta alla stimolazione
ventricolare sinistra o a quella bi-ventricolare ma con
una differenza di effetto molto modesto rispetto alla
sede stimolata. Le risposte meccaniche osservate in
un’ampia variazione degli intervalli PR (da 110 a 140
ms.) sono risultate essere simili con i due tipi di attivazione(27, 28), e superiori a quelle ottenute con la stimolazione del solo ventricolo destro.
3) Gli stessi studi non hanno permesso di evidenziare
nel breve termine effetti benefici (o nocivi) sulla funzione cardiaca diastolica valutata con la costante del
tempo di rilasciamento isometrico e con la curva
pressione-volume diastolica(28).
Ricerca dei soggetti responsivi
La individuazione tra i soggetti in scompenso cardiaco
refrattario al trattamento medico di coloro che potrebbero maggiormente giovarsi della terapia elettrica di
resincronizzazione non è stata ancora bene delineata.
In base agli studi eseguiti si può ritenere che:
1.I soggetti con il maggior allargamento del complesso QRS presentino la risposta meccanica immediata
più marcata alla resincronizzazione(19, 28, 31, 33 Alonso Am J Cardiol
1999;84:1417-21)
.
2. Quanto maggiore è la depressione della funzione
cardiaca, riflettente di per sé anche la dissincronia,
tanto maggiore è la risposta alla resincronizzazione(19).
La disfunzione ventricolare sinistra può essere evidenziata dalla frazione di eiezione (25) , dall’indice
dP/dtmax(19), dal rapporto del tempo diastolico e sistolico(34 Zhou Heart 2000;84:272-6), o dalla durata della contrazione
isovolumetrica. L’analisi diretta della dissincronia è
anche fattibile mediante l’imaging con la risonanza
Inversione del rimodellamento ventricolare
La progressione dello scompenso cardiaco è legata
al rimodellamento ventricolare. Tale complesso fenomeno è caratterizzato dalla dilatazione del ventricolo
sinistro, la quale da una fase iniziale di tipo compensatorio passa successivamente in quella terminale
con la perdita progressiva e inarrestabile della funzio-
• 26 •
AGGIORNAMENTI
ne contrattile. La severità di tale processo comporta
un peso prognostico negativo indipendente(39 Lee Am J Cardiol
1993;72:672-76)
. Ogni trattamento che consenta di prevenire
o anche fare regredire il rimodellamento del ventricolo
sinistro, come è stato dimostrato per gli ACE-inibitori(40 Konstam Circulation 1992;86:431-38), aumenta la sopravvivenza dei
soggetti con scompenso cardiaco.
Valutazione con ultrasuoni della dissincronia ventricolare
L’immagine Doppler del movimento parietale consente di ricostruire le curve di velocità miocardica
(Sm) nelle diverse regioni del ventricolo sinistro. Su
tali curve è possibile misurare sia il picco della velocità sistolica miocardica regionale sia il tempo impiegato dall’inizio del QRS per giungere a detto picco
(Ts)(41 Pai J Am Soc Echocardiogr 1998;11:105-111). Più è piccola la deviazione standard (cioè le differenze delle medie) del
tempo al picco e maggiore è la sincronizzazione dell’attivazione nei 12 segmenti del ventricolo sinistro.
Tanto più ampia è la differenza regionale del tempo
impiegato per raggiungere il picco della velocità miocardica sistolica e maggiore può essere considerata la
dissincronia (Fig. 1)(42).
Questi valori sono stati misurati in soggetti con
grave scompenso cardiaco e complesso elettrocardiografico allargato (QRS>140ms), prima e dopo tre
mesi di stimolazione bi-ventricolare. Quest’ultima ha
ritardato l’attivazione nei segmenti antero-settale, settale inferiore e posteriore che presentavano un picco
precoce della contrazione sistolica cioè un breve Ts.
In tal modo il Ts è divenuto omogeneo a quello più
lungo delle regioni latero-basali, venendo così abolite
le differenze regionali (Fig.1). Con la stimolazione biventricolare viene ritardato il tempo di picco anche
nel ventricolo destro. Pertanto la contrazione simultanea dei due ventricoli ripristina la sincronizzazione
inter-ventricolare. Agli effetti elettrofisiologici segue la
riduzione dei volumi ventricolari, cioè l’inversione del
rimodellamento ventricolare sinistro, come viene evidenziato nella fig. 3. Tale inversione è associata al
miglioramento della funzione sistolica (aumento di FE
e di dP/dt), della capacità fisica (distanza percorsa in
6 minuti) e della qualità della vita(42 CM Yu Circulation 2002;105:438445)
. L’imaging del Doppler tissutale consente di individuare le regioni del ventricolo sinistro nelle quali si
verifica l’attivazione più tardiva. La stimolazione diretta di dette zone consente di ottenere i migliori risultati
funzionali(43 Ansalone J Am Coll Cardiol 2002;39:489-99).
L’inversione del rimodellamento ventricolare assume particolare rilievo (Fig.4) nei soggetti affetti da
cardiomiopatia dilatativa e candidati al cardioverterdefibrillatore impiantabile(44 Küblkampv J Am Coll Cardiol 2002;39:790-7).
L’impianto profilattico del defibrillatore automatico nei
soggetti con tachicardia ventricolare non sostenuta in
presenza di una frazione di eiezione ≤30%, consente la
prevenzione primaria (oltre che secondaria) della
morte improvvisa aritmica, ma non modifica, tuttavia,
il decorso dello scompenso cardiaco(45 Grimm J Am Coll Cardiol
2002;39:780-7)
. L’abbinamento nella stessa protesi della stimolazione bi-ventricolare sembra cambiare radicalmente il futuro di questi pazienti in quanto alla prevenzione della morte improvvisa si aggiunge la possi-
Figura 4 - RADIOGRAFIA
DEL TORACE DI UN PAZIENTE CON UN
CARDIOVERTER-DEFIBRILLATORE IMPIANTABILE, CON UN ELETTRODO ATRIALE DESTRO, UN ELETTRODO VENTRICOLARE A DOPPIA
SPIRALE, UN CATETERE IN UNA VENA POSTERO-LATERALE ATTRAVERSO IL SENO CORONARICO PER IL VENTRICOLO SINISTRO.
LA
PARTE DESTRA DELLA FIGURA MOSTRA UNA RADIOGRAFIA DEL
TORACE ESEGUITA TRE GIORNI DOPO L’IMPIANTO DELLA PROTESI,
LA PARTE SINISTRA MOSTRA LA STESSA PROIEZIONE
AP ESEGUITA
SI NOTI LA
TRE MESI DOPO STIMOLAZIONE BI - VENTRICOLARE .
NOTEVOLE RIDUZIONE DEL RAPPORTO CARDIO-TORACICO(44).
