George Berkeley e il mito di Ischia * di Mariapaola Fimiani ** Il tema scelto per questa conversazione fa riferimento a una limitata sezione dei materiali che documentano il viaggio di Berkeley in Italia. Una sezione, quella che si riferisce al soggiorno del filosofo ad Ischia, molto parziale, concentrata in un breve diario e poche lettere, ma fortemente carica di simboli e di allusioni all’intera esperienza dell’itinerario nel Sud d’Italia. La sua forza emblematica agisce, perciò, per usare un’immagine, come un sasso in un lago: il diario ischitano si pone al centro di una serie di anelli concentrici, al centro di una successione di progressivi spostamenti di discorso. Parlare d’Ischia significherà, allora, parlare del viaggio berkeleyano e parlare del viaggio significherà parlare del senso del berkeleismo. E ancora, parlare del berkeleismo significherà disporsi, com’è inevitabile, da un orizzonte circolare più largo, che è l’orizzonte dell’interrogante, lo sguardo dell’ermeneuta, l’ottica di chi dal proprio tempo pone delle domande, apre un confronto con un’esperienza culturale del secolo diciottesimo. È necessario, quindi, rendere espliciti alcuni elementi del nostro punto di osservazione, della nostra condizione contemporanea, prima ancora di parlare dell’intreccio stretto che indubbiamente lega la filosofia di Berkeley, l’esperienza di viaggio e il mito d’Ischia. La nostra è un’età di crisi e la cultura di questa crisi ha soprattutto segnalato il declino della cosiddetta ragione classica, della razionalità capace di istituire delle sintesi complessive, totalità compositive, cornici d’insieme o, come recentemente ha detto Lyotard, grandi mutazioni, adatte a legittimare comportamenti conoscitivi e pratici; ha anche indicato la parzialità e il pericolo dell’esercizio della razionalità strumentale e tecnica. La crisi della ragione classica, nella duplice accezione, dunque, di ragione totale e ragione strumentale, ha indubbiamente percorso due grandi direttrici, due orientamenti che per qualche motivo è opportuno ricordare in questa sede: il ritorno alle origini e l’attenzione alla diversità. Si parla di una rinascita delle ricerche storiche, di una riattenzione all’antico, di uno sguardo verso il passato, “antiquario” o “parodistico”, di un affidarsi alla memoria, che insegue, nell’età postmoderna, sempre più cifre e tracce piuttosto che unità esemplari e sintesi culturali: un ritorno * Relazione tenuta dalla prof.ssa Mariapaola Fimiani il 20 gennaio 1982, in un incontro organizzato dal Circolo G. Sadoul in collaborazione con il Centro Studi sull’isola d’Ischia, e già pubblicata nella Rivista quadrimestrale “Scheria” nel n. 1 gennaio-aprile 1992. ** Mariapaola Fimiani, ordinaria di filosofia teoretica all’Università di Salerno, ha pubblicato con Thomas J. Jessop nel 1979 il volume : George Berkeley, Viaggio in Italia per i tipi di Bibliopolis, Napoli, nella collana “Test” dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici. George Berkeley al passato che, in ogni modo, appare indotto da uno stato di arresto della possibilità di progettare il nostro futuro. Ma il ritorno alle origini non indica solo un cammino indietro nel tempo, nelle nostre radici storiche, esprime anche un “passo indietro”, per dirla con Heidegger, adatto a far valere l’istanza fondamentale di chi interroga, dietro i contenuti e l’uso spontaneo della razionalità tecnica, dietro le sue “disposizioni” e imposizioni, i livelli di fondamento di senso di questa razionalità. Heidegger, nella seconda fase del suo pensiero, esalterà il problema della differenza ontologica tra l’essere e l’ente e la questione del Gestell; Husserl, con la denuncia della crisi delle scienze europee, si richiamerà al bisogno di riattivare la Lebenswelt, il mondo-della-vita, come quel piano profondo di costituzione del senso della ragione che è andato appunto dimenticato. E più in generale si potrebbe far riferimento all’orientamento decisamente storiografico della riflessione sulle scienze, alla rinascenza dei temi della genealogia nietzschiana e alla recente proposta dell’ ”archeologia del sapere” di Foucault. Tutti sintomi, questi, che configurano in varia maniera un’apertura teorica sufficientemente omogenea, impegnata in una sorta di marcia regressiva verso un fondamento possibile delle forme acquisite della nostra intelligenza del mondo. Anche l’attenzione al diverso ha trovato una molteplicità di espressioni e di segni. L’emergenza del differente è anzitutto nei fatti: i sistemi si sono spaccati, le differenze si sono accese e mobilitate, le ricomposizioni sono diventate sempre più difficili. Una cultura della differenza ha invaso e talvolta combattuto il pensiero della dialettica, accusato di risolvere in sintesi i diversi, assimilati ad astratti poli di opposizione. Così come al sapere del differente si rivolgono le direzioni La Rassegna d’Ischia n. 2/2014 37 solcate dalle scienze umane: si pensi, anzitutto, all’avventura della psicoanalisi, alla grande tematica dell’inconscio e - per riferire un’area del sapere più direttamente coinvolta nel nostro contesto di discorso - agli apporti in questo senso dell’antropologia culturale che ha esplicitamente imposto al Novecento la necessità di elaborare un tipo di comprensione storica adeguata e aderente a comunità e culture totalmente altre da quelle dell’occidente europeo. Un problema, quello dell’antropologia culturale, che tanto più si è imposto al sapere storico contemporaneo e più in generale alle riflessioni teoriche sul nostro tempo, quanto più il diverso si è fatto presente in noi stessi, quanto più lo spazio reale delle differenze ha reso difficile il riconoscimento e la custodia di una identità nelle nostre forme di cultura. Ci è sembrato necessario riferire qualche schematica riflessione sulla cultura contemporanea della crisi, indicare perciò solo qualche segmento di quel cerchio esterno alla concentricità dell’immagine iniziale, di quel cerchio che è il luogo della nostra interrogazione ad un filosofo viaggiatore, perché le sue direttrici individuate, il ritorno alle origini e l’attenzione alla diversità, ci appaiono in qualche modo il binario di movimento del viaggio di Berkeley da Londra al Mezzogiorno d’Italia. Non c’è dubbio che il mondo mediterraneo o in particolare l’isola d’Ischia - luogo privilegiato di un soggiorno di circa quattro mesi - rappresenti la terra antica, originaria, il luogo di nascita della cultura europea, ma anche, e soprattutto nella immagine che la letteratura moderna restituiva del meridione d’Italia, la terra diversa, altra, lontana in ogni senso dall’Europa del Nord: l’area mediterranea è un’area rurale, solare, fertile, ingovernata e irruente certamente segnata da una storia troppo estranea al razionalismo illuministico europeo e alla cultura egemone dell’Inghilterra primo-settecentesca. È altrettanto indubbio che le due linee di movimento del berkeleismo in Italia, già individuate qui come tratti fondamentali della cultura contemporanea, le due linee del ritorno alle origini e dell’attenzione al diverso, si caratterizzano anche nell’esperienza di Berkeley come due risposte a uno stato di crisi, si manifestano come chiari segnali di una cultura di crisi. Due crisi a confronto, quelle dell’interprete e dell’interpretato, del lettore e del testo, le cui convergenze e divergenze sono naturalmente tutte da esaminare e discutere. Quando Berkeley venne in Italia - e mi riferisco in particolare al secondo viaggio nel Sud (1716-1720) - la sua riflessione filosofica, almeno quella centrata sul problema del sapere e dell’essere e sulla critica alla scienza, era giunta a un punto di sufficiente maturazione. Nel 1713, data del primo viaggio, la teoria dell’esse est percipi è definitivamente compiuta nelle tre successive tappe segnate dalla pubblicazione dell’ Essay towards a NewTheory of Vision (1709), di A Treatise concerning the Principles of Human Knowledge (1710) e dei Three Dialogues between Hylas and Philonous (1713) che del trattato ripete le principali tesi in forma divulgata. Con la data dei viaggi inizia, dopo l’itinerario speculativo, un periodo - come sostiene correntemente la critica - di praticismo filantropico, in realtà privo di impegno filosofico: solo nel ‘32 una nuova fase di riflessione produrrà i dialoghi morali dell’Alciphron. La filosofia del percipi, se esaminata non soltanto attraver38 La Rassegna d’Ischia n. 2/2014 so le tesi più note di teoria della conoscenza e di critica alla res extensa, ma attraverso le analisi della struttura della percezione che in modo esemplare offre la nuova teoria berkeleiana della visione, enuncia certamente la critica allo scientismo, al razionalismo astratto e all’assolutezza del sapere scientifico, alla sostanza materiale, che della costruzione cartesiana e postcartesiana della scienza è il supporto ontologico, ma enuncia anche una speciale filosofia della “semiosi illimitata” (per dirla con Peirce), una filosofia che riconosce la produzione linguistica del mondo, che riconduce tutta la realtà allo stato di una sorta di frantumazione del linguaggio, ad un linguaggio dalle infinite gamme, moltiplicato e plurale, al linguaggio fortemente codificato della scienza come a quello altamente inventivo e fantastico, poetico e naturale. La nuova teoria della visione, che assimila natura e linguaggio, lascia giustamente vedere nel berkeleismo una vera e propria poetica dell’immagine e nella sua nuova epistemologia una direzione prevalentemente estetica. La proposta di Berkeley, con l’esse est percipi, non corre dunque verso lo scetticismo e non si congela nell’apologetica religiosa (la realtà ridotta alla mia percezione perderebbe esistenza e continuità se Dio non la percepisce, è una delle tesi esposte nel Treatise), esprime piuttosto, con una complessa teoria della significazione, la compiuta enunciazione di una logica della vita, esprime la possibilità di fondare dei codici razionali, delle grammatiche provvisorie e fluide, continuamente in movimento di formazione e deformazione, e quindi di fondarne insieme il principio di dissoluzione: un’oscillazione tra i poli della fondazione logica e della sua negazione, tra la stabilizzazione di codici e la negazione dell’assolutizzazione di questi codici. La filosofia di Berkeley, dunque, registra la crisi dell’ontologismo razionale, mostra nel reale soltanto il luogo di molteplici e mutevoli configurazioni semiologiche. In quel primo decennio dell’Inghilterra prehannoveriana, di un’Inghilterra attraversata da forti tensioni sociali, acutizzate dalla vigilia di una difficile successione che coinvolgeva dinastie e religioni in conflitto e dalla politica aggressiva e guerrafondaia del whigismo al potere, di un’Inghilterra che, intanto, trascinava le vecchie lacerazioni con la rapinata Irlanda - e Berkeley era irlandese - la filosofia del percipi esprimeva l’opposizione alle verità astratte e definite, ai valori fondati da un’assoluta ragione, mandava a fondo l’Indurimento” del fenomeno dentro l’impianto della ragione tecnico-strumentale e amplificava uno stato di frammentazione privato della possibilità di una ricomposizione teoretica. Il viaggio berkeleiano nel Sud d’Italia è, allora, il prolungamento di questa crisi, è il gesto che segna lo spostamento dai valori di origine, dai contenuti costituiti, è l’andare oltre, è lo sprofondamento e la meditazione, la sospensione del mondo e lo spazio della critica. In questo senso il viaggio è una esperienza filosofica, se è vero che l’atto meditativo è il riprendersi del pensiero nella sua distanza dal sapere e dalla scienza. Il viaggio non è allora solo un effettivamente andare altrove, ma è una grande metafora che associa nella dimensione del dubbio - come diceva Lévi-Strauss nella lezione inaugurale del 1960 - atteggiamento filosofico e atteggiamento antropologico. Il dubbio filosofico si esprime nell’atteggiamento antropologico, l’atteggiamento antropo- Costume d'Ischia Acquerello di C. J. Muller Donna d'Ischia Rame di Teodoro Viero logico è dubbio filosofico. In questo intreccio di meditazione e ricerca, il viaggio di Berkeley in Italia si pone, dunque, alle origini dell’antropologia. Una dimensione antropologica, quella del viaggio berkeleiano, che vede singolarmente la sintesi dell’antropologia illuministica e dell’antropologia moderna. Ciò che caratterizza l’antropologia illuministica è un forte bisogno di idealità: il bisogno certamente di andare oltre la propria cultura, di volgersi altrove, ma con la forza di un ideale, col progetto implicito di rifondazione dell’umanità, di una rifondazione culturale, sia nella direzione di un rafforzamento della propria cultura in crisi - si pensi alle fasi iniziali dell’antropologia dei primi viaggiatori e dei conquistadores, forti del principio di un “umanesimo della conquista” nei confronti dei popoli del Nuovo Mondo - sia, al contrario, nella direzione di una esaltazione della cultura ‘altra’ fino alle mitologie del naturismo e del primitivismo. Nei due casi si compie un processo di annientamento e di riduzione all’unità: l’atteggiamento di curiosità e di ricerca, l’attenzione ai fatti e alle differenze risultano soffocati dalla forza dell’idealizzazione. Ciò che resta saldo è l’identico, il valore assoluto, in noi stessi o nell’altro. Ciò che si fa valere è una logica dell’identità che recide ogni tensione irrisolta, ogni distanza tra sé e l’altro, ogni condizione di un sapere ermeneutico capace, appunto, di lasciare aperto, sia pure nella comunicazