SHOW SHOAH
Il Genocidio ebraico tra
mediatizzazione e consumo
Memorie e traumi culturali
• Trauma: ha una storia complessa ed è spesso stata
definita in modi del tutto contrastanti.
• Oggetto di studio dei Trauma Studies, rappresenta una
grave alterazione del normale stato psichico di un
individuo, conseguente a esperienze e fatti tristi,
dolorosi, negativi, che turbano e disorientano.
• Il trauma è in grado di scatenare meccanismi psicosemiotici, culturali e sociali che conducono ad una crisi
dei processi di significazione e di rappresentazione
degli EVENTI giudicati traumatici.
• Il trauma rappresentato dalla Shoah si manifesta come
evento singolare per eccellenza e come evento-istanza
Memorie e traumi culturali
• Memoria :fenomeno culturale, ossia le pratiche e le
modalità attraverso le quali si rendono disponibili
informazioni e significati che appartengono ad un
tempo e ad uno spazio diverso dal nostro.
• Oggi il termine memoria è svalutato ed è diventato un
luogo comune di cui si fa l’uso e abuso che si vuole.
• Jan Assman (1992):
- Memoria comunicativa: più immediata e a breve
termine, contraddistinta da ricordi caldi
- Memoria culturale: lungo termine, conservata dalla
tradizione ed etichettata da ricordi freddi
Memoria e Storia
• Per quanto intrecciate, storia e memoria, prescrivono
atteggiamenti interpretativi molto diversi tra di loro.
• Enzo Traverso (2006):«storia e memoria nascono da una
stessa preoccupazione e condividono uno stesso obiettivo:
l’elaborazione del passato. Ma esiste una gerarchia tra le
due. La memoria è una sorta di matrice. La storia è una
narrazione, una scrittura del passato secondo le modalità e
le regole del mestiere – di un’arte e di una scienza – che
cerca di rispondere alle domande poste dalla memoria. La
storia dunque nasce dalla memoria ma poi si emancipa
mettendo il passato a distanza.»
• La memoria è motore della scrittura ma l’importanza, come
afferma Levi, sta nel come della memoria, non tanto nella
testimonianza in sé.
Giorno della memoria
• Articoli 1 e 2 della legge 211 approvata il 20 Luglio 2000: « La
Repubblica italiana riconosce il giorno 27 Gennaio, data
dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, Giorno della Memoria,
al fine di ricordare la Shoah, le leggi razziali, la persecuzione italiana
dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subito la deportazione, la
prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e
schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, a
rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i
perseguitati. In occasione del Giorno della Memoria di cui all’art.1,
sono organizzati cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di
narrazione dei fatti e di riflessione, in modo particolare nelle scuole
di ogni ordine e grado, su quanto è accaduto al popolo ebraico e ai
deportati militari e politici italiani nei campi nazisti in modo da
conservare nel futuro dell’Italia la memoria di un tragico ed oscuro
periodo della storia del nostro Paese e in Europa, affinché simili
eventi non possano mai più accadere.»
La testimonianza come celebrazione
del riscatto o come grido del dolore
• L’esperienza del sopravvissuto consta di due
momenti distinti e correlati: il trauma iniziale con
i suoi effetti devastanti sulla personalità e il
bisogno di trovare una comunità di persone in
grado di ascoltare e di comprendere.
• Non è semplice fare testimonianza, raccontare di
sé, del proprio vissuto, del dolore subito
psicologicamente e fisicamente, del senso di
vergogna che attanagliava i sopravvissuti e del
senso di colpa per la riacquistata libertà: perché
sono vivo al posto di un altro?
Levi - Testimone
• L‘atto di testimoniare in Levi non è così scontato come il
binomio Levi-Testimone. In Levi l’azione del testimoniare
ha a che fare con l’angoscia e con la sofferenza del ricordo.
• Levi è chiarissimo: il superstite non è il testimone vero,
mentre lo sono i sommersi dei campi, quelli che non hanno
voce.
• Secondo Agamben, Levi rappresenta un tipo perfetto di
testimone integrale: « non si sente scrittore, diventa
scrittore unicamente per testimoniare e non far morire il
testimone è per lui l’unica ragione di vita»
• Il contributo decisivo di Levi sarebbe tuttavia non la
testimonianza recata ma il riconoscimento che tale verità
può essere detta solo da chi non ha avuto parola. «Uomo è
il non-uomo, veramente umano è colui la cui umanità è
stata integralmente distrutta.»
Irrappresentabilità della Shoah
• Verso la fine degli anni Settanta la tesi
dell’irrappresentabilità della Shoah si fa largo nei
dibattiti pubblici.
• «L’Olocausto trascende la storia, i morti sono in
possesso di un segreto che noi esseri viventi non
possiamo e non siamo degni di conoscere.» (E.
Wiesel 1977)
• La ragione per cui la Shoah non può e non deve
essere rappresentata secondo taluni sta nel fatto
che essa è l’evento ultimo, il mistero che non
potrà mai essere compreso o trasmesso.
Irrappresentabilità della Shoah
• Quando si dice che la Shoah non è rappresentabile, si
intendono almeno due cose diverse: che non può e che
non deve essere rappresentata.
• - Che non può: si prende carico dei limiti della
rappresentazione, secondo cui ci sono gradi diversi di
approssimazione rappresentativa dell’evento stesso
• - Che non deve: introduce un tabù etico e morale dato
che ogni atto di memoria è anche una
rappresentazione e che ogni rappresentazione si basa a
sua volta su un atto di memoria.
• Nel passaggio dal non può al non deve, si insinua il
dispositivo della sacralizzazione della Shoah.
Sacralizzazione della Shoah
• Citando Durkheim: «la cosa sacra è per
definizione ciò che non si può impunemente
toccare», ossia ciò di cui non si deve parlare o
meglio si deve parlare solo nei modi e con i toni
prescritti.
• La Shoah in quanto evento puro, vieta non
soltanto ogni raffigurazione fantastica ma
soprattutto ogni liberazione o catarsi che sarebbe
implicita ad ogni rappresentazione artistica.
• « Dopo Auschwitz non si può comporre una
lirica.» (Adorno)
Banalizzazione della Shoah
• L’ossessione della memoria porta con sé ad un uso
scorretto della commemorazione che genera a sua volta
sensi e abusi ulteriori.
• La banalizzazione è quel meccanismo retorico per cui si
schematizzano eventi storici fino a ridurli ad uno scheletro
narrativo che fa capo a formati retorici tali da eliminare la
specificità dell’evento di cui si parla.
• Quando si parla di banalizzazione della Shoah, si riferisce a
due usi ritenuti impropri della storia del genocidio ebraico.
Da una parte film, telefilm, fumetti e romanzi che
sfrutterebbero l’impatto emotivo suscitato dalla memoria
della Shoah a scopi commerciali; dall’altra i confronti tra la
Shoah e gli altri eventi storici di natura diversa, i quali
finiscono per minimizzare o relativizzare la tragedia ebraica.
Dalla scomparsa dei testimoni alla
post-memoria
• Deborah Lipstadt: « le generazioni future non ascolteranno la storia da
persone che possono dire ‘questo è ciò che è accaduto a me. Questa è la
mia storia’. Per essi sarà parte di un passato distante e conseguentemente
più suscettibile di revisione e negazione.»
• Scompaiono i testimoni ma alla loro scomparsa si accompagna il trionfo
della testimonianza come genere – letterario, cinematografico, artistico –
ossia dei film, dei romanzi, dei fumetti, i quali aspirano a legittimarsi
tramite il richiamo all’autorità di chi ha vissuto in prima persona la
deportazione.
• L’avvento con il processo Eichmann (1960) di quella che è stata chiamata
L’ERA DEL TESTIMONE ha portato con sé un corollario: per capire la
Shoah, la via maestra è approssimarsi, per quel poco che è possibile a
riviverla secondo un modello cognitivo empatico. Un secondo corollario
deriva dalla concomitante sacralizzazione dell’Olocausto, dalla sua
trasformazione in oscuro desiderio di rivivere quell’esperienza.
Fantasie di testimonianza
• Se le memorie di seconda generazione non sono
propriamente memoria, dovremmo riconoscerle
per quelle che sono: opere dell’immaginazione.
• Gary Weissman parla di «fantasie di
testimonianza» per descrivere gli sforzi
immaginativi compiuti dai non testimoni per
rivivere l’Olocausto (seconde, terze generazioni
dei sopravvissuti, le persone che non hanno
legame alcuno con la Shoah)
Fantasie di testimonianza
• « E’ il desiderio inespresso di molte persone che
non hanno diretta esperienza dell’Olocausto ma
sono profondamente interessate a studiarlo,
ricordarlo, commemorarlo. E’ un desiderio di
sapere cosa volesse dire essere lì, nell’Europa
nazista; nei rifugi; nei luoghi delle esecuzioni di
massa; nei ghetti; nei carri bestiame. Questo
desiderio può essere soddisfatto solo nella
fantasia, nelle fantasie di testimoniare l’Olocausto
in prima persona»
(Weissman, 2004)
Post - memoria
• Per rispondere alle provocazioni, prime fra tutte quelle
di Elie Wiesel, per cui oltre la parola del sopravvissuto
non c’è alcuna legittimazione possibile se non l’abisso
del silenzio, la post memoria indica uno spazio di
un’esperienza sostitutiva attraverso il ricordo indiretto
specifico della seconda generazione che si stabilisce e
rinsalda grazie alla mediazione culturale delle immagini
e dei racconti. Proprio grazie a questo lavoro di
intersezione tra immaginario pubblico e privato si può
usare il termine di « testimonianza adottiva».
• La memoria non è più mediata dalla voce diretta dei
testimoni ma rielaborata in racconti, immagini, film che
definiscono il paesaggio pedagogico contemporaneo.
Circolazione delle
immagini traumatiche
«Buchenwald, 1945»
Foto scattata da
Margaret BourkeWhite, collaboratrice
della rivista Life e
fotografa ufficiale
dell’aviazione
americana.
11 Aprile 1945, data di
liberazione dei cancelli
di Buchenwald.
Circolazione delle immagini
traumatiche
Nel 1972 Spiegelman con il
fumetto Maus, rielabora la
fotografia di M.White ma non si
limita a tradurre la foto in
fumetto poiché costruisce
l’immagine come proveniente
da un album di famiglia. Nel far
ciò sottolinea l’incapacità di
immaginare il passato del
proprio padre se non attraverso
immagini divenute di uso
pubblico, vere e proprie icone
ormai entrate a far parte del
suo album di famiglia.
A.Schechner, Taste of a New
Generation, 1994
• Un’altra immagine di Margaret Bourke-White scattata in
questo caso all’interno della baracca del campo, è
rielaborata da Alan Schechner attraverso una
manipolazione digitale. L’artista colloca se stesso all’interno
della fotografia indossando un indumento simile
all’uniforme, fissando anch’egli l’osservatore e fondendosi
con la traiettoria dello sguardo dei sopravvissuti. Ma c’è di
più Schechener si pone in primo piano nel quadro
impugnando una lattina di Diet-Coke.
• La lattina funziona come elemento di finzione che separa
l’immagine storica dal presente. La bevanda è l’unico
elemento colorato che cattura l’attenzione dello spettatore.
A. Schechner, Barcode to
Concentration Camp, 1994
• Attraverso questa
immagine è rievocata
la disumanizzazione
della vita umana
ridotta ad una cifra
all’interno dei campi e
attraverso la riduzione
binaria in un’immagine
smaterializzata,
enuncia una distanza
che non è più solo
temporale o culturale
ma anche referenziale.
Libera, Lego Concentration Camp,
1996
Libera, Lego Concentration Camp,
1996
• Si presenta come un gruppo di sette scatole che
contengono sia il campo nella sua interezza, sia alcuni
dettagli per completare l’assemblaggio.
• Nella sua costruzione pezzo per pezzo, Libera include la
precisa collusione con lo sguardo dei carnefici e il
problema dei processi di identificazione con lo sguardo
del carnefice, aspetto assente nella teoria Di Marianne
Hirsch, la quale ammette in modo programmatico che
la sua ricerca si limita alla memoria, mentre spetta alla
post-memoria il rapporto tra vittime e spettatori.
Identity card-project
• Il rafforzamento dell’esperienza identificativa
autentificata dalla personalizzazione si manifesta
anche nei musei dedicati all’Olocausto.
• Il museo di Washington ha adottato il cosidetto
identity card-project. Ossia ad ogni spettatore
viene consegnato all’ingresso dell’edificio, il facsimile di una carta di identità con foto e breve
biografia di un testimone dell’Olocausto.
Never Again. Alexsandro Palombo,
2015
• «Bisogna educare e
raccontare alle nuove
generazioni quello che è
accaduto e bisogna farlo
senza filtri, attraverso il
ricordo di fatti e di
immagini terrificanti, come
è stato l’orrore della
Shoah. Solo attraverso la
memoria possiamo
contrastare il razzismo,
l’antisemitismo, l’omofobia
e tutte quelle forme di
intolleranza che
minacciano la nostra
società.»
Pop - Shoah
• Può uno sterminio divenire un
oggetto di consumo finalizzato al
soddisfacimento di bisogni emotivi?
• E’
possibile
commercializzare
l’orrore attraverso dinamiche di
mercato tipiche della società di
massa?
Pop-Shoah
• Come è accaduto per altri eventi storici, anche
nel caso della Shoah l'industria culturale
globale ha contribuito significativamente alla
costruzione di molteplici immaginari collettivi,
nei quali occupa ormai una posizione di
assoluto rilievo, non solo per le innumerevoli
opere letterarie, filmiche, teatrali che vi si
ispirano, ma anche per la crescente attenzione
rivolta ai musei e ai luoghi della memoria.
Pop-Shoah
• Ciò ha prodotto due conseguenze: da un lato, lo
sterminio degli ebrei è assurto a paradigma del
"male assoluto", dall'altro rischia di trasformarsi
sempre più in "merce di consumo", esposta a
ricostruzioni di circostanza, ma anche a
manipolazioni e negazioni. Il discorso pubblico
sulla Shoah si confronta sempre più
frequentemente, infatti, con una cultura pop che
metabolizza ogni contenuto, riproducendolo
all'infinito ma anche svuotandolo di significato.
Se tutto può essere Auschwitz, infatti, il rischio è
che Auschwitz si riduca a nulla.
Il cinema della Shoah
• Locandina
de «La vita
è bella»
(1997) di
Roberto
Benigni
Il cinema della Shoah
• Locandina di
«La zona
grigia»
(2001) di
Tim Blake
Nelson
Il cinema della Shoah
• Locandina di
«Schindler’s
List» (1993)
di Steven
Spielberg
Il cinema della Shoah
• Locandina di
«Il bambino
con il pigiama
a righe»
(2008) di
Mark Herman
Conclusioni
Considerare quanto una tragedia del passato, di
decenni così come di poche ore, che ha tutte le
ragioni per imporsi come esempio negativo di un
comportamento umano, si presti, oggi più che mai,
a diventare pop, ci deve far prendere misure
precauzionali affinché essa non rimanga schiacciata
nei gangli di un infinito presente, in una mentalità
che si concentra sul qui e ora senza avere coscienza
della sua provenienza o del passato di origine.
Altrimenti tutto il lavoro in corso da tantissimi anni
su questa dimensione così complessa che è la
memoria, resterà inutile.
Grazie per la vostra attenzione.
[email protected]
Dottoressa Valentina Mazzoni