(per gentile concessione dell’Editore)
bilità di determinare la inversione del rimodellamento
ventricolare, migliorando in tal modo sia la qualità di
vita che la prognosi dello scompenso cardiaco(44, 45).
Nuove tecnologie
Nonostante le notevoli conoscenze acquisite rimangono irrisolti molti problemi. Certamente i quesiti più
importanti sono i seguenti: i benefici prodotti dalla
terapia elettrica di resincronizzazione sulla morbilità e
sulla ridotta ospedalizzazione si mantengono a lungo
nel tempo? vi è anche un effetto favorevole sulla mortalità cardiaca e totale? Alcuni studi ancora in corso
cercheranno di dare risposte adeguate a tali interrogativi
Un altro punto concerne la identificazione prospettica dei responders. Nuovi metodi di esame del movimento parietale regionale sembrano essere promettenti al fine di determinare un indice di dissincronia
che potrebbe migliorare tale identificazione rispetto ai
metodi correnti più indiretti.
Quale sia il metodo di terapia ottimale è un quesito
ancora non risolto. Non sappiamo infatti: • se sia
sempre necessaria una stimolazione bi-ventricolare, •
se una stimolazione multisito del ventricolo sinistro ne
innalzerebbe l’efficacia, • se debba sempre essere
posizionato un catetere in ventricolo destro e quale
sia la sua sede ottimale, • quale sia il ritardo ottimale
dei tempi di stimolazione tra ventricolo destro e sinistro.
Un altro importante problema riguarda l’utilità della
resincronizzazione nei soggetti con fibrillazione atriale.
I risultati pubblicati sono insufficienti e contradditori.
Mentre nei soggetti in ritmo sinusale vi è un certo
grado di libertà nel ritardo atrio-ventricolare per tem-
• 27 •
AGGIORNAMENTI
porizzare in modo ottimale un effetto di resincronizzazione, nei pazienti fibrillanti prima viene ablato il nodo
AV e poi viene impiantato un sistema di stimolazione
bi-ventricolare. Ciò comporta una regolarizzazione
della frequenza cardiaca con generatori rate responsive e l’attivazione di entrambi i ventricoli. L’aumento
della frequenza di stimolazione in risposta a diversi
tipi di stress ha lo scopo di simulare gli effetti normali
del tono autonomico, ma non risulta essere una perfetta sostituzione del controllo fisiologico.
La dissincronia indotta con la stimolazione è una
causa dimostrata del deterioramento della funzione
sistolica e della efficienza energetica, pertanto nei
soggetti con scompenso cardiaco l’apice del ventricolo destro non sembra essere l’approccio ottimale.
L’efficacia della stimolazione bi-ventricolare nei
soggetti con depressione della funzione cardiaca, ma
con complesso QRS stretto e normalità della conduzione intraventricolare, non è stata ancora dimostrata.
Prof. Paolo Rossi
Via Verdi, 18 Novara
[email protected]
• 28 •
L’INFORMAZIONE CARDIOLOGICA
FILOSOFIA
DELLA
2002;22:29-31
MEDICINA
Può il Senso della Vita Esaurirsi nella Coscienza?
L’interrogativo viene sollevato in me dalle osservazioni contenute nella lettera inviatami dalla prof.ssa
Noemi Zurlo e pubblicata in calce.
Innanzi tutto è necessario un chiarimento semantico, perché, come appare in prima evidenza, il significato che noi diamo alle parole che coinvolgono problemi esistenziali non è univoco. Ciò naturalmente
non deve sorprendere, proprio per il fatto che ogni
persona percepisce e interpreta gli aspetti dell’esistenza da un suo punto di vista. Anche in presenza di
grandi affinità i punti di vista individuali non possono
che essere diversi. La differenza di significato che ciascuno di noi attribuisce alla stessa parola non consiste nel senso grammaticale, quello che tutti possiamo
trovare consultando un vocabolario, ma nelle componenti che potremmo definire metafisiche (nel senso di
nascoste e inespresse) che vengono sottese alle parole nel contesto di un determinato discorso. Tali componenti possono presentare un contenuto intellettuale
(legato al livello culturale), affettivo (legato alle esperienze liete o tristi), emotivo (dipendente dal temperamento e dalla forza del carattere) o fisico (legato alla
forza delle passioni e dell’istinto).
sto, quello di farsi uguali a Dio nella saggezza cioè
nella conoscenza del bene e del male.
Attraverso il linguaggio simbolico della Bibbia possiamo quindi dare una prima definizione della superbia che può essere applicata all’uomo evoluto anche
ai nostri giorni: “E’ superbo colui che vuole farsi
uguale a Dio”.
Sembrerebbe a prima vista che tale definizione sia
irrealistica e innaturale e potrebbe suscitare le
seguenti obbiezioni: a) colui che crede, ha un concetto di Dio (immenso, onnipotente eterno, ecc.) tale che
rende senza senso il fatto che un individuo normale
possa farsi uguale a Lui; b) colui che non crede, rifiutando ogni idea di Dio non può farsi uguale a ciò che
ritiene non esistente.
L’interpretazione del passo biblico alla luce delle
parole e delle opere compiute da Gesù e descritte nel
Vangelo rende le due obiezioni prive di ogni fondamento. Possiamo tentare di sintetizzare i punti essenziali che motivano quanto abbiamo affermato.
Dio il creatore di tutte le cose, le sostiene ininterrottamente nell’essere e nel divenire e come veste i gigli
del campo tanto più ama i figli dell’uomo che ha creato a sua immagine. Nella somiglianza al suo creatore,
l’uomo cerca la felicità e l’amore e pertanto il suo
unico vero fine è Dio stesso. Soltanto Dio scruta e
conosce il cuore dell’uomo ed ama la sua creatura,
rispettando la libertà che gli ha donato, anche quando
si allontana da Lui. L’incontro tra Dio e l’uomo è interpersonale e si verifica nell’intimità della coscienza e
nessuno può esserne escluso né eluderlo. Maestro,
qual’è il comandamento più grande della legge?,
domandò lo scriba a Gesù che rispose: <<Amerai il
signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua
anima, e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. E il secondo è simile
al primo>>. Il secondo, legato in modo indissolubile al
primo, recita: Amerai il prossimo tuo come te stesso.
In questo si condensa tutta la legge e i profeti (Mt 22,
36-40)>>. Ma Cristo aveva già modificato la legge
mosaica, del dente per dente. Proclamando il Regno
elencò le beatitudini nel discorso della montagna (Mt
5, 1-12) e in altra occasione disse:<<ma io vi dico di
non opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la
guancia destra, tu porgigli anche l’altra (Mt 5, 38-39)
<<amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste che fa
sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni...
(Mt 5, 44-45)>>.
La disobbedienza alla legge dell’amore origina nel
cuore stesso dell’uomo ed è alimentata continuamente
dalle tre concupiscenze: dell’intelletto, degli occhi,
della carne. In ogni forma di concupiscenza (desiderio
bramoso) l’uomo si fa uguale a Dio perché si crede il
padrone di se stesso, degli altri e del mondo ed il giudice del bene e del male. Ogni qual volta l’uomo attri-
Umili e Superbi
E’ proprio dell’essere umano che ha raggiunto l’età
della ragione l’esperire un continuo passaggio dalla
superbia all’umiltà e da quest’ultima alla prima.
Dobbiamo pertanto definire cosa s’intende per umiltà
e superbia dal punto di vista esistenziale che è quello
che ci interessa quando si parla di dare un senso alla
vita.
La Superbia
La prima descrizione della superbia la troviamo in
Genesi 3, 1-7. Nei punti 4-7 è scritto: <<… Ma il serpente disse alla donna: <<Non morirete affatto! Anzi,
Dio sa che, quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i
vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il
bene e il male>>. Allora la donna vide che l’albero era
buono da mangiare, gradito agli occhi e desiderabile
per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne
mangiò, poi ne diede anche al marito che era con lei,
e anch’egli ne mangiò. Allora si aprirono gli occhi di
tutte due e si accorsero di essere nudi; intrecciarono
foglie di fico e ne fecero cinture>>.
Nel racconto biblico, i nostri progenitori ricevettero
in dono la vita privilegiata del paradiso terrestre:
“senza il dolore, la fatica del lavoro, il limite della
morte”. Pur essendo liberi nella conoscenza scientifica
della natura (l’uomo aveva dato il nome a tutte le
cose) furono attratti a violare l’unico limite loro impo-
• 29 •
FILOSOFIA
DELLA
MEDICINA
senza palliativi, secondo verità. Constatando la nostra
pochezza, ci apriremo alla grandezza di Dio: è questa
la nostra grandezza… solo la sincera conoscenza del
nostro nulla ha la forza di attirare su di noi la grazia
divina>>2. San Tommaso qualifica l’umiltà insieme
alla fede come il fondamento delle altre virtù:<<In due
modi si può intendere che una virtù è la prima nell’acquisizione delle altre. Primo, in quanto rimuove ciò
che a esse sono di ostacolo. E in tal senso l’umiltà è
al primo posto, in quanto scaccia la superbia, alla
quale Dio resiste, e rende l’uomo sottomesso e aperto
a ricevere l’infusione della grazia divina, togliendo l’ostacolo della superbia, secondo le parole di san
Giacomo: “Dio resiste ai superbi, ma dà la sua grazia
agli umili”(Gc4, 6). In tal senso l’umiltà è il fondamento dell’edificio spirituale. Secondo, una virtù può
essere la prima direttamente: quale mezzo per avvicinarsi a Dio. Ora, il primo passo verso Dio si fa con la
fede, come dice san Paolo: “E’ necessario che chiunque si accosta a Dio creda”. E in tal senso si dice che
il fondamento è la fede>>3.
buisce unicamente a se stesso il risultato di una idea,
un sentimento, un’azione, un’opera, si comporta
(anche senza rendersene conto) come se si facesse
uguale a Dio. Solo la superbia permette all’uomo di
farsi uguale a Dio e risulta essere perciò il fondamento
di ogni peccato. Nessun uomo può dirsi esente da tale
peccato che insidia ogni momento della sua vita.
Soltanto Gesù, vero uomo, non ha commesso alcun
peccato di superbia, essendo vissuto facendo per intero la volontà del Padre celeste, fino a morire sulla
croce anche per i propri nemici, per espiare i peccati
di tutti gli uomini. Con la sua resurrezione ha dimostrato di essere anche vero Dio. Come il primo Adamo
fu causa del peccato di tutti, Cristo – il secondo
Adamo – fu causa della salvezza di tutti. Alla disobbedienza del primo uomo si contrappone l’obbedienza
del secondo Adamo, così che <<per l’obbedienza di
uno solo tutti saranno costituiti giusti>> (Rm 5, 19).
La concupiscenza dell’intelletto induce l’uomo a
respingere ciò che sfugge al dominio della ragione e
quindi rifiuta la rivelazione della croce: “scandalo per i
giudei, pazzia per i greci”. Tale rifiuto costituisce un
atto di superbia fondamentale per la persona perché
condiziona tutte le scelte esistenziali volte a dare un
senso alla vita. Disobbedienza questa che presenta
caratteristiche del tutto simili a quella compiuta dai
nostri progenitori nell’Eden, che si è ripetuta nelle
generazioni successive, e si ripete nei nostri giorni.
L’Etica può essere il Fine
che dà Senso alla Vita?
I vizi e le virtù che caratterizzano gli atteggiamenti e
le relazioni tra gli uomini possono derivare rispettivamente dalla superbia e dall’umiltà ma non le sostituiscono. I primi possono essere l’odio, il disprezzo, la
prepotenza o il sopruso, lo sfruttamento del più debole, la maldicenza, l’avarizia, ecc. Le seconde possono
essere l’amicizia, la generosità, la modestia, la timidezza, il pudore, l’apertura agli altri, il saper ascoltare,
la comprensione, la delicatezza, la disponibilità, la
benevolenza, ecc. Queste belle virtù concorrono a
rendere buone le relazioni tra gli uomini e a migliorare
l’individuo che le pratica, e sono necessarie alla vita
morale indipendentemente dalla fede o dalla ideologia
che anima la opzione fondamentale. Tuttavia nessuna
di esse si presenta come un valore di per sé perché
costituiscono solo il mezzo necessario alla realizzazione della vita morale. Quest’ultima invece si definisce
sulla base dei principi che guidano scelte e comportamenti nei quali trovano applicazione i vizi o le virtù
sopra elencati. Tale distinzione che, a mio avviso riveste una importanza cruciale, dovrebbe aiutare ad evitare la confusione che sembra essere assai diffusa
nella società attuale. Indico un esempio che, pur
potendo sembrare banale, è realistico e può aiutare a
capire.
<<Una donna rimane incinta in seguito ad un rap-
La Umiltà
Mentre la superbia è connaturata alla carne e quindi
la si ritrova con espressioni diverse in tutti gli uomini,
l’umiltà è una dimensione nuova che lo spirito umano
conquista attraverso un cammino di ascesi irto di
ostacoli. Ogni passo di questo cammino è insidiato
dalle tre concupiscenze e l’individuo esperimenta la
propria debolezza. L’umiltà è la virtù che modera il
desiderio della propria eccellenza e conduce a sapere
chi siamo: <<ci aiuta a comprendere, ad un tempo, la
nostra miseria e la nostra grandezza>>1. Questa virtù
si trova in un certo senso alla radice di tutte le virtù
dell’uomo, in quanto creatura chiamata alla conoscenza e all’amore di Dio. E’ quindi la virtù che la
creatura esercita nella relazione con Dio (e non
riguarda pertanto le relazioni con gli altri uomini),
verso il quale si riconosce indigente e in assoluto
bisogno del suo costante aiuto. La consapevolezza
della nostra condizione umana – in cui consiste
sostanzialmente l’umiltà – è fondamento di tutta la
vita morale. <<Umiltà significa vederci come siamo,
1) Beato Josemarìa Escrivà, Amici di Dio, n. 94. Edizioni Ares 20131 Milano Via Stradivari, 7 1996
2) ibi, nn. 96-97.
3) San Tommaso, Summa theol., II-II, q. 161, a. 5, ad 2.
• 30 •
FILOSOFIA
DELLA
MEDICINA
può essere ricercato come fine; ma poiché la bontà
che possiede non gli viene da sé, ma l’ha ricevuta da
Dio, anche la sua condizione di fine è qualcosa di
ricevuto e dipendente dalla Bontà Prima, infinita; non
può essere perciò un vero fine ultimo. Ciò comporta
che i molteplici beni creati – per esempio la scienza,
la ricchezza, ecc. – sono pienamente perfettivi dell’uomo se ricercati ordinatamente secondo il proprio valore ma non lo sono quando vengono assunti come la
meta che assicura tutte le aspirazioni. Oggettivamente
il fine ultimo dell’uomo può solamente essere quel
Bene che è il fondamento di tutti gli altri beni esistenti,
cioè Dio. E’ un bene che non si riferisce ad un aspetto
professionale o economico o morale o spirituale, ma
alla globalità della persona. Il fine ultimo corrisponde
perciò al bene essenziale della persona umana, intesa
nella sua unicità corporea.
Poiché l’uomo è tenuto a glorificare Dio
liberamente, egli può non farlo: può ricercare altre
cose come meta della sua esistenza. Quando si perde
di vista che il fine ultimo della vita è l’unione con Dio,
il desiderio di perfezione e di felicità si svuota di contenuto; le cose si riducono alla loro piccolezza e banalità; possono soddisfare alcuni desideri dell’uomo, ma
non appagare il suo anelito di infinito.
porto extra o pre matrimoniale, vorrebbe interrompere la gravidanza, cerca consiglio e chiede aiuto: al
compagno, ad un medico, ad un’amica o un amico,
alla mamma. Prima ipotesi. Ognuno di questi potrebbe comportarsi verso la donna con prepotenza o
disprezzo o indifferenza e verrebbe in tal caso stigmatizzato negativamente dalla maggioranza degli individui del gruppo sociale. Seconda ipotesi. Uno o più dei
soggetti coinvolti nel problema mostrano comprensione, disponibilità e benevolenza verso la donna. Qui i
comportamenti si dividono in modo netto e fondano
la differenza dei valori e del giudizio morale. Coloro
che sono guidati dal principio secondo il quale la
donna è libera e padrona delle proprie scelte collaborano in modo diretto o indiretto alla interruzione della
gravidanza (per altro sancita anche dalla legge dello
Stato). Coloro che sono guidati dal principio secondo
il quale il valore sacro della vita, in questo caso del
bambino, non può essere posposto ai desideri o alle
preoccupazioni della madre usano tutte le vie e i
mezzi per consigliare, guidare, sostenere e aiutare la
donna a portare a termine la gravidanza>>.
La formulazione del giudizio morale spetta solo alla
responsabilità dei singoli i quali troveranno la risposta
nella loro coscienza. Questa risposta risulterà essere
retta se la coscienza è limpida e bene informata, non
potrà esserlo se la coscienza è corrotta. In linea di
principio generale, nell’esempio descritto possiamo
riconoscere, nei primi individui l’attualizzazione della
superbia, nei secondi la via del sacrificio per il bene
dell’altro. Ma in entrambe le situazioni né i principi
ispiratori né i valori realizzati né le virtù espletate presentano consistenza e proprietà tali che consentano
all’individuo di soddisfare alla domanda: “quale senso
dare alla propria vita”. Vediamo perché.
Può la Coscienza Generare la Legge?
Nella lettera sono stati usati dei termini che non
posso passare sotto silenzio. 1) “L’uomo (che nega
Dio) ama e rispetta l’altro perché glie lo impone la
coscienza”. La coscienza diventa in tal modo l’origine
della legge. Niente quindi impedirebbe alla coscienza,
legiferando per se stessa, di imporre: in certi momenti
l’amore di amicizia, in altri il disprezzo dell’odio.
Come accade nella realtà quotidiana del relativismo
morale. Intendendo con il termine coscienza “il sistema dei valori etici di una persona, che le permette di
approvare o disapprovare i propri atti”, il giudizio
morale che ne scaturisce è posteriore all’atto e dipende dai principi che la persona ha precedentemente
scelto come regola di vita. 2) La dimensione teologica
e quella etica non possono essere considerate equipollenti perché la prima concerne il rapporto con Dio
(anche se viene negato), la seconda riguarda le relazioni umane. Queste ultime possono aiutare a diminuire il vuoto della solitudine e la noia dell’esistenza
condotta senza un fine adeguato alla dignità della persona ma non possono rispondere alla vera domanda
di senso. 3) Se la scelta della fede fosse strumentale
(l’aggettivo fa pensare ad un calcolo meschino), non
corrisponderebbe a quella via di verità e di vita indicate dall’amore di Cristo ad ogni uomo. 4)
Nell’esperienza di tutti coloro che l’hanno praticata, la
via radicale della fede richiede molto più coraggio
intellettuale e molta più forza morale per mantenere
fino all’ultimo istante una condotta di vita coerente,
rispetto a quanto viene richiesto da un facile accomodamento con la propria coscienza.
Prof. Paolo Rossi
Via Verdi, 18 Novara
Il Senso della Vita e la Ricerca del Fine Ultimo
non sono sinonimi né equivalenti, ma interdipendenti. L’uomo non si può porre la domanda sul senso
della vita, in qualunque momento emerga dalla sua
intimità, senza al contempo chiarire quale potrebbe
essere per lui il suo ultimo fine. Questo è un fenomeno tipico della natura umana ed è stupefacente constatarlo. Lo testimoniano in tutte le epoche fino ai
nostri giorni: i culti religiosi, la cultura dei morti, certe
espressioni dell’arte, credenze popolari, miti e tradizioni. Possono cambiare le risposte ma non si separano i due termini.
Anche nel linguaggio convenzionale “dare un
senso” significa scegliere una direzione, è una forma
propositiva proiettata verso il proprio futuro che perciò non vuol dire colmare il vuoto o la noia di un giorno, ma impostare e organizzare tutta la vita in modo
tale da raggiungere un determinato risultato. Questo
risultato è il bene della persona. Qualunque bene
creato può essere perseguito come fine e, di fatto,
l’uomo si propone i fini più disparati, tanti quanti sono
i beni concreti che vuole conseguire: alcuni per se
stesso come i beni fondamentali della persona, altri
come mezzi per un fine ulteriore. Ogni bene concreto
• 31 •
L’INFORMAZIONE CARDIOLOGICA
2002;22:32
Lettera al Direttore
Osservazioni su Come dare un senso alla nostra vita
Interrogarsi sul senso della vita è certamente ineludibile: è il primo e fondamentale passo per definire i
valori sui quali orientare le nostre scelte e finalizzare i
nostri comportamenti.
Che il cammino da percorrere per realizzare il nostro
modo di essere in relazione a noi stessi e agli altri
sulla base dei valori che abbiamo riconosciuto come
tali, si offre agevole e sicuro se sostenuto dalla fede in
Dio, è certamente vero poiché la Grazia –“dono gratuito dello Spirito” – alimenta ineusaribilmente la speranza di un futuro salvifico. E’ una pienezza di vita e
del senso della vita al di sopra di ogni altro tentativo
possibile di raggiungere lo stesso risultato per altra
via. Ma, se è vero che ciò è tanto più possibile quanto
più si è umili, non credo affatto che coloro i quali non
riescono ad acquistare “la grazia necessaria all’incontro e all’abbraccio del Padre” siano “i superbi”!
Dividere gli uomini in umili e superbi è un pò semplicistico: la natura umana non è così elementare!
Affidare ai sacramenti della Chiesa l’unico mezzo per
dare un senso all’esistenza, è negare che prima e fuori
della Chiesa ci siano valori etici sufficienti a giustificarla, è affermare che non siano mai state praticate
la pietà, la solidarietà e la giustizia prima del Vangelo,
e che non siano possibili indipendentemente dai
“Comandamenti”. Io credo che lo siano; la differenza
non sta nei fini, ma nel mezzo: nel rapporto dell’uomo
con Dio, l’uomo ama e rispetta l’altro perché vuole
ciò che Dio gli chiede; nel rapporto con gli altri uomini, ama e rispetta perché glielo impone la coscienza.
Sono due dimensioni diverse: teologica l’una, più gratificante; etica l’altra, più coraggiosa perché meno
strumentale; ma il risultato – almeno nell’impegno a
dare un senso all’esistenza – è lo stesso.
Perciò, proporre la scelta di abbandonarsi alla Fede
e vivere nella Grazia come unica e quindi insostituibile alternativa a una vita vuota e inutile, mi sembra
una affermazione arbitrariamente riduttiva!
prof.ssa Noemi Zurlo Carugno
Via della Rocca, 66 67039 Sulmona 01-03-2002
• 32 •
L’INFORMAZIONE CARDIOLOGICA
2002;22:33
Flash
Stimolazione Atriale nella Sindrome da Apnea del Sonno
Molti soggetti affetti da sindrome da apnea del
sonno (sonnolenza durante il giorno, stanchezza mattutina, russamento, indice di apnea notturna ≥5, dato
dal numero degli episodi di apnea di almeno 10 sec
diviso il numero delle ore di sonno) presentano bradicardia notturna, tachicardie parossistiche o entrambe
che si giovano della stimolazione atriale permanente.
In 15 soggetti affetti da sindrome di apnea del sonno,
ostruttiva (n.7) o centrale, venne impiantato un pacemaker bicamerale per il trattamento di bradi-aritmie
sopraventricolari. L’esame polisonnografico fu eseguito in ritmo spontaneo e in stimolazione bicamerale
con sovra-stimolazione atriale (di 15 battiti più frequente del ritmo sinusale notturno medio). L’indice di
ipopnea (<50% del flusso oro-nasale associato a –4%
di saturazione dell’ossiemoglobina arteriosa) si è
ridotto da 9±4 in ritmo spontaneo a 3±3 durante la
sovra-stimolazione atriale (P<0.001). Per entrambi
gl’indici di ipopnea e apnea, il valore di 28±22 in
ritmo spontaneo si è ridotto a 11±14 durante la sovrastimolazione atriale (P<0.001). L’effetto della sovrastimolazione atriale sull’indice di apnea centrale o
ostruttiva è riportato nella fig.1.
Figura 1 - EFFETTI DELLA SOVRA-STIMOLAZIONE ATRIALE
SULL’INDICE DI APNEA NEI SOGGETTI CON APNEA DI ORIGINE
CENTRALE
TUTTI
(A)
E IN QUELLI CON APNEA OSTRUTTIVA
(B).
I SOGGETTI IN DIVERSO GRADO HANNO MIGLIORATO
DURANTE IL PACING.
(per gentile concessione dell’Editore)
COMMENTO
GLI
EPISODI DI APNEA NOTTURNA CENTRALE SONO CARATTERIZZATI DALLA IPOSSIEMIA, DALLA RITENZIONE DI
CO2, DALLA BRADICARDIA E DALLA
QUEST’ULTIMO A SUA VOLTA DETERMINA VARIAZIONI CICLICHE DELLA
L
1984;1:126-31, N
C
FREQUENZA CARDIACA LE QUALI POSSONO INFLUENZARE L’INCIDENZA DELL’APNEA NOTTURNA CENTRALE(G
1998;98:1071-77)
. LA STIMOLAZIONE ATRIALE AD ALTA FREQUENZA RISPETTO ALLA BRADICARDIA SINUSALE SPONTANEA PERMETTE DI MANTENERE UN’ATTIVITÀ SIMPATICA CHE CONTRASTA L’AUMENTO SOSTENUTO DEL TONO VAGALE. TALE IPOTESI CONCORDA ANCHE CON I RISULTATI OTTENUTI CON LA
C
E
1998;21:1473-75)
, • NELLA PREVENZIONE DELLA
SOVRA-STIMOLAZIONE ATRIALE: • NEL TRATTAMENTO DELLA SINCOPE VASO-VAGALE(A P
P
C
E
1998;21:1751-50)
. NEI SOGGETTI CON BRADICARDIA SINUSALE SINTOMATICA LA SOVRA-STIFIBRILLAZIONE ATRIALE INDOTTA DAL VAGO(G
MOLAZIONE ATRIALE HA DETERMINATO UNA RIDUZIONE DELL’INDICE APNEA-IPOPNEA SUPERIORE AL 50%, PERTANTO TALE TRATTAMENTO PUÒ ESSERE
CONSIDERATO IN ALTERNATIVA ALLE ALTRE POSSIBILITÀ TERAPEUTICHE DELLA APNEA DA SONNO. QUESTE SONO NELLA APNEA OSTRUTTIVA: LA VENA R R
D 1993;147:630-34)
O
H
N
S
TILAZIONE CON PRESSIONE POSITIVA(D
E LA DISOSTRUZIONE CHIRURGICA CON LA FARINGO-PLASTICA(W
1994:111:38-43)
NE
J M 1996;335:562-67)
; IN ENTRAMBI I TIPI DI APNEA ANCHE LA TEOFILLINA(J
.
(DA GARRIGUE S ET AL. N ENGL J MED 2002;346:404-12)
IPOTENSIONE ARTERIOSA, CHE SI ASSOCIA ALL’AUMENTO DEL TONO VAGALE.
UILLEMINAULT
BE
ARRIGUE
AVIES
M
EV
ESPIR
ACIN
LIN
ACING
LIN
ANCET
ARKIEWICZ
IRCULATION
LECTROPHYSIOL
LECTROPHYSIOL
IS
OODSON
AVAHERI
NGL
ED
• 33 •
TORYNGOL
EAD
ECK
URG
L’INFORMAZIONE CARDIOLOGICA
2002;22:34
Flash
Progressione della Stenosi Aortica e Statine
Non si conosce ancora una terapia medica che permetta di ridurre la progressione della stenosi aortica
calcifica. In 174 soggetti con stenosi aortica moderata
e funzione normale del ventricolo sinistro sono stati
misurati il gradiente e l’area valvolare con ecocardiogrammi seriati. L’evoluzione della malattia valvolare è
risultata essere diversa nei 57 soggetti trattati con inibitori della idrossimetilglutaril-coenzima-A-reduttasi
rispetto a quelli senza tale terapia. Il gruppo trattato,
sebbene presentasse età più avanzata e una maggior
prevalenza di ipertensione, diabete mellito e malattia
coronarica, ha mostrato nel corso del follow up (21
mesi) un minore aumento del gradiente e una minore
diminuzione dell’area valvolare (fig.1). Il valore
annualizzato di quest’ultima è risultato essere lo
0.11±018 cm2 nel gruppo non trattato confrontata con
lo 0.06±0.16 del gruppo trattato con statine (p=0.03).
Il profilo lipidico dei due gruppi è mostrato nella fig. 2.
Figura 1 - PROGRESSIONE DELLA STENOSI AORTICA NEL PERIODO DI
STUDIO
(21
MESI) EVIDENZIATA COME VARIAZIONE ASSOLUTA
(VALORI
MEDI±SE) DEI PARAMETRI ECOCARDIOGRAFICI DEL GRADIENTE DI PICCO
E MEDIO E DELL’AREA VALVOLARE
(COLONNE
(COLONNE NERE)
MENTO
(AVA)
NEL GRUPPO NON IN TRATTA-
BIANCHE) E NEL GRUPPO TRATTATO CON STATINE
(per gentile concessione dell’Editore)
Figura 2 - VARIAZIONE PERCENTUALE DEI PARAMETRI LIPIDICI NEL
PERIODO DI STUDIO NEL GRUPPO TRATTATO CON STATINE
QUELLO NON TRATTATO
(41
PAZ.).
SOLTANTO
(52
PAZ.) E IN
IL COLESTEROLO
LDL
È
DIMINUITO IN MODO SIGNIFICATIVO.
(per gentile concessione dell’Editore)
COMMENTO
DAI DATI DELLA LETTERATURA SI EVINCE CHE LA PROGRESSIONE DELLA STENOSI AORTICA CALCIFICA SI VERIFICA CON UNA RIDUZIONE MEDIA DEL1997;127:2261-70)
L’AREA DI 0.1<CM2 PER ANNO(O C
, SIMILE A QUELLA RILEVATA IN QUESTO STUDIO NEL GRUPPO NON IN TRATTAMENTO CON STATINE. I FATTORI DI RISCHIO RICONOSCIUTI CHE RISULTANO ESSERE LEGATI ALLA PROGRESSIONE PIÙ RAPIDA DELLA STENOSI AORTICA SONO: L’ETÀ, L’I2000;101:2497-502)
PERCOLESTEROLEMIA, L’AUMENTO DELLA CREATININA, L’USO DEL TABACCO E GRADI PIÙ LIEVI DI STENOSI(P C
. LA VALUTAZIONE
DELLA QUANTITÀ DI CALCIO DEPOSITATO NELLA VALVOLA AORTICA (CON LA TOMOGRAFIA A RAGGIO ELETTRONICO) HA PERMESSO DI DIMOSTRARE
C
2001;104:1927-1932)
. I RISULTATI OTTEUNA FORTE INFLUENZA DEL COLESTEROLO LDL SULLA PROGRESSIONE DELLA STESSA CALCIFICAZIONE(P
NUTI IN QUESTO STUDIO, SEBBENE SIA RETROSPETTIVO, GIUSTIFICANO L’IMPIEGO DELLE STATINE IN QUESTO TIPO DI MALATI. UNA PUR MODESTA
TTO
IRCULATION
ALTA
OHLE
IRCULATION
IRCULATION
RELAZIONE È STATA RILEVATA CON LE VARIAZIONI DEL PROFILO LIPIDICO ESSENDO LA PROGRESSIONE DELLA STENOSI PIÙ LENTA NEI SOGGETTI CON
COLESTEROLO
LDL <100 MG/DL. (DA NOVARO GM ET AL. CIRCULATION 2001;104:2205-2209)
• 34 •
L’INFORMAZIONE CARDIOLOGICA
2002;22:35
Flash
Prevenzione del Diabete Mellito Tipo 2 e Stile di Vita
La diagnosi del diabete mellito non insulino-dipendente viene spesso ritardata finché non compaiono
complicazioni. Poiché i metodi di trattamento correnti
non eliminano tutte le conseguenze legate a tale
malattia, è preferibile attuare interventi di prevenzione. A tale scopo 3234 soggetti non diabetici con
eccesso ponderale (IC ≥24), glicemia, a digiuno, 95125 mg/dL, e, dopo carico, 140-199 mg/dL 2h, furono assegnati random a uno dei tre interventi seguenti:
1) stile di vita standard più metformina (Glucophage)
850 mg x 2/die, 2) stile di vita standard più placebo
due volte al di, 3) programma intensivo di modificazione dello stile di vita con l’intento di conseguire e
mantenere una riduzione del peso corporeo di almeno
il 7% con dieta ipocalorica e pochi grassi e attività fisi-
ca di moderata intensità (camminata veloce per
almeno 150 min. alla settimana). In un periodo medio
di 2,8 anni, rispetto al gruppo con placebo, l’intervento sullo stile di vita ha ridotto l’incidenza del diabete
mellito del 58% (IC al 95%: 48-66%) e la metformina
del 31% (IC al 95%: 17-43%); l’intervento sullo stile di
vita è risultato essere significativamente più efficace
del trattamento con metformina (Fig. 1). La riduzione
della media della glicemia a digiuno è risultata essere
simile nei gruppi 1 e 3, ma con l’intervento sullo stile
di vita l’effetto sulla emoglobina glicosilata è risultato
essere maggiore di quello della metformina e una
proporzione più grande di soggetti presentavano glicemia normale anche dopo carico di glucosio (Fig.
2).
Figura 1 - INCIDENZA CUMULATIVA DEL DIABETE NEI TRE GRUPPI DELLO STUDIO
(P<0.001)
PER OGNI CONFRONTO.
(per gentile concessione dell’Editore)
Figura 2 - CONCENTRAZIONI DEL GLUCOSIO PLASMATICO A DIGIUNO (A) E
DELLA EMOGLOBINA GLICOSILATA
DI OSSERVAZIONE
(0.5-3
(B)
NEI TRE GRUPPI DI STUDIO.
NEL
PERIODO
ANNI) LE VARIAZIONI DELLE GLICEMIE A DIGIUNO E
DELL’EMOGLOBINA GLICOSILATA SONO RISULTATE ESSERE DIVERSE IN MODO
SIGNIFICATIVO NEI TRE GRUPPI
(P<0.001).
(per gentile concessione dell’Editore)
COMMENTO
LA
PREVENZIONE DEL DIABETE PUÒ ESSERE CONSEGUITA IN TUTTI I GRUPPI ETNICI E RAZZIALI DI ENTRAMBI I SESSI.
VITA HA RIDOTTO L’INCIDENZA DEL DIABETE
(-31%),
(-58%
L’INTERVENTO
SULLO STILE DI
RISPETTO AL PLACEBO), IN GRADO MAGGIORE RISPETTO AL TRATTAMENTO CON METFORMINA
ED È RISULTATO ESSERE EFFICACE SIA NEI PIÙ GIOVANI
(25-44
ANNI) COME NEGLI ANZIANI
(≥60
ANNI). IN STUDI PRECEDENTI NON ERA
STATO DIMOSTRATO CHE I FARMACI IMPIEGATI PER LA CURA DEL DIABETE FOSSERO EFFICACI PER LA SUA PREVENZIONE(KNOWLER DIABETES 1995;44:483-88). INVECE
LA METFORMINA CHE È UNA BIGUANIDE CHE AGISCE MIGLIORANDO LA SENSIBILITÀ ALL’INSULINA, HA DIMINUITO IL RISCHIO DEL DIABETE NEI SOGGETTI AD ALTO RISCHIO PER TALE MALATTIA.
PREVENTIVA MIGLIORE. (DA
TUTTAVIA, LA DIMINUZIONE DEL PESO CORPOREO E L’ATTIVITÀ FISICA SISTEMATICA
DIABETES PREVENTION PROGRAM RESEARCH GROUP. N ENGL J MED 2002;346:393:403)
• 35 •
ESERCITANO UN’AZIONE
L’INFORMAZIONE CARDIOLOGICA
2002;22:36
Flash
Significato Prognostico del Recupero dopo Esercizio
Al termine di uno sforzo fisico i parametri cardiovascolari, in particolare frequenza cardiaca e pressione
arteriosa ritornano gradualmente verso i valori di riposo. Il recupero della frequenza cardiaca è stato determinato calcolando la differenza tra il valore della frequenza al picco dello sforzo e quello registrato un minuto
dopo la sua interruzione (brusca). Veniva considerato
anormale un valore ≤18 b/p/m. Un recupero della frequenza cardiaca è stato rilevato anormale in 805 (15%)
dei 5438 soggetti senza storia di cardiopatia per i quali
era stata richiesto un ecocardiogramma sotto sforzo.
Dopo un periodo di osservazione di 3 anni, si è evidenziato che un recupero anormale possiede una forte
capacità predittiva di morte (RR 2.09, 95% CI 1.492.82, P<0.001) indipendente dall’età, dal sesso, dalla
capacità di esercizio, dalla funzione sistolica del ventricolo sinistro (Fig. 1), dalla presenza o assenza di ischemia miocardica, dal fumo e dal diabete.
Figura 1 - CURVE NON AGGIUSTATE DI SOPRAVVIVENZA SECONDO
KAPLAN-MEYER,
IN RELAZIONE AL RECUPERO DELLA FREQUENZA
CARDIACA E ALLA DISFUNZIONE VENTRICOLARE SINISTRA SISTOLICA
(FRAZIONE
DI EIEZIONE
≤40%). UN RECUPERO ANORMALE
(ABNORMAL HHR ONLY) RISULTA
DELLA FREQUENZA CARDIACA
ESSERE UN INDICE PROGNOSTICO NEGATIVO SIMILE A QUELLO
DELLA DISFUNZIONE SISTOLICA
SENZA DI ENTRAMBI
(BOTH
(ABNORMAL LV
ONLY).
LA
PRE-
ABNORMAL) PRESENTA UN PESO PRO-
GNOSTICO CUMULATIVO MOLTO GRAVE.
(per gentile concessione dell’Editore)
COMMENTO
IL
RECUPERO DELLA FREQUENZA CARDIACA DIPENDE DALLA RIATTIVAZIONE VAGALE CHE SI VERIFICA NEL PRIMO MINUTO DOPO LO SFORZO E RISULTA
ESSERE ACCELERATO NEI SOGGETTI BENE ALLENATI MENTRE VIENE RALLENTATO NEI PAZIENTI CON SCOMPENSO CARDIACO CRONICO(IMAI J AM COLL CARDIOL
1994;24:1529-35)
. L’AUMENTO
DEL TONO VAGALE DIMINUISCE IL RISCHIO DI MORTE NELLA POPOLAZIONE CON O SENZA MALATTIA CARDIOVASCOLARE(LA ROVERE
LANCET 1998,351:478-84, TSJI CIRCULATION 1994;90:878-83)
. IL
CALCOLO
(MOLTO
SEMPLICE) DEL RECUPERO DELLA FREQUENZA CARDIACA PUÒ ESSERE ESEGUITO DURANTE
IL PERIODO DI RAFFREDDAMENTO O MEGLIO ALLA CESSAZIONE BRUSCA DELLO SFORZO.
TE DA TUTTI GLI ALTRI FATTORI CONFONDENTI.
PERTANTO
PRESENTA
UNA CAPACITÀ PREDITTIVA DI MORTE INDIPENDEN-
SI È RIVELATO UN PARAMETRO UTILE DI VALUTAZIONE PER LA STRATIFICAZIONE DEL RISCHIO
DI MORTE NEI SOGGETTI CON SOSPETTA O RICONOSCIUTA MALATTIA CORONARICA. (DA
L’INFORMAZIONE CARDIOLOGICA
WATANABE J ET AL. CIRCULATION 2001;104:1911-1916).
2002;22:36
Iconografia cardio-vascolare
Interventi di Riperfusione nell’Infarto Miocardico Acuto
Nella grande maggioranza dei casi la causa immediata dell’infarto miocardico con sopraslivellamento
del tratto ST risulta essere la occlusione trombotica
dell’arteria coronarica regionale. Il rapido ripristino del
flusso ematico verso il miocardio ischemico, ma
ancora vitale, limita la estensione necrotica e diminuisce la mortalità. La riperfusione coronarica può essere perseguita tramite interventi medici, con la somministrazione di farmaci trombolitici, o mediante l’azione
invasiva meccanica dell’angioplastica coronarica,
così detta primaria, abbinata o meno all’applicazione
di uno o più stents coronarici (Fig. 1). Ciascuno di tali
metodi ha vantaggi e limitazioni.
La terapia trombolitica è ampiamente disponibile, è
efficace, ma può essere associata a complicazioni
emorragiche. Nel 10-15% dei pazienti che ricevono il
trattamento trombolitico, non si ottiene la lisi del
trombo. Soltanto la metà dei soggetti nei quali si è
riaperto il vaso coronarico presenta un flusso anterogrado normale e in alcuni di questi si verifica la riocclusione prima della dimissione dall’ospedale.
L’angioplastica coronarica (PTCA), detta primaria
se viene applicata come primo intervento nell’infarto
miocardico acuto, prontamente e da mani esperte,
permette di ottenere la riapertura del vaso e un flusso
anterogrado normale in un maggiore numero di
pazienti rispetto alla terapia trombolitica; in tal modo
migliora le frequenze di sopravvivenza e riduce la inci-
• 36 •
ICONOGRAFIA
denza del reinfarto e dell’ictus(1 Weaver WD, et al. JAMA 1998;279:2093-8; 2
. Sulla base di tali risultati si
ritiene che l’angioplastica primaria costituisca un
intervento preferibile alla trombolisi farmacologica,
specialmente nei soggetti con controindicazioni a tali
farmaci, in quelli di età superiore a 70 anni, e nei più
giovani in shock cardiogenico. La somministrazione
concomitante di un inibitore della glicoproteina IIb/IIIa
(abciximab) diminuisce la incidenza delle complicazioni precoci associate all’angioplastica coronarica.
Tuttavia anche dopo tali interventi la ischemia recidiva nel 10-15% dei pazienti, il reinfarto nel 3-5%, la
restenosi tardiva nel 50% e la riocclusione dopo alcuni
mesi dell’arteria infartuata nel 10%(3 Nunn C, et al. J Am Coll Cardiol
1999;33:640-6)
.
In uno studio randomizzato che ha coinvolto 2082
soggetti con infarto miocardico acuto, l’end point pri-
Zijlstra F, et al. N Engl J Med 1999;341 :1413-9)
CARDIOVASCOLARE
mario (composto da morte, reinfarto, ictus debilitante
o ischemia recidivante) è risultato essere del 20%
dopo la sola PTCA, del 16.5% dopo la PTCA più
abciximab, dell’11.5% dopo impianto di stents, e del
10.2% dopo lo stent più abciximab (P<0.001). Il flusso coronarico normale è stato ripristinato nel 94.596.9 dei soggetti indipendentemente dal tipo di intervento. Le differenze osservate nell’end point primario
sono dovute unicamente alla diversa incidenza (dal
15.7% al 5.2% dopo stent più abciximab p<0.001)
della necessità di ripetere la rivascolarizzazione del
vaso bersaglio nei sei mesi successivi. La restenosi
era del 40.8% dopo PTCA, del 22.2% dopo stent, la
riocclusione dell’11.3% e del 5.7%, (Fig.2) indipendentemente dalla somministrazione di abciximab(4 Stone
GW, et al N Engl J Med 2002;346:957-66)
.
Arteria occlusa
Terapia
trombolitica
Scopi
Ristabilire pervietà
coronarica
Salvataggio
miocardico
Angioplastica
Migliorare
sopravvivenza
Stent
Figura 2 - RAPPORTO DISPARI (ODDS RATIO) CHE CONFRONTA I
RISULTATI OTTENUTI SULL’END POINT PRIMARIO COMPOSITO (MORTE,
REINFARTO , RIVASCOLARIZZAZIONE E ICTUS ) A
Figura 1 - M ETODI DI RIPERFUSIONE NEI SOGGETTO CON
SOGGETTI ASSEGNATI ALL’ANGIOPLASTICA
6 MESI IN 1046
(PTCA) CON QUELLI
1036 ASSEGNATI ALL’APPLICAZIONE DI STENT(4).
INFARTO MIOCARDICO ACUTO.
OTTENUTI IN
(per gentile concessione dell’Editore)
(per gentile concessione dell’Editore)
COMMENTO
BENCHÉ
LO STENT RIDUCA LA FREQUENZA DELLE RESTENOSI E LA NECESSITÀ DI RIPETERE LA PROCEDURA DI RIVASCOLARIZZAZIONE, TALE VANTAG-
GIO È RELATIVAMENTE PICCOLO
(CORRISPONDE
AD UNA RIDUZIONE ASSOLUTA DEL
6%)(4). NON
È STATO ANCORA CHIARITO SE LO STENT COMPORTI
UN POSITIVO RAPPORTO COSTO-BENEFICI NELL’INFARTO MIOCARDICO ACUTO, E SE COSTITUISCA UNA STRATEGIA EFFICACE ANCHE NEI SOGGETTI
CON PICCOLI VASI (DIAMETRO
<2.5MM),
O IN QUELLI CON BYPASS DI GRAFT VENOSI, O IN QUELLI CON SHOCK CARDIOGENICO.
STUDI
PILOTA IN SOG-
GETTI CON ANGINA PECTORIS HANNO DIMOSTRATO CHE LA RESTENOSI È VIRTUALMENTE ELIMINATA CON GLI STENT CHE AGISCONO LOCALMENTE
RILASCIANDO, PER
15
GIORNI NELLA FORMULAZIONE
FR,
PER
> 28
GIORNI NELLA FORMA
SR,
SIROLIMUS
(RAPAMYCIN
IN UNA MATRICE POLIMERA),
UNA SOSTANZA CON POTENTE AZIONE IMMUNOSOPPRESSIVA CHE INIBISCE LA RISPOSTA DELLA PROLIFERAZIONE NEOINTIMALE.
LE, RILEVATA MEDIANTE GLI ULTASUONI INTRACORONARICI, ERA VIRTUALMENTE ASSENTE A
2001;104:2007-2011)
. SE
6
MESI
(2±5%)
E A
12
MESI
LA IPERPLASIA
(2±5%)(S JD,
OUSA
INTIMA-
ET AL
CIRCULATION
TALI RISULTATI SARANNO CONFERMATI DA ALTRI STUDI ESEGUITI SU UN MAGGIOR NUMERO DI PAZIENTI, LO STENT A RILASCIO FAR-
MACOLOGICO POTRÀ COSTITUIRE LA STRATEGIA PREFERITA DI RIVASCOLARIZZAZIONE NEI SOGGETTI CON INFARTO MIOCARDICO ACUTO.
(per gentile concessione dell’Editore)
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