La diagnostica nefrologica oltre l`ecografia: quali

Gennaio-Febbraio - Anno 7 - n. 1-2 - 2004
La diagnostica nefrologica
oltre l’ecografia:
quali altri metodi di imaging?
Linee guida all’impiego
delle metodiche radiologiche
Rita Golfieri, Domenico Barone
Erisipela
Stefano Veraldi
Sindrome metabolica:
aspetti clinici
e prospettive terapeutiche
Spedizione in abbonamento postale - 45% - art. 2 comma 20/b legge 662/96 - Filiale di Milano
Fulvio Muzio
PRIMO PIANO
Candidiasi vaginale:
una patologia anche allergica
Igea D’Agnano
AMBULATORIO
Lo scompenso cardiaco
nella pratica clinica
Pietro Cazzola
Scripta
M E D I C A Volume 7, n. 1-2, 2004
1
Scripta
MEDICA
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La diagnostica nefrologica oltre l’ecografia:
quali altri metodi di imaging?
Linee guida all’impiego delle metodiche radiologiche
Rita Golfieri, Domenico Barone
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Erisipela
Stefano Veraldi
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Sindrome metabolica:
aspetti clinici e prospettive terapeutiche
Fulvio Muzio
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21
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DI UROLOGIA E ANDROLOGIA
RIVISTA ITALIANA DI MEDICINA
DELL’ADOLESCENZA
INFORMED, CADUCEUM, IATROS, EUREKA
PRIMO PIANO
Candidiasi vaginale: una patologia anche allergica
Igea D’Agnano
pag.
35
pag.
41
AMBULATORIO
Lo scompenso cardiaco nella pratica clinica
Pietro Cazzola
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La diagnostica nefrologica oltre l’ecografia:
quali altri metodi di imaging? Linee guida
all’impiego delle metodiche radiologiche
Rita Golfieri, Domenico Barone
L’imaging nella patologia uro-nefrologica
segue iter diagnostici differenziati a seconda
del quadro clinico: nella presente trattazione
considereremo i cinque principali scenari di
presentazione clinica:
malattia reno-vascolare: ischemica o ipertensiva;
ematuria;
pielonefrite acuta;
insufficienza renale acuta e cronica;
colica renale.
Malattia reno-vascolare
La malattia reno-vascolare ha due principali
espressioni cliniche:
ipertensione reno-vascolare: è caratterizzata da ipertensione sistemica e sostenuta
da stenosi delle arterie renali su base aterosclerotica o displasica
nefropatia ischemica: si caratterizza per
una prevalente alterazione della funzione
renale ed è di solito dovuta a stenosi
mono o bilaterale su base aterosclerotica.
Rappresenta una potenziale causa d’insufficienza renale cronica.
L’ iter diagnostico prevede come indagine di
1° livello l’US-colorDoppler, di provata
attendibilità ad eccezione dei pazienti obesi
o con meteorismo marcato. L’ US-Doppler ha
un’accuratezza variabile nella diagnosi di
stenosi ostiale dell’arteria renale che va
incrementandosi all’aumentare della stenosi:
è, infatti, maggiore nelle stenosi superiori
Unità Operativa di Radiologia Diagnostica,
Interventistica e Medicina Nucleare
Ospedali GB Morgagni-L. Pierantoni, Forlì.
all’80% (1, 2). Ciò rende necessario il completamento con Angio-TC o Angio-RM.
Se l’US-Doppler risulta negativo ed il quadro
clinico è suggestivo per nefropatia ischemica, è raccomandabile l’esecuzione di un’indagine di 2° livello quale l’Angio-TC o
l’Angio-RM (o una scintigrafia sequenziale
con ACE-inibitori) (3).
L’ Angio-TC Spirale è la 1° scelta solo se la
funzione renale non è compromessa (creatinina < 2,5 mg/dl): essa consente un’accurata
stima dell’anatomia vascolare, della percentuale di stenosi, oltre che delle varianti anatomiche e delle calcificazioni parietali.
Nei pazienti con creatininemia di 2-2,5
mg/dl diviene indagine di 1° scelta l’AngioRM, che evita di esporre il paziente al rischio
di nefrotossicità da mezzo di contrasto
(mdc) iodato (4, 5).
L’ Angio-RM è l’indagine d’elezione in tutti i
pazienti anziani ipertesi con insufficienza
renale evolutiva e forte sospetto clinico di
nefropatia ischemica, poiché è metodica
ripetibile, esente da rischi nefrotossici, mentre non è idonea per lo screening in pazienti
ipertesi con bassa probabilità di stenosi
(Figura 1). L’ Angio RM è affidabile solo per il
tratto prossimale dell’arteria renale e per
documentare stenosi serrate.
Se l’US-Doppler risulta positivo, per la certezza diagnostica è necessario effettuare l’arteriografia DSA (Digital Subtraction Angiography) per definire l’entità della stenosi.
La DSA è ancor oggi il “gold standard” per la
documentazione della patologia stenoostruttiva, consentendo la quantificazione
delle stenosi delle arterie renali e dei rami
principali mediante metodiche “rotational” e
3D oltre alla valutazione della vascolarizzazione intraparenchimale. è metodica sempre
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necessaria prima di una rivascolarizzazione
chirurgica o di una PTRA associata o meno a
stenting.
Studio della stenosi dell’arteria renale:
metodiche di imaging
e loro principali indicazioni
Angio RM (o MRA): può essere effettuata con
due tecniche diverse: quella del “tempo di
volo” TOF (Time of Flight) e quella del “contrasto di fase” PC (Phase-Contrast). Un notevole miglioramento è stato apportato alla
metodica con l’uso di un mezzo di contrasto
(il gadolinio: Gd-DTPA) che consente di
abbreviare il tempo di rilasciamento dei protoni con conseguente più rapida acquisizione dell’immagine. I primi studi effettuati con
l’Angio-RM con tecnica TOF apparvero promettenti con sensibilità oscillante fra il 77 ed
il 100% (6, 7) per identificare le stenosi dei
primi 3-3,5 cm dell’arteria renale. Gli studi
basati sulla PC Angio-RM hanno dimostrato
un’accuratezza diagnostica maggiore. La sensibilità per stenosi maggiori de1l’80% è oggi
compresa fra 1’80 ed il l00% e la specificità
fra il 93 ed il 99% (8, 9) (Figura 1).
Uno studio comparativo delle due tecniche
di Angio-RM con la DSA ha dimostrato una
sensibilità del l00% ed una specificità del
90% limitatamente al tratto prossimale dell’arteria (10). Gli studi condotti con l’impiego di Gd-DTPA hanno dimostrato sensibilità
e specificità superiori al 90% anche per stenosi di rami accessori (4, 11). L’Angio-RM
con Gd-DTPA e la DSA hanno accuratezza
analoga per le stenosi prossimali (primi 2
cm) dell’arteria renale quando il gradiente
pressorio trans-stenotico è maggiore di 15
mmHg (12). L’ affidabilità della metodica è
limitata tuttavia al tratto prossimale dell’arteria. Il vantaggio dell’Angio-RM è la sua ripetibilità senza rischi di nefrotossicità nel
paziente con insufficienza renale.
Nei soggetti con stenosi dell’arteria renale
aterosclerotica questa generalmente riguarda
i primi 2 cm dell’arteria, area adeguatamente
visualizzata dall’Angio-RM: tale indagine
pertanto può essere considerata come la
prima procedura non invasiva negli anziani
ipertesi presentanti un aggravamento dell’insufficienza renale. Al momento l’Angio-RM
Figura 1.
Angio RM
con tecnica PC
con mdc ev
(Gd-DTPA):
stenosi del 70%
dell’arteria renale sinistra.
non può essere considerata metodica di
screening in pazienti ipertesi se la probabilità
di stenosi dell’arteria renale è scarsa, mentre
essa trova un’indicazione precisa in pazienti
con VFG ridotto e forte sospetto clinico di
nefropatia ischemica. La DSA resta in ogni
modo lo studio definitivo per la diagnosi di
steno-ostruzione dell’arteria renale.
Angio-TC spirale delle arterie renali: è una tecnica recente che richiede l’uso di mezzo di
contrasto, iniettato endovena in quantità pari a
100-150 ml con una velocità di 3-4 ml/sec
(13). Si conduce eseguendo una scansione a
strato sottile (2-5 mm) poco dopo l’inizio (2530 secondi) dell’iniezione di mdc endovenoso,
in quantità 100-150 ml iniettati a flusso rapido (3-4 ml/sec). Utilizza le acquisizioni volumetriche continue della TC spirale condotte
durante il tempo di opacizzazione arteriosa: le
immagini assiali ottenute vengono poi ricostruite con tecnica Multiplanare 2D (MPR) o
3D di superficie (SSD) (Figura 2).
La sensibilità dell’Angio-TC spirale è del 9298% con specificità variabile dal 83-94% (14)
e rispetto alla DSA è più precisa nel definire l’anatomia vascolare (15), nell’identificazione
delle arterie accessorie e soprattutto consente
di identificare le calcificazioni ateromasiche
parietali (16) con conseguente vantaggio in
caso di intervento chirurgico (Figura 2b).
La presenza di placche ateromasiche calcifiche
comporta un rischio di sottostima della stenosi sottostante, superabile solo mediante accu-
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La diagnostica nefrologica oltre l’ecografia
5
Figura 2.
Angio-TC spirale:
arterie renali di
calibro regolare:
a, b: tecnica di
ricostruzione MPR:
evidenza di
calcificazioni
ateromasiche in b.
c: tecnica di
ricostruzione 3D
"volume rendering"
di superficie.
A
B
C
Figura 3.
DSA.
a: stenosi displasica
a diaframma
dell’arteria renale
sinistra;
b: stenosi dei rami
segmentari.
Dettagli dimostrabili
esclusivamente
dallo studio DSA
e non evidenziati
preliminarmente
dall’US.
A
rata comparazione delle immagini assiali con
quelle ottenute dalla ricostruzione MIP o
MPR. Un’altro limite dell’Angio TC è la necessità d’impiego di elevate quantità di mdc, che
ne limita l’uso nell’insufficienza renale, condizione in cui peraltro l’Angio-TC è leggermente meno sensibile e specifica (13). Tuttavia
quando l’insufficienza renale non è severa
(creatininemia inferiore a 2,05 mg/dl) la tecnica sembra essere relativamente affidabile.
Arteriografia renale (DSA): è considerata la
metodica “gold standard” per la diagnosi della
patologia steno-ostruttiva dell’arteria renale:
essa possiede la massima sensibilità e consente l’identificazione precisa delle stenosi
dell’arteria renale principale e dei rami segmentari o subsegmentari, oltre alla valutazione della vascolarizzazione intraparenchimale (Figura 3).
L’angiografia è indispensabile quando è in
programma un intervento di rivascolarizzazione renale, sia chirurgico sia mediante
PTRA con eventuale stenting. La DSA non
richiede analgesia e può essere eseguita
ambulatorialmente (per approccio brachiale
o ascellare).
Oggi, lo standard è rappresentato dalla tecnica digitale intrarteriosa con utilizzo di
cateteri di piccolo calibro (3-4 French),
meno traumatici, e di una minore quantità
di contrasto rispetto al passato (iniezioni di
20 ml di mdc alla velocità di 10 ml/sec) (17).
Lo studio angiografico deve essere eseguito
B
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in più proiezioni (generalmente anteroposteriore e oblique), al fine di ottenere
informazioni sulla sede e sulla morfologia
della lesione e sui rapporti tra aorta e ostio
renale. L’invasività della metodica comporta
un rischio basso ma ben definito di complicanze: la più importante, oltre alle comuni
reazioni allergiche da mdc ed a quelle legate
alla manovra (ateroembolismo colesterinico,
dissezione intimale, ematoma o pseudoaneurisma nella sede della puntura dell’arteria
femorale o trombosi arteriosa) è la nefrotossicità da mezzo di contrasto (comune peraltro anche all’Angio-TC).
Per nefrotossicità da mezzo di contrasto
(NMC) s’intende sia un aumento percentuale
della creatinina del 25% o del 50%, sia un
aumento assoluto di 0,5-1 mg/dl entro 48 o 72
ore dall’infusione del mezzo di contrasto (3).
Oltre all’insufficienza renale (creatinina > 2
mg/dl), altri fattori di rischio per la comparsa
di NMC sono il diabete mellito, l’insufficienza
cardiaca, la disidratazione. In passato (fino agli
anni ‘80), con l’impiego di mezzi di contrasto
ionici ed iperosmolari l’incidenza di NMC raggiungeva il 20% nei pazienti con insufficienza
renale (18).
Attualmente l’impiego estensivo di mezzi di
contrasto a bassa osmolarità ha dimezzato
l’incidenza di NMC, in presenza di insufficienza renale; poiché la nefrotossicità è dosedipendente, anche la possibilità di impiego di
dosi minori sia in angiografia che in TC ha
ulteriormente contribuito alla ridotta incidenza di NMC.
Per prevenire la NMC l’idratazione con somministrazione endovenosa di liquidi è la procedura più utilizzata. Studi retrospettivi e
non controllati hanno suffragato l’efficacia di
questa tecnica, che è superiore all’infusione
di soluzione di NaCl 0,45% (1 ml/kg/h per
12 ore prima e 12 ore dopo l’iniezione del
mezzo di contrasto) da sola o associata a
infusione di mannitolo (50 g prima dell’iniezione del mezzo di contrasto) o di furosemide (80 mg 30 minuti prima dell’iniezione del
mezzo di contrasto): il gruppo trattato con la
sola infusione di soluzione salina ebbe la
minore incidenza di NMC (19).
Pertanto, i pazienti candidati ad arteriografia
renale dovrebbero sospendere 24 ore prima
dell’esame l’assunzione di diuretici e devono essere sottoposti a idratazione mediante
somministrazione endovenosa di fluidi
(soluzione salina 0,45% oppure soluzione
salina 0,9% + soluzione glucosata 5% oppure soluzione elettrolitica), indicativamente
1000 ml nelle 6-12 ore precedenti l’infusione del mezzo di contrasto. da ripetersi nelle
6-12 ore successive. In pazienti con creatinina elevata anche il trattamento dialitico,
effettuato 1-3 ore dopo l’infusione di mdc,
previene l’insorgenza di NMC (20).
Scintigrafia renale sequenziale: la scintigrafia
sequenziale con test provocativo con ACE-inibitori (Capoten) è una delle metodiche d’imaging utilizzate nella diagnostica della stenosi
dell’arteria renale: ha il vantaggio di scarsa
invasività, facilità di esecuzione ed assenza di
complicanze. L’indagine utilizza radiocomposti che, somministrati per via venosa, vengono
eliminati per filtrazione glomerulare e/o secrezione tubulare permettendo la valutazione sia
della funzione depuratrice del parenchima
renale sia della pervietà delle vie escretrici.
Mediante diverse procedure di calcolo è possibile quantificare il filtrato glomerulare, la portata plasmatica renale effettiva e la funzionalità
tubulare ed escretrice dei reni separatamente.
Ciascuno dei traccianti presenta caratteristiche cinetiche proprie che consentono la
valutazione di diverse funzioni renali:
il Tc-99m DTPA (acido dietilen-tetraaminopentacetico) per la determinazione del Volume del filtrato glomerulare
(VFG) (funzione glomerulare);
il Tc-99m MAG3 (acido mercapto-acetiltriglicinico) per la valutazione della funzione tubulare e del flusso renale ematico;
I’Hippuran (orto-iodio-ippurato di sodio)
marcato con I-131 o I-123 per la determinazione del flusso plasmatico effettivo:
l’Hippuran subisce una filtrazione glomerulare, una captazione da parte delle cellule del tubulo prossimale attraverso i capillari peritubulari ed una successiva secrezione a livello del tubulo prossimale.
La cinetica del MAG3 e dell’Hippuran rendono questi traccianti indicati per l’esecuzione
della scintigrafia renale anche in pazienti con
riduzione della funzionalità renale.
La curva di uno scintigramma normale ela-
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MEDICA
La diagnostica nefrologica oltre l’ecografia
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Figura 4.
Scintigrafia renale
con Tc-99 DTPA:
ostruzione acuta
dell’arteria renale
destra.
A
borata dal computer è caratterizzata da una
fase iniziale rapida di captazione (segmento
vascolare), in funzione del flusso ematico,
che raggiunge un picco per poi decrescere
quando l’escrezione del tracciante inizia ad
essere superiore alla captazione (segmento di
estrazione glomerulare). Dopo il picco si
assiste ad un decremento graduale della
curva che rappresenta la fase di escrezione
(segmento di eliminazione) (21) (Figura 4).
I parametri di maggiore interesse nella diagnostica della stenosi dell’arteria renale sono:
il contributo percentuale di ciascun rene (il
contributo di un rene inizia ad essere considerato patologico se è inferiore al 40%);
l’area sotto la curva di ciascun rene fra l
minuto e mezzo e 2 minuti e mezzo
(uptake);
il tempo di picco (time to peak) (valore
normale tra i 3 e 6 minuti);
percentuale del picco di uptake dopo 15
minuti (percent of peak retained).
Il rene portatore di una stenosi dell’arteria
renale presenta una comparsa del picco ritardata, un’entità del picco minore ed una persistenza del tracciante più prolungata rispetto al rene sano.
L’American Society or Hypertension Working
Group (22) ha stabilito i seguenti criteri per
considerare positivo il test provocativo al
Capoten:
1. Time to peak > 6 minuti e, comunque, ritardato di almeno 120 secondi rispetto al basale;
B
2. Riduzione dell’uptake > del 10% rispetto
al basale dal lato affetto;
3. Asimmetria della ritenzione dopo 15
minuti di almeno il 15% superiore rispetto al basale.
Le percentuali di sensibilità e specificità della
scintigrafia sono variabili secondo le casistiche (22, 23) e sono inferiori in presenza di
insufficienza renale: recenti contributi (24,
25) documentano un drammatico calo dell’accuratezza in pazienti con creatinina superiore a 1,5-1,8 mg/dl.
Definizione dell’entità della stenosi (DSA,
Angio-TC)
Se l’angio-RM dimostra una stenosi dell’arteria renale e/o dei suoi rami è necessario precisarne l’entità mediante Angio-TC o DSA in
quanto è documentata l’evolutività verso
l’occlusione completa del vaso quando la stenosi è superiore al 85-90% (26). In questi c’è
indicazione all’intervento di rivascolarizzazione o, in alternativa, ad una PTRA. Se invece la stenosi è quantificabile tra il 60 ed il
90% sia la scelta conservativa con follow-up
ravvicinato che quella interventistica possono ritenersi corrette.
I criteri che fanno prevedere un recupero
della funzionalità renale dopo PTRA o rivascolarizzazione chirurgica, che devono essere evidenziati preliminarmente dalle metodiche d’imaging, sono:
il riempimento dell’albero arterioso a
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valle della stenosi all’arteriografia;
le dimensioni del rene (diametro longitudinale > 9 cm in stratigrafia o > 8 cm in US);
la capacità di estrarre e concentrare il
mezzo di contrasto all’urografia o il
radioisotopo alla scintigrafia;
la condizione di rene unico funzionale.
L’angioplastica (PTA) è raccomandabile nelle
stenosi non ostiali e nei pazienti in cui sarebbe indicata la rivascolarizzazione, ma presentano un rischio operatorio molto elevato
(27-30). In caso di ristenosi e/o di lesione
ostiale è indicato il completamento dell’angioplastica con posizionamento di stent
(PTAS) o la rivascolarizzazione chirurgica.
La rivascolarizzazione chirurgica viene considerata in caso di fallimento della PTA o
quando coesistano altre necessità chirurgiche (per esempio aneurisma aortico e/o dell’arteria renale). Prima dell’intervento chirurgico di rivascolarizzazione è importante
valutare accuratamente i rischi tromboembolici cardiaci e cerebrali.
In conclusione, l’imaging diagnostico dell’ipertensione reno-vascolare è strettamente
dipendente dal sospetto clinico e dalla funzione renale del paziente.
Se i rilievi clinici pongono un forte
sospetto di stenosi dell’arteria renale e
con funzione renale normale deve essere
programmata una DSA, o in alternativa
un eco-Doppler o una scintigrafia con
ACE-inibitori (Captopril), se l’angiografia
non è desiderata dal paziente o se è controindicata per allergia al mdc.
In presenza di un forte sospetto clinico,
ma con funzione renale alterata, il
rischio di NMC pone una controindicazione all’angiografia e le indagini da
preferirsi per lo screening saranno l’US
duplex Doppler e la scintigrafia con
ACE-inibitori. L’angio-RM può essere
utile in un gruppo selezionato di
pazienti anziani ipertesi ad alta probabilità di avere una stenosi dell’arteria
renale prossimale
In pazienti ipertesi con bassa probabilità
di stenosi arteriosa, non è strettamente
necessario un protocollo d’imaging poiché molto probabilmente si tratta d’iper-
tensione essenziale controllabile farmacologicamente.
Ematuria
L’ematuria è uno dei più comuni sintomi di
presentazione per una vasta gamma di malattie renali: da questa trattazione sono escluse le
ematurie dell’infanzia e quelle conseguenti a
trauma, infezioni renali, insufficienza renale,
litiasi, masse espansive e prostatismo.
La prima decisione iniziale, rappresentata dalla
scelta se procedere o meno a valutazione
mediante imaging in tutti i pazienti con ematuria, trova opinioni contrapposte: secondo
alcuni una microematuria minima in giovane
asintomatico non necessita di valutazione
mediante imaging (31) mentre secondo altri
qualunque ematuria deve essere ritenuta indicativa di lesione maligna fino a prova contraria
e quindi richiede un workup completo
mediante imaging (32, 33). Poiché non esiste
un valore definito di ematuria che rappresenti
un “cut off” di identificazione della popolazione a basso rischio, è imprudente non eseguire
uno studio diagnostico semplicemente per la
giovane età del paziente o per la ematuria di
scarsa entità. Esistono tuttavia alcune popolazioni di pazienti, quali le giovani donne con
cistite emorragica, che non necessitano di un
completo studio radiologico.
Nel workup radiologico del paziente con
ematuria:
in presenza di forte sospetto clinico di
glomerulonefrite, dopo uno studio US
preliminare (per definire sede e numero
dei reni prima della biopsia, per lo screening di eventuali anomalie renali associate e per l’esclusione di una lesione chirurgica sanguinante) è indicata l’esecuzione
di una radiografia del torace per ricercare
altre manifestazioni associate alla glomerulonefrite (cardiomegalia, versamento
pleuro-pericardico, congestione polmonare ed edema, emorragia polmonare): è
infine indispensabile il ricorso alla biopsia renale (34, 35)
in tutti gli altri casi, nell’adulto, è necessario eseguire in prima istanza un’US per
screening, insieme alla citologia urinaria
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La diagnostica nefrologica oltre l’ecografia
9
ed alla cistoscopia (per ricerca di anomalie urinarie: neoplasie urinarie, calcoli,
flogosi, anomalie congenite, lesioni
vascolari, uropatia ostruttiva). La cistoscopia possiede la massima sensibilità per
lesioni delle vie urinarie distali, che costituiscono la più frequente causa di ematuria: di fronte al riscontro di una cistite
emorragica in giovani donne il protocollo
diagnostico deve interrompersi.
Sulla metodica di imaging da impiegarsi in
1° istanza non c’è accordo in letteratura (36,
37): secondo alcuni è preferibile ricorrere
direttamente all’urografia, poiché l’ US possiede falsi negativi: può misconoscere piccoli calcoli ureterali non ostruenti. In questo
caso l’associazione di una radiografia diretta
dell’addome aumenta la sensibilità diagnostica dell’US. D’altronde anche l’urografia presenta falsi negativi in caso di piccole masse
esofitiche anteriori o posteriori o piccole
neoformazioni vescicali (38, 39).
La Scintigrafia Urinaria ha risoluzione spaziale insufficiente: evidenzia solo lesioni
intrarenali ampie o forme ostruttive (35).
Se la causa di ematuria rimane oscura, con
reperti di negatività US, in presenza di posiFigura 5.
Rx-urografia:
neoplasia uroteliale
responsabile
di ematuria;
lesioni vegetanti
diffuse lungo
la pelvi renale
e l’intero uretere.
tività dell’esame citologico urinario è opportuno procedere all’urografia (Figura 5);
molto recentemente , la messa a punto della
Uro-TC (studio TC spirale in fase urografica
con ricostruzione sul piano coronale delle
vie escretrici urinarie) ha reso tale metodica
proponibile in sostituzione dell’urografia, in
quanto meglio di questa documenta la
morfologia renale con sensibilità e specificità
superiori, svelando masse renali occulte e
dimostrando estesamente l’intero decorso
delle vie escretrici (Figure 6, 7) (40).
La RM è indagine costosa, poco accessibile e
non sufficientemente sensibile per rappresentare esame di 1a scelta: una tecnica analoga all’Uro-TC è stata sviluppata recentemente mediante RM (Uro-RM), potenzialmente
utile per documentare alterazioni responsabili di ematuria: tale tecnica non è tuttavia
ancora adottata diffusamente nella pratica
clinica e non è quindi raccomandabile per
uno studio di screening.
Pielonefrite acuta
La flogosi delle vie urinarie è tra le patologie
più diffuse del genere umano: nella maggior
parte degli adulti essa resta confinata alle vie
urinarie basse e la diagnosi è clinico-laboratoristica, senza necessità di ricorrere all’imaging. Le condizioni che predispongono a flogosi ascendenti sono il reflusso vescico-ureterale, la litiasi reno-ureterale, alterazioni
funzionali vescicali, anomalie congenite urinarie. Di solito la flogosi renale consegue ad
infezioni ascendenti dalle basse vie urinarie
ed è sostenuta da patogeni enterogeni Gram(di solito l’Escherichia coli): il termine pielonefrite esprime il quadro anatomo-patologico di un coinvolgimento contemporaneo del
parenchima e della pelvi renale. Nella maggioranza dei casi, la pielonefrite non complicata viene subito diagnosticata clinicamente
e risponde prontamente alla terapia antibiotica: se la terapia è impostata con ritardo o il
paziente è diabetico o immunodepresso, i
microascessi che si formano nella fase acuta
possono confluire e dar luogo ad un ascesso
renale, che può estendersi nello spazio perirenale.
Scripta
M E D I C A Volume 7, n. 1-2, 2004
10
A
Si parla di pielonefrosi quando l’infezione è
confinata ad un sistema collettore ostruito. I
pazienti diabetici, oltre ad una maggiore predisposizione alle complicanze flogistiche,
sono di più difficile inquadramento clinico
per l’assenza dei sintomi tipici di presentazione (dolore al fianco) in oltre il 50% dei
casi (41).
L’imaging viene riservato ai casi di sicura flogosi renale o ai casi di incerta diagnosi differenziale tra infezioni delle basse vie urinarie
B
e pielonefrite (Tabella 1).
L’urografia rappresenta la 1° scelta sia tradizionalmente sia per un miglior rapporto
costo-beneficio: il suo impiego ha utilità non
tanto per la diagnosi di pielonefrite ma per
ricercare le anomalie anatomiche predisponenti all’infezione e che hanno ostacolato la
risposta immediata alla terapia (calcoli,
necrosi papillare, ostruzione urinaria) o per
identificare una complicanza dell’infezione
quale un’ascesso renale o perirenale.
Figura 7.
Uro-TC: ematuria per neoplasia uroteliale della pelvi renale. La TC consente una completa stadiazione
locoregionale mediante l’analisi delle scansioni assiali (A) oltre alla valutazione "Uro-TC" ottenibile dalle
ricostruzioni sul piano coronale. B: Voluminosa neoplasia a partenza dalla pelvi renale destra
con infiltrazione extracapsulare ed invasione della vena renale.
A
B
Figura 6.
Uro-TC:
reperti normali.
Scripta
MEDICA
La diagnostica nefrologica oltre l’ecografia
11
Figura 8.
TC dopo mdc:
raccolta urinosa
perirenale
ascessualizzata
secondaria
ad uropatia
ostruttiva
in paziente
diabetico.
Tabella 1.
Pielonefrite acuta:
workup
diagnostico.
maging è stata validata anche utilizzando
come prima metodica lo studio TC (43).
Unica eccezione all’attesa di 72 ore è da osservarsi in pazienti immunodepressi e diabetici,
in cui la pielonefrite acuta non risponde di
solito in modo pronto alla terapia, in cui l’urografia mostra alterazioni morfologiche e funzionali severe con probabilità 5 volte superiore alla restante popolazione (42): in tale ristretto gruppo di pazienti è imperativo ricorrere
direttamente ad uno studio Uro-TC.
Per la diagnosi delle complicanze dell’infezione (quali ascessi renali, perirenali o enfisema renale) e nei pazienti diabetici o immunodepressi, c’è ampia concordanza in letteratura sull’ampia superiorità della TC con mdc
Il ricorso all’imaging nella pielonefrite acuta
come esame di prima scelta rispetto all’US
è riservato ai pazienti che non rispondono
che mostra una scarsa attendibilità per l’ialla terapia antibiotica entro le prime 72 ore:
dentificazione degli ascessi intra e perirenaè dimostrato che circa il 95% di pazienti con
li(41,43-47).
pielonefrite non complicata diviene apiretico
Nonostante la maggiore accuratezza della TC
dopo 48 ore di appropriata antibioticoteradopo mdc per l’identificazione delle complipia e quasi il 100% nelle prime 72 ore. Nei
canze ascessuali parenchimali e perirenali, il
pazienti con pielonefrite l’urografia effettuata
loro rilievo spesso non altera l’impostazione
di routine non modifica la condotta clinica
terapeutica.
nel 90% dei casi mentre, al contrario, se l’inLa cosiddetta Uro-TC con mdc è il metodo
dagine viene riservata solo ai pazienti che
più accurato per lo studio delle alterazioni
permangono iperpiretici dopo 72 ore di antiparenchimali, delle pielonefriti atipiche e per
bioticoterapia, il numero di pazienti con
ricerca di complicanze (ascesso perinefrico o
rilievi urografici significativi dal punto di
enfisema renale) spesso non evidenziate
vista clinico sale al 36% (41, 42).
dagli US: tale metodo dovrebbe essere di
La validità del periodo di osservazione di 72
prima scelta nei pazienti diabetici ed immuore prima della partenza del protocollo d’inodepressi, per una pronta identificazione
delle complicanze (Figura
6) (46, 47).
Pazienti non complicati:
risposta in 72 ore → STOP
I recenti sviluppi in campo
ecografico, con l’introduzionon risposta:
ne dei software con doppie
urografia 1a scelta
armoniche combinati all’uso
(US: in sospetto di pionefrosi
di mezzi di contrasto gassoo se mdc è rischioso)
so sembrano incrementare la
Pazienti con anamnesi+
Urografia nelle 24 ore
sensibilità dell’ecografia nelper calcoli o altra
l’identificazione di piccoli
patologia urologica,
ascessi renali o perirenali
pregressa chirurgia,
che con la tecnica tradizioepisodi di pielonefrite
ripetuti
nale erano scarsamente identificabili (43, 48).
Pazienti diabetici
TC pre+post mdc nelle 24 ore
Il test diagnostico più specio immunodepressi
(≠ rischio ascessi
fico per la diagnosi di flogoed estensione flogosi perirenale)
si delle vie escretrici (pielonefrosi) resta ancora comun-
Scripta
M E D I C A Volume 7, n. 1-2, 2004
12
que l’agoaspirato pielo-caliceale, che è generalmente eseguito come primo momento della
nefrostomia percutanea nelle forme ostruttive
(Figura 9).
La RM non sembra presentare vantaggi diagnostici rispetto alla TC (49) ed inoltre presenta il limite del mancato riconoscimento di
piccoli calcoli: è raccomandabile solo nei
pazienti in cui sia da evitarsi l’impiego di
mdc iodato o la radioesposizione.
La pielografia retrograda è indicata nei pazienti con infezione severa ed ostruzione urinaria
evidenziabile solo con metodiche invasive.
La cistouretrografia minzionale per studio
del reflusso vescico-ureterale ha un uso di
routine solo in pazienti pediatrici.
La scintigrafia renale statica (con DMSA Tc99 ,espressione della filtrazione glomerulare)
si è recentemente rivelata superiore all’US
nei pazienti pediatrici, per la valutazione
dello stato della corticale renale e quindi per
l’identificazione di cicatrici corticali nella
pielonefrite da reflusso (specificità 100%,
sensibilità 86%) e nella valutazione comparativa della funzione tubulare, con forti limiti nella definizione della sede dell’infezione
(renale o perirenale) (50) (Figura 10).
L’acido dimercaptosuccinico (DMSA), marcato con Tecnezio-99m, è una molecola che si
accumula nella corticale renale e la sua
distribuzione consente di visualizzare sede e
morfologia del parenchima renale funzionante. Le sue principali indicazioni sono:
malformazioni renali congenite: individuazione delle anomalie e delle sedi ectopiche;
pielonefriti: dimostrazione della presenza
di cicatrici corticali che confermano la
patologia pielonefritica e la sua evoluzione;
traumi: identificazione di contusioni o
rotture e quadro di base per controlli successivi;
ricerca di rene ectopico e/o sospetta agenesia renale monolaterale;
malattia renale cistica: diagnosi differenziale di masse addominali laterali e conferma diagnostica del rene policistico
infantile;
idronefrosi: nelle idronefrosi massive, con
rene escluso alle indagini con altre metodiche, valutazione dell’eventuale esisten-
Figura 9.
Agoaspirato
caliceale
diagnostico,
preliminare
a pielostomia
percutanea:
litiasi a stampo
della pelvi renale
con ostruzione
del calice superiore.
Figura 10.
Scintigrafia renale
statica con DMSA
Tc-99: cicatrici
corticali multiple
a sinistra.
za di parenchima funzionante; indagine
di secondo livello dopo studio renale
sequenziale.
La scintigrafia renale dinamica o sequenziale
con i traccianti 99Tc-DTPA (Figura 4), il 99TcMAG3 ed il I311-Hippuran, già descritta per lo
studio dell’ipertensione nefrovascolare, consente una quantificazione della funzione renale
separata mediante determinazione del filtrato
glomerulare, del flusso plasmatico renale effettivo e della funzione tubulare ed ha le seguenti
indicazioni per lo studio della pielonefrite:
nefro-uropatie ostruttive: valutazione della
funzione residua dei reni e/o localizzazione
del danno a livello escretorio. La scintigrafia renale sequenziale associata al test con
Furosemide è utilizzata per differenziare
una stenosi organica da un’atonia marcata
della pelvi o ristagno per dilatazione.
Scripta
MEDICA
La diagnostica nefrologica oltre l’ecografia
13
Tabella 2.
Insufficienza
renale:
work-up
diagnostico.
US
IR reversibile (dimensioni renali, ecogenicità,
idronefrosi, malattia cistica)
+ Duplex Doppler (flusso renale)
Scintigrafia (potenziale reversibilità IR)
US equivoca per ostruzione o malattia cistica
TC se:
Trauma con IRA
Angio-RM: in paziente iperteso se duplex Doppler US (o scintigrafia con ACE-I) positivo o dubbio (se IR elevata =
paziente non candidabile a DSA per rischio NMC)
nefro-uropatie infiammatorie: valutazione
del danno escretorio;
nefro-uropatie congenite: valutazione
della funzione renale pre e/o post-operatoria.
Insufficienza renale
Le cause dell’insufficienza renale sono tradizionalmente distinte in tre categorie: prerenali, intra-renali e post-renali. Le cause
intrarenali includono la necrosi tubulare, le
nefropatie interstiziali e glomerulari o le
vasculopatie. La patologia ostruttiva è usualmente la causa delle forme post-renali e l’ipoperfusione (da stenosi arteriosa) o l’ipovolemia quella delle forme pre-renali.
La distinzione tra insufficienza renale acuta
(IRA) o cronica (IRC) può talvolta essere
impostata su base clinica prima dell’ausilio
dei metodi di imaging: una preliminare valutazione ecografica delle dimensioni renali è
comunque di grande ausilio, dimostrando
reni piccoli ed iperecogeni in caso di IRC, e
dimostrando anche la sua causa post-renale
se è presente idronefrosi.
Se non è evidente un’idronefrosi, il paziente
non è iperteso e nell’anamnesi sono assenti
reperti suggestivi di stenosi dell’arteria renale,
spesso il work-up diagnostico viene interrotto.
Al contrario, se i reni hanno dimensioni con-
servate ed ecogenicità
aumentata o normale, può
essere presente una IRA
reversibile, e ciò impone
una prosecuzione diagnostica: la scintigrafia con un
agente tubulare (Hippuran,
MAG-3) può orientare
verso la potenziale reversibilità del quadro.
Se poi viene sospettata una
stenosi o un’ostruzione
arteriosa, un’Angio-RM può
essere indicata, evitando
così il rischio nefrotossico
dei mdc organoiodati impiegati in angiografia ed in
TC (Tabella 2).
Insufficienza renale acuta (IRA)
Il 75% dei casi di IRA hanno causa prerenale o intrarenale.
Il protocollo d’imaging dell’IRA inizia, come
anticipato, con un esame ecografico che può
subito identificare la causa ostruttiva e definire
il volume renale: reni piccoli ecogeni nell’IRC
e reni grandi ipo-iperecogeni nell’IRA.
L’associazione poi dell’US-Doppler consente
di valutare la perfusione renale e quindi di
distinguere l’IRA pre-renale, con indici di
resistenza normali, dall’IRA a causa intrarenale da nefropatie tubulo-interstiziali, con
indici di resistenza elevati, mentre nelle
forme intrarenali a genesi glomerulare e
nell’IRA pre-renale sono normali.
La più frequente causa di IRA post-renale, la
patologia ostruttiva, vede come metodica
principe l’US-Doppler che documenta direttamente l’idronefrosi associata ad indici di
resistenza elevati dopo le prime 6 ore.
In caso di negatività US la metodica successiva può essere la scintigrafia renale con Tc99. Il tracciante standard glomerulare (Tc-99
DTPA) non differenzia tra IRA e IRC ma differenzia la necrosi corticale da quella tubulare: un accumulo progressivo del tracciante
senza escrezione depone per necrosi tubulare, mentre un’assente captazione per necrosi
corticale o glomerulonefrite acuta. Il tracciante tubulare (Hippuran, Tc 99MAG-3)
definisce il livello della funzione renale e la
Scripta
M E D I C A Volume 7, n. 1-2, 2004
14
reversibilità dell’IR. Inoltre la valutazione del
flusso plasmatico renale effettivo (ERPF) ha
significato prognostico: se l’ERPF è maggiore
di 125 ml/min e la captazione è buona la
prognosi è migliore, mentre se l’uptake è
scarso la prognosi è infausta, con prospettiva
di dialisi o trapianto (51, 52)
Il trauma renale rappresenta un’unica condizione di IRA pre-intra-post-renale: in questo
contesto la TC è metodica di 1a scelta per
documentare sia l’eventuale occlusione
vascolare, sia l’ematoma intra o perirenale e
l’eventuale ostruzione ureterale da coaguli;
analogamente, la TC è l’indagine di 1a scelta
nella necrosi tubulare acuta da farmaci o da
shock prolungato con precipitazione di emoglobina o mioglobina nei tubuli renali (53).
L’Angio-RM, grazie alla minore nefrotossicità
del Gd-DTPA rispetto ai mezzi di contrasto
iodati (54-56), è metodica d’elezione nell’IRA
vascolare: nella sospetta stenosi delle arterie
renali in pazienti ipertesi con Doppler positivo
o dubbio, o nella trombosi della vena renale e,
in genere, in tutti i pazienti non indicati a studio con mdc iodati.
L’ urografia non ha ruolo nella diagnosi differenziale delle cause di IRA.
Insufficienza renale cronica (IRC)
L’insufficienza renale cronica spesso si presenta in modo insidioso ed è caratterizzata
da un lento declino del volume del filtrato
glomerulare. Le cause più frequenti che portano ad IRC terminale e che pongono l’indicazione al trapianto sono: glomerulonefrite
cronica, nefropatia diabetica, nefropatia ipertensiva, rene policistico, pielonefrite cronica,
calcolosi renale (57). Nei pazienti pediatrici
le cause più comuni sono la glomerulonefrite e la pielonefrite (58).
Nell’insufficienza renale cronica (IRC) l’US è
l’indagine di prima scelta per distinguere le
forme terminali irreversibili da quelle passibili
di recupero, definendo dimensioni ed ecogenicità renale, presenza d’idronefrosi ed identificando l’eventuale patologia espansiva (1, 2).
Quando l’IRC ha genesi ostruttiva, l’US ha
una sensibilità per la diagnosi d’idronefrosi
attorno al 100% nelle forme moderato-severe, con una quota di falsi positivi nel 26% dei
casi, causati da reflusso vescico-ureterale,
riempimento vescicale, cisti parapieliche,
incrocio vascolare nella pelvi renale: la diagnosi differenziale si pone in tali casi con
l’aggiunta dell’ US-Doppler.
Poiché la nefropatia ipertensiva rappresenta
oltre il 25% delle cause di IRC, le metodiche
di imaging si devono cimentare con l’identificazione e la quantificazione delle stenosi
dell’arteria renale: l’US-Doppler definisce
bene la perfusione renale ma non è sufficientemente accurata per la diagnosi delle stenosi dell’arteria renale, specie ostiale, con attendibilità maggiore all’aumentare del grado
della stenosi, specie se supera l’80% (2): in
tal caso si ravvede la necessità di completamento mediante Angio-TC spirale o, in caso
di IRC severa che controindichi l’iniezione di
mdc, di Angio-RM.
La TC è indicata solo in caso di studio US
equivoco per patologia ostruttiva o cistica: in
tali casi la TC senza mdc ha accuratezza
superiore all’US per lo studio delle cisti renali, le emorragie e le neoplasie dei pazienti
con IRC in dialisi, per identificare la necrosi
papillare (calcificazioni lungo la linea papillare e lungo il contorno renale) e per definire i calcoli ureterali.
La scintigrafia sequenziale con Tc-99 DTPA
può essere utilmente impiegata poiché fornisce una valutazione globale della funzione
renale e della potenziale reversibilità dell’IR.
Lo studio dopo ACE-inibitori, che possiede
un’elevata sensibilità nell’identificazione
della stenosi dell’arteria renale in pazienti
con funzione renale normale, è sconsigliabile nell’IRC in quanto meno accurata, poiché
il DTPA è un tracciante glomerulare che
risente della scarsa filtrazione glomerulare in
presenza di VFG inferiore a 15 ml/min.
Colica renale
Un calcolo renale abbastanza piccolo da passare nell’uretere può causare il blocco del flusso
d’urina con distensione delle vie escretrici a
monte: le più frequenti sedi di ritenzione di
calcoli sono la giunzione ureteropelvica, l’incrocio con i vasi iliaci e lo sbocco ureterovescicale.
La probabilità del passaggio spontaneo in
Scripta
MEDICA
La diagnostica nefrologica oltre l’ecografia
15
vescica di un calcolo ureterale è molto alta per
calcoli inferiori a 5 mm mentre è molto bassa
se superano il centimetro: da ciò nasce la
costante richiesta dei clinici di definire
mediante imaging le dimensioni del calcolo.
Il radiogramma diretto dell’addome può
essere sufficiente per diagnosticare l’ureterolitiasi in paziente litiasico già accertato in
precedenza, mentre è nota la sua bassa accuratezza per la prima diagnosi: recenti studi
retrospettivi (59, 60) e, soprattutto, di comparazione con la TC spirale (61) hanno
dimostrato sensibilità non superiori al 5862%. Tale metodica ha quindi una scarsa utilità se impiegata come unica indagine diagnostica, mentre conserva un ruolo come
fase preliminare dell’urografia.
L’ecografia dimostra la litiasi ostruttiva come
reperto secondario all’ectasia pielocaliceale
ed ureterale (62-64): poiché queste si manifestano dopo alcune ore, l’US in fase acuta
può mancare in oltre il 30% dei casi la dimostrazione di calcoli se i pazienti non sono
adeguatamente idratati.
L’idronefrosi secondaria ad ureterolitiasi è
stata rilevata in pazienti non idratati in quote
variabili dal 35 al 73% (65-66).
L’associazione dell’US-Doppler renale può
migliorare l’identificazione precoce dell’ostruzione, registrando elevati indici di resistenza in reni con sistema collettore non
ancora dilatato (67, 68).
L’urografia, in quanto superiore all’US per diagnosticare i calcoli renali, fin dall’inizio degli
anni ‘90 è stata considerata l’esame d’elezione
nel sospetto di colica renale. Negli anni ‘92-93
è stato proposto di sostituire l’urografia, nel
primo approccio, con l’associazione di US
dopo idratazione e radiogramma diretto dell’addome (69, 70), riservando successivamente l’urografia solo ai casi non conclusivi, stimati attorno al 28% del totale (71), quali:
l) idronefrosi all’ US senza evidenza di calcoli né all’ US, né al radiogramma diretto;
2) sospetto di calcolo al radiogramma diretto ma non evidenza di calcoli né d’idronefrosi all’US;
3) persistenza della sintomatologia senza
espulsione di calcoli a fronte di una negatività di US e radiogramma diretto;
4) necessità di una visualizzazione panora-
mica delle vie escretrici in previsione di
una terapia interventistica.
La TC spirale senza mdc è stata proposta nei
pazienti con sospetta colica renale per la prima
volta nel ‘95 (72): da allora molti studi hanno
dimostrato l’elevatissima sensibilità (95-96%)
e specificità (98%) di tale indagine (73-84) ed
il suo impiego è stato raccomandato in sostituzione dell’urografia, nei casi non risolti dallo
studio US e dal radiogramma dell’addome preliminare in fase acuta (85).
Nel sospetto di colica renale la TC spirale è
quindi da considerarsi indagine di elezione, in
quanto porta ad una conclusione diagnostica
immediata, documentando la litiasi e differenziandola dai fleboliti pelvici (Figura 11).
La TC spirale è in grado di evidenziare quasi
tutti i calcoli urinari (73-84) (Figura 12)
mentre l’urografia ha una percentuale di falsi
negativi compresa tra il 31 e il 48% a seconda degli Autori (75, 85-90).
Inoltre, sulla base della sede e della misura
delle esatte dimensioni del calcolo, la TC spirale consente di prevedere se il calcolo sarà eliminato spontaneamente o se sarà necessaria
una terapia interventistica. La TC spirale è in
grado di identificare anche microcalcoli renali
e quindi una diatesi litiasica subclinica.
Lo studio con TC spirale durante una colica
addominale consente inoltre l’identificazione
di eventuali patologie urinarie non litiasiche
o di patologie extraurinarie insospettate,
responsabili della sintomatologia quali ad
esempio appendicite, diverticolite o torsione
di masse ovariche (77, 91).
Infine, l’indagine TC è meglio accettata dal
paziente, non essendo necessaria una preliminare pulizia intestinale né l’iniezione di
mdc ed essendo più rapida dell’urografia
(92), e non essendo operatore-dipendente
come l’US.
I punti che ancora oggi depongono a favore
dell’urografia sono rappresentati esclusivamente dalla dose e dai costi: la TC spirale
eroga una dose che varia tra 2,82 e 6,4 mSv,
maggiore da 1,33 a 3,94 volte rispetto all’urografia (85) ed, inoltre, il protocollo che
prevede US e radiogramma diretto dell’addome e, solo nei casi selezionati (28%), la
TC spirale ha un costo pari a 64,91 Euro,
cioè inferiore del 12% rispetto al protocollo
Scripta
M E D I C A Volume 7, n. 1-2, 2004
16
A
che prevede la TC spirale in prima battuta
(74,00 Euro).
È possibile poi che nel prossimo futuro l’urografia venga completamente sostituita
dall’Uro-TC anche per valutare le possibili
cause di un’ematuria e per documentare in
assoluto altre patologie genito-urinarie (86).
Attualmente è ancora in uso grazie alla resistenza di molti clinici che non apprezzano
appieno il miglior dettaglio anatomico delle
vie urinarie ottenibile con la metodica TC.
L’ Uro-TC deve essere considerata come un’evoluzione dell’urografia, che combina il dettaglio anatomico assiale della TC alla visualizzazione sul piano frontale delle vie escretrici fornito dall’urografia. La transizione
verso un’uso estensivo dell’ Uro-TC in sostituzione dell’urografia avverrà in alcuni anni
A
B
Figura 11.
Colica renale:
TC assiale
senza mdc.
A: flebolita,
con vena dilatata
a monte;
B: calcolo,
con dilatazione
dell’uretere distale.
ed in pochi casi l’urografia resterà forse indagine appropriata: nello studio di anomalie
congenite complesse, nella dimostrazione
delle ricostruzioni chirurgiche delle vie urinarie e nel follow-up di pazienti con pregresso carcinoma a cellule transizionali (86).
Mentre è ancora in corso la messa a punto del
ruolo della TC spirale nella colica renale, sta
comparendo all’orizzonte delle metodiche di
imaging l’Uro-RM, che si sta dimostrando
metodica competitiva in questo settore (9395), fornendo dettagli anatomici di elevata
accuratezza (documentazione dell’ostruzione
e dell’edema perirenale con sensibilità 100%)
e con specifiche indicazioni in gravidanza,
nei pazienti pediatrici ed in tutti i casi in cui
non è indicata la radioesposizione e l’iniezione di mdc iodato (Figure 13, 14).
B
Figura 12.
TC Spirale senza
mdc.
A: studio assiale
e B: ricostruzione
coronale:
voluminosa
formazione
litiasica della pelvi
renale sinistra.
Scripta
MEDICA
La diagnostica nefrologica oltre l’ecografia
17
Figura 13.
Uro-RM.
A. Studio RM T2pesato (sequenza
RARE assiale:
dimostrazione del
calcolo ostruttivo
incuneato nella
pelvi renale con
edema perirenale)
B. Stesso caso.
RM T1-pesata+
Gd-DTPA
(sequenza FLASH
sul piano coronale:
migliore evidenza
del calcolo e
dell’ostruzione
pielo-caliceale).
Figura 14.
A. Urografia
tradizionale e
B.Uro-RM (T2W
senza mdc,
tecnica RARE).
Lo studio urografico
dimostra
un doppio
distretto
pielo-caliceale
a sinistra
e l’esclusione del
rene destro;
l’uro-RM dimostra,
a destra,
idroureteronefrosi
per ostacolo
a livello dell’uretere
terminale.
A
B
A
B
Grazie all’elevato segnale (iperintenso) in T2
dei fluidi statici è inoltre possibile ottenere
un’Uro–RM senza impiego di mdc documentando anche reni esclusi all’urografia (Figura
14). Le attuali indicazioni all’Uro-RM sono
infatti costituite dallo studio del rene escluso, della colica renale e di tutti i casi in cui
l’impiego di mdc iodati è controindicato.
Scripta
M E D I C A Volume 7, n. 1-2, 2004
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Tratto da:
ATTI 14° Congresso Società Italiana di Ecografia
Urologica, Nefrologica e Andrologica
Scripta
M E D I C A Volume 7, n. 1-2, 2004
21
Erisipela
Stefano Veraldi
Introduzione
L’erisipela (o eresipela o, popolarmente,
risippola) è una malattia batterica acuta del
derma e del sottocute.
Il termine di cellulite non è sinonimo di erisipela: per cellulite si intende infatti, genericamente, una malattia infiammatoria
acuta, a eziologia infettiva o non, dei tessuti molli (1).
Epidemiologia
Nel nostro Paese, l’erisipela colpiva in passato le classi socio-economiche meno abbienti.
Negli ultimi decenni, con il miglioramento
delle condizioni igienico-sanitarie, la malattia è diventata più rara. È peraltro da rilevare che l’erisipela ha continuato a essere frequente nei Paesi dell’Europa dell’Est, soprattutto la Romania. Inoltre, negli ultimi anni, è
stata osservata in Francia un’incidenza
annuale in costante crescita (2-5).
La malattia è più frequente nelle femmine e
dopo i 60 anni.
Fattori predisponenti
I fattori predisponenti generali sono rappresentati, secondo alcuni Autori (6), dall’alcolismo e dal diabete insulino-dipendente.
Tuttavia, è più probabile che, più che l’alcolismo in senso stretto, sia la scarsa igiene
personale e dell’abitazione, molto spesso
Istituto di Scienze Dermatologiche, I.R.C.C.S.
Università di Milano
associata all’alcolismo, a predisporre all’erisipela. In uno studio di Crickx et al. (6), l’alcolismo era presente nel 33% dei pazienti e il
diabete nel 15%. Recentemente è stata data
importanza anche al clima caldo-umido (7).
Crickx et al. (6) hanno individuato anche una
serie di fattori predisponenti locali, come
l’insufficienza venosa cronica (riscontrata nel
47% dei pazienti), le intertrigini micotiche
degli spazi interdigitali dei piedi (26% dei
casi), le ulcere post-traumatiche e quelle da
insufficienza venosa cronica (24 e 21%,
rispettivamente), concomitanti dermatiti
(16%) e il linfedema (4%). In particolare,
negli ultimi anni, è stata data grande importanza alla tinea pedis, subclinica o asintomatica, come porta d’ingresso, e quindi come
fattore predisponente di importanza determinante (2-9).
Fino a oggi, è stato pubblicato un unico studio caso-controllo sui fattori di rischio per
l’erisipela delle gambe (10). In base ai risultati di questo studio, il linfedema delle
gambe è il fattore predisponente più importante, seguito dall’insufficienza venosa cronica, dall’obesità, dalle intertrigini micotiche degli spazi interdigitali dei piedi e dall’assunzione degli anti-infiammatori non
steroidei (10).
Eziologia e patogenesi
L’erisipela è, storicamente, una malattia
streptococcica. Lo streptococco β-emolitico
di gruppo A è responsabile, a seconda degli
studi, del 38-67% dei casi; seguono il gruppo G (23-25%), il gruppo B (2-9%), il gruppo C (5-7%) e il gruppo D (≤ 1%) (4, 11).
In uno studio francese pubblicato nel 1995 (4),
Scripta
M E D I C A Volume 7, n. 1-2, 2004
22
gli streptococchi erano
risultati gli agenti eziologici nel 79% dei casi
(Streptococcus pyogenes
nel 67%) e Staphylococcus aureus nel 31%.
Negli ultimissimi anni, i
casi di erisipela causata
da Staphylococcus aureus
sembrano più frequenti.
Attualmente, si stima
che, nei Paesi occidentali, i casi di erisipela causati dallo stafilococco, da
solo o associato agli streptococchi, costituiscano
circa il 40%: gli stafilococchi sono quindi batteri emergenti nell’eziologia della malattia. Non
sembra peraltro esistano
differenze cliniche tra l’erisipela causata dagli
streptococchi e quella
dovuta agli stafilococchi. In quasi il 20% dei
casi, nonostante l’utilizzo di due o più metodiche diagnostiche, l’eziologia rimane sconosciuta (11).
Inoltre, negli ultimi anni, altri batteri sono
stati riscontrati come responsabili di infezioni batteriche acute del derma e del sottocute.
Tra questi: Pseudomonas aeruginosa; Haemophilus influenzae, che causa una caratteristica
forma di cellulite nel bambino a carico delle
palpebre e dell’area orbitaria; Vibrio vulnificus, responsabile di una cellulite provocata
dall’ingestione di crostacei crudi, di riscontro
non eccezionale negli Stati Uniti e di notevole gravità.
I batteri responsabili dell’erisipela sono solitamente saprofiti del condotto uditivo esterno (soprattutto Pseudomonas spp.), del faringe e delle tonsille (soprattutto gli streptococchi) e delle fosse nasali anteriori (soprattutto
gli stafilococchi). Da queste sedi i batteri raggiungono con le mani la cute e vi penetrano
attraverso soluzioni continuo. Come riferito
precedentemente (2, 6, 8, 9), un’altra possibilità di contagio, ritenuta in questi ultimi
anni di grandissima importanza nella patogenesi dell’erisipela degli arti inferiori, è la
Figura 1.
Erisipela del volto.
penetrazione dei germi attraverso le lesioni
di intertrigini degli spazi interdigitali dei
piedi. In questi casi, quindi, la penetrazione
dei batteri è esogena, nei casi precedenti è
per autoinoculazione.
Clinica
L’erisipela è preceduta da una sintomatologia
aspecifica, seppur tipica, caratterizzata da
astenia, febbre e brividi. La febbre è sempre
presente, sebbene possa essere di grado assai
variabile e di durata altrettanto variabile.
La malattia è caratterizzata dalla comparsa
acuta di una lesione eritematosa infiltrata,
spesso di notevoli dimensioni, di colore rosso
acceso (Figure 1, 2).
I bordi sono caratteristicamente netti e regolari, a scalino. La lesione tende rapidamente ad
estendersi in senso centrifugo. La consistenza è
parenchimatosa-dura. Il paziente riferisce
dolore. Nelle forme localizzate alle gambe si
riscontrano spesso lesioni purpuriche (nel
13% dei casi nello studio di Crickx et al.) (6),
vescicolo-bollose (nel 30% dei casi nello stesso
studio) (6), pustolose, erosive (Figura 3).
Scripta
MEDICA
Erisipela
23
Figura 2.
Particolare
della Figura 1.
face) (3); meno frequente è
la localizzazione agli arti
superiori e ai genitali; ancora più rara è la localizzazione al tronco. Nel complesso, gli arti inferiori sono
colpiti in ol-tre l’85% dei
casi e il volto in circa il 10%
(2, 6, 12).
L’erisipela è talvolta accompagnata da una linfangite;
tuttavia, nella maggior parte
dei casi, la flogosi della
parete dei linfatici non è clinicamente apprezzabile, in
quanto sono coinvolti i linfatici profondi. Anche l’interessamento dei linfonodi
regionali, sotto forma di linfadenite, non è frequente.
Esami di laboratorio
e strumentali
Figura 3.
Lesioni
vescicolo-bollose
ed erosive.
Meno frequente è lo sviluppo di vere e proprie ulcere: in questi casi si deve prendere in
considerazione la possibilità di una fasciite
necrotizzante.
Le sedi più colpite sono, nell’ordine, la
gamba, la coscia e il volto (la cosiddetta red
Le alterazioni di laboratorio sono aspecifiche. Solitamente si osservano leucocitosi
con neutrofilia e aumento della velocità di
eritrosedimentazione, della proteina C-reattiva e dell’α1-glicoproteina acida. Si possono
inoltre riscontrare iper-γ-globulinemia e
aumento del titolo anti-streptolisinico o
anti-stafilolisinico, a seconda che gli agenti
eziologici siano streptococchi o stafilococchi. Tuttavia, l’incremento di questi titoli
non è frequente nè marcato.
La diagnosi di erisipela è fondamentalmente
clinica. In uno studio di Bernard et al. (4),
l’immunofluorescenza diretta era positiva
nel 64% dei pazienti, l’agglutinazione su lattice nel 47%, la coltura del materiale ottenuto con l’agoaspirato nel 28%, l’incremento
del titolo anti-streptolisinico nel 12% e l’emocoltura nel 5%. Risultati sovrapponibili
sono stati ottenuti da altri Autori (2).
Nella nostra esperienza, abbiamo riscontrato
che la coltura del materiale ottenuto con l’agoaspirato è positiva in quasi la metà dei
casi: il “segreto” consiste nel far penetrare
l’ago della siringa nel bordo della lesione, in
profondità, fino al derma profondo e al sot-
Scripta
M E D I C A Volume 7, n. 1-2, 2004
24
tocute, e di eseguire almeno tre prelievi.
La coltura del tampone cutaneo, come già
rilevato da vari autori (4), è sistematicamente negativa anche nelle forme localizzate alle
gambe, che sono spesso caratterizzate da
lesioni vescicolo-bollose, pustolose ed erosive: infatti, la localizzazione dei batteri è sempre profonda.
Complicanze
Le complicanze dell’erisipela non sono frequenti, soprattutto se una diagnosi corretta e
precoce è seguita da una terapia antibiotica
altrettanto precisa e rapida. Secondo Crickx
et al. (6), la terapia tardiva costituisce la
causa principale delle complicanze.
In quattro studi francesi (2, 4, 6, 12), le complicanze erano comprese tra il 7 e il 14%.
Secondo Chartier e Grosshans (2), la glomerulonefrite acuta rappresenta la complicanza
sistemica più frequente (1% dei casi).
La sepsi e l’endocardite sono state osservate
nello 0.2% dei casi. Tuttavia, è da sottolineare che la febbre che precede e/o accompagna
l’erisipela non è altro che un marker clinico
di sepsi: quest’ultima non può quindi essere
considerata una vera complicanza dell’erisipela. Rarissima è la toxic-strep syndrome.
L’ascesso costituisce la complicanza locale
più frequente (6% dei pazienti nello studio
di Chartier e Grosshans) (2): sarebbe più frequente nei pazienti con diabete insulinodipendente e sarebbe causato soprattutto da
stafilococchi resistenti alle penicilline) (6) ed
è seguito dalla gangrena superficiale o
profonda (4%). Anche le tromboflebiti
superficiali e profonde, osservate da Chartier
e Grosshans (2) nel 2% dei pazienti, non
sono in realtà una complicanza della malattia, bensì un fattore predisponente. La linfangite e la linfadenite regionale non sono
comuni, osservandosi nel 2-3% dei pazienti.
Molto più frequente è un linfedema cronico
(elephantiasis nostra streptogenes), dovuto a
ripetute recidive di erisipela; è inizialmente
monolaterale, ma col tempo diventa bilaterale. La cute appare ispessita, pachidermica,
papillomatosa, con superficie tesa, rugosa e
xerotica e consistenza dura. L’elefantiasi è tal-
volta di enormi dimensioni. Frequente è lo
sviluppo di ulcere con scarsa tendenza alla
guarigione spontanea e, anzi, notevole resistenza ai vari trattamenti.
La fasciite necrotizzante, considerata in passato come una possibile complicanza dell’erisipela, è ormai ritenuta come una malattia
a se stante.
L’erisipela è recidivante nel 23.5% dei casi
(6). La morte si verifica nello 0.2-0.8% dei
pazienti (2, 12).
Diagnosi
La diagnosi di erisipela è clinica e solitamente facile. I caratteri clinici più importanti per
la diagnosi sono rappresentati dalle manifestazioni cutanee (singola lesione eritematoinfiltrativa a comparsa acuta e a rapida estensione centrifuga, con bordi netti e regolari,
localizzata agli arti inferiori o al volto) e dalla
febbre.
Come riferito precedentemente, gli esami di
laboratorio sono di scarso aiuto.
La malattia entra in diagnosi differenziale
con altre malattie infettive o parassitarie (3)
(come l’erisipeloide, la fasciite necrotizzante
e la trichinosi), malattie infiammatorie e
allergiche (come la dermatite irritante/allergica da contatto, la fotodermatite tossica/allergica da contatto, l’edema di
Quincke, la rosacea, l’edema cronico facciale,
la sindrome di Melkerson-Rosenthal, la sindrome di Sweet, la sindrome di Wells, le
tromboflebiti), malattie immuno-mediate
(come il lupus eritematoso sistemico e la
dermatomiosite).
Terapia
Terapia sistemica
Antibiotici.
Numerosissimi sono gli studi clinici, controllati e non, relativi all’antibioticoterapia
dell’erisipela. In generale, è consigliato l’utilizzo delle penicilline, come, per esempio, la
penicillina G, per via intramuscolare o endovenosa, a dosaggio pieno e per almeno 10
giorni (6,12).
Scripta
MEDICA
Erisipela
25
In alternativa si possono utilizzare i macrolidi (5), come la claritromicina per via orale (1
g/die per almeno 10 giorni), oppure l’associazione amoxicillina-acido clavulanico per
via orale (2-3 g/ die per almeno 10 giorni).
Anti-infiammatori non steroidei.
Teoricamente, questi farmaci potrebbero
essere utili per ridurre la flogosi e l’infiltrazione locale, favorendo quindi la penetrazione degli antibiotici, e il dolore. Tuttavia, in
numerosi studi è stata ipotizzata un’associazione tra l’utilizzo di questi farmaci e la progressione di infezioni streptococciche, in
particolare la fasciite necrotizzante.
Sulla base di questi risultati, l’utilizzo degli
anti-infiammatori non steroidei non è consigliato nella terapia dell’erisipela (13).
Anticoagulanti.
Le eparine sono spesso utilizzate sia nella
terapia sia nella prevenzione dell’erisipela
localizzata agli arti inferiori al fine di evitare le complicanze tromboemboliche, in
particolare la trombosi venosa profonda (6,
12, 14). Tuttavia, un recente studio (14) ha
dimostrato che non esiste un’indicazione
all’utilizzo delle eparine né per la terapia
né per la profilassi dell’erisipela.
Terapia topica
La terapia topica non è generalmente necessaria. Solamente nelle forme degli arti inferiori caratterizzate da vescicole, bolle, pustole,
erosioni o ulcere, possono essere utili impacchi con permanganato di potassio (250 mg in
1,5-3 l d’acqua: 2-3 impacchi/ die).
Profilassi
Numerosissimi sono gli antibiotici e gli schemi terapeutici proposti; tra tutti, la penicillina benzatina per via intramuscolare ogni due
settimane sembra essere il farmaco più efficace (15).
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Scripta M E D I C A
Volume 7, n. 1-2, 2004
27
Sindrome metabolica:
aspetti clinici e prospettive terapeutiche
Fulvio Muzio
Definizione
Il termine “sindrome metabolica” (SM) identifica una condizione caratterizzata dalla
contemporanea associazione di diversi fattori di rischio metabolici e non metabolici in
uno stesso paziente.
I principali componenti sono:
Insulino-resistenza: condizione di ridotta
sensibilità cellulare agli effetti dell’insulina;
Intolleranza glucidica: comprende la ridotta tolleranza glucidica e il diabete mellito di tipo 2;
Dislipidemia: incremento dei trigliceridi,
riduzione del colesterolo-HDL, aumento
del colesterolo LDL e VLDL;
Ipertensione arteriosa;
Obesità addominale.
Altre componenti verosimilmente implicate
nella genesi della sindrome:
Iperuricemia;
Microalbuminuria;
Alterazioni della fibrinolisi.
Nel corso degli anni in letteratura sono comparsi molti termini ideati per descrivere l’aggregazione di più disordini metabolici nello
stesso individuo.
Jean Vague nel 1956 definì “Sindrome dell’obesità androide” l’associazione di obesità
addominale, diabete e gotta (1).
Alcuni anni più tardi, ricerche effettuate
presso la Facoltà di Medicina dell’Università
di Padova, hanno portato all’introduzione
del termine “Sindrome Plurimetabolica” per
descrivere un evento patologico caratterizzaResponsabile Dietologia
Ospedale G. Salvini, Garbagnate Milanese
to da obesità, diabete, iperlipidemia e ipertensione (2).
Gerald Reaven, nel 1988, ha enfatizzato l’esistenza di questa aggregazione e ha proposto il
termine di “Sindrome X” per definire l’associazione di ridotta tolleranza glucidica, insulinoresistenza, dislipidemia e ipertensione (3).
Nel 1998, una commissione consultiva
dell’Organizzazione Mondiale della Sanità
(WHO) ha proposto il termine di “Sindrome
Metabolica” per definire l’aggregazione di
più disordini metabolici (4).
Il definitivo riconoscimento della SM come
entità nosologica autonoma può essere fatto
corrispondere al 2001, anno in cui i Centres
for Disease Control americani le hanno attribuito uno specifico numero di codice ICD-9CM, il 277.7.
Eziopatogenesi
La Sindrome Metabolica può essere considerata l’espressione clinica di tante anomalie
metaboliche collegate l’una con l’altra da un
fitto intreccio di relazioni esercitanti spesso
reciproche influenze, nell’ambito delle quali
non è attualmente possibile formulare un
giudizio di priorità o identificare con chiarezza un “primum movens”.
Le due ipotesi patogenetiche prevalenti attribuiscono questo ruolo rispettivamente:
1. all’insulinoresistenza, in quanto responsabile non solo dei difetti di captazione del
glucosio da parte dei tessuti (5), ma
anche della soppressione della mobilizzazione degli acidi grassi liberi (6);
2. all’adiposità centrale (viscerale), a sua volta
all’origine dell’aumentato flusso di acidi
grassi liberi e dell’iperinsulinismo (7).
Scripta M E D I C A
Volume 7, n. 1-2, 2004
28
Benché attualmente non vi siano ancora gli
elementi che possano portare alla formulazione di una teoria unificante, essa dovrà in
ogni caso tener conto anche del ruolo fondamentale svolto dal patrimonio genetico individuale (8).
Criteri diagnostici
In letteratura, oltre ai termini “Sindrome
dell’Obesità androide” (1), “Sindrome Plurimetabolica” (2), e “Sindrome X” (3), sono
comparse negli anni diverse denominazione
per descrivere l’aggregazione di più disordini
metabolici nello stesso individuo. È possibile
trovare, infatti, i termini “Sindrome Metabolica” proposto da Ferrannini (9), “Sindrome GDH” (iniziali di Glucose intolerance,
Dyslipidemia e Hypertension) (10), “Sindrome
GHO” (acronimo di Glucose intolerance,
Hypertension e Obesity) (11), “Sindrome Metabolica Cardiovascolare” e “Sindrome Aterotrombotica”, nomi coniati da Hjiermann
(12), “Quartetto Mortale”, descritto da
Kaplan e costituito da intolleranza glucidica,
obesità centrale, ipertensione, ipertrigliceridemia (13), e infine di “Sindrome dismetabolica cardiovascolare” (14).
Come risulta dalla Tabella 1, questi termini
non sono esattamente sovrapponibili.
La Tabella 2 riporta i parametri e i criteri più
comunemente adottati per identificare e definire la SM.
I criteri suggeriti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO) (4) sono stati criticati dal Gruppo di Studio Europeo dell’Insulinoresistenza (EGIR), soprattutto perché alcuni di essi sono di difficile valutazione nella pratica clinica.
L’EGIR ha pertanto suggerito criteri alternativi per identificare la sindrome in questione
che, per inciso, ha definito come “Sindrome
dell’Insulinoresistenza” (15).
Anche il National Cholesterol Education
Program (NCEP), Adult Treatment Panel III
(ATP-III) ha proposto una definizione per l’identificazione dei pazienti affetti da SM.
I criteri promulgati dal NCEP ATP-III, risultano attualmente i più conosciuti e comunemente adottati (16).
Implicazioni cliniche
La rilevanza clinica della SM è senza dubbio
legata alle sue implicazioni cardiovascolari.
Dato che è stato ampiamente dimostrato
come alcuni dei componenti della sindrome,
quali ipertensione arteriosa, alterata tolleranza glucidica, basso colesterolo HDL, sono di
per sé consolidati fattori di rischio cardiova-
Tabella 1.
Caratteri clinici principali delle varie sindromi con disordini metabolici descritte in letteratura.
Obesità
IGT
o diabete
tipo 2
+
+
+/–
+
+
+
+
+
+
+
+/–
+/–
+/–
+/–
+
+
+
+
+
Sindrome GDH
+/–
+
+
+
Sindrome GHO
+
+
Sindrome
dell’obesità androide
Sindrome
plurimetabolica
Sindrome X
Sindrome metabolica
Quartetto Mortale
Dislipidemia Ipertensione Iperuricemia
Insulino
resistenza
+
+
+
+/–
+
Scripta M E D I C A
Sindrome metabolica: aspetti clinici e prospettive terapeutiche
29
Tabella 2. La Sindrome metabolica come definita da OMS, EGIR e ATP-III.
OMS
EGIR
ATP-III
Glucosio
Diabete mellito
o alterata tolleranza
al glucosio
Glicemia a digiuno
tra 110 e 126 mg/dl
Glicemia a digiuno
>110 mg/dl
Ipertensione
≥160/90 mmHg
o assunzione
di anti-ipertensivi
≥140/90 mmHg
>130/85 mmHg
o assunzione
di anti-ipertensivi
Ipertrigliceridemia
≥150 mg/dl
>175 mg/dl
>150 mg/dl
HDL Colesterolo
<35 mg/dl
nei maschi
e <39 mg/dl
nelle femmine
<39 mg/dl
<40 mg/dl
nei maschi
e <50 mg/dl
nelle femmine
Obesità centrale
WHR >0.9 nei maschi,
>0.85 nelle femmine
e/o BMI>30
Circonferenza vita
≥94 cm nei maschi
e ≥80 cm nelle
femmine
Circonferenza vita
>102 cm nei maschi
e >88 cm nelle
femmine
Microalbuminuria
U-AER ≥20 µg/min
o rapporto
albumina/creatinina
≥20 mg/g
–
–
Criteri
per la diagnosi
Diabete di tipo 2
o IGT più 2 qualsiasi
dei criteri sopra citati
Insulinoresistenza
o iperinsulinemia
più due tra gli altri
disturbi sopra citati
Tre o più di
qualsiasi dei disturbi
sopra citati
scolare, risulta logico pensare che la loro
aggregazione produca una condizione di
rischio particolarmente elevata.
Resta ancora da provare la possibile azione
aterogena diretta dell’insulina. Non è chiaro,
infatti, se l’iperinsulinemia di per sé sia un
fattore di rischio cardiovascolare, o piuttosto
solo un indicatore di rischio, in quanto
marker di insulinoresistenza.
Attualmente si può sostenere che l’iperinsulinemia è complessivamente un debole predittore di malattia coronarica (17), a cui è
tuttavia possibile attribuire la valenza di
“indicatore di rischio”, in quanto marker
dell’insulino-resistenza, e fattore verosimilmente favorente la comparsa delle anomalie
caratterizzanti la SM.
Terapia
della sindrome metabolica
L’elevato rischio cardiovascolare associato
alla SM determina la necessità di interventi
precoci, mirati da una parte a migliorare l’insulino-sensibilità e dall’altra a correggere/prevenire le alterazioni metaboliche e
emodinamiche associate.
La maggior parte dei pazienti con SM sono in
sovrappeso o obesi, per cui un obiettivo
prioritario deve essere quello di ridurre il
peso corporeo. La riduzione del peso è infatti di per sé capace di migliorare l’insulinosensibilità, e pertanto di esercitare effetti
benefici su tutte le alterazioni che caratterizzano la sindrome.
Scripta M E D I C A
Volume 7, n. 1-2, 2004
30
L’ approccio terapeutico è quindi basato su
una modifica dello stile di vita (a sua volta
incentrato sulla terapia dietetica e sull’incremento dell’attività fisica) e/o sull’utilizzo di
appropriati farmaci.
Da non sottovalutare infine l’importanza
della terapia comportamentale, costituita da
strategie basate sui principi dell’apprendimento.
La dietoterapia
Attualmente la dieta relativamente ricca di
carboidrati e povera di lipidi è ritenuta il
presidio dietoterapico di scelta per il trattamento dei dismetabolismi maggiori (16,
18, 19).
Un regime alimentare di questo tipo permette un miglioramento della tolleranza ai carboidrati, ed effetti ipolipidemizzanti promossi sia dalla diminuzione dei lipidi sia
dall’aumento del consumo di fibra.
Nettamente in contrasto è la posizione di
Reaven (20) il quale ha proposto per il trattamento della SM, una dieta ristretta in carboidrati (40% dell’energia totale giornaliera) e
ricca in lipidi (in particolare mono e polinsaturi), sostenendo che una dieta ricca in carboidrati comporterebbe un aggravamento
delle conseguenze metaboliche dell’insulinoresistenza.
L’attività fisica
L’ attività fisica aumenta il consumo d’energia è pertanto è in grado di influenzare il
bilancio energetico, contribuendo a conservare la massa magra durante una dieta ipocalorica.
Tuttavia, per avere un effetto clinicamente
significativo sul peso corporeo, è necessario
che essa sia combinata con un intervento
nutrizionale, producendo in tal modo un
effetto additivo sul calo ponderale.
L’attività fisica abituale si associa ad una
modificazione positiva della maggior parte
dei componenti della SM: oltre ad un miglioramento della sensibilità insulinica (indipendentemente dalla riduzione del peso corporeo), si verifica una riduzione della pressione
arteriosa, della glicemia e dei lipidi plasmatici (in particolar modo si riducono i trigliceridi e aumentano le HDL).
La terapia comportamentale
Verso la fine degli anni ‘80 alcuni autori, tra
cui Stunkard (21) e Garrow (22), posero le
basi del cosiddetto “trattamento integrato
dell’obesità” in cui le terapie comportamentali-psicologiche, attuate per mi-gliorare l’autostima, e quelle educazionali in campo
nutrizionale, devono compenetrarsi e rafforzarsi vicendevolmente.
L’attuazione di questo tipo di terapia, può
configurarsi nella creazione di gruppi di
pazienti in numero limitato (10-15) che si
riuniscono con una certa frequenza (15 o 30
giorni).
L’ obiettivo, oltre a quelli sopra citati, è quello di migliorare e far mantenere nel tempo la
compliance dietetica.
La terapia integrata
Un programma di terapia integrata nutrizionale e comportamentale deve proporre quindi
obiettivi possibili e condivisibili ad ogni soggetto. I principali obiettivi si orientano verso il
miglioramento dello stile alimentare con l’acquisizione o la riacquisizione di abitudini alimentari sane, l’aumento dell’attività fisica, la
capacità di non utilizzare il cibo come strumento di autoconsolazione e/o comunicazione affettiva, l’aumento dell’autostima, la riduzione del disagio psicologico, l’incremento
delle attività di socializzazione.
A questo proposito la nostra esperienza di
Carboidrati
55%
Proteine
15%
7%
SFA
3%
PUFA
20%
MUFA
Figura 1.
Composizione media
della dieta fornita.
Scripta M E D I C A
La terapia conservativa dell’insufficenza renale cronica
31
Figura 2.
Variazioni di peso (kg)
e BMI dall’inizio
al termine
dello studio.
88
35
33,5
86
30,5
86
30
84
25
82
20
80
79
15
78
10
76
5
74
0
Peso (kg)
BMI
applicazione di tale terapia su pazienti nonospedalizzati si è rivelata positiva: in un
recente studio (23) abbiamo trattato 161
soggetti (115 donne e 46 uomini) di età
media pari ad 52±15 anni di cui 124 affetti
da obesità (BMI >30) e 37 da soprappeso
(BMI >25). I pazienti sono stati inseriti in un
programma comprendente terapia comportamentale di gruppo, educazione alimentare,
e un piano nutrizionale che prevedeva una
riduzione di circa 500 KCal rispetto al fabbisogno energetico abituale, stimato in
2045±277 KCal.
Figura 3.
Prevalenza
della sindrome
metabolica
(basale e dopo
trattamento).
L’apporto nutrizionale medio fornito è stato
pertanto di KCal 1500±200, di cui glucidi
55%, lipidi 30%, proteine 15% (Figura1).
Dopo un periodo di trattamento di circa 6
mesi (171±133 giorni) il calo ponderale è
risultato pari a 7 kg (da 86±16 a 79±14,
p<0.001) (Figura 2).
La SM, così come definita dalle linee guida
del National Cholesterol Education Program,
Adult Treatment Panel III (16), è stata riscontrata all’inizio dello studio nel 48% dei
pazienti, mentre al termine era presente nel
30% dei soggetti (p<0.001) (Figura 3).
%
70
61%
Donne
60
Uomini
50
43%
40
30%
30%
30
20
10
0
Basale
Finale
Scripta M E D I C A
Volume 7, n. 1-2, 2004
ro
ta
uli
na
Ins
os
Gl
uc
1%
io
les
Co
ro
te
les
Co
te
to
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rid
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Pe
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5
lo
le
vit
a
en
za
%
0
HD
L
32
–5
–5%
–10
–7%
–8%
–9%
–15
–11%
–11%
–12%
–20
–25
–30
Tutti i componenti della sindrome sono
risultati significativamente ridotti al termine
dello studio (p<0.001) ad eccezione, come
atteso, delle HDL (Figura 4).
Questo studio conferma come il trattamento
integrato dietetico-comportamentale possa
incidere in maniera efficace sulla riduzione
della SM, e conseguentemente sul rischio
cardiovascolare di soggetti portatori di
eccesso ponderale.
La terapia farmacologica
Quando gli approcci dietetico-comportamentali non permettono di raggiungere
obiettivi soddisfacenti è spesso inevitabile
intraprendere una terapia farmacologica.
In primo luogo si punterà a migliorare il
quadro lipidico e a controllare l’ipertensione
arteriosa.
Per il trattamento farmacologico dell’obesità,
esistono attualmente farmaci che agiscono a
livello cerebrale (sibutramina) o intestinale
(orlistat), in grado di ridurre rispettivamente
la sensazione di fame e l’assorbimento dei
grassi.
Esistono poi farmaci in grado di migliorare
la sensibilità dei tessuti all’insulina (insulino-sensibilizzanti), anche se attualmente
non ci sono solide evidenze a sostegno della
loro utilità nel paziente non diabetico.
–26%
–26%
A tutt’oggi non disponiamo di larghi trials
espressamente mirati a ricercare e valutare la
terapia farmacologica della SM, tuttavia
appaiono molto interessanti i dati ricavati da
un importante studio di recente pubblicazione, lo XENDOS, che pone l’accento su
due delle componenti più critiche della sindrome, ovvero l’obesità e l’intolleranza glucidica (24).
In questo studio randomizzato, in doppio
cieco, della durata media di 4 anni, eseguito
su una vasta popolazione di soggetti obesi
(oltre 6.000 pazienti), è stata valutata l’efficacia di orlistat nella prevenzione del diabete
mellito in confronto a placebo.
Durante lo studio tutti i pazienti hanno partecipato anche ad un programma per le
modificazioni dello stile di vita.
Nel contesto della SM e delle sue prospettive
terapeutiche, i risultati dello studio XENDOS appaiono rilevanti, non soltanto in
ragione della significativa riduzione del
rischio di sviluppare diabete mellito ottenuta nei pazienti obesi trattati con orlistat
(–37.3% rispetto a placebo), ma in particolare perché si è raggiunta una riduzione statisticamente significativa anche per quanto
riguarda pressione sistolica, quadro lipidico,
e circonferenza della vita, ovvero tutti gli altri
principali componenti della SM.
Figura 4.
Variazione
dei parametri
antropometrici
e metabolici
dopo
trattamento).
Scripta M E D I C A
Sindrome metabolica: aspetti clinici e prospettive terapeutiche
33
Conclusioni
Riconoscere e valorizzare la SM corrisponde
a riconoscere le connessioni esistenti tra i
numerosi elementi patogenetici, metabolici,
emodinamici e di altra natura che conducono all’aterosclerosi e alle malattie cardiovascolari. Oggi si ritiene che queste ultime
siano sempre più diffuse nel mondo occidentale e industrializzato e possano essere
arginate solo intervenendo in maniera decisa, con misure di prevenzione e di terapia
efficace sulle anomalie metaboliche ed emodinamiche che le determinano.
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Scripta
M E D I C A Volume 7, n. 1-2, 2004
35
Candidiasi vaginale: una patologia anche allergica
Igea D’Agnano
Introduzione
Le differenti malattie allergiche
sono caratterizzate da un substrato infiammatorio comune le cui
manifestazioni cliniche in genere
sono dipendenti dalla sede del
contatto tra l’allergene e le cellule
del sistema immunitario.
Analogamente a quanto accade
per l’occhio, il naso, il polmone e
la cute, anche la mucosa vaginale,
è in grado di montare una risposta
allergica nei confronti di diversi
antigeni (liquido seminale, spermicidi, saponi, miceti, parassiti,
ecc.) ed il quadro clinico che ne
consegue è quello della vaginite.
Immunologia
della vagina
L’epitelio vaginale (Figura 1) è formato da cinque strati di cellule
che a partire dal lume sono così
definiti:
superficiale;
transizionale;
intermedio;
parabasale;
basale.
I primi tre strati sono costituiti da
circa dieci file di cellule squamose, mentre gli strati parabasale e
basale contengono uno o due file
di cellule di aspetto colonnare.
Consiglio Nazionale delle Ricerche
L’epitelio vaginale è attraversato
da un sistema di canali intercellulari che consentono alle macromolecole e ai fluidi di migrare
dalla lamina basale alla superficie
e viceversa (2).
Nella lamina basale si possono
inoltre osservare macrofagi, cellule di Langerhans, linfociti e plasmacellule IgG, IgA secernenti:
ciò indica la possibilità che anche
nella vagina si possa realizzare una
efficace risposta immunitaria (3).
Quando quest’ultima è particolarmente intensa il quadro clinico
Figura 1.
Immagine istologica
dell’epitelio vaginale.
assume i connotati di una vera e
propria vaginite la cui ricorrenza
può essere la conseguenza di un
meccanismo patogenetico IgEmediato, come dimostrato dall’isolamento di questi anticorpi nel
fluido vaginale di donne con tale
patologia (4, 5).
Infatti l’esposizione all’allergene
nel lume vaginale è seguita dal
suo trasporto attraverso i canali
intercellulari fino ai mastociti IgEleganti.
L’ interazione con quest’ultimi
provoca la liberazione di istamina
Scripta
M E D I C A Volume 7, n. 1-2, 2004
36
e di altri mediatori della flogosi
(Figura 2).
Tra questi una particolare menzione spetta alla prostaglandina
E2 (PGE2) che, esplicando un’azione antiproliferativa nei confronti dei macrofagi, riduce l’immunità cellulo-mediata, meccanismo di difesa primario nei confronti delle infezioni fungine (es.
Candida albicans).
Allergeni
IgE
Mastocita
Vaginite
da Candida albicans
La Candida albicans è un lievito generalmente presente come commensale delle membrane mucose
del tratto digestivo e della vagina.
Si tratta di un microorganismo dimorfo, Gram-positivo, a bassa virulenza che può manifestare sia
l’aspetto a pseudoife che quello a
blastospore (Figura 3).
In circa il 20% delle donne la
Candida albicans alberga nella vagina senza dare segni di sé.
Durante la trasformazione da spora in ifa la Candida albicans acquista la capacità di penetrare nell’epitelio dando origine all’infezione
caratterizzata da prurito, bruciori
e leucorrea, che talora può assumere un aspetto francamente caseoso (Figura 4).
È da sottolineare che non sono
noti i meccanismi con cui la trasformazione da ife a spore causa
la comparsa della patogenicità.
La candidiasi rappresenta la più
frequente infezione vaginale dal
momento che il 75% delle donne
soffre di questa patologia almeno
una volta nella vita (6).
La vaginite da Candida è rara prima del menarca, ma a 25 anni
Contenuto liberato
dai granuli
– istamina
– triptasi
– chimasi
– eparina
– TNF
Mediatori lipidici
derivati dalla membrana
nucleare
– prostaglandine
e trombossani
– PAF
Produzione di citochine
– IL-1,3,4,5,6,8
– TNF
Figura 2.
Anche a livello vaginale l’interazione tra allergene ed IgE presenti sui mastociti
provoca la liberazione di mediatori con effetti proflogogeni.
Figura 3.
Candida albicans: pseudoife e spore in essudato vaginale.
Scripta
M E D I C A Volume 7, n. 1-2, 2004
37
Figura 4.
Essudato di aspetto caseoso
in cervico-vaginite da Candida albicans.
quasi la metà delle donne ha avuto almeno un episodio di tale infezione (1).
Sebbene la candidiasi si manifesti
anche in soggetti vergini, la sua incidenza aumenta con l’inizio dell’attività sessuale (7, 8).
Circa il 5% delle donne va incontro a candidiasi vaginale ricorrente (definita come quattro o più
episodi infettivi per anno) e tale
condizione è facilitata dalla gravidanza, dal diabete, dalle malattie
della tiroide, dall’anemia e da fattori iatrogenici (antibiotici, corticosteroidi, contraccettivi orali,
farmaci immunosoppressori).
Nel 25% dei casi di candidiasi vaginale ricorrente anche il partner
maschile ha evidenziato la presenza di Candida albicans in colture di campioni penieni, ma tale
reperto è stato giudicato essere la
conseguenza piuttosto che la causa dell’infezione vaginale (6).
Ruolo allergizzante
della Candida albicans
Esistono evidenze che indicano la
che la Candida albicans è un potente allergene: infatti sia la frazione proteica che quella carboidratica delle spore contengono allergeni in grado di provocare reazioni allergiche a livello polmonare, nasale e cutaneo (9, 10)
Nel liquido di lavaggio vaginale di
donne con vaginite recidivante
Witkin et al. (4) hanno isolato IgE
specifiche per la Candida albicans
(detti anticorpi non erano presenti nel siero) e discreti livelli di
PGE2: questi dati hanno indotto
gli Autori a ipotizzare l’esistenza
di una risposta di ipersensibilità
vaginale locale che attraverso l’inibizione PGE2-mediata dell’immunità cellulare favorisce le ricadute infettive.
Analoghe osservazioni sono state
effettuate da Regulez et al. (11) che
hanno inoltre segnalato una riduzione dei livelli vaginali di IgE
Candida-specifiche congiuntamente al declino dei sintomi clinici.
A conferma dell’esistenza di candidiasi vaginali recidivanti su base
allergica vi sono inoltre i confortanti risultati ottenuti con l’immunoterapia specifica nei casi in cui
altri trattamenti avevano fallito
(12, 13).
Candidiasi vaginale
ricorrente
e rinite allergica
La candidiasi vaginale ricorrente è
un’affezione che compisce nel
mondo milioni di donne.
Tuttavia il motivo per cui parecchie donne, pur in assenza dei
classici fattori predisponenti (diabete, gravidanza, uso di corticosteroidi, ecc.), vanno incontro a
questi ripetuti episodi infettivi vaginali non è noto.
Nella letteratura scientifica del
passato esistono segnalazioni di
casi di allergia respiratoria associata a candidiasi vaginale ricorrente (14, 15), ma è solo più re-
Scripta
M E D I C A Volume 7, n. 1-2, 2004
38
centemente che il legame tra queste due patologie è stato indagato
con uno studio prospettico in cui
95 donne con candidiasi vaginale
recidivante e 100 pazienti con allergia, ma senza candidiasi vaginale (gruppo di controllo), sono
state seguite per 28 mesi (6).
Durante tale periodo il 67,3%
delle donne del gruppo con candidiasi ha sviluppato anche una
rinite allergica, mentre nel gruppo di controllo ciò è accaduto nel
42% dei casi (p < 0,0001); per
quanto riguarda le altre malattie
allergiche non sono state osservate correlazioni statisticamente significative (6) (Figura 5).
Questi dati sembrano pertanto indicare che nella patogenesi della
candidiasi vaginale recidivante
l’allergia svolge un ruolo determinante (6).
Ibuprofene
isobutanolammonio
nel trattamento della
candidiasi vaginale
ricorrente
Poiché la PGE2 che viene liberata
nella flogosi allergica esplica un
effetto deprimente l’immunità
cellulo-mediata, che a sua volta
favorisce la diffusione della
Candida, è logico attendersi che
l’impiego locale di un inibitore
della biosintesi delle prostaglandine, come l’ibuprofene, possa
contribuire a ripristinare tale deficit immunitario, favorendo il controllo della sintomatologia.
A questo proposito studi condotti in vitro hanno dimostrato che
l’aggiunta di ibuprofene alle colture
di macrofagi e di linfociti prove-
albicans, ma che esso possiede anche un’azione fungicida diretta.
Gli stessi Autori hanno poi osservato che l’associazione di questo
FANS con un azolo ne potenzia in
vitro l’azione antifungina (18).
Questi dati hanno pertanto indotto
Lanza et al. (19) a verificare l’efficacia clinica di questa terapia combinata nei casi di candidiasi vaginale
recidivante: i risultati ottenuti indicano che l’aggiunta all’antimicotico
per via orale ad un trattamento topico con ibuprofene-isobutanolam-
nienti da pazienti con vaginite ricorrente da Candida ripristina
prontamente la risposta proliferativa delle cellule mononucleate,
mentre l’ incubazione con acido
nordiidroguaiaretico (inibitore del
metabolismo dell’acido arachidonico per via lipossigenasica) non provoca alcuna stimolazione della crescita cellulare (16). Drago et al.
(17) hanno inoltre evidenziato
che l’ibuprofene isobutanolammonio non solo inibisce in vitro la
crescita delle colonie di Candida
Figura 5.
Incidenza delle malattie
allergiche in 95 donne
con candidiasi vaginale
ricorrente
e in 100 controlli.
%
70
Candidiasi ricorrenti
Controllo
60
50
40
30
20
10
*
0
i
nit
ma
Ri
Rin
e
iti
* p < 0,0001
as
ma
As
r
Alt
e
rgi
lle
a
e
ie
erg
Se
nz
ll
aa
Scripta
M E D I C A Volume 7, n. 1-2, 2004
39
Miconazolo+ibuprofene-isobutanolammonio
Miconazolo
2,50
2,33
2,27 2,27
p < 0,01
2,07
p < 0,01
2,00
2,07
p < 0,05
2,00
1,95
1,93
1,83
1,47
Valutazione
1,50
p < 0,05
1,25
1,17
p < 0,05
1,00
1,00
p < 0,05
0,68
0,62
0,53
0,50
0,12
0,04
0
Basale
3 gg
Prurito
7 gg
Basale
3 gg
7 gg
Bruciore
7 gg
Basale 3 gg
Leucorrea
Figura 6. Vaginite da miceti: andamento dei sintomi
dopo trattamento con antimicotico da solo o associato a ibuprofene-isobutanolammonio.
Tratto da: Gazz Med It - Arch Sci Med 2000; 159:71
monio riduce più rapidamente (3
giorni) i sintomi e i segni flogistici
tipici di tale patologia (prurito, bruciore, leucorrea, arrossamento delle
mucose) (Figura 6).
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Scripta
M E D I C A Volume 7, n. 1-2, 2004
41
Lo scompenso cardiaco nella pratica clinica
Pietro Cazzola
Introduzione
Lo scompenso cardiaco è un quadro clinico che sta diventando
sempre più frequente per due
motivi essenziali:
Invecchiamento della popolazione (1);
Riduzione della mortalità per
eventi coronarici acuti (2).
Come si definisce lo
scompenso cardiaco?
Le linee guida dell’American College
of Cardiology/American Heart Association definiscono lo scompenso
cardiaco una sindrome clinica
complessa derivante da ogni alterazione strutturale o funzionale del
cuore che causa un ostacolo nel
riempimento o nello svuotamento
ventricolare (3).
Quali sono i criteri
per porre diagnosi di
scompenso cardiaco?
porre diagnosi di scompenso cardiaco devono essere soddisfatti i
seguenti criteri (4):
Presenza di sintomi di scompenso cardiaco (a riposo o durante l’esercizio fisico);
e
Presenza di segni oggettivi di
disfunzione cardiaca (a riposo);
e (in caso di diagnosi dubbia)
Risposta clinica al trattamento
dello scompenso cardiaco
Mentre i due primi criteri dovrebbero essere sempre soddisfatti, il terzo
da solo non è sufficiente a far diagnosticare uno scompenso cardiaco.
Occorre tuttavia ricordare che lo
scompenso cardiaco è una malattia
progressiva che inizia prima che
sintomi e segni diventino evidenti
e le linee guida dell’American College of Cardiology/American Heart
Association ne hanno definito i
quattro stadi evolutivi (Figura 1).
stono alcuni fattori di rischio che
predispongono allo sviluppo
dello scompenso cardiaco; essi
sono (3):
Ipertensione arteriosa;
Diabete mellito;
Storia familiare
di cardiomiopatia;
Uso di farmaci cardiotossici.
Quali alterazioni
cardiache favoriscono
lo scompenso cardiaco?
Anche in assenza di sintomi di
scompenso cardiaco, i pazienti con:
Precedente infarto miocardico;
Disfunzione sistolica
del ventricolo sinistro;
Valvulopatia asintomatica;
hanno un elevato rischio di andare
incontro ad uno scompenso cardiaco sintomatico (3).
Quali sono i fattori
di rischio dello
scompenso cardiaco?
Quali sono i sintomi
dello scompenso
cardiaco? (5)
Secondo le linee guida dell’Euro- Analogamente a quanto accade Le principali manifestazioni clinipean Society of Cardiology per poter per la cardiopatia coronarica esi- che dello scompenso cardiaco sono:
Figura 1.
Stadi evolutivi dello scompenso cardiaco.(3)
Stadio A
Stadio B
Stadio C
Stadio D
Alto rischio
di scompenso cardiaco
Presenza di alterazioni
cardiache strutturali
Presenza di alterazioni
cardiache strutturali note
Scompenso cardiaco
refrattario
Assenza di alterazioni
strutturali cardiache;
assenza di sintomi
di scompenso
Assenza di sintomi
di scompenso
Sintomi di scompenso
cardiaco precedenti
o in corso
Necessità di interventi
specialistici
Scripta
M E D I C A Volume 7, n. 1-2, 2004
42
Dispnea: è importante approfondire le caratteristiche con cui
essa si manifesta. Bisogna chiedere al paziente da quanto
tempo ne ha notato la comparsa,
se essa è in rapporto all’attività
fisica e a quale entità di attività.
Per inquadrare correttamente il
sintomo dispnea da sforzo è
necessario rendersi conto del
tipo di attività fisica svolta abitualmente dal paziente. La
dispnea da sforzo può essere
assente nel soggetto sedentario, o
nei pazienti che hanno altre
patologie limitanti l’attività fisica,
come l’angina pectoris da sforzo,
la claudicatio intermittens agli
arti inferiori, o l’artrosi invalidante. L’ ortopnea è quel tipo di
dispnea che compare rapidamente, generalmente in pochi
minuti, quando il paziente assume il clinostatismo e che tende a
ridursi o a scomparire con l’ortostatismo. Il decubito può divenire ortopnoico obbligato e può
costringere il paziente a passare
le notti seduto su una sedia.
L’ortopnea è un sintomo frequente, ma poco specifico nel paziente con scompenso cardiaco.
Infatti si verifica anche in presenza di una capacità vitale ridotta o
di una ascite. La dispnea parossistica notturna si verifica abbastanza rapidamente ed è accompagnata da un senso di ansietà e di
soffocamento. Spesso il respiro,
oltre che affannoso, è sibilante
per la presenza di broncospasmo, e rende ragione del termine
di asma cardiaco.
Tosse: è un sintomo presente
molto frequentemente nel paziente con scompenso cardiaco,
in genere di tipo non produttivo,
ma in certi casi associata ad
emottisi. La tosse è scatenata
dagli stessi fattori della dispnea,
quali lo sforzo fisico, il decubito
supino o il riposo notturno. La
diagnosi differenziale con la tosse
di altra origine, da patologie polmonari o neurologiche, o secondaria a terapia con ACE-inibitori
è spesso difficile.
In corso di ACE-inibizione si
manifesta occasionalmente una
tosse secca e stizzosa, non in rapporto con le cause che provocano
la tosse da scompenso.
Astenia: con la facile affaticabilità è un sintomo che spesso
domina il quadro clinico dello
scompenso, soprattutto da
quando è entrato nell’uso corrente il trattamento precoce con
diuretici e con ACE inibitori, che
minimizzano i sintomi e i segni
clinici di congestione sistemica e
polmonare. Sia l’astenia che la
facile affaticabilità non sono sintomi specifici e possono essere
provocati da altre patologie (es.
anemia).
Quali sono i segni
obiettivi dello
scompenso cardiaco? (5)
La esame obiettivo del paziente con
scompenso cardiaco non deve
prendere in considerazione solo gli
elementi specifici relativi al cuore.
Lo spettro dei reperti patologici
può essere molto ampio e non limitato all’apparato cardiovascolare.
Esame generale
L’aspetto generale del paziente è
usualmente normale nelle fasi iniziali dello scompenso, nelle quali
la comparsa di edema agli arti inferiori costituisce il più frequente
riscontro clinico. L’aspetto, invece,
può essere marcatamente alterato
nelle fasi avanzate, con dispnea
anche a riposo, segni di iperattivazione adrenergica come cute pallida, fredda e sudata, e cianosi peri-
ferica, ittero di varia intensità,
stato di ansia e di agitazione. Lo
stato di nutrizione può essere gravemente compromesso nei pazienti
con scompenso cardiaco cronico di
lunga durata e in fase avanzata, sino
a configurare una condizione di
vera e propria cachessia cardiaca.
Segni vitali
La pressione arteriosa deve essere
misurata a paziente supino e in
piedi, per rilevare un’eventuale
ipotensione ortostatica, frequente
durante trattamento vaso-dilatatore. Il valore di pressione arteriosa
differenziale è spesso ridotto nello
scompenso severo, ed una riduzione del rapporto tra pressione differenziale e pressione sistolica inferiore al 25% costituisce un segno
attendibile di riduzione dell’indice
cardiaco al di sotto di 2,2 l/min/m2.
La determinazione della frequenza
cardiaca al polso è essenziale, in
quanto una tachicardia a riposo
suggerisce un’iperattivazione adrenergica, ed un polso irregolare
indica la necessità di una precisazione diagnostica dell’aritmia con
elettrocardiogramma. Le caratteristiche del polso possono fornire
ulteriori indicazioni sull’esistenza
di una grave compromissione della
funzione cardiaca. In questo caso il
polso può essere debole oppure
alternante. Il polso alternante consiste nel rilievo al polso periferico
(meglio all’arteria femorale o carotidea), eseguito in pazienti con
ritmo regolare, di una pulsazione
debole alternata con una più forte.
L’intervallo di tempo regolare tra le
due pulsazioni distingue il polso
alternante dal polso dei pazienti
con bigeminismo extrasistolico. Il
polso alternante è espressione di
una compromissione avanzata
della funzione ventricolare e spesso è associato a ritmo di galoppo e
a tachicardia.
Scripta
M E D I C A Volume 7, n. 1-2, 2004
43
Nei pazienti con scompenso cardiaco avanzato può essere rilevato
un lieve rialzo della temperatura,
in genere inferiore a 38 °C, per una
vasocostrizione periferica nei distretti cutanei che impedisce la
dispersione del calore endogeno.
Temperature superiori a 38 °C devono far sospettare la coesistenza
di processi infiammatori o infettivi.
Per quanto riguarda il respiro è
importante analizzarne la frequenza e il tipo. Nelle fasi di peggioramento dello scompenso si rileva
spesso una tachipnea, mentre nelle
fasi molto severe può essere osservato un respiro periodico o di
Cheyne-Stokes.
Il respiro periodico è caratterizzato
da una fase di aumento di profondità del respiro con concomitante
aumento della frequenza respiratoria, seguita da una fase di apnea, di
durata variabile sino a diversi
secondi.
Obiettività cardiaca
Una cardiomegalia può essere
sospettata sulla base del riscontro
di un itto della punta spostato a
sinistra, tuttavia si tratta di un
reperto difficile da valutare.
All’ascoltazione nello scompenso
cardiaco il primo tono cardiaco è
in genere attutito e il secondo
tono, se vi è ipertensione polmonare, accentuato. La presenza di
un tono cardiaco aggiunto protodiastolico, o terzo tono, è comunemente considerata un segno di
scompenso cardiaco grave.
Il reperto è probabilmente secondario ad un'elevata pressione atriale, che condiziona un elevato gradiente atrio-ventricolare ed un’elevata velocità protodiastolica di
riempimento ventricolare, con
brusca decelerazione dell’afflusso
di sangue immediatamente dopo
la fase di riempimento rapido.
Nella genesi del fenomeno entra
anche un’alterata distensibilità
delle pareti ventricolari. Il terzo
tono di origine ventricolare sinistra si ascolta con particolare evidenza dopo l’inspirazione in regione apicale e con il paziente in
decubito laterale sinistro, mentre il
terzo tono di origine ventricolare
destra si apprezza durante l’inspirazione in regione parasternale
sinistra ed in decubito supino.
Il terzo tono è a bassa frequenza e
sordo, più apprezzabile alla palpazione che all’ascoltazione e si
apprezza meglio con la campana
dello stetoscopio appena appoggiata sul torace; il miglior punto di
ascoltazione è quello sovrastante
all’impulso ventricolare con il
paziente in parziale decubito laterale sinistro.
Il terzo tono non è tuttavia un
reperto specifico dello scompenso
cardiaco (può essere presente in
soggetti sani con età <40 anni e
nell’insufficienza mitralica).
In caso di scompenso cardiaco
severo con tachicardia si verifica
una sovrapposizione di terzo e
quarto tono con un risultante
galoppo di sommazione.
Soffi sistolici da rigurgito delle valvole atrio-ventricolari compaiono
molto frequentemente nelle fasi
avanzate dello scompenso e sono
in rapporto alla dilatazione delle
camere ventricolari.
Obiettività polmonare
I reperti di stasi polmonare,
secondari a passaggio di trasudato
negli alveoli, consistono in rantoli
fini e crepitanti, localizzati alle
basi, in genere bilaterali, e sono
espressione di uno scompenso cardiaco avanzato.
Nelle forme più gravi si associano
rumori umidi più grossolani, che
si estendono ai campi polmonari
medi e superiori, sino a configurare il quadro di edema polmonare.
In assenza di rantoli vi possono essere rumori di tipo secco, con espirazione prolungata, secondari ad
una congestione delle pareti bronchiali, talora accompagnati da espettorazione di uno sputo schiumoso e
rosato. L’assenza di reperti fisici indicativi di stasi polmonare non esclude
la presenza di ipertensione arteriosa
polmonare anche severa.
Un’altra manifestazione comune
dello stato congestizio è rappresentata dai versamenti pleurici, in
genere bilaterali, ma non raramente
prevalenti a destra. La presenza di
un versamento pleurico isolato a
destra è compatibile con una condizione di scompenso cardiaco, mentre a sinistra deve far sospettare altre patologie, come neoplasie o processi tromboembolici polmonari.
Ipertensione venosa
L’esame ispettivo del polso venoso
giugulare è un valido metodo per
giudicare la presenza di ipertensione venosa. L’ispezione viene condotta sul lato destro del collo, in
quanto la vena giugulare interna,
la vena anonima e la vena cava
superiore destre costituiscono un
asse praticamente rettilineo in
comunicazione con l’atrio destro,
mentre a sinistra la vena anonima
può subire compressioni da parte
dell’aorta. Le vene giugulari esterne vengono osservate dopo aver
posizionato il paziente con il tronco inclinato di circa 45 gradi e con
la testa appoggiata in maniera
confortevole su un cuscino.
Le vene giugulari nel soggetto normale non superano la misura di 4
cm, tra bordo superiore e punto di
riferimento, che è l’angolo sternale.
Tenuto conto che normalmente la
distanza tra l’angolo sternale e l’atrio
destro è di circa 5 cm, una pulsazione venosa giugulare inferiore a 4 cm
corrisponde ad una pressione venosa centrale inferiore a 9 cm di acqua.
Scripta
M E D I C A Volume 7, n. 1-2, 2004
44
Come già detto per il terzo tono, il
rilievo di una pressione venosa
giugulare elevata ha un significato
prognostico negativo.
Un reflusso epato-giugulare o
addomino-giugulare si definisce
come una chiara distensione delle
vene del collo in seguito ad una
compressione dell’addome, delicata ma decisa, e prolungata per circa
1 minuto, evitando che il paziente
trattenga il respiro. Il fenomeno è
espressione sia della congestione
epatica e addominale, sia dell’incapacità del cuore destro di accogliere ed espellere un ritorno venoso
transitoriamente aumentato.
Epatomegalia
In caso di scompenso cardiaco
destro, a causa dell’ipertensione
venosa sistemica si può sviluppare
un’epatomegalia congestizia, spesso prima della comparsa di edemi
periferici.
L’epatomegalia viene apprezzata
con palpazione e percussione e, in
caso di insufficienza della tricuspide, viene percepita una pulsazione
sistolica. Una minima quantità di
liquido ascitico è frequentemente
dimostrata dalle indagini con ultrasuoni dell’addome, ma un versamento ascitico clinicamente rilevante si forma solo nei casi di ipertensione venosa importante e di
lunga durata.
Edema
L’edema periferico è tradizionalmente considerato una delle manifestazioni cliniche principali dello
scompenso cardiaco fin dalle sue
fasi iniziali, anche se con l’impiego
precoce della terapia diuretica
viene riscontrato meno frequentemente. Inoltre la correlazione tra
edema periferico e grado di pressione venosa sistemica è molto
modesta. Nei pazienti con scompenso cardiaco cronico a bassa git-
tata, con volume extracellulare già
notevolmente espanso, aumenti
anche modesti della pressione
venosa sistemica possono provocare edema periferico.
Generalmente prima che compaia
il fenomeno si verifica un accumulo di almeno 5 litri in eccesso del
volume extra-cellulare. Le manifestazioni cliniche sono a carico
delle parti declivi, piedi e caviglie,
bilateralmente, a comparsa lenta e
progressiva nell’arco della giornata, dopo che il paziente è rimasto
in piedi, e a regressione con il
riposo notturno.
Nei pazienti allettati l’edema periferico compare inizialmente in
regione sacrale. Nelle fasi avanzate
dello scompenso l’edema periferico può aggravarsi e divenire generalizzato, sino a configurare uno
stato anasarcatico. L’edema di
lunga durata provoca fenomeni
locali di indurimento e di iperpigmentazione.
Come si classifica
la gravità dello
scompenso cardiaco?
Una volta posta diagnosi di scompenso cardiaco, i suoi sintomi possono essere utilizzati per classificarne la gravità e per monitorare
gli effetti della terapia (4).
La classificazione più utilizzata è
quella della New York Heart
Association (NYHA) (Tabella 1).
Quali sono le indagini
di primo livello? (4)
Elettrocardiogramma (ECG)
Un tracciato ECG normale deve
indurre a riconsiderare la diagnosi
Tabella 1. Classificazione dello scompenso
secondo la New York Heart Association (NYHA).
Classe I
Pazienti con cardiopatia ma senza limitazione dell’attività
fisica. L’attività fisica ordinaria non causa affaticamento, dispnea,
palpitazioni o dolori anginosi.
Classe II
Pazienti con cardiopatia condizionante una lieve limitazione
dell’attività fisica. Asintomatici a riposo. L’attività fisica ordinaria
provoca affaticamento, palpitazioni, dispnea o dolori anginosi.
Classe III
Pazienti con cardiopatia condizionante una marcata limitazione dell’attività fisica. Asintomatici a riposo. Un’attività fisica
minore dell’ordinaria provoca affaticamento, palpitazioni, dispnea
o dolori anginosi.
Classe IV
Pazienti con cardiopatia condizionante un’incapacità a
svolgere qualsiasi attività fisica senza sintomi. I sintomi di scompenso cardiaco o di sindrome anginosa possono essere presenti
anche a riposo. Qualsiasi tipo di attività fisica incrementa i sintomi.
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di scompenso cardiaco. Infatti in
questa condizione patologica sono
frequenti le alterazione dell’ECG.
La presenza di onde Q anteriori e
di un blocco di branca sinistra in
pazienti con cardiopatia ischemica
sono predittori di una ridotta frazione d’eiezione. L’ECG è inoltre
cruciale per svelare una fibrillazione, un flutter atriale o un’aritmia
ventricolare che possono essere la
causa o l’elemento favorente lo
scompenso cardiaco.
Radiografia (Rx) del torace
Questo esame consente di osservare la presenza di un ingrossamento cardiaco e di una congestione polmonare che sono utili
indicatori di un’alterata funzione
cardiaca
Inoltre è possibile rilevare un
edema interstiziale e alveolare che
sono espressione di grave disfunzione ventricolare sinistra.
L’Rx del torace consente anche di
escludere la presenza di una
malattia polmonare come possibile causa dei sintomi respiratori.
Esami di laboratorio
È raccomandata l’esecuzione dei
seguenti esami di laboratorio:
emocromo, elettroliti, creatininemia, glicemia, transaminasi ed
esame urine. Ulteriori esami da
prendere in considerazione sono:
proteina C reattiva (PCR), TSH,
uricemia e azotemia.
Nella processo diagnostico dello
scompenso cardiaco può essere
utile il dosaggio di alcuni peptidi
natriuretici: ANP (atrial natriuretic
peptide), BNP (brain natriuretic
peptide). Infatti sulla base della
concentrazione plasmatica di questi peptidi è possibile selezionare i
pazienti, in cui si sospetta uno
scompenso cardiaco, da sottoporre ad ulteriori accertamenti (es.
ecocardiografia (Figura 2).
Figura 2. Algoritmi e indagini strumentali e di laboratorio
per la diagnosi dello scompenso cardiaco.
Algoritmo diagnostico attuale
Algoritmo diagnostico futuro
Paziente con presunto
scompenso cardiaco
Paziente con presunto
scompenso cardiaco
ECG
Rx del torace
Funzionalità respiratoria
Emocromo
Funzionalità tiroidea
Biochimica
Ecocardiografia
Normale
BNP
Scompenso
improbabile
Aumentato
Ecocardiografia
BNP = Dosaggio brain natriuretic peptide
Ecocardiografia
Con questa indagine è possibile
evidenziare in modo oggettivo la
presenza di una disfunzione cardiaca.
L’ecocardiografia transtoracica è di
rapida esecuzione, sicura e ampiamente disponibile.
Essa consente la valutazione delle
dimensioni delle camere cardiache, dello spessore e della geometria della parete, degli indici della
funzione cardiaca.
Il parametro più importante della
funzione ventricolare è rappresentato dalla frazione d’eiezione del
ventricolo sinistro.
L’ecocardiografia permette inoltre
una stima semi-quantitativa della
funzione delle valvole cardiache
(soprattutto mitralica, tricuspidale
e aortica).
L’ecocardiografia transesofagea
non è raccomandata routinariamente; essa può essere utile nei
pazienti con un’inadeguata fine-
stra eco, in quelli con valvulopatie
complicate o con malfunzionamento delle protesi valvolari.
Quali sono i farmaci
per lo scompenso
cardiaco?
Le più recenti linee guida dell’American College of Cardiology/American
Heart Association indicano che i
pazienti con disfunzione ventricolare sinistra sintomatica dovrebbero essere routinariamente trattati
combinando 4 tipi di farmaci (3):
ACE-inibitore;
Diuretico;
β-bloccante;
Glicoside cardioattivo.
È da sottolineare che ACE-inibitore e β-bloccante dovrebbero essere
prescritti anche se il paziente
risponde favorevolmente al diuretico, in quanto questi farmaci
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hanno mostrato di influenzare la
prognosi a lungo termine dello
scompenso cardiaco (3).
Tabella 2. ACE-inibitori: dosi raccomandate nello scompenso cardiaco.
ACE-inibitore
Dose iniziale
Dose di mantenimento
Benazepril
2,5 mg
5-1O mg b.i.d.
ACE-inibitori
Captopril
6,25
mg
t.i.d.
25-50
mg t.i.d.
Sono i farmaci di prima scelta nel
Enalapril
2,5
mg
die
10
mg
b.i.d.
trattamento farmacologico dello
Lisinopril
2,5
mg
die
5-20
mg
die
scompenso cardiaco, indipendenQuinapril
2,5-5
mg
die
5-10
mg
die
temente dallo stadio evolutivo (3).
Perindopril
2
mg
die
4
mg
die
Le dosi raccomandate sono illustraRamipril
1,25-2,5 mg die
2,5-5 mg b.i.d.
te nella Tabella 2, tuttavia occorre
Cilazapril
0,5
mg
die
1-2,5 mg die
sottolineare che la dose target doFosinopril
10
mg
die
20 mg die
vrebbe essere quella che si è dimoTrandolapril
1
mg
die
4 mg die
strata efficace negli studi clinici (4).
Gli effetti collaterali più importanti degli ACE-inibitori sono: ipotensione, episodi sincopali, insufficienza renale, iperkaliemia, angio- caratteristiche come biodisponibi- I diuretici risparmiatori di potassio
edema e tosse (4).
lità, effetto del cibo sull’assorbimen- secondo le attuali linee guida
to ed emivita plasmatica (Tabella 3). europee dovrebbero essere prescritAntagonisti dei recettori dell’an- Biodisponibiltà più elevata e ti solo in caso di persistente ipokagiotensina II .
costante ed emivita plasmatica più liemia anche dopo terapia con
Questi nuovi inibitori del sistema prolungata rappresentano le pecu- ACE-inibitori (4).
renina-angiotensina-aldosterone liarità farmacocinetiche più evi- Le dosi raccomandate per i diuresono utili nei pazienti che non tol- denti della torasemide sommini- tici sono indicate nella Tabella 4.
lerano la terapia con ACE-inibitori, strata per via orale (5, 7).
o possono essere somministrati in Il recente studio TORIC (TORase- β-bloccanti
associazione a quest’ultimi per raf- mide In Congestive heart failure) ha I β-bloccanti sono farmaci ampiaforzare il blocco del sistema (4, 6). inoltre evidenziato che nei pazienti mente utilizzati e raccomandati nel
con scompenso cardiaco in classe trattamento dell’ipertensione arteDiuretici
NYHA II-III la torasemide ha ridot- riosa (12, 13), che, come preceSono essenziali nei casi di scom- to del 59,7% i decessi cardiaci, ri- dentemente esposto, rappresenta
penso cardiaco sintomatico, quan- spetto a quanto registrato per la uno dei principali fattori di rischio
do è presente un sovraccarico di furosemide e gli altri diuretici (8), e dello scompenso cardiaco (3).
liquidi che si manifesta con conge- ciò potrebbe essere ascritto alla sue Questa classe di farmaci in passato
stione polmonare ed edema perife- proprietà antialdosteroniche (9-11). è stata ritenuta controindicata nel
rico; il loro uso esita in un rapido
miglioramento della dispnea ed
una migliore tolleranza dello sforTabella 3.
zo fisico (4).
Caratteristiche farmacocinetiche di alcuni diuretici dell’ansa.
Lo scompenso lieve può essere
Bumetanide Furosemide Piretanide Torasemide
trattato con i tiazidici, ma nelle
Biodisponibilità (%)
58-89
11-90
80*
79-91
forme più gravi sono necessari i
diuretici dell’ansa (4).
Emivita (ore)
1,2
1,0
0,8
3,3
Quest’ultimi sono acidi organici
Tmax
1,3
1,6
1,2
1,0
max (ore)
(acido etracrinico, bumetanide,
Vd (l/kg)
0,17
0,16
0,27
0,16
furosemide, torasemide) che dal
Ae (%)
65
60
51*
27
punto di vista farmacocinetico,
Tmax = tempo della concentrazione plasmatica al picco;
accanto a proprietà comuni (es. l’eVd = Volume di distribuzione; Ae = Percentuale escreta immodificata; * = Stima.
levato legame con le sieroproteine)
si differenziano tra loro per alcune
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Tabella 4 Diuretici: dosi raccomandate nello scompenso cardiaco.
Diuretici dell’ansa
Furosemide
Bumetanide
Torasemide
Dose iniziale
(mg)
Dose giornaliera
massima (mg)
20-40
0,5-1,0
5-10
250-500
5-10
100-200
25
2,5
2,5
50-75
10
2,5
Tiazidici
Idroclorotiazide
Metolazone
lndapamide
Risparmiatori di K
Amiloride
Triamterene
Spironolattone
+ACE-i
2,5
25
25
–ACE-i
5
50
50
+ACE-i
20
100
50
–ACE-i
40
200
100-200
Grave
Lieve o moderata
Tabella 5.
Risultati dei trial con i β-bloccanti sulla mortalità
nello scompenso cardiaco.
Trial
n.
Rischio relativo
(95% CI)
MERIT-HF
3.991
0,66 (0,53-0,81)
US Carvedilol Progr. 1.094
0,35 (0,20-0,61)
CIBIS II
2.647
0,66 (0,54-0,81)
BEST
2.708
0.90 (0,78-1,02)
COPERNICUS
2.289
0,65 (0,52-0,81)
0,0 0,2 0,4 0,6 0,8 1,0
Tabella 6.
Caratteristiche farmacologiche dei principali β-bloccanti.
β1-blocco
β2-blocco
α1-blocco
ISA
Carvedilolo
+++
+++
+++
–
+++
Metoprololo
+++
–
–
–
–
Bisoprololo
+++
–
–
–
–
Bucindololo
+++
–
–
– (+)
–
β-bloccante
*
= Antiossidante, antiendotelina, antiproliferativo
Effetti
ancillari*
trattamento dello scompenso cardiaco in quanto rallenta la frequenza cardiaca.
Negli ultimi anni, tuttavia, i nuovi βbloccanti hanno mostrato di ridurre
significativamente la mortalità nei
pazienti con scompenso cardiaco
che già sono in terapia con ACE-inibitori e con diuretici (14-20)
Per questo motivo essi ora compaiono tra i farmaci raccomandati
sia nei pazienti asintomatici con
recente infarto miocardico o con
ridotta frazione d’eiezione (Stadio
B) (3, 4), sia in in quelli con scompenso cardiaco sintomatico lieve,
moderato e grave (3, 4).
Sebbene i grandi trial clinici abbiano dimostrato che carvedilolo,
bisoprololo e metoprololo miglorano la prognosi dei pazienti con
scompenso cardiaco, esistono delle sostanziali differenze nell’entità
dei risultati ottenuti, sia per quanto riguarda la sopravvivenza, sia
per quanto concerne l’ospedalizzazione (14-19).
La loro comparazione infatti evidenzia che il carvedilolo è più vantaggioso sia del bisoprololo sia del
metoprololo (Tabella 5) e queste
differenze sono attribuibili alle
diversità del profilo farmacologico
di questi tre farmaci antiadrenergici (Tabella 6)
La supremazia del carvedilolo è
stata recentemente confermata dai
risultati dello studio COMET
(Carvedilol Or Metoprolol European
Trial): da questo ampio studio di
confronto diretto è emerso che nei
pazienti con scompenso cardiaco
sintomatico il trattamento con carvedilolo riduce, rispetto a metoprololo, del 17% la mortalità per
tutte le cause e del 21% la mortalità per cause cardiovascolari (21).
Nella Tabella 7 sono raccolte le
raccomandazioni per l’impiego del
carvedilolo nello scompenso cardiaco.
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Tabella 7. Raccomandazioni
per l’impiego del carvedilolo
nello scompenso cardiaco
Trattare i pazienti con disfunzione ventricolare ischemica in fase presintomatica e quelli con scompenso cardiaco
cronico di grado lieve, moderato o
grave, solo se clinicamente stabili.
Iniziare precocemente il trattamento
(anche in presenza di scompenso di
grado lieve), anziché rimandarlo alle
fasi avanzate.
Utilizzare dosi iniziali estremamente
basse (3,125 mg x 2/die) e incrementare il dosaggio ogni 15 giorni fino a
raggiungere la dose massima di 25
mg x 2/die.
Controllare la pressione arteriosa e la
frequenza cardiaca subito dopo ogni
incremento di dose.
Ridurre il dosaggio degli ACE-inibitori
in caso di ipotensione.
Aumentare il dosaggio dei diuretici in
caso di ritenzione idrica o lieve peggioramento dei sintomi.
Sospendere il trattamento con digitale
e amiodarone in caso di bradicardia.
Raggiungere un β-blocco efficace (frequenza a riposo tra 50 e 60 battiti/minuto).
Considerare inefficaci dosi di mantenimento < 12,5 mg/die.
Non attendersi risultati immediati.
Antagonisti dell’aldosterone
Lo spironolattone è un diuretico
risparmiatore di potassio con attività antialdosteronica.
Lo studio RALES (The Randomized
Aldactone Evaluation Study) ha evidenziato che l’aggiunta alla terapia
standard di spironolattone a basso
dosaggio (12,5-50 mg) migliora la
sopravvivenza nei pazienti con
scompenso cardiaco in classe IIIIV NYHA (22).
Per tale motivo le attuali linee
guida raccomandano l’impiego
dell’antialdosteronico nei pazienti
con scompenso cardiaco in fase
avanzata (3, 4).
I principali effetti collaterali della
terapia con spironolattone sono la
ginecomastia e l’iperkaliemia.
Glicosidi cardioattivi
I glicosidi cardioattivi (digossina e
digitossina) sono utilizzati nello
scompenso cardiaco per ridurre i
sintomi e migliorare lo stato clinico (3, 4).
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