La linguistica e l’ipotesi innatista La linguistica è la scienza che studia le proprietà del linguaggio umano. Secondo la cosiddetta ipotesi innatista la lingua è il prodotto di un sistema cognitivo codificato in un’area specifica - l'emisfero sinistro - del nostro cervello. L'apprendimento di una lingua è quindi una capacità geneticamente determinata - innata (da qui il termine innatismo) - per gli esseri umani, esattamente come lo è, ad esempio, imparare a camminare in posizione eretta. Esistono vari argomenti a favore dell'ipotesi innatista: - tutti e solo gli esseri umani hanno sviluppato il linguaggio come sistema di comunicazione; - il bambino impara la propria lingua materna senza alcun tipo di insegnamento specifico o di istruzione indotta; - povertà dello stimolo: la produzione linguistica di un bambino è largamente sottodeterminata rispetto al corpus linguistico a cui è esposto durante la fase di acquisizione; il bambino è infatti in grado di produrre frasi grammaticali mai sentite prima; - i bambini attraversano delle fasi simili nell'apprendimento ed inoltre compiono solo alcuni tipi di errori - in genere errori di regolarizzazione di paradigmi - e mai altri; mio/mii - salo - mordato togliato - esiste una fase critica in cui la capacità di acquisizione della lingua è più agevole (tra i due ed i sei anni); comunque dopo la pubertà non è più possibile imparare una lingua come lingua materna; - nel caso di patologie del linguaggio, solo quando sono danneggiate alcune aree specifiche insorgono problemi di linguaggio (emisfero sinistro area di Wernicke, area di Broca, giro angolare ecc.); inoltre ad ogni area del cervello che viene danneggiata corrisponde un tipo (o una serie di tipi) di afasia. Come si è detto, solo gli esseri umani hanno sviluppato la facoltà del linguaggio; neanche i primati - che sono gli animali più vicini a noi come sviluppo cerebrale - sono in grado di apprendere un qualsiasi linguaggio umano (neppure quello dei segni; non si tratta quindi di un problema connesso al particolare apparato fonatorio degli esseri umani). Tuttavia un bambino non impara a parlare se non viene esposto al linguaggio, esattamente come avviene per la stazione eretta: lo stimolo è dunque necessario per lo sviluppo del sistema cerebrale che regola il linguaggio o il movimento, o qualsiasi altro componente. In assenza di stimoli, la capacità di imparare una lingua si atrofizza; si consideri il caso dei bambini “lupo” cresciuti lontano dalla società umana: bambini entrati in contatto con il mondo esterno a 14 anni si sono rivelati incapace di sviluppare una competenza linguistica pari a quella dei loro coetanei. Inoltre, la competenza di una lingua specifica non è ereditaria nel senso che un bambino apprende la stessa lingua dei genitori: il bambino impara la lingua della comunità linguistica in cui vive, indipendentemente dalla lingua madre dei genitori. La grammatica e la grammatica universale La grammatica, all’interno della teoria generativa del linguaggio, non è concepita come una serie di regole normative che definiscono l’uso di una certa varietà di lingua più o meno standardizzata, imponendo ai parlanti alcune scelte invece di altre, ma è vista invece come un modello della competenza linguistica che un parlante nativo ha della propria lingua; tale conoscenza, per lo più inconsapevole, si manifesta nel suo parlare secondo un certo sistema e nel riconoscere alcune espressioni come grammaticali o meno, cioè come facenti parte o meno della propria lingua; egli è cioè in grado di definire quali costrutti siano possibili (grammaticali) e quali impossibili (agrammaticali) nella sua lingua materna: Siamo arrivati ieri La zia è ammalata vs Hanno arrivato domani La nonno sono ammalate Il parlante nativo sarà dunque “il campione” su cui il linguista fa i suoi esperimenti per definire una teoria del modulo cognitivo che crea il linguaggio umano. Come è strutturato questo modello della competenza linguistica? Sicuramente una parte della conoscenza è innata, cioè già codificata all’ interno del nostro cervello; questo spiega come mai il bambino apprenda in un periodo di tempo relativamente breve la sua lingua materna e come mai la competenza di una specifica lingua non sia ereditaria. Definiamo questa parte del nostro sistema come grammatica universale, un modello della facoltà di cui ogni essere umano è geneticamente dotato; esso comprende due componenti: - a) una serie di principi generali che sono condivisi da tutte le lingue umane; tra questi troviamo il principio della ricorsività, cioè la possibilità di formare delle frasi di lunghezza indefinita includendo un costituente nell’altro in modo ricorsivo: [Credo [che Paolo sia partito]] [Credo [che Mario pensi [che Paolo sia partito]]] [Credo [che Mario pensi [che Giorgio abbia detto [che Paolo sia partito]]]] [Credo [che Mario pensi [che Giorgio abbia detto [che tua sorella supponga [che Paolo sia partito]]]]] I like that girl I like the girl in jeans I like the girl in jeans with long hair I like the girl in jeans with long hair at the back of the room I like the girl in jeans with long hair at the back of the room on the stage... I hate Madonna I hate Madonna and Tina Turner I hate Madonna and Tina Turner and Bo Derek I hate Madonna and Tina Turner and Bo Derek and Joan Collins... Tutte le lingue hanno la proprietà di essere ricorsive nel senso che si possono avere un numero virtualmente infinito di frasi coordinate e secondarie (incassate una nell’altra), cosicché otteniamo periodi di lunghezza potenzialmente illimitata. - b) oltre a questa deve anche esistere una parte della competenza che viene appresa dal parlante durante il periodo critico; questa consta di una serie di parametri che definiscono, limitandole, le possibilità di variazione tra una lingua e l’altra; ad esempio il parametro del soggetto nullo, che distingue tra lingue in cui il soggetto deve essere obbligatoriamente espresso e lingue in cui il soggetto può rimanere inespresso: They have bought this book * Have bought this book vs Loro hanno comprato questo libro Hanno comprato questo libro La grammatica di una qualsiasi lingua si articola in un componente fonologico, uno morfologico, uno sintattico ed uno semantico. La funzione di una grammatica, intesa come modello della competenza linguistica, secondo il modello a T, è dunque quello di generare, sulla base dei principi generali innati e dei parametri fissati con l’esperienza, tutte e solo le parole e le frasi possibili di una determinata lingua nel componente morfologico e sintattico rispettivamente, e di assegnare ad esse tutte e solo le interpretazioni semantiche e foniche possibili, nel componente semantico e fonologico. Poiché la facoltà del linguaggio si configura come un possibile oggetto di studio empirico, la linguistica si definisce come una scienza empirica che studia il modo in cui si articola questa componente del nostro cervello. I dati che essa utilizza sono costituiti dalle frasi possibili, cioè dai giudizi di grammaticalità del parlante nativo. Il metodo che viene utilizzato nella ricerca è di tipo ipotetico-deduttivo: basandosi su nozioni già incorporate nella teoria, vengono avanzate delle ipotesi da cui si deducono delle asserzioni che vengono sottoposte a controllo empirico. Fonologia e fonetica Fonetica e fonologia sono due discipline strettamente correlate che studiano i suoni delle lingue umane. Proprio perché parlare è un’attività molto più naturale che scrivere (e poiché le grammatiche sono necessariamente opere scritte) è facile dimenticarsi della pervasività del parlato, ed anzi considerare la lingua parlata come un riflesso di quella scritta. In realtà la lingua è soprattutto un fenomeno del parlato (ed è la lingua scritta ad essere semmai un riflesso di quella parlata); si consideri ad esempio che: - esistono molte lingue che vengono parlate ma non scritte, ma non viceversa; - molti adulti parlano una lingua naturale senza saperla scrivere; - i bambini imparano a parlare in modo naturale, senza bisogno di un addestramento esplicito, come accade per lo scritto; - il parlato è il sistema di comunicazione di gran lunga più efficiente usato dagli uomini: possiamo trasmettere 25 suoni al secondo quando parliamo, ma solo 7-9 segmenti al massimo in forme di comunicazione non parlata; - il parlato ci consente di comunicare in moltissimi contesti in cui non possiamo comunicare per iscritto, tanto che comunichiamo molto più spesso per via orale che per iscritto. La linguistica tende quindi a porre l’enfasi sulla lingua parlata piuttosto che su quella scritta. Inoltre, proprio perché viene studiata a scuola, noi siamo tutti abbastanza consapevoli di come è strutturata l’ortografia della nostra lingua, mentre tendiamo ad essere meno consapevoli delle strutture fonetiche/fonologiche della lingua, dato che le abbiamo acquisite in maniera inconscia. Fonologia Il parlato è un’onda sonora continua, ma la nostra percezione segmenta quest’onda come una sequenza di elementi discreti che si susseguono: Ieri pomeriggio sono arrivati i nostri colleghi francesi Un enunciato può infatti venire scomposto in una sequenza di parole che sono le unità minime di significato. Ogni parola viene a sua volta scomposta in unità minime prive di significato, che sono segmenti sonori indivisibili detti foni (ad es. la parola nostri può essere scomposta in n, o, s, t, r, i). Il linguaggio umano è quindi composizionale, nel senso che la possibilità di combinare i suoni in vari modi dà alle lingue la capacità di esprimere un numero altissimo di significati utilizzando un numero esiguo di elementi costitutivi. La fonologia è quel settore della grammatica che studia la competenza fonologica che un parlante ha della propria lingua materna; essa studia cioè i sistemi fonologici che vengono usati nelle lingue naturali per trasmettere dei significati (quei sistemi che permettono di stabilire una differenza tra suoni che distinguono significati e suoni che non li distinguono). La fonologia si occupa quindi di come le lingue organizzano le unità minime prive di significato - i foni - ai fini della comunicazione linguistica; essa studia anche i vincoli che le lingue impongono su come i foni possano venire usati con funzione distintiva: cane vs pane rane vs Rane Possiamo fare un piccolo esperimento sulla nostra competenza fonologica tentando di distinguere tra le seguenti parole quali potrebbero essere parole italiane (pur non avendo alcun significato) e quali no: pango rtuplo spiglio crad vareno truplo Il fatto che siamo in grado di fare tale distinzione dimostra che abbiamo una conoscenza innata dei principi fonologici che regolano la nostra lingua. Esaminiamo ora vari esempi di fenomeni fonologici su cui torneremo successivamente: 1- alcuni suoni servono a distinguere significati, altri no; in italiano esiste a livello fonologico una sola r: due pronunce diverse di r (alveolare/uvulare) non distinguono significati diversi, mentre [g] e [d] distinguono significati diversi: [r]emo / [R]emo va[d]o / va[g]o Queste due parole costituiscono una coppia minima, formata da due parole che si distinguono solo per un diverso segmento collocato nella stessa posizione. 2- si registrano modificazioni sistematiche all’interno di un contesto; ad esempio il prefisso in varia a seconda del contesto: in + resistibile > irresistibile in + legale > illegale in + possibile > impossibile Un altro caso in cui il contesto risulta determinante per un fenomeno è quello del raddoppiamento sintattico: nelle varietà di italiano centromeridionale la prima consonante di una parola raddoppia se la parola che la precede termina con una vocale accentata: Perché pparli così? Ho già ppranzato C’è poi una breve serie di parole che provocano il raddoppiamento sintattico anche se non hanno un accento finale; tuttavia la s seguita da consonante non raddoppia mai: Ho già scritto a Mario Perché stai piangendo? In diverse varietà il raddoppiamento ha regole parzialmente diverse; dal punto di vista diacronico possiamo dire che una consonante iniziale raddoppia quando nella parola precedente era presente una consonante finale che poi è caduta; intuitivamente, sembra che ci sia ancora un posto ‘vuoto’ per quella consonante, che viene riempito raddoppiando la consonante iniziale della parola che segue. 3- bisogna anche distinguere diversi livelli di rappresentazione: esistono delle forme astratte sottostanti dalle quali vengono ricavate le forme fonologiche superficiali. Le parole elettrico ed elettricità sono chiaramente collegate tra loro: una base elettric- darà, con l’aggiunta di un suffisso ità, la forma superficiale elettricità, che però non è elettrichità; la fonologia dovrà spiegare in che modo si arriva da elettric+ità ad elettricità con la sostituzione di un segmento velare con uno palatale. Nel modello a T della grammatica sviluppato all’interno della teoria generativa la fonologia è un componente che interpreta in termini di suoni le strutture generate dai componenti morfologico e sintattico. Non tutto però viene interpretato fonologicamente, come è testimoniato dalla presenza di parole o frasi ambigue, composte di una identica stringa di suoni e con differenze nella struttura morfologica e sintattica che non sono tradotte in suoni: porta <nome, verbo> La vecchia porta la sbarra vicino <aggettivo, preposizione, nome> Ho visto il postino col binocolo Una caratteristica universale delle lingue naturali consiste ad esempio nella non interpretazione fonologica dei diversi livelli di incassamento di un costituente: [Gianni ha detto [che Andrea pensa [che Maria sospetti [che Luca non verrà]]]] Si è inoltre scoperta la rilevanza dello studio della funzione distintiva dell’accento (méta/metà) e dei toni (ci sono lingue in cui il significato di una parola varia sulla base del tono); l’intonazione può avere valore distintivo in italiano a livello frasale, poiché una frase interrogativa può distinguersi dalla corrispondente dichiarativa solo in base alla diversa intonazione: E’ arrivato Gianni vs E’ arrivato Gianni? Ci sono quindi varie componenti della fonologia che agiscono in modo parzialmente autonomo; possiamo quindi distinguere una fonologia lessicale (della parola o della frase) ed una fonologia postlessicale (che studia fattori quali il ritmo o l’intonazione). Il fatto che molte caratteristiche considerate segmentali abbiano invece una loro autonomia ha determinato il passaggio da un sistema con un unico livello di rappresentazione ad uno con più livelli in parte autonomi (detti perciò autosegmentali). La fonologia studia la rappresentazione mentale o psicologica dei suoni linguistici (materiale segmentale: vocali e consonanti) e degli elementi sonori che vengono usati in modo sistematico nelle lingue per comunicare significati (es. accento e tono). Fonetica Mentre la fonologia studia l’aspetto mentale dei suoni, la fonetica si occupa dello studio fisico dei suoni: la fonetica è quel settore della linguistica che studia le caratteristiche fisiche dei suoni usati nelle lingue naturali. Tutte le lingue usano un sottoinsieme dei foni possibili ed impongono restrizioni - date dal contesto - sull’occorrenza dei foni; nessuna lingua usa alcuni possibili suoni come ‘suoni linguistici’ (ossia foni; ad esempio lo sbattere dei denti). Palallelamente, alcuni suoni sono molto più frequenti di altri (tra le consonanti t, ed in genere t/k/p, tra le vocali a). La fonetica studia come vengono prodotti, trasmessi e percepiti i suoni del linguaggio; si distingue quindi tra: - fonetica articolatoria, che studia come l’apparato fonatorio viene usato per la produzione di suoni linguistici; - fonetica acustica, che analizza le caratteristiche acustiche dell’onda sonora che trasmette il messaggio; - fonetica uditivo-percettiva, che definisce la percezione dei suoni; studia come il segnale che arriva all’orecchio viene elaborato e decodificato dall’ascoltatore. Mentre la fonologia tratta elementi mentali discreti, la fonetica analizza elementi fisici continui. E’ chiaro che esiste un rapporto stretto tra le due scienze, perché le distinzioni facenti parte della competenza fonologica hanno necessariamente dei correlati fisici. Il settore della fonologia in cui il rapporto tra le due discipline è stato più evidente è la teoria dei tratti distintivi: tutti i suoni linguistici possono essere organizzati in classi naturali sulla base di caratteristiche fonetiche comuni, cioè della similarità nel modo di produrli o di percepirli (ad esempio esiste una classe di suoni nasali e una classe di suoni non nasali, una distinzione fonetica che può diventare anche fonologica). Nei primi studi di fonologia si pensava che, mentre un sistema fonologico è, almeno parzialmente, specifico di una lingua, la fonetica fosse universale. Si è scoperto invece che anche in fonetica, accanto a regole universali, esistono regole specifiche di una lingua, facenti parte di una grammatica particolare. L’IPA e l’ambiguità dei sistemi di trascrizione tradizionali Elenchiamo alcuni problemi che si riscontrano con l’alfabeto italiano utilizzato come sistema di trascrizione fonetica: - talvolta, una stessa lettera rappresenta due foni (o anche fonemi) diversi in parole diverse: stella vs medico casa vs cima gatto vs giostra - talvolta, due lettere diverse rappresentano lo stesso fono/fonema in parole diverse: quale vs scuola gara vs ghiro - talvolta, una sequenza di lettere rappresenta un solo fono/fonema: scivolo, meglio, ragno, chiostro, ghiotto (viceversa, x è una lettera singola ma rappresenta una sequenza di due foni/fonemi: xilofono) - vi sono lettere che non corrispondono a nessun fono: chiesa, ghiera, cielo, scienza - una stessa lettera può talvolta rappresentare foni diversi per parlanti diversi: ad esempio, la s di casa rappresenta foni diversi per un parlante veneto e un parlante napoletano. - l’alfabeto italiano manca di simboli che possano rappresentare foni assenti dall’italiano (per es., la r francese, la h tedesca, la u giapponese). - anche nell’ambito delle lingue che usano l’alfabeto latino, si usano spesso lettere diverse per trascrivere lo stesso fono/fonema (ad es. c nell’inglese cinnamon rappresenta lo stesso fono di s nell’italiano signore), e, ancora più spesso, la stessa lettera può rappresentare foni/fonemi diversi in lingue diverse (la h in italiano, tedesco, inglese) Per ovviare alle ambiguità ed ai problemi posti dalle grafie alfabetiche convenzionali, i linguisti hanno adottato varie forme di trascrizione fonetica in cui ci sia una relazione di corrispondenza biunivoca tra simboli e suoni: ad ogni simbolo corrisponde uno ed un solo suono e ad ogni suono uno ed un solo simbolo. L’Alfabeto Fonetico Internazionale (IPA), elaborato dalla International Phonetic Association, contiene un insieme di simboli (e diacritici) che consentono di rappresentare i foni di tutti i sistemi linguistici conosciuti; esso viene periodicamente aggiornato (l’ultima volta lo è stato nel 1996). Nell’alfabeto IPA, ciascun fono corrisponde ad un solo simbolo (st[e]lla vs m[E]dico) e ciascun simbolo corrisponde ad un solo fono (tutt’al più, certi foni vengono rappresentati dallo stesso simbolo, ma con segni diacritici diversi: es., /a/ vs. /˜a/) L’apparato fonatorio La maggior parte dei foni che produciamo viene prodotta sfruttando il flusso d’aria che fuoriesce dai polmoni durante l’espirazione (flusso polmonare egressivo, cioè diretto verso l’esterno). L’italiano usa solo questo tipo di flusso, altre lingue usano anche quello ingressivo, in cui il flusso d’aria è diretto verso l’interno. Il flusso d’aria polmonare egressivo sale dai polmoni ai bronchi alla trachea fino alla laringe; nella laringe si trova la glottide, che contiene due membrane muscolari, le corde vocali, le quali possono essere accostate/ vicine o aperte/lontane. Se sono accostate, vibrano con il passaggio dell’aria e abbiamo suoni sonori; se sono aperte, non vibrano per il passaggio dell’aria ed abbiamo suoni sordi. Lo spazio al di sopra delle corde vocali si chiama tratto vocale, che si divide a sua volta in orofaringe e cavità nasale. Le parti dell’orofaringe che vengono usate per produrre suoni si chiamano articolatori. L’ostruzione del flusso è in genere prodotta dall’ avvicinamento degli articolatori sulla superficie inferiore dell’orofaringe a quelli collocati sulla superficie superiore dell’orofaringe. Gli articolatori superiori comprendono: labbro superiore denti superiori/alveoli velo palatino (palato molle) ugola faringe (area compresa tra ugola e laringe) palato (duro) Gli articolatori inferiori comprendono: labbro inferiore diverse parti della lingua: corona (punta e lama della lingua), dorso, radice (o parte posteriore) La cavità nasale Il flusso d’aria che sale oltre la glottide può essere emesso all’esterno o attraverso la cavità orale o attraverso la cavità nasale. La direzione è determinata dalla posizione sollevata o abbassata del velo palatino; il velo può cioè trovarsi in posizione alzata, e premere contro la parete posteriore della faringe, nel qual caso l’aria uscirà soltanto attraverso la cavità orofaringea e si avranno foni orali (come [a] e [t]), oppure in posizione abbassata, nel qual caso l’aria uscirà anche attraverso la cavità nasale, e si avranno foni nasali (come [˜a] e [n]). Consonanti vs Vocali Possiamo distinguere tra due categorie principali di suoni: le consonanti e le vocali. Nel percorso dalla glottide verso l’esterno il flusso d’aria polmonare può essere libero oppure più o meno ostruito. Nel caso in cui l’aria fluisca liberamente verso l’esterno otteniamo dei suoni vocalici; nel caso invece che vi sia una qualche ostruzione – parziale o totale – del flusso da parte degli articolatori, otteniamo dei suoni consonantici. Le lingue tendono a preferire parole caratterizzate da una sequenza di articolazioni di chiusura ed apertura, cioè di consonanti e vocali; come vedremo più avanti, il tipo di sillaba più comune nelle lingue è CV, cioè quello formato da una consonante (C) e da una vocale (V). Vocali Le vocali vengono prodotte modificando la forma del cavo orofaringeo, ma senza ostruire in maniera rilevante il corso del flusso d’aria proveniente dai polmoni, cosicché il suono prodotto dalla vibrazione delle corde vocali assume risonanze distinte, ma non viene trasformato in rumore (come nel caso delle consonanti). Le vocali vengono prodotte con il dorso della lingua che avanza o arretra, e si alza ed abbassa, senza però creare una costrizione del flusso d’aria. Inoltre, il movimento della lingua può essere accompagnato da una concomitante protrusione ed arrotondamento delle labbra. Dunque, semplificando, le vocali possono essere posizionate in uno spazio tridimensionale, detto spazio vocalico, sulla base di tre parametri: - posteriorità: chiamiamo anteriori le vocali prodotte con un avanzamento del dorso verso il palato, posteriori quelle prodotte con un arretramento del dorso verso il velo, centrali quelle prodotte senza avanzamento o arretramento. - altezza: a seconda del grado di innalzamento della lingua (rispetto ad uno stadio di riposo che è più o meno centrale), possiamo distinguere tra vocali alte, medio-alte, medio-basse e basse. - arrotondamento: le vocali prodotte con una protusione/arrotondamento delle labbra si dicono arrotondate; le altre sono non arrotondate. Le vocali possono essere rappresentate distribuite in un trapezio in cui i rispettivi simboli vengono collocati nel punto corrispondente alla posizione della lingua (altezza e posteriorità) nel momento in cui esse vengono prodotte. Lo schema vocalico è il seguente: anteriore arrotondato alto y ø centrale posteriore arrotondato i u e o @ medio œ E basso O a Le vocali dell’italiano standard: a [centrale bassa non-arrotondata] fame, gare, patto - vocali anteriori e non-arrotondate: i [anteriore alta non-arrotondata] e [anteriore medio-alta non-arrotondata] E [anteriore medio-bassa non-arrotondata] mito, tifo, primo vela, neve, fede gElo, vErso, bEllo - vocali posteriori e arrotondate: u [posteriore alta arrotondata] o [posteriore medio-alta arrotondata] muro, furto, guglia gola, dorso, mostro O [posteriore medio-bassa arrotondata] foglio, mobile, coro Al grado di innalzamento, o piuttosto abbassamento, corrisponde anche un grado di maggiore o minore apertura della bocca; si parla quindi anche di vocali aperte (= basse) e chiuse (= alte). Per illustrare altre possibili combinazioni dei parametri vocalici, esamineremo anche alcune vocali che sono assenti dall’italiano standard, ma sono rappresentative per varie ragioni. y [anteriore alta arrotondata] viene prodotta con la lingua in una posizione simile a quella che assume quando si produce [i], ma con le labbra protruse (si trova per es. in tedesco dove viene trascritta con ü – über, e in francese dove viene trascritta con û - sûr) ø [anteriore media arrotondata] nel tedesco schön œ [anteriore bassa? arrotondata] nel tedesco zwölf @ [centrale media non-arrotondata] questa vocale, nota anche come schwa, è la vocale neutra, cioè il suono che si ottiene facendo vibrare le corde vocali e tenendo la lingua in posizione di riposo (semplificando, si potrebbe dire che lo schwa è il suono delle corde vocali che vibrano); per questa ragione, tende spesso trovarsi in posizioni atone: ad esempio, nell’inglese about; in tedesco e in napoletano si trova in posizione finale non accentata di parola: ted. Mitte ‘centro’, nap. jamme ‘andiamo’. [I [anteriore alta centralizzata] simile ad [i], ma prodotta con un gesto meno estremo, è dunque leggermente meno alta e meno anteriore: a noi italiani suona quasi come una [e] molto breve (ad es. in inglese beat [bi:t] vs. bit [bIt]] Vocali nasalizzate Tipicamente le vocali sono foni orali, cioè prodotti con il velo alzato che non lascia passare l’aria attraverso il naso; capita talvolta, però, che davanti ad una nasale, per un effetto di assimilazione, le vocali vengano prodotte con il velo abbassato (almeno per una porzione della loro durata), e cioè come vocali nasali o nasalizzate (rappresentate in IPA da una tilde (~) sopra il simbolo della vocale); per esempio, in un italiano parlato con forte accento veneto, canto può diventare [k˜a:Nto]. In un contesto di questo genere, la nasale, nel corso della storia della lingua, può perdersi, ma la vocale precedente ne preserva la nasalità; avremo in tal caso lo sviluppo di vocali nasalizzate come fonemi autonomi, come esistono ad esempio in francese o in portoghese. Consonanti Possiamo classificare le consonanti sulla base di tre parametri: - modo di articolazione, cioè in base al modo in cui gli articolatori producono la chiusura parziale o totale della cavità orofaringea; - luogo/punto di articolazione, cioè in base a quali articolatori producono la chiusura parziale o totale della cavità orofaringea; - sonorità, cioè in base al fatto che le corde vocali siano separate o accostate e in vibrazione durante la produzione del suono. La tabella IPA delle consonanti prodotte con aria proveniente dai polmoni riflette questa tassonomia: le righe corrispondono a diversi modi di articolazione; le colonne corrispondono a diversi luoghi di articolazione (in un rapporto “iconico” con i tipici diagrammi dell’apparato fonatorio); all’interno di ciascuna casella, il fono sordo è a sinistra, quello sonoro a destra. Forniamo una classificazione delle consonanti secondo il modo di articolazione, e all’interno di questo, secondo il luogo di articolazione. Occlusive (orali): il modo di articolazione occlusivo orale consiste in un blocco completo dell’aria in un punto del canale orale (per esempio, nel caso di [p], il blocco viene formato con le labbra); il velo è alzato, così che l’aria non può passare attraverso il naso. Le occlusive sono quindi prodotte da una occlusione completa del canale in cui passa l'aria, seguita da un'improvvisa apertura; esse sono anche dette momentanee o esplosive proprio perché producono, nel momento in cui sono pronunciate, una sorta di esplosione d'aria. occlusive bilabiali, prodotte chiudendo le labbra: sorda p padre [‘pa:dre] sonora b barca [‘barka] opera abito occlusive dentali, prodotte con la corona della lingua che va contro i denti: sorda t talpa [‘talpa] sonora d diga [‘di:ga] etico dardo occlusive velari, prodotte con il dorso della lingua che va contro il velo: sorda k canto [‘kanto] sonora g gara [‘ga:ra] icona agosto Fricative: il modo di articolazione fricativo (orale) consiste in un forte restringimento in un punto del canale orale, cosicché l’aria, costretta a passare attraverso una stretta fessura, produce un rumore di frizione. [fricative bilabiali, prodotte accostando il labbro superiore e quello inferiore: sonora ß ewe [eße]] sorda φ ape [‘a:φe]con gorgia fricative labiodentali, prodotte con il labbro inferiore accostato agli incisivi superiori: sorda f fata [‘fa:ta] sonora v vita [‘vi:ta] tifo diva [fricative interdentali, pronunciate con la punta della lingua che sporge tra i denti, o comunque con un accostamento della lingua ai denti: sorda θ think [‘θiNk] sonora ð that [ðaet]] sibilanti alveolari (equivalenti fricative di [t d]) anche se nel territorio italiano si registra una notevole variazione rispetto all’esatto luogo di articolazione: sorda s sedia [‘sEdja] sonora z isola [‘i:zola] astro mese sibilanti palatoalveolari, prodotte con avvicinamento della lamina alla zona postalveolare: sorda ∫ sciame [‘∫a:me] sonora ζ garage [ga’raζ] cuscino division [diviζon]?? fricativa glottidale sorda, si tratta del suono reso dal grafema h che si trova in tedesco o inglese in haben / have Affricate: le affricate sono occlusive la cui fase di rilascio è così lenta che finisce per suonare come la fricativa equivalente; sono perciò consonanti foneticamente complesse perché iniziano come occlusive e terminano come fricative. Si può dunque pensare alle affricate come ad un’occlusiva ed una fricativa col medesimo luogo di articolazione, prodotte in rapida sequenza, e sentite dai parlanti come un’unità fonetica (tanto che in vari sistemi ortografici possono essere indicate con un solo grafema). affricate alveolari (equivalenti affricate delle occlusive [t/d] e delle fricative [s/z]); sia la resa fonetica che la distribuzione tendono a variare molto da area ad area e perfino da parlante a parlante: sorda ts stazione [sta’tsjone] sonora dz zero [‘dzE:ro] ozio azoto razza [‘rat:sa] ‘stirpe’ razza [‘rad:za]‘tipo di pesce’ affricate palatoalveolari (equivalenti affricate delle fricative [∫ ζ]): sorda t∫ cena [‘t∫e:na] sonora dζ gelo [‘dζE:lo] aceto ragione Le sonoranti Una categoria intermedia è quella delle consonanti sonoranti. Dal punto di vista del modo di articolazione le sonoranti hanno uno statuto ambiguo, poiché sono dotate di caratteristiche vocaliche e consonantiche; esse hanno una componente vocalica costituita dalla vibrazione delle corde vocali, la stessa che si ha nelle vocali vere e proprie (per cui possono essere sonanti, cioè svolgere funzioni di vocale); questa vibrazione spontanea è un effetto fisico di un passaggio libero dell'aria in qualche punto del risonatore; sono quindi prodotte sia con una ostruzione del flusso d’aria (nella bocca) sia contemporaneamente con libero passaggio di aria (nella cavità nasale o in quella orofaringea). Si distinguono in: nasali, liquide (vibranti e laterali) e semivocali (o approssimanti). I foni liquidi e nasali possono, in quanto consonanti, essere inizio di sillaba, ma in alcune lingue (ad esempio nelle lingue slave) essi possono fungere anche da nucleo sillabico. Nasali Il modo di articolazione occlusivo nasale consiste in un blocco completo dell’aria in un punto del canale orale, ma con il velo abbassato, cosicché l’aria passa attraverso il naso (ad esempio, la [m] è come una [b] prodotta lasciando che l’aria passi attraverso la cavità nasale). Le nasali tendono ad essere sonore (le nasali sorde sono foni rari). Sulla base del luogo di articolazione, distinguiamo cinque diversi foni nasali: [m] con occlusione labiale, [M] labiodentale, [n] alveolare, [ñ] palatale, [η] velare. nasale bilabiale, equivalente nasale di [b], come in mano [‘ma:no], cima nasale labiodentale, prodotta con il labbro inferiore appoggiato agli incisivi superiori; rarissimo come fonema, esiste in certe varietà di italiano come allofono di /n/ davanti alle labiodentali [f v]: anfibio [‘aMfibjo] invece [iM’ve:t∫e] nasale alveolare, equivalente nasale di [d], come in nero [‘ne:ro], anello nasale palatale ñ, prodotta con la parte frontale del dorso della lingua contro il palato duro; viene trascritta in italiano con il grafema gn: ragno [‘rañ:o] ignoto [i’ñO:to] nasale velare, equivalente nasale di [g]; in italiano è allofono di /n/ davanti ad occlusiva velare (in banco [‘baηko]), ma è fonema indipendente in inglese (sing vs sin), tedesco (singen vs. sinnen) e in molte altre lingue (igbo, sindhi, vietnamita, coreano). Liquide Vibranti I foni plurivibranti (o trilli, sempre sonori) si ottengono facendo vibrare un articolatore (si può quasi pensare ad un trillo come ad una serie di brevissime e deboli occlusive sonore e vocali prodotte in rapidissima sequenza). Le lingue umane conoscono tre diversi tipi di trilli: [- trillo bilabiale: si ottiene facendo vibrare le labbra, come per imitare il suono di un motore o simulare brividi di freddo, ma è attestato - seppur raramente - come fono (ad es. in lingue della famiglia Bantu)] - trillo alveolare, equivalente trillato di [d], è la r tipica dell’italiano; - trillo uvulare, ottenuto facendo vibrare l’area posteriore del dorso della lingua contro l’ugola; si trova in tedesco (in rein), ma è comune anche tra gli italiani con la ‘erre moscia’. [Ricordiamo anche una monovibrante o battito (tap) alveolare, simile ad una [r] prodotta con una singola vibrazione, o una [d] brevissima e molto debole, dove la lingua arriva appena a toccare i denti o gli alveoli; si tratta della r breve e non iniziale di parola dello spagnolo (pe[R]o ‘però’ vs pe[r:]o ‘cane’) e anche di vari italiani regionali); in inglese americano è un allofono di /t d/ in certi contesti (come in city [‘sIRI]) mentre in inglese britannico è la tipica pronuncia di r tra due vocali] Laterali Il modo di articolazione laterale consiste in una chiusura nella parte mediana del cavo orale, mentre l’aria può comunque passare da uno o ambedue i lati; come le nasali e le vibranti, le laterali tendono ad essere sonore. In italiano distinguiamo: - laterale alveolare l, equivalente laterale di [d], come in lana[‘la:na], velo; - laterale palatale λ, suono piuttosto raro nelle lingue del mondo, come in raglio [‘ra:λo], figlio. Approssimanti o semivocali Le semivocali (o approssimanti) sono prodotte con una costrizione rapida e ‘aperta’, lasciando abbastanza spazio all’aria di passare senza creare un rumore di frizione; sono tipicamente sonore; possiamo pensare ad esse come a segmenti “intermedi” tra consonanti e vocali. Le semivocali sono dunque delle vocali che non si trovano nella posizione di nucleo sillabico (se sono nuclei diventano - ovviamente - delle vocali, cioè rispettivamente i/u); possono svolgere la funzione di consonante (womo, jena) o aggiungersi al nucleo formando la coda della sillaba (cawsa, bajta); possono anche, come altre consonanti, essere aggiunte all'attacco della sillaba (bwono, bjanko). Qualcuno distingue le semivocali (quelle che seguono il nucleo) dalle semiconsonanti (quelle che precedono il nucleo, e svolgono le funzioni di consonante; foneticamente producono un più forte rumore). approssimante palatale j: simile ad una fricativa palatale sonora articolata molto debolmente (questi due foni e la vocale [i] formano una sorta di continuum); si trova in italiano per es. in iodio [‘jO:djo] approssimante labiovelare w: si ottiene con una debole costrizione velare e concomitante arrotondamento delle labbra; si può pensare a questo segmento - molto comune - come ad una specie di versione ‘consonantica’ della vocale [u]; in italiano si trova, ad es., nella parola uomo [‘wO:mo]. Ostruenti e sonoranti L’insieme di tutte le consonanti escluse le sonoranti, cioè tutte le consonanti con il tratto [- sonorante], sono dette ostruenti. Mentre lo stato non marcato delle sonoranti è la sonorità, lo stato non marcato delle ostruenti è la mancanza di sonorità: la sonorità viene aggiunta alle ostruenti con un dispendio ulteriore di energia (tensione delle corde vocali per accostarle e favorire la loro vibrazione al passaggio dell'aria); la mancanza di sonorità è ottenuta nelle vocali e nelle consonanti sonoranti con un sovrappiù di energia che blocca la vibrazione delle corde vocali, che sarebbe spontanea. Distinzione in base al punto di articolazione - bilabiali: l’ostruzione o l’occlusione è data dall’avvicinamento delle labbra: occlusive [p] [b]; continue [φ] [ß]; sonoranti [m]; - labiodentali: l’ostruzione è data dalle labbra inferiori che si avvicinano ai denti superiori: continue [f] [v]; - dentali: l’ostruzione o l’occlusione avviene con la lingua sui denti o sugli alveoli: occlusive [t][d], continue [s][z], affricate [ts][dz], sonoranti [l][n] [r]; - interdentali: l’ostruzione è determinata dall’inserimento della lingua fra i denti: continue [ϑ] [δ]; - palatali: l’occlusione o l’ostruzione è data dalla lingua sulla parte centrale del palato, detta anche palato duro: continue [∫] [ζ], occlusive /c, ĵ/??, affricate [t∫] [dζ], sonoranti [λ][ñ]; - velari: l’ostruzione o occlusione è data dalla lingua sulla parte posteriore del palato, detta ‘velo palatino’: occlusive [k] [g], sonoranti [η] Distinzione in base alla sonorità - sonore, se c'è vibrazione delle corde vocali (es.: b, d, v, g); - sorde, se non c'è vibrazione delle corde vocali (es.: p, t, f, k). Si ricordi che nelle vocali e nelle sonoranti, la vibrazione è spontanea: esse sono pertanto normalmente sonore; alcune lingue ammettono però nel loro sistema vocali e sonoranti sorde. L’inventario fonologico delle lingue Si definisce fono un qualsiasi suono linguistico. Nessuna lingua utilizza tutti i foni possibili per formare parole (questo vale sia per l’insieme di foni che per l’insieme di fonemi usati in una lingua); ad esempio, l’italiano non fa uso di vocali posteriori non arrotondate, né di vocali anteriori arrotondate. Elenchiamo qui alcune rapide osservazioni relative a tendenze generali sulla natura degli inventari fonologici: - non tutti i foni, o tutte le serie di foni, sono ugualmente diffusi negli inventari fonologici delle lingue del mondo: alcuni foni, essendo difficili da percepire e/o produrre, sono più rari di altri; per esempio, le vocali anteriori arrotondate sono meno comuni delle vocali anteriori non arrotondate (probabilmente per ragioni legate alla percezione). - i foni meno comuni interlinguisticamente sono anche quelli che tendono ad occorrere in un minor numero di parole nelle lingue in cui sono presenti; per esempio, [t] e [L] sono entrambi presenti nell’inventario dell’italiano, però [t] è un fono presente nella grande maggioranza delle lingue, mentre [L] è un fono raro. - gli inventari fonologici tendono ad essere organizzati in maniera “sistematica”; per esempio, se una lingua ha occlusive labiali e dentali, ed ha un’opposizione tra un’occlusiva labiale sorda e un’occlusiva labiale sonora, è probabile che abbia anche un’opposizione tra un’occlusiva dentale sorda e un’occlusiva dentale sonora: l’italiano ha sia un’ opposizione tra una [p] e una [b], che un’opposizione tra una [t] e una [d]. Probabilmente, patterns sistematici di questo genere sono comuni perché sono il risultato di sistemi linguistici che cercano di sfruttare al massimo un numero minimo di manovre articolatorie; per esempio, per imparare a produrre un sistema che abbia [p] e [d], un bambino deve imparare a produrre occlusive sorde e sonore, e occlusive labiali e dentali; sarebbe allora uno ‘spreco’ se lo stesso sistema non sfruttasse le altre possibili combinazioni, cioè [b] (labiale e sonora) e [t] (dentale e sorda). Le lingue usano solo un sottoinsieme dei foni possibili probabilmente per due ragioni collegate: a) semplicemente, non è necessario usare tutti i foni possibili, visto che, sfruttando la proprietà della composizionalità fonetica, le lingue possono distinguere un numero enorme di parole con un numero molto limitato di foni; b) poiché la comunicazione parlata ha luogo a una grande velocità, attraverso un segnale continuo, è meglio usare un numero ridotto di foni per ridurre le possibilità di equivoco (se la mia lingua ha solo [u] ma non [W], non dovrò nemmeno pormi il problema se il fono che ho appena sentito fosse una [u] o una [W]). Fono, fonema e allofono Si è visto che esistono due livelli di rappresentazione dei segmenti: uno mentale, o fonemico, ed uno fisico, o fonetico. Ciò che lega i due livelli e rende conto delle differenze sono i fenomeni fonologici. Si definisce fono un qualsiasi suono linguistico; si indica con un simbolo fonetico racchiuso tra parentesi quadre [ ] Si definisce fonema la rappresentazione mentale di un fono che abbia una funzione distintiva all’interno di un determinato sistema fonologico, che consenta cioè di ‘distinguere’ il significato di una parola da un’altra. I fonemi vengono rappresentati da un simbolo dell’alfabeto fonetico racchiuso tra barre diagonali / /. I fonemi non sono quindi dei suoni, ma la rappresentazione astratta di un suono; le manifestazioni fisiche di un fonema sono i foni: ciascun fonema corrisponde infatti ad almeno un fono usato dalla lingua in questione. I fonemi sono dunque le unità minime che vengono utilizzate da una lingua per distinguere una parola dall’altra, cioè unità fonetiche con funzione distintiva. Tale funzione distintiva dei fonemi è testimoniata dalla presenza di coppie minime, cioè coppie di parole che si distinguono per un unico segmento collocato nella stessa posizione; ad esempio, i fonemi /v/ e /r/, cioè le unità distintive che ci permettono di distinguere tra loro le parole vado e rado, corrispondono ai foni [v] e [r]; analogamente per va[d]o/va[g]o ma non per [r]amo/[R]amo, il che dimostra che la differenza di articolazione non è rilevante. In alcuni contesti è possibile che una opposizione distintiva tra due fonemi si annulli: ad esempio, l’opposizione distintiva tra o chiusa e o aperta si ha in italiano solo in sillaba tonica ( [botte] vs [bOtte] ), mentre in sillaba atona si ha solamente la o chiusa. Questo è dovuto ad una proprietà fonetica della vocale aperta, che essendo rilassata è più instabile; quella chiusa, essendo tesa, è invece più stabile dal punto di vista articolatorio. Può accadere tuttavia che uno stesso fonema abbia manifestazioni fonetiche diverse, ossia corrisponda a foni diversi (ma foneticamente simili) in contesti diversi; tali foni vengono definiti allofoni. Gli allofoni corrispondono allo stesso fonema, cioè alla stessa unità distintiva, poiché i parlanti della lingua in questione non sentono tali foni come entità indipendenti, ma appunto come manifestazioni leggermente diverse della stessa unità. Gli allofoni di uno stesso fonema non sono in opposizione distintiva, dato che hanno distribuzione complementare, cioè la loro occorrenza è predicibile in base al contesto. Ad esempio, la cosiddetta r moscia (vibrante uvulare) non è un fonema, ma un allofono di /r/ proprio di alcuni parlanti, perché non associamo significati diversi alla parola ramo pronunciata con la vibrante uvulare o alveolare. In italiano sembrano esistere tre fonemi nasali (m, n, gn) come rivelano le tre seguenti coppie minime: [m]ano vs [n]ano le[n]a vs le[ñ]a ra[m]o vs ra[ñ]o In realtà esistono anche altri due foni nasali, la nasale velare [η] e la nasale labiodentale [M]; la loro distribuzione è però predicibile, in quanto la prima si trova solo davanti a consonanti velari, la seconda solo davanti a consonanti labiodentali: ba[η]co fa[η]go a[M]fibio i[M]vidia Questi due segmenti non hanno valore distintivo perché la loro occorrenza è predicibile dal contesto; quando un elemento fonetico è predicibile dal contesto fonetico non è distintivo. Non abbiamo perciò a che fare con dei fonemi nasali ma con due allofoni del fonema /n /; esse sono in distribuzione complementare con il fono [n], in quanto la presenza di un segmento preclude la presenza dell’altro. Quindi il fonema /n/ avrà tre diverse manifestazioni fonetiche negli allofoni [M] (davanti a fricative labiodentali), [η] (davanti ad occlusive velari), [n] (in tutti gli altri contesti). Si noti però il seguente problema: visto che anche /m/ non può capitare davanti a /f v/ o /k g/, perché diciamo che [M] e [η] sono allofoni di /n/ e non di /m/? Per [η] si può sostenere che, siccome al nostro orecchio suona più simile a /n/ che ad /m/, è legittimo classificarla come un allofono di /n/; ma [M] suona semmai più come una /m/ che come una /n/; bisognerebbe allora dire che [M] è un allofono di /m/, e che /n/ semplicemente non capita mai davanti a /f v/? D’altronde, in alcuni contesti osserviamo una [M] dove solitamente troviamo una /n/, il che suggerisce un legame tra questi due foni (per esempio, la /n/ di in può diventare [M] davanti a una parola che comincia con una labiodentale: i[M] fretta (soprattutto se detto velocemente). Anche se l’idea di allofonia è spesso utile a capire come è strutturato il sistema di foni di un linguaggio, si tratta di una nozione non priva di problemi; a rigor di termini, dovremmo forse anche includere un allofono dentale, che capita davanti alle dentali, ed un allofono postalveolare, che capita davanti alle postalveolari. Gli allofoni di /s/ in italiano In italiano standard settentrionale, meridionale e in gran parte delle varietà centrali, le fricative alveolari [s]/[z] sono allofoni dello stesso fonema /s/, in distribuzione complementare. La distribuzione dei due allofoni è diversa tra nord e centro/sud in posizione intervocalica: mentre nel nord il fonema /s/ viene prodotto come [z] tra due vocali ([‘kaza]), nel centro/sud esso viene prodotto come [s] ([‘kasa]). Il fonema /s/ viene prodotto invece come [z] davanti a consonante sonora ([z]baglio, [z]gomento, [z]legare]). In tutti gli altri contesti il fonema /s/ viene prodotto come [s]: all’inizio parola [‘santo], in posizione post-consonantca [polso], come consonante lunga [nesso], a fine parola [autobus]). Se distinguete tra chie[s]e ‘domandò’ e chie[z]e ‘luoghi di culto’ parlate una varietà in cui i due foni formano ancora fonemi distinti. Si noti come la distinzione tra [s] e [z] sia una distinzione tra fonemi in altre lingue, come l’inglese (per es. ice [aIs] vs. eyes [aIz]); è tipico, per gli italiani che parlano inglese, applicare, erroneamente, la distribuzione italiana di [s] e [z] a parole inglesi – per es. dire [z]low invece che [s]low. I tratti distintivi binari Si è detto che i suoni che compongono una stringa sono foneticamente continui ma fonologicamente discreti; la divisione delle parole in segmenti (vocali e consonanti) è basata sull’assunto di una rappresentazione in cui il suono linguistico viene scomposto in una sequenza di blocchi discreti, una astrazione dal continuum fisico. I segmenti non sono però dei primitivi, ma possono essere scomposti e derivati da un insieme di diverse proprietà, dette tratti; la nostra rappresentazione mentale dei segmenti è costituita da un fascio di tratti basato su proprietà articolatorie dei suoni. I tratti distintivi sono delle caratteristiche fisiche fondamentali e non ulteriormente scomponibili dei foni. Ogni segmento viene specificato con un fascio o insieme di tratti costituito da tutti i tratti necessari e sufficienti a renderlo individuabile in modo non ambiguo. I tratti hanno due funzioni principali: a) funzione composizionale: specificare le caratteristiche che simultaneamente formano un singolo evento articolatorio; descrivere ogni fono come fascio di tratti, cioè isolare una simultaneità di eventi nel continuum del messaggio sonoro; b) funzione classificatoria: definire classi naturali di suoni, cioè raggruppare i segmenti in classi naturali, ossia in gruppi di segmenti che condividono uno o più tratti in comune; una classe comprenderà tutti e solo i suoni che condividono un certo tratto. [Due o più segmenti fanno parte di una classe naturale se la specificazione della classe richiede un numero di tratti inferiore alla specificazione di uno dei segmenti.] c) funzione restrittiva: determinare le restrizioni fonotattiche tipiche di una determinata lingua. Spesso, i fenomeni fonologici di una lingua non riguardano singoli foni, ma insiemi di foni che hanno caratteristiche fonetiche simili; i fenomeni fonologici si applicano cioè sempre a segmenti che condividono dei tratti. Definiamo dunque come classe naturale un insieme di foni che hanno una o più proprietà fonetiche in comune. Per esempio, le occlusive formano una classe naturale, perché sono tutti foni che hanno lo stesso modo di articolazione; anche i foni sonori formano una classe naturale; le occlusive sonore formano un’altra classe naturale (in questo caso, definita da due caratteristiche fonetiche - si tratta dunque dell’intersezione tra gli insiemi definiti dalle due classi appena menzionate). Oltre a limitare l’insieme di foni/fonemi che possono venire usati, le lingue restringono anche i contesti in cui tali foni/fonemi possono venire utilizzati. I tratti esprimono anche le restrizioni fonotattiche dei sistemi fonologici, che stabiliscono quali segmenti possono combinarsi tra di loro e quali no, cioè quali sono le possibili sequenze di suoni, dato un repertorio segmentale; si tratta di restrizioni sulla distribuzione di un fono/fonema o di una classe di foni/fonemi (nel senso che regolano le possibili combinazioni di foni/fonemi, come la sintassi regola le possibili combinazioni di parole). Ad esempio in italiano [t] non può occorrere davanti a [p] (cioè, [tpa] non è una parola possibile dell’italiano); in realtà, possiamo generalizzare questa restrizione alla classe naturale delle occlusive; la restrizione in questione può essere formulata così: in italiano, un’occlusiva non può essere seguita da un’altra occlusiva (non solo [tp] non è una sequenza possibile, non lo sono nemmeno [td], [kd], [bk], ecc.); questa impossibilità è il prodotto di una restrizione più generale dell’italiano, che vieta nessi (cioè sequenze) di occlusive. Eccezioni: prestiti o vocabolario colto di origine latina o greca (optare, cleptomane). La [η] velare si trova davanti a [k] [g], unici fonemi consonantici velari. Ad esempio in italiano in fine di sillaba non si possono avere tutte le consonanti, ma solo liquide e nasali (l/r/n/m) o consonanti geminate (tra le quali rientrano anche gl e gn); il tratto che accomuna liquide e nasali è quello di sonorante. A quale scopo le lingue impongono restrizioni fonotattiche? Tali restrizioni sono tipicamente motivate da fattori di tipo articolatorio o acustico-percettivo; le restrizioni fonotattiche, tipicamente, non proibiscono sequenze a caso: nelle lingue troviamo per lo più restrizioni piuttosto simili. Per esempio, molte altre lingue (dal giapponese alle lingue polinesiane) proibiscono sequenze di occlusive, proprio come l’italiano; è probabile che i nessi di occlusive tendano ad essere sfavoriti perché un’occlusiva immediatamente seguita da un’altra occlusiva è difficile da percepire (atpa suona quasi come appa). Visto che il parlato è caratterizzato da un continuum in cui i foni sono trasmessi a velocità estremamente elevata, le lingue impongono restrizioni fonotattiche per minimizzare il rischio di errori nella comunicazione, sfavorendo sequenze poco felici dal punto di vista articolatorio o acustico (e comunque restringendo il numero di ipotesi che il ricevente del messaggio deve considerare: se ho appena sentito una [t], posso escludere che il prossimo fono sarà una [p]). E’ importante osservare che in linea di massima le restrizioni fonotattiche, seppur comuni interlinguisticamente, non sono universali - per esempio, ci sono lingue (il latino, l’inglese, il tedesco, il berbero) che permettono almeno alcuni dei nessi di occlusive che non sono permessi dall’italiano, oppure delle occlusive in fine di parola, ciò che non è ammesso in italiano. [Ma se le restrizioni sono motivate da vincoli di tipo articolatorio ed acustico, perché non sono universali? Si tratta di un problema complesso, ma probabilmente la risposta dipende, più o meno direttamente, dai due seguenti fattori: (a) i vincoli fonetici possono essere in contrasto tra loro (e anche con altre esigenze di natura linguistica o meno) e lingue diverse possono trovare dei compromessi diversi tra spinte tra loro in contrasto; (b) vari fattori più o meno fortuiti (di tipo storico, sociologico e geopolitico) fanno sì che le lingue, come qualsiasi prodotto dell’ evoluzione naturale, non convergano verso un sistema perfetto (per es., dal punto di vista delle restrizioni fonotattiche, ma lo stesso discorso vale probabilmente anche in altri domini).] Binarietà e marcatezza Nel momento in cui si passa dalla fonetica alla fonologia, le caratteristiche articolatorie vengono tradotte in caratteristiche più astratte e formali, sotto forma di tratti fonologici distintivi binari; tali tratti sono considerati come presenti o assenti, non graduati; si assume cioè che i tratti distintivi siano organizzati in modo binario, ossia con due soli valori possibili, il valore positivo + o il valore negativo -, a seconda che una data caratteristica sia presente o assente nell’articolazione di un dato suono. La binarietà non è però presente a livello fonetico, ma dipende dalla nostra rapresentazione mentale dei suoni. Il valore positivo rispetto ad un certo tratto distintivo viene detto marcato, quello negativo non marcato. Anche i segmenti possono essere più o meno marcati: nei processi di neutralizzazione i segmenti non marcati tendono a sopravvivere. La relativa marcatezza dei segmenti e dei valori di un tratto è stabilita universalmente in base a diversi fattori, tra cui: - frequenza della distribuzione: i suoni non marcati sono più frequenti di quelli marcati; - la presenza in diversi sistemi fonologici: i suoni non marcati sono i più diffusi nei sistemi fonologici del mondo; - il processo di acquisizione linguistica: i suoni non marcati sono i primi ad essere acquisiti nello sviluppo linguistico. Se in una data lingua esiste un segmento marcato per un certo tratto, è molto probabile che esista anche il corrispondente non marcato, ma non viceversa. 1. Tratti principali Questi tratti definiscono le più importanti classi naturali di suoni per la descrizione dei fenomeni fonologici delle lingue naturali. [+/- sillabico]: i suoni [+sillabici] costituiscono il nucleo di una sillaba [+ sillabico] > vocali [-sillabico] > consonanti, approssimanti [+/- consonantico]: i suoni [+ consonantici] sono prodotti con un maggiore restringimento nella parte centrale dell’apparato vocale [+ consonantico] > consonanti [- consonantico] > vocali, approssimanti I due tratti sono combinabili, anche se non in italiano: ci sono consonanti che possono fungere da nucleo di sillaba (bottle nell’inglese americano) vocali sillabico + consonantico - consonanti approssimanti - + - Dato che il nucleo sillabico è unico, cioè non si possono avere due nuclei nella stessa sillaba, quando due vocali sono adiacenti ci sono due possibilità: - si trovano su due sillabe diverse per cui si ha uno iato; - una delle due diventa una semivocale dando origine ad un dittongo. In italiano i dittonghi si formano solamente con le approssimanti j e w, connesse alle vocali alte i e u. La approssimante può trovarsi prima o dopo la vocale; si hanno quindi due possibili tipi di dittonghi: - ascendenti, con la approssimante prima della vocale jV/wV: [pjano] [twono] - discendenti, con la approssimante dopo la vocale Vj/Vw: [maj] [fewdo] Quando un nucleo vocalico ha una approssimante che lo precede e una che lo segue si ha un trittongo: [vwoj] [pwoj] [twoj] [mjej] Quando due vocali che non siano né i né u sono adiacenti, si ha sempre uno iato, dato che nessuna delle due vocali si può trasformare in una semivocale: paese, meteora, teatro. [+/- sonorante]: i suoni [+ sonoranti] sono prodotti con una apertura dell’apparato vocale tale da permettere che la pressione dell’aria all’ interno della cavità orale sia simile a quella esterna [+ sonorante] > vocali, approssimanti, liquide (vibranti e laterali) e nasali [– sonorante] > ostruenti 2. Modificazioni del flusso di aria nella glottide [+/- sonoro]: i suoni [+ sonori] sono prodotti con le corde vocali ravvicinate e messe in vibrazione dal flusso dell’aria; i suoni [- sonori] sono prodotti con le corde vocali separate che non vibrano con il flusso dell’aria. [+ sonoro] > sonoranti ed alcune delle ostruenti (il tratto sarà dunque rilevante per le ostruenti ma non per le sonoranti) [+/- glottide allargata]: i suoni [+ glottide allargata] sono prodotti con uno spostamento delle cartilagini che produce una maggiore apertura glottidale [+ glottide allargata] > non esistono suoni di questo tipo in italiano; sono le consonanti aspirate, i sussurri, bisbigli e mormorii, le vocali/semivocali sorde (ahead, haben) [ad esempio nelle occlusive aspirate, il rilascio dell’occlusione può essere non immediato (come in italiano), ma più lento, nel qual caso sentiamo un “soffio d’aria” che segue la consonante (le occlusive aspirate vengono trascritte con una [h] dopo il simbolo dell’occlusiva): inglese top [‘thOp], o nel tedesco Rat [‘öath]] [+/- glottide compressa]: i suoni glottidalizzati sono prodotti con la pressione delle corde vocali l’una contro l’altra impedendo una normale vibrazione [+ glottide compressa] > non esistono suoni di questo tipo in italiano; sono le consonanti eiettive, implosive, glottidalizzate e laringalizzate, le vocali e semivocali glottidalizzate [ad esempio le occlusive glottidali, in cui viene prodotto un colpo di glottide con una chiusura (e seguente riapertura) delle corde vocali; lo si trova in tedesco davanti ad ogni parola che comincia per vocale, e in italiano quando sia necessario separare due vocali in contatto o anche in esclamazioni, ma in alcune lingue (come il tailandese) è un fonema: Ho detto le [] elezioni, non le lezioni boh] [+/- corde vocali rigide]: i suoni [+ corde vocali rigide] sono prodotti con le corde vocali tese [+ corde vocali rigide] > ostruenti sorde (eiettive sorde, vocali glottidalizzate) p/t/k/f/s/S/ts/tS [+/- corde vocali allentate]: i suoni [+ corde vocali allentate] sono prodotti con le corde vocali allentate [+ corde vocali allentate] > ostruenti sonore (ostruenti sussurrate o laringalizzate, vocali stridule) b/d/g/v/z/Z/dz/dZ 3. Cavità nasale e cavità orale [+/- nasale]: i suoni [+ nasali] sono prodotti con un abbassamento del velo che permette all’aria di fluire attraverso la cavità nasale [+ nasale] > consonanti nasali, tutti i suoni nasalizzati (incluse le vocali nasalizzate) 4. Modo di articolazione Questi tratti si riferiscono alle modificazioni che il flusso d’aria subisce nel percorso dai polmoni verso l’esterno. [[+/- teso]: i suoni [+ tesi] sono prodotti con una compressione del corpo o radice della lingua (es. r dell’italiano)] [+/- continuo]: i suoni [+ continui] sono prodotti con una costrizione della cavità orale che permette all’aria di fluire verso l’esterno [+ continuo] > vocali, approssimanti, liquide, fricative (non le nasali, perché l’aria fluisce dalla cavità nasale) (f versus t) [+/- rilascio ritardato]: i suoni [+ rilascio ritardato] sono caratterizzati dalla presenza di due fasi successive, una prima in cui l’aria è trattenuta nella cavità orale, una seconda in cui è rilasciata [+ rilascio ritardato] > consonanti affricate ts/dz/tS/dZ [+/- laterale]: nella produzione dei suoni [+ laterali] il flusso d’aria è impedito nella zona centrale della cavità orale, ma non ai lati [+ laterale] > consonanti laterali [l] [λ] [+/- stridulo]: nella produzione dei suoni [+ striduli] l’aria è costretta tra due superfici ravvicinate provocando un flusso di aria turbolento [+ stridulo] > fricative f/v/s/z/S/Z ed affricate ts/dz/tS/dZ [[+/- distribuito]: i suoni [+ distribuiti] sono prodotti con una ostruzione che si estende notevolmente sull’asse longitudinale mediale dell’apparato vocale; vi è una grande superficie di contatto tra gli organi articolatori (usato ad esempio per distinguere [m] [-distribuito] da [M] [+distribuito])] 5. Punto di articolazione Questi tratti si riferiscono al punto in cui avviene il contatto o l’avvicinamento che provoca la massima costrizione dell’aria. [+/- coronale]: i suoni [+ coronali] sono prodotti con la parte anteriore (corona) della lingua alzata rispetto alla posizione neutrale (t/d nella zona dentale – l/r nella zona alveolare – tS/dZ nella zona alveopalatale) [+/- anteriore]: i suoni [+ anteriori] sono prodotti con una costrizione nella regione alveolare davanti ad essa [+anteriore] > occlusive bilabiali p/b, occlusive dentali t/d, fricative labiodentali f/v ed alveolari s/z, affricate alveolari ts/dz, nasale bilabiale m ed alveolare n, laterale e vibrante alveolare l/r coronale anteriore p bilabiale + t dentale + + tS palatale + - k velare - 6. Tratti vocalici [+/- alto]: i suoni [+ alti] sono prodotti alzando il corpo della lingua dalla posizione di riposo [i] [u] [+/- basso]: i suoni [+ bassi] sono prodotti abbassando il corpo della lingua dalla posizione di riposo [E] [O] [a] [+/- posteriore]: i suoni [+ posteriori] sono prodotti ritraendo il corpo della lingua dalla posizione di riposo [u] [o] [O] [a] [+/- arrotondato]: i suoni [+ arrotondati] sono prodotti con le labbra protese in avanti, anziché con le labbra distese [u] [o] [O] [w] [[+/- radice avanzata]: i suoni [ATR] sono prodotti con la radice della lingua spostata in avanti e con un movimento verso l’alto del corpo della lingua] Per la matrice dei tratti delle consonanti dell’italiano si veda il manuale a pag. 61; per la matrice dei tratti delle vocali si può considerare la seguente (che non concorda con quella del manuale). Per differenziare tra segmenti che non hanno valore binario bisogna inserire altre distinzioni (parte alta, parte bassa, parte anteriore del palato, parte posteriore, tensione, arrotondamento delle labbra); le vocali dell’italiano sono quindi definite sulla base dei seguenti tratti: alto basso posteriore teso (arrotondato) a e E i u o O + - + - - + - + + + + + + + + [-posteriore] [-arrotondato] [+alto] + teso ⎨ - teso [-alto][-basso] + teso ⎨ - teso [+basso] [+posteriore] [+arrotondato] i u e o O E a L’unica vocale bassa è la a: ci sono dei vantaggi ad ipotizzare che la a sia l’unica vocale definita da un tratto autonomo (ad esempio è l’unica vocale che non cade nei dialetti gallo italici e in francese). La distinzione tra e aperta e chiusa e o aperta e chiusa non è una differenza di altezza ma una differenza di tensione muscolare. In italiano, le vocali posteriori (O, o, u) sono accompagnate dall' arrotondamento o protrusione delle labbra, sono cioè [+posteriore], [+arrotondato]; invece, le vocali anteriori (ε, e, i) non sono mai arrotondate in italiano, cioè sono [-posteriore], [-arrotondato]; il tratto di arrotondamento è sempre associato alle vocali posteriori, quindi è fonologicamente ridondante ai fini della loro definizione. Il sistema vocalico di tipo italiano non ha perciò bisogno di specificare di una vocale [-posteriore] se essa è [+arrotondata] o [-arrotondata], dato che le anteriori (cioè [-posteriori]) sono sempre [-arrotondate] e le [+posteriori] sono sempre [+arrotondate]. In molte lingue e dialetti esistono però vocali anteriori arrotondate (abbiamo visto y/ø/œ) e, parallelamente, vi sono lingue con vocali posteriori non arrotondate (come la vocale rumena indicata nella grafia rumena con û, î). Nelle lingue con vocali anteriori arrotondate o con vocali posteriori non arrotondate, il tratto non è ridondante e andrà sempre specificato. Esistono anche vocali alte più o meno tese, o vocali basse anteriori o posteriori; diremo allora che å a æ sono la classe delle vocali individuate dal tratto [+basso]; tutte le altre vocali saranno [-basso]. Le vocali i e E æ in italiano costituiscono la classe delle vocali [-posteriore], che in italiano individua tutte e solo queste vocali. La distintività di un certo tratto varia in base alle lingue. Variazione libera Due allofoni si dicono in variazione libera quando la loro distribuzione non è sottoposta ad alcuna regola, ma possono comparire indifferentemente senza alcun cambio di significato. Ci sono diversi casi di varianti libere in italiano: uno è quello del fonema /r/ che può essere pronunciato in diverse varianti da parlanti diversi (alveolare vs uvulare), ma questo non cambia il significato della parola nella quale il fonema si trova; il fonema ha quindi varie realizzazioni che si distribuiscono liberamente senza che per questo la nostra rappresentazione mentale di esso sia diversa. Si possono anche dare casi di varianti libere all’interno dello stesso parlante: ad esempio alcuni parlanti possono pronunciare la parola perla con la e aperta o chiusa indifferentemente; spesso queste distinzioni non sono collegate a distinzioni linguistiche ma sociolinguistiche, cioè il parlante usa una forma che può appartenere ad un livello stilistico più o meno alto. Tratti soprasegmentali Analizzeremo qui brevemente le caratteristiche soprasegmentali dei foni, cioè quelle proprietà dei foni che riguardano il loro grado di prominenza rispetto ai foni circostanti, piuttosto che essere proprietà intrinseche dei foni in questione. Nello studio dei fenomeni soprasegmentali, è particolarmente difficile separare l’analisi fonologica (cioè l’analisi di come le caratteristiche soprasegmentali vengono usate ai fini della comunicazione linguistica) dall’analisi fonetica (cioè lo studio dei meccanismi articolatori e percettivi attraverso i quali le caratteristiche soprasegmentali si manifestano). Le tre manifestazioni fonetiche dei tratti soprasegmentali Il livello di prominenza di un fono o di un gruppo di foni si manifesta tramite tre meccanismi articolatori, con corrispondenti manifestazioni acustiche: - durata: l’articolazione di un fono può essere eseguita più lentamente, così che il fono avrà un’estensione temporale maggiore di quella che ha solitamente; - intensità: un fono può venir prodotto con una maggiore quantità di aria espirata dai polmoni rispetto ai foni limitrofi; la manifestazione acustica dell’intensità consiste in un aumento del volume di suono rispetto ai foni circostanti; - tonalità: le corde vocali possono vibrare più o meno velocemente, creando foni sonori con una tonalità più alta o più bassa. Accento In numerose lingue, gran parte delle parole hanno un accento, cioè un singolo fono (tipicamente, una vocale) viene percepito come quello che ha maggiore prominenza nell’intera parola. Per esempio, gli italiani sentono la prima [a] di papa [‘papa] come la più prominente, cioè come la vocale accentata; viceversa, in papà [pa’pa] è la seconda vocale ad essere accentata. L’accento può essere rappresentato o con un trattino obliquo sulla vocale accentata, o con un trattino verticale posto immediatamente prima della sillaba o della vocale accentata; noi lo indicheremo con il trattino prima della sillaba. L’accento può avere una funzione demarcativa, cioè la funzione di aiutarci a identificare dove finisce una parola e dove ne inizia un’altra nel continuum del segnale acustico (nel parlato, non ci sono pause in corrispondenza degli spazi bianchi dello scritto); la funzione demarcativa dell’accento è particolarmente chiara in lingue con accento fisso, cioè in lingue in cui l’accento cade sempre sulla stessa vocale (per es., sempre sulla prima vocale in polacco, sempre sull’ultima vocale in francese). Per esempio, [Mattys et al. 1999] hanno mostrato sperimentalmente che i bambini inglesi di nove mesi usano la posizione dell’accento (oltre ad altri indizi) per stabilire dove inizia una nuova parola. In altre lingue, la posizione dell’accento non è fissa, ma è pur sempre predicibile sulla base di una serie di regole (per es. in latino). Dal punto di vista fonetico, la prominenza della vocale accentata può manifestarsi in diversi modi; l’accento non corrisponde cioè ad una unica caratteristica fisica ma all’insieme di tre caratteristiche : - intensità: una sillaba accentata è più forte di una sillaba non accentata, cioè pronunciata con maggiore intensità nell’emissione del flusso d’aria; - lunghezza: una sillaba accentata dura più a lungo di una non accentata; - altezza tonale: una sillaba accentata ha una maggiore altezza tonale, cioè le corde vocali vibrano con maggiore frequenza. Il modo in cui questi tre fattori contribuiscono all’accento varia entro certi limiti da lingua a lingua; in italiano i principali correlati fisici della vocale accentata sono la lunghezza e l’intensità, mentre in altre lingue prevale l’altezza tonale, mentre in altre lingue, come il giapponese e lo svedese, la vocale accentata è caratterizzata da una variazione in altezza rispetto ai segmenti circostanti; in svedese ci sono anche casi in cui una variazione in altezza tonale risulta distintiva. Si distinguono perciò due tipi di accento: - accento dinamico (dell’italiano), in cui l’altezza tonale non è rilevante; - accento musicale, avente come correlato fonetico principale l’altezza tonale. In alcune lingue, come l’italiano (o l’inglese, il tedesco, il giapponese), l’accento può avere funzione distintiva, mentre in altre la sua posizione è predicibile e quindi non è distintiva: méta metà àncora ancòra prìncipi princìpi pàpa papà parlo parlò Tuttavia, anche in italiano i casi in cui l’accento ha funzione distintiva sono piuttosto rari, e per lo più l’accento tende a cadere sulla penultima vocale. In una lista di 8857 parole italiane foneticamente trascritte (gentilmente fornitami da Piero Cosi del CNR per la Fonetica di Padova) ho trovato che ben 7160 parole (più dell’80%) hanno l’accento sulla penultima sillaba. Dunque, anche in lingue in cui l’accento svolge occasionalmente una funzione distintiva, esso può svolgere al contempo una funzione demarcativa. Dobbiamo inoltre distinguere tra accento primario e accenti secondari, cioè accenti di sillabe meno prominenti di quelle con accento primario ma più prominenti di quelle atone: ’’mara’tona ’’trasforma’zione ’’serena’mente ’’complemen’tare ’’aggiusta’mento In un enunciato, tra le sillabe portatrici di accento alcune sono più prominenti di altre; i diversi gradi di accentuazione di un enunciato costituiscono il contorno ritmico: dovéva andArci il mése prOssimo le segretArie avrànno spedIto la lEttera i vòstri amIci avévano telefonAto da témpo Lunghezza/durata I sistemi linguistici possono sfruttare la distinzione tra foni di durata “normale” e foni prodotti con una durata maggiore, cioè l’opposizione di lunghezza tra foni brevi e foni lunghi. Tipicamente, si rappresentano nella trascrizione solo i foni lunghi, che nella tradizione IPA vengono marcati dal crono (consistente in due punti [:]) posto alla destra del simbolo del fono. Se un fono non è esplicitamente marcato come lungo, vuol dire che è breve. La lunghezza è una caratteristica fonetica soprasegmentale che può avere valore distintivo; per esempio, l’italiano ha una distinzione tra consonanti lunghe (dette anche geminate) e consonanti brevi; la lunghezza consonantica in italiano ha valore distintivo: pala palla papa pappa fata fatta fato fatto fumo fummo Tuttavia, i seguenti foni consonantici non permettono un contrasto di lunghezza in italiano, nel senso che sono sempre lunghi in posizione intervocalica [ts dz S ñ gl], ma non ad esempio in inizio di parola. Si noti che in lingue come l’inglese o il tedesco non c’è una distinzione tra consonanti brevi e lunghe, anche se l’ortografia potrebbe ingannarci: per esempio, la [t] nel tedesco Mitte ‘mezzo’ non è significativamente più lunga della [t] in Miete ‘affitto’; la presenza di una geminata ortografica indica piuttosto che la vocale precedente è breve. Inoltre, in lingue quali il tedesco o il latino la lunghezza vocalica è distintiva: Stadt vs Staat (indipendentemente dalla resa grafica queste due parole si distinguono solo per la lunghezza della vocale a). latino rosa nom. vs rosa abl. In italiano invece non esiste una distinzione fonemica tra vocali lunghe e vocali brevi; la lunghezza vocalica non ha valore distintivo perché è predicibile dal contesto: le vocali accentate tendono ad essere più lunghe delle vocali non accentate; in particolare, una vocale accentata in sillaba aperta non finale di parola si allunga: ma’la:to se’re:no va’gi:to pa’ro:la pa’lu:de Per esempio, la [e] di pero è più lunga della [e] di però, e si potrebbe annotare, in una trascrizione relativamente stretta, come lunga: [‘pe:ro]. La vocale di una sillaba aperta tonica è quindi più lunga della corrispettiva vocale in sillaba chiusa o di quella in sillaba aperta ma atona. Il giapponese è un esempio di lingua dove c’è un chiaro contrasto fonologico sia tra vocali lunghe e vocali brevi che tra consonanti lunghe e consonanti brevi. Tono/Intonazione La frequenza con cui vibrano le corde vocali determina l’altezza tonale di un suono: tanto più alta la frequenza, tanto più acuto il suono. In molte lingue (forse tutte), la possibilità di variare l’altezza/tonalità dei foni sonori (cioè, da un punto di vista articolatorio, la velocità di vibrazione delle corde vocali) viene sfruttata per trasmettere informazioni di natura sintattica o pragmatica. I parlanti hanno a propria disposizione una serie di altezze tonali; in alcune lingue, dette tonali, la variazione ha valore distintivo all’interno della parola, cioè due elementi lessicali possono essere identici quanto a contenuto segmentale e differire solo per il tipo di tono associato ad una sillaba. Ciò accade nel cinese mandarino, che ha quattro toni: un tono costante (alto) e tre toni modulati (ascendente, discendente, discendenteascendente). In italiano il tono non è distintivo , ma le variazioni di altezza tonale sono utilizzate nell’intonazione per distinguere significati a livello frasale; per esempio, in italiano una frase che finisce con un andamento tonale discendente suona come una dichiarativa, mentre una frase che finisce con un andamento tonale ascendente viene interpretata come la corrispondente interrogativa sì/no (lo stesso vale per singoli sintagmi): Viene anche Luca vs Viene anche Luca? E’ partito Gianni vs E’ partito Gianni? domani vs domani? con sua sorella vs con sua sorella? La successione dei toni di un enunciato ne costituiscono il contorno intonativo o melodia. Cenni di trascrizione fonetica e fonologica Nella /trascrizione fonologica/ vanno segnate esclusivamente le informazioni distintive di significato, quindi: a) i fonemi (e non gli allofoni); b) l’accento (che in italiano può essere distintivo di significato: meta/metà, principi/princìpi, àncora/ancora); c) l’allungamento di consonanti geminate che abbiano funzione distintiva (es. di geminate distintive: caro/carro, cala/calla, fumo/fummo, cacio/caccio, mogio/moggio NB: attenzione a non inserire la i ortografica) Nella [trascrizione fonetica] vanno invece inserite anche le distinzioni allofoniche e tutti gli allungamenti fonetici sia vocalici che consonantici; le informazioni da inserire in trascrizione fonetica sono quindi: a) gli allofoni di /s/ e di /n/; b) l’accento; c) il crono in sillabe aperte accentate; d) il raddoppiamento consonantico, anche con le seguenti consonanti che sono sempre lunghe in posizione intervocalica: gn, gl, sc, ts, dz (le altre consonanti doppie vanno segnate anche in trascrizione fonologica) quindi parole come aglio, ignoto, ascia, azzerare, ozono, ramazza, ozio vanno segnate con una doppia solo in trascrizione fonetica parole come ammazzare, agnello, ascellare, taglieggiare, azzurro vanno con una doppia sia in trascrizione fonetica che fonologica per la consonante che è distintiva ma solo in trascrizione fonetica per quella che non lo è (gn, sc, gl, ts, dz) giocondo Trascrizione Fonetica Trascrizione Fonologica [dZo’kondo] /dZo’kondo/ Commento: Si veda il commento precedente per l’accento primario e il crono. Notiamo che la ‘i’ all’interno della sillaba ‘gio’ è ortografica, posta cioè per disambiguare il valore del grafema <g> che in italiano si usa per i suoni [g] e [dZ]. Il crono non va messo perché la sillaba portatrice di accento è chiusa (termina per consonante).In questo caso le due trascrizioni coincidono. languire [laη’gwi:re] /lan’gwire/ Commento: usiamo in trascrizione fonetica il fono nasale velare [ ] perché si trova davanti all’occlusiva velare sorda [g]. Il fono [ ] è un allofono (variante contestuale) del fonema /n/ che viene riportato in trascrizione fonologica. Segniamo il crono [:] per la lunghezza vocalica della vocale [a]. Ricordiamo che ogni sillaba aperta (cioè che termina per vocale, ad esempio CV, CCV ecc.) portatrice di accento primario è sempre lunga. La lunghezza vocalica non è distintiva di significato e perciò non viene segnata in trascrizione fonologica. Segniamo l’accento primario con l’apice posto in alto a sinistra della sillaba portatrice di accento: in questo caso [‘gwi:]. L’accento primario è distintivo di significato (si consideri la coppia minima meta – metà) e va segnato sempre anche in trascrizione fonologica. invece [iM’ve:tSe] /in’vetSe/ Commento: Segniamo il fono nasale labiodentale [M] perché si trova davanti alla fricativa labiodentale [v]. Anche questo è un allofono di /n/ e pertanto non si riporta in trascrizione fonologica. Il suono [tS] non è sempre lungo in posizione intervocalica, ma può esserlo creando così una coppia minima (ad esempio, cacio / caccio; micia / miccia) ignoto [i ’ O:to] /i’ Oto/ scoglio [‘skOλλo] /’skOλo/ ozono [od’dzO:no] /o’dzOno/ ramazza [ra’mattsa] /ra’matsa/ Commento: In italiano standard alcuni suoni [L, N, S, dz, ts,] sono sempre lunghi in posizione intervocalica e pertanto vanno allungati in trascrizione fonetica; la loro lunghezza non è distintiva e pertanto essa non va trascritta in trascrizione fonologica. ammazzare [ammat’tsa:re] /amma’tsare/ ascellare [aSSel’la:re] /aSel’lare/ straccio [‘stracco] /‘stracco/ Commento: si ha raddoppiamento sia in trascrizione fonetica che fonologica per la consonante che è distintiva, ma solo in trascrizione fonetica per quella che non lo è. vela – mela /v/ ela /m/ ela E’ una coppia minima perché sostituendo il fonema /v/ con il fonema /m/ otteniamo un cambio di significato poso - sposo poso s poso Non è una coppia minima perché è presente un segmento in più, /s/. pera – perla per a per l a Non è una coppia minima perché è presente un segmento in più, /l/. pala – palla pa l a pa ll a Fenomeni fonologici Si è visto che la teoria dei tratti, che individua le caratteristiche ‘atomiche’ dei foni del linguaggio, ci permette: - rispetto alla funzione composizionale, di descrivere qualsiasi fono come un fascio di tratti (che possono essere condivisi da altri foni); - rispetto alla funzione classificatoria, di determinare delle classi naturali i cui elementi hanno uno o più tratti in comune. I tratti ci servono anche per dare una adeguata descrizione dei fenomeni fonologici; questi possono infatti riguardare classi naturali di segmenti, cioè segmenti che abbiamo almeno un tratto in comune. Dato un determinato contesto segmentale, i fenomeni fonologici possono essere più o meno produttivi, nel senso che possono manifestarsi automaticamente nell’appropriato contesto fonologico oppure attivarsi solo in certi casi. Ne esamineremo alcuni proprio secondo questa prospettiva: a) assimilazione / dissimilazione b) cancellazione / inserzione c) coalescenza d) riduzione / rafforzamento e) neutralizzazione 1. Assimilazione e dissimilazione 1.1 Assimilazione Si tratta di un processo fonologico per cui un segmento assume lo stesso valore, per uno o più tratti, di un altro segmento, che può essere immediatamente adiacente o meno. Questo tipo di adattamento ha una base nella fisica articolatoria, spesso secondo una strategia di minimo sforzo; la motivazione dei fenomeni di assimilazione risiede spesso nella coarticolazione, infatti durante la produzione di un suono alcuni organi dell’apparato vocale anticipano l’articolazione di un suono che segue o prolungano l’articolazione di un suono che precede; gli organi articolatori cioè anticipano o mantengono una certa posizione per cui un segmento condivide alcuni (o tutti) i tratti con i suoi “vicini”. Esistono tre diversi tipi di assimilazione: anticipatoria, perseverativa, bidirezionale. L’assimilazione può inoltre essere parziale o totale: nel caso di assimilazione parziale si assimila solo una parte dei tratti, nel caso di assimilazione totale si assimila tutto il segmento. 1.1.1 Assimilazione anticipatoria Si verifica quando durante la produzione di un suono alcuni organi dell’apparato vocale anticipano l’articolazione di un suono che segue. Per quanto riguarda l’assimilazione anticipatoria parziale possiamo prendere ad esempio il caso della nasale omorganica già esaminato: gli allofoni di /n/ si assimilano per il punto di articolazione alla consonante che segue (velare se la consonante è velare, labiodentale se la consonante è labiodentale): antico intero vs vs [a kora] vs [i gwine] vs [a fora] [i fìdo] Altro caso è quello del fonema /s/; esso si assimila alla consonante che segue rispetto al tratto [+/- sonoro]: se questa è sorda resta sorda, se questa è sonora diventa sonora: [s]cala vs [z]gomitare [s]tato [z]degno [s]fida [z]velto [s]pina [z]baglio Un altro esempio si ha con la occlusiva velare sorda /k/ che si palatalizza quando si aggiunge il suffisso –ità; la consonante assimila il punto di articolazione alla vocale che segue, che è [+alta] [+anteriore]: elettri[k]o + ità > elettri[tS]ità prati[k]o + ità > prati[tS]ità stati[k]o + ità > stati[tS]ità I prefissi in e con danno origine a casi di assimilazione anticipatoria totale della nasale rispetto alla consonante iniziale della parola modificata, se questa è una sonorante: in+resistibile > irresistibile in+legale > illegale in+mancabile > immancabile con+regionale > corregionale con+legare > collegare con+miserare > commiserare Come possiamo affermare che si tratta di un unico prefisso che si assimila e non di tre prefissi diversi ir / il / im o cor / col /com? Vi sono due ragioni principali: - il prefisso mantiene sempre lo stesso significato in tutti i contesti; - il lessico viene notevolmente semplificato inserendo una regola secondo cui il segmento [n] del prefisso si assimila totalmente alla consonante sonorante seguente. L’assimilazione infatti non ha luogo se la consonante seguente non è sonorante, ma, per esempio, una occlusiva: in+calcolabile > incalcolabile in+trovabile > introvabile in+guaribile > inguaribile Questo ci mostra anche che la forma sottostante (cioè quella immagazzinata nel nostro lessico mentale) è in (e non im, il o ir). Nel seguente caso la consonante del prefisso in- si assimila solo parzialmente al fono iniziale dell’aggettivo e ne assume il tratto relativo al punto di articolazione (cioè la labialità): in+perdonabile > imperdonabile in+probabile > improbabile 1.1.2 Assimilazione perseverativa Si verifica quando durante la produzione di un fono alcuni organi dell’apparato vocale prolungano l’articolazione di un suono che precede. Si consideri ad esempio il morfema del plurale dell’inglese: se la consonante che precede è [+sonora] si ha [z], se la consonante che precede è [-sonora], cioè sorda, si ha [s]: fad[z] lab[z] dog[z] vs cat[s] lap[s] pack[s] La forma sottostante corrisponde probabilmente alla fricativa alveolare sonora /z/ che compare nella maggior parte nei contesti. 