Virus dell’epatite A in frutti di bosco: raccolta di informazioni bibliografiche relativa all’azione di
trattamenti tecnologici finalizzati all’inattivazione del virus.
M.P. Previdi, P. Mutti, S. Barbuti
Dipartimento di Microbiologia - SSICA
Il virus dell’epatite A (hepatitis A virus - HAV) è un RNA virus appartenente alla famiglia
Picornaviridae e al genere Hepatovirus.
HAV è l’agente eziologico della più comune forma di epatite diffusa nel mondo. La malattia si
manifesta, dopo un periodo di incubazione di 15 – 45 giorni, con la comparsa di inappetenza,
malessere generale, febbre, nausea, ittero, a causa della diminuita funzionalità del fegato; ha
generalmente un’evoluzione benigna, dura dalle 2 alle 10 settimane, e dopo la guarigione
conferisce un’immunità permanente. Non cronicizza. In genere il contagio avviene per via orofecale, per contatto diretto da persona a persona o attraverso il consumo di acqua o di alcuni
alimenti (crudi o non cotti a sufficienza) contaminati dal virus. Insolita è la trasmissione
parenterale così come quella sessuale.
Dal 2007 ad oggi l’Agenzia europea per la sicurezza alimentare (EFSA) e il Centro europeo per la
lotta alle malattie (ECDC) hanno riportato focolai dove sono state individuate diverse tipologie di
alimenti quali veicoli di infezione come pesce e prodotti a base di pesce, crostacei, molluschi e
prodotti contenenti molluschi, vegetali, succhi, pomodori secchi, frutti di bosco e fragole.
La fonte di contaminazione dei vegetali è costituita per lo più dall’acqua utilizzata per l’irrigazione
mediante la quale i virus, se presenti, si depositano preferibilmente sulla superficie esterna dei
vegetali; ancora non è ben chiaro se esista un meccanismo di internalizzazione.
Durante il trasporto, i processi di lavorazione, la conservazione e la distribuzione la
contaminazione può invece derivare dal contatto con persone infette e/o superfici contaminate.
Il virus è incapace di moltiplicarsi al di fuori dell’ospite; pur non potendosi replicare è , tuttavia, in
grado di sopravvivere negli alimenti, nell’acqua e sulle superfici per lunghi tempi.
La sua capacità di resistere nell’ambiente può essere un fattore importante che favorisce la
disseminazione del virus negli alimenti. In generale la sopravvivenza è maggiore su superfici non
porose quali l’acciaio, dove può rimanere vitale fino a 60 giorni (Abad et al., 1994). È riportato,
che dopo 7 giorni a temperatura ambiente, l’inattivazione del virus su superfici di acciaio
contaminate è inferiore a 1 log. Anche nell’acqua può sopravvivere per parecchi giorni senza
perdita d’infettività, mentre sulle mani dell’uomo sopravvive per diverse ore.
In frutta e vegetali destinati ad essere consumati crudi, il virus mantiene la sua infettività per
diversi giorni (Sattar et al., 2000; Croci et al., 2002).
Il rilevamento di parecchi casi di epatite A, messi in relazione al consumo di frutta surgelata, è da
attribuirsi alla sopravvivenza del HAV in tali condizioni per parecchi mesi (Butot et al., 2008).
Pertanto, una volta che un prodotto vegetale è stato contaminato, il virus può rimanere vitale,
durante la conservazione per tempi sufficienti a coprire la commercializzazione ed il consumo.
Di seguito vengono riportati alcuni dati relativi alla sensibilità di HAV nei confronti dei diversi
trattamenti tecnologi a cui possono essere sottoposti i prodotti vegetali:
•
Lavaggio e decontaminazione di prodotti freschi – HAV è risultato il più resistente tra i
virus enterici ai trattamenti di lavaggio dei prodotti: è riportato che il risciacquo dei
vegetali con acqua fredda determina meno di una riduzione decimale del titolo virale (Croci
et al., 2002).
Le procedure di decontaminazione mediante l’utilizzo di acqua clorata dei prodotti freschi
hanno mostrato una capacità d’inattivazione virale variabile tra 1 e 2 log (Butot et al.,
2008). E’ stato dimostrato un effetto di inattivazione virale di 1-2 riduzioni logaritmiche in
fragole, pomodori e lattuga se trattati con 20 ppm di cloro libero per rispettivamente 5 –
10 minuti (Casteel et al., 2008).
Scarsi sono i dati relativi all’uso dell’acqua elettrolizzata e dell’ozono per l’inattivazione di
HAV negli alimenti. L’impiego dell’ozono per la decontaminazione di acque e superfici ha
dato risultati promettenti (Khadre et al., 2001).
•
Refrigerazione - La refrigerazione, non è sufficiente a prevenire un’infezione virale da
alimenti: anche se diversi studi hanno evidenziato una possibile riduzione del titolo virale
ciò risulta in funzione della matrice alimentare. Croci et al. (2002) hanno valutato la
sopravvivenza in carote e finocchio ed hanno rilevato la completa inattivazione del virus
dopo 4 giorni nelle carote e dopo 7 giorni nel finocchio; Badawy et al., (1985) hanno
osservato, in lattuga conservata a 4°C, in 9 giorni meno di due riduzioni decimali.
•
Surgelazione - la surgelazione non riduce significativamente la sopravvivenza del virus HAV
in frutti di bosco durante la shelf-life (Butot et al., 2008; WHO, 2000).
•
Acidificazione - HAV è in grado di resistere, a temperatura ambiente, per 5 ore a pH 1;
allo stesso valore di pH, ma a 38°C, rimane infettivo per 90 minuti (Scholz et al., 1989).
•
Impiego della atmosfera modificata - Prove condotte in campioni di lattuga confeziona in
atmosfera protettiva e conservata a 4°C hanno dimostrato che alte concentrazioni di CO2
(70%) non influenzano la sopravvivenza del virus sul vegetale (Bidawid et al., 2001).
•
Trattamento termico - L’impiego del calore rappresenta uno dei più efficaci sistemi di
inattivazione del virus. È comunque da sottolineare che dai dati di letteratura emerge una
grande variabilità della combinazione temperatura e tempo necessari all’inattivazione a
seconda della matrice alimentare e delle sue caratteristiche chimico-fisiche.
I dati di inattivazione termica derivati dai diversi studi suggericono che trattamenti di
pastorizzazione ad alta temperatura per tempi brevi (es. 72°C per 15 sec.) determinano una
inattivazione virale < 1 log e che è necessaria una pastorizzazione convenzionale (es. 63°C
per 30 min, 70°C per 2 min) per ottenere più di 3 riduzioni logaritmiche (EFSA 2011).
Pochi sono i dati presenti in letteratura sull’impatto del trattamento termico nel ridurre i
livelli di HAV in prodotti quali i frutti di bosco che molto spesso sono consumati freschi
senza alcun trattamento.
La termoresistenza di HAV è stata valutata in un sistema modello, assimilabile per le
caratteristiche chimico-fisiche a purea di fragole. Tali studi hanno dimostrato che un’alta
concentrazione di zucchero aumenta la termoresistenza, così come l’abbassamento dei
valori di pH la diminuisce. Ad esempio in purea di fragole con 28 °Brix il tempo di riduzione
decimale a 85°C è pari a 0,96 min., mentre a 52 °Brix è di 4,98 min (Deboosere et al., 2004).
Ancora il trattamento termico per 20 min a 80°C in un forno di frutti di bosco congelati
riduce il livello di HAV di un valore inferiore ai 2 log mentre la completa inattivazione del
virus è stata osservata a temperature di 100°C e 120°C (Butot et al., 2009).
Per meglio definire il trattamento termico da impartire ai frutti di bosco è stato effettuato
uno studio di modellazione che ha portato alla elaborazione di un’equazione in grado di
correlare l’entità del trattamento in funzione del pH del prodotto (Deboosere et al., 2010).
•
Effetto del Blanching – le condizioni di Blanching dipendono dalla tipologia di prodotto e le
temperature adottate variano generalmente tra 75°C e 105°C. I risultati di uno studio
condotto su erbe aromatiche quali basilico, menta, prezzemolo ed erba cipollina hanno
rilevato l’efficacia di un trattamento a vapore a 95°C per 2,5 min sull’inattivazione di HAV
con più di 3 riduzioni decimali (Butot et al., 2009).
•
Trattamenti con alte pressioni (HPP) – tecnologie di conservazione “mild” sono spesso
preferite per preservare le caratteristiche nutrizionali e organolettiche degli alimenti, in
particolare quelli “freschi” come per esempio mirtillo e fragola. Studi per valutare
l’impatto di un trattamento HPP su HAV sono stati effettuati in purea di lamponi dove si
sono osservate 4,3 riduzioni logaritmiche dopo trattamento a 375 MPa a 21°C per 5 minuti
(Kingsley et al., 2005).
•
Irraggiamento
L’impiego di UV alla dose di 40 mW s/cm2 in lattuga è in grado di determinare 4,3 riduzioni
decimali del virus (Fino e Kniel, 2008). Bidawid et al., (2000) hanno verificato che 3 kGy
erano necessari per avere 1 riduzione logaritmica del virus su lattuga o fragola.
Considerazioni conclusive
Dato che gli alimenti possono essere contamini da HAV a varie fasi della catena alimentare
dalla produzione primaria, alla fase di processo e nella fase di vendita o nel punto di consumo,
le strategie di controllo più efficaci devono concentrarsi sulla prevenzione della
contaminazione.
Tale prevenzione dovrà avvenire in primo luogo a livello di pre-raccolta per alcuni prodotti
(prodotti freschi per il consumo crudo), a livello di raccolta (movimentazione manuale durante
la raccolta di frutta e verdura fresca) e nella fase di post-raccolta per altri prodotti quali ad
esempio quelli che prevedono una fase di preparazione manuale direttamente prima del
consumo.
Tra i vari processi tecnologici “tradizionali” un trattamento termico adeguato rappresenta
l’unico sistema in grado di inattivare il virus nei prodotti contaminati evitando problemi per la
salute pubblica.
L’impiego di raggi UV può essere efficace per l’inattivazione del virus dalle superfici destinate
alla preparazione degli alimenti e per l’inattivazione in acqua ed aerosol, ma non può essere
considerato un sistema efficace per ridurre il contenuto virale negli alimenti.
Tra le “mild technology” il trattamento alte pressioni (HPP) rappresenta una valida alternativa
al trattamento termico permettendo di preservare le caratteristiche organolettiche e
nutrizionali del prodotto.
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Parma 14 giugno 2013