Pucci Gillian 4E
TSUNAMI
Lavoro di maturità Fisica
Professore Stefano Sposetti
Liceo di Bellinzona 2011
LaM Fisica
LiBe 2011
Indice
Capitolo
Titolo
Numero pagina
0
Introduzione
1
1
Introduzione alle onde
2
1.1
Equazione delle onde
2
1.2
Ampiezza e fase
3
1.3
Lunghezza d'onda e numero d'onda
3
1.4
Periodo, pulsazione e frequenza
4
1.5
Costante di fase
5
1.6
Velocità
6
1.7
Energia di un'onda
7
Introduzione ai terremoti
8
2.1
Tettonica delle placche
9
2.2
Terremoti di margini divergenti
11
2.3
Terremoti di margini convergenti
11
2.4
Terremoti di margini a scorrimento laterale
12
2.5
Onde
13
2.6
Strumenti e registrazione
16
2
2
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LiBe 2011
2.7
Classificazione
17
2.8
Energia
21
Introduzione agli tsunami
22
3.1
Le cause degli tsunami
22
3.2
Situazione precedente alla catastrofe
27
3.3
Descrizione del fenomeno
28
3.4
Prevenzione
30
Relazioni con il terremoto
32
4.1
Ampiezza
32
4.2
Energia
33
5
Curiosità
35
6
Conclusione
37
7
Bibliografia
38
3
4
0
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0. Introduzione
Questo lavoro di maturità vuole analizzare i lati fisici e geologici degli tsunami, spiegando nei
dettagli da dove nascono e le loro caratteristiche.
Ci sarà anche un tentativo di relazionare questi eventi con gli eventi sismici che li precedono, con
particolare attenzione all’ampiezza e all’energia.
Ho scelto questa materia e questo particolare fenomeno poiché durante il terzo anno di liceo ho
seguito l’opzione complementare di geografia e l’opzione specifica di fisica e matematica. Nel
primo corso abbiamo trattato le catastrofi naturali e ho potuto scoprire molte informazioni inerenti
gli tsunami; nel secondo ci siamo occupati delle onde. Unendo questi due corsi ero quindi già
informata in parte su quanto andavo a trattare. È importante quindi, per coloro che non hanno
seguito corsi inerenti la Terra o le onde, tener conto di questa mia formazione, in quanto certe
informazioni trovate nel lavoro non sono spiegate a fondo o non sono indicate con una precisa
fonte.
In particolare, ho usato delle competenze nei primi due capitoli, quelli inerenti la struttura della
Terra e le sue caratteristiche, le onde in fisica e i terremoti. Anche per questo motivo, le fonti usate
sono unicamente due libri, i quali molto affidabili, mi hanno aiutata ad esprimere al meglio ciò che
già in parte sapevo.
Lo tsunami inoltre è un interesse che ho fin da piccola, in quanto -come praticamente tutti i
bambini- ero molto affascinata dalle onde alte, e crescendo, mi sono sempre chiesta come sia vivere
l’esperienza di un’onda anomala. Ho sempre avuto la passione per l’acqua, dai piccoli fiumiciattoli
al mare e l’oceano, per cui penso sia anche molto importante conoscerne i rischi, sapere come poter
evitare una catastrofe riconoscendo i segni del pericolo,capire la loro provenienza e le loro
caratteristiche.
Con questo lavoro di maturità miro dunque non solo ad analizzare un fenomeno naturale
superficialmente, ma anche a cercare di creare quelle basi necessarie a tutti per comprendere la
parte fisica che si cela dietro a questo evento.
1
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1
LiBe 2011
Introduzione alle onde1
Le onde sono delle perturbazioni che si muovono nello spazio e nel tempo. Ci sono tre tipi
principali di onde: le onde meccaniche, le onde elettromagnetiche e le onde di materia.
Concentrandoci sui terremoti, considereremo unicamente le onde sismiche, appartenenti alla prima
categoria: le onde meccaniche.
Immaginando di propagare unicamente un impulso che si muove lungo una corda tesa, le particelle
della corda inizialmente saliranno e poi scenderanno, presentando complessivamente una
perturbazione chiamata impulso che si muove secondo una certa velocità v. Ciò è possibile grazie
alla tensione interna del mezzo, secondo la quale una perturbazione si trasmette da particella a
particella (in questo caso della corda) con lo scopo di tornare alla situazione di equilibrio, per cui i
movimenti riprodotti a un capo della corda verranno trasmessi sul resto del mezzo.
Se, invece di un unico impulso, a capo di una corda si inizia un moto armonico semplice, in essa si
propagherà un’onda sinusoidale. Teorizzando una corda priva di forze di attrito e lunga abbastanza
da non proporre riflessioni, è possibile uno studio più approfondito delle onde.
Fissando un punto lungo l’asse di propagazione dell’onda sinusoidale e osservando la particella
corrispondente a quell’unico punto, si può riconoscere il moto armonico semplice riprodotto al capo
della corda. Questo movimento è perpendicolare alla direzione di propagazione dell’onda, per cui
essa assume il nome di onda trasversale.
Le onde longitudinali, invece, sono il movimento di un’onda sinusoidale concorde alla direzione di
propagazione. Immaginando un tubo pieno d’aria e un pistone mosso avanti e indietro con moto
armonico semplice, la pressione applicata all’aria si propaga, trasferendosi da particella a particella,
spingendo prima a destra e poi a sinistra le particelle, causando zone di alta e bassa pressione, che si
muovono di una certa velocità v.
Sia le onde longitudinali che le onde trasversali sono chiamate onde di movimento poiché si
propagano in un mezzo, senza dimenticare che esso viene unicamente deformato, è solo l’onda che
si propaga e si muove.
1.1
Equazione delle onde2
Come detto in precedenza, un’onda si propaga in un certo periodo di tempo di un certo spazio.
Prendendo in considerazione un’onda trasversale, essa è rappresentabile da una funzione di cui
1
Il seguente paragrafo è frutto di una rielaborazione personale delle informazioni contenute nella seguente fonte:
Halliday D., Resnick R e Walker J. (2009) : Fondamenti di fisica, Onde, Bologna, Scienze Zanichelli, pag 356-357
2
Il seguente paragrafo è frutto di una rielaborazione personale delle informazioni contenute nella seguente fonte:
Halliday D., Resnick R e Walker J. (2009) : Fondamenti di fisica, Onde, Bologna, Scienze Zanichelli, pag 358
2
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incognite sono tempo e spazio, di tipo
y = h( x, t ) , dove h è una funzione qualsiasi, y è lo
spostamento lungo l’asse delle ordinate in funzione del tempo t e della posizione x scelta lungo la
corda.
1.2
Ampiezza e fase3
Utilizzando per convenzione la funzione seno, per le onde trasversali la posizione delle particelle
lungo l’asse delle ordinate nella posizione x al tempo t è data dalla funzione:
y ( x, t ) = ym sin( kx − ω t )
In cui ym indica il modulo dell’ampiezza massima raggiunta dalle particelle lungo l’asse delle
ordinate rispetto alla posizione di equilibrio. Per comprendere meglio, basta pensare alla funzione
seno: il valore massimo ottenuto con qualsiasi angolo è |1|, difatti la funzione è compresa
nell’intervallo [-1,+1]. Allo stesso modo un’onda è compresa tra due limiti: [-ym, +ym].
Ricollegandoci alle caratteristiche di un’onda sinusoidale, si pensa ai suoi punti caratteristici: il
punto che si interseca con l’asse delle ascisse si chiama nodo, il punto più alto che distanzia
dall’equilibrio del modulo ym verso le ordinate positive si chiama cresta e lo stesso ma verso le
ordinate negative si chiama ventre.
L’argomento del seno è chiamato fase dell’onda. Fissando un elemento della corda, al transitare
della corda attraverso di esso, la fase varia linearmente con il trascorrere del tempo, facendo
oscillare il valore del seno tra 1 e -1.
Pensando ora a un’onda in generale, sapendo che in una cresta la distanza dall’equilibrio è massima
ed è positiva, si sa che il termine sin(kx-ωt) = +1, mentre nel ventre, essendo la posizione negativa
rispetto all’equilibrio il termine sin(kx-ωt) = -1.
1.3
Lunghezza d’onda e numero d’onda4
Bisogna sapere che prendendo in considerazione due creste o due ventri consecutivi, la distanza tra
essi è chiamata lunghezza d’onda, denominata con la lettera λ. Tenendo conto di questo, partendo
dalla funzione generale di un’onda di tipo
3
Il seguente paragrafo è frutto di una rielaborazione personale delle informazioni contenute nella seguente fonte:
Halliday D., Resnick R e Walker J. (2009) : Fondamenti di fisica, Onde, Bologna, Scienze Zanichelli, pag 358-359
4
Il seguente paragrafo è frutto di una rielaborazione personale delle informazioni contenute nella seguente fonte:
Halliday D., Resnick R e Walker J. (2009) : Fondamenti di fisica, Onde, Bologna, Scienze Zanichelli, pag 359
3
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y ( x, t ) = ym sin( kx − ωt )
(1)
poniamo t = 0, ottenendo un’istantanea che mostra la posizione di ogni particella in quell’istante,
per cui:
y ( x,0) = y m sin( kx)
(2)
Considerando che come detto in precedenza due creste -o due ventri- hanno la stessa ordinata e si
ripetono ogni fattore λ, ponendo le coordinate delle due creste con x=x1 e x=x1+λ si ottiene:
ym = ym sin( kx1 ) = ym sin( kx1 + kλ )
(3)
Sapendo che il periodo della funzione seno è di 2π, per valere l’uguaglianza, deve valere:
kλ = 2π
e da qui ricaviamo che
k=
(4)
2π
λ
Analizzando le grandezze si ottiene che k ha come unità di misura del sistema internazionale i
rad
.
m
Esso è chiamato numero d’onda angolare, e il numero d’onda, denominato con la lettera κ, è
definito come
(5)
1.4
1
λ
ed è legato a k tramite la relazione:
κ=
k
2π
Periodo, pulsazione e frequenza5
Fin ora ci siamo occupati all’analisi della formula seguendo la posizione delle particelle, fissando
un determinato tempo e concentrandoci su un’istantanea dell’onda. Ora analizzeremo la formula per
quel che concerne il tempo, fissandoci in un unico punto dell’onda.
Prendiamo quindi l’espressione (1) e poniamo x=0, ottenendo
y (0, t ) = y m (−ωt )
che secondo la relazione trigonometrica sin(-α) = -sin(α) diventa:
(6)
5
y (0, t ) = − y m sin(ωt )
Il seguente paragrafo è frutto di una rielaborazione personale delle informazioni contenute nella seguente fonte:
Halliday D., Resnick R e Walker J. (2009) : Fondamenti di fisica, Onde, Bologna, Scienze Zanichelli, pag 359-360
4
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Ciò che vogliamo sapere è ogni quanto tempo la particella ripete il suo moto. Per questo motivo è
necessario trovare il periodo della funzione, procedendo analogamente a come abbiamo fatto in
precedenza con la lunghezza d'onda:
Poniamo un parametro T che rappresenta il tempo impiegato dalla particella per tornare alla stessa
y, in questo modo sostituiamo inizialmente t = t1 e dopo aver completato il moto abbiamo t = t1+T,
ottenendo
y (0, t ) = − y m sin(ωt1 ) = − y m sin(ωt1 + ωT )
(7)
Come in precedenza, visto il periodo della funzione seno, la relazione è vera solo se ωT = 2π, da
cui si ricava
ω=
(8)
2π
T
Essa è chiamata pulsazione o frequenza dell'onda e analizzando le grandezze si nota che essa ha
come unità del sistema internazionale i
rad
.
s
Sapendo che il moto si ripete più volte in un tot di tempo, vogliamo trovare quante oscillazioni
avvengono in un determinato tempo, e questo è possibile grazie alla frequenza indicata con il
simbolo ν, definita come
1
e legata alla pulsazione con la relazione
T
ν =
(9)
ω
2π
Analizzando le grandezze, la frequenza ha come unità
1.5
1
, chiamati Hertz (Hz).
s
Costante di fase6
Ci siamo occupati di analizzare un’onda sinusoidale che si rappresenta tramite l’equazione (1), ma
essa non è generale, poiché a t=0 e x=0, si può pensare di associare un qualsiasi valore di y
aggiungendo una costante di fase φ, che si può stabilire così da ottenere una traslazione dell’onda
sinusoidale e di conseguenza il valore richiesto. L’equazione (1) diventa quindi
y = y m sin( kx − ωt + ϕ )
(10)
1.6
6
Velocità7
Il seguente paragrafo è frutto di una rielaborazione personale delle informazioni contenute nella seguente fonte:
Halliday D., Resnick R e Walker J. (2009) : Fondamenti di fisica, Onde, Bologna, Scienze Zanichelli, pag 360
5
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Immaginando un’onda che si muove di un certo ∆x per un intervallo ∆t, il loro rapporto ∆x/∆t (se si
tratta di un limite differenziale sarà dx/dt) è la velocità dell’onda, denominata con la lettera υ .
Ogni punto della forma d’onda mantiene invariata la sua ordinata, basti pensare al grafico in t=0 e
t=1 ed individuando i due punti omologhi alla stessa altezza, pensare che quel punto non si sia mai
abbassato o alzato, è stato solamente traslato. In questo modo la fase dell’equazione (1) deve essere
costante (ponendo nell’equazione (10) φ=0)
(11)
kx − ωt = costante
Anche se la fase non varia, x e t continuano a variare, per cui se t aumenta, la posizione x aumenta
di un spostamento trasversale: l’onda si muove nella direzione in cui le x aumentano.
Derivando l’equazione (11) si ottiene k
(12)
dx
− ω = 0 , ovvero
dt
dx
ω
=υ =
dt
k
Usando le formule (5) e (8), la velocità può essere scritta come
(13)
υ=
ω
k
=
λ
T
= λν
Questa equazione mostra che in un’oscillazione, l’onda percorre uno spostamento che equivale alla
lunghezza d’onda.
Possiamo intuire che, tornando all’equazione (1), essa rappresentava un’onda che si muoveva nella
direzione delle x positive. Basta sostituire t con -t per ottenere l’equazione di un’onda che si
propaga nella direzione in cui le x diminuiscono. Di conseguenza anche la velocità cambierà e sarà
(14)
dx
ω
=−
dt
k
In conclusione, un’onda è rappresentata in generale da un’equazione di tipo
(15)
7
y ( x, t ) = h( kx ± ωt )
Il seguente paragrafo è frutto di una rielaborazione personale delle informazioni contenute nella seguente fonte:
Halliday D., Resnick R e Walker J. (2009) : Fondamenti di fisica, Onde, Bologna, Scienze Zanichelli, pag 360-364
6
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1.7
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Energia di un’onda8
Un’onda in movimento riceve energia una volta che, per esempio, la corda viene mossa creando un
impulso. Essa si propaga dunque trasportando energia cinetica e potenziale.
Considerando una particella della corda che si sta muovendo di moto armonico semplice, alla
posizione di equilibrio la sua velocità è massima, mentre quando essa è nella posizione più esterna,
ovvero l’ampiezza massima, la velocità è pari a zero, Per questo motivo l’energia cinetica alla
posizione di equilibrio è massima, mentre all’estremità è nulla.
Per seguire la forma sinusoidale che assume la corda, una sua particella deve continuamente subire
delle deformazioni. Nella posizione di ampiezza massima, essa non subisce deformazioni per cui
l’energia potenziale elastica è nulla, mentre quando essa è nella posizione y=0 la deformazione -e
di conseguenza l’energia potenziale elastica- è massima.
Se si facesse un bilancio energetico ora, si noterebbe un problema con la legge della conservazione
dell’energia. Questo accade perché non è stata tenuta conto l’energia potenziale gravitazionale.
Difatti, considerando la particella che si trova all’ampiezza massima, l’energia cinetica e l’energia
potenziale elastica sono pari a zero, tuttavia trovandosi all’estremo rispetto alla posizione di
equilibrio, la particella assume un valore di energia potenziale gravitazionale, così da bilanciare
l’energia trasferita.
Trattandosi di onde sinusoidali su una corda tesa, il valore dell’energia potenziale gravitazionale si
potrebbe approssimare nulla, ma bisogna considerarla per bilanciare le energie.
8
Il seguente paragrafo è frutto di una rielaborazione personale delle informazioni contenute nella seguente fonte:
Halliday D., Resnick R e Walker J. (2009) : Fondamenti di fisica, Onde, Bologna, Scienze Zanichelli pag 365
7
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2. Introduzione ai terremoti9
Ogni anno in media di verificano oltre un milione di terremoti sulla Terra, ma fortunatamente solo
pochi hanno effetti dannosi.
Un terremoto è definito come la vibrazione della crosta terrestre, le cause sono molteplici, può
essere generato dai movimenti tettonici, da un’eruzione vulcanica, dal crollo di caverne o da cadute
di frane. Si stima che il 90% dei sismi siano tettonici: le onde che si propagano verso ogni direzione
provengono da un punto della litosfera. Il terremoto è un fenomeno endogeno, e in particolare
quello tettonico è dovuto ai movimenti interni della Terra, specificamente del mantello. In esso
avvengono continuamente dei moti convettivi, a causa dell’enorme differenza di temperatura tra le
due discontinuità agli estremi del mantello stesso. Il nostro pianeta infatti è costituito da più strati, e
dalla crosta terrestre su cui ci muoviamo fino al centro, la temperatura del materiale costituente la
Terra aumenta notevolmente.
Il magma che si trova subito sotto le dorsali oceaniche, in vicinanza del nucleo, in prossimità della
discontinuità di Gutenberg, si scalda, si espande e diminuisce di densità. Seguendo la legge di
Archimede esso lascia posto al magma meno caldo e più denso che era a contatto con la
discontinuità di Mohorovičić. In questo modo si generano delle correnti convettive incessanti con il
continuo scambio del magma più freddo e quello più caldo.
Figura Ia
Cicli convettivi del mantello e
le loro conseguenze sulla
crosta terrestre
9
Il seguente paragrafo è frutto di una rielaborazione personale delle informazioni contenute nelle seguenti fonti:
-Autore Sconosciuto, “Mantello terrestre”
http://it.wikipedia.org/wiki/Mantello_terrestre#Movimenti_convettivi
-Bottigli ubaldo, “Convenzione”
http://www.unisi.it/fisica/dip/pers/bottigli/LEZIONI%20SVOLTE/18_10-01-11_Chm.pdf
Professore Ordinario di Fisica Medica, sito gestito dal Dipartimento di Fisica dell’università di Siena
- Gruppo Mineralogico Paleontologico Euganeo Padova, “Tettonica”
http://www.gmpe.it/content/cause-dei-terremoti
-Maccioni Andrea, “La legge di Archimede – I moti convettivi del mantello terrestre”
http://www.liceoagnoletti.it/attivita/attivita_professori/fisicafacile/Legge%20di%20Archimede/Moti%20convettivi_Terra.htm
a
Fonte immagine:
Università di Pavia, “Com’è fatta la terra”
http://ppp.unipv.it/musei/mineral/comefatta.htm
Sito del museo di mineralogia, dipartimento scienze della terra.
8
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2.1
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Tettonica delle placche10
I terremoti non avvengono in ordine sparso e casuale, ma esistono aree nelle quali essi sono quasi
ignoti e altre in cui essi sono molto frequenti. Questo accade perché con i moti convettivi, il
mantello continua a spostare delle enormi aree costituite da dorsali oceaniche e crosta terrestre: le
placche. La zona dove questi fenomeni sono più frequenti è chiamata cintura di fuocob, situata
attorno all’oceano Pacifico, dove si registrano circa il 90% del terremoti mondiali.
Figura IIc
Cintura di fuoco del Pacifico
La tettonica delle placche è lo studio che è riuscito a spiegare fenomeni come il vulcanesimo e i
sismi.
Lungo i confini di due placche si possono osservare diversi comportamenti, a differenza del senso
rotatorio dei moti e della densità della placca in movimento (se all’estremità c’è la dorsale oceanica
o la crosta terrestre). Il luogo di incontro tra due placche è chiamato margine, ed i possibili
comportamenti sono: divergenti, convergenti o trasformi. In ognuno di questi comportamenti
10
Il seguente paragrafo è frutto di una rielaborazione personale delle informazioni contenute nelle seguenti fonti:
-Tedesco, G. (2005) : Introduzione allo studio dei terremoti, Milano, Alpha Test (Gli spilli fissano le idee. Monografie), pag 12-15
- Sansò P. e Mastronuzzi G., “”Formazione e propagazione di uno tsunami”
http://www.tsunami.unisalento.it/Ita/Propagazione.htm
sito gestito dall’università del Salento
- Schettino Antonio, “Lezioni di sismologia”, pag 195
http://www.unicam.it/geologia/teaching/fisicaterrestre/seismology.pdf
Stampato all’università di Camerino
b
Comunemente usato il termine in inglese Ring of fire
c
Fonte immagine:
Parotto Maurizio, “Cos’è e cosa fa la cintura di fuoco”
http://zaro41.wordpress.com/2011/03/23/cose-e-cosa-fa-la-cintura-di-fuoco
Sismologo, immagine tratta dal blog di Zamperini Roberto
9
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vengono prodotti dei terremoti, poiché in tutti i casi si accumula energia da diverse forme, che può
essere attrito oppure tensione, che viene poi rilasciata e genera onde.
Un professore di Geologia presso la Johns Hopkins University, Henry Fielding Reid, espose il
primo modello per l’origine dei terremoti, che è ritenuto valido ancora oggi: riaggiustamento
elastico. Secondo la sua teoria, le rocce sottoposte a tensioni o pressioni tendono a comportarsi in
maniera elastica, ma il materiale vicino al piano di faglia è bloccato dalle forze di attrito. In questo
modo, questo materiale accumula energia potenziale elastica, che una volta raggiunto il limite di
rottura, viene liberata come energia cinetica, con grandi scosse di riassestamento fino ad una
posizione di equilibrio.
Il punto della litosfera posto sul piano di faglia in cui l’energia rilasciata propaga le onde del
terremoto è chiamato ipocentro, solitamente situato nei primi 70 km di profondità, ma in caso di
terremoti profondi può arrivare fino ai 700 km. Il corrispondente sulla superficie, cioè sulla crosta
terrestre, posto verticalmente rispetto all’ipocentro, è chiamato epicentro.
d
Figura III
Modello per il limite di rottura su un piano orizzontale
d
Fonte Immagine:
Schettino Antonio, “Lezioni di sismologia”, pag 192
http://www.unicam.it/geologia/teaching/fisicaterrestre/seismology.pdf
Stampato all’università di Camerino
10
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2.2
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Terremoti di margini divergenti11
I margini divergenti si trovano tra due placche che si distanziano tra loro, creando tensione nella
crosta terrestre fino allo spaccamento della stessa e al rilascio dell’energia accumulata dalla
tensione tra le due placche.
Essi si chiamano anche margini costruttivi, a causa della formazione di nuova dorsale oceanica.
Il tipo di faglia presentata è chiamata diretta, forma un angolo di circa 60° con la componente
orizzontale e la superficie, muovendosi lungo la direzione della faglia, aumenta.
L’ipocentro in questi casi è poco profondo, molto vicino alla crosta terrestre, e il terremoto causato
è costituito sia da onde generate dalla tensione tra le due placche e l’energia liberata in seguito al
superamento del limite di rottura, che dalla risalita in superficie del magma.
2.3
Terremoti di margini convergenti 12
I margini convergenti si trovano tra due placche che si avvicinano tra loro. È importante
differenziare i molteplici comportamenti osservabili a dipendenza delle placche coinvolte. Questi
margini sono anche chiamati distruttivi. Si può notare la distruttività osservando la faglia creata: è
chiamata faglia inversa, forma un angolo molto basso, attorno ai 30°, e si può osservare che la
superficie prima disposta su un unico piano si smuove verso l’alto seguendo la direzione della
faglia, accorciandosi quasi a causa di un sovrascorrimento.
Ciò accade quando sono coinvolte due dorsali oceaniche o la crosta terrestre e la dorsale oceanica.
Quest’ultima ha una densità e un peso maggiore, per questo motivo se incontra la crosta terrestre
tende ad andare in subduzione. Quando la dorsale scorre sotto la crosta terrestre, si crea una
tensione, poiché tra le due vi è attrito, quindi la crosta terrestre non riesce a scorrere sopra la dorsale
11
Il seguente paragrafo è frutto di una rielaborazione personale delle informazioni contenute nelle seguenti fonti:
-Sansò P. e Mastronuzzi G., “”Formazione e propagazione di uno tsunami”
http://www.tsunami.unisalento.it/Ita/Propagazione.htm
sito gestito dall’università del Salento
- Gruppo Mineralogico Paleontologico Euganeo Padova, “Tettonica”
http://www.gmpe.it/content/la-tettonica-delle-placche
-Tedesco, G. (2005) : Introduzione allo studio dei terremoti, Milano, Alpha Test (Gli spilli fissano le idee. Monografie), pag 24-25
-Autore Sconosciuto, “Tettonica delle placche”
http://it.wikipedia.org/wiki/Tettonica_delle_placche
12
Il seguente paragrafo è frutto di una rielaborazione personale delle informazioni contenute nelle seguenti fonti:
- Autore Sconosciuto, “Tettonica delle placche”
http://it.wikipedia.org/wiki/Tettonica_delle_placche
- Gruppo Mineralogico Paleontologico Euganeo Padova, “Tettonica”
http://www.gmpe.it/content/la-tettonica-delle-placche
-Sansò P. e Mastronuzzi G., “”Formazione e propagazione di uno tsunami”
http://www.tsunami.unisalento.it/Ita/Propagazione.htm
sito gestito dall’università del Salento
-Tedesco, G. (2005) : Introduzione allo studio dei terremoti, Milano, Alpha Test (Gli spilli fissano le idee. Monografie), pag 25-27
11
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ma è obbligata a subire una deformazione che immagazzina energia potenziale elastica. Al
contempo, la dorsale raggiunge il mantello, in cui la temperatura è elevata, e per questo motivo
fonde e risale in superficie sottoforma di vulcano. Una volta raggiunto il limite di rottura, la crosta
terrestre scorre sulla dorsale oceanica grazie all’energia potenziale elastica trasformata in cinetica.
Da questo brusco ripristinamento si generano molteplici onde sismiche che si propagano in tutta la
Terra.
Se le placche a contatto sono due croste terrestri, le conseguenze sono vulcani o isole vulcaniche, in
cui i terremoti generati dipendono unicamente dalla risalita in superficie del magma.
2.4
Terremoti di margini a scorrimento laterale13
A differenza degli altri due margini, questi non creano o distruggono, a causa dei movimenti
paralleli delle due placche coinvolte.
Essi si possono suddividere in due categorie a dipendenza della faglia creata: trasformi o
trascorrenti.
Nel primo caso, le faglie si muovono in versi opposti tra loro, in seguito a una dislocazione di una
dorsale continua, causando terremoti in seguito all’attrito creato con le placche incontrate lungo lo
spostamento. Il dislocamento è dovuto unicamente ai moti convettivi, non ci sono ulteriori cause
primarie come invece nel secondo caso.
I margini trascorrenti sono causati dai margini divergenti. Lasciando spazio a nuova dorsale, si
creano dei movimenti allineati opposti, i quali continuano il loro lento moto incontrando altre faglie
con direzione opposta. A questo punto due movimenti opposti paralleli spingono le placche a
scorrere una contro l’altra, ma a causa dell’attrito tra loro, esse sono costrette a deformarsi,
immagazzinando energia potenziale elastica fin quando riescono a liberarla sotto forma di energia
cinetica e a riassestarsi, provocando terremoti di riassestamento alla posizione di equilibrio,
causando terremoti di importante intensità.
Si può notare quindi che nelle aree di margini divergenti ci sono molti più terremoti, dovuti alla
risalita del magma, alla spaccatura delle placche e infine agli attriti creati.
13
Il seguente paragrafo è frutto di una rielaborazione personale delle informazioni contenute nelle seguenti fonti:
-Gruppo Mineralogico Paleontologico Euganeo Padova, “Tettonica”
http://www.gmpe.it/content/i-margini-trasformi
- Tedesco, G. (2005) : Introduzione allo studio dei terremoti, Milano, Alpha Test (Gli spilli fissano le idee. Monografie), pag 16-17, 28
12
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e
Figura V
Vari tipi di margine
2.5
Onde14
I terremoti possono essere causati da più fattori e possono nascere da differenti situazioni, ciò che
non varia sono le onde generate da questo fenomeno.
Esse sono divisibili in due tipi differenti: le onde di volume (o di corpo) e le onde superficiali.
Onde di volume
Queste onde si propagano dall’ipocentro verso tutte le direzioni all’interno della Terra. Esse sono
distinguibili secondo i loro effetti nel mezzo, ovvero il loro metodo di propagazione.
Le onde di compressione sono anche chiamate onde P dal latino primae, poiché esse sono le prime
ad essere registrate. Questo perché sono le più veloci: si propagano con una velocità che varia tra i 4
e gli 8 km/s, la quale dipende dalla densità delle rocce, dal modulo di compressibilità e dal modulo
di rigidità.
e
Fonte immagine:
Vignolo Villa Architetti Associati, “Il fenomeno fisico”
http://www.vvaa.it:16080/j_1511/index.php/it/ingegneria/temi-di-ingegneria/sismica-che-passione/104-il-fenomeno-fisico.html
14
Il seguente paragrafo è frutto di una rielaborazione personale delle informazioni contenute nella seguente fonte:
-Tedesco, G. (2005) : Introduzione allo studio dei terremoti, Milano, Alpha Test (Gli spilli fissano le idee. Monografie), pag 52-56
13
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Il modulo di compressibilità indica la resistenza posta al tentativo di modificare il volume della
materia. L’ultimo indica la resistenza posta al tentativo di deformare la materia.
La loro velocità si calcola con la seguente formula:
k = modulo di compressibilità
µ = modulo di rigidità
ρ = densità delle rocce
Esse si propagano attraverso sia i liquidi che i solidi, e la loro caratteristica è di compressione e
dilatazione in direzione longitudinale (da qui ne deriva il nome).
Le onde di taglio sono dette anche onde S dal latino secundae come per le onde P, a causa del
tempo di arrivo in superficie, in questo caso più lento. La loro velocità infatti varia dai 2,3 ai 4,6
km/s e dipende dalla densità del mezzo e dalla sua rigidità.
La formula per calcolare la velocità delle onde S è la seguente:
µ = modulo di rigidità
ρ = densità delle rocce
Queste onde si propagano solo attraverso i solidi, poiché i liquidi non oppongono resistenza, quindi
analizzando la formula, ponendo µ = 0, risulta che Vs = 0.
Utilizzando come modulo di compressibilità un valore approssimativo per rappresentare le rocce
della litosfera pari a
5
3
µ si può stabilire il rapporto tra le due velocità, trovando che
Vp
Vs
=
3,
confermando nuovamente che le onde P sono più veloci delle onde S.
La caratteristica delle onde S è generare un movimento perpendicolare alla direzione dell’onda. Per
questo motivo chiamate anche onde di taglio o onde trasversali.
Esse si possono scomporre nelle due componenti, facendo oscillare le particelle sia orizzontalmente
che verticalmente.
Analizzando le due formule, si può notare che il mezzo in cui le onde si propagano più velocemente
sono i solidi, in quanto malgrado il fattore densità a denominatore, con l’aumentare della densità del
mezzo, aumentano in maniera più rilevante i moduli di rigidità e di compressibilità, che si trovano a
numeratore.
14
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LiBe 2011
Onde di superficie15
A differenza delle onde di volume, queste onde non sono generate direttamente nell’ipocentro,
bensì sono un effetto causato dall’incontro delle due onde di volume con la discontinuità tra la
crosta terrestre e l’atmosfera. Si chiamano di superficie a causa della loro perdita esponenziale di
energia muovendosi verso la profondità.
Secondo la loro caratteristica, esse sono facilmente generate in casi di terremoti poco profondi.
La loro ampiezza è maggiore di quella delle onde di volume, per questo motivo sono le onde che
recano più danni.
Più la loro lunghezza d’onda sarà maggiore, più sarà maggiore la profondità raggiunta. Questo è
possibile perché con l’aumentare della lunghezza d’onda aumenta anche la velocità, e nel caso in
cui delle onde ne siano soggette, esse vengono chiamate dispersive.
Le onde di Love o onde L si generano in mezzi disomogenei, che presentano stratificazioni. Esse
causano un movimento delle particelle lungo la componente orizzontale, in direzione
perpendicolare rispetto alla direzione di propagazione dell’onda, producendo scosse sussultorie.
Sono le onde di superficie più veloci.
Le onde di Rayleigh o onde R sono quelle che imprimono alle particelle del mezzo dei movimenti
ellittici e retrogradi che si rimpiccioliscono aumentando la profondità, senza però generare
movimenti trasversali o perpendicolari, provocando scosse ondulatorie.
Figura VI
f
Rappresentazione delle onde sismiche e i
loro effetti sul mezzo
15
Il seguente paragrafo è frutto di una rielaborazione personale delle informazioni contenute nelle seguenti fonti:
- Autore Sconosciuto, “Onde sismiche”
http://it.wikipedia.org/wiki/Onde_sismiche
-Tedesco, G. (2005) : Introduzione allo studio dei terremoti, Milano, Alpha Test (Gli spilli fissano le idee. Monografie), pag 52-56
f
Fonte immagine:
Rossi Riccardo, “Lo studio dei tracciati sismici”
http://www.fesn.org/Dinamica_terremoti/menu15.htm
15
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Tutte queste quattro onde all’interno della Terra subiscono rifrazioni e riflessioni, a causa della
diversa stratificazione della Terra e della variazione di velocità continue. Ciò comporta delle
traiettorie curve, poiché con il crescere della profondità cresce anche la velocità, e grazie alle
caratteristiche delle onde, ovvero i mezzi in cui possono o meno diffondersi, è stata studiata la
stratificazione della Terra. Con una diversa velocità di propagazione e quindi un diverso intervallo
di tempo impiegato per giungere in superficie, le onde vengono registrate secondo il loro arrivo.
2.6
Strumenti e registrazioni16
Quando le onde generate da un terremoto giungono in superficie, esiste uno strumento in grado di
registrare in un sismogramma le vibrazioni del terreno: il sismografo.
Esso misura la variazione del terreno in funzione del tempo, e si basa sul principio di inerzia.
Esistono due differenti meccanismi, a dipendenza dei movimenti registrati, se essi sono orizzontali
o verticali. Il primo funziona grazie a una massa in sospensione e una base fissa che poggia sul
terreno sottostante. La massa tende a rimanere ferma, mentre la base segue le scosse del terremoto.
Se l’apparecchio non è computerizzato, la massa presenta un pennino in grado di marcare
direttamente sulla base il sismogramma. Se, invece, i dati raccolti vengono trasmessi ad un
computer, la base porta con se una bobina, e la massa diventa un magnete -oppure con diversi
sensori- e il movimento viene trasformato in impulsi analogici registrati dal computer.
Nell’altro caso, per le registrazioni verticali, il meccanismo è analogo, ma posto orizzontalmente.
Il sismogramma rappresenta la modifica del terreno nel tempo, presentando diverse ampiezze della
traccia, che in quiete è una linea dritta.
Queste registrazioni sono molto importanti, poiché grazie a un sismogramma gli studiosi riescono
ad individuarne la potenza, l’ipocentro e l’epicentro, la sua durata, informazioni sulla struttura della
Terra e le caratteristiche della sua causa: cos’è accaduto lungo il margine da cui si è generato.
Gli studiosi che raccolgono i dati sismici del mondo sono normalmente dotati di due apparecchi, il
primo per i rilevamenti a lunga distanza e il secondo per gli eventi generati entro i 100 km di
distanza.
Per ottenere il maggior numero di informazioni, essi possiedono un sismografo disposto in ogni
direzione possibile, ovvero un sismografo che registra i movimenti del terreno verticali, uno che
16
Il seguente paragrafo è frutto di una rielaborazione personale delle informazioni contenute nella seguente fonte:
Tedesco, G. (2005) : Introduzione allo studio dei terremoti, Milano, Alpha Test (Gli spilli fissano le idee. Monografie), pag 57-62
16
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misura quelli che muovono il terreno orizzontalmente in direzione nord-sud e infine uno che misura
quelli che muovono il terreno orizzontalmente in direzione est-ovest.
Da una lettura di un sismogramma sono riconoscibili non solo i terremoti, ma anche le interferenze
odierne come il passaggio di veicoli o raffiche di vento. Queste interferenze sono riconoscibili sulla
traccia da piccole ampiezze di breve durata. Allo stesso modo un evento sismico si propone su un
sismogramma con le solite caratteristiche individuabili. Come detto nel capitolo precedente, le onde
sismiche arrivano in superficie in tempi differenti, e quindi verranno registrate in tempi differenti e
oltretutto con ampiezze differenti, poiché le onde di superficie avranno un’ampiezza maggiore alle
onde di volume.
In genere la durata di un evento sismico su un sismogramma può variare da poche decine di secondi
ad alcuni minuti e ciò dipende dalla potenza del terremoto e dalla sensibilità al movimento del
sismografo. L’arrivo delle diverse onde è riconoscibile grazie al tempo di arrivo e alla variazione di
ampiezza e frequenza, presentandosi in un sismogramma in sequenza: le onde P, seguite dalle onde
S e infine le onde superficiali.
In genere la traccia presenta una prima variazione di ampiezza che indica le onde P e le onde P
riflesse , in seguito dopo un piccolo intervallo uno sbalzo di ampiezza indica l’arrivo delle onde S e
infine le onde con maggiore ampiezza sono le onde di superficie.
Figura VIIg
Generico sismogramma
2.7
Classificazione17
I terremoti si manifestano con una determinata forza, a dipendenza di cos’è successo nella sua
generazione nell’ipocentro. Ciò che interessa, è capire come poter relazionare questa sua forza con
g
Fonte immagine:
Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, “Disegno di un sismogramma”
http://www.ingv.it/ufficio-stampa/stampa-e-comunicazione/Galleria-immagini/photo_album.2008-07-28.6931473519
17
Il seguente paragrafo è frutto di una rielaborazione personale delle informazioni contenute nella seguente fonte:
Tedesco, G. (2005) : Introduzione allo studio dei terremoti, Milano, Alpha Test (Gli spilli fissano le idee. Monografie), pag 67-70, 75-77
17
LaM Fisica
LiBe 2011
l’imminente pericolo che può colpire le zone nelle vicinanze. Per esprimere questa forza sono usati
due termini: l’intensità I e la magnitudo M di un terremoto.
Nel primo caso, considerando l’intensità di un terremoto, si intende tralasciare l’energia che esso
porta con sé, ma si limita a osservare i danni da esso causato. Ciò può portare a diversi problemi: i
danni non sono sempre individualizzabili, e due terremoti con uguale energia rilasciata
nell’ipocentro possono comportarsi diversamente, poiché il loro percorso incontra differenti
situazioni.
Le scale che esprimono i possibili gradi di intensità sono chiamate scala Mercalli-Cancani-Sieberg
(MCS), che si presenta con dodici gradi ascendenti espressi dai numeri romani e la scala MedvedevSponheuer-Karnik (MSK) espressa anch’essa in numeri romani ascendenti, ma suddivisa in base
agli effetti osservati sugli oggetti, sulle persone e sul suolo. Bisogna osservare che tutt’e due le scale
sono strettamente soggettive.
Figura VIIIh
Scala Mercalli-Cancani-Sieberg
h
Fonte immagine:
Fioba, “Terremoto di magnitudo 8.9 in giappone”
http://ipensieridelfioba.blogspot.com/2011/03/terremoto-di-magnitudo-86-in-giappone.html
18
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Figura IXi
Scala Medvedev-Sponheuer-Karnik
Per quanto riguarda alla Magnitudo, essa è la rappresentazione della misura assoluta dell’energia
rilasciata nell’ipocentro, ricavata dall’ampiezza delle onde registrate sui sismogrammi. Ciò non
significa che l’energia ricavata cambi in base alla posizione o al tipo di sismografo utilizzato.
Richterj si basò su questo principio e nel 1935 introdusse una scala delle magnitudo espressa come
“la differenza tra i logaritmi dell’ampiezza massima (in millimetri) delle oscillazioni del suolo
i
Fonte immagine:
Tedesco, G. (2005) : Introduzione allo studio dei terremoti, Milano, Alpha Test (Gli spilli fissano le idee. Monografie), pag 78
j
Charles Francis Richter:
Nato ad Hamilton, Ohio, il 26 aprile 1900 e morto a Pasadena, California il 30 settembre 1985
Fisico e sismologo statunitense a cui si riconosce ancora oggi la creazione della scala Richter, a cui è arrivato con l’aiuto di Beno Gutemberg e
basandosi su scritti di Kiyoo Wadati.
Fonte:
Autore sconosciuto, “Charles Francis Richter”
http://en.wikipedia.org/wiki/Charles_Francis_Richter
19
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misurata da uno strumento standard (A) e quella che avrebbe fatto registrare il terremoto
campione.”k Quest’ultimo è inteso come un terremoto registrato da un sismografo posto a 100 km di
distanza dall’epicentro, di cui l’ampiezza massima è pari a un micron.
(1)
M = log A − log A0 = log
(2)
A0 = 1µ = 0,001mm
A
A0
Questo metodo, applicando delle correzioni empiriche, permette la stima di uno stesso valore della
magnitudo ovunque, seppure talvolta ci siano degli scarti che non fanno combaciare perfettamente i
valori e per questo motivo si ricorre alla media.
La scala Richter teoricamente potrebbe variare da valori negativi a valori infiniti, tuttavia basandosi
sull’energia, essa ha dei limiti individuati dagli studi della meccanica delle rocce pari a M = −1 per
i microsismi e M = 9,5 per il terremoto più forte mai registratol.
Essendo una scala logaritmica, il valore dell’energia dell’ipocentro da un grado a quello successivo
aumenta di un fattore 30.
Figura Xm
Scala Richter con l’equivalente energia
(1 grammo di TNT = 4.184 Joule)
k
Estratto da:
Tedesco, G. (2005) : Introduzione allo studio dei terremoti, Milano, Alpha Test (Gli spilli fissano le idee. Monografie), pag 68
l
Terremoto che ha colpito il Cile il 22 maggio 1960, provocando secondo delle stime dai 2'000 ai 10'000 morti e
dispersi, 3'000 feriti e oltre 2'000'000 di senzatetto. La relativa intensità registrata fu di X-XI gradi secondo la scala
Mercalli.
m
Fonte immagine:
Autore sconosciuto (blog), “Il terremoto del Giappone”
http://questionedelladecisione.blogspot.com/2011/03/il-terremoto-del-giappone.html
20
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In genere, seppure sia impossibile un’equivalenza di valori energetici ed effetti soggettivi, si usa
associare i gradi della scala Mercalli con quelli della scala Richter secondo questa tabella
Figura XIn
Confronto teorico tra i gradi delle due
scale più utilizzate per i terremoti e la
corrispondente energia
2.8
Energia18
Riprendendo ciò che è stato detto nei capitoli 2.2 – 2.4, la maggior parte dei terremoti è causato dai
movimenti tettonici che rilasciano improvvisamente energia accumulata dalla deformazione.
L’energia sismica totale rilasciata annualmente è pari a 3·1025 erg, che equivalgono a 3·1018 Joule,
di cui i sismi poco percettibili costituiscono una minima parte, essendo l’energia dei terremoti
distruttivi centomila volte maggiore.
Si consideri l’energia rilasciata da una bomba atomica come quella di Hiroshima che è pari a 1013
Joule, i terremoti più distruttivi rilasciano un’energia pari a 1018 Joule, quindi molto superiore.
L’energia sismica è quindi quell’energia liberata nell’ipocentro sottoforma di potenziale elastica che
diventa quasi tutta cinetica, a parte una minima parte che si disperde in calore, e si propaga
causando danni alle strutture.
L’approssimazione della misurazione di energia tramite il sismogramma si è rivelata molto vicina al
valore preciso di energia rilasciata, poiché solo una piccolissima parte di energia viene assorbita
durante la propagazione delle onde.
n
Fonte immagine:
Autore sconosciuto (blog), “Terremoto, forte scossa a Cassino”
http://eadaybyday.blogspot.com/2009/08/terremoto-forte-scossa-cassino.html
18
Il seguente paragrafo è frutto di una rielaborazione personale delle informazioni contenute nella seguente fonte:
Tedesco, G. (2005) : Introduzione allo studio dei terremoti, Milano, Alpha Test (Gli spilli fissano le idee. Monografie), pag 73-74
21
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3 Introduzione agli tsunami19
Gli tsunami sono delle onde anomale dovute a una perturbazione che interessa una grande massa
d’acqua. Esse possono percorrere enormi distanze, fino ad abbattersi sulle rive, producendo più o
meno danni a dipendenza delle loro caratteristiche che analizzeremo in seguito.
Il nome arriva dal Giappone, dove significa “onda di porto”, che difatti indica le zone costiere
colpite. Sono utilizzati talvolta anche i termini maremoto od onda anomala.
Contrariamente a ciò che usualmente si pensa, la distruttività dello tsunami non è dovuta
unicamente all’altezza che quest’onda può assumere, ma anche all’enorme energia che talvolta essa
porta con sé.
3.1
Le cause degli tsunami20
Gli tsunami, come detto in precedenza, sono una perturbazione che si propaga in una massa
d'acqua. Questa perturbazione può essere provocata da più situazioni: frane o smottamenti,
terremoti, eruzioni vulcaniche, caduta di meteoriti o esplosioni. Tratteremo più nel dettaglio i primi
tre casi, poiché sono delle situazioni che si presentano con più frequenza.
Frana o smottamento21
Immaginiamo una massa d'acqua come un lago nei pressi di una montagna. Può capitare che a causa
di lunghi periodi di pioggia, sommati ad altri fattori scatenanti come il disboscamento, vengono a
causarsi delle frane o degli smottamenti, i quali seguendo il versante vanno a valle. Considerando
quindi che nei pressi della montagna sia situato un lago, il materiale andrà a finire in questa massa.
Sapendo che a parità di materiale immerso in un liquido, esso aumenterà dello stesso volume, si può
intuire che nella massa d'acqua nasce una perturbazione, un'onda anomala, che si abbatterà lungo le
rive.
19
Il seguente paragrafo è frutto di una rielaborazione personale delle informazioni contenute nelle seguenti fonti:
-Regione Siciliana – Presidenza, “Tsunami, cos’è?”,
http://www.regione.sicilia.it/presidenza/protezionecivile/comitatoregionale/argomenti/documentazione/pdf/Tsunami.pdf
sito gestito dal Comitato Regionale della Protezione Civile
- Tedesco, G. (2005) : Introduzione allo studio dei terremoti, Milano, Alpha Test (Gli spilli fissano le idee. Monografie), pag 119-120
20
Il seguente paragrafo è frutto di una rielaborazione personale delle informazioni contenute nelle seguenti fonti:
Frugoni Francesco, “Tsunami”
http://roma2.rm.ingv.it/it/tematiche/33/tsunami/31/le_cause_degli_tsunami
sito gestito dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia di Roma
21
Il seguente paragrafo è frutto di una rielaborazione personale delle informazioni contenute nelle seguenti fonti:
-Del Losso Andrea, “Disastro del Vajont. Diga del Vajont”
http://www.vajont.net/page.php?pageid=HOMBO001
Sito ufficiale a cura del Comune di Longarone
-Tedesco Elvis, “Il progetto grande Vajont”
http://www.progettodighe.it/main/reportage/article/il-progetto-grande-vajont
Fondatore del “progetto Dighe”
22
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Prendendo in considerazione un esempio reale, situiamoci in Italia, nella valle del Vajont. Il fiume,
da cui prende nome la valle che esso ha creato nel tempo, nasce in Friuli e affluisce nel fiume Piave.
Nel comune di Erto e Casso fu costruita, tra il 1957 e il 1960, una diga il cui scopo era regolare
stagionalmente le acque del fiume Piave e dei torrenti Maè e Boite, i quali servivano per le centrali
idroelettriche. Il bacino poteva contenere 150 milioni di metri cubici d'acqua, e la diga in quegli
anni era la più alta al mondo (mentre ora è la quinta).
Il bacino non era ritenuto a rischio, poiché le frane che erano state previste non sarebbero state di
grande rilevanza e non avrebbero dunque arrecato problemi.
Il 22 marzo 1959 una prima frana pari a 3 milioni di metri cubici di materiale cadde nel serbatoio di
Pontesei. Per questo motivo il professore Mulli incaricò il geologo Edoardo Semenza ad avanzare
delle ricerche riguardo l'intero bacino. Nell'agosto del 1959 Semenza scoprì l'esistenza di
un’ulteriore possibile frana che comprendeva il pian del Toc e il pian della Pozza e quindi espresse
il suo parere, dicendo che con il passare del tempo essa potesse muoversi e causare problemi.
Contrariamente a quanto Semenza diceva, nel novembre 1959 il professor P. Caloi negò l'esistenza
di questa frana.
Verso la fine di ottobre del 1960 i movimenti della frana si accentuarono, presentando una fessura.
Per questo motivo Semenza e Mulli presentarono il bisogno di diminuire il livello dell’acqua
contenuta nella diga.
Malgrado la loro richiesta, il livello d’acqua venne mantenuto lo stesso, però fu deciso di analizzare
ulteriormente ciò che stava succedendo alla frana, pur senza ritenere necessario prendere
precauzioni per i comuni vicini alla diga. Il livello d'acqua contenuto nella frana fu tenuto sotto
controllo da quattro piezometri. Nel 1962 il professor Ghetti consegnò una relazione in cui
venivano eseguiti dei calcoli, i quali garantivano la sicurezza della diga se l'altezza del livello
d’acqua fosse 700 m. Questo suo modello era però basato su una velocità di caduta minore rispetto
a quella reale, per cui i risultati da lui ottenuti erano notevolmente meno allarmanti rispetto a ciò
che realmente accadde.
Alle 22:39 del 9 ottobre 1963 la frana si staccò dal monte Toc con un tempo di 30 secondi
(contrariamente al minuto considerato da Ghetti) portando 270 milioni di metri cubici dritti nel lago
artificiale della diga del Vajont. Una prima onda anomala si diresse verso est, spazzando via le
frazioni più basse lungo le rive del lago: Frasègn, Le Spesse, Cristo, Pineda, Ceva, Prada, Marzana
e San Martino. La seconda onda si riversò verso valle superando lo sbarramento superficiale,
inondando le case più basse del paese di Casso. La diga venne in parte distrutta dall'enorme forza
con cui l'onda si abbatté, e 70 metri in altezza di acqua si riversarono su Longarone, distruggendolo
completamente.
23
LaM Fisica
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È chiaro che una catastrofe simile oggi è meno probabile che accada visti gli strumenti e gli studiosi
che si occupano oggigiorno di queste situazioni. Tuttavia non è da escludere un possibile sbaglio e
quindi la conseguente generazione di un’onda anomala di dimensioni più o meno rilevanti a causa
di una frana non prevista.
Figura XIIo
Lago Vajont e i comuni colpiti
A: Lago Vajont
B: Prada
C: San Martino
D: Casso
E: Longarone
Eruzioni vulcaniche22
I vulcani possono trovarsi sia nei pressi che sul fondo di una massa d’acqua.
Considerando quelli sul fondo, se il loro cratere è vicino alla superficie, essi possono riuscire a
spostare verticalmente un’importante massa d’acqua e generare così un’onda anomala.
Nel caso in cui un vulcano si trova in prossimità di una massa d’acqua, i detriti incandescenti
espulsi una volta entrati in contatto con l’acqua ne causano uno spostamento e quindi la generazione
di un’onda anomala, con una situazione simile alla frana vista in precedenza.
Nel caso in cui sia una parte o tutta la camera magmatica a cedere, viene a crearsi un pericolo più
grande visto i maggior detriti e di conseguenza lo spostamento maggiore della massa d’acqua.
o
Fonte immagine:
http://maps.google.it
22
Il seguente paragrafo è frutto di una rielaborazione personale delle informazioni contenute nelle seguenti fonti:
-Autore Sconosciuto, “Santorini”
http://www.in2greece.com/english/places/summer/islands/santorini.htm
-Autore Sconosciuto, “Santorini”
http://it.wikipedia.org/wiki/Santorini
-Frugoni Francesco, “Tsunami”,
http://roma2.rm.ingv.it/it/tematiche/33/tsunami/31/le_cause_degli_tsunami
gestito dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia di Roma
24
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Un simile evento accadde intorno al 1630 a.C., quando il vulcano dell’isola Santorini (Grecia, Mar
Egeo) un tempo conosciuta come isola rotonda, in seguito a un terremoto e ad un’eruzione esplosiva
collassò, provocando un enorme spostamento del mare verso il centro dell’isola, sottoforma di uno
tsunami dai 20 ai 60 metri di altezza, che arrivò a colpire gran parte del Mediterraneo orientale.
Un evento simile accadde anche in Indonesia nel 1883 quando il vulcano Krakatoa collassò in
seguito a una violenta eruzione, provocando uno tsunami di 40 metri di altezza.
Figura XIIIp
Generazione di uno tsunami a causa di una
frana, uno smottamento o la caduta in mare dei
detriti di un vulcano nei pressi di una massa
d’acqua.
Movimenti tettonici23
Contrariamente ai casi sopracitati, i terremoti che causano tsunami sono un fenomeno per certe
realtà una sicurezza. Si stima che circa il 95% degli tsunami originati nel mondo siano di natura
sismica. Essi sono più distruttivi quando sono generati da forti terremoti poiché a differenza delle
altre cause, il terremoto riesce a generare uno tsunami con un’energia sufficientemente alta per far
si che esso possa colpire luoghi molto distanti dall’epicentro.
p
Fonte immagine:
Frugoni Francesco, “Tsunami
http://roma2.rm.ingv.it/it/tematiche/33/tsunami/31/le_cause_degli_tsunami
sito gestito dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia di Roma
23
Il seguente paragrafo è frutto di una rielaborazione personale delle informazioni contenute nelle seguenti fonti:
-Autore Sconosciuto, “Maremoto”,
http://it.wikipedia.org/wiki/Maremoto
-Sansò P. e Mastronuzzi G., “”Formazione e propagazione di uno tsunami”
http://www.tsunami.unisalento.it/Ita/Propagazione.htm
sito gestito dall’università del Salento
-Woods Hole Oceanographic Institution, “Tsunami: An interactive guide that could save your life”
http://www.whoi.edu/home/interactive/tsunami/indexEnglish.html
25
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Pensando a tutte le masse d’acqua nei pressi del ring of fire (cfr 2.1), esse sono continuamente
soggette a perturbazioni. Ciò che caratterizza la formazione di un’onda anomala è la posizione
dell’epicentro rispetto alla massa d’acqua. Nel caso in cui l’epicentro sia sotto a una massa d’acqua,
lo tsunami sarà più o meno grande a dipendenza della profondità dell’epicentro e della sua
Magnitudo. Degli studi hanno stimato che la maggior parte degli tsunami rilevanti (ovvero con
un’energia tale da essere stati devastanti) sono stati prodotti da terremoti con una magnitudo
superiore al settimo grado della scala Richter ed avevano un epicentro poco profondo, sotto i 30 km
di profondità. Per ottenere un epicentro sotto una massa d’acqua, ci si situa lungo un margine
convergente in cui è coinvolta una placca oceanica. Ricollegandoci a ciò che è stato spiegato nel
paragrafo 2.3, in seguito a un processo di subduzione, la crosta continentale in seguito alla
deformazione e quindi all’accumulo di energia elastica, torna al suo stato di equilibrio con il
processo di riaggiustamento elastico, spostando tutta la colonna d’acqua posta sopra verticalmente,
la quale provoca una perturbazione che inizia a muoversi in ogni direzione.
Nel caso in cui l’epicentro è situato nei pressi di una massa d’acqua, uno tsunami può essere
generato unicamente se il terremoto raggiunge un alto grado della scala Richter, così da riuscire a
generare onde che si propagano nell’acqua.
Questo lavoro vuole concentrarsi unicamente sugli tsunami di origine sismica.
Figura XIVq
Tsunami di origine tettonica
q
Fonte immagine:
Autore Sconosciuto, ‘‘Come si forma uno tsunami ?’’
http://www.scienze-naturali.com/come-si-forma-uno-tsunami/246
26
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3.2
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Situazione precedente alla catastrofe24
Ciò che precede l’arrivo di uno tsunami, se riconosciuto, può salvare molte vite umane.
Nella formazione di uno tsunami, lo spostamento prevalentemente verticale dell’acqua genera una
perturbazione e l’acqua spostata vuole tornare alla situazione di equilibrio.
Ricordiamo che ci troviamo in margini convergenti, dove una placca è in subduzione all’altra.
La situazione presenta da un lato uno spostamento prevalentemente verso l’alto, mentre dall’altro,
dove la placca oceanica è in subduzione, vi è un dislivello verso il basso. Per questo motivo quando
la perturbazione si propaga, vengono a crearsi due situazioni: uno tsunami locale si abbatte sulle
rive più vicine all’epicentro, mentre uno tsunami chiamato tele tsunami si propaga nella direzione
opposta, arrivando infine alle coste poste più lontane. A dipendenza dell’ampiezza che si presenta
per prima, la situazione sulle coste cambia: nel caso in cui la dorsale oceanica è in subduzione alla
placca continentale, quest’ultima sarà raggiunta da uno tsunami locale che presenterà inizialmente
un innalzamento del livello del mare, per poi essere colpita dallo tsunami. Se le placche coinvolte
alla subduzione sono due dorsali oceaniche, a dipendenza di quale delle due è in subduzione, lo
tsunami locale si presenterà inizialmente con un innalzamento o un ritiro dell’acqua.
Visto che il tempo necessario a raggiungere la costa più vicina è breve, l’alta o bassa marea non può
essere purtroppo un sistema di allarme efficace.
Figura XVr
Subduzione della dorsale oceanica con la placca continentale e le rispettive ampiezze
24
Il seguente paragrafo è frutto di una rielaborazione personale delle informazioni contenute nelle seguenti fonti:
- Sansò P. e Mastronuzzi G., “Formazione e propagazione di uno tsunami”
http://www.tsunami.unisalento.it/Ita/Propagazione.htm
sito gestito dall’università del Salento
- Tedesco, G. (2005) : Introduzione allo studio dei terremoti, Milano, Alpha Test (Gli spilli fissano le idee. Monografie), pag 120
r
Fonte immagine:
Sansò P. e Mastronuzzi G., “”Formazione e propagazione di uno tsunami”
http://www.tsunami.unisalento.it/Ita/Propagazione.htm
sito gestito dall’università del Salento
27
LaM Fisica
3.3
LiBe 2011
Descrizione del fenomeno25
Come spesso è stato descritto, lo tsunami è un’onda anomala, diversa dalle onde marine causate dal
vento, poiché esso è generato da un movimento anche in profondità, visto lo spostamento dell’intera
colonna d’acqua. In seguito all’origine dell’onda, essa si scompone in due onde che come detto in
precedenza di propagano in due differenti direzioni. In mare aperto queste onde hanno una
lunghezza d’onda elevatissima, di oltre 300 chilometri, per cui la sua energia si distribuisce in una
vasta massa d’acqua e di conseguenza la sua altezza non supera quasi mai il metro di altezza. La sua
velocità varia a dipendenza della profondità del fondale, anch’essa dipende dalla massa d’acqua in
moto, e varia tra gli 800 e i 950 km/h. Una volta nei pressi della costa la lunghezza d’onda
diminuisce, l’altezza aumenta e si inizia ad intravedere il runup, ovvero l’altezza individualizzabile
rispetto al solito livello del mare. Non è necessariamente l’altezza dello tsunami che lo rende più o
meno distruttivo, ma è la sua potenza, non solo un’enorme onda che si infrange sulla costa, ma
un’alta marea che colpisce la costa e penetra nell’entroterra causando una moltitudine di danni,
dovuti al trasporto del materiale. È importante riconoscere che uno tsunami non si presenterà come
un’unica onda, un’unica alta marea, bensì in seguito alla prima onda ne seguiranno altre, che
possono addirittura superare la potenza e distruttività della prima.
Figura XVIs
Moto delle particelle di uno tsunami. Si può notare come esse seguono una traiettoria
circolare anche in profondità, mentre nel caso di un’onda marina causata dal vento sono
solo le particelle superficiali a compiere questo movimento.
25
Il seguente paragrafo è frutto di una rielaborazione personale delle informazioni contenute nelle seguenti fonti:
-Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, “Tsunami (parte prima)”
http://www.youtube.com/watch?v=MlczRq0zZp0
-Petrillo Leonardo, “Le forze della natura: Terremoti & Tsunami”
http://scienzaemusica.blogspot.com/2010/03/il-nostro-caro-pianeta-la-terra-e.html
tratto da un blog sulla scienza e sulla musica
-Tedesco, G. (2005) : Introduzione allo studio dei terremoti, Milano, Alpha Test (Gli spilli fissano le idee. Monografie), pag 121-123
s
Fonte immagine:
Uy Anthony, “The Physics of Tsunamis: The Harbour Wave”
http://outreach.phas.ubc.ca/phys420/p420_05/anthony/The%20Physics%20of%20Tsunamis.htm
28
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Energia26
Molte volte sono state citate alcune energie, in riferimento alla formazione dello tsunami. Abbiamo
visto nel capitolo 2.3 che l’origine dell’energia trasportata da uno tsunami, è l’energia potenziale
elastica immagazzinata dalla placca compressa da quella in subduzione, la quale una volta raggiunta
la compressione massima tende a tornare alla situazione di equilibrio, scivolando sopra la placca in
subduzione secondo il riaggiustamento elastico e provocando quindi un innalzamento della colonna
d’acqua soprastante. Essa acquista energia potenziale gravitazionale, e volendo tornare alla
situazione di equilibrio si genera una propagazione verso ogni direzione, trasformando quindi
l’energia potenziale gravitazionale in energia cinetica.
L’energia dissipata dall’onda è inversamente proporzionale alla sua lunghezza d’onda, poiché le
onde con lunghezza d’onda maggiore di propagano più velocemente (vedi capitolo 2.5, “onde di
superficie”), quindi una volta che il fronte d’onda giunge alla costa, esso incontrerà un
innalzamento del fondale che causerà un rallentamento, e man mano che il resto dell’onda giunge
alla costa, l’acqua si ammassa provocando un immenso muro d’acqua che ha un’energia cinetica
non più distribuita in una lunghezza d’onda elevata, ma concentrata in un’unica onda elevata.
Questo spiega l’elevata distruttività dello tsunami.
Confrontando l’energia del terremoto e l’energia dello tsunami, si può notare una stretta relazione,
poiché non solo occorre che il terremoto superi circa il 7 grado della scala Richter per generare uno
tsunami, ma anche a dipendenza della velocità con cui essa viene liberata, verrà a generarsi un
determinato tsunami.
Velocità27
La velocità di propagazione di uno tsunami, come detto nel paragrafo dedicato all'energia, è
strettamente legata all'energia rilasciata in seguito al riaggiustamento elastico e alla velocità con la
quale essa ha innalzato la colonna d'acqua. Fattore che la influenza maggiormente è però la
profondità dell'acqua in cui si propaga.
Gli tsunami possono avere lunghezze d'onda che variano dai 10 ai 500 chilometri e il loro periodo
fino a un'ora. Vista la loro lunghezza d'onda elevata, essi si comportano come le onde di acque poco
profonde. Quest'ultima è definita tale poiché la lunghezza d'onda è molto elevata rispetto alla
26
Il seguente paragrafo è frutto di una rielaborazione personale delle informazioni contenute nelle seguenti fonti:
-Tedesco, G. (2005) : Introduzione allo studio dei terremoti, Milano, Alpha Test (Gli spilli fissano le idee. Monografie), pag 121-123
27
Il seguente paragrafo è frutto di una rielaborazione personale delle informazioni contenute nelle seguenti fonti:
-Tedesco, G. (2005) : Introduzione allo studio dei terremoti, Milano, Alpha Test (Gli spilli fissano le idee. Monografie), pag 121-123
29
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profondità. La formula della velocità di un'onda con una lunghezza d'onda maggiore alla profondità
è data da:
(1)
v = g ⋅h
dove g è la gravità ed è pari a 9,81 m
s2
e h è la profondità.
Essendo normalmente la profondità di un oceano attorno ai 4’000 metri, la velocità di uno tsunami
arriva ai 200 m/s, che equivalgono a 700 km/h, una velocità elevatissima che tuttavia in superficie
non si percepisce, poiché il moto avviene sul fondo. Difatti una barca in mezzo all'oceano non si
accorgerà dell'imminente pericolo che minaccia le coste.
Grazie al sistema di allarme posto in profondità si è quindi riusciti a stimare la velocità di questo
tsunami e prevenirne i danni nel caso in cui la costa distanziasse abbastanza da poter avere un
tempo -comunque solitamente alto vista l'enorme lunghezza d'onda e periodo- sufficiente per
lanciare l'allarme e poter permettere alla popolazione di abbandonare la costa e sfuggire alla
catastrofe.
3.4
Prevenzione28
Lo studio dei terremoti non permette alcuna previsione di quando avvengano i fenomeni sismici,
tuttavia per quanto concerne gli tsunami ci sono stati degli sviluppi importanti.
Fortunatamente dal 1995 la National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA) sviluppò il
sistema di valutazione e segnalazioni di tsunami nelle profondità oceaniche (DART, “Deep-ocean
Assessment and Reporting of Tsunamis”), ponendo una serie di stazioni nel Pacifico, le quali
permettono lo studio degli tsunami quando essi si trovano ancora lontani dalla costa.
Sul fondo è posto un registratore di pressione, di durata due anni, che in caso del passaggio di uno
tsunami (ricordiamo che le onde provocate dal vento generano una perturbazione solo in superficie,
mentre movimenti sul fondo sono segnali di uno tsunami) invia i dati tramite sonar a una boa,
sostituita ogni anno, posta sulla superficie, la quale a sua volta invia i dati al satellite del centro
allarme tsunami del pacifico (PTWC, “Pacific Tsunami Warning Center”).
28
Il seguente paragrafo è frutto di una rielaborazione personale delle informazioni contenute nelle seguenti fonti:
-Commonwealth of Australia, “Tsunami Fact and Information”
http://www.bom.gov.au/tsunami/info/index.shtml
sito gestito dall’ Australian Government – Bureau of Meteorology
- NOAA - National geophysical data center, “The Tsunami Story”
http://www.tsunami.noaa.gov/tsunami_story.html
sito gestito dal National Oceanic and Atmospheric Administration
- Tedesco, G. (2005) : Introduzione allo studio dei terremoti, Milano, Alpha Test (Gli spilli fissano le idee. Monografie), pag 119
30
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La previsione è basata sulla localizzazione e la magnitudo del terremoto che l’ha originato. Siccome
il tempo stimato per raggiungere la costa, seppure non molto preciso, si aggira attorno alle ore, la
situazione nel Pacifico è notevolmente migliorata e molte vite sono potute essere salvate.
Figura XVt
DART, Sistema di valutazione e
segnalazioni di tsunami nelle
profondità.
t
Fonte immagine:
NOAA - National geophysical data center, “The Tsunami Story”
http://www.tsunami.noaa.gov/tsunami_story.html
sito gestito dal National Oceanic and Atmospheric Administration
31
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4 Relazioni con il terremoto
Vista la diretta causa di generazione, mi sono chiesta se le caratteristiche del terremoto che genera
lo tsunami si possano ritrovare in quest’ultimo.
Sono state eseguite delle ricerche ed i risultati, complicati, spiegano che difatti c’è una relazione tra
l’ampiezza e l’energia dello tsunami e il terremoto che lo ha causato.
Purtroppo la mia formazione in fisica non mi permette di risalire a queste formule, perciò nel limite
del possibile proverò a spiegarle e capirne la loro validità.
4.1
Ampiezza29
La generazione di tsunami da faglie sottomarine è studiata anche con lo scopo di rivelare le
relazioni che esistono tra i parametri di sorgente sismica e quelli degli tsunami.
Quel che si è dimostrato è che le ampiezze delle onde di acqua profonde in un campo lontano sono
determinate dal rapporto
(1)
ε ( r, ϕ , t ) =
[ S 0 u 0 sin λ sin δ Ts ( Y ) F (ϕ , ξ 0 , η 0 )]
[π 3 / 2 (α rt ) 1 / 2 Η ]
dove δ e λ sono gli angoli con il piano orizzontale e di slittamento, S 0 = η0ζ0 è l’area tsunami
genetica, u0 è la dislocazione della faglia, α è la velocità di gruppo di lunghe onde e T s(ϒ) è una
funzione d’onda che dipende dalla distanza dall’epicentro r, la profondità dell’oceano H, ed il
tempo t.
F è la dipendenza di ε sull’angolo φ di azimut30 e sulle dimensioni della sorgente.
29
Il seguente paragrafo è frutto di una rielaborazione personale delle informazioni contenute nelle seguenti fonti:
-Rosenman Martin e Ben-Menahem Ari, “Amplitude Patterns of Tsunami Waves from Submarine Earthquakes”
http://www.agu.org/pubs/crossref/1972/JB077i017p03097.shtml
Sito del JGR, Journal of geophysical research
-USGS, “Earthquake Source Parameters and Potential Local Tsunamis in Cascadia”
http://walrus.wr.usgs.gov/tsunami/research1.html
sito del Pacific Coastal & Marine Science Center
30
Quest’angolo è tra un punto e un piano di riferimento, in genere compreso tra la direzione del Nord e la direzione in
cui cade la perpendicolare di un punto all'orizzonte, calcolata muovendosi in senso orario sul cerchio dell’orizzonte.
32
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Ari Ben-Menahem e Martin Rosenman hanno trovato questo rapporto e l’hanno testato con quattro
terremoti del Pacifico del Nord, dai quali hanno poi ricavato i parametri della sorgente sismica,
grazie all’analisi di 236 segnali delle onde di Love e di Rayleigh (cfr 2.5 “Onde di superficie”)
registrati nel mantello.
Si può notare come tanto più l’area tsunami genetica e la dislocazione della faglia siano maggiori,
maggiore sarà l’ampiezza, mentre più grande sarà la profondità dell’oceano, minore sarà
l’ampiezza. Inoltre, come detto in precedenza (cfr. 3.1 “Movimenti tettonici”),
minore sarà la profondità dell’epicentro, maggiore sarà l’impatto del terremoto, per cui maggiore
sarà l’ampiezza dello tsunami generato. Se si studia la formula, si notano quindi questi fattori
importanti che determinano l’ampiezza dello tsunami. Naturalmente è molto intuitivo il fatto che
terremoti poco profondi e con grandi ampiezze generino tsunami altrettanto importanti, tuttavia è
importante stimare l’altezza prodotta, poiché in situazioni come in Giappone, spesso a rischio
tsunami, è necessario prendere precauzioni, come barriere artificiali, ma non sempre esse bastano.
Un terremoto è generato dallo slittamento di due faglie, con un movimento verticale e/o orizzontale.
Il rapporto tra lo slittamento della faglia e lo spostamento generato dalla dorsale oceanica è lineare.
Per esempio, se lo slittamento medio delle faglie in un terremoto A è il doppio di quello di un
secondo terremoto B, allora anche lo spostamento del fondo marino e lo tsunami iniziale generato
sarà differente nei due casi di un fattore due.
La relazione lineare è più forte se si considerano l’ampiezza dello tsunami a riva e lo slittamento
medio. Per questo motivo la differenza dell’ampiezza dello tsunami generato dai due terremoti A e
B, vicino a riva sarà poco più grande di un fattore due.
4.2
Energia31
La formula per calcolare l’energia di uno tsunami generato da un terremoto, è stata stimata sulla
base di un semplice modello di terremoti generati da faglie.
Chiamando l'energia dello tsunami Et, questo è dato da
(2)
31
Et (erg ) = 2 M W + log F + 5,5
Il seguente paragrafo è frutto di una rielaborazione personale delle informazioni contenute nelle seguenti fonti:
Kajiura Kinjiro,“Tsunami Energy in Relation to Parameters of the Earthquake Fault Model”
http://repository.dl.itc.u-tokyo.ac.jp/dspace/handle/2261/12812
tratto dal sito dell’università di Tokyo
33
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Dove Mw è il momento di magnitudo del terremoto e F è una funzione (il cui valore massimo che
può assumere è circa 0,1) dei parametri delle faglie, come ad esempio l’angolo δ con l’asse
orizzontale, l’angolo λ di slittamento e la profondità relativa h =
del piano di faglia di lunghezza L e larghezza W). Il rapporto
H
(dove H è la profondità media
L
W
1
viene approssimato a .
L
2
La variazione di F rispetto ai tre parametri, con h < 1 , è di circa un fattore 10.
Dal momento che l’energia dello tsunami dipende strettamente dalla profondità relativa h, con
l’aumentare di H, in caso di piccoli terremoti (dove quindi Mw è piccolo) la diminuzione di energia
è più significativa.
La formula è stata valutata grazie al confronto dei dati empirici con quelli teorici ed è stato appurato
che essi siano abbastanza coerenti con la formula (2). C’è comunque un margine di errore di circa
un fattore 10, ma considerando l’evento del 1960 in Cile, allora il valore massimo dell’energia dello
tsunami sarebbe di circa 1’023 erg superiore al valore reale.
34
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5. Curiosità32
Fin dal passato numerosi tsunami hanno colpito molte zone della Terra, provocando distruzione,
vittime e terrore. Tra questi, ce ne sono alcuni di maggior rilevanza.
Il primo aprile 1946 nelle isole Aleutine, in Alaska, un terremoto di magnitudo 7,8 originò uno
degli tsunami più importanti mai avvenuti. Esso investì le coste dell’Alaska e la costa hawaiana di
Hilo che si situa a più di 3000 km di distanza, con un’altezza di oltre 8 metri.
Viste le numerose vittime le autorità hawaiane capirono la necessità di introdurre un sistema di
allarme, e pochi anni dopo difatti nacque l’odierno PTWS (Pacific Tsunami Warning System).
Il 22 maggio 1960 il terremoto più forte mai registrato, con una magnitudo di 9,5 sulla scala
Richter, provocò uno tsunami che si abbatté sulle rive del Cile e del Perù con un runup di 25 metri.
Le vittime della catastrofe furono circa 2'000 e i danni furono molto gravi.
Il 17 luglio 1998 in Papua-Nuova Guinea uno tsunami alto 10 metri riuscì ad erodere 500 km di
coste e oltre 3'000 persone persero la vita.
Tra tutti questi, ancora, non è citato lo tsunami considerato eccezionale: il 9 luglio 1958 nella baia
Lituya, in Alaska, uno tsunami ha superato di gran lunga i runup citati prima, poiché esso riuscì ad
arrivare ad un’altezza pari a 516 metri. Il terremoto, di magnitudo 8.3, è stato la causa scatenante
principale di una serie di altri effetti geologici che hanno portato alla formazione di un’onda così
pazzesca. Non si sa per certo cosa sia successo, ma si pensa che l’onda anomala sia il risultato di
una combinazione del terremoto, di variazioni nel fronte dei ghiacciai, a movimenti franosi e un
possibile rapido svuotamento dei laghi glaciali nella baia.
32
Il seguente paragrafo è frutto di una rielaborazione personale delle informazioni contenute nella seguente fonte:
-Tedesco, G. (2005) : Introduzione allo studio dei terremoti, Milano, Alpha Test (Gli spilli fissano le idee. Monografie), pag 123
35
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Figura XVIu
Maggiori ampiezze registrate nel corso degli anni
Nella tabella precedente sono riportati i 10 maggiori tsunami secondo la loro ampiezza.
Si può vedere come essi siano abbastanza frequenti, si potrebbe scegliere lo studio di un periodo di
ritorno possibile per questi eventi. È importante precisare che purtroppo nessuno studio è in grado
di prevedere quando queste catastrofi possano colpire la Terra, poiché essi si manifestano
all’improvviso e senza una precisa frequenza.
u
Fonte immagine:
Tedesco, G. (2005) : Introduzione allo studio dei terremoti, Milano, Alpha Test (Gli spilli fissano le idee. Monografie),
pag 125
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6. Conclusione
Questo lavoro mi ha permesso una visione più ampia del fenomeno, e ho appreso maggiormente che
le sue caratteristiche oltre che affascinanti sono anche molto allarmanti.
Il lavoro di ricerca è stato interessante: seppure avessi già conoscenze, ho potuto confrontarmi con
un approfondimento più mirato della materia e ho inoltre potuto analizzare una parte dell’evento
non ancora incontrato.
Chiaramente il livello di difficoltà trovato nello studio delle formule, talvolta, è stato troppo alto,
per cui le mie basi scientifiche non sono state sufficienti per dare una spiegazione esaustiva.
Lo tsunami è un evento troppe volte sottovalutato. Spesso la tendenza è quella di vedere lo tsunami
un’onda che è pericolosa solo nel caso in cui la sua altezza sia impressionante. Per questo motivo la
conoscenza approfondita della catastrofe potrebbe sensibilizzare le persone, poiché conoscendone le
caratteristiche si scoprirebbe che la distruttività e i danni provocati dallo tsunami non sono
assolutamente correlati con la sua altezza, bensì con la sua energia distruttiva che gli permette la
penetrazione nell’entroterra.
37
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7. Bibliografia
Documenti:
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http://www.unisi.it/fisica/dip/pers/bottigli/LEZIONI%20SVOLTE/18_10-01-11_Chm.pdf
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http://www.scribd.com/doc/4633126/Fisika-The-Physics-of-Tsunami
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Regione Siciliana – Presidenza, “Tsunami, cos’è?”,
http://www.regione.sicilia.it/presidenza/protezionecivile/comitatoregionale/argomenti/documenta
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sito gestito dal Comitato Regionale della Protezione Civile
Schettino Antonio, “Lezioni di sismologia”, pag 191-192
http://www.unicam.it/geologia/teaching/fisicaterrestre/seismology.pdf
Stampato all’università di Camerino
Video:
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Woods Hole Oceanographic Institution, “Tsunami: An interactive guide that could save your life”
http://www.whoi.edu/home/interactive/tsunami/indexEnglish.html
Siti internet:
Autore Sconosciuto, “Azimut”
http://it.wikipedia.org/wiki/Azimut
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Autore Sconosciuto, “Faglia”
http://it.wikipedia.org/wiki/Faglia
Autore Sconosciuto, “Maremoto”,
http://it.wikipedia.org/wiki/Maremoto
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Autore Sconosciuto, “Mantello terrestre”
http://it.wikipedia.org/wiki/Mantello_terrestre#Movimenti_convettivi
Autore Sconosciuto, “Santorini”
http://www.in2greece.com/english/places/summer/islands/santorini.htm
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Autore Sconosciuto, “Tettonica delle placche”
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Fondatore del “progetto Dighe”
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sito gestito dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia di Roma
Gruppo Mineralogico Paleontologico Euganeo Padova, “Tettonica”
http://www.gmpe.it/content/teoria-del-rimbalzo-elastico
http://www.gmpe.it/content/la-tettonica-delle-placche
http://www.gmpe.it/content/cause-dei-terremoti
http://www.gmpe.it/content/i-margini-trasformi
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sito gestito dalla Società Geologica Italiana - Sezione Giovani
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NOAA - National geophysical data center, “The Tsunami Story”
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sito gestito dal National Oceanic and Atmospheric Administration
Petrillo Leonardo, “Le forze della natura: Terremoti & Tsunami”
http://scienzaemusica.blogspot.com/2010/03/il-nostro-caro-pianeta-la-terra-e.html
tratto da un blog sulla scienza e sulla musica
Rosenman Martin e Ben-Menahem Ari, “Amplitude Patterns of Tsunami Waves from Submarine
Earthquakes”
http://www.agu.org/pubs/crossref/1972/JB077i017p03097.shtml
Sito del JGR, Journal of geophysical research
Sansò P. e Mastronuzzi G., “”Formazione e propagazione di uno tsunami”
http://www.tsunami.unisalento.it/Ita/Propagazione.htm
sito gestito dall’università del Salento
USGS, “Earthquake Source Parameters and Potential Local Tsunamis in Cascadia”
http://walrus.wr.usgs.gov/tsunami/research1.html
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Uy Anthony, “The Physics of Tsunamis: The Harbour Wave”
http://outreach.phas.ubc.ca/phys420/p420_05/anthony/The%20Physics%20of%20Tsunamis.htm
Libri:
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•
Halliday D., Resnick R e Walker J. (2009) : Fondamenti di fisica, Onde, Bologna, Scienze
Zanichelli
Stein S. e Wysession M. (2010) : An introduction to seismology earthquakes and earth structure,
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Tedesco, G. (2005) : Introduzione allo studio dei terremoti, Milano, Alpha Test (Gli spilli fissano
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Immagine copertina
•
Marzia Mazzavillani, “Maremoto e Tsunami nei sogni”
http://guide.supereva.it/sogni/interventi/2011/02/maremoto-e-tsunami-nei-sogni
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