1.1.3 Assimilazione bidirezionale In alcuni casi si può anche avere assimilazione anticipatoria e perseverativa allo stesso tempo, nel senso che il primo di due segmenti si assimila a quello che segue per certi tratti ed il secondo a quello che precede per altri tratti. In greco la nasale si assimila alla occlusiva che segue per il punto di articolazione e l’occlusiva si assimila alla nasale per il tratto [+/- sonoro] assumendone la sonorità: δεν πειραζει [den piràzi] > [dembiràzi] ‘non importa’ συμπαθητικος [sin+paθitikòs] > [simbaθitikòs] ‘simpatico’ Si parla di assimilazione bidirezionale quando un segmento cambia sotto l’influenza congiunta del suono precedente e di quello seguente. In italiano settentrionale il fonema /s/ si sonorizza e viene realizzato come [z] in posizione intervocalica, cioè la fricativa alveolare sorda diventa sonora quando sia il segmento che precede sia quello che segue sono vocalici (quindi segmenti sonori): pa[s]ta vs pe[z]o vi[s]po u[z]o p[s]iche mimo[z]a a[s]colto ra[z]o La distinzione tra [s] e [z] non è quindi distintiva nell’italiano settentrionale, essendo predicibile dal contesto fonetico. 1.1.4 Assimilazione tra segmenti non adiacenti Esistono anche casi di assimilazione tra segmenti apparentemente non adiacenti: questo fenomeno si verifica però esclusivamente tra vocali o tra consonanti; si parla rispettivamente di armonia vocalica o consonantica. L’armonia vocalica si verifica in lingue come l’ungherese o il turco, dove tutte le vocali di una parola si assimilano per uno o più tratti. Ad esempio in turco la prima vocale della parola determina alcuni tratti delle vocali seguenti: le vocali [-alte] si assimilano per il tratto di posteriorità alla vocale precedente; invece le vocali [+alte] si assimilano sia per la posteriorità, sia per l’arrotondamento (ricordiamo che in molte lingue, tra cui l’italiano, il tratto di arrotondamento è ridondante rispetto a quello di posteriorità). Esiste anche un tipo di assimilazione tra vocali non adiacenti che non si estende a più vocali, ma si limita a cambiare la qualità della vocale accentata di una parola per effetto della vocale del suffisso; si consideri ad esempio la metafonia, che consiste nella assimilazione anticipatoria della vocale accentata di una parola alla vocale seguente di un suffisso; nel seguente esempio la vocale tonica si innalza per effetto della presenza delle vocali alte [i] ed [u] che sono la flessione del maschile singolare e plurale rispettivamente: frédda vs frìddu/frìddi Nei seguenti esempi la vocale tonica si innalza per effetto della vocale alta del suffisso del plurale [i]: fiore / fiuri cavélo / cavili tozo/ tuzi (ma toza / toze) tempo / timpi (meno diffua in sillaba chiusa) In alcuni casi una distinzione metafonica può diventare morfologica: tre toze vs tri tuzi doe > do doi > dui > du Si noti infine che nel seguente esempio entrambe le vocali della radice si innalzano per effetto del suffisso [i]: colore / culuri Possiamo quindi caratterizzare la metafonia e l’armonia vocalica come due aspetti dello stesso fenomeno che differiscono solo rispetto alla direzione progressiva o regressiva in cui avviene il mutamento: nel caso dell’armonia vocalica va da sinistra a destra, nel caso della metafonia da destra a sinistra. 1.2 Dissimilazione Nei casi di dissimilazione due segmenti aventi un tratto in comune diventano più dissimili tra loro in alcuni contesti; la motivazione di questo tipo di processo è in genere di tipo percettivo, dato che se due segmenti sono dissimili si individuano meglio. E’ bene ricordare che spesso il processo di tipo percettivo e quello di tipo articolatorio possono essere in conflitto tra loro. Ad esempio il suffisso -ale che deriva aggettivi da nomi diventa -are se la consonante immediatamente precedente è una /l/: cultur-ale/tradizion-ale/speriment-ale/coloni-ale molecol-are, pol-are, titol-are,consol-are ma Altro esempio di dissimilazione è reppresentato dalla cosiddetta legge di Grassmann: se una parola contiene due consonanti aspirate la prima perde l’aspirazione, cioè assume il valore negativo rispetto al tratto [+/-glottide allargata]: ph > [p] kh > [k] th > [t] ταχυς [takhìs] > θασσων [thasson] θριξ [thrìks] > τριχός [trikhòs] radice θαχ- ‘veloce > più veloce’ radice θριχ- ‘capello > del capello’ 2. Cancellazione ed inserzione Questi processi trovano la loro motivazione nella struttura sillabica non marcata della sillaba; cancellazione ed inserzione sono cioè spesso determinate dalla tendenza a semplificare la sillaba in maniera da ottenere quella universalmente meno marcata: CV. Un nesso segmentale non ammesso può essere eliminato cancellando uno dei due segmenti o inserendo un segmento diverso che li separi (ad esempio in un nesso vocalico si inserisce una consonante, in un nesso consonantico si inserisce una vocale): CCV > CV con cancellazione di una C > CVCV con inserzione di una V CVV > CV con cancellazione di una V > CVCV con inserzione di una C 2.1 Cancellazione L’italiano è una lingua ricca di cancellazioni vocaliche, sia quando due vocali sono adiacenti in una parola sia al confine tra due parole. Esempi di cancellazioni vocaliche con due vocali adiacenti si hanno nei casi di suffissazione: compito+ino > * compitoino ma compitino problema+ino > * problemaino ma problemino bicchiere+ino > * bicchiereino ma bicchierino rumore+oso > * rumoreoso fama+oso > * famaoso ma rumoroso ma famoso Se la vocale che precede il suffisso è accentata il processo di cancellazione può bloccarsi: dignità+oso > dignitoso facoltà > facoltoso vanità > vanitoso ma virtù+oso > virtuoso e non *virtoso caffè+ina > caffeina e non *caffina Se il suffisso comincia in consonante non si ha la cancellazione della vocale: perfeziona+mento > perfezionamento godi+bile > godibile cancella+zione > cancellazione veloce+mente > velocemente Come esempi di cancellazione al confine tra due parole possiamo citare la cancellazione della vocale di alcuni specificatori nominali al femminile singolare: l’arancia l’erba l’ugola dell’arancia dell’erba dell’ugola quell’arancia quell’erba quell’ugola Nel maschile ciò che potrebbe sembrare lo stesso fenomeno è invece probabilmente un caso di inserzione di una vocale epentetica perché la forma base dell’articolo maschile è l: l’eremita > lo eremita dell’eremita > dello eremita quello eremita > quell’eremita Altro fenomeno di cancellazione è il cosiddetto troncamento: si verifica nei verbi e consiste nella cancellazione facoltativa della vocale finale [e] o [o] non accentata se la consonante che precede è una sonorante e se la parola che segue comincia in consonante. Negli esempi agrammaticali del primo gruppo la parola seguente inizia per vocale, in quelli del secondo la vocale è preceduta da una consonante non sonorante: preferisco andar[e] via *preferisco andar[e] altrove ti convien[e] partire *ti convien[e] iniziare vuol[e] saperne di più *volev[a] saperne di più son[o] tornato venerdì *sarebb[e] tornato venerdì Anche tra gli elementi di categoria nominale si hanno cancellazioni, ad esempio in contesti in cui il nome esprime una denominazione, ma non in contesti in cui lo stesso nome viene utilizzato diversamente: il signor[e] Rossi *il signor che ho conosciuto il dottor[e] Neri *il dottor non è venuto Mar[e] Caspio *siamo tornati dal mar solo ieri color[e] verdemare *questo color non mi piace In greco moderno si ha la cancellazione di una [n] finale di parola prima di una consonante [+continua]; il processo si verifica a condizione che essa sia la consonante finale di un clitico, cioè di un elemento funzionale atono: δεν θέλω = [den thélo] > [de thélo] ‘non voglio’ την φέρω = [tin féro] > [ti féro] ‘la porto’ την σκέφτομαι = [tin skjéftome] > [ti skjéftome] ‘la penso’ Talvolta il processo si verifica all’interno di parola: άνθρωπος [ànthropos] > [àthropos] ‘uomo’ συμβιβασμός [sinvivazmòs] > [sivivazmòs] ‘compromesso’ 2.2 Inserzione Anche il fenomeno della inserzione (epentesi), fenomeno più raro e meno sistematico, può essere spiegato in genere nei termini di un avvicinamento alla struttura sillabica non marcata CV. In italiano l’inserzione di una consonante è un fenomeno sporadico; in genere si tratta di [d] inserita tra due vocali per evitare che siano adiacenti; ciò si verifica ad esempio tra la preposizione a o le congiunzioni e ed o ed una parola iniziante per vocale: Andrò ad Alessandria Gianni ed Anna si amano Che sia odio od amore, non mi interessa Impara ad esprimerti meglio Mio fratello ed io partiremo In qualche caso viene inserita una consonante prima dell’aggiunta di un suffisso; può trattarsi di una dentale, ma anche di liquida o ladiodentale: citta[d]ino, amalfi[t]ano, caffe[tt]iera/caffe[tt]ino gile[r]ino, caffe[r]ino, papa[r]ino, papa[l]ino, forli[v]ese Per quanto riguarda l’inserzione di vocale, possiamo considerare lo spagnolo che inserisce [e] ad inizio di parola iniziante con il nesso /s/+ consonante. Il processo è limitato a questo contesto ma qui totalmente produttivo, tanto che si applica anche ai prestiti: [es]cuela [es]très [es]pina [es]pray [es]peranza [es]talinismo [es]corpion [es]trella Altre forme con inserzione di vocale, che suonano oggigiorno ormai antiquate, sono le seguenti, in cui la vocale [i] viene inserita tra una sonorante ed un nesso s+C: in [i]spagna in [i]svizzera per [i]scritto In inglese il plurale dei sostantivi e la terza persona singolare del presente indicativo si formano aggiungendo [s] (dopo consonanti sorde), [z] (dopo consonanti sonore o vocali) o [Iz] (dopo una sibilante): ca[t] ca[ts] par[k] par[ks] la[p] la[ps] do[g] do[gz] la[b] lab[bz] be[d] be[dz] bu[s] bu[sIz] bu[S] bu[SIz] ro[z]e ro[zIz] Come si è già accennato, si suppone generalmente che la forma sottostante del morfema sia quella che compare nel maggior numero di contesti, cioè /z/. Tale fono rimane sonoro se precede una consonante sonora; si inserisce una I (vocale alta anteriore rilassata) se si ha una sibilante, si ha assimilazione perseverativa che desonorizza /z/ in [s] se precede una consonante sorda. Si noti che l’inserzione di [I] crea una nuova sillaba. - caduta generalizzata delle vocali finali atone del latino diverse da a (ed e del plurale); la apòcope si presenta con intensità diversa nei vari dialetti a seconda delle vocali): cane > can cavallo > caval (ma galìna, cavre) la caduta delle vocali finali è diffusa nel veneto di area settentrionale (trevigiana e soprattutto bellunese): gat, bel, fat, ciot - caduta di vocali atone interne alla parola: dominica > dmenga (romagnolo) telariu(m) > tlar/tlèr de-excitare (destare) > dezdèr > dzdèr > ğdèr (bolognese) dissapidus > desavd > dsavd > sčavd > čavd (bolognese) 3. Riduzione e rafforzamento Riduzione e rafforzamento possono essere visti come due diversi aspetti complementari dello stesso fenomeno. Tra i casi di riduzione possiamo inserire la degeminazione e la coalescenza, mentre tra i casi di rafforzamento la geminazione e la dittongazione. I due fenomeni di riduzione o rafforzamento seguono la seguente scala di sonorità / forza (sulla quale torneremo più avanti). I due valori di forza e sonorità sono inversamente proporzionali, un elemento è cioè tanto più forte quanto meno è sonoro e viceversa. La sonorità aumenta dal basso verso l’alto, la forza aumenta dall’alto verso il basso: Sonorità Vocali basse medie alte Approssimanti Liquide Nasali Fricative sonore sorde Affricate sonore sorde Occlusive sonore sorde Forza Si è osservato che il cambio linguistico a livello diacronico può andare nella direzione di un indebolimento, porta cioè alla degeminazione, al passaggio da consonanti sorde a sonore, da occlusive a fricative, da consonanti ad approssimanti a vocali. Data questa generalizzazione diacronica, la forza relativa di un segmento si può definire così: un segmento Y è più forte di un segmento X se Y passa attraverso X nel percorso verso la sparizione: a) risoluzione del nesso consonantico latino –ct- che si modifica in modi diversi: - nel piemontese centro occidentale e ligure diventa –itlacte(m) > làit, nocte(m) > nòit - nel piemontese orientale e nel lombardo diventa -č: lač, nòč - nel veneto diventa –t: late, note b) la sonorizzazione delle consonanti sorde intervocaliche k t p che diventano g d v (p>b>v) fino alla caduta della consonante: urtica(m) > ortìga, urtìga capillum > cavel(o) amita > ameda (milanese) – meda (bergamasco) – amda (comasco) > amia (veneto) digitum > dido (lombardo antico) did (pavese) > deo (veneto) catena > cadena > caena urtica(m) > ortìga, urtìga > ortìa, urtìa dominica > domenega c) assibilazione di c/g davanti a e/i: cinque > sinque coelum > sielo centum > sento cenere > sénare giocare> zugar genero > zènero Anche in questo caso la distribuzione dei fenomeni di riduzione e rafforzamento non sono casuali ma sono correlati ad altri fenomeni, come la struttura sillabica o accentuale; ad esempio in sillaba accentata si hanno in genere rafforzamenti, mentre in sillaba atona si hanno riduzioni. 3.1 Coalescenza Per coalescenza si intende la fusione di due segmenti distinti in un segmento unico: anche in questo caso l’origine del processo è un procedimento di minimo sforzo che semplifica la struttura sillabica (cioè un adeguamento alla sillaba non marcata CV). La fusione di due segmenti consonantici o vocalici o uno consonantico ed uno vocalico in un unico segmento è un altro modo per eliminare sequenze marcate. Quando i due segmenti si fondono possono dare origine a: a) un segmento che condivide alcuni tratti di entrambi i segmenti originari; b) un segmento che assume i tratti di uno solo dei due segmenti ma mantiene la lunghezza dell’altro. La coalescenza di due consonanti si verifica ad esempio nella seconda e terza persona singolare del presente indicativo del verbo scegliere, in cui si verifica una sequenza dei seguenti foni: laterale alveolare + occlusiva velare + vocale anteriore > laterale alveolare + affricata palatale > laterale palatale lunga lg Æ ldZ Æ λ: scelgo qui la regola non si applica perché la vocale o non è anteriore scegli < sce[lgi] Æ sce[ldZi] Æ sce[λi] sceglie < sce[lge] Æ sce[ldZe] Æ sce[λe] qui la regola si applica perché le vocali i/e sono anteriori Altro caso con il verbo spegnere, in cui è attestata anche la forma intermedia con palatalizzazione ma senza coalescenza (in alcune varietà di italiano, ad esempio in toscano): spengo spegni < spe[ngi] Æ spen[dZi] Æ spe[ñi] spegne < spe[nge] Æ spen[dZe] Æ spe[ñe] Un esempio di coalescenza consonantica si ha in inglese con le occlusive dentali [t]/[d] e le sibilanti alveolari [s]/[z] in fine di morfema, che si fondono con la approssimante palatale [j] iniziale del suffisso –ion dando origine rispettivamente ad una sibilante palato-alveolare sorda [S] o sonora [Z]: t/s + j = S d/z + j = Z atten[t.j]on > atten[S]on deci[d.j]on > deci[Z]on progre[s.j]on > progre[S]on revi[z.j]on > revi[Z]on La coalescenza tra vocale e consonante nasale è attestata nella nasalizzazione delle vocali del francese (un processo che si applica esclusivamente all’interno della sillaba); la nasale scompare come segmento indipendente, ma il tratto di nasalità rimane sulla vocale precedente: bonté Æ b[õ]té In una parola come bo.noer la regola non si applica perché la nasale fa parte della sillaba che segue. Come esempio di coalescenza tra due vocali abbiamo casi di monottongazione come in aurum > oro Un esempio di riduzione di vocale consiste nella centralizzazione delle vocali non accentate in schwa, vocale media centrale [@] inglese p[o]se [ae]tom sch[u:]l p[@]sìtion [@]tòmic sch[@]làstic Lo stesso fenomeno si verifica anche in catalano, portoghese, olandese. In italiano si nota un processo di riduzione vocalica da [ε] a [e] e da [O] a [o]; questo processo viene in genere visto come riduzione perché si accompagna alla perdita dell’accento: v[ε]ngo b[ε]llo p[O]sso c[O]rpo v[e]nìvo abb[e]llìre p[o]tévo c[o]rporàle t[ε]rra g[ε]sto t[O]ro f[O]no int[e]rràre g[e]stuàle t[o]rèllo f[o]nètico E’ attestato anche il fenomeno complementare, cioè il rafforzamento della vocale da [o] a [O] e da [e] a [ε] se la vocale subisce riaccentuazione: vèng[o] ir[o]nìa malinc[o]nìa ist[e]rìa verr[O] ir[O]nico malinc[O]nico ist[ε]rico pàrl[o] te[o]rìa àt[o]mo àng[e]lo parl[O] te[O]rico at[O]mico ang[ε]lico Vi sono anche altri casi di riaccentuazione ed apertura di vocale già accentata dopo l’aggiunta di un suffisso (un fenomeno analogo si verifica in catalano): Napole[o]ne napole[O]nico Plat[o]ne plat[O]nico Plut[o]ne plut[O]nico elettr[o]ne elettr[O]nico Un caso di rafforzamento di vocale è rappresentato dall’allungamento della vocale tonica finale di sillaba, cioè in sillaba aperta: [ma’rittimo] [‘ma:re] [pe’na:re] [‘pe:na] [li’bretto] [‘li:bro] La riduzione di consonante, nel senso di indebolimento o lenizione, può essere esemplificato dalla gorgia toscana, che consiste nella spirantizzazione delle occlusive sorde in posizione intervocalica: pla[h]are abi[th]udine ca[ ]o bevo la hoha hola hon la hannuccia horta 3.2 Degeminazione e geminazione La degeminazione consonantica si registra nel passaggio dal greco attico antico al greco moderno o dal latino al francese: αλλά βάλλω τάσσω attico a[ll]à bà[ll]o tà[ss]o latino terra [terra] pressa [pressa] moderno a[l]à bà[l]o tà[s]o francese terre [teR@] presse [pRes@] ‘ma’ ‘metto’ ‘ordino’ ‘terra’ ‘pressa’ A livello sincronico nel greco moderno se un processo morfologico crea una sequenza di consonanti identiche, si ha degeminazione: σύννεφιά εννόμος [sin] + [nefià] > [sinefià] [en] + [nòmos] > [énomos] ‘nuvolaglia’ ‘conforme alla legge’ - lo scempiamento delle consonanti geminate, che diventano semplici (degeminazione): gallina(m) > galìna cappa(m) > capa caballu(m) > cavàlo > caval (gallo-italico) > cava(e)o (veneto) annum > ano (veneto) > an (gallo-italico) La degeminazione vocalica si verifica ad esempio tra due parole quando la seconda vocale non porta l’accento primario di parola: Mangerà (a)ragoste >à-/ Mangiava (a)ragoste >a-/ Mangiava àriste >a-à Una forma di rafforzamento di consonante, o geminazione consonantica, è attestato nel fenomeno del raddoppiamento fonosintattico nelle varietà italiane centro-meridionali; il fenomeno può verificarsi dopo la prima e la terza persona singolare del presente indicativo del verbo avere e la terza persona singolare di essere: Ho vvisto tua sorella Ha bbevuto due litri di vino E’ ppartito anche Gianni dopo le congiunzioni subordinanti che e se: Luigi ha ddetto che ttorneranno presto Sai che Mmario si è llicenziato? Mi domando se ffaranno tutto quello che ho cchiesto loro di fare Se vvieni ti divertirai Semmai fammelo sapere dopo i pronomi interrogativi che e chi (dove e come?) Che ffate stasera? Che mmangi a colazione? Chi tt’ ha ddetto che nnon è vvero? Chicchessia Checché ne dica ?????Dove vvai?/ Come ffai a saperlo? dopo le preposizioni a e da: Andrò a vvedere la partita Abbiamo cenato da Ggiulia dopo l’aggettivo indefinito qualche: Qualche vvolta potremmo invitarlo Sei riuscito a scattare qualche ffoto? Ho ttelefonato a mmio fratello Siamo qui da vvenerdì dopo la preposizione sopra, come testimoniano forme ormai lessicalizzate come soprattutto, sopravvento, sopralluogo, sopraggiungere: Più generalmente, in alcune varietà si ha geminazione di una consonante iniziale di parola se la parola precedente finisce in vocale accentata: Non avrà ppotuto partire Lui ha già mmangiato Perché lleggi tanto? Andrea ha ventitré ttesti di linguistica Preferì rrimanere Frugò nnella sua borsa Era più vveloce degli altri Il fenomeno non si verifica se la consonante iniziale della seconda parola è /s/ iniziale di un nesso consonantico o con altri nessi irregolari dell’italiano come [ps], [ks], [pn]: Perché scrivi tanto? Non hanno più sbagliato Avrà staccato la corrente Andrea è psicologo Hanno cambiato tré pneumatici Tuttavia, se la /s/ è seguita da vocale, essa raddoppia: Perché ssei così stanco? Non l’ho ppiù ssentito Avrà ssicuramente risposto Una ulteriore forma di rafforzamento attestata a livello diacronico è rappresentata dalla dittongazione delle vocali protoromanze medie rilassate [ε] e [O] in dittonghi ascendenti; in italiano la regola fonologica muta la ε aperta del latino in un dittongo /jε:/ e la O aperta in un dittongo /wO:/, quando siano soddisfatte le seguenti due condizioni: 1. la vocale è in posizione tonica, 2. si trova in sillaba aperta. Abbiamo così regolarmente: pε-dem > pjεde tε-net > tjεne hε-ri > jεri vε-nit > vjεne lε-vis > ljεve ma pεr-dit > pεrde rεd-do > rεndo (senza dittongazione, perché è in sillaba chiusa) bO-nus > bwOno nO-vus > nwOvo lO-cus > lwOgo ma mOrs > mOrte Os-sa > Ossa (senza dittongazione perché la sillaba è chiusa) 5. Neutralizzazione Questo processo può avere l’effetto di eliminare, in certi contesti, una distinzione tra due o più segmenti che è presente in altri contesti; in alcune posizioni vengono cioè neutralizzate delle differenze altrimenti distintive. Si possono citare come esempi la riduzione a [@] delle vocali atone o la chiusura/innalzamento delle vocali [ε] e [O] in sillaba non tonica in italiano che elimina l’opposizione tra questi suoni attestata in altri contesti: b[o]tte b[O]tte In alcuni contesti è possibile che una opposizione distintiva tra due fonemi si annulli: l’opposizione distintiva tra o chiusa e o aperta si ha in italiano solo in sillaba tonica. Questo è dovuto ad una proprietà fonetica della vocale aperta, che essendo rilassata è più instabile, quella chiusa, essendo tesa è invece più stabile dal punto di vista articolatorio. Ancora, in alcune lingue, come il tedesco, le consonanti occlusive sonore diventano sorde in fine parola, viene quindi eliminata la distinzione di sonorità: Rad [rat] Kalb [kalp] Krieg [kri:k] Räder Kälber Krieger Fenomeni accentuali Nelle lingue sono anche attestati fenomeni che comportano dei cambiamenti a livello soprasegmentale; ne ricordiamo alcuni: a) il cambiamento di accento dovuto all’aggiunta di un affisso; un accento primario può diventare secondario: ùtile + ità > utilità mondàno + ità > mondanità cèlere + mente > celermente perìcolo + oso > pericoloso in altri casi l’accento primario può addirittura scomparire (ed un accento può apparire su un’altra sillaba): bèllo > ab + bello + ire > àbbellìre scàtola > in + scatola + are > ìnscatolàre vérde > rin + verde + ire > rìnverdìre b) nel caso della composizione, quando si uniscono due parole che hanno accenti ugualmente forti, la seconda parola porta l’accento primario del composto: càpo+stazione > capostaziòne vérde+màre > verdemàre vìce+direttore > vicedirettore pòrta+cénere > portacénere àpri+bottìglie > apribottìglie càva+tàppi > cavatàppi Nelle lingue germaniche accade invece il contrario, cioè l’accento primario cade sulla prima parola di un composto: blàckbird / schoolbus / alàrmclock c) vi è una esigenza di alternanza ritmica, cioè regolare, di accenti forti e deboli; esiste una regola per cui non si possono avere due accenti forti su sillabe adiacenti; quando si verificano casi di aritmia, cioà la presenza di due accenti forti su sillabe adiacenti, si ha una retrazione dell’accento, che consiste nella deaccentazione del primo accento: lunedì scòrso > lunedi scòrso crescerà béne > crescera béne tornerà sùbito > tornera sùbito Anche la sequenza di un determinato numero di sillabe consecutive senza accento è artimica e richiede delle modificazioni; in genere si effettua l’aggiunta di un accento su una delle sillabe atone: Non sò se te lo darà > Non sò se té lo darà E’ attestata anche la modificazione del contorno tonale in lingue in cui i toni sono distintivi. Riassumendo, abbiamo visto: a) diffusione di tratti al contesto circostante b) dissimilazione di segmenti “troppo” simili c) semplificazione di una struttura sillabica d) semplificazione di una struttura ritmica I fenomeni fonologici possono essere considerati dei meccanismi che agiscono in maniera tale reinstaurare una sequenza fonologica naturale quando essa è stata alterata. Un fenomeno fonologico diffuso in molte lingue sarà considerato più naturale di un fenomeno sporadico; inoltre, i processi che producono segmenti meno marcati ed una struttura sillabica più semplice saranno considerati più naturali di processi che producono segmenti più marcati o una struttura sillabica che si discosta da quella ideale. Le regole fonologiche nella fonologia segmentale/lineare Nella teoria segmentale della fonologia, la rappresentazione consiste in una sequenza lineare di segmenti (consonanti, vocali ed approssimanti) e non segmenti (ossia i confini di morfema + e di parola #) oltre che di soprasegmenti (cioè accento, tono, lunghezza). La fonologia segmentale o lineare concepisce il segmento come una unità costituita da un fascio di tratti basati su criteri articolatori e non ordinati in alcuna gerarchia, cioè come un insieme linearmente non ordinato di tratti che indicano le caratteristiche simultaneamente presenti nell’articolazione del segmento. Un fenomeno fonologico consiste nel cambiamento di un segmento con determinate caratteristiche in un determinato contesto. Le regole della fonologia segmentale esprimono un cambiamento dalla forma sottostante a quella superficiale, descrivendo il cambiamento in termini di tratti e specificando: a) quale segmento cambia b) in che modo cambia c) in che contesto cambia Tutte queste informazioni vengono codificate nelle regole fonologiche, che sono delle descrizioni formali dei fenomeni fonologici; esse vengono espresse secondo il formalismo seguente: A Æ B /____Y A Æ B / X____ A Æ B /X___ Y dove - A indica l’elemento che subisce il cambiamento; - B indica il risultato del cambiamento, ossia l’output della regola; - ciò che sta alla destra della barra diagonale indica il contesto in cui si verifica il fenomeno: la riga orizzontale indica la posizione del segmento A che subisce il cambiamento, che viene precisato definendo o l’elemento X che lo precede, o l’elemento Y che lo segue, o entrambi. 1 Sia A/B che X/Y vanno specificati in modo esplicito e non ambiguo tramite tutti i tratti necessari e sufficienti per distinguerli in modo univoco all’interno di un sistema fonologico. AÆB è la parte di regola che esprime il cambiamento fonologico ed è detto cambio strutturale A... / X____Y è la parte di regola che descrive la situazione preesistente al fenomeno ed è detta descrizione strutturale Consideriamo ad esempio la formulazione della regola di assimilazione anticipatoria del fonema /s/, che si realizza come [z] davanti a consonante sonora: [s]paro vs [z]baglio +consonante +continua +anteriore +coronale -sonora Æ [+sonora] /________ [+consonante +sonora] La regola si legge come segue: il fonema /s/ (definito univocamente dai tratti indicati) diventa sonoro se seguito da una consonante sonora. Consideriamo ora una regola che esprima la sonorizzazione del fonema /s/ in posizione intervocalica in seguito ad assimilazione bidirezionale nell’italiano settentrionale: +consonante +continua +anteriore +coronale -sonora Æ [+sonora] / [-consonante] ________ [-consonante] Si osservi che questa formulazione della regola predice la sonorizzazione si /s/ anche quando uno dei due segmenti sia una approssimante, dato che le approssimanti sono caratterizzate, come le vocali, dal tratto [-consonante]; la predizione è confermata: adesione > [ade’zjo:ne] pausa > [‘pawza] simposio > [sim’pO:zjo] usuale > [u’zwa:le] 2 Se osserviamo le due regole, notiamo che il cambio strutturale è lo stesso nei due casi; possiamo allora formulare una unica regola includendo i contesti di applicazione tra parentesi graffe: +consonante +continua +anteriore +coronale -sonora Æ [+sonora] /{________ [+consonante+sonora]} [-consonante] _____[-consonante] Consideriamo ora una regola che descriva della velarizzazione del fonema /n/ davanti ad una consonante occlusiva velare: (-sillabico) +consonantico +sonorante (+sonora) -continua (-rilascio ritardato) (-laterale) -arretrato +anteriore +coronale Æ [+arretrato] /_______ [+consonante] [+arretrato] Data la grande varietà dei fenomeni fonologici presenti nelle lingue naturali, è possibile che in una stessa parola si verifichino due fenomeni diversi, come quelli che abbiamo appena descritto: [zba ‘kare] [i kazel’lare] [ri ka’zare] Infine, dobbiamo ricordare che alcune regole devono necessariamente fare riferimento al confine di parola (#) o al confine di morfema (+), come nel caso della palatalizzazione di /k/ prima dei suffissi –ità -ista, che possiamo descrivere mediante la regola seguente (ad esempio si prevede rechi): 3 ([-sillabico]) [+consonantico] ([-sonorante]) [-sonoro] [-continuo] Æ [-rilascio ritardato] ([-laterale]) [+arretrato] ([-anteriore]) [-coronale] [-arretrato] [+rilascio ritardato] /_______ + [+sillabico] [+coronale] [+alto] [-posteriore] All’interno della fonologia lineare, i soprasegmenti (accento, tono e lunghezza) vengono specificati in termini di tratti binari; ad esempio, l’accento primario di parola può essere rappresentato per mezzo di un tratto [+/-accento]. Tuttavia, utilizzando questo tipo di regole ci sono alcuni fenomeni che non possono essere colti con facilità. Ad esempio, la nozione di sillaba si è rivelata necessaria per spiegare molti fenomeni (vedi il caso della nasalizzazione in francese), ma non può essere formalizzata in questo quadro; se ad esempio tentiamo di formulare una regola relativa all’allungamento vocalico in sillaba tonica aperta non finale ci troviamo di fronte alla necessità (di dover postulare un tratto di lunghezza e) di dover fare riferimento al confine di sillaba: [+sillabico] [+accento] Æ [+lungo] / ____ 0. (ammettendo che . indichi il confine di sillaba) Inoltre, anche all’interno della sillaba esiste una organizzazione gerarchica (che vedremo più avanti) di cui le regole lineari non tengono conto. Si è notata inoltre una mancanza di sincronizzazione tra soprasegmenti e tratti appartenenti alla relativa matrice, cosicché si ha l’impressione che alcuni fenomeni siano indipendenti da altri. Negli anni ’70, in riferimento all’analisi dei tratti soprasegmentali, e dei toni in particolare, si è osservato che il dominio di un tratto può non corrispondere ad un segmento, ma essere sia più piccolo che più grande di un segmento; nel primo caso il valore di un tratto cambia all’interno del singolo segmento (si pensi ai segmenti complessi come le consonanti 4 affricate, in cui il tratto [+/- continuo] passa da un valore negativo ad uno positivo); nel secondo caso, una stessa specificazione di un tratto caratterizza più segmenti (si pensi al caso delle geminate o ai toni che possono essere associati con più vocali.). Si è concluso che alcuni aspetti dei sistemi fonologici vanno specificati in termini di domini inferiori o maggiori rispetto al segmento, cosicché è stata abbandonata l’ipotesi della linearità. La fonologia autosegmentale Questo tipo di rappresentazione della fonologia cambia i presupposti della fonologia: alcuni tratti vengono infatti rappresentati su un livello separato da quello segmentale; anziché essere concepiti come caratteristiche intrinseche di un dato segmento, vengono visti come delle caratteristiche fonologiche indipendenti ed autonome dal materiale segmentale (da cui il termine autosegmento). Dei principi di associazione determinano poi come possano essere messi in corrispondenza degli elementi situati su livelli diversi. Si passa ad una rappresentazione fonologica che abbandona la linearità per diventare multilineare. In una rappresentazione autosegmentale, diverse caratteristiche articolatorie di un messaggio sonoro sono rappresentate su livelli diversi che confluiscono tutti in una base comune, detta anche asse, ossatura o skeleton: questa consiste di unità temporali che fissano l’ordine lineare di consonanti e vocali in una parola; gli altri livelli caratterizzano ognuno un aspetto del messaggio sonoro e sono collegati all’ossatura per mezzo di linee di associazione (formando degli oggetti bidimensionali che chiameremo piani). Le linee di associazione rappresentano la simultaneità di articolazioni diverse. La rappresentazione mentale non è più lineare o bidimensionale, diventa pluridimensionale: ogni parola è costituita dall’insieme dei diversi piani uniti al piano dei segmenti temporali. Possiamo utilizzare il paragone del libro, il cui dorso è l’ossatura che contiene le unità di tempo corrispondenti al numero dei segmenti e le cui 5 pagine corrispondono ognuna ad un piano/livello diverso (quello dei tratti, quello dei toni, quello dell’accento). I piani sono indipendenti uno dall’altro e si “incontrano” sul piano delle unità di tempo. Cambia la nozione di segmento, che è il risultato dell’incontro tra vari piani che confluiscono sul piano temporale su un’unità di tempo X, le cui specificazioni in termini di tratti sono quindi date da altri piani collegati al piano temporale. Nella teoria autosegmentale il segmento diventa quindi l’unità minima di tempo di rappresentazione fonologica. Si discute ancora se questo piano contenga, oltre a specificazione esclusivamente temporali, anche delle informazioni sula natura vocalica o consonantica del segmento (si ricordi il caso degli afasici che mantengono la suddivisione tra i due tipi di segmenti anche in assenza di altre specificazioni). Per autosegmento si intende invece una serie di specificazioni inserite in un piano (si avrà ad esempio un piano della nasalità, uno dei tratti relativi al luogo di articolazione, uno dei toni, uno dell’accento, e così via). Potrà quindi verificarsi sia che una certa specificazione del tratto sia associata a due unità dell’ossatura, sia che una unità dell’ossatura sia associata a due diverse specificazioni dello stesso tratto, come esemplificato in a. e b.: a. [+T] / \ X X b. [+T] [-T] \ / X “Ingredienti” di questa ipotesi: a) piano temporale o ossatura, che rappresenta quante unità di tempo ci sono; b) una serie di piani che specificano gruppi di tratti; c) principi che regolano il collegamento tra i vari piani (vedi sotto). I piani si incontrano in un nodo radice (root) che raccoglie i tratti come un’unità e li associa poi ad una o più unità di tempo. 6 Vi sono diverse aree della fonologia che forniscono argomenti convincenti a favore di un approccio di tipo autosegmentale. 1. Le geminate Le geminate sono caratterizzate da una ambiguità, poiché si comportano come se fossero due segmenti uguali e adiacenti rispetto a certi fenomeni e come un unico segmento rispetto ad altri. All’interno della fonologia autosegmentale, le geminate vengono rappresentate nell’ossatura come due unità (vocaliche o consonantiche) specificate con un unico fascio di tratti; avremo una sola specificazione sul piano dei tratti, che conterrà una unica matrice associata a due unità sul piano delle unità di tempo: [+/-Tn] / \ X X Piano dei tratti Piano delle unità temporali dove X = C o V Questa rappresentazione, con due livelli diversi, può rendere conto dell’ambiguità delle geminate, poiché alcune regole faranno riferimento al livello delle unità temporali, ed altre a quello dei tratti. 2. Le affricate Nel caso delle consonanti affricate, che sono foneticamente complesse perché risultanti dall’unione di un segmento occlusivo e di uno fricativo, abbiamo due specificazioni di tratti diverse (corrispondenti appunto ad una occlusiva seguita da una fricativa) unite nello stesso segmento sul piano delle unità temporali: [+/-Tn] [+/-Tn] \ / X Piano dei tratti Piano delle unità temporali Una parola come pranzo avrà quindi la seguente rappresentazione: [+/-Tn] [+/-Tn] [+/-Tn] [+/-Tn] [+/-Tn][+/-Tn] [+/-Tn] ׀ ׀ ׀ ׀ [p] [r] [a] [n] ׀ [dz] [o] Se ora consideriamo la specificazione del tratto [+/-continuo] rispetto ai 7 vari segmenti, notiamo che in corrispondenza della affricata abbiamo la confluenza di entrambi i valori su una stessa unità temporale: [-cont] [+cont] [+cont] [-cont] [-cont][+cont] [+cont] ׀ ׀ ׀ ׀ ׀ [p] [r] [a] [n] [dz] [o] Questa rappresentazione rende superfluo l’uso di un tratto [+/-rilascio ritardato], dato che rappresentiamo la affricata come una singola X sul piano delle unità di tempo su cui confluiscono due diverse matrici di tratti, di cui la prima contiene [-continuo] e la seconda [+continuo]. Nel caso delle affricate /ts/ /dz/, il cui segmento occlusivo è sempre lungo in posizione intervocalica, possiamo dare la seguente rappresentazione, in cui la specificazione di tratti che definisce l’occlusiva è associata a due unità sul piano temporale: [+/-Tn] [+/-Tn] / \ / X X Piano dei tratti Piano delle unità temporali [+/-Tn] [+/-Tn][+/-Tn] [+/-Tn] [+/-Tn] [+/-Tn] [+/-Tn] ׀ [a] [t] ׀ ׀ ׀ ׀ ׀ [ts] [j] [o] [n] [e] 3. I dittonghi Si è visto che esistono due tipi di dittonghi; questi hanno diversi comportamenti fonologici: - si parla di dittonghi ascendenti quando la approssimante precede la vocale, come in: [kwOre] [jEna]; questi dittonghi si comportano come un unico elemento nell’ossatura, cioè come un singolo segmento al cui interno si verificano dei cambi di tratti; - si parla di dittonghi discendenti quando la vocale precede la approssimante, come in: [lawto] [fOjba]. 8 questi dittonghi si comportano come una sequenza di due elementi nell’ossatura, un primo elemento [+sillabico] ed un secondo elemento [sillabico]. La fonologia autosegmentale risolve questa situazione rappresentando i dittonghi ascendenti con due elementi sul livello dei tratti (specificati, tra l’altro, il primo come [-sillabico] ed il secondo come [+sillabico]) ed un solo elemento nell’ossatura, come in (a), ed i dittonghi discendenti con due elementi sia sul piano dei tratti che sul piano temporale, come in (b): a. dittonghi ascendenti [+/-Tn] [+/-Tn] [+/-Tn] p w O | \ / X X b. dittonghi discendenti [+/-Tn] [+/-Tn] [+/-Tn] m a j | | | X X X 4. I toni Elenchiamo le principali motivazioni per postulare un livello autosegmentale in cui sono rappresentati i toni: - la velocità di vibrazione delle corde vocali, che determina l’altezza tonale, è un parametro articolatorio autonomo, dato che può caratterizzare parte di un segmento, un intero segmento, una sillaba, una parola; - la stabilità, cioè la proprietà per cui la cancellazione una vocale non porta necessariamente alla cancellazione del tono ad essa associato, che viene associato ad una vocale adiacente (un tono senza vocale associata); - i toni modulati (ascendente e discendente), che nella fonologia lineare vengono rappresentati con uno stesso tratto, possono invece essere più adeguatamente rappresentati come una associazione di [+alto][-alto] (o viceversa) ad un solo segmento (una vocale con più toni): a. tono discendente [+alto][-alto] \ / V b. tono ascendente [-alto][+alto] \ / V - le melodie: in molte lingue tonali esiste un insieme finito di melodie, cioè specifiche sequenze di toni, che si comportano nello stesso modo 9 indipendentemente dal numero di sillabe della parola a cui sono associate (a più vocali è associato lo stesso tono); Non esiste quindi una corrispondenza biunivoca tra un tono ed un segmento, come prevede una formalizzazione lineare; in una parola che abbia toni alti su tutte le vocali, sul piano dei toni ci sarà una sola specificazione per l’intera parola, e non una per ogni vocale; analogamente, una sola vocale potrà essere associata a più toni. 5. Metafonia ed armonia vocalica Si è visto che esistono lingue in cui i tratti della qualità vocalica possono armonizzarsi all’interno di un dominio che comprende più sillabe, fino all’intera parola. Casi di questo tipo sono la metafonia e l’armonia vocalica, che consistono nella assimilazione, rispetto a certi tratti, di vocali che sono linearmente non adiacenti, nel senso che sono intervallate da consonanti. Abbiamo l’intuizione che in questo caso le consonanti “non contino” perché sono elementi di tipo diverso; la fonologia autosegmentale ci permette proprio di esprimere l’intuizione che certi tratti vanno associati solo con le vocali, perché quello che non è adiacente sul piano lineare può esserlo su un altro piano in un sistema tridimensionale. Dovremo postulare che i tratti vocalici siano specificati su un piano specifico e vengano poi associati a più segmenti vocalici di una parola; in questo modo la metafonia e l’armonia vocalica diventano un fenomeno di assimilazione molto naturale. Criteri di associazione degli autosegmenti Un compito centrale della teoria autosegmentale è stabilire in che modo possiamo associare gli autosegmenti alle unità del piano temporale. Nel caso dei toni, essi vengono associati alle vocali secondo dei principi di associazione: Principio della modulazione obbligatoria: per ogni coppia di autosegmenti adiacenti a b, a ≠ b 10 Il principio prescrive che non è possibile avere due specificazioni identiche e adiacenti sullo stesso piano; se due X hanno la stessa specificazione, questa è unica ed associata ad entrambi gli X Principio di corrispondenza (mapping): stabilisce a quali X si associano certi autosegmenti (ad esempio i toni si associano biunivocamente alle vocali procedendo da sinistra verso destra - o da destra verso sinistra, dipende dalla lingua - fino all’esaurimento dei toni o delle vocali): [+/-T] | V C C [+/-T] | V CC [+/-T] | V In altre parole si procede in maniera omogenea da una direzione all’altra senza saltare segmenti su ciascun piano, e le linee di collegamento NON si incrociano mai. [-cont] [+cont] [+cont] [-cont] [-cont][+cont] [+cont] ׀ ׀ ׀ ׀ [p] [r] [a] [n] [-cont] [p] [r] [+cont] [a] ׀ [dz] [-cont] [n] [o] [+cont] [dz] [o] Se dopo l’applicazione del precedente principio non si sono esauriti gli X o gli autosegmenti, si applicano i seguenti due principi: Principio di scarico (dumping): se restano degli autosegmenti liberi, questi vengono associati all’X rimanente (i toni vengono associati all’ultima vocale a destra): C [+/-T] | V C [+/-T] | V CC [+/-T] [+/-T] | V Principio di propagazione (spreading) : se restano degli X liberi, questi si associano all’autosegmento rimanente (le vocali libere si associano 11 all’ultimo tono a destra, per cui sembra che ci sia una propagazione del tono): C [+/-T] | V C [+/-T] | V CC [+/-T] | V C V Molti fenomeni possono essere trattati come casi di spreading di tratti da un elemento ad un altro. Il caso della metafonia potrebbe essere trattato come un caso di spreading del tratto interessato (ad esempio [+alto] negli esempi che abbiamo considerato): c [+basso] ????[-alto-basso] [-alto-basso] | | | a v e l o [+basso] [-alto-basso] | | c a v e l c [+basso] | a v i l [+alto] | i [+alto] | i Anche nel seguente esempio possiamo parlare di un unico autosegmento che viene associato a tutte le vocali della parola (nell’esempio colore/culuri le vocali del plurale sono tutte alte): ???? [-alto-basso] [-alto-basso] [-alto-basso] | | | c o l o r e c u l u [+alto] | r i Questo sistema è molto potente anche da un punto di vista diacronico, in quanto permette di spiegare molti cambiamenti come casi di spreading o come casi di delinking, cioè di dissociazione di un autosegmento da una unità del piano temporale. 12 La sillaba Finora abbiamo esaminato i segmenti come complessi di proprietà atomiche e combinabili secondo dei principi generali. Esistono comunque anche delle unità maggori che raggruppano i vari foni ma che sono più piccole della parola (vedremo inoltre che il concetto di parola fonologica non coincide con quello usuale); tra queste la sillaba. Teniamo presente che il flusso sonoro che noi percepiamo è continuo, quindi la sillaba, esattamente come il fonema, è un’unità mentale; dal punto di vista fonetico infatti è difficile identificare i confini di sillaba. La sillaba è diventata una parte importante del sistema fonologico della grammatica generativa solo dopo che si è dimostrato che il potere descrittivo ed esplicativo di un modello che usa la sillaba è superiore a quello di un modello che non la usa. Vi sono varie motivazioni per inserire la sillaba in un modello che intenda rappresentare la competenza del parlante nativo: - il concetto di sillaba fa parte della competenza di un parlante nativo; noi abbiamo cioè una intuizione precisa di cosa sia una sillaba: molti giochi verbali o linguaggi segreti dei bambini consistono nel rimescolamento o nel’inserzione di sillabe; i giochi linguistici in cui si creano nuove sillabe inserendo una stessa consonante e ripetendo il nucleo dopo ogni sillaba della parola indicano che il parlante percepisce le sillabe come unità: alfabeto farfallino: dofomafanifi peferificofolofo - la sillaba ci serve inoltre per spiegare parecchi fenomeni che altrimenti non si potrebbero descrivere correttamente (vedi sotto); esistono generalizzazioni relative a fenomeni fonologici che non sono esprimibili soltanto facendo riferimento al materiale segmentale; - la sillaba è caratterizzata da delle regolarità interne, cioè da una sua struttura. Definiamo la sillaba come una unità fonologica che consiste almeno di un elemento sillabico detto nucleo; abbiamo già visto che in italiano solo le vocali possono essere nucleo sillabico. In italiano una semplice vocale può quindi costituire esaustivamente una sillaba: pa.e.se pa.u.ra te.a.tro fa.i.na bo.a.to a.pri.le be.o.ne ma.re.a po.e.ma Anche un dittongo ascendente, che, come si è visto, si comporta come un unico segmento sull’asse temporale, può fungere da nucleo sillabico: p[je].no [je].na ch[ja].ro [wo].vo ch[ju].so t[wo].no q[wa].le In altre lingue (come le lingue slave o le lingue indoeuropee antiche) anche le sonoranti possono essere nucleo di sillaba (si ricordi l’esempio di Krk, l’isola di Veglia, oppure bottle in alcune varianti dell’inglese). Spesso però una sillaba contiene anche degli elementi consonantici; si è già visto che la sillaba “meno marcata” del linguaggio umano, cioè quella più semplice e più comune, è quella con struttura CV (consonante vocale). Essa è - la più frequente (in italiano circa il 60% delle sillabe ha questa struttura); - quella che i bambini acquisiscono per prima pa.pà ta.to be.ne - l’ultima che gli afasici perdono; - l’unica presente in tutte le lingue del mondo. Una alternanza tra suoni con costrizione di aria e rilascio di aria è dal punto di vista percettivo quella più facilmente udibile (e probabilmente segmentabile). Il materiale consonantico che precede il nucleo sillabico si dice incipit sillabico (o onset) In italiano l’incipit può essere formato da una o due consonanti: CV CCV Se consideriamo il caso di sillabe il cui incipit è costituito da una sola consonante, notiamo che qualsiasi consonante può comparire in tale posizione: pi.no dZe.lo ti.mo dze.ro bu.ko paz.zo di.to gu.La fu.zo Si.vo.lo se.ra tSe.na Se consideriamo invece delle sillabe con un incipit biconsonantico notiamo che la seconda consonante è sempre una liquida: p[l]a.ci.do g[l]a.cia.le b[r]e.ve p[r]i.mo f[r]a.te a.t[l]e.ta c[r]e.ta p[l]i.co t[r]o.ta c[l]o.ne g[r]u.mo Le sillabe possono anche avere del materiale dopo il nucleo sillabico. Il materiale consonantico che si trova nella sillaba dopo il nucleo sillabico viene detto coda. Una sillaba che termina con una coda viene detta chiusa; una sillaba che termina con il nucleo sillabico viene detta aperta. Se consideriamo ora invece non delle sillabe aperte, che finiscono in vocale, ma sillabe chiuse da una coda consonantica, notiamo che la coda può essere o una sonorante (liquida o nasale o la approssimante di un dittongo discendente) o la prima di un nesso di geminate: tap.po ov.vio rab.bia. sas.so gat.to rid.da pa[r].co ta[l].co sa[m].ba fo[j].ba te[r].no fe[l].ce li[ ].fa da[j].no fo[r].no fi[l].tro ti[n].ta fa[w].na co[r].da so[l].co fa[ ].go fe[w].do pac.co leg.go baf.fo Ne concludiamo che in italiano le uniche consonanti che possono formare la coda di una sillaba senza alcuna restrizione sono le sonoranti. Se colleghiamo questo fatto alla restrizione relativa alla seconda vocale di un incipit biconsonantico ne deduciamo che le consonanti sonoranti hanno uno statuto particolare in italiano nel poter fiancheggiare la vocale che forma il nucleo sillabico. Esiste quindi una restrizione relativa all’ordine in cui le consonanti possono apparire all’interno di una sillaba: tale ordine deve rispettare la scala di sonorità nel senso che le consonanti che hanno un valore di sonorità più alto devono stare più vicine al nucleo sillabico (cioè alla vocale) rispetto alle consonanti che hanno una minore sonorità. Sonorità Forza Vocali basse medie alte Approssimanti Liquide Nasali Fricative sonore sorde Affricate sonore sorde Occlusive sonore sorde Possiamo immaginare che il valore di sonorità all’interno della sillaba definisca una curva il cui apice è rappresentato appunto dal nucleo, che è caratterizzato dalla massima sonorità, ed ai due lati di esso si ha una discesa graduale del valore di sonorità in entrambe le direzioni. La sillaba è quindi un costituente di analisi fonologica che ha delle regolarità interne. Come procediamo per individuare una sillaba all’interno di una parola? Partiamo dal nucleo (costituito in italiano da una vocale) ed applichiamo una regola definita massimizza l’onset o regola dell’incipit massimo, secondo la quale quando una consonante mediana può essere analizzata sia come coda di una sillaba che come onset della sillaba successiva si sceglie sempre la seconda possibilità; avremo quindi le seguenti suddivisioni in sillabe: ve.ro e non ver.o pa.lo e non pal.o fa.me e non fam.e ti.po e non tip.o da.do e non dad.o Si noti che attraverso questa regola possiamo derivare il fatto che la sillaba non marcata sia CV (e non ad esempio VC). La seconda regola per la costruzione di una sillaba è costituita da una applicazione della scala di sonorità di cui abbiamo già parlato: immaginiamo che la sillaba sia costruita come una campana in cui il punto più alto di sonorità della campana è il nucleo; la sonorità discende poi gradualmente fino ai limiti della sillaba. Quindi ai limiti estremi della sillaba troveremo gli elementi meno sonori e verso il nucleo quelli via via più sonori. Quindi se si ha una sillaba complessa del tipo seguente: C1C2VC3C4 C1 dovrà essere meno sonora di C2 e C3 sarà più sonora di C4 Ad esempio, la sillaba prarp sarà una sillaba possibile in una lingua che ammetta due consonanti nella coda; sillabe come *rparp/*prapr non saranno invece ammesse dato che non rispettano la scala di sonorità (a meno che la liquida non faccia sillaba a sè stante) In italiano abbiamo sillabe non marcate del tipo CV in cui la scala di sonorità si applica vacuamente (in quanto il nucleo vocalico è sempre più sonoro della consonante che lo precede): ve.la mu.lo do.no Si è visto anche che in sillabe CCV la seconda consonante è sempre una liquida, cioè una sonorante, quindi la scala di sonorità è rispettata (si noti anche che le liquide hanno un maggior grado di sonorità rispetto alle nasali): p[l]i.co c[l]o.ne f[r]a.te c[r]e.ta t[r]o.ta Si è visto invece che in sillabe chiuse la coda è sempre una sonorante o una geminata, e che le uniche consonanti che possono stare in coda senza alcuna restrizione sono le sonoranti: fu[r].bo te[r].no fu[l].cro so[l].co bi[m].bo ti[n].ta Ora, se nei seguenti casi applicassimo la regola che massimizza l’onset otterremmo la seguente non corretta divisione in sillabe: * ba.[n]ca pa.[l]co a.[r]te a.[n]tro pe.[l]tro La prima consonante dell’onset della seconda sillaba è una sonorante, che ha un grado di sonorità maggiore rispetto all’occlusiva adiacente al nucleo sillabico; quindi abbiamo una violazione della scala di sonorità; in questo caso non potremo applicare la regola che massimizza l’onset e dovremo invece mettere la sonorante in coda alla sillaba precedente: ba[n].ca pa[l].co a[r].te a[n].tro pe[l].tro In questo modo la sonorante costituisce la coda della sillaba precedente e viene a trovarsi adiacente al nucleo sillabico; l’occlusiva costituisce esaustivamente l’onset della sillaba successiva, cosicché la scala di sonorità viene rispettata. Quindi, se non è possibile mettere una consonante in onset di una sillaba perché ciò provoca una violazione della scala di sonorità, la metteremo in coda alla sillaba precedente. In italiano gli unici casi problematici sono con s, che vedremo più avanti. Nei casi seguenti invece con la semplice applicazione di massimizza l’onset otteniamo le seguenti sillabificazioni corrette: li.bro a.fri.ca ne.gro tri.plo a.tle.ta In questo caso gli onset complessi br/fr/gr/pl/tl sono possibili perché rispettano la scala di sonorità, in quanto l’occlusiva precede la sonorante, che a sua volta precede il nucleo. Come si individua allora una sillaba? a) si cerca il nucleo; b) si cerca di mettere tutto il materiale possibile in onset a meno che ciò non violi la scala di sonorità; c) il materiale rimanente va inserito nella coda della sillaba precedente. Si noti che nel caso delle geminate una va in coda ed una in onset della sillaba successiva; nella sillabificazione delle geminate intervocaliche è opportuno seguire la seguente modalità: a[S.S]a a[L.L]o ra[N.N]o Si potrà trascrivere seguendo l’ortografia, quando questa coincide con la fonologia: far.ro gom.ma pan.na nul.la Nel caso delle affricate entrambe le seguenti possibilità sono ammesse: paz.zo raz.zo strac.cio og.gi pa[t.ts]o ra[d.dz]o stra[t.tS]o o[d.dZ]i La sillaba può quindi constare di tre elementi: nucleo, onset e coda; possiamo rappresentare la struttura interna della sillaba nel modo seguente: sillaba incipit nucleo coda Possiamo chiederci a questo punto se ci sono delle unità intermedie; esistono vari motivi per ipotizzare che anche i costituenti interni della sillaba siano organizzati in una struttura gerarchica, ed in particolare che il nucleo e la coda formino una subunità detta rima che a sua volta si unisce all’onset per dare la sillaba, secondo il seguente schema: sillaba onset rima nucleo coda Vi sono diversi argomenti a favore dell’ipotesi che nucleo e coda insieme (e non piuttosto onset e nucleo) formino un subcostituente della sillaba: a) la rima determina il peso della sillaba: una sillaba può essere leggera o pesante; è pesante se contiene una vocale lunga (un nucleo pesante) o se ha una coda consonantica; altrimenti è leggera: par.to ma:.re o:.tre fal.co te:.la ca.pri.cor.no In italiano tutte le sillabe toniche sono pesanti. Sono quindi nucleo e coda a determinare la pesantezza sillabica. Si consideri ad esempio l’assegnazione dell’accento in latino, che cade sulla penultima se questa è pesante ma sulla terzultima se la penultima è leggera: populè:tum resona:re refèktor con accento sulla penultima perché ha una vocale lunga o una coda escògito pòpulus mèritum con accento sulla terzultima perché la penultima è leggera perché la vocale è breve e non ha nessuna coda b) la rima poetica determina le caratteristiche della parte finale di un verso; i versi in rima sono identici a partire dalla vocale dell’ultima rima accentata fino alla fine del verso: ultima: partì morì mangiò però mar far penultima:partire morire mangiato prato coperta avverta terzultima: probàbile stàbile vivere scrivere quartultima: coòperano adòperano c) nei lapsus linguistici si tende a cambiare l’onset tenendo intatta la rima: mangio e bevo > bangio e mevo sale e pepe > pale e sepe La rima può quindi essere vista come una unità del sistema fonologico, ed in particolare come un subcostituente della sillaba, perché ha una sua realtà psicologica. Vediamo ora come viene rappresentato il piano della sillaba in fonologia autosegmentale: inserire schema Le restrizioni sulla struttura sillabica dell’italiano sono espresse dal seguente schema: sillaba (incipit) rima nucleo +consonantico +consonantico vocale +sonorante +continuo (coda) -sillabico +sonorante (o geminata) Questo schema ci dice che: - l’unico costituente obbligatorio è il nucleo, che può essere costituito solo da una vocale (e non da una sonorante); - non si può avere un onset con più di due consonanti (la s è un caso a parte che discuteremo poi); se l’onset è complesso la seconda consonante è una liquida; - non si possono avere due segmenti in coda; - la coda può essere occupata solo da una sonorante o approssimante (oppure dalla prima parte di una geminata). Anche se la lunghezza vocalica in italiano non è distintiva, la vocale tonica è più lunga in sillaba aperta che non in sillaba chiusa (ma se la vocale è finale non si allunga); senza il concetto di sillaba non potremmo esprimere questa distinzione. La sillaba deve essere sufficientemente pesante da poter portare l’accento, quindi deve ramificare. Abbiamo osservato che una vocale in sillaba aperta non finale di parola che porti l’accento primario si allunga: pé:ro vs però cà:lo vs calò Ciò che è rilevante è la pesantezza sillabica: se la sillaba accentata è leggera, la vocale si allunga, rendendola pesante. Possiamo dire che in italiano la sillaba accentata deve avere una certa pesantezza, deve cioè avere una rima che ramifichi; se non ramifica grazie alla presenza di una coda consonantica, allora sarà il nucleo vocalico a ramificare allungandosi e raggiungendo la pesantezza necessaria. Un altro fenomeno che può essere spiegato facendo riferimento alla sillaba, ed in particolare alla rima, è il raddoppiamento sintattico, che si manifesta con l’allungamento della consonante iniziale di una parola che sia preceduta da vocale accentata. Anche questo fenomeno è motivato dalla condizione della rima forte; infatti si è visto che l’unica vocale accentata in sillaba aperta che non si allunga è quella finale di parola ed è proprio questa che condiziona l’allungamento consonantico nel RS. Il raddoppiamento sintattico è quindi un fenomeno di risillabificazione che fa sì che la consonante allungata venga divisa tra due sillabe formando nel primo segmento la coda della prima sillaba e nel secondo segmento l’onset (o parte di esso) della seconda sillaba; tale divisione della consonante in due sillabe diverse è resa possibile dall’allungamento, dato che una consonante lunga, come una vocale lunga, occupa due posizioni. Con il raddoppiamento sintattico si ha il riempimento di una coda ‘vuota’, cioè di un segmento temporale vuoto in posizione di coda, con i tratti della consonante che segue. Nel caso in cui la parola con sillaba accentata finale sia seguita da vocale o chiuda la frase, il segmento temporale rimane vuoto. Diamo alcuni esempi di sillabificazione nei casi di raddoppiamento sintattico (che si verifica anche con e - eppure - o - ovvero ossia oppure ma - macché): Pa.o.lo.eM.ma.ri.a.dor.mi.ran.no.dam.me San.dro.sa.se.èv.ve.ra.of.fal.sa? Mac.chév.vuo.le? Hov.vis.to.tu.a.so.rel.la E’p.par.ti.to.an.che.Gian.ni Hab.be.vu.to.du.e.li.tri.di.vi.no Pie.tro.had.det.to.chet.tor.ne.ran.no.tar.di So.cheM.ma.rio.si.èl.li.cen.zia.to Hod.do.man.da.to.lo.ro.sef.fa.ran.no.tut.to Sev.vie.ni.ci.di.ver.ti.re.mo Chef.fa.te.lu.ne.dì? Chem.man.gi.ac.co.la[t.ts]ione? Chit.te.l’had.det.to.chen.no.nèv.ve.ro? An.drò.ap.pren.de.re.la[d.dZ]ac.ca Hot.te.le.fo.na.to.am.mi.o.fra.tel.lo Ab.bia.mo.ce.na.to.daG.giu.lia Sia.mo.qui.daf.fi.ne.lu[L.L]o Qual.chev.vol.ta.do.vrem.mo.i[N.N]o.rar.lo ???Sie.te.ri.u[S.S]i.ti.af.fa.re.qual.chef.fo.to? No.na.vràp.po.tu.to.par.ti.re. Per.chél.leg.gi.tan.to? Pre.fe.rìr.ri.ma.ne.re I.o.hog.giàm.man.gia.to Hav.ven.ti.trév.vo.lu.mi.di.fi.si.ca E.ra.piùv.ve.lo.ce.di.Gio.van.ni Per.chés.sie.te.co.sìl.len.ti? A.vràs.si.cu.ra.men.te.ca.pi.to Non.l’hop.piùs.sen.ti.to Elenchiamo ora alcuni fenomeni fonologici di cui la sillaba costituisce il dominio di applicazione: - desonorizzazione/assordimento delle occlusive sonore in fine parola o in fine sillaba in alcune lingue germaniche; ad es. in tedesco Ra[t] ma Rae[d]er Ba[t] En[t]lich ma En[d]e Lan[t] laen[t]lich ma Ba[d]en - allungamento compensatorio che si verifica in alcune lingue in cui viene cancellata una coda consonantica allungando la vocale del nucleo; in greco antico alla terza persona plurale del presente indicativo: - όντσι(ν) > ούσι(ν) Lo statuto di [s] In italiano il segmento [s] si comporta in maniera eccezionale in vari casi: a) è l’unica consonante che può precedere un onset biconsonantico: sbrigarsi spremere straccio strada aspro istrice estraneo mostra In questi casi sembra essere violata la scala di sonorità all’interno della sillaba, in quanto la sibilante, essendo una fricativa, ha un grado di sonorità maggiore rispetto alla occlusiva che segue; b) è l’unica consonante che in un onset biconsonantico può essere seguita da una occlusiva, violando anche in questo caso la scala di sonorità: storia specchio scatola pasto vispo lasco c) è l’unica consonante che, se all’inizio di un nesso consonantico, non subisce raddoppiamento sintattico: farà strada ho spremuto il limone è sbarcato ieri d) è l’unica consonante non sonorante che può trovarsi in coda di sillaba senza essere geminata, cioè indipendentemente dall’onset della sillaba successiva: Mi presti il lapis azzurro? Questo rebus è troppo difficile Tutti questi comportamenti ‘eccezionali’ sono riconducibili al posto che [s] occupa nella struttura fonologica. Vediamoli nell’ordine: a-b) cominciamo dalla violazione della scala di sonorità: ad esempio cosa succede nella sillabificazione di parole come aspro - pasto? Se sillabifichiamo la s come onset, come ci prescrive la regola di massimizza l’onset oltre che le norme ortografiche, abbiamo una violazione della scala di sonorità, perché la s, fricativa, precede l’occlusiva pur avendo un maggiore grado di sonorità: a.spro pa.sto bi.sca Nonostante i criteri ortografici suggeriscano che nessi complessi del tipo s+C(+sonorante) possano essere onset ben formati, vi sono vari motivi per credere che questo non sia vero: - si è visto che la vocale tonica si allunga in sillaba aperta, ma non in sillaba chiusa: ‘pa:la ma ‘palla ‘ba:co ma ‘banco Secondo la sillabificazione proposta, con la a in sillaba aperta, ci aspetteremmo che la a di àspro - pàsto - bìsca, essendo tonica, fosse lunga; invece da studi di laboratorio fonetico risulta che tale vocale è breve, come quella di bar.ca: questo vuol dire che la s si sillabifica come coda della prima sillaba, e non come onset della seconda; essendo in sillaba chiusa, ci aspettiamo che la a sia breve. - la sillabazione di parole che contengono una [s] preconsonantica in sillaba non iniziale è l’errore più tipico dei bambini che imparano a scrivere, che tendono a mettere la s alla fine di una riga, seguendo il loro sistema fonologico piuttosto che le norme ortografiche. Quindi, a dispetto delle apparenze, in questi casi non c’è alcuna violazione della scala di sonorità, dato che la s viene analizzata come coda della sillaba precedente: as.pro pas.to bis.ca c) Il problema si pone però per la s in posizione iniziale di parola; in questo caso siamo obbligati a dire che la s è extrametrica, cioè non viene sillabificata con il resto della parola. Qusto ci porta al terzo problema: la s non subisce raddoppiamento sintattico se seguita da occlusiva (+sonorante): L’ho già strappato Perché scrivi tanto? Non hanno più sbagliato La vocale finale è in sillaba aperta ed è tonica, quindi deve allungarsi; si è visto che nel RS invece dell’allungamento si ha la creazione di una “coda”, cioè di una posizione X sull’asse dei segmenti temporali, che viene riempita con i tratti della consonante che segue. Però nel caso che la parola seguente inizi con s, la s non appartiene all’onset della prima sillaba, ma sillabifica direttamente con la vocale che precede e viene analizzata come coda dell’ultima sillaba della parola che precede; non c’è quindi bisogno di aggiungere un segmento o allungare un’altra consonante: L’ho già strappato Perché scrivi tanto? Non hanno più sbagliato Avrà staccato la corrente Farà strada Ho spremuto il limone E’ sbarcato ieri > > > > > > > L’hog.gjàs.trap.pa.to Per.chés.cri.vi.tan.to? Non.han.no.piùs.ba[L.L]a.to A.vràs.tac.ca.to.la.cor.ren.te Fa.ràs.tra.da Hos.pre.mu.to.il.li.mo.ne Es.bar.ca.to.je.ri Possiamo dire quindi che la s iniziale seguita da consonante sillabifica con la parola precedente, se possibile: ho usato lo straccio ho fatto la strada di casa vs vs l’ho pulito con stracci verdi sono passato per strade sterrate Quando la parola è iniziale di frase si ha un problema perché o si viola la scala di sonorità oppure la s non sillabifica: stai.ac.ca.sa Vi sono vari argomenti a favore di questa ipotesi: - in alcune lingue in parole inizianti con un nesso s+consonante viene inserita una vocale iniziale epentetica per formare un nucleo sillabico che favorisca la sillabazione di s: es.cue.la es.pe.ran.za es.cor.pion i.n is.tra.da i.n is.viz.ze.ra pe.r is.crit.to - gli articoli, le preposizioni articolate ed alcuni aggettivi prenominali (bello, buono, quello) subiscono la cancellazione/mancata inserzione della vocale finale quando la parola seguente inizia per vocale o con la maggior parte degli onset consonantici: un amico dell’eremita un buon amico quell’amico il bell’esempio un gatto al cinema un buon libro quel volume un bel tipo Tuttavia, la vocale è presente quando la parola seguente inizia con /s/ seguita da consonante; in questo modo si può risillabificare la s come coda della sillaba il cui nucleo è costituito dalla vocale stessa: los.tu.dio u.nos.pi.ra[L.L]o del.los.tu.den.te quel.los.tu.pi.do un bel.los.cher.zo un buo.nos.ti.mo.lo La stessa cosa succede nel caso delle consonanti lunghe in posizione intervocalica: ζ λ ñ ts dz; in questi casi il primo segmento della geminata viene sillabificato con la vocale del modificatore che precede: lo[d.dz]e.ro un bel.lo[ñ.ñ]o.mo al.la[ts.s]i.a quel.lo[S.S]e.mo Altri onset consonantici che hanno lo stesso comportamento del nesso /s/+C, cioè non inducono raddoppiamento sintattico e richiedono la presenza della vocale finale sono i nessi [pn][ps][ks], che introducono generalmente parole di origine straniera, cioè prestiti da altre lingue: lop.neu.ma.ti.co quel.lop.si.co.lo.go Gianni è psicologo > Hanno cambiato tré pneumatici > Non comprerò più ksilofoni > un buo.nok.si.lo.fo.no Gian.ni.èp.si.co.lo.go Han.no.cam.bia.to.trép.neu.ma.ti.ci Non.com.pre.ròp.piùk.si.lo.fo.ni Morfemi e allomorfi La morfologia è l’area della linguistica che studia la struttura delle parole, che vengono tipicamente analizzate come sequenze di uno o più morfemi. I morfemi sono sequenze di uno o più fonemi che costituiscono la più piccola unità linguistica dotata di significato. In linea di principio, sarebbe concepibile una lingua senza morfologia, dove i fonemi formano unità minime di significato che possono venire liberamente combinate per formare frasi; alcune lingue, come il cinese mandarino, si avvicinano molto a questo tipo linguistico “senza morfologia”. toys > morfema lessicale toy + morfema grammaticale s libri > morfema lessicale libr + morfema grammaticale i leggermente > morfema lessicale legger + morfema suffissale mente parlavano > morfema lessicale parl + vocale tematica a + morfema di tempo e modo v + morfema di persona e numero ano Un morfema può essere costituito da un solo fonema (ad esempio il morfema s del plurale inglese o il morfema i del plurale maschile italiano). Il morfema può coincidere con la parola, una parola può essere cioè formata da un solo morfema; in questo caso la parola si dice monomorfemica: bar ieri che sempre tribù La parola può essere però il risultato di una combinazione tra due morfemi (bimorfemiche) o più morfemi (plurimorfemiche): gatt+o veloce+mente ragazz+e croc+e+ross+in+a In fonologia abbiamo visto che un fonema può essere realizzato in vari modi, ma che queste differenze non sono distintive (come nel caso della nasale omorganica); anche in morfologia ritroviamo lo stesso fenomeno: il termine morfema indica una unità astratta che è rappresentata concretamente da un (allo)morfo, cioè un morfema può essere realizzato in modi diversi, che si dicono allomorfi: fonologia morfologia livello astratto fonema morfema livello concreto allofoni allomorfi Generalmente un morfema è rappresentato da un solo allomorfo; ma ci sono casi in cui un morfema può essere rappresentato da più allomorfi. Si è visto che il plurale regolare inglese è marcato graficamente con uno stesso morfema s; fonologicamente abbiamo uno stesso fonema /z/; dal punto di vista fonetico invece si riscontrano tre diverse realizzazioni allomorfiche: - [z] dopo consonanti sonore lab[z] dog[z] bed[z] - [s] dopo consonanti sorde lip[s] park[s] cat[s] - [Iz] dopo sibilanti ash[Iz] loss[Iz] bus[Iz] Come si è già accennato, si suppone generalmente che la forma sottostante del morfema sia quella che compare nel maggior numero di contesti, cioè /z/. Tale fono rimane sonoro se precede una consonante sonora; si inserisce una I (vocale alta anteriore rilassata) se precede una sibilante, si ha assimilazione perseverativa che desonorizza /z/ in [s] se precede una consonante sorda. Ognuno di questi tre allomorfi compare in contesti definiti in cui non possono comparire gli altri allomorfi; i tre allomorfi sono cioè in distribuzione complementare. Il morfema è dunque una nostra rappresentazione mentale che può presentarsi in una o più realizzazioni morfologiche dette allomorfi; essi hanno le stesse caratteristiche che abbiamo già esaminato per gli allofoni: - sono prevedibili sulla base del contesto (in genere in distribuzione complementare sulla base del contesto); - non sono distintivi, cioè il significato e le proprietà del morfema non cambiano. Vi sono due principi generali per l’analisi in morfemi: 1. forme che hanno significato uguale e forma fonemica uguale in tutte le occorrenze costituiscono un solo morfema; 2. forme che hanno lo stesso significato ma che sono diverse fonologicamente possono essere trattate come un morfema unico se la loro distribuzione è predicibile su base fonologica. Ad esempio, quanti prefissi aggettivali con significato negativo esistono in italiano? S In Ir A sfortunato ineguagliabile irragionevole amorale Dis Im Il An disabile immangiabile illogico analfabeta Queste otto realizzazioni sono tutti morfemi distinti o alcune di esse sono allomorfi di uno stesso morfema? Cominciamo dal caso più semplice: a/an; se sono allomorfi dello stesso morfema la loro distribuzione deve essere predicibile sulla base del contesto fonologico: a+critico an+abbagliante a+partitico an+alfabeta a+simmetrico an+archia Sembra che a si usi davanti a parole inizianti per consonante, mentre an davanti a parole inizianti per vocale. Inoltre, non esiste un aggettivo che prenda entrambi i prefissi, che sono perciò in distribuzione complementare; quindi a/an sono allomorfi di uno stesso morfema. Analizziamo adesso in/il/ir/im: anche qui il significato e le proprietà del morfema non cambiano (si attacca davanti ad aggettivi); la loro distribuzione è predicibile, perché la natura della consonante del morfema negativo è determinata dal fono iniziale dell’aggettivo: - i[l] se la parola che segue comincia per l: il-legale/il-logico/il-letterato - i[r] se la parola che segue comincia per r: ir-ragionevole/ir-razionale - i[m] se la parola che segue comincia per consonante bilabiale (m, p, b): im-mangiabile, im-materiale im-perdonabile, im-probabile, im-battutto, im-bevibile - i[n] se la parola che segue comincia per vocale o per consonante dentale/alveolare: in-abile, in-elegante, in-utile, in-intellegibile, in-operoso in-tollerabile, in-distruttibile, in-numerevole Distinguiamo quindi tre casi: - la consonante non cambia; - la consonante si assimila al punto di articolazione a quella seguente; - la consonante si assimila totalmente alle consonante seguente. Possiamo quindi sempre prevedere le possibili variazioni che il prefisso negativo in può subire sulla base della consonante seguente. Diremo quindi che in italiano esiste il morfema negativo in e che questo morfema ha diverse realizzazioni allomorfiche determinabili fonologicamente in base al contesto. Verifichiamo ora se il contesto di occorrenza di dis/s è predicibile: *s+onesto disonesto *s+abile disabile *s+incantato disincantato *s+educativo diseducativo ma: sconveniente *dis+conveniente scortese *dis+cortese sfortunato *dis+fortunato sleale *dis+leale Sulla base di questi dati potremmo analizzare s/dis come due allomorfi dello stesso morfema condizionati contestualmente, con dis quando l’aggettivo comincia per vocale, s quando comincia per consonante. Questa ipotesi non è confermata considerando altri dati: *s+continuo dis+continuo *s+giungibile dis+giungibile La comparsa dell’una o dell’altra forma non è motivata solo fonologicamente, dato che entrambe possono comparire nello stesso contesto fonologico, per esempio davanti a [k]: s+conveniente dis+continuo Le due forme non possono quindi essere considerate allomorfi dello stesso morfema, ma sono due morfemi diversi. Arriviamo alla conclusione che i morfemi di negazione dell’aggettivo in italiano sono non otto ma quattro, a- in- s- dis-, di cui i primi due possono realizzarsi in diverse varianti allofoniche. L’analisi morfemica permette di ridurre le unità osservabili (allomorfi) ad un numero ridotto di unità astratte (morfemi). Morfemi liberi/legati I morfemi possono essere: - liberi, quando possono occorrere da soli all’interno della frase: ieri per già Sono morfemi liberi alcune parole del nostro lessico. - legati, quando sono obbligati a cooccorrere con altri morfemi all’interno della stessa parola: -tore brucia+tore -ura frittura calzatura -o ramo Sono morfemi legati tutti gli affissi di una lingua e quindi tutti i suffissi, prefissi, infissi, sia derivazionali che flessivi. Morfemi lessicali/grammaticali I morfemi possono quindi essere distinti in: - lessicali, parole il cui significato non dipende dal contesto: frat(e), lenzuol(o), astut(o) - grammaticali, morfemi che esprimono funzioni grammaticali: -etto > fungh+etto -e > boll+e -i > parl+i di > l’anello di platino, un odore di fumo, il re di Francia La distinzione non è sempre netta: da parte di Osserviamo in una parola come gatta la presenza di due morfemi: gatt+a Dovrebbe essere abbastanza intuitivo che il primo morfema ha uno status diverso dal secondo: il primo morfema contiene il significato “essenziale” della parola (essa si riferisce ad un felino di dimensioni ridotte ed addomesticabile), mentre il secondo morfema fornisce alcune informazioni di carattere più generale, che qualificano il significato del primo morfema. Morfemi del primo tipo vengono chiamati morfemi lessicali, morfemi del secondo tipo vengono chiamati morfemi grammaticali. Molto spesso vi è una alternanza abbastanza regolare nelle lingue tra morfemi lessicali e morfemi grammaticali. Queste sono alcune delle caratteristiche che distinguono i morfemi lessicali dai morfemi grammaticali: – i morfemi lessicali possono riferirsi ad oggetti, concetti o eventi molto specifici; i morfemi grammaticali hanno significati più astratti e generici, che tipicamente si riferiscono a proprietà molto generali (genere, tempo, numero, ruolo nella frase, appartenenza a una certa classe grammaticale); – i morfemi lessicali sono una classe aperta, a cui si possono aggiungere nuovi elementi (per esempio, i termini dell’informatica sono per lo più prestiti recenti in italiano), mentre i morfemi grammaticali sono una classe chiusa (anche se non completamente, perché nuovi elementi possono essere aggiunti, molto raramente, in tempi lunghi); – in molte lingue, i morfemi lessicali sono morfemi liberi, cioè morfemi che possono costituire parole da soli (come gran parte dei morfemi lessicali inglesi: cat, sing, red), mentre i morfemi grammaticali usati per costruire parole insieme ai morfemi lessicali sono quasi sempre morfemi legati, che per formare parole devono venire combinati con almeno un morfema lessicale. Tipi di morfemi grammaticali: morfemi derivazionali e flessivi Possiamo distinguere due tipi di morfemi grammaticali: morfemi derivazionali e morfemi flessivi. I morfemi derivazionali sono usati per formare parole complesse nuove, per esempio cambiando la categoria della base da cui derivano (come nel verbo computerizzare derivato dal nome computer) e/o aggiungendo un significato nuovo alla parola, con una modificazione del significato originario che può essere anche piuttosto concreta e profonda (come in futurismo da futuro). I morfemi flessivi invece non modificano la categoria grammaticale della base a cui vengono aggiunti, e non ne cambiano il significato in maniera radicale; si limitano ad aggiungere una informazione di carattere molto generale (tempo, modo, numero, genere), o a marcare il ruolo che la parola ha nella frase (caso, fenomeni di accordo). Anche se il confine non è netto, l’intuizione alla base della distinzione tra derivazione e flessione è quella che i morfemi derivazionali creano parole nuove, mentre i morfemi flessivi creano forme diverse della stessa entità lessicale. Alcuni criteri per distinguere i morfemi derivazionali dai morfemi flessivi • I morfemi derivazionali tendono ad avere maggiori restrizioni, anche idiosincratiche, sulle basi con cui si possono combinare (devo dire aut+ista e benzin+aio, e non aut+aio e benzin+ista), mentre i morfemi flessivi tendono ad organizzarsi in paradigmi in cui ciascun morfema si può combinare con tutte le basi della classe rilevante (per esempio, una base verbale si combinerà con tutti i morfemi che marcano la persona, senza lacune arbitrarie nel paradigma). • I morfemi derivazionali tendono ad avere significati che sono più specifici di quelli, astratti e generici, che sono associati ai morfemi flessivi, e come tali tendono ad avere un impatto maggiore sul significato della base a cui si aggiungono: per esempio, la differenza in significato tra futuro e futurismo è molto più rilevante della differenza tra futurismo e futurismi. • Solo i morfemi derivazionali possono cambiare la categoria grammaticale di una base: deriva- (tema verbale) +zione > derivazione (nome) deriva- (tema verbale) +no > derivano (verbo) • I morfemi derivazionali hanno una tendenza a fondersi con le loro basi e trasformarne il significato in maniera radicale, spesso formando parole semanticamente opache, dove la nozione che si tratti di forme derivate si è persa o quasi (riparare non vuole dire parare di nuovo, un panciotto non è una piccola pancia); invece, i morfemi flessivi, non cambiando il significato della base in maniera radicale, non diventano semanticamente opachi (il morfema di terza persona plurale indica sempre una terza persona plurale). • I morfemi derivazionali tendono ad essere più vicini alla radice lessicale: per esempio, in moltissime lingue, tra cui l’italiano, il morfema che marca il numero deve seguire qualsiasi morfema derivazionale (diciamo gattino, e non gattoin). • I morfemi flessivi sono dipendenti dalle caratteristiche sintattiche della frase; per esempio, nella frase I bambini cantano il morfema flessivo -i richiede che si usi la forma dell’articolo plurale, e che il verbo abbia un morfema flessivo che indica pluralità (quale -ano). • Spesso, i morfemi flessivi sono obbligatori, mentre quelli derivazionali sono opzionali: posso dire sia gatto che gattino, ma non gatt (in italiano tutte le basi verbali e aggettivali e gran parte delle basi nominali sono morfemi o basi legate, che richiedono un morfema flessivo). La nozione strutturalista di morfema era basata sui seguenti assunti: - i morfemi sono unità atomiche omogenee e indivisibili di forma linguistica: nella parola farmers distinguiamo tre morfemi: farm+er+s - le parole sono esaustivamente composte da morfemi: in farmers non vi sono altri morfemi visibili; - ogni morfema è rappresentato fonologicamente da un morfo ed ogni morfo rappresenta un morfema: morfi farm er s morfemi coltivare persona che plurale - i morfi sono collegati unicamente a una forma fonemica di superfice: morfemi farm er s forma fonetica farm er z - i morfemi sono disposti in una struttura di costituenti immediati che corrisponde ad un indicatore sintagmatico che analizza la struttura interna della parola: farmers ^ farmer +s ^ farm + er Questa nozione di morfema funziona bene per le lingue agglutinanti (come il turco), che costruiscono le parole per aggiunta di segmenti ben individuabili, ma non funziona in modo altrettanto efficace per le lingue flessive (come le lingue indoeuropee antiche e in parte anche quelle moderne). Ci sono infatti diversi problemi empirici nel considerare una parola come una giustapposizione di morfemi uno dietro l’altro (secondo la nozione di morfema teorizzata dalla scuola strutturalista americana); in particolare i problemi sono dati dai seguenti casi: - infissi, circumfissi e morfemi discontinui mostrano che il morfema non sembra un’unità indivisibile: nel latino rumpo-rupi un infisso si infila all’interno di una parola, un morfema ne rompe un altro; un esempio di morfema discontinuo è il circumfisso ge-t/en con cui si forma il participio passato in tedesco: gemacht-gegangen; - i morfemi cumulativi (che accumulano vari significati) o i morfemi amalgamati mostrano che non è sempre possibile segmentare i vari morfemi: un esempio di morfema cumulativo si trova nella o di amo che ha sia il significato di prima persona singolare che di presente indicativo; la e del plurale italiano in lame ha sia funzione di plurale che di femminile (invece nello spagnolo las le due informazioni sono distinte); un esempio di coalescenza di morfemi si ha nel francese du che significa de+le, ma i due morfemi non sono più distinguibili. - morfologia sottrattiva, morfemi superflui e radici non riconducibili ad una base indipendente mostrano che le parole non sono sempre interamente segmentabili, ma che restano delle parti non analizzabili: un esempio di morfologia sottrattiva si ha in hessisch nel plurale hond dal singolare hon (cane); un esempio di morfema superfluo, cioè di marca ridondante, si trova nella a di amaramente (che presenta il morfema del femminile anche se amarmente sarebbe una parola possibile in italiano); un caso di struttura senza morfemi significativi si ha in ridurre, dove ri è un morfema, ma durre non è un verbo dell’italiano. - cambiamenti apofonici e metafonici della radice mostrano che la parola non è sempre data da una sequenza di morfemi, ma che a volte è la base stessa che viene modificata: un esempio di morfologia non concatenativa si ha nelle radici trisillabiche dell’arabo: kataba-scrisse, kutiba-fu scritto, kitab-libro, dove le tre consonanti di base restano le stesse e variano le vocali inserite; nei casi di Ablaut e Umlaut si nota un cambio della vocale radicale: sing sang sung o foot feet; un esempio di metatesi morfologica si ha in meteorologico/metereologico (in alcune lingue la metatesi è distintiva: ckwut ‘sparare’ vs cukwt ‘sparando’ in klallam, una lingua Salish). La nozione di morfema è una nozione problematica soprattutto perché non tutte le parole possono essere suddivise in porzioni coerenti di morfemi; e anche quando il morfema è identificabile, non è semplice attribuirgli un significato. Perciò la nozione di morfema non sembra adatta a costituire la base di una teoria morfologica e per le regole di formazione di parola. La teoria della parola come base Data la problematicità della nozione di morfema, assumeremo come primitivo della teoria morfologica la nozione di parola. Anche la nozione di parola è complessa perché si tratta di una unità di confine tra l’ambito fonologico, sintattico e semantico. C’è accordo sul fatto che non è possibile definire la nozione di parola una volta per tutte. Per la definizione di parola dal punto di vista fonologico sono state tentate varie strade, ma le seguenti definizioni non sono applicabili a tutte le lingue: - si può definire sulla base dell’accento solo in lingue che hanno l’accento sempre nella stessa posizione (come in francese); - si può definire sulla base di suoni ammessi solo in posizione finale, ma questi non ci sono in tutte le lingue. Si è visto che la parola fonologica viene definita come il dominio di applicazione di regole puramente fonologiche. Si ricordi la applicazione della regola di sonorizzazione della [s] intervocalica, in base a cui sono parole fonologiche le parole semplici, flesse, suffissate o prefissate con prefisso terminante in [s], ma non i composti o quelle prefissate con prefisso in vocale: ro[z]a ro[z]e ro[z]etta mi[z]antropo *tocca[z]ana *a[z]ociale *tu [z]enti La parola fonologica non coincide quindi con la parola morfologica , dato che dal punto di vista morfologico sono parole le parole semplici, flesse, suffissate, ma anche quelle prefissate e composte. Parola morfologica e parola sintattica coincidono, tuttavia tra morfologia e sintassi cambia la prospettiva, dato che la morfologia studia la struttura interna delle parole, mentre la sintassi analizza le relazioni esterne che una parola può intrattenere con altre parole di una stessa frase. In altri termini, la parola è il costituente massimo per la morfologia e quello minimo per la sintassi. Il confine tra una parola complessa, cioè formata da più di un morfema, e alcuni tipi di sintagmi non è sempre nettissimo, ma alcuni criteri, di natura ortografica, fonologia, sintattica e semantica, ci inducono a pensare che, almeno in lingue come l’italiano, sia bene mantenere tale distinzione, e distinguere dunque tra unità morfologiche (i morfemi) e sintattiche (le parole). Insieme, questi criteri presentano un caso piuttosto forte a favore dell’idea di studiare le unità che compongono le parole, e cioè i morfemi, indipendentemente dallo studio di come le parole stesse formino sintagmi e frasi (cioè, a favore dell’idea di distinguere lo studio della morfologia dallo studio della sintassi). La morfologia studia dunque come si compongono i morfemi all’interno delle parole, la sintassi come si compongono le parole all’interno della frase. Nella definizione della nozione di parola si possono adottare diversi criteri. Criteri ortografici Innanzitutto, in molte lingue (ma non in tutte – per es., non in greco antico né in giapponese) le parole vengono delimitate da spazi ortografici. Ad esempio, possiamo dire che i cani è un sintagma di due parole, ma cani è una parola complessa formata da due morfemi (can+i) perché nel primo caso, nella lingua scritta, inseriamo uno spazio tra le due parole, mentre nel secondo caso scriviamo i due morfemi senza inserire spazi. Cosa accade però nelle lingue che non sono scritte? La parola ha uno statuto di rappresentazione mentale anche in queste o no? Criteri fonologici Le parole tendono anche ad avere una maggiore coesione dal punto di vista fonologico: spesso, le restrizioni fonotattiche si applicano al livello di parola piuttosto che a livello di morfema o di frase. Per esempio, in italiano le parole non possono finire con la sequenza tr; tuttavia, i morfemi possono finire in una sequenza del genere: per esempio, teatr-; dunque, possiamo dire che, per esempio, teatr non è una parola possibile dell’italiano anche se, ovviamente, è un morfema possibile. Viceversa, all’interno di un sintagma ci sono tipicamente meno restrizioni fonotattiche; rer esempio, il bus scelto è un sintagma che contiene la sequenza /sS/, che invece non sarebbe permessa all’interno di parola. Come abbiamo già visto non sempre sono possibili distinzioni di questo tipo. Criteri sintattici Da un punto di vista sintattico, osserviamo che le parole possono essere separate da altre parole, mentre morfemi che appartengano alla stessa parola non possono essere separati da altre parole. Per esempio, possiamo dire sia i cani che i vecchi cani, ma non i can- vecchi -i. Inoltre usiamo il concetto di parola per definire parola, in modo circolare. Criteri semantici Da un punto di vista semantico, le parole complesse tendono ad avere una maggiore tendenza, rispetto ai sintagmi, a diventare semanticamente opache, ovvero, tendono più facilmente ad acquistare un significato che non è semplicemente la somma dei significati delle parti (morfemi). Per esempio, un padrino non è un padre di piccola stazza e rimanere certamente non vuol dire ‘manere di nuovo’. Vi sono quindi numerosi problemi con i criteri di identificazione delle parole: nessuno dei criteri che distinguono tra loro sintagmi e parole complesse è sempre valido, anche perché talvolta è davvero difficile stabilire se una certa forma sia un morfema o una parola. Dopo aver visto il concetto di parola morfologica e aver analizzato i vari tipi di morfemi ci possiamo chiedere: il lessico è basato su parole o su morfemi? In altre parole: quando creiamo parole nuove usiamo parole o morfemi? Assumeremo che nel lessico sono elencati non dei morfemi, ma delle parole e che la parola sia l’unità di base del nostro lessico. Vediamo qual è la base lessicale nel caso di verbi e nomi; nella forma verbale amavo possiamo suddividere: - radice: am (monomorfemica); - tema: am+a (bimofemico) radice + vocale tematica a - forma flessa: am+a+vo (trimorfemica) radice + tema + desinenza, dove la desinenza è ulteriormente scomponibile nei due morfemi v + o: la flessione del verbo porta sia informazioni relative al tempo sia tratti di accordo con il soggetto; in generale la flessione del verbo può esprimere informazioni relative a tempo, aspetto, modalità ed accordo (in alcune lingue anche con l'oggetto). In italiano la vocale tematica che indica se un verbo è della prima, seconda o terza coniugazione è data su base lessicale e non sulla base di classi semantiche di qualche tipo. Con il termine forma di citazione si intende la forma di una parola normalmente usata nei dizionari e nelle grammatiche. In italiano coincide con il singolare del nome (asta), con il maschile singolare dell’aggettivo (esperto), con l’infinito presente del verbo (nitrire). La scelta della forma di citazione (o lemma) è del tutto convenzionale. La forma di citazione non corrisponde quindi alla base lessicale, ma è una semplice convenzione che può variare (ad esempio la forma di citazione dell'italiano è l'infinito, quella del latino e del greco la prima persona singolare del presente indicativo). La forma di citazione non va quindi confusa con le unità di base di una teoria morfologica: *amministrare+zione *portare+tore amministra + bile/tivo/tore/zione amministra + i/vo/ssi porta + vo/tore/bagagli Che forma è quella di base? può essere il tema del verbo, la terza persona singolare del presente indicativo o la seconda persona singolare dell’ imperativo presente. L’analisi più economica è quella secondo cui la forma di base è il tema e la funzione della a è in tutti e tre i casi quella di indicare la prima coniugazione. Il tema verbale, che funge da base della morfologia verbale, non è però una parola esistente, ma una parola astratta. Anche per la morfologia nominale dovremo assumere che esistano temi astratti formati da radice + vocale tematica: castor+o felc+e astratt+o elegant+e La vocale tematica avrà nel nome e nell’aggettivo la stessa funzione che ha nel verbo: determinare l’appartenenza della radice ad una classe flessiva. Quindi castoro/nuota saranno entrambe sia delle forme astratte che delle forme flesse: nuota + i > nuot(a)i castoro + i > castor(o)i Anche se un nome come banca si può scomporre in banc+a assumiamo che la base sia tutta la parola, perché partendo da banc ed applicando una regola che aggiunge un morfema, non sapremmo come fare per aggiungere a piuttosto che o; il nostro lessico conterrà quindi il lessema banca, che sarà la base per la formazione di parole quali bancario/banchiere. Quindi nella formazione di parole complesse usiamo come base la parola astratta, cioè la forma di base che è immagazzinata nel nostro lessico mentale. Per l’italiano è quindi possibile sostenere l’ipotesi di una morfologia basata sulle parole a patto che la nozione di parola non coincida necessariamente con la nozione di parola esistente o di forma di citazione, ma sia interpretata come parola ‘astratta’ e cioè come ‘tema’. Le Regole di Formazione di Parola La formazione delle parole è un processo attraverso cui, a partire da unità ‘esistenti’, si formano unità ‘nuove’: questo processo è governato dalle Regole di Formazione di Parola. Le regole morfologiche hanno la funzione di generare tutte le parole di una lingua a partire dagli elementi di base. Analizziamo ora alcune comuni regole usate da varie lingue per formare parole complesse. La composizione e la derivazione sono i due processi che rientrano nella formazione delle parole: capo+stazione utile+ità I due processi si differenziano perché la prima combina due forme libere mentre la seconda combina una forma libera ed una legata. Una RFP specifica sia l’etichetta della/e base/i che quella della parola risultante. Composizione La composizione permette di formare una singola parola unendo due parole. La composizione è, di tutti i processi morfologici, quello più vicino alla sintassi: capostazione = capo della stazione sottoscala = sotto la scala portafiori = porta i fiori Possiamo formalizzare il processo di composizione nel modo seguente: [ ]X [ ]Y > [ [ ]X [ ]Y ]Z [porta]V , [ombrelli]N > [ [porta]V + [ombrelli]N ]N In italiano nel caso della composizione le basi possono essere N-A-V-P, mentre le categorie in uscita sono N, o, meno spesso, A; cioè, l’italiano non ha verbi, avverbi o preposizioni composti. [capo]N+[stazione]N > N [agro]A+[dolce]A > A [sali]V+[scendi]V > N qui l’unione di due verbi dà in uscita un nome [campo]N + [santo]A > N [lava]V + [piatti]N > N [alto]A + [piano]N > N [senza]P + [tetto]N > N Un modello di composizione abbastanza comune in italiano è quello che forma nomi da una base verbale che è ambigua tra tre forme: a) tema del verbo; b) terza singolare dell’indicativo presente; c) imperativo. Nel caso della prima coniugazione la base è ambigua tra queste tre forme, nella seconda e terza coniugazione invece si vede che la forma sembra essere un imperativo, perché se il verbo fosse un tema ci aspetteremmo una -e: 1° coniug: porta-ombrelli, attacca-panni, salva-gente, gratta-capo ma 2° coniug: appendi-abiti, scendi-letto, reggi-mensole 3° coniug: apri-scatole, copri-letto In molte lingue, si possono formare parole nuove combinando due o più morfemi lessicali; per esempio, nelle lingue germaniche la composizione nominale (cioè di una serie di radici nominali) è un fenomeno che si incontra di frequente; così, in tedesco possiamo per esempio avere parole composte molto lunghe, quali Wassersportverein “circolo degli sport d’acqua”, che è data da una combinazione di tre morfemi lessicali liberi: Wasser “acqua”+ Sport “sport” + Verein “circolo”. Lo stesso tipo di costruzione esiste in inglese, anche se i composti si scrivono più raramente come una singola sequenza ortografica: water sport club (o watersport club o addirittura watersports club) Si noti che i composti hanno tipicamente un morfema lessicale che fornisce al composto le caratteristiche sintattiche e semantiche di base; ci riferiamo a tale elemento con il nome di testa, mentre per gli altri elementi usiamo il termine di modificatori. Per esempio, la testa di Wassersportverein è Verein, ed infatti questo composto è maschile come Verein. Inoltre, dal punto di vista semantico possiamo osservare che un Wassersportverein è un tipo di Verein, e non un tipo di Wasser, o un tipo di Sport. Derivazione All’interno della derivazione possiamo distinguere varie forme di affissazione (suffissazione, prefissazione ed infissazione) tramite le quali i morfemi grammaticali legati vengono combinati con radici e basi. I processi più comuni di formazione di parole complesse consistono nell’aggiungere prima o dopo di un singolo morfema lessicale (libero o legato) uno o più morfemi derivazionali (e/o flessivi) che sono legati. Ci riferiamo a tali morfemi grammaticali legati con il termine di affissi. Tipicamente, un certo affisso avrà delle restrizioni sul tipo di base a cui si può attaccare; queste restrizioni riguardano: - il tipo di categoria a cui il suffisso o il prefisso si attacca; - i tratti semantici che la base deve avere. Possiamo formalizzare come segue le regole di suffissazione e prefissazione: Suffissazione [ ]X > [ [ ]X + Suf ]Y [inverno]N > [[inverno]N + ale]A [ ]X > [ Pref + [ ]X ]X [vedere]V > [ri + [vedere]V ]V Prefissazione Suffissazione e prefissazione sono processi simili, in quanto in entrambi i casi abbiamo la formazione di una parola nuova tramite l’aggiunta di una forma legata ad una forma libera. I due processi si differenziano perché: a) la suffissazione aggiunge un morfema legato a destra della parola base, mentre la prefissazione aggiunge un morfema legato a sinistra della base: prefissazione: suffissazione: in+attivo s+fortunato attiv+ità invern+ale ex+presidente veloc+ista ri+scrivere magistrat+ura Quindi, gli affissi che seguono la base si chiamano suffissi, gli affissi che precedono la base si chiamano prefissi. b) la prefissazione non cambia la categoria lessicale della parola a cui si aggiunge, mentre la suffissazione può cambiarla: fortunato A > sfortunato A presidente N > expresidente N scrivere V > riscrivere V In particolare, la suffissazione può creare i seguenti cambiamenti di categoria (dove ogni categoria lessicale maggiore N-A-V può diventare qualsiasi altra categoria lessicale maggiore): N>V N>A atomo > atomizzare inverno > invernale V>N V>A A>N A>V A > Avv circolare > circolazione mangiare > mangiabile attivo > attività veloce > velocizzare gentile > gentilmente inoltre c) i suffissi mostrano una maggiore tendenza a fondersi fonologicamente con le basi rispetto ai prefissi: la suffissazione generalmente cambia la posizione dell’accento della parola di base, la prefissazione no; questo accade perché, come si è visto quando abbiamo parlato di parola fonologica, solo i suffissi (e un tipo di prefisso) formano un’unica parola fonologica con la base: onèsto disonèsto onestamente moràle amoràle moralìsmo L’infissazione, cioè l’inserimento di un infisso all’interno di una parola, è un processo meno diffuso (l’italiano ad esempio non dispone di infissi per la formazione di parole nuove): finire finiamo finite finisco finiscono [Greenberg 1966] ha osservato che, tra le lingue, i suffissi sono molto più comuni dei prefissi. Secondo [Hawkins e Cutler 1988] questa asimmetria deriva dal fatto che, dal punto di vista del ricevente di un messaggio linguistico (parlato o scritto), i suffissi e i prefissi hanno uno status diverso: i suffissi seguono il morfema lessicale a cui si appoggiano, e dunque vengono sentiti o letti dopo che la base è stata riconosciuta; i prefissi, invece, precedono il morfema lessicale a cui si appoggiano, e dunque vengono sentiti o letti prima che la base sia stata riconosciuta. E’ interessante notare che, anche in una lingua come l’italiano, che permette sia prefissi che suffissi, la suffissazione sembra essere, per vari aspetti, il sistema preferito per formare parole complesse: - la morfologia flessiva dell’italiano (e di molte altre lingue indo-europee) sia interamente basata sui suffissi. - nell’ambito della morfologia derivazionale, solo i suffissi vengono usati per cambiare la categoria sintattica delle basi lessicali (le parole prefissate hanno sempre la stessa classe delle forme da cui derivano); - solo i suffissi vengono usati per la morfologia alterativa, che in italiano è molto ricca (accrescitivi gattone, diminutivi gattino, vezzeggiativi gattuccio). In generale, anche limitandosi alla derivazione, abbiamo a disposizione molti più suffissi che prefissi. Nell’indice di [Dardano 1978] si contano più o meno 138 suffissi derivazionali, ma solo 73 prefissi. La struttura interna delle parole complesse Abbiamo visto che possiamo formalizzare le regole di composizione, suffissazione e prefissazione tramite rappresentazioni con parentesi etichettate; a queste corrispondono dei diagrammi ad albero: N A V / \ / \ / \ V N N Suf Pref V porta ombrelli inverno ale ri vedere Una RFP specifica l’insieme delle parole su cui può operare; tale insieme si definisce base della regola: Y / \ X Suf La base alla quale un suffisso si può aggiungere è l’insieme delle parole che possono sostituire X. Il suffisso determina la categoria lessicale della base che seleziona, ma specifica anche i tratti semantici associati alle unità cui può aggiungersi, in tal modo si garantisce che la stringa X + Suf (Y) sia una parola ben formata. Suf = -iera X = cappello/sale/uccello/formaggio X = N [+comune -astratto] Suf = -oso affannoso/decoroso/dignitoso/famoso/vigoroso/spaventoso/ vertiginoso/pericoloso/rumoroso/timoroso/doloroso/virtuoso * verdoso/allegroso/contentoso * cantaoso/amaoso/disperoso * Giannioso/Paoloso/Pieroso * ragazzoso/donnoso/bimboso [ [ ]N + oso] [+ com] (no aggettivi) (no verbi) (no nomi propri) (no nomi animati) [+ astr] [- anim] nomi concreti :* tavoloso/vestitoso/lampadoso ma > acquoso/bilioso/carnoso/danaroso/fosforoso/sciropposo/zuccheroso [ [ ]N + oso]A [+ com] [- anim] Se prendiamo il suffiso –bile, X=V e Y=A Se prendiamo il suffiso –mento, X=V e Y=N amabile/spendibile/sperabile collocamento/innalzamento Semantica delle RFP Nelle lingue a morfologia concatenativa, ogni RFP specifica una singola operazione di aggiunta compiuta sulla base, indicando la categoria lessicale ed i tratti sintattico-semantici della base, ed una lettura semantica che è genralmente una funzione della lettura semantica della base. La parte semantica della regola corrisponde ad una lettura composizionale che viene data generalmente in forma di parafrasi: desidera+bile > ‘che può essere desiderato’ virtu+oso > ‘dotato di virtù’ I suffissi determinano la categoria della parola risultante e aggiungono anche delle caratteristiche semantiche. es: -aio indica la persona che vende una certa cosa vino+aio = vinaio ‘persona che vende vino’ giornale+aio = giornalaio ‘persona che vende giornali’ verdura+aio = verduraio ‘persona che vende verdura’ benzina+aio = benzinaio ‘persona che vende benzina’ Quindi sia la base sia l’affisso concorrono alla semantica della parola risultante dalla derivazione; tuttavia, il significato delle parole in –aio consta di una parte fissa (‘persona che vende’) ed una varilabile; la parte fissa è introdotta dal suffisso, mentre la parte variabile corrisponde al nome base : ‘persona che vende N’ dove N è la base se consideriamo però orologiaio ‘persona che svolge una attività connessa con N’ individuabile/osservabile/mangiabile > ‘che può essere X-ato’ dove X è il verbo transitivo base La semantica di una RFP è trasparente o composizionale (cioè il significato della parola complessa si può ricavare dal significato degli elementi componenti) quando la regola è produttiva. Alcune caratteristiche/assunzioni relative alle RFP a) le RFP sono regole ‘lessicali’ in italiano, cioè regole del componente lessicale che non possono coinvolgere unità sintattiche: portafiori *porta i fiori fioraio *porta i fior[aio] b) le RFP sono facoltative nel senso che non vi è nessun livello linguistico che richieda la presenza di una ‘parola complessa’; esse hanno due funzioni: rendono conto non solo delle parole ‘nuove’ ma anche della struttura interna delle ‘parole esistenti’; c) vi è una distinzione cruciale tra le nozioni di ‘parola’ ed ‘affisso’ rispetto al livello di rappresentazione: mentre le parole sono immagazzinate nel lessico, gli affissi sono collocati ad un livello più basso, cioè nel (sotto)componente delle RFP; ciò significa che essi sono entità di natura diversa: mentre le parole sono associate ad informazioni ‘categoriali’, gli affissi sono associati anche ad informazioni ‘relazionali’; la rappresentazione di un affisso è quindi la RFP che aggiunge l’affisso ad una certa base. Le RFP sono regole che formano parole complesse ed agiscono esclusivamente entro il componente lessicale, cosicché possono prendere come base solo parole. d) le RFP costruiscono struttura: mentre le parole semplici non hanno struttura interna le parole complesse hanno struttura interna: [ieri][ogni] ma [[veloce]mente][amministra[zione]] Vi è struttura interna se vi sono parentesi interne o se l’albero presenta almeno una ramificazione. Ad ogni passaggio si forma una parola ‘esistente’; nella applicazione della regola si rispetta una ciclicità, nel senso che una parola derivata può servire come base ad altre parole derivate; si aggiunge cioè un solo affisso per volta. e) le RFP agiscono su parole: oggi è largamente accettata l’ipotesi che le RFP agiscono su parole e non su morfemi. Una parola come torinese non risulterà da Torin + ese ma piuttosto da Torino + ese (con cancellazione della o); lettura non risulterà da lett+ura, ma da letto + ura (con cancellazione della o); analogamente: pericolo+oso > percoloso benzina+aio > benzinaio arte + ista > artista Partendo da parole esistenti e non dai morfemi, ci serve una regola di cancellazione per eliminare la vocale finale della parola di base; questa regola si applica in modo sistematico quando si ha l’incontro di due vocali. Se consideriamo la suffissazione, l’ipotesi che le RFP agiscono su parole sembra quindi più costosa rispetto alla alternativa; ma considerando composizione e prefissazione sembra vero il contrario, perché servirebbero regole di inserimento di morfemi: [cap+o]+[stazion+e] [pre+[esam+e]] f) produttività delle RFP: le RFP possono essere più o meno produttive; la nozione di produttività è connessa alla facoltatività delle RFP; essa esiste perché le RFP ‘possono’ applicarsi a determinate basi. Tuttavia la produttività di una RFP non è identificabile con la frequenza con cui essa si applica né, di conseguenza, con il numero di parole che essa forma. Bisogna considerare piuttosto le restrizioni imposte sulle parole che possono essere usate come base di applicazione della regola. I suffussi -mento e –zione formano N da V una base –eggiare favorisce –mento amoreggiare >amoreggiamento cannoneggiare > cannoneggiamento corteggiare > corteggiamento festeggiare > festeggiamento una base –izzare favorisce –zione banalizzare > banalizzazione carbonizzare > carbonizzazione evangelizzare > evangelizzazione magnetizzare > magnetizzazione Si può parlare quindi di gradi diversi di produttività di una regola rispetto ad una classe di basi, e non di produttività in senso assoluto; inoltre, si può parlare di produttività solo per le regole che si aggiungono ad un ampio numero di classi di basi: evole/ido+ezza socievolezza/mutevolezza timidezza/ ace/ale/bile+ità loquacità/capacità liberalità/banalità irritabilità La produttività dipende anche dalla facilità con cui un affisso si aggiunge alla propria base. g) Centro e periferia delle RFP: le RFP colgono un centro di regolarità rispetto al quale esiste una piccola periferia di irregolarità (dovuta a resti, prestiti, evoluzioni particolari): -bile si aggiunge a -verbi ma papabile, tascabile, camionabile -transitivi ma risibile, accessibile, deperibile, inarrivabile Come si fa a scomporre una parola derivata? La maggioranza dei processi morfologici in italiano è di tipo concatenativo; un affisso si aggiunge ad una base, un secondo affisso si aggiunge alla nuova base; si è proposto che la affissazione sia intesa come un processo ciclico che procede dall’interno verso l’esterno, cioè che ogni RFP aggiunga un solo affisso alla volta. a) si individua la base lessicale: distinguere composizione da affissazione! b) attenzione: questa base deve essere una parola astratta ma possibile, non un pezzo di parola [[giornale]N +aio]N non [[giornal]N +aio]N Ci sono poi delle regole di riaggiustamento che eliminano alcune porzioni: in questo caso ad esempio abbiamo due vocali vicine, quindi una cade per cancellazione. Si noti tuttavia che non in tutti i casi è possibile risolvere i riaggiustamenti con la fonologia. c) si determina la categoria della base e la si segna in basso sotto la parentesi quadra d) si analizzano gli affissi partendo da quello più vicino alla base: si aggiunge una seconda parentesi dopo l’affisso e si mette la categoria determinata dal suffisso sotto la parentesi [[[[industria]N ale]A izza]V zione]N qui è scomparsa la re del suffisso -izzare, questa non sembra una regola fonologica di quelle che abbiamo trattato in precedenza. La definizione precisa delle regole di riaggiustamento e il loro statuto nella grammatica resta un problema aperto. [[[volontà]N +ario]A +ato]N [[[[industria]N +ale]A +izza(re)]V +zione]N [[[centro]N +ale]A +ità]N [[in+ [[evita(re)]V +bile]A]A+mente]Avv [[ri+ [[formula]N + a(re)]V]V + zione]N [[ri+ [[frequente]A + a(re)]V]V + zione]N [pre+ [[[pensione]N + a(re)]V +mento]N]N Restrizioni sulle RFP Bisogna formulare delle restrizioni sulle RFP in modo da determinare: - a che tipo di informazioni esse possono avere accesso; - quale tipo di operazioni esse possono effettuare. Restrizioni sulla base (che corrisponde all’insieme di parole alle quali la regola può essere applicata): 1. restrizioni fonologiche: le RFP sono soggette ad una restrizione fonologica quando il loro mancato funzionamento dipende soltanto da fattori fonologici; cioè l’applicazione di una regola non deve dar luogo a sequenze fonologiche malformate. Ad esempio il prefisso negativo s- in italiano non si aggiunge ad aggettivi inizianti per [tS],[dZ], [s], perché queste non sono sequenze iniziali possibili in italiano (si noti però che non si aggiunge neppure ad aggettivi inizianti per vocale, probabilmente per ragioni di visibilità del prefisso): sfortunato sleale scorretto *scivile (*sumano *sgiusto *sabitato *ssicuro *sonesto) 2. restrizioni morfologiche: una data RFP non si può applicare a parole con una certa struttura morfologica; vi sono cioè alcune incompatibilità tra affissi. Ad esempio il suffisso -ale si aggiunge ad N e crea A: sacramentale strumentale monumentale Non si aggiunge però a nomi che terminano in –mento che abbiano come base un verbo: *discernimentale *arrangiamentale *collegamentale La mancata applicazione della regola dipende dalla struttura interna della base, che deve essere diversa da V+mento. Altro caso è quello dei nomi deverbali astratti derivati da verbi parasintetici (formati con l’aggiunta di un suffisso ed un prefisso); a verbi della terza coniugazione (con vocale tematica i) si può applicare il suffisso –mento, mentre a verbi della prima (con vocale tematica a) possono essere applicati vari suffissi nominalizzanti: alleggerimento-approfondimento-arricchimento-inasprimento-impoverimento allargamento-imboccatura-scarcerazione-atterraggio-inchiodata 3. restrizioni categoriali/sintattiche: la base di norma è un membro di una categoria lessicale maggiore; essa deve essere della categoria appropriata alle necessità dell’affisso: ad esempio non si può aggiungere oso ad un V, o bile ad un N. In derivazione abbiamo in entrata N-A-V ed in uscita anche Avv; nel caso della composizione le basi possono essere N-A-V-P, mentre le categorie in uscita sono solo A o N. Le RFP sono sensibili anche ai tratti di sottocategorizzazione della base: -bile si attacca a verbi [+transitivo], -aio a nomi [+comune][-astratto] *gloriaio*futuraio Quindi tutte le informazioni sintattiche presenti nella rappresentazione di una parola possono influenzare i processi derivazionali. 4. restrizioni semantiche: gli affissi ‘selezionano’ la loro base anche in relazione al significato; le RFP operano delle distinzioni in relazione ai vari possibili significati della parola base. Un certo affisso può scegliere un solo valore di una certa base: ‘che piace a molti’ > impopolare popolare ‘della gente’ >* ‘essere attaccato’ > aderente - adesivo *adesione ‘parteggiare’ > aderente - adesione *adesivo ‘cercare di riuscire’ > tentativo *tentatore *tentazione aderire tentare ‘cercare di corrompere’> *tentativo tentatore tentazione ‘acre’ > *acidamente acido ‘maligno’ > acidamente ‘riflettente’ > *lucidamente lucido rigido > extralucido ma ‘cosciente’ > lucidamente > *extralucido ‘non pieghevole’ > *rigidamente ma ‘severo’ > rigidamente > semirigido > *semirigido Restrizioni sull’uscita: 1. sintattica: ogni parola nuova creata da una RFP deve essere un membro di una categoria lessicale maggiore: A-V-N-(Avv). Si è visto che l’uscita di una RFP è una struttura con parentesizzazione etichettata dove sono specificate sia la categoria dell’entrata che la categoria dell’uscita insieme al confine richiesto dalla regola; quando ad una base si applicano più RFP, l’intera struttura costruita nella derivazione viene mantenuta: [[[[industria]N ale]A izza(re)]V zione]N 2. semantica: il significato dell’uscita di una RFP è una funzione del significato della base (funzione che viene espressa dal suffisso); il significato dell’uscita viene rappresentato da una parafrasi contenente una variabile: [[X]V + ura]N [[X]V + bile]A [in + [X]A]A ‘l’azione del X-are’ ‘che può essere X-ato’ ‘non X’ filatura trascurabile inesperto Il significato di una parola complessa è composizionale solo quando questa viene creata da una regola sincronicamente produttiva; con il tempo essa può acquisire significati non più derivabili dai suoi componenti, può cioè subire una deriva semantica: ‘persona che abitualmente o professionalmente osserva’ osservatore ‘chi partecipa a convegni o congressi ossservando ciò che vi accade senza presentare relazioni’ ‘azione del friggere’- nome astratto frittura ‘pesce fritto’- nome risultato In alcuni casi la semantica della parola in uscita non è prevedibile anche se il processo è regolare e produttivo; ad esempio il suffisso –tore (ma anche –ino) è diventato ambiguo tra nome d’agente e nome strumentale, cioè può indicare in alcuni casi la persona che professionalmente o abitualmente compie una certa azione ed in altri casi uno strumento utilizzato per svolgere una certa azione: lavoratore- nuotatore- usurpatore- cospiratore bruciatore- apiratore- estintore- refrigeratore postino- bagnino vs frullino-passino decifratore-sollevatore-ungitore possono avere entrambe le letture Tratti di strato Il lessico di una lingua è stratificato, nel senso che è costituito da vari strati (dovuti spesso a contatti tra sistemi linguistici o a prestiti); per cogliere questo fatto, è stato proposto un sistema di ‘tratti di strato’ in cui lo strato [+nativo] è quello centrale di una data lingua, mentre quello [-nativo] definisce gli strati periferici che spesso riflettono le vicende storiche ed i contatti culturali della lingua in questione. Distinzioni di questo tipo sono rilevanti per le RFP perché affissi diversi possono scegliere strati lessicali diversi. Produttività e frequenza Non tutti i processi di derivazione hanno lo stesso grado di produttività, cioè, non tutti i processi hanno la stessa probabilità di venire usati per formare parole nuove. Per es., cfr. ri- vs. re-, -are vs. -ire, -ità vs. -ezza, -zione vs. -nza. . . Vari fattori determinano la maggiore o minore produttività di un affisso del processo morfologico che ne fa uso. Un fattore importante, anche se non quello cruciale, è la frequenza con cui l’affisso viene usato in parole già esistenti. Intuitivamente, più sono le parole, e soprattutto le parole trasparenti, in cui un affisso viene usato, più sarà facile che il parlante decida di usare l’affisso per creare parole nuove. Si noti che quello che conta è il numero di parole diverse in cui un affisso capita, piuttosto che la frequenza di tali parole: cioè, un prefisso che capita in 100 parole poco frequenti sarà probabilmente più produttivo di un prefisso che capita in una o due parole frequentissime. In altre parole, ciò che conta è la type frequency (frequenza in una lista di parole), e non la token frequency (frequenza in un corpus). Ad esempio, il fatto che la (o le) coniugazione(/i) in -ere dell’italiano contengano verbi molto frequenti come essere, avere e potere non basta a rendere tale(/i) classe(/i) produttiva(/e) – il fattore determinante che rende la coniugazione in -are la più produttiva è che ci sono un gran numero di verbi distinti (molti a bassissima frequenza) che appartengono a questa coniugazione (secondo [Albright 2002b], il 72% dei verbi italiani appartengono alla coniugazione in -are). La produttività di una regola ha a che fare con la sua trasparenza: il significato della parola risultante dalla RFP è la somma dei significati delle parti che la compongono. La regola è produttiva se viene sentita tale dai parlanti, cioè se i parlanti la applicano quando formano parole nuove e la usano per capire parole nuove. Un modo per testare la produttività di una regola è dare delle non-parole a dei parlanti madrelingua e chiedere di applicare una RFP. Una parola può rimanere a lungo nel lessico lessicalizzandosi, acquistando un significato idiomatico che non è desumibile dagli elementi costitutivi: tavolaccio > giaciglio del prigioniero passabile > accettabile I.Generalità Per mostrare che noi abbiamo delle conoscenze innate sulla struttura sintattica della nostra lingua, facciamo il seguente esperimento: come possiamo suddividere in due parti questa frase? Ho visto / un gatto nero Il bambino / mangia / la mela A dimostrazione del fatto che la nostra competenza linguistica nel componente sintattico si applica anche a parole possibili ma inesistenti dal nostro dizionario mentale, è stato fatto l’esperimento seguente: I gorpotti smionarono le fibe I gorpotti smionavano/smioneranno le fibe Il gorpotto smionò la fiba 1. Relazioni sintattiche Possiamo definire la sintassi come lo studio dei principi che sottostanno alle possibilità di combinazione delle parole. Le relazioni sintattiche interessano spesso parole adiacenti o contigue, ma possono anche riguardare elementi lontani fra loro: Quello studente frequenta molti corsi L’accordo si realizza tra un nome ed il verbo più vicino? No: Lo studente che molti professori conoscono si chiama Antonio Gli esami che questo studente ha superato sono molti Lo studente e la studentessa hanno superato l’esame Relazioni sintattiche come quella di accordo si conservano ad una distanza potenzialmente illimitata: Quanti studenti hanno superato l’esame? Quanti studenti credi che abbiano superato l’esame? Quanti studenti credi che Giorgio presuma che abbiano superato l’esame? Che cosa ha comprato? Che cosa hai detto che ha comprato? Che cosa hai detto che Gianni pensa che abbia comprato? Esistono anche relazioni sintattiche tra frasi diverse; vi è ad esempio una corrispondenza sistematica tra le funzioni grammaticali delle frasi attive e quelle passive: Lo studente ha superato l’esame L’esame è stato superato (dallo studente) La possibilità di relazioni sintattiche che due elementi possono intrattenere e conservare a distanza potenzialmente illimitata rivelano l’esistenza di una struttura astratta sottostante alle espressioni linguistiche. 2. Le intuizioni sulla grammaticalità La nozione di grammaticalità è da intendere, descrittivamente, come equivalente a quella di buona formazione di una data combinazione di parole secondo l’intuizione di un parlante nativo: John is my best friend Conosci te stesso! Analogamente, la agrammaticalità di una data struttura corrisponderà alla errata combinazione o sequenza di elementi in base al giudizio intuitivo del parlante: *sotto vai il *quando paglia anche *furiously sleep ideas green colourless Le intuizioni sulla grammaticalità di una data sequenza di parole costituiscono parte della competenza grammaticale, largamente inconscia, del parlante di una determinata lingua, che ha la capacità di dare giudizi di buona formazione su parole, sintagmi e frasi della propria lingua madre, cioè di giudicare se particolari espressioni sono grammaticali o meno. Un secondo tipo di evidenza introspettiva sulla natura della competenza grammaticale riguarda le intuizioni del parlante nativo sull’interpretazione delle frasi, che sarà in grado di dire che le seguenti sequenze sono ambigue: Gianni gli ha promesso di partire (controllo del soggetto) Gianni gli ha permesso di partire (controllo dell’oggetto) Gianni è sicuro che abbiano parlato anche di lui/??sé Gianni è sicuro di aver parlato anche di sé/lui Gianni la stima più di Maria – più di quanto stima Maria - più di quanto Maria la stima Gianni non potrebbe andare alla festa Gianni potrebbe non andare alla festa Gianni ha visto Maria con il cannocchiale Chi ha visto Maria? Ogni parlante possiede quindi una conoscenza intuitiva implicita delle possibili relazioni sintattiche esistenti tra le parole nella sua lingua, ed il linguista ha come obiettivo ultimo quello di fornire una descrizione esplicita di tale competenza. La base empirica della sintassi, cioè i dati linguistici da interpretare e spiegare, sono costituiti appunto dalle intuizioni, i giudizi di grammaticalità dei parlanti nativi. 3. Grammaticalità ed accettabilità, competenza ed esecuzione E’ tuttavia necessario distinguere tra grammaticalità e correttezza, due nozioni che riflettono rispettivamente un atteggiamento descrittivo e prescrittivo rispetto alla produzione linguistica dei parlanti: Venerdì essi partiranno Ho regalato loro un libro Hanno regalato un libro a Gianni libro Venerdì loro partiranno Gli ho regalato un libro A Gianni, gli hanno regalato un Bisogna inoltre distinguere tra grammaticalità ed accettabilità; accanto a sequenze chiaramente agrammaticali, troviamo strutture sintatticamente ben formate che possono non avere significato, essere cioè semanticamente o pragmaticamente anomale, nel senso che esprimono situazioni che non sono conformi alla nostra visione del mondo o non sono adeguate ad una determinata situazione comunicativa: Bisognerebbe riparare la sedia felice [vs la sedia rotto] Giulia ha disegnato un quadrato rotondo [vs un giardino rotonda] Le strutture possono essere pragmaticamente anomale (b): semanticamente anomale (a) o (a) Colourless green ideas sleep furiously Gianni ha ucciso Maria, ma Maria non è morta Gianni ha ucciso la pietra che lo disturbava tanto Un geraneo onesto è sempre il miglior amico (b) Dov’è Gianni? (in un contesto in cui nessuno lo conosce) Come stai? Domani è sabato (richiede delle implicature conversazionali per essere adeguata). Ne deduciamo che buona formazione e accettabilità, intesa come significatività/utilizzabilità, non necessariamente coincidono. La distinzione tra grammaticalità ed accettabilità è strettamente connessa a quella tra competenza/competence ed esecuzione/performance. La grammaticalità è una nozione inerente alla sfera della competenza, intesa come conoscenza inconscia, da parte di un parlante, della propria lingua, dunque, come sistema interiorizzato di regole e principi: ti *(te) magni (ti) te magni La buona formazione di una data sequenza è perciò in larga parte indipendente dalla sua utilizzabilità/comprensibilità. Al contrario, la nozione di accettabilità riguarda la sfera pragmatica della esecuzione, intesa come utilizzazione effettiva della lingua in situazioni comunicative concrete; così, potremo avere strutture agrammaticali, cioè sintatticamente mal formate, che sono tuttavia comprensibili, e quindi pragmaticamente accettabili se inserite in un determinato contesto. Alla sfera della esecuzione appartengono anche produzioni ed interpretazioni errate attribuibili ad una varietà di fattori come stanchezza, noia, ebbrezza, droga, distrazioni esterne...; spesso quindi l’esecuzione è un riflesso imperfetto, non fedele, della competenza. Al contrario, sequenze non ben formate che possono essere comprensibili e dotate di significato: *Ho intenzione parlare con loro (= ho intenzione di parlare con loro) *Perché non lo telefoni? (= perché non gli telefoni?) *Viene anche i miei amici (= vengono anche i miei amici) 4. Principi universali ed innatismo Il linguaggio umano è caratterizzato da alcune proprietà che lo distinguono da altri sistemi di comunicazione: - la ricorsività, cioè la possibilità di formare delle frasi di lunghezza indefinita includendo un costituente nell’altro in modo ricorsivo: [Credo [che Paolo sia partito]] [Credo [che Mario pensi [che Paolo sia partito]]] [Credo [che Mario pensi [che Giorgio abbia detto [che Paolo sia partito]]]] [Credo [che Mario pensi [che Giorgio abbia detto [che tua sorella supponga [che Paolo sia partito]]]]] [Credo [che Mario pensi [che Giorgio abbia detto [che tua sorella supponga .....?..... [che Paolo sia partito]]]]] [E venne l’acqua [che spense il fuoco [che bruciò il bastone [che picchiò il cane [che morse il gatto [che si mangiò il topo [che al mercato mio padre comprò]]]]]]] - la dipendenza dalla struttura, nel senso che tutte le operazioni grammaticali sono dipendenti dalla struttura; le relazioni sintattiche sono cioè fondate su una struttura astratta che influenza qualunque operazione di riordinamento degli elementi: John has bought the book Has John ___ bought the book? sposta il 2° elemento in posizione iniziale? John’s brother has bought the book *Brother John’s ___ has bought the book? Has John’s brother ___ bought the book? sposta il 3° elemento in posizione iniziale? The king of France was killed * Of the king ___ France was killed? Was the king of France ____ killed? La regola prevederà di muovere l’ausiliare davanti alla espressione nominale che funge da soggetto Queste proprietà del linguaggio umano suggeriscono che esso sia il prodotto di una facoltà cognitiva innata specifica del genere umano, codificata nel patrimonio genetico della specie. Il linguaggio è quindi il prodotto di un sistema cognitivo innato nella mente umana e l’obiettivo ultimo del linguista è quello di caratterizzare la natura di questo sistema linguistico innato (I-language) che rende gli esseri umani in grado parlare e capire una o più lingue naturali. 5. Principi vs parametri La facoltà del linguaggio, essendo patrimonio comune del genere umano, viene ricondotta ad una grammatica universale UG, ed è caratterizzata da: - alcuni principi invarianti, cioè proprietà comuni a tutte le lingue (come la ricorsività e la dipendenza dalla struttura); - alcuni parametri, il cui valore viene fissato dal parlante nel periodo dell’acquisizione linguistica in base ai dati linguistici a cui è esposto; tali parametri definiscono il possibile ambito di variazione tra le lingue, spiegando la variabilità linguistica che si riscontra nelle lingue naturali. Alcuni esempi di parametri: a- Soggetto nullo (Maria) parla spagnolo Nevica *(Mary) speaks Spanish *Is snowing *Esso nevica It is snowing (*Esso) è improbabile che Gianni sia già partito *(It) is unlikely that John has already left Proprietà correlate: - soggetto postverbale Sono arrivati cinque studenti *(There) arrived five students - estrazione di soggetto (vs oggetto) di frase subordinata: Chi credi che sia partito? *Who do you think that left? Cosa pensi che abbiano comprato? What do you think that they bought? b- Wh-movement: Cosa dirà? What will he say? Dizarà-lo che? Il parlerà a qui? Ni xiangxin ta hui shuo shenme? (cinese) tu pensi lui fut dire cosa? c- Ordine verbo-complemento: Voglio [leggere il libro] Ich will [das Buch lesen] I want to [read the book] moonul dadala (coreano) door close Gianni-ga Maria-o but-ta (giapponese) G-part. M-part. colpire-pass Gianni ha colpito Maria Tutta la variazione linguistica può essere ridotta alla scelta tra i valori binari per ciascun parametro; se questo è vero, tutto ciò che il bambino deve fare è fissare il valore appropriato per ciascuno dei parametri rilevanti in base a cui le lingue variano. Durante il processo dell’acquisizione linguistica il bambino, fissando il valore dei singoli parametri della UG, definisce e sviluppa la grammatica particolare della lingua a cui è esposto. Esperienza di L__input__Facoltà del Linguaggio__output__Grammatica di L Universal Grammar 6. L’acquisizione linguistica L’ipotesi dell’innatismo, cioè che la facoltà del linguaggio sia codificata nella dotazione genetica della specie umana e quindi sia determinata biologicamente (LAD - Language Acquisition Device) trova conferma nelle seguenti proprietà che caratterizzano il processo di acquisizione linguistica: - l’acquisizione linguistica è specifica della specie umana e tutti gli esseri umani la possiedono indipendentemente dal loro grado di intelligenza; - la relativa rapidità con cui il bambino apprende la lingua (pochi anni); - la facilità, cioè la apparente mancanza di sforzo con cui il bambino apprende la lingua; - la uniformità delle fasi di acquisizione e dei tipi di grammatica sviluppati da individui diversi (a) nonostante l’esposizione ad esperienze linguistiche necessariamente diverse; (b) nonostante l’esperienza linguistica sia a volte anche imperfetta (perché costituita, tra l’altro, da errori, false partenze, espressioni sconnesse, lapsus); - la natura inconscia ed involontaria dell’acquisizione linguistica; - la povertà dello stimolo rispetto alla grammatica elaborata dal parlante, la cui competenza risulta sottodeterminata da un corpus chiaramente inadeguato; a questo si connette la creatività, cioè la capacità del parlante di produrre (in numero potenzialmente infinito) e comprendere nuove frasi mai sentite. Questa creatività, proprietà essenziale della lingua, mostra che essa non può essere appresa per imitazione. Ad esempio, l’acquisizione del plurale dei nomi per imitazione implica la memorizzazione di un insieme di forme flesse che i bambini hanno già sentito; per creatività, sulla base di coppie minime boy/boys il bambino formulerà invece la generalizzazione che il plurale si forma con l’aggiunta del morfema [-s]; ciò è confermato dal fatto che i bambini sono in grado di rendere plurali delle parole possibili ma inesistenti (wug Jean Berk - 1958). Inoltre, i bambini tendono a ipergeneralizzare le forme di passato regolare creando delle forme (comed, goed, seed, buyed, bringed) che non possono essere apprese per imitazione, dal momento che gli adulti non producono mai tali forme; la regola relativa all’aggiunta del morfema [-ed] viene applicata ai verbi irregolari; questo fenomeno si ritrova anche nei bambini italiani: aprito – chiudato – mordato - togliato Si possono distinguere due tipi di evidenza: negativa e positiva. L’evidenza positiva comprende l’insieme di frasi che illustrano un determinato fenomeno. L’evidenza negativa può essere: - diretta, consistente nella correzione degli errori del bambino da parte di parlanti della lingua oppure nella autocorrezione da parte di parlanti adulti; tuttavia la correzione svolge un ruolo marginale nel processo di acquisizione per due motivi: è relativamente infrequente, dato che gli adulti tendono a non correggere tutti gli errori che i bambini fanno; inoltre, i bambini sono notoriamente insensibili alle correzioni; anche la autocorrezione è un fatto poco frequente per essere significativo. - indiretta, consistente nella non occorrenza di certi tipi di strutture; ma dato che i parametri sono binari, l’evidenza negativa diventa del tutto superflua. E’ quindi plausibile che i bambini imparino la loro lingua soltanto, o principalmente, sulla base di evidenza positiva. 7. Grammatica, teoria della grammatica e criteri di adeguatezza Questo approccio cognitivo all’acquisizione linguistica ha delle ovvie implicazioni per il linguista teorico interessato a descrivere la grammatica di una lingua particolare. Il termine grammatica riferito ad una particolare lingua potrà quindi indicare due entità diverse: (a) la competenza linguistica dei parlanti di una determinata lingua; (b) la rappresentazione teorica che descrive tale competenza linguistica, cioè lo studio dei principi che governano la formazione e l’interpretazione di parole, sintagmi e frasi. Se le grammatiche sono un modello della competenza una grammatica predirà non solo le strutture che vengono attestate ma specificherà anche quali strutture sono agrammaticali in una data lingua. L’obiettivo della formulazione di una grammatica può essere perseguito a due diversi livelli di adeguatezza. In un primo livello di adeguatezza descrittiva il linguista si limiterà a fornire una esplicitazione corretta delle intuizioni del parlante nativo organizzando i dati in generalizzazioni descrittive che colgono le regolarità della lingua; si limiterà quindi a descrivere se una stringa di parole in una determinata lingua è grammaticale o meno e quale sia eventualmente la sua interpretazione, rendendo conto delle intuizioni dei parlanti nativi. Ad un secondo livello, quello della adeguatezza esplicativa, il linguista arriverà a spiegare il perché le relazioni sintattiche di una determinata lingua sono quelle attestate e non altre, arrivando quindi a spiegare perché le grammatiche hanno le proprietà che hanno. Per teoria della grammatica intendiamo invece l’individuazione dei principi comuni sottostanti alle grammatiche delle lingue naturali, cioè la descrizione delle proprietà della grammatica universale. Una teoria della grammatica deve avere i seguenti criteri di adeguatezza: - universalità: deve essere in grado di fornire delle grammatiche descrittivamente ed esplicativamente adeguate per ogni lingua naturale: l’obiettivo ultimo è cioè la elaborazione di una grammatica di UG; - restrittività: la teoria deve fornire strumenti tecnici così ristretti nel loro potere espressivo da poter essere usati soltanto per descrivere lingue naturali e non per descrivere altri sistemi di comunicazione; -apprendibilità: le teoria deve fornire grammatiche che siano apprendibili da parte dei bambini in un periodo di tempo relativamente breve e secondo le condizioni ricordate sopra; - semplicità: la teoria deve fornire delle grammatiche che facciano uso dell’apparato tecnico e formale minimalmente richiesto per fornire una caratterizzazione adeguata dei fenomeni linguistici. Il cosiddetto programma minimalista per la teoria linguistica introdotto da Chomsky all’inizio degli anni ’90, è motivato in larga parte dal desiderio di minimizzare il compito di acquisizione che grava sul bambino, massimizzando così l’apprendibilità delle grammatiche delle lingue naturali. II. Le parti del discorso 1. Le classi di parole ed il lessico La parola è il costituente minimo di analisi sintattica; la sintassi intende determinare le relazioni tra le varie parole in base alla loro appartenenza a diverse classi. Ogni parola appartiene ad una categoria grammaticale, cioè ad una classe di espressioni che condividono un insieme di proprietà grammaticali. La categoria alla quale una parola appartiene determina la sua distribuzione, cioè il contesto sintattico in cui può essa occorrere. I criteri utilizzati per determinare l’appartenenza di una parola ad una classe sono appunto distribuzionali in quanto fanno riferimento alla posizione che le parole occupano all’interno della frase. Tradizionalmente, sono state individuate le seguenti classi di parole: 1) nome 2) aggettivo 3) articolo 4) pronome 5) verbo 6) avverbio 7) preposizione 8) congiunzione [9) interiezione] Alcune parole possono appartenere però a più di una categoria: La vecchia legge la regola N V A N N V Le vecchie leggono la regola *La vecchia legge la regolava La vecchia legge la regolava *Le vecchie leggono la regola La grammatica di una lingua dovrà quindi contenere anche l’informazione categoriale associata con gli elementi lessicali; i parlanti di una lingua durante la fase di acquisizione elaborano quindi un dizionario mentale, un lessico che contiene tutte le informazioni che essi hanno interiorizzato riguardo alle parole della loro lingua. Ogni parola della lingua conosciuta dal parlante deve essere classificata nel lessico mentale insieme alla sua specificazione categoriale. Tuttavia il lessico non è organizzato soltanto alfabeticamente, ma anche: (a) per tratti categoriali; (b) per campi semantici; (c) sulla base della struttura sillabica. UG conterrà quindi la nozione di categoria e l’insieme delle categorie grammaticali principali. L’informazione lessicale gioca un ruolo importante nella struttura frasale perché la categoria alla quale una parola appartiene determina la sua distribuzione. 2. Un aggiornamento della lista a-Verbi vs nomi love: They love/loved Their present love is eternal *Their past loved was eternal Il contesto serve a disambiguare i casi dubbi: They need to see a doctor [=verbo] Need he be there? [=modale] I feel a need to explore linguistics [=nome] Paolo ha ____ Mario She could ___ incontrato/salutato/invitato/ammirato remain/sing/object/write *nice/sadly/forward/ceiling/much They might have ____ by now left/gone/called/arrived ____ essere sincero? Posso/devi/vuole/dovresti/sai... ____ appreso la notizia con stupore They have no ___ Forme di avere address/awareness/relatives/tablecloth *did/under/interesting/slowly/instead ___ può essere molto dolorosa La linguistica/La vendetta/Una storta... Solo nomi possono apparire in ___; questo non significa che un nome può apparire solo in ___: La linguistica è uno sport? Alcuni considerano la linguistica eccitante E’ mai morto nessuno di linguistica? Odi la linguistica più della globalizzazione? *Il mio [a/invece/stavo/parecchio/decente] preferito è La casa degli spiriti Il mio libro/testo/film... preferito è La casa degli spiriti b-Determinanti In questa classe includiamo gli articoli. *Questa la mia ambizione Questa mia ambizione *La questa mia ambizione La mia ambizione I dimostrativi, catalogati tradizionalmente sotto gli aggettivi/pronomi, entrano nella classe dei determinanti, anche se a volte, cioè in funzione pronominale, possono ricorrere senza un nome, diversamente dall’articolo: Non voglio questa (penna) ; dammi quella ___! *dammi la ___! D’altra parte i possessivi possono cooccorrere con l’articolo, per cui saranno classificati come aggettivi: Gli ho restituito il suo libro * Gli ho restituito suo libro I want ___ toy a/the/this/that/my/his.... *the my book *this my book *le mon livre *ce mon livre In inglese (e francese) anche i possessivi, essendo incompatibili con l’articolo, entrano nella classe dei determinanti. c- Aggettivi vs avverbi In italiano sia gli aggettivi che gli avverbi possono essere preceduti da ‘intensificatori’ come così/assai/davvero, tutavia non hanno la stessa distribuzione: Le sue maniere sono davvero scortesi! La tratta davvero scortesemente! Mario è sempre così diligente! Mario si comporta sempre così diligentemente! In altre lingue la forma può essere la stessa: Hans ist schnell Er faehrt schnell I criteri distribuzionali servono anche a disambiguare in certi casi: parlare chiaro / vederci chiaro corre veloce il cielo è chiaro è veloce Mary is better at Italian than you Mary speaks Italian better than you better = more fluent(ly) Mary is more fluent/*more fluently at Italian than you Mary speaks Italian more fluently/*more fluent than you It is very ___ tough/dangerous/exciting/dejecting *door/eating/for/lot/things/slowly Gli aggettivi possono esprimere in un sintagma nominale ciò che nelle frasi corrispondenti è espresso da avverbi: a. L’improvvisa invasione dell’Austria da parte della Germania b. La Germania invase improvvisamente l’Austria a. Il probabile intervento delle forze armate contro il nemico b. Le forze armate probabilmente interverranno contro il nemico a. La violenta reazione della popolazione b. La popolazione reagì violentemente d-Pronomi Tradizionalmente questa categoria comprende: -i pronomi personali, che denotano un’entità individuabile, al pari dei nomi propri: Gianni/Lui è il mio migliore amico - i pronomi dimostrativi, che abbiamo proposto appartenere piuttosto alla classe dei determinanti; - i pronomi indefiniti, come tutti/nessuno/qualche/alcuni, che si accordano generalmente con il nome che modificano: Nessuno studente è venuto Non ho avuto alcuna obiezione Tutti i miei parenti si sono informati Molto/parecchio/poco..., se precedono nomi si accordano, ma non se precedono aggettivi: a. Dopo parecchi mesi mi telefonò b. La discussione è stata parecchio interessante a. Si può fare con poca fatica b. Sei stata poco paziente He wrote ___ other works some/few/many/no/several *successful/trees/hear/behind/coming Classificheremo questo quantificatori/intensificatori. tipo di elementi come e- Avverbi vs preposizioni vs congiunzioni Gli avverbi sono tradizionalmente suddivisi in: - avverbi di modo e maniera, formati con il suffisso [-mente], di cui si è parlato sopra; - avverbi di tempo (ieri, più tardi, [dopo]); - avverbi di luogo (qui, là, [sopra]). He treats her_____ badly/violently/politely/arrogantly *careful/conscience/back/done/several Tuttavia, molti avverbi di tempo e luogo sono omofoni alle preposizioni: Maria verrà dopo L’ho portato dentro La zia abita accanto Maria verrà dopo Carla L’ho portato dentro il garage La zia abita accanto a Gianni Bevo il vino : bevo = dentro il garage : dentro Telefono a Mario : telefono = accanto a Gianni : accanto Diremo allora che alcune preposizioni transitivamente o intransitivamente. right=completely Go right up the ladder They arrived right on time possono essere usate He fell right down the stairs It was right under the bed Le congiunzioni vengono tradizionalmente distinte in coordinanti (e, ma, o) e subordinanti (se, perché, quando, mentre...); le congiunzioni subordinanti di e a che introducono frasi subordinate infinitive sono omofone delle preposizioni, quindi rientrano in quella categoria: Gianni aspira a questo Gianni aspira ad ottenere il premio Dubito delle sue capacità Dubito di poter partire Dopo il suo discorso, il presidente si dimise Dopo che ebbe parlato, il presidente si dimise Tralasciando per ora la negazione, consideriamo le particelle si/no come delle profrasi, poiché hanno il valore di un’intera frase: Hanno detto di sì/no (Eliminando le interiezioni ed) aggiungendo i quantificatori e sostituendo l’ articolo con il determinante, otteniamo il seguente elenco: 1) nome 2) aggettivo 3) determinante 4) pronome 5) quantificatore 6) verbo 7) avverbio 8) preposizione 9) congiunzione Essendo le parole raggruppate in un insieme finito e ridotto di categorie, ed essendo le regole grammaticali basate sulle categorie, il compito acquisizionale del bambino è enormemente semplificato: egli deve identificare quali parole appartengono a quali categorie nella lingua rilevante, e quali categorie occupano quali posizioni nella frase: I want ___ toy a/the/this/that/my/his.... I want a ___ ball/banana/bike/blackboard ___ want a toy you/they/my fiends/your cousins... I ___ a toy Il verbo I verbi possono essere classificati in base a tratti contestuali che fanno riferimento alle classi di parole con cui essi possono combinarsi; distinguiamo due tipi di tratti: - di valenza: riguardano numero e tipo di categorie cooccorrenti - di selezione: riguardano i tratti intrinseci di queste categorie Invitare, verbo transitivo, richiede due sintagmi nominali (valenza) dotati del tratto [+umano] (selezione): *Gianni ha invitato (#numero) *Gianni ha invitato con Mario(#tipo) #Gianni ha invitato il piatto (#tratto) Gianni ha invitato Mario Le proprietà di valenza sono di tipo puramente sintattico, quelle di selezione sono piuttosto semantiche. Le espressioni referenziali che fanno riferimento alle entità o ai partecipanti coinvolti nell’evento/attività/stato espresso dal verbo vengono definite argomenti; il predicato definisce invece una qualche relazione fra espressioni referenziali, cioè fra gli argomenti selezionati. Distinguiamo tuttavia tra argomenti e circostanziali: - argomenti sono gli elementi che saturano la valenza di un verbo, e devono comparire obbligatoriamente, perché indicano le entità direttamente coinvolte nel processo descritto dal verbo; - circostanziali sono costituenti che possono essere opzionalmente realizzati e forniscono informazioni aggiuntive relative contesto in cui l’evento si svolge: Gianni ha incontrato Maria [la settimana scorsa] [al ristorante] [dopo il concerto] Esistono dei criteri di distinzione tra argomenti e circostanziali: a - gli argomenti sono tendenzialmente obbligatori, i circostanziali no: Gianni ha incontrato Maria *Gianni ha incontrato la settimana scorsa b - la scelta dei tratti inerenti degli argomenti è determinata dal verbo, non quella dei circostanziali: #Il gatto ha invitato il formaggio [due ore fa davanti alla porta senza indugiare] Gianni ha invitato Mario [due ore fa davanti alla porta senza indugiare] Il gatto ha mangiato il formaggio [due ore fa davanti alla porta senza indugiare] Il gatto si è messo a dormire [due ore fa davanti alla porta senza indugiare] c - l’ordine degli argomenti è abbastanza rigido, ma non quello dei circostanziali: Mia sorella ha incontrato Giulia la scorsa settimana Giulia ha incontrato mia sorella la scorsa settimana (cambia il significato) La scorsa settimana mia sorella ha incontrato Giulia Mia sorella la scorsa settimana ha incontrato Giulia Classificazione dei verbi in base alla valenza Ogni predicato ha una struttura argomentale, ed esiste una specificazione lessicale del numero ed del tipo di costituenti che un verbo richiede obbligatoriamente. Possiamo distinguere quattro classi verbali: 1) avalenti: non sono accompagnati da nessun argomento (metereologici): piove, nevica, tuona, grandina, gocciola 2) monovalenti: accompagnati da un solo argomento (intransitivi) (richiedono come argomento un nome o una frase): Sono arrivati i tuoi cugini Paolo è caduto Paolo non piange mai Bisogna che Maria parta subito 3) bivalenti: accompagnati da due argomenti: (#transitivi) Lui preferisce la geometria Giulia ha aderito alla iniziativa Pietro pensa che arriveranno presto 4) trivalenti: accompagnati da tre argomenti: (ditransitivi) Anna ha prestato il quaderno a Maria Gianni ha offerto un caffè ai colleghi In italiano è necessario introdurre una distinzione tra due tipi di verbi intransitivi a seconda dell’ausiliare essere o avere: Inaccusativi - scelta dell’ausiliare: Sono arrivati Intransitivi propri / Inergativi Hanno telefonato - accordo del participio passato col soggetto postverbale: Sono arrivati molti studenti Hanno telefonato molti studenti - possibilità di ripresa pronominale con ne: Ne sono arrivati molti *Ne hanno telefonato molti - uso del participio passato come modificatore di nome o in frasi assolute: Lo studente arrivato ieri *Lo studente telefonato ieri Arrivato Pietro, siamo usciti *Telefonato Pietro, siamo usciti Alcuni intransitivi con ausiliare essere hanno anche un uso transitivo; questo tipo di verbi sono stati definiti ergativi: La nave è affondata I pirati hanno affondato la nave I prezzi sono aumentati I produttori hanno aumentato i prezzi La situazione è cambiata I nuovi fatti hanno cambiato la situazione Distinguiamo quindi tra verbi: - transitivi: - intransitivi propri /inergativi - inaccusativi: Gianni ha colpito Pietro Gianni ha dato un libro a Pietro Gianni ha lavorato molto Gianni è partito Teoria tematica Ogni predicato ha una sua struttura argomentale, richiede cioè un certo numero di argomenti che indicano i partecipanti minimalmente coinvolti nell’attività/stato espressi dal verbo stesso. L’esposizione del bambino a frasi in cui ciascun verbo occorre nell’appropriato contesto sintattico fornirà evidenza positiva sull’informazione relativa alla sua specifica struttura argomentale; l’informazione relativa al numero ed al tipo di argomenti selezionati viene specificata nell’entrata lessicale dei singoli verbi all’interno del lessico mentale (che ipotizziamo faccia parte della competenza linguistica interiorizzata del parlante nativo). Distingueremo quindi almeno le seguenti classi verbali: - transitivi Gianni ha colpito Pietro Ha mangiato (la pasta) - ditransitivi: Abbiamo dato il benvenuto a Mario Rossella ha consegnato il pacco a Giorgio - intransitivi propri/inergativi Il nostro collega ha lavorato/dormito molto - inaccusativi Sono partiti per Parigi Gianni è rimasto a casa Mia sorella è cambiata molto Nella rappresentazione lessicale dei verbi saranno specificati quindi il numero ed il tipo dei costituenti che realizzano gli argomenti: Paolo ha invitato i suoi compagni invitare: verbo; 1 2 NP NP La specifica relazione semantica tra il verbo ed i suoi argomenti viene definita ruolo tematico (o ruolo theta). Il verbo assegna cioè un ruolo tematico a ciascuno dei suoi argomenti. Non vi è accordo sul numero e denominazione dei ruoli tematici esistenti, tuttavia i seguenti ruoli tematici sono generalmente riconosciuti: - agente = entità che intenzionalmente dà inizio all’azione: Paolo ha corso Mio fratello ha telefonato a Giorgio - tema/paziente = entità che subisce l’azione: Loro hanno invitato Carlo Il gatto è stato investito da un’auto - esperiente = entità che sperimenta un particolare stato psicologico: Maria desidera un divano nuovo A mia madre piacciono i gatti - beneficiario = entità che trae beneficio dall’azione: Ha regalato il libro al suo amico Questa situazione ha favorito Anna - destinatario/meta = entità/luogo verso cui è diretta l’azione: Luisa ha spedito la lettera a Gianni Sono andati in campagna - provenienza = entità/luogo dalla quale qualcosa si muove: Maria arriva dalla stazione Abbiamo preso in prestito il libro da Gianni - locativo = entità/luogo in cui si situa l’azione: Ho messo il libro sul tavolo Mio fratello è rimasto in camera sua I miei cugini abitano in Svizzera - comitativo = entità che entra in interazione con l’agente: Il direttore ha preso accordi con la segretaria Sono andato al cinema con Luigi - strumentale = entità attraverso cui si realizza l’azione: L’incendio è stato spento con l’idrante Con l’argilla di possono creare molte cose Dato che fa parte delle conoscenze del parlante nativo, l’informazione sulla relazione semantica tra il predicato ed i suoi argomenti sarà registrata nel lessico; quindi, l’entrata lessicale di un predicato fornirà una griglia tematica in cui si avrà la rappresentazione del tipo di ruolo semantico espresso da ogni argomento: invitare: verbo desiderare: regalare: rimanere: accordarsi: < agente, paziente > < esperiente, tema > < agente, tema, beneficiario > < tema, locativo > < agente, comitativo > I ruoli tematici associati al predicato di una frase devono essere assegnati a degli argomenti, che devono quindi essere realizzati strutturalmente; d’altra parte, la relazione semantica che le espressioni referenziali della frase devono stabilire col predicato può essere attuata attraverso l’assegnazione dei ruoli tematici. La struttura argomentale di un predicato, codificata nella sua griglia tematica, stabilisce quali siano i componenti minimi della frase, determina cioè la composizione essenziale della frase. Criterio tematico (che stabilisce una corrispondenza biunivoca tra argomenti e ruoli tematici): a- a ogni argomento viene assegnato uno ed un solo ruolo tematico b- ogni ruolo tematico viene assegnato ad uno ed un solo argomento Quando i ruoli tematici sono assegnati a degli argomenti essi vengono saturati. Lui ha insultato Maria *Lui ha insultato (#a) *Lui ha insultato Maria suo cugino (#b) Thelma invites Luise *Thelma invites (#a) *Thelma invited Louise the president (#b) Thelma invited Louise and the president Si noti che uno stesso ruolo tematico può corrispondere a costituenti che hanno funzioni grammaticali diverse: Gianni ha comprato il libro Il libro è stato comprato da Gianni Maria ama i gatti A Maria piacciono i gatti L’idea che l’informazione lessicale determini la struttura sintattica, cioè che la struttura frasale sia, almeno in parte, lessicalmente determinata, è riassunta nel seguente: Principio di proiezione L’informazione lessicale è rappresentata sintatticamente Non solo costituenti nominali o presposioznali, ma anche costituenti frasali possono fungere da argomenti di un predicato: annunciare: < agente NP, tema NP/S > Le autorità annunciarono [l’arresto del ricercato] Le autorità annunciarono [che il ricercato era stato arrestato] stupire: < tema NP/S, esperiente NP > [L’arresto] stupì l’opinione pubblica [Che il ricercato fosse stato arrestato] stupì l’opinione pubblica credere: < esperiente NP, tema PP/S > La polizia non crede [alla versione del testimone] La polizia non crede [che il testimone abbia detto la verità] La griglia tematica non specifica quindi sempre una sola categoria a cui può essere assegnato un ruolo tematico, bensì consente una scelta tra diverse categorie: Louise firmly believes [that Thelma is innocent] [Thelma to be innocent] [Thelma innocent] They expect [that John will be in their office at five] [John to be in their office at five] [John in their office at five] [That John did not agree] was very annoying [For John not to agree] would be very annoying believe/expect: verbo < esperiente, tema > NP NP/S Non tutti gli argomenti di un predicato sono dunque realizzati come sintagmi nominali; d’altra parte, ad alcuni sintagmi nominali in posizione di soggetto non viene assegnato nessun ruolo tematico. E’ il caso ad esempio dei cosiddetti soggetti espletivi it e there in inglese. In una frase introdotta dal pronome it un soggetto frasale può essere estraposto a destra: [That John did not come] surprised Bill It surprised Bill [that John did not come] * Surprised Bill [that John did not come] *[That John did not come] surprised Bill it Their arrival suprised Mary *Their arrival surprised *Their arrival surprised Mary it *Surprised Mary *It surprised Mary their arrival Surprise è un predicato a due argomenti con la seguente griglia tematica: surprise: verbo < esperiente, tema > NP NP/S Nessun altro elemento diverso da it può occupare la posizione di soggetto; inoltre it non può essere interrogato o focalizzato: *This/That surprised Bill that John did not come *What surprised Bill that John did not come? *IT surprised Bill that John did not come Quindi it non fornisce alcun contributo semantico alla frase e non è neppure una espressione referenziale; la sua presenza sembra essere richiesta solo per un qualche requisito strutturale. Vi è un’altra struttura analoga, quella esistenziale, in cui il locativo there in posizione preverbale entra in relazione con un soggetto nominale postverbale; esso non può essere omesso: [Three students] have arrived There have arrived [three students] *Have arrived three students There non ha in questo caso significato locativo, infatti non può essere interrogato, focalizzato, modificato: *Where have arrived three students? There *THERE have arrived three students *Right there have arrived three students There non contribuisce quindi al significato della frase ma è necessario per motivi strutturali, come riempitivo della posizione di soggetto; come it there funge quindi da elemento espletivo associato ad un soggetto postverbale, pur essendo associato a soggetti nominali e non frasali: *There surprised Bill [that John did not come] Inoltre, il soggetto postverbale associato con there deve essere indefinito e solo alcuni tipi di verbi possono comparire in questa costruzione: *There have arrived the three students/my parents/Mary and Paul There were three/some students in the garden *There have eaten/worked/cried three students in the garden It/there sono quindi elementi (pro)nominali privi di ruolo tematico che occupano la posizione di soggetto frasale per motivi strutturali. Quando un elemento occupa una posizione di soggetto preverbale senza qualificarsi come un argomento del verbo e senza ricevere un ruolo tematico, si parla di pronome soggetto espletivo o pleonastico. La condizione descrittiva che richiede l’inserimento di elementi espletivi viene ricondotta al fatto che la posizione di soggetto di una frase deve essere riempita; questa esigenza strutturale è una proprietà generale di tutte le lingue e viene definita come: Principio di Proiezione Esteso (EPP): (Indipendentemente dalla struttura argomentale del verbo) la posizione di soggetto preverbale deve essere riempita Anche in lingue come l’italiano (che possono non manifestare un soggetto realizzato) ipotizziamo la presenza di una categoria pronominale vuota nella posizione di soggetto preverbale: pro insegno matematica pro pioverà pro potrebbe fare di più pro è chiaro che non sono arrivati Allo stesso modo in cui non tutti gli elementi nominali ricevono un ruolo tematico, così non tutti i verbi assegnano dei ruoli tematici. I verbi ausiliari sono caratterizzati in genere da speciali proprietà che li distinguono dai verbi lessicali; gli ausiliari ed i modali non sono dotati di una valenza propria, ma assumono quella del verbo lessicale con cui compaiono: La maestra spiega la lezione John reads comics La maestra ha spiegato la lezione John is reading comics La maestra deve spiegare la lezione John has read comics La maestra può spiegare la lezione John will/would read comics La maestra vuole spiegare la lezione John can/could read comics La maestra sta spiegando la lezione John shall/should read comics John may/might read comics John smokes cigarettes *John smokesn’t cigarettes *Smokes John cigarettes? John doesn’t smoke cigarettes Does John smoke cigarettes? John has smoked cigarettes John hasn’t smoked cigarettes *John doesn’t have smoked cigarettes Has John smoked cigarettes? *Does John have smoked cigarettes? John smokes cigarettes John is smoking cigarettes John has smoked cigarettes John doesn’t smoke cigarettes Ne concludiamo che i verbi ausiliari e modali non assegnano ruoli tematici propri. Vi sono alcune osservazioni relative alle espressioni idiomatiche che suggeriscono che l’assegnazione del ruolo tematico al soggetto differisca in qualche modo dalla assegnazione del ruolo tematico ad altri argomenti del predicato: a) la scelta dell’oggetto condiziona il ruolo tematico del soggetto ma non viceversa: Il nostro amico ha tirato le cuoia (soggetto = tema) Il nostro amico ha tirato un sasso nello stagno (soggetto = agente) b) esistono espressioni idiomatiche che coinvolgono l’oggetto mentre il soggetto è un argomento libero ma non viceversa: Il nostro gatto/La signora del piano di sopra/Antonio ha tirato le cuoia Paolo/Mio padre/Il principale ha tirato le orecchie al suo collega Stasera Antonio/lo zio/il postino ha alzato il gomito/la voce Questi due fatti indicano che l’assegnazione di ruolo tematico al soggetto può essere diversa da quella che riguarda altri argomenti del predicato; in particolare, possiamo assumere che nel caso di assegnazione ad altri argomenti si abbia a che fare con una assegnazione tematica diretta, mentre nel caso del soggetto si avrà una assegnazione tematica indiretta che avviene composizionalmente, dato che il ruolo tematico è determinato dal significato del verbo unitamente a quello degli altri costituenti. Con riferimento alla struttura sintattica del sintagma verbale si parla anche di argomenti interni, distinti rispetto al soggetto che è l’argomento esterno del predicato. Il nome I nomi sono caratterizzati da tratti inerenti; distinguiamo ad esempio: nomi propri Londra, Rossella vs nomi comuni tavolo, gatto nomi concreti orologio, sedia vs nomi astratti sincerità, fermezza nomi massa sabbia, vino vs nomi numerabili foglio, lavagna Le ultime due classi si incrociano, infatti i nomi possono appartenere a più sottocategorie contemporaneamente; possiamo infatti avere: concreti numerabili: penna, antenna astratti numerabili: opinione, strategia concreti massa: birra, argilla astratti massa: tolleranza, ilarità Diversamente da quanto accade con i verbi, che sono intrinsecamente relazionali, le valenze dei nomi non devono necessariamente essere saturate, cioè un nome può sempre apparire senza complementi. Distinguiamo due categorie di nomi: - nomi non argomentali: si tratta generalmente di nomi concreti (il cui complemento esprime in genere una relazione di possesso): La villa (dei Rossi) è chiusa da tempo - nomi argomentali: si tratta generalmente di nomi astratti i cui complementi realizzano dei veri argomenti, cioè hanno una funzione semantica definita: La partenza (di Gianni) era prevista per le otto Alcuni dei nomi argomentali possono essere usati con significato concreto: La costruzione del palazzo richiese tre mesi Quella costruzione deturpa il paesaggio A. Nomi non argomentali Questi nomi designano in genere oggetti; come tali specificano una relazione generica R fra il nome ed un suo pseudo-argomento dipendente dal contesto: 1 La fotografia di Gianni è sul tavolo Il regalo di Gianni è avvolto in carta rossa Il palazzo delle assicurazioni Qui l’argomento introdotto da di può esprimere diverse relazioni con il nome; in (i) può identificare la persona che ha fotografato o che è stata fotografata, o che possiede la foto (o, al limite, che ha parlato di essa); in (ii) può identificare l’autore del regalo, il destinatario, o ancora colui che ha scelto o ideato il regalo. In questo caso la relazione R stabilita dal nome con il suo argomento è generica, come nei seguenti casi: a. la casa di Maria b. il libro di mio fratello c. il tavolo di marmo d. le ville di campagna Di solito un nome non permette di identificare più di due relazioni R: a. il mio quadro di Matisse b. il quadro di Maria di Matisse c.*il mio quadro di Maria (=che Maria mi ha regalato) di Matisse d.* il quadro di Maria di Matisse di Gianni Se è espresso il possessore, esso diventa l’unico argomento che può venire reso dal possessivo: a. Il libro di Moravia sulla sua vita b. Il suo libro sulla sua vita a. Il libro di Moravia di Gianni b. Il suo libro di Moravia c.*Il suo libro di Gianni Altri casi di relazione R sono quelli in cui un argomento è introdotto dalla preposizione da, con significato generalmente finale: a. farina da dolci b. tavolo da ping pong c. stivali da giardino Quando l’argomento del nome introdotto da da è un infinito, il significato può essere deontico, come in (i), o consecutivo, come in (ii): (i) a. un film da vedere b. un manufatto da vendere (ii) a. uno spavento da morire b. un film da ridere c. una figuraccia da sotterrarsi Complementi non argomentali possono essere introdotti anche da altre preposizioni, in genere in frasi relative ridotte: a. la casa in montagna b. la sedia senza braccioli c. il libro sullo scaffale d. le scarpe con i lacci 2 L’ordine reciproco di argomenti o relazioni R e complementi non argomentali è piuttosto libero, ma alcune specificazioni di tipo restrittivo devono apparire adiacenti alla testa nominale, come in (ii): (i) a. la casa di mia sorella in montagna b. la casa in montagna di mia sorella (ii) a. il libro di storia di Gianni b.??il libro di Gianni di storia a. l’orologio d’oro di mia madre b.*l’orologio di mia madre d’oro B. Nomi argomentali Distinguiamo i nomi argomentali a seconda del numero di argomenti in monoargomentali, biargomentali, triargomentali. Si parla di nomi transitivi soltanto in senso lato perché i loro argomenti sono sempre introdotti da una preposizione (in genere di). 1. Nomi monoargomentali Questi nomi corrispondono a verbi intransitivi e ne condividono la griglia tematica, cioè assegnano un solo ruolo tematico (di agente o di tema): lavorare/lavoro: <agente> agire/azione: <agente> camminare/camminata: <agente> arrivare/arrivo: <tema> L’argomento che nelle strutture frasali funge da soggetto nelle strutture nominali è preceduto sempre dalla preposizione di, mentre gli altri complementi preposizionali, se presenti, vengono espressi da un sintagma preposizionale: a. Gianni ha lavorato efficacemente a. Il lavoro di Gianni è stato efficace b. Gianni ha camminato faticosamente b. La faticosa camminata di Gianni c. La polizia agì improvvisamente c. L’improvvisa azione della polizia d. Marco è arrivato in anticipo d. L’arrivo anticipato di Marco Talvolta il soggetto può essere introdotto dalla locuzione preposizionale da parte di, che esprime in questo caso la provenienza dell’azione: Quella telefonata da parte di Gianni mi disturbò Quell’azione da parte della polizia fu riprovevole 3 2. Nomi biargomentali 2.1 Questi nomi corrispondono generalmente a verbi transitivi, di cui conservano la struttura biargomentale: descrivere/descrizione: <agente, tema> In questo tipo di nominalizzazioni sia il soggetto che il complemento oggetto sono preceduti dalla preposizione semanticamente vuota di: Gianni ha descritto la collega La descrizione di Gianni della collega è troppo lusinghiera L’elemento corrispondente al soggetto della struttura frasale può anche essere espresso da un pronome possessivo: La sua descrizione della collega è troppo lusinghiera Si può avere una passivizzazione parziale quando il costituente che funge da soggetto è preceduto dalla locuzione da parte di: La descrizione della collega da parte di Gianni è troppo lusinghiera In questo caso il costituente che funge da oggetto può essere pronominalizzato con un possessivo, e si ha una passivizzazione totale: La sua descrizione da parte di Gianni è troppo lusinghiera attendere/attesa: <agente, tema> Gianni ha atteso Maria per tre ore L’attesa di Maria di Gianni è durata tre ore La sua attesa di Maria durò tre ore L’attesa di Maria da parte di Gianni durò tre ore La sua attesa da parte di Gianni durò tre ore Nel caso in cui venga realizzato un solo argomento esso risulta ambiguo tra l’interpretazione di soggetto e quella di oggetto: La descrizione di Gianni L’attesa di Maria 4 2.2 Nomi connessi a verbi psicologici 2.2.1 Questi nomi derivano da verbi psicologici transitivi e ne conservano la griglia tematica: ammirare/ammirazione: <esperiente, tema> Tuttavia, in queste nominalizzazioni uno degli argomenti viene introdotto da una preposizione diversa da di, cosicché si parla intransitivizzazione della struttura. Il costituente che riceve il ruolo tematico di esperiente è preceduto dalla preposizione di mentre quello che riceve il ruolo tematico di tema viene introdotto da una preposizione diversa (di solito per): Gianni ammira Maria sinceramente La sincera ammirazione di Gianni per Maria Gianni disprezza profondamente Maria Il profondo disprezzo di Gianni per Maria Questo libro interessa Maria L’interesse di Maria per questo libro La salute di Gianni preoccupa Maria La preoccupazione di Maria per la salute di Gianni Gianni ha giudicato Maria negativamente Il giudizio negativo di Gianni su Maria E’ possibile pronominalizzare l’esperiente con un possessivo: La sua ammirazione per Maria è sincera Il suo interesse per questo libro è notevole Con questo tipo di nomi è possibile solo una passivizzazione parziale facendo precedere l’esperiente dalla locuzione da parte di: L’ammirazione per Maria da parte di Gianni è sincera L’interesse per questo libro da parte di Maria è notevole 5 Tuttavia non è possibile una passivizzazione totale pronominalizzando il tema con un possessivo: *La sua ammirazione da parte di Gianni è sincera *Il suo interesse da parte di Maria è notevole 2.2.2 Nomi non passivizzabili Questi nomi, anch’essi connessi a verbi psicologici, danno origine a strutture ambigue rispetto all’individuazione dell’esperiente e del tema, entrambi introdotti dalla preposizione di: desiderare/desiderio: <esperiente, tema> Il desiderio di Maria di Gianni La paura di Maria di Gianni Questo tipo di nomi sono definiti non passivizzabili perché il costituente che riceve il ruolo tematico di esperiente non può essere introdotto dalla locuzione da parte di: *Il desiderio di Maria da parte di Gianni *La paura di Maria da parte di Gianni In questo tipo di nomi il possessivo può esprimere solo l’esperiente: Il suo desiderio (di Gianni/di Maria) La sua paura (di Gianni/di Maria) Al contrario, un pronome preceduto da di può esprimere solo il tema e mai l’esperiente: Il desiderio di lui di Maria La paura di lui di Maria Quindi, nei seguenti esempi il pronome possessivo può esprimere solo l’esperiente ed il pronome personale il tema: Il suo desiderio di lui La sua paura di lui 2.3 Nomi inerentemente passivi Esistono alcuni nomi inerentemente passivi, connessi a verbi transitivi, il cui argomento esterno, se espresso, deve essere preceduto dalla locuzione da parte di: 6 catturare/cattura: <agente, tema> La cattura del colpevole da parte della polizia/*della polizia La acquisizione del linguaggio da parte dei bambini/*dei bambini La trasmissione delle informazioni da parte della spia/*della spia Il possessivo, se presente, può solo riferirsi al soggetto della corrispondente frase passiva, cioè al costituente che riceve il ruolo tematico di tema: La polizia ha catturato il colpevole Il colpevole è stato catturato dalla polizia La sua cattura (da parte della polizia) 3. Nomi triargomentali I nomi triargomentali corrispondono a verbi transitivi trivalenti: restituire/restituzione: <agente, tema, destinatario> a. Gianni sorprendentemente restituì quel libro a Maria b. Gianni ha offerto spontaneamente aiuto a Maria Nella nominalizzazione soggetto e oggetto diretto della struttura frasale sono introdotti da di, mentre l’oggetto indiretto mantiene la preposizione a: La sorprendente restituzione di Gianni di quel libro a Maria La spontanea offerta di aiuto di Gianni a Maria Il soggetto può anche essere pronominalizzato dal possessivo: La sua sorprendente restituzione di quel libro a Maria La sua spontanea offerta di aiuto a Maria Nella passivizzazione il soggetto appare ultimo nella sequenza e viene preceduto dalla locuzione da parte di: La sorprendente restituzione di quel libro a Maria da parte di Gianni La spontanea offerta di aiuto a Maria da parte di Gianni 7 Non solo i verbi ed i nomi, ma anche altre categorie lessicali hanno una loro struttura argomentale: invidioso: aggettivo; 1 NP (2) PP fra: preposizione; 2 NP 1 NP 3 NP Il pronome Pronomi liberi vs clitici In italiano come in altre lingue romanze troviamo un doppio paradigma dei pronomi personali: me/mi te/ti ti inviteranno lui-lei/lo-la vs noi/ci voi/vi loro/li-le inviteranno te Sulla base delle loro proprietà distribuzionali distinguiamo pronomi liberi/tonici e clitici/atoni; mentre i primi hanno la stessa distribuzione di altre espressioni nominali, l’occorrenza dei secondi è limitata ad alcune posizioni all’interno della frase. I seguenti criteri permettono di discriminare tra le due classi: a) i pronomi clitici non possono apparire in posizioni che possono essere occupate da nomi o da pronomi liberi: Inviteranno Gianni/lui/*lo Ha raccontato tutto a Maria/lei/*le Rossella ha visto tua sorella/te/*ti b) i pronomi clitici si presentano sempre uniti al verbo e possono esserne separati solo da altri pronomi, restrizione che non vale per i pronomi liberi: Gli ho già raccontato tutto *Gli già ho raccontato tutto Glielo ho già raccontato Mi spediscono gli inviti domani *Mi domani spediscono gli inviti Me li spediscono domani c) l’ordine relativo dei pronomi clitici è rigido: Glielo racconterò *Lo gli racconterò 8 Presenterò te a lui / a lui te d) un pronome clitico non può apparire in isolamento: A chi l’hai spedito? A Gianni/A lui/*Gli Chi hanno incontrato? Maria/Lei/*La e) due pronomi clitici non possono essere coordinati: Hanno invitato Alberto e Rossella/ lui e lei/*lo e la/*lo e lei/*la e lui *Lo e la hanno invitato/i f) un pronome clitico non può essere dotato di accento contrastivo: Hanno invitato LUI, non LEI *Hanno invitato LO, non LA ALBERTO, non ROSSELLA g) un pronome clitico non può essere modificato: Ho visto anche loro vs Anche li ho visti Hanno invitato solo lei vs Solo la hanno invitata La posizione dei pronomi clitici rispetto al verbo è determinata dal verbo con cui essi cooccorrono; se il verbo è di modo finito lo precedono, e sono detti proclitici: La inviteranno senz’altro Vi hanno visti ieri Se il verbo è di modo non finito o all’imperativo, lo seguono e si dicono in questo caso enclitici (ma nell’imperativo negativo entrambe le posizioni sono possibili): Vorrei vederlo Incontratolo Avendole già scritto Mangialo Telefonategli Non invitarlo/lo invitare In italiano le due particelle ci e ne si comportano, dal punto di vista distribuzionale, come dei pronomi clitici, pur non avendo dei tratti di persona; esse devono comparire adiacenti al verbo: Ci siamo già stati *Ci già siamo stati Ieri ne ho comprati molti *Ne ieri ho comprati molti Possono comparire con altri pronomi solo in un ordine fisso: Ce l’ho messo io *Lo ci ho messo io 9 Gliene regalo tre *Ne gli regalo tre Ce ne sono alcuni *Ne ci sono alcuni Te ne parlerò in un’altra occasione *Ne te parlerò in un’altra occasione Come i pronomi clitici, la particella ne può far scattare l’accordo con il participio passato: Ne ho visto/i tre Li ho visti *Ho visti loro Di che cosa avete parlato? *Ne (=di questo) *NE ho parlato, non di questo *CI siamo andati, non là *Ce e ne hanno portati alcuni Dove siete andati? *Ci Pronomi personali vs riflessivi I pronomi personali possono avere un uso: - deittico, quando il loro riferimento è determinato dal contesto comunicativo, situazionale o extralinguistico, al pari di una espressione nominale: Ho incontrato Alberto/lui – L’ho incontrato - anaforico, quando il riferimento è determinato in base ad un antecedente, cioè ad una espressione nominale presente nella stessa frase o discorso: Ho telefonato ad Alberto, ma non l’ho trovato Non sempre tuttavia un pronome personale può ricevere referenza da un antecedente; anzi in una frase semplice ciò non è generalmente possibile: Albertoi loj/*i ha invitato [I suoi amici]i hanno spedito loroj/*i una cartolina Qui lo/loro hanno referenza deittica e non possono riferirsi all’antecedente nominale nella frase; analogamente nella seguente lo può riferirsi ad Alberto o ad un altro individuo ma non a Paolo: 10 Albertoi presume che Paoloj non loi/l/*j abbia informato correttamente Diversamente dai pronomi personali, i pronomi riflessivi devono avere un antecedente nella frase semplice che li contiene, quindi hanno sempre uso anaforico: Albertoi sii è superato / Rossellai sii è ingannata Albertoi ha superato se stessoi/*stessa *Se stessoi ha superato Albertoi (con soggetto nullo) proi ha superato se stessoi/ai Albertoj ritiene che Paoloi abbia rovinato se stessoi/*j Albertoi ritiene che Rossella abbia criticato luii/j Luii ritiene che Rossella abbia criticato Alberto j/*i I possessivi in italiano si comportano come aggettivi mentre in altre lingue hanno la stessa distribuzione dei determinanti: il/questo mio libro *mio libro *the/this my book my book In italiano essi sono una categoria intermedia tra aggettivi e pronomi (mentre possiamo dire che in inglese hanno uno statuto intermedio tra determinanti e pronomi). Le analogie dei possessivi con i pronomi consistono nel fatto che essi condividono il tratto di persona/numero: singolare plurale 1 mio 1 nostro 2 tuo 2 vostro 3 suo 3 loro Anche i possessivi possono essere usati deitticamente o anaforicamente: Il suo impegno non fu premiato Quello studente si comportò diligentemente ma il suo impegno non fu premiato Inoltre, nella determinazione dell’antecedente, mentre i pronomi possessivi suo/loro possono essere usati sia deitticamente che anaforicamente, il possessivo riflessivo proprio può essere usato solo anaforicamente, con un antecedente all’interno della frase semplice: *Il proprio impegno non fu premiato [Quello studente]i è consapevole delle propriei capacità [L’insegnante]j sa che [lo studente]i è consapevole delle propriei/*j capacità 11 I costituenti I costituenti sono gruppi di parole che costituiscono delle entità intermedie tra la frase da un lato e la parola dall’altro; le singole parole che compongono il costituente sono legate da relazioni morfologiche, sintattiche e semantiche. La strutturazione della frase in costituenti è intuitivamente percepita dal parlante; esistono tuttavia dei criteri oggettivi per determinare se una data sequenza di parole forma un costituente o meno. I seguenti test diagnostici sono condizioni sufficienti, anche se non tutte necessarie, di costituenza. 1. Movimento Solo un costituente può essere mosso da un punto ad un altro della frase, mentre una sequenza arbitraria di parole non può esserlo. Alberto ha incontrato un collega in pizzeria dopo il concerto Un collega, Alberto l’ha incontrato in pizzeria dopo il concerto In pizzeria, Alberto (ci) ha incontrato un collega dopo il concerto Dopo il concerto, Alberto ha incontrato un collega in pizzeria UN COLLEGA Alberto ha incontrato in pizzeria dopo il concerto, non un parente IN PIZZERIA Alberto ha incontrato un collega dopo il concerto, non al mercato DOPO IL CONCERTO Alberto ha incontrato un collega in pizzeria, non prima ALBERTO ha incontrato un collega in pizzeria dopo il concerto, non Paolo *Collega in, Alberto ha incontrato un ___ pizzeria dopo il concerto *Concerto, Alberto ha incontrato un collega in pizzeria dopo il ___ *In pizzeria dopo, Alberto ha incontrato un collega ___ il concerto *Ha incontrato, Alberto ___ un collega in pizzeria dopo il concerto Alberto ha incontrato un collega in pizzeria dopo il concerto Alberto ha incontrato un collega dopo il concerto in pizzeria Alberto ha incontrato in pizzeria dopo il concerto un collega Alberto ha incontrato in pizzeria un collega dopo il concerto Alberto ha incontrato dopo il concerto un collega in pizzeria Alberto ha incontrato dopo il concerto in pizzeria un collega I can’t stand [your elder sister] [Your elder sister], I can’t stand *Your elder, I can’t stand sister*Elder sister, I can’t stand your *Sister, I can’t stand your elder *Your, I can’t stand elder sister John ran up the hill [Up the hill] John ran John rang up his mother *[Up his mother] John rang John looked up the phone number *[Up the phone number] John looked [That kind of behaviour] I will not tolerate I went to see the new film yesterday, and [very exciting] it was, too [Very shortly] he’s going to leave for Paris [Down the hill] John ran, as fast as he could [Send him a postcard] I never will! He explained [all the terrible problems that he had encountered] to her He explained to her [all the terrible problems that he had encountered] *He explained all the to her terrible problems that he had encountered 2. Frase scissa Solo dei costituenti possono occupare, all’interno di una frase scissa, la posizione di focalizzazione collocata tra il verbo essere e la congiunzione subordinante che E’ - costituente focalizzato - che - resto della frase E’ un collega che Alberto ha incontrato in pizzeria dopo il concerto, non un parente E’ in pizzeria che Alberto ha incontrato un collega dopo il concerto, non al mercato E’ dopo il concerto che Alberto ha incontrato un collega in pizzeria, non prima E’ Alberto che ha incontrato un collega in pizzeria dopo il concerto, non Paolo *E’ incontrato un che Alberto ha ___ collega in pizzeria dopo il concerto *E’ il concerto che Alberto ha incontrato un collega in pizzeria dopo ___ *E’ pizzeria dopo il che Alberto ha incontrato un collega in ___ concerto *E’ Alberto ha che ___ incontrato un collega in pizzeria dopo il concerto It is [up the hill] that John ran very quickly It is [John] that ran up the hill very quickly It is [very quickly] that John ran up the hill *It is [up his mother] that John rang yesterday It is [his mother] that John rang up yesterday It is [yesterday] that John rang up his mother It is [John] that rang up his mother yesterday 3. Non inseribilità Se una sequenza di parole forma un costituente essa non può essere interrotta dall’inserimento di materiale lessicale. Venerdì scorso Alberto ha incontrato un collega in pizzeria dopo il concerto Alberto venerdì scorso ha incontrato un collega in pizzeria dopo il concerto Alberto ha incontrato venerdì scorso un collega in pizzeria dopo il concerto Alberto ha incontrato un collega venerdì scorso in pizzeria dopo il concerto Alberto ha incontrato un collega in pizzeria venerdì scorso dopo il concerto Alberto ha incontrato un collega in pizzeria dopo il concerto venerdì scorso *Alberto ha incontrato [un venerdì scorso collega] in pizzeria dopo il concerto *Alberto ha incontrato un collega [in venerdì scorso pizzeria] dopo il concerto *Alberto ha incontrato un collega in pizzeria [dopo venerdì scorso il concerto] *Alberto ha incontrato un collega in pizzeria [dopo il venerdì scorso concerto] John ran very quickly up the hill *John [rang very quickly up] his mother *John ran [up very quickly the hill] John rang up very quickly his mother Very quickly John’s brother ran up the hill John’s brother very quickly ran up the hill John’s brother ran very quickly up the hill John’s brother ran up the hill very quickly *John’s very quickly brother ran up the hill*John’s brother ran up very quickly the hill *John’s brother ran up the very quickly hill 4. Sostituibilità tramite pro-forma Se è possibile sostituire una sequenza di parole con una pro-forma, cioè con una singola parola, la sequenza sostituita forma un costituente. Lui ha incontrato un collega in pizzeria dopo il concerto Alberto l’ha incontrato in pizzeria dopo il concerto Alberto ci/lì ha incontrato un collega dopo il concerto Alberto ha incontrato un collega in pizzeria dopo Lui l’ha incontrato lì dopo Mario ha sostenuto l’esame ma Gianni non intende farlo (pro-SV) Alberto ha parlato del problema con il suo collega e ne hanno discusso a lungo (pro-SP) Andremo al mare e ci resteremo per due settimane (pro-SP) Il suo collega è molto intelligente anche se non lo sembra (pro-SA) A:Maria è di nuovo incinta. A:Spero che verrà. B:Non ci credo. (pro-F) B:Lo spero anch’io. (pro-F) What do you think of the guy who wrote that boring book on generative grammar/him? I can’t stand him (pro-NP) *What do you think of the him who wrote that boring it on generative it? Have you ever been to Paris? No, I have never been there (pro-PP) Many people consider John [extremely rude], but I’ve never found him so (pro-AP) Mary is pregnant again - I don’t believe it (pro-CP) Is there snow outside? – Does it matter? (pro-CP) I hope he will come – I hope so too (pro-CP) 5. Interrogabilità / Enunciabilità in isolamento Se una sequenza di parole forma un costituente essa può essere sostituita da un elemento interrogativo ed è enunciabile in isolamento, ad esempio come risposta ad una domanda: Chi (è che) ha incontrato un collega in pizzeria dopo il concerto? Alberto Chi ha incontrato Alberto in pizzeria dopo il concerto? Un collega Dove Alberto ha incontrato un collega dopo il concerto? In pizzeria Quando Alberto ha incontrato un collega in pizzeria? Dopo il concerto Cosa è successo venerdì scorso? Alberto ha incontrato un collega in pizzeria dopo il concerto Where did he run very quickly? Up the hill Who ran very quickly up the hill? John How did he run up the hill? Very quickly Who did John ring up yesterday?*Up his mother His mother /*His mother yesterday/*Mother/*His 6. Coordinabilità Solo le sequenze di parole che formano dei costituenti possono essere coordinate. Alberto e Giorgio hanno incontrato un collega in pizzeria dopo il concerto Alberto ha incontrato un collega e la segretaria in pizzeria dopo il concerto Alberto ha incontrato un collega in pizzeria e al bar dopo il concerto Alberto ha incontrato un collega in pizzeria dopo il concerto e prima del film Inoltre, due sequenze di parole possono essere coordinate solo se sono costituenti della stessa categoria: *Alberto ha incontrato un collega e in pizzeria *Alberto ha incontrato un collega e dopo il concerto *Alberto ha incontrato un collega e venerdì scorso [??Alberto ha incontrato un collega in pizzeria e dopo il concerto] He has a cat and a dog I met your mother and father Is she in the kitchen or in the bathroom? He speaks very slowly but very clearly John ran up the hill and up the mountain *John rang up Bill and up Bob John rang up Bill and Bob John wrote to Mary and to Fred *John wrote a letter and to Fred John wrote a letter and a postcard *John wrote to Mary and a postcard 7. Cancellabilità in strutture coordinate (con condivisione di costituente) Solo sequenze che formano un costituente possono essere cancellate tramite ellissi – e comparire alla periferia destra della frase – in strutture coordinate: Alberto ha incontrato un collega _____ – e Mario ha riconosciuto un amico _____ – [nella pizzeria accanto alla stazione] Alberto ha incontrato un collega _____– e Mario ha riconosciuto un amico _____– [dopo il concerto di Vasco Rossi] Dopo il concerto, Alberto ha incontrato_____- e Mario ha riconosciuto_____ – [un vecchio amico d’infanzia] Shared constituent coordination – Right node raising John walked - and Mary ran - [up the hill] John walked up the hill and Mary ran up the hill *John rang - and Harry picked – [up Mary’s sister] John rang up Mary’s sister and Harry picked up Mary’s sister John denied (and Fred admitted) [complicity in the crime] 8. Omissibilità Solo sequenze di parole che formano un costituente possono essere omesse dalla frase. In italiano il caso più comune è quello del soggetto, ma ciò si verifica anche con i circostanziali: [Alberto] Ha incontrato un collega in pizzeria dopo il concerto Alberto ha incontrato un collega in pizzeria [dopo il concerto] Alberto ha incontrato un collega [in pizzeria] dopo il concerto La frase come struttura predicativa La caratteristica sintattica e semantica che fa di una determinata combinazione di parole una frase è quella di essere una struttura predicativa. La segretaria viene 1. Viene la segretaria 2. E’ la segretaria che viene, non la donna delle pulizie 3.*La oggi segretaria viene 4. Chi viene? La segretaria 5. Lei viene 6. La segretaria e la sua collega vengono F SN La segretaria F SV viene soggetto predicato I due elementi coinvolti nel rapporto di predicazione sono il soggetto ed il predicato; una frase esprime cioè un rapporto di predicazione tra un soggetto ed un predicato. Questo fatto è colto dal punto di vista formale anche dal Principio di proiezione esteso, che prevede che in ogni frase la posizione di soggetto debba essere realizzata. Tale relazione di predicazione è un particolare caso di rapporto di interdipendenza (dotato di una espressione formale propria); tale interdipendenza consiste nel fatto che un soggetto è tale solo se ha un predicato ed un predicato è tale solo se ha un soggetto. Esistono anche altre forme di predicazione in cui sono coinvolti degli aggettivi: I found the room dark La stanza è buia predicazione I found the dark room La stanza buia modificazione La segretaria ha telefonato 1. Ha telefonato la segretaria 2. E’ la segretaria che ha telefonato, non la donna delle pulizie 3.*La ieri segretaria ha telefonato *La segretaria ha ieri telefonato 4. Chi ha telefonato? La segretaria 5. Lei ha telefonato 6. La segretaria e la sua collega hanno telefonato F soggetto SN La segretaria predicato SV ha telefonato Mentre il soggetto è uno dei termini del rapporto di predicazione, ed è quindi esterno – anche strutturalmente – al predicato, l’oggetto è parte del predicato che si applica al soggetto: La segretaria ha scritto la relazione La relazione, l’ha scritta la segretaria E’ la relazione che la segretaria ha scritto, non l’elenco *La segretaria ha scritto la ieri relazione Cosa ha scritto la segretaria? La relazione La segretaria l’ha scritta La segretaria ha scritto la relazione e l’elenco F soggetto SN La segretaria predicato (complesso) SV V SN ha scritto la relazione La segretaria ha telefonato ad un collega Ad un collega, ha telefonato la segretaria E’ ad un collega che la segretaria che ha telefonato, non al marito *La segretaria ha telefonato ad un ieri collega A chi ha telefonato la segretaria? Ad un collega La segretaria gli ha telefonato La segretaria ha telefonato ad un collega ed al marito F soggetto SN La segretaria predicato (complesso) SV V SP ha telefonato ad un collega La segretaria comunicò quelle notizie ad un collega F SN SV La segretaria V SN SP comunicò quelle notizie ad un collega Alberto ha incontrato un collega in pizzeria dopo il concerto F SN VP Alberto V SN ha incontrato un collega SP SP in pizzeria dopo il concerto Le frasi sono articolate in costituenti (che a loro volta possono essere scomposti in altri costituenti, fino ad arrivare alle singole parole); le frasi delle lingue naturali hanno quindi non soltanto una struttura lineare, ma anche una struttura gerarchica. Le rappresentazioni grafiche della struttura gerarchica di una frase vengono definite indicatori sintagmatici. Il sistema di rappresentazione più frequentemente utilizzato è quello del diagramma ad albero, in cui la struttura a costituenti della frase viene rappresentata in forma di albero genealogico in cui il nodo radice è rappresentato dal simbolo di frase F dal quale si ramificano i costituenti di estensione maggiore fino ad arrivare ai sottocostituenti (ed infine alle singole parole). Teoria X-barra Nel linguaggio tecnico, al termine gruppo/costituente si è ormai sostituito quello di sintagma; definiamo sintagma un insieme di elementi che formano un costituente (senza specificazione sul numero degli elementi che l’insieme può o deve contenere). Il componente della grammatica che regola la struttura interna dei sintagmi è conosciuto con il nome di teoria X-barra. Tale teoria evidenzia le proprietà comuni nella strutturazione interna dei vari sintagmi. In tutti i sintagmi viene realizzato un elemento che funge da testa, che coincide con la parola che determina la categoria di appartenenza del sintagma stesso; essa è la parte caratterizzante ed essenziale dei costituenti: è l’unico elemento che deve obbligatoriamente essere presente in ogni sintagma di una determinata categoria lessicale. Si parla quindi di sintagma nominale, verbale, aggettivale, preposizionale, avverbiale a seconda della parte del discorso a cui appartiene l’elemento che funge da testa (nome, verbo, aggettivo, preposizione, avverbio). La struttura dei singoli costituenti sarà quindi strettamente collegata alle proprietà delle varie sottoclassi di categorie; il fatto cioè che la testa sia accompagnata o meno da altri elementi dipende dalla categoria lessicale a cui appartiene la testa stessa. La proiezione sintagmatica di ogni categoria può essere rappresentata per mezzo di una struttura stratificata. Ogni sintagma è visto infatti come la proiezione di una testa: la testa è una proiezione di livello zero, detta X° (le teste sono nodi terminali, in quanto dominano le parole). La teoria X-barra distingue due ulteriori livelli di proiezione: i complementi si combinano con la testa X° per formare la proiezione intermedia X’; lo specificatore si combina con X’ per formare la proiezione massimale XP, secondo lo schema seguente: XP Specificatore YP X’ X° Complemento ZP La realizzazione di specificatore e complemento è opzionale, mentre la testa del sintagma deve essere obbligatoriamente realizzata. Gli elementi che occupano le posizioni di specificatore e complemento sono delle proiezioni massimali, che hanno a loro volta una struttura interna basata sullo schema X-barra; questo rende conto della proprietà di ricorsione del linguaggio. XP Specificatore YP X’ X° Complemento ZP Un costituente/sintagma può essere formato anche da una singola parola; una categoria lessicale semplice non modificata ha infatti la stessa distribuzione di un costituente complesso all’interno della frase, cioè di un costituente di livello sintagmatico della categoria corrispondente. In base a criteri distribuzionali possiamo quindi affermare che categorie lessicali non modificate hanno lo stesso statuto di costituenti complessi, sono cioè categorie di livello sintagmatico. Si noti ad esempio che possiamo coordinare categorie a livello di parola o a livello sintagmatico: N+NP Luisa ha mangiato [pane] e [molto prosciutto crudo] Luisa ha mangiato [quel pane di segala] e [prosciutto] A+AP Alberto sembrava [invidioso] ma [abbastanza soddisfatto del premio] Alberto sembrava [piuttosto invidioso di Paolo] ma [soddisfatto] P+PP L’ufficio si trova [dietro] e [proprio sopra il negozio] L’ufficio si trova [immediatamente dietro l’angolo] e [sopra] Avv+AdvP Anna ha svolto i compiti [correttamente] e [molto più velocemente di Maria] Anna ha svolto i compiti [abbastanza conformemente alle consegne] e [velocemente] [Cars] can be useful [Fast cars] can be useful [Very fast cars] can be useful [Those very fast cars] can be useful I’m crazy about [cars] I really enjoy [fast cars] [very fast cars] [those very fast cars] Good linguists and philosophers are rare John is a very kind and considerate person There are arguments for and against this claim He walks and talks like a true Texan You can bring these and those books He opened the door quite slowly and deliberately The man next door and his wife are very nice He is a very shy but rather intelligent man He went to London and to Paris John drives very slowly and very carefully I tests di costituenza individuano come costituenti diverse sequenze, corrispondenti a diversi livelli di struttura sintagmatica secondo lo schema X-barra: 1. Nome = Noun Phrase Luisa ha mangiato [pane] Luisa ha mangiato [il pane] Luisa ha mangiato [pane di segala] Luisa ha mangiato [quel pane di segala] *Luisa ha mangiato [il/quel ___ di segala] Movimento / Pronominalizzazione: [Pane], Luisa ne ha mangiato [Il pane], Luisa l’ha mangiato [Pane di segala], Luisa ne ha mangiato [Quel pane di segala], Luisa l’ha mangiato Frase scissa: E’ [pane] che Luisa ha mangiato E’ [il pane] che Luisa ha mangiato E’ [pane di segala] che Luisa ha mangiato E’ [il pane di segala] che Luisa ha mangiato Ininseribilità Luisa ha mangiato (ieri) il pane di segala (ieri) *Luisa ha mangiato [il ieri pane] *Luisa ha mangiato [pane ieri di segala] *Luisa ha mangiato [il ieri pane di segala] Interrogabilità / Enunciabilità in isolamento Che cosa ha mangiato Luisa? Pane/Il pane/Pane di segala/Il pane di segala Coordinazione Luisa ha mangiato pane e prosciutto Luisa ha mangiato il pane e il prosciutto Luisa ha mangiato pane di segala e prosciutto crudo Luisa ha mangiato il pane di segala e molto prosciutto crudo La struttura interna del sintagma nominale sarà articolata in una testa N° che contiene il nome, in un complemento (un PP), in uno specificatore, che ospita degli aggettivi prenominali: NP N’ N° pane NP N’ N° pane PP di segala L’articolo occupa la testa di una proiezione DP che si trova più in alto e seleziona l’NP come suo complemento: DP D’ D° il NP N’ N° pane PP di segala DP D’ D° il NP AP mio/buon N° pane N’ PP di segala DP D’ D° un NP AP interessante N° libro N’ PP su Freud Preposizione = Prepositional Phrase L’ufficio principale si trova dietro L’ufficio principale si trova dietro l’angolo L’ufficio principale si trova immediatamente dietro L’ufficio principale si trova immediatamente dietro l’angolo *L’ufficio principale si trova immediatamente ___ l’angolo Movimento Dietro, si trova l’ufficio principale Dietro l’angolo, si trova l’ufficio principale Immediatamente dietro, si trova l’ufficio principale Immediatamente dietro l’angolo, si trova l’ufficio principale Frase scissa E’ [dietro] che si trova l’ufficio principale E’ [dietro l’angolo] che si trova l’ufficio principale E’ [immediatamente dietro] che si trova l’ufficio principale E’ [immediatamente dietro l’angolo] che si trova l’ufficio principale Ininseribilità L’ufficio principale si trova - credo - immediatamente dietro l’angolo credo *L’ufficio principale si trova [dietro - credo - l’angolo] *L’ufficio principale si trova [immediatamente - credo - dietro] *L’ufficio principale si trova [immediatamente - credo - dietro - credo l’angolo] Enunciabilità in isolamento Dove si trova l’ufficio principale? Dietro/Immediatamente dietro/Dietro l’angolo/Immediatamente dietro l’angolo Sostituzione tramite pro-forma??? Coordinazione L’ufficio principale si trova dietro e sopra L’ufficio principale si trova dietro l’angolo e sopra il negozio L’ufficio principale si trova immediatamente dietro e proprio sopra L’ufficio principale si trova immediatamente dietro l’angolo e proprio sopra il negozio Nel caso del sintagma preposizionale PP possiamo avere uno specificatore (che ospita generalmente un modificatore o intensificatore di tipo avverbiale) ed un complemento (che può essere un sintagma nominale NP oppure un altro sintagma preposizionale PP): immediatamente dietro l’angolo: PP AdvP immediatamente P° dietro P’ DP D’ D° l’ NP N’ N° angolo poco prima del suo arrivo: PP AdvP poco P’ P° prima P° de PP P’ DP D’ D° NP l AP N’ suo N’ N° arrivo Si noti che le preposizioni articolate vanno suddivise in preposizione in P° ed articolo in D°, dato che la fusione dei due elementi è un fenomeno morfo-fonologico che non interessa la sintassi. Aggettivo = Adjectival Phrase Alberto sembrava invidioso Alberto sembrava piuttosto invidioso Alberto sembrava invidioso di Paolo Alberto sembrava piuttosto invidioso di Paolo *Alberto sembrava piuttosto _____ di Paolo Movimento [Invidioso], Alberto sembrava di certo [Piuttosto invidioso], Alberto sembrava di certo [Invidioso di Paolo], Alberto sembrava di certo [Piuttosto invidioso di Paolo], Alberto sembrava di certo ?Frase scissa E’ [invidioso] che Alberto sembrava E’ [piuttosto invidioso] che Alberto sembrava E’ [invidioso di Paolo] che Alberto sembrava E’ [piuttosto invidioso di Paolo] che Alberto sembrava Ininseribilità Alberto sembrava (ieri) piuttosto invidioso di Paolo (ieri) *Alberto sembrava [piuttosto ieri invidioso] *Alberto sembrava [invidioso ieri di Paolo] *Alberto sembrava [piuttosto ieri invidioso ieri di Paolo] Enunciabilità in isolamento Come ti sembrava Alberto? Invidioso/Piuttosto invidioso/Invidioso di Paolo/Piuttosto invidioso di Paolo Sostituzione tramite pro-forma - Credo che Alberto fosse invidioso/ piuttosto invidioso/ invidioso di Paolo/ piuttosto invidioso di Paolo - In effetti lo sembrava Coordinazione Alberto sembrava invidioso ma soddisfatto Alberto sembrava piuttosto invidioso ma abbastanza soddisfatto Alberto sembrava invidioso di Paolo ma soddisfatto del premio Alberto sembrava piuttosto invidioso di Paolo ma abbastanza soddisfatto del premio Il sintagma aggettivale AP si articola in uno specificatore, che ospita un modificatore (un elemento avverbiale) ed un PP complemento. estremamente soddisfatto dei risultati: AP AdvP A’ Adv’ Adv° A° PP estremamente soddisfatto P’ P° DP de D’ D° NP i N’ N° risultati l AP Avv piuttosto A’ A° invidioso PP P’ P° di DP D’ D° NP N’ N° Paolo Avverbio = Adverbial Phrase Anna ha svolto i compiti correttamente Anna ha svolto i compiti abbastanza correttamente Anna ha svolto i compiti conformemente alle consegne Anna ha svolto i compiti abbastanza conformemente alle consegne *Anna ha svolto i compiti abbastanza _____ alle consegne Movimento Correttamente, Anna ha svolto i compiti Abbastanza correttamente, Anna ha svolto i compiti Conformemente alle consegne, Anna ha svolto i compiti Abbastanza conformemente alle consegne, Anna ha svolto i compiti Frase scissa E’ correttamente che Anna ha svolto i compiti E’ abbastanza correttamente che Anna ha svolto i compiti E’ conformemente alle consegne che Anna ha svolto i compiti E’ abbastanza conformemente alle consegne che Anna ha svolto i compiti Ininseribilità Anna ha svolto i compiti (spesso) correttamente (spesso) *Anna ha svolto i compiti [abbastanza spesso correttamente] *Anna ha svolto i compiti [conformemente spesso alle consegne] *Anna ha svolto i compiti [abbastanza conformemente spesso alle consegne] Enunciabilità in isolamento Come ha svolto i compiti Anna? Correttamente/Abbastanza correttamente/Conformemente alle consegne Sostituzione tramite pro-forma: - Anna ha svolto i compiti correttamente/ abbastanza diligentemente/ conformemente alle consegne/ abbastanza conformemente alle consegne. -Mi meraviglio che sia riuscita a svolgerli così. Coordinazione Anna ha svolto i compiti correttamente e velocemente Anna ha svolto i compiti abbastanza correttamente e molto velocemente Anna ha svolto i compiti conformemente alle consegne e molto velocemente Anna ha svolto i compiti abbastanza conformemente alle consegne e molto più velocemente di Maria Nel caso del sintagma avverbiale possiamo avere uno specificatore che contiene un intensificatore ed un sintagma preposizionale come complemento: AdvP AdvP Adv’ Adv’ Adv° abbastanza Adv° conformemente PP P’ P° a DP D’ D° le NP AP N’ A’ N° A° consegne nostre F SN1 D1 L’ N1 ufficio SV SA A principale V si trova SP SAvv P SN2 dietro Avv D2 N2 immediatamente l’ angolo F SN N Luisa SV V ha mangiato SN D quel N pane SP P di SN N segala F SN D L’ SV N ufficio SA V si trova A principale SP SAvv P SN dietro Avv D N immediatamente l’ angolo F SN N Alberto SV V SA sembrava (S)Q A piuttosto invidioso SP P di SN N Paolo F SN N Anna SV V ha svolto SN SAvv D N i compiti (S)Q Avv abbastanza conformemente PP P a SN D N le consegne Un componente della competenza grammaticale interiorizzata dal bambino riguarderà dunque la struttura dei sintagmi: la teoria X-barra cerca di rappresentare la conoscenza della struttura sintagmatica propria di un parlante nativo; è plausibile ipotizzare che lo schema X’ sia, alla pari di altri principi innati di UG, parte della facoltà del linguaggio di cui il bambino dispone geneticamente. La teoria X’ è basata sull’assunto della ramificazione binaria, secondo cui un nodo X può dominare immediatamente non più di due nodi, cioè può ramificarsi in non più due nodi. Un sistema grammaticale che ammette solo nodi ramificanti binari è più restrittivo in quanto esclude molte possibili rappresentazioni sintagmatiche; essendo più restrittivo è preferibile sia per ragioni di economia rappresentazionale sia per ragioni di apprendibilità; infatti, nella elaborazione di una struttura sintattica, un bambino dotato di un sistema che costruisce solo ramificazioni binarie avrà un numero minore di decisioni da prendere sulla struttura; una maggiore restrittività è quindi preferibile in quanto meno scelte possibili comportano automaticamente una maggiore rapidità nella costruzione della grammatica centrale della lingua acquisita. Una teoria senza restrizioni o con minori restrizioni (che ammettesse ad esempio ramificazioni ternarie o quaternarie) offrirebbe più possibilità di scelta rispetto a quella con la sola ramificazione binaria e quindi renderebbe più arduo il compito acquisizionale del bambino. L’ ordine lineare dei costituenti rispetto alla testa della proiezione non è fissato universalmente; si è proposto di parametrizzare l’ordine relativo della testa rispetto agli altri costituenti, derivando la struttura sintagmatica delle singole lingue dall’interazione fra lo schema generale ed un principio parametrico che fissa l’ordine relativo di testa, complementi e specificatori. In alternativa, si può anche pensare che l’ordine basico sia fissato da UG e che ordini divergenti siano generati grazie a movimenti aggiuntivi; così ad esempio, l’ordine complemento-testa sarebbe il risultato del movimento di ZP alla sinistra della testa. Le restrizioni di ordine attestate variano interlinguisticamente e perciò devono essere acquisite dal bambino attraverso l’esposizione ai dati della propria lingua madre. Struttura interna dei costituenti e proprietà formali della struttura ad albero Alle etichette che indicano, nel diagramma ad albero, i vari costituenti, si dà il nome di nodi. I nodi non terminali possono essere ramificanti o meno; i nodi terminali non ramificano. All’interno del diagramma ad albero i rapporti tra nodi in senso verticale sono definiti dalla relazione di dominanza (solo nodi ramificanti – cioè non terminali – dominano altri nodi): un nodo X domina un altro nodo Y se e solo se X si trova più in alto di Y nella struttura ad albero e se è collegato ad esso solo tramite rami discendenti, cioè se è possibile tracciare una linea da X a Y muovendo solo verso il basso. DP1 D’1 D°1 un NP1 AP1 N’1 A’1 A°1 N°1 interessante libro PP P’ P° su DP2 D’2 D°2 la NP2 AP2 A’2 A°2 sua DP1 domina tutti gli altri nodi D’1 domina tutti gli altri nodi ad eccezione di DP1 D°1 non domina nessun nodo NP1 domina tutti i nodi ad eccezione di DP1-D’1-D°1 AP1 domina A’1-A°1 A’1 domina A°1 N’2 N°2 vita N’1 domina tutti i nodi ad eccezione di DP1-D’1-D°1, NP1, AP1-A’1-A°1... D°1, A°1, N°1, P°, D°2, A°2, N°2 non dominano nessun nodo; sono infatti nodi terminali (non ramificanti). Un nodo X domina immediatamente un nodo Y se X domina Y e se nessun nodo interviene tra X e Y: DP1 domina immediatamente D’1 D’1 domina immediatamente D°1 e NP1 NP1 domina immediatamente AP1 e N’1 AP1 domina immediatamente A’1 A’1 domina immediatamente A°1 N’1 domina immediatamente N°1 e PP PP domina immediatamente P’ P’ domina immediatamente P° e DP2... D°1, A°1, N°1, P°, D°2, A°2, N°2 non dominano (immediatamente) nessun nodo. Due (o più) nodi Y e Z dominati immediatamente da un stesso nodo X sono i suoi costituenti immediati (che sono quindi i costituenti che rappresentano il primo livello di analisi di un altro costituente); Y e Z vengono definiti nodi fratelli; inoltre, sono definiti nodi figli del nodo padre X che li domina immediatamente. Le relazioni tra nodi in senso orizzontale sono definite in termini di precedenza (coincide con la nozione di c-comando asimmetrico): Un nodo X precede un nodo Y se e solo se X si trova alla sinistra di Y nell’albero e X e Y non si dominano reciprocamente. Un nodo precede quindi tutti i nodi che non domina, da cui non è dominato e che sono situati alla sua destra nel grafo ad albero. DP1 domina tutti gli altri nodi e quindi non ne precede nessuno D’1 domina tutti gli altri nodi ed è dominato da DP1, quindi non ne precede nessuno D°1 non domina nessun nodo ma è dominato da DP1-D’1, quindi precede tutti gli altri nodi NP1 domina tutti i nodi ad eccezione di DP1-D’1 che lo dominano e D°1 si trova alla sua sinistra; quindi NP1 non precede nessun nodo AP1 precede tutti i nodi ad eccezione di A’1-A°1 (che domina), di DP1-D’1-NP1 (da cui è dominato), e di D°1 che si trova alla sua sinistra. A’1 precede tutti i nodi ad eccezione di A°1 (che domina), di DP1-D’1-NP1-AP1 (da cui è dominato), e di D°1 che si trova alla sua sinistra. A°1 precede tutti i nodi ad eccezione di DP1-D’1-NP1-A’1 (da cui è dominato) e di D°1 che si trova alla sua sinistra. N’1-PP-P’-DP2-D’2-NP2-N’2-N°2 non precedono nessun nodo perché i nodi che non dominano e da cui non sono dominati si trovano alla loro sinistra. Un nodo X precede immediatamente un nodo Y se X precede Y e nessun nodo interviene tra essi (coincide con la nozione di fratellanza) Un’altra possibilità di rappresentare l’indicatore sintagmatico della frase è quello delle parentesi etichettate in cui si racchiudono tra parentesi quadre i vari costituenti i cui simboli si sottoscrivono alle parentesi; ciascuna parentesi conterrà al suo interno tutti i nodi dominati dal nodo che determina l’etichetta della parentesi stessa: Dal punto di vista concettuale i diagrammi ad albero e le parentesi etichettate sono strettamente equivalenti, in quanto entrambe le modalità di notazione rappresentano l’indicatore sintagmatico di una frase. La struttura interna del VP Applichiamo lo schema X-barra al sintagma verbale, collocando il verbo lessicale nella testa V° e l’argomento del verbo nella posizione di complemento (e lasciando vuota per il momento la posizione di specificatore): Alberto intende invitare i suoi colleghi VP V’ V° invitare DP D’ D° i NP AP suoi N’ N° colleghi La segretaria ha telefonato al direttore VP V’ V° telefonato P° a PP P’ DP D° D° il NP N’ N° direttore Esiste un test di costituenza per il sintagma verbale che consiste nella sua sostituzione tramite la forma suppletiva farlo: Gianni ha già telefonato a Maria, ma Alberto non intende farlo Molti studenti frequenteranno il corso, ma alcuni non lo faranno Proviamo ad applicare questo test di pronominalizzazione ad un sintagma verbale che contenga anche dei circostanziali: Il direttore ha [rimproverato quell’operaio in ufficio dopo la pausa] e anche il responsabile del personale lo ha fatto Il direttore ha [rimproverato quell’operaio in ufficio] dopo la pausa e anche il responsabile del personale lo ha fatto prima dell’inizio del turno Il direttore ha [rimproverato quell’operaio] in ufficio dopo la pausa e anche il responsabile del personale lo ha fatto in corridoio prima dell’inizio del turno * Il direttore ha [rimproverato] quell’operaio in ufficio dopo la pausa e anche il direttore del personale (lo) ha fatto la segretaria in corridoio prima dell’inizio del turno La segretaria aveva [spedito le lettere ai direttori dopo il nostro arrivo] e anche la sua collega lo ha fatto La segretaria aveva [spedito le lettere ai direttori] dopo il nostro arrivo e anche la sua collega lo ha fatto prima del nostro arrivo *La segretaria aveva [spedito le lettere] ai direttori dopo il nostro arrivo e anche la sua collega lo ha fatto ai consiglieri prima del nostro arrivo *La segretaria aveva [spedito] le lettere ai direttori dopo il nostro arrivo e anche la sua collega lo ha fatto gli inviti ai consiglieri prima del nostro arrivo Questo test di costituenza applicato al sintagma verbale indica che il legame tra verbo lessicale ed argomenti è più stretto di quello tra verbo e circostanziali in quanto – a qualche livello – il verbo sembra formare con i suoi argomenti un costituente da cui rimangono esclusi i circostanziali. Una struttura piatta in cui il nodo intermedio V’ si ramifica avendo come suoi costituenti immediati la testa verbale, gli argomenti ed i circostanziali non individua come costituente la sequenza che include verbo ed argomenti. Per rendere conto di questo fatto dovremo ricorrere ad una struttura articolata in diversi nodi V’ ricorsivi a cui vengono aggiunti a destra i vari circostanziali; il nodo V’ più basso sarà quello che domina il verbo lessicale ed il suo argomento: VP V’ V’ V° (ha) rimproverato PP P’ V’ PP P° DP P’ dopo D’ DP P° DP D° NP D° NP in D’ la N’ l’ N’ D° NP N° N° N’ pausa operaio N° ufficio Dobbiamo quindi ammettere la possibilità che il livello intermedio X’ di ogni categoria X° possa essere ricorsivo. Il rapporto privilegiato che unisce il verbo al proprio argomento selezionato è colto dalla nozione di reggenza. La reggenza da parte di una testa (reggenza-t) viene definita in termini di fratellanza; un nodo X regge un nodo Y se: - X è un elemento reggente (gli elementi reggenti sono teste); - X e Y sono nodi fratelli. La testa X° di un sintagma XP regge quindi il proprio complemento ZP; l’elemento che regge viene definito reggente, mentre il complemento si definisce retto. Tutti i costituenti retti da un nodo costituiscono il dominio di reggenza di quel nodo. Sia il verbo lessicale che il nome, che costituiscono la testa del sintagma verbale e nominale, reggono quindi i propri complementi; la configurazione di reggenza rende possibile l’assegnazione di un ruolo tematico all’argomento interno da parte del verbo o del nome (si dice anche che un verbo che regge e assegna un ruolo tematico ad un argomento interno regge tematicamente tale argomento). Per quanto riguarda l’assegnazione di ruolo tematico all’argomento esterno, cioè al sintagma nominale che funge da soggetto grammaticale, dovremo ipotizzare che esso richieda una configurazione strutturale diversa, dato che esso occupa appunto una posizione esterna al sintagma verbale. Nel caso in cui il sintagma verbale non contenga nessun argomento interno ma soltanto un circostanziale, questo sarà aggiunto alla destra del nodo V’ più alto, mentre il nodo V’ più basso non ramificherà: La segretaria aveva telefonato dopo la riunione VP V’ V’ V° telefonato PP P’ P° dopo DP D’ D° NP la N’ N° riunione La restituzione dei preziosi gioielli stupì l’opinione pubblica DP D’ D° La NP N’ N° restituzione PP P’ P° de DP D’ D° i NP AP A’ A° preziosi N’ N° gioielli I contadini hanno sempre praticato la raccolta delle olive con le mani raccogliere con le mani vs *praticare con le mani DP D’ D° NP la N’ N’ N° raccolta PP P’ PP P’ P° P° DP con di D’ D° D° NP le le N’ N° olive DP D’ NP N’ N° mani Finora abbiamo ipotizzato che tutti i sintagmi siano endocentrici. Tuttavia, l’ ordine lineare dei costituenti rispetto alla testa della proiezione non è fissato universalmente, dato che in alcune lingue il complemento precede la testa verbale: VP AdvP spesso VP V’ V° letto NP questo libro AdvP oft V’ NP V° dieses Buch gelesen Si è proposto di parametrizzare l’ordine relativo della testa rispetto agli altri costituenti, derivando la struttura sintagmatica delle singole lingue dall’interazione fra lo schema generale ed un principio parametrico di UG che fissa l’ordine relativo di testa e complemento: XP ^ Specificatore X’ ^ X° Complemento XP ^ Specificatore X’ ^ Complemento X° Si noti che se è vero che l’ordine testa-complemento è soggetto a variazione parametrica la relazione tra i due elementi non è definibile in termini di precedenza, ma ci serve una nozione gerarchica, come quella di fratellanza. Recentemente è stata avanzata una proposta alternativa, in base alla quale l’ordine basico fissato da UG sarebbe l’ordine verbo-complemento e l’ ordine inverso complemento-testa sarebbe il risultato del movimento del complemento ZP alla sinistra della testa X°: VP ^ AdvP V’ oft ^ NP V’ dieses Buch ^ V° t gelesen Le restrizioni di ordine attestate variano interlinguisticamente e perciò devono essere acquisite dal bambino attraverso l’esposizione ai dati della propria lingua madre. Casi di ambiguità Vi sono casi di ambiguità in cui le due diverse interpretazioni di una stessa sequenza di parole corrispondono a due diverse strutture sintagmatiche. Alberto ha parlato con un amico di Gianni (a): Alberto ha avuto una conversazione in cui si è parlato di Gianni Alberto ha parlato [di Gianni] con un amico [Di Gianni], Alberto ha parlato con un amico [Con un amico], Alberto ha parlato di Gianni *Con un amico di Gianni, Alberto ha parlato Alberto ha parlato [con un amico] [di Gianni] VP V’ V’ V° (ha) parlato PP P’ PP P° DP P’ di D’ P° DP D° NP con D’ N’ D° NP N° un N’ Gianni N° amico (b): Gianni è amico della persona con cui Alberto ha parlato *Alberto ha parlato [di Gianni] con un amico *[Di Gianni], Alberto ha parlato con un amico *[Con un amico], Alberto ha parlato di Gianni [Con un amico di Gianni], Alberto ha parlato Alberto ha parlato [con un amico di Gianni] VP V’ V° (ha) parlato PP P’ P° con DP D’ D° un NP N’ N° amico PP P’ P° di DP D’ D° La maestra ha riconosciuto l’alunna con gli occhiali (a) Grazie agli occhiali, la maestra è riuscita a riconoscere l’alunna [L’alunna], la maestra l’ha riconosciuta con gli occhiali [Con gli occhiali], la maestra ha riconosciuto l’alunna *[L’alunna con gli occhiali], la maestra l’ha riconosciuta La maestra ha riconosciuto [l’alunna][con gli occhiali] VP V’ V’ V° (ha) riconosciuto PP P’ DP P° DP D’ con D’ D° NP D° NP l’ N’ gli N’ N° N° alunna occhiali NP N’ N° Gianni (b) L’alunna che porta gli occhiali è stata riconosciuta dalla maestra *[L’alunna], la maestra l’ha riconosciuta con gli occhiali *[Con gli occhiali], la maestra ha riconosciuto l’alunna [L’alunna con gli occhiali], la maestra l’ha riconosciuta La maestra ha riconosciuto [l’alunna con gli occhiali] VP V’ V° (ha) riconosciuto DP D’ D° l’ NP N’ N° alunna PP P’ P° con DP D’ D° gli NP N’ N° Occhiali La struttura della frase Finora abbiamo visto solamente casi di sintagmi e non di frasi intere. Come si costruisce la struttura di una frase in termini di X’? Si parte comunque dal VP con il proprio oggetto, ma ci troviamo subito di fronte a due problemi fondamentali a) qual è la posizione del soggetto? b) Quando si ha un tempo composto dove va l’ausiliare’ Nella testa di V insieme al verbo lessicale e in un’altra posizione? c) Qual è effettivamente il nucleo della frase? Solo il verbo? In realtà sappiamo già che la frase è una struttura che mette in relazione un predicato con un soggetto, quindi non può essere un semplice VP. Infl° e la sua proiezione InflP Proviamo quindi ad applicare i nostri test di costituenza al sintagma verbale, includendovi l’eventuale ausiliare: 1. Movimento *Ha incontrato Alberto ___ un collega ?Ha incontrato un collega, Alberto Incontrato un collega, Alberto certamente non ha ?Ha assegnato quei compiti agli alunni, la maestra Assegnato quei compiti agli alunni, la maestra certamente non ha John met his friend in the library after lunch [Meet his friend in the library after lunch], John did indeed. John will meet his friend in the library after lunch [Meet his friend in the library after lunch], John will. 2. Frase scissa e pseudo-scissa *E’ ha incontrato che Alberto un collega *E’ ha incontrato un collega che Alberto ?E’ incontrato un collega che Alberto certamente ha *E’ ha assegnato quei compiti agli alunni che la maestra E’ assegnato quei compiti agli alunni che la maestra certamente non ha **Ciò che Alberto ha fatto un collega è [ha incontrato] Ciò che Alberto farà è [incontrare un collega] Ciò che la maestra ha fatto è [assegnare quei compiti agli alunni] What John did was [meet his friend in the library after lunch] [Meet his friend in the library after lunch] is what John did What John will do is [meet his friend in the library after lunch] [Meet his friend in the library after lunch] is what John will do 3. Non inseribilità Alberto [ha spesso/sempre/talvolta/raramente incontrato il suo collega] [?(?)Alberto ha venerdì scorso incontrato un collega in pizzeria dopo il concerto] La maestra ha spesso/sempre/talvolta/raramente assegnato quei compiti agli alunni 4. Enunciabilità in isolamento Cosa ha fatto Alberto venerdì scorso? *Ha incontrato ??Cosa ha fatto Alberto venerdì scorso? Incontrato un collega ?Cosa ha fatto la maestra venerdì scorso? Assegnato quei compiti agli alunni 5. Sostituibilità tramite pro-forma La maestra ha assegnato molti compiti agli alunni ma la supplente non intende farlo Alberto ha avvertito il suo collega ma Paolo non l’ha fatto Molti studenti hanno frequentato il corso e molti lo fanno tuttora Hai invitato Giorgio? Sarebbe opportuno farlo John will [meet his friend in the library after lunch] and Bill will do so too. John might [go home], and so might Bill John might [take the exam], as might Bill If John can speak French fluently - which we all know he can - why is he so shy with French girls? 6. Coordinabilità Alberto ha incontrato un collega in pizzeria dopo il concerto e telefonato a Mario prima del film Alberto ha incontrato un collega in pizzeria dopo il concerto e telefonato a Mario prima del film La maestra ha assegnato molti compiti agli alunni e corretto alcune verifiche John has been waiting for Bill and walking down the street for two hours He may go to London and visit his mother 7. Cancellabilità in strutture coordinate Alberto può [_____] – e Maria deve [_____] – invitare i colleghi alla cena di martedì John will [ ________ ] - and Mary may - [go to the party] ?????8. Omissibilità Solo sequenze di parole che formano un costituente possono essere omesse tramite ellissi. Alcuni amici hanno incontrato Rossella dopo il concerto e altri [hanno incontrato Rossella] prima del film *Alcuni amici hanno incontrato Rossella dopo il concerto e altri hanno [incontrato Rossella] prima del film *Alcuni amici hanno incontrato Rossella dopo il concerto e altri hanno incontrato [Rossella] prima del film *Alcuni amici hanno incontrato Rossella dopo il concerto e altri [hanno incontrato] Rossella prima del film Numerosi studenti hanno sostenuto l’esame nell’ultima sessione e molti altri [hanno sostenuto l’esame] nella penultima *Numerosi studenti hanno sostenuto l’esame nell’ultima sessione e molti altri hanno [sostenuto l’esame] nella penultima *Numerosi studenti hanno sostenuto l’esame nell’ultima sessione e molti altri hanno sostenuto [l’esame] nella penultima Numerosi studenti hanno sostenuto l’esame nell’ultima sessione e molti altri [hanno sostenuto] l’esame nella penultima John will [meet his friend in the library after lunch]. Will he? John has [met his friend in the library after lunch]. Has he? John won’t wash the dishes, but Bob will [wash the dishes] John won’t help me with the dishes, but Bob will [help me with the dishes] *John won’t help me with the dishes, but Bob will help me with the *John won’t help me with the dishes, but Bob will help me with *John won’t help me with the dishes, but Bob will help me *John won’t help me with the dishes, but Bob will help John won’t help me with the dishes, but Bob will Today he may come home early, but tomorrow he may not _____ Bill has invited the president and I haven’t ___ Please buy some flowers, if you can _____ I test di costituenza applicati al sintagma verbale individuano un costituente che include il participio passato del verbo lessicale, gli argomenti ed i circostanziali, ma esclude il verbo ausiliare (o modale), che dovrà quindi essere collocato in un nodo indipendente situato al di fuori del sintagma verbale, mentre nel nodo V sarà collocata la forma verbale non finita (participio o infinito), che costituisce la vera testa V° del sintagma verbale. Anche in questo caso quindi non possiamo avere due parole inserite nello schema X’ al di sotto di un nodo X° che può contenere solamente una parola. Quindi c’è bisogno di avere un nodo indipendente per l’ausiliare. Proponiamo di classificare il nodo che ospita il verbo ausiliare come testa X° di una proiezione XP che ha come specificatore il sintagma nominale che funge da soggetto e come complemento il sintagma verbale: XP DP D’ D° La X’ NP AP N’ nuova N° segretaria X° ha VP V’ V° telefonato PP P’ P° a D° il XP DP D’ NP N’ N° direttore DP D’ D° L’ NP N’ N° insegnante X’ X° aveva VP V’ V° assegnato D° i DP D’ NP N’ N° compiti In questo modo abbiamo risolto entrambi i problemi: l’ausiliare ha una propria posizione indipendente da quella del verbo lessicale, e abbiamo anche una posizione per il soggetto. Come dimostra il test della frase pseudo-scissa, l’elemento che codifica l’interpretazione di tempo non può fare parte del sintagma verbale, ma deve essere generato separatamente da esso: Ciò che Alberto ha fatto è [incontrare il suo amico in pizzeria] Ciò che farete sarà [comunicare la notizia a Maria] John met his friend in the library after lunch [Meet his friend in the library after lunch], John did indeed What John did was [meet his friend in the library] John will meet his friend in the library after lunch [Meet his friend in the library after lunch], John will indeed What John will do is [meet his friend in the library after lunch] Ciò che in inglese viene espresso da un morfema libero, cioè un verbo ausiliare/modale come do/will, viene espresso in altre lingue da morfemi legati che si uniscono alla radice del verbo. La morfologia verbale può esprimere sia informazioni relative al tempo dell’azione, e al modo verbale (cioè indicativo, congiuntivo o condizionale) sia informazioni relative all’accordo verbale tra soggetto e verbo, cioè varia a seconda della persona (1/2/3) e del numero (singolare/plurale). Questo risulta chiaro considerando lingue quali l’italiano, in cui le proprietà flessionali della morfologia verbale sono molto ricche (mentre in inglese i paradigmi flessionali sono più poveri): singolare 1parl-o 2 parl-i 3 parl-a plurale 1 parl-iamo 2 parl-ate 3 parl-ano parl-av-o parl-av-i parl-av-a parl-av-amo parl-av-ate parl-av-ano parl-er-ò parl-er-ai perl-er-à parl-er-emo parl-er-ete parl-er-anno Deve esistere quindi nella struttura frasale un nodo che contiene tutte le informazioni espresse dal verbo flesso, quindi sia i tratti di tempo che quelli di accordo (cioè di persona e numero) e quello di modalità. Ipotizziamo quindi che i morfemi verbali (liberi – come nel caso degli ausiliari – o legati – come nel caso dei morfemi di tempo,modo e accordo) che esprimono l’informazione grammaticale siano dominati da un nodo terminale separato, chiamato Infl (=inflection=flessione), che contiene dei tratti di tempo ed accordo. Tale nodo può fungere da testa dell’intero costituente frasale. Proponiamo quindi di identificare questo nodo con il nodo che ospita il verbo ausiliare in frasi contenenti un tempo composto. In frasi contenenti un ausiliare (o un modale), sarà questo ad esprimere i tratti morfologici di tempo ed accordo, e si troverà quindi nel nodo Infl: sostituiamo quindi nelle strutture precedenti il nodo X con Inflection: IP DP D’ D° La I’ NP AP N’ nuova N° segretaria I° ha VP V’ V° telefonato PP P’ P° a D° il DP D’ NP N’ N° direttore IP DP D’ D° L’ NP N’ N° insegnante I’ I° aveva VP V’ V° assegnato D° i DP D’ NP N’ N° compiti Nei tempi semplici, cioè non composti tramite l’unione di un ausiliare ed un participio passato, i morfemi di tempo e accordo sono generati nel nodo INFL, ma non c’è nessun verbo ausiliare che possa incorporarli. L’unico modo per un verbo lessicale di occupare allo stesso tempo la posizione di V° e quella di I° consiste nel muoversi da una posizione all’altra lasciando una traccia nella posizione iniziale. Il movimento del verbo si realizza dalla testa V° del VP alla testa Infl° di InflP; si attua cioè da una posizione di testa ad un’altra posizione di testa, Le caratteristiche generali del movimento sintattico sono: • collegando due posizioni dello stesso tipo (XP con XP oppure X° con X°) secondo il principio di conservazione della struttura; • il movimento va verso una posizione vuota; • il movimento si attua verso sinistra, cioè verso l’alto • inoltre il movimento deve sempre essere motivato (in questo caso lo è dalla morfologia forte dell’italiano) Non in tutte le lingue i verbi lessicali salgono alla posizione I°; ad esempio in inglese il verbo finito è preceduto dagli avverbi di frequenza come always - never - often - already: I always eat fruit I have always eaten fruit * I eat always fruit * I always have eaten fruit In genere in tutte le lingue romanze abbiamo la salita del verbo finito ad I°, che si correla alla ricchezza della morfologia verbale; l’inglese e le lingue scandinave hanno morfologia verbale povera e non hanno salita ad I°. Ipotizziamo quindi che in italiano sia il verbo lessicale a muoversi dalla testa V e salire al nodo INFL per incorporare i morfemi di tempo ed accordo IP DP D’ D° L’ NP N’ N° insegnante I’ I° assegnavai VP V’ V° ti DP D’ D° i NP N’ N° compiti Questa ipotesi di movimento del verbo è confermata dal fatto che nei tempi semplici, in cui non compare nessun ausiliare, il verbo lessicale flesso in un modo finito occupa una posizione diversa da quella del participio, come mostra la posizione delle due forme verbali rispetto ad alcuni avverbi: sia il verbo lessicale flesso che l’ausiliare/modale devono sempre precedere alcuni avverbiali: Alberto ha già invitato il suo collega Alberto invita già il suo collega ??Alberto ha invitato già il suo collega ??Alberto già invita il suo collega Alberto ha sempre informato il suo collega ?Alberto ha informato sempre il suo collega Alberto informa sempre il suo collega *Alberto sempre informa il suo collega Alberto ha molto stimato il suo collega Alberto stima molto il suo collega Alberto ha stimato molto il suo collega *Alberto molto stima il suo collega Ipotizziamo che questo tipo di avverbi occupi la posizione di specificatore di una proiezione aspettuale che si trova al di sopra di VP e al di sotto di IP, questa proiezione contiene i tratti di aspetto e di accordo con l’oggetti (NB l’accordo con l’oggetto clitico in frasi come Maria li ha mangiati ha solo tratti di genere e numero, non tratti di persona, come l’accordo con il soggetto collocato sotto I°): IP DP D’ D° L’ N’ N° insegnante I’ NP I° aveva AspP SpecAsp AdvP SpecAdv Adv’ Adv° sempre Asp’ Asp° VP assegnatoi SpecVP V’ V° ti DP D’ D° i NP N’ N° compiti L’aspetto è una categoria verbale che indica specificazioni non prettamente temporali, ma collegate al tipo di azione, cioè se un’azione è completamente terminata o ha riflessi nel presente, se è continua o puntuale o se è ripetuta ecc. Anche il participio passato, che ha flessione di aspetto e di accordo con l’oggetto deve salire ad una posizione di testa funzionale cioè Asp° Relazioni locali Abbiamo visto che i ruoli tematici devono venire assegnati agli elementi nominali e che: ogni elemento nominali può avere uno e un solo ruolo tematico e ad ogni ruolo tematico corrisponde un solo elemento nominale (criterio tematico) I ruoli tematici vengono assegnati in due configurazioni strutturali: quella di nodo fratello e quella di specificatore-testa V’ V° DP Æ assegnazione di ruolo tematico di paziente o tema VP SpecV V’ V° assegnazione allo specificatore di ruolo tematico di agente da parte del verbo La testa X° di un sintagma XP entra in relazione con le due proiezioni massimali che occupano la posizione di specificatore ed di complemento; le relazioni della testa X° con il complemento e con lo specificatore possono entrambe essere definite all’interno della proiezione massimale XP; perciò queste relazioni sono definite locali. Gli elementi nominali hanno anche bisogno di un caso sintattico (in alcune lingue il caso sintattico ha dei riflessi morfologici, come il latino o il tedesco, in altre no) All’oggetto viene assegnato il caso accusativo nella stessa configurazione in cui gli viene assegnato il ruolo tematico. Il soggetto riceve invece caso nominativo nella proiezione di SpecIP, ma ruolo tematico nella posizione di SpecVP, quindi si deve muovere da Spec VP a SpecIP. IP DP D’ D° L’ I’ NP N’ I° N° aveva SpecAsp insegnantej AdvP SpecAdv Adv’ Adv° sempre AspP Asp’ Asp° VP assegnatoi SpecVP V’ tj V° DP ti SpecD D’ D° NP i N’ N° compiti Anche questo tipo di movimento sottostà alle stesse restrizioni sintattiche che abbiamo già visto per il movimento di teste (vedi sopra). La motivazione del movimento del soggetto ( o movimento A) è la mancanza di caso, senza il quale il soggetto non è identificabile come tale. ATT: quando il soggetto è nullo (e viene marcato con pro) si ha lo stesso tipo di movimento da SpecVP dove viene assegnato il ruolo tematico a SpecIP dove viene assegnato nominativo. La periferia sinistra della frase Si può dimostrare che c’è bisogno di una ulteriore proiezione oltre a IP, perché il complementatore viene prima del soggetto (che come abbiamo visto si trova in SpecIP) e occupa la posizione di C°. La posizione dello specificatore è occupata da elementi wh Es Alberto chiese quando Anna aveva superato l’esame Si può mostrare che il complementatore e gli elementi wh non occupano la stessa posizione perché a) gli elementi wh possono essere costituenti complessi (es Alberto chiese a che ora Anna aveva superato l’esame) b) il complementatore e gli elementi wh concorrono in varie lingue (es Veneto, in genere Dialetti Italiani Settentrionali, varietà non standard del Francese, dell’Inglese e Inglese medio) In questa struttura viene sistematicamente omessa la proiezione di AspP per ragioni di spazio IP NP N’ N° Alberto I’ I° disse chiese VP V’ V° t CP C’ C° che se IP NP N’ N° Anna I’ I° aveva VP V’ V° superato NP DP N’ l’ N° esame L’interrogativa wh conserva a distanza ALCUNE proprietà della corrispondente frase dichiarativa: - valenza: essa è identica nei due tipi di frase, ma il costituente su cui verte la domanda, che occupa una posizione interna di frase, nella interrogativa compare in posizione iniziale nella forma di costituente wh-: Chi hai incontrato la settimana scorsa? *Chi hai incontrato Pietro la settimana scorsa? La relazione tra costituente wh- e predicato si conserva a distanza illimitata: Chi hai detto che hai incontrato la settimana scorsa? Chi hai detto che Mario crede che tu abbia incontrato la settimana scorsa? - restrizioni di selezione: rimangono rilevanti anche nella forma interrogativa: Ho invitato alcuni colleghi. Quali colleghi hai invitato? #Quali stranezze hai invitato? - accordo di numero e persona tra soggetto e verbo flesso: Quali studenti hanno superato l’esame? Quali studenti credi che abbiano superato l’esame? Quali studenti credi che Mario pensi che abbiano superato l’esame? Quindi , utilizziamo ancora il meccanismo del movimento sintattico per rendere conto di queste proprietà: l’elemento wh “nasce” nella sua posizione argomentale e sale a SpecCP lasciando un traccia nella posizione di partenza. Anche in questo caso osserviamo che le proprietà del movimento sintattico sono le stesse che abbiamo già visto con il movimento testa a testa del verbo semplice da V° a I° 1. Caratteristiche generali del movimento sintattico a) il movimento è possibile solo quando è necessario alla soddisfazione di principi indipendenti (last resort strategy): nel caso degli elementi wh il movimento a SpecC serve a portare l’operatore ad una posizione da cui esso possa venire identificato come tale e quindi a tipizzare la frase come interrogativa, relativa o esclamativa, il movimento di NP (di cui abbiamo visto il movimento del soggetto da SpecVP a SpecIP) invece è provocato dalla mancanza di caso, quello di elementi di tipo testa (il verbo) per incorporare tratti flessionali. b) il movimento è possibile solo verso una posizione vuota c) il movimento di XP va verso posizioni di XP, quello di X° va verso una posizione di X° (principio di conservazione della struttura: la struttura viene mantenuta a tutti i livelli di rappresentazione) d) La posizione di arrivo è una posizione senza ruolo tematico né caso nel movimento A’ (o wh) senza ruolo tematico ma con caso nel movimento A (o movimento del soggetto)1 e) La posizione di partenza degli XP è in genere una posizione con ruolo tematico (se questi sono degli argomenti) f) Il movimento lascia una traccia condicizzata con l’elemento mosso Come possiamo codificare il fatto che il movimento va sempre verso l’alto? Tramite una condizione sulla buona formazione delle tracce di movimento: Una traccia deve essere sempre c-comandata dal suo antecedente (l’elemento spostato) DEFINIZIONE DI c-comando Una relazione strutturale non locale è quella di c-comando; un nodo X ccomanda un nodo Y se e solo se: - X ed Y non si dominano reciprocamente; - il primo nodo ramificante che domina X domina anche Y L’insieme dei nodi c-comandati da un elemento è il dominio di c-comando di quell’elemento. La posizione di arrivo del verbo c-comanda la posizione di partenza; la posizione di arrivo del soggetto in SpecIP c-comanda SpecVP la posizione di arrivo del wh in SpecCP c-comanda la posizione di partenza Questo è quindi un requisito che poniamo in generale per tutti i casi di movimento e quindi anche per il movimento di testa. I tratti definitori della frase dipendente sono determinati dalla scelta del tipo di introduttore; la congiunzione che funge da introduttore di una frase 1 Le posizioni A sono quelle in cui c’è assegnazione di ruolo tematico o di caso dipendente viene definita complementatore, e viene rappresentata strutturalmente come la testa C° di un Complementizer Phrase che seleziona come complemento il costituente IP: Le proprietà di selezione del verbo principale corrispondono ad un diverso tipo di tratto della testa C°: le interrogative sono caratterizzate da un C° con un tratto interrogativo, che si indica con [+wh]; le dichiarative sono caratterizzate da un C° che viene definito negativamente da un tratto [-wh]. Anche nelle frasi principali sembra essere rilevante il tipo di tratto che caratterizza la testa C°. John has always invited Bill IP NP I’ N’ N° I° VP John has AdvP V’ Adv’ Adv° V° NP always invited N’ N° Bill L’inversione tra verbo ausiliare e soggetto che si realizza nelle frasi interrogative principali in inglese, cioè il fatto che il verbo precede il soggetto, può essere colta con la salita del verbo ausiliare dalla posizione I° alla posizione C°, caratterizzata da un tratto [+wh]: Has John always invited Bill? CP C’ C°[+wh] has IP NP N’ N° John I’ I° t VP AdvP V’ Adv’ Adv° V° always invited NP N’ N° Bill Dato che l’elemento che occupa la testa C° nelle frasi dipendenti, cioè il complementatore, contribuisce a determinare il tipo frasale della frase che prende come complemento, possiamo chiederci se anche la posizione di specificatore di CP possa essere occupata da un elemento che codifica questo tipo di interpretazione. Un possibile candidato per occupare la posizione di specificatore della proiezione CP è il costituente wh su cui verte la domanda su costituente; in questo tipo di domanda, come si è visto, il costituente wh preserva a distanza la relazione con il proprio predicato. Possiamo quindi ipotizzare che tale costituente si sposti dalla posizione argomentale di base per salire allo specificatore di CP con un processo di movimento verso l’alto analogo a quello che sposta il verbo. Whom has John always invited? CP WHP C’ whom C°[+wh] IP has NP N’ N° I° John t I’ VP AdvP Adv’ Adv° V° always invited V’ t E’ necessario a questo punto distinguere due classi di categorie, categorie lessicali e categorie funzionali. Il nome, il verbo, l’aggettivo, la preposizione, l’avverbio sono categorie lessicali in quanto appartengono a classi aperte, caratterizzate da un numero elevato di membri e dal fatto che nuovi membri possono essere aggiunti all’insieme. D, °I° e C° sono categorie di tipo diverso. Nel nodo Infl vengono collocati i morfemi flessivi del verbo, cioè degli affissi, oppure elementi come gli ausiliari aspettuali ed i modali; in entrambi i casi abbiamo a che fare con delle classi chiuse comprendenti un numero ristretto di membri ai quali non possono essere aggiunti nuovi elementi. Anche i complementatori che occupano la testa C° sono di numero limitato, sono cioè una classe chiusa. Infl e C sono quindi definite categorie funzionali e le loro proiezioni massimali IP e CP sono definite proiezioni funzionali. Tipi di frase Possiamo distinguere diversi tipi di frase rispetto a vari criteri. 1. modalità: a) dichiarative: Anna ha superato l’esame b) imperative: studia! c) esclamative: quanti libri che hai dovuto studiare! d) interrogative si/no:Anna ha superato l’esame? wh/su costituente: Quanti esami ha superato Anna? 2. dipendenza: a) principali: Rossella sostiene che Anna non ha superato l’esame Non è chiaro se Anna abbia superato l’esame b) dipendenti/subordinate/secondarie: Rossella sostiene che Anna non ha superato l’esame Non è chiaro se Anna abbia superato l’esame 3. polarità: a) affermative: Anna ha superato l’esame b) negative: Anna non ha superato l’esame 4. diatesi: a) attive: Anna ha superato l’esame b) passive: L’esame è stato superato (da Anna) L’oggetto diretto della frase attiva diventa soggetto della frase passiva; il soggetto della frase attiva diventa un circostanziale nella passiva in quanto può essere omesso. I criteri discriminatori possono incrociarsi topicalizzazione(FOCALIZZAZIONE): il costituente anteposto è focalizzato contrastivamente; in questo caso non è possibile la ripresa pronominale ed è obbligatoria la realizzazione della preposizione: PIETRO (*l’) ho incontrato la settimana scorsa, non Giovanni ALLA ZIA (*le) regalerò un libro, non alla nonna IN QUEL LOCALE non (*ci) vado da tre anni, non al cinema Ha caratteristiche simili a quelle del movimento wh, e non è compatibile con esso. 5. segmentazione: a) segmentate vs b) non segmentate Nelle frasi segmentate un costituente viene isolato dal resto della frase secondo varie modalità (IN GENERE TRAMITE UNA REGOLA DI SPOSTAMENTO) : 5.1 dislocazione a sinistra: un costituente è collocato in posizione iniziale, staccato intonativamente dal resto della frase, ed esprime una informazione nota all’interlocutore; il legame con la frase è espresso dal pronome clitico di ripresa (sempre opzionale ad eccezione del caso in cui viene dislocato l’oggetto diretto, nel qual caso è obbligatorio) o dalla preposizione : La settimana scorsa ho incontrato Pietro Pietro, l’ho incontrato la settimana scorsa Regalerò un libro alla zia Alla zia, (le) regalerò un libro Non vado in quel locale da tre anni In quel locale, non (ci) vado da tre anni 5.2 dislocazione a destra: ha le stesse proprietà della dislocazione a sinistra a parte il fatto che il costituente compare ultimo nella sequenza: (NON Può ESSERE UN VERO TOPIC MA SOLO UN TEMA, MA NON SO SE VOGLIAMO SCENDERE COSì NEI PARTICOLARI, INOLTRE IL CLITICO è OPZIONALE ANCHE CON L’OGGETTO DIRETTO) (Le) regalerò un libro, alla zia (L)’ho visto la settimana scorsa, Pietro Non (ci) vado da tre anni, in quel locale 5.3 tema sospeso: si distingue dalla dislocazione a sinistra per il fatto che il costituente anteposto ha la ripresa pronominale SEMPRE obbligatoria, può essere ripreso anche da un epiteto, e non viene mai preceduto dalla preposizione che lo precede nella frase non segmentata: La zia, le regalerò un libro Pietro, ho visto la settimana scorsa quel disgraziato Quel locale, non ci vado da tre anni 5.5 frase scissa: si tratta di una costruzione formata da una frase principale con verbo essere e da una dipendente introdotta dal complementatore che: E’ Pietro che ho incontrato la settimana scorsa E’ alla zia che regalerò un libro E’ in quel locale che non vado da anni E’ possibile identificare delle relazioni tra frasi di tipo diverso La frase affermativa si distingue dalla corrispondente negativa per l’assenza/presenza della negazione. La frase dichiarativa si distingue dalla corrispondente interrogativa si/no per la diversa intonazione. I costituenti dislocati a sinistra precedono i costituenti wh: Pietro,/ quando / l’hai incontrato? In quel locale,/ da quanti anni / non ci vai? A tua zia,/ che cosa / le regalerai? Mi chiedo / a Gianni / che cosa / Mario /abbia regalato La frase ha quindi una struttura stratificata articolata in una periferia esterna, una periferia interna ed un centro. Sono possibili diverse classificazioni delle frasi subordinate. Rispetto al rapporto tra frase principale e dipendente distinguiamo: a) frasi argomentali che non possono essere omesse, analogamente agli altri argomenti del verbo: a1) soggettive: E’ probabile *(che Anna abbia superato l’esame) Mi stupisce *(che Anna abbia superato l’esame) a2) completive, che possono essere dipendenti da verbi o da nomi: - dipendenti da verbi: Credo *(che Anna abbia superato l’esame) Qualcuno sostiene *(che Anna abbia superato l’esame) - dipendenti da nomi: Il fatto che Anna abbia superato l’esame mi ha sorpreso Le possibilità che Anna superi l’esame sono minime a3) interrogative indirette: Mi chiedo *(chi abbia superato l’esame) Non so *(quando Anna sosterrà l’esame) b) frasi circostanziali, cioè frasi di tipo avverbiale che, analogamente ai corcostanziali, possono essere omesse ed hanno una collocazione piuttosto libera rispetto alla principale: [Poiché Anna ha superato l’esame], possiamo festeggiare [Quando Anna avrà superato l’esame], festeggeremo [Per poter superare l’esame di glottologia], Anna ha studiato molto anche i manuali Possiamo festeggiare [poiché Anna ha superato l’esame] Festeggeremo [quando Anna avrà superato l’esame] Anna ha studiato molto anche i manuali, [per poter superare l’esame di glottologia] c) frasi relative, che possono essere distinte in relative con antecedente e relative libere: c1)- la frase relativa con antecedente funge da modificatore, cioè modifica il significato del nome testa di un sintagma nominale, che viene definito appunto antecedente della relativa: La studentessa che ha superato l’esame si chiama Anna L’esame che Anna ha superato è molto impegnativo Queste frasi hanno una funzione modificativa analoga a quella degli aggettivi: La studentessa bionda si chiama Anna L’esame complementare è molto impegnativo Distinguiamo frasi relative restrittive dalle appositive: mentre le prime modificano il sintagma nominale antecedente restringendone l’estensione, le seconde vi aggiungono ulteriori informazioni: La studentessa che ha superato l’esame si chiama Anna vs Questa studentessa, che ha superato l’esame, si chiama Anna L’esame che Anna ha superato è molto impegnativo Quell’esame, che Anna ha superato, è molto impegnativo vs Come reso graficamente dalle virgole, la relativa appositiva è pronunciata con intonazione parentetica. c2) la frase relativa libera: questo tipo di frase relativa non ha alcun antecedente, e si comporta non tanto come un modificatore quanto piuttosto come una frase argomentale, cioè come un argomento del verbo: Anna/Chi passa questo esame deve aver studiato molto Anna è riuscita a ricordare le nozioni principali/quanto aveva studiato Le relative mostrano una struttura molto simile a quella delle interrogative su costituente, infatti presentano un elemento wh- in posizione iniziale, che rappresenta un argomento o un circostanziale che occuperebbe una diversa posizione nella frase dichiarativa corrispondente. Tra le frasi dipendenti implicite, distinguiamo: a) frasi infinitivali, caratterizzate dalla presenza di un introduttore preposizionale (di/a); il soggetto della frase infinitivale non è espresso e non può esserlo; tuttavia esso ha una interpretazione ben definita, determinata dal soggetto o dall’ oggetto della frase principale: Anna ha promesso di (*lei) superare l’esame Gianni ha ordinato ad Anna di (*lei) superare l’esame Anna si è decisa a (*lei) sostenere l’esame L’interpretazione del soggetto può anche essere ‘arbitraria’, in mancanza di un antecedente adeguato: E’ preferibile superare l’esame E’ tempo di sostenere l’esame Queste frasi possono anche essere introdotte da un elemento wh-: Anna non sa quando sostenere l’esame Il di che introduce l’infinitiva non si comporta sempre come una vera preposizione: Anna dubita di aver superato l’esame Anna ne dubita Anna ha promesso di sostenere l’esame *Anna ne ha promesso Definiamo la prima frase infinitivale in cui di funge da testa di un sintagma preposizionale una completiva infinitivale obliqua; la seconda in cui di è un introduttore di frase è definita completiva infinitivale oggettiva In qualche caso la frase infinitiva ha un soggetto espresso, come nelle costruzioni causative introdotte dai verbi fare o lasciare in cui il soggetto della infinitiva segue obbligatoriamente l’infinito: Gianni ha fatto studiare Anna *Gianni ha fatto Anna studiare In altre costruzioni infinitivali di livello stilistico elevato un verbo dicendi/ cogitandi è seguito dall’infinito di un verbo ausiliare seguito dal soggetto: Ritengo aver Anna studiato in modo sufficientemente approfondito ?*Ritengo Anna aver studiato in modo sufficientemente approfondito b) frasi gerundive: le frasi al gerundio rivelano molte similarità con quelle all’infinito: se il soggetto non è espresso, esso è interpretato come identico a quello della principale, mentre se è espresso, è preferibilmente preceduto dal verbo Avendo superato l’esame, Anna decise di festeggiare Avendo Anna superato l’esame, Gianni decise di festeggiare ?*Anna avendo superato l’esame, Gianni decise di festeggiare c) frasi ridotte: sono strutture predicative non frasali formate da un soggetto ed un predicato, che possono fungere da oggetto di un verbo o anche di una preposizione: Ritengo Anna studiosa Con Anna in vacanza, le cose cambieranno molto Questo tipo di frasi possono occorrere solo come costituenti di frasi principali Anche le frasi possono quindi fungere da argomenti di un predicato: Alberto disse [che Anna aveva superato l’esame] [Che Anna abbia superato l’esame] ha stupito Rossella In questo caso il verbo dire seleziona due ruoli tematici <agente, tema> che vengono assegnati rispettivamente all’NP Alberto ed alla frase dipendente che Anna aveva superato l’esame; il verbo stupire seleziona invece i due ruoli tematici <tema, esperiente> che vengono assegnati rispettivamente alla frase che Anna abbia superato l’esame ed all’NP Rossella. Alcuni verbi, come pensare/dire/credere, selezionano una frase oggettiva; altri, come chiedere/domandare, selezionano una frase interrogativa: Alberto disse [che Anna aveva superato l’esame] Alberto chiese [se Anna aveva superato l’esame] Il diverso tipo frasale cui appartiene la frase subordinata corrisponde ad una diversa congiunzione subordinante che la introduce; ad esempio, mentre la dipendente dichiarativa è introdotta da che, una interrogativa si/no è introdotta da se. Tra le frasi dipendenti possiamo quindi distinguere le interrogative dalle dichiarative in base al complementatore che le introduce, che viene a sua volta selezionato dal verbo principale. D’altra parte, sia se sia che selezionano una frase il cui verbo è di modo finito, mentre i due introduttori preposizionali di ed a selezionano ad esempio una frase infinitiva: Anna ha promesso [di sostenere l’esame] Anna si è decisa [a sostenere l’esame]