GUIDO CHELAZZI Perché FLO-KYO al Museo di Antropologia Architetture, piazze, strade. Due città allo specchio, ciascuna gelosa della propria identità e della responsabilità di una storia, che è la storia più alta delle due nazioni alle quali appartengono. Firenze e Kyoto nelle immagini di Massimo Pacifico si guardano riflesse in una simmetria asimmetrica, diverse eppure legate da un comune destino. Ma soprattutto sguardi, persone, gesti e presenze. È qui che la narrazione del fotografo, che vuol darci emozioni estetiche e riferimenti storici, diventa anche un ragionamento antropologico. Qui sta anche la ragione dell’aver voluto, per questa mostra d’immagini a specchio, un luogo che non fosse semplicemente una bella galleria. Palazzo Nonfinito nella via del Proconsolo, nel cuore della città di Firenze, non è un luogo qualunque. E non perché la sua storia ci parla di un’antica proprietà della famiglia Pazzi e poi di un acquisto da parte degli Strozzi che vollero collocarvi un loro palazzo che segnasse la nuova città del ‘500, affidandone la progettazione nientemeno che al Buontalenti. Ma perché la storia ha voluto che, quando questa città ha riscoperto la propria tensione verso l’Oriente, venissero alla fine a collocarsi proprio qui – dopo tante peripezie - le testimonianze di chi l’Oriente lo aveva viaggiato, incontrato, studiato e amato. Di chi, come Angelo De Gubernatis o Paolo Mantegazza, vi si era specchiato. La mostra d’immagini l’abbiamo voluta proprio qui, nelle sale del Museo di Antropologia che oggi – insieme a “La Specola”, all’Orto Botanico e agli altri sei musei - è una delle nove «perle» del Museo di Storia Naturale dell’Università di Firenze. Tutti luoghi di storia, di scienza e di suggestioni straordinarie. Ma l’Antropologia ha un sapore speciale, perché ci racconta dei tanti diversi modi di essere umanità, a noi cittadini d’un mondo che sembra divenuto incapace di avere un rapporto sereno con la diversità. Le sue straordinarie collezioni etnografiche, raccolte da scienziati, viaggiatori, esploratori, dalla seconda metà del XIX secolo fino a oggi, sono fra le più interessanti testimonianze di quella voglia di scoprire e conoscere l’altro che fu una delle componenti della cultura italiana uscita dal Risorgimento. In quella Firenze di fine Ottocento, una straordinaria stagione di contatti, studi, iniziative – il IV Convegno Internazionale degli Orientalisti del 1878 è elocè– l èleo oip ètneèeolooloè una vera zona di contatto fra l’Italia e il mondo e fra l’Occidente e l’Oriente. Ai fondatori dei primi nuclei del Museo Indiano e del Museo Nazionale di Antropologia ed Etnologia si aggiunsero i tanti studiosi e donatori d’opere di provenienza orientale, da Elio Modigliani a Filippo de Filippi, da Galileo Chini a Paolo Graziosi fino al grande appassionato e studioso d’Asia e di Giappone, Fosco Maraini. Oggi, dopo una serie di sofferenze, per il Museo di Antropologia si è aperta una nuova stagione. Le sue sale indiane, rimaste per troppo tempo chiuse, sono riaperte al pubblico. Nelle altre sale del Museo è iniziato un lavoro che, nel pieno rispetto dell’impianto museografico che lo caratterizza, ne riporta in chiaro e alla luce i contenuti. Senza violare il criterio storico e geografico delle esposizioni, si aggiungono e si integrano elementi che contestualizzano i reperti nella storia culturale e nell’ambiente sociale ed ecologico delle popolazioni che li hanno prodotti. E dunque la mostra delle fotografie di Massimo Pacifico non giunge in un momento qualunque ma, come altre esposizioni che l’hanno preceduta e altre ancora programmate, rappresenta un complemento d’indagine, una sottolineatura di questa ritrovata gioia di aprirsi e di comunicare l’altro che il Museo aveva smarrito. Ospitare la mostra FLO-KYO al Palazzo Nonfinito ha anche un altro significato. Essa si apre nel contesto delle celebrazioni del cinquantesimo anniversario del gemellaggio fra Firenze e Kyoto. Per la nostra città si tratta di un gemellaggio speciale, voluto da Giorgio La Pira in una stagione di grande riapertura internazionale dell’orizzonte cittadino, in un certo modo coerente con le originali intuizioni e le tensioni dei visionari che hanno voluto e fatto questo Museo. L’intenzione dell’autore Massimo Pacifico e del curatore della mostra Claudio Di Benedetto è stata evidentemente quella di fare un dono a entrambe le città in questa festosa e significativa occasione. Il Museo di Antropologia è i lrp è n partecipare alla preziosità di questo dono offerto alle due città, accogliendo nel percorso delle proprie sale le opere fotografiche “a specchio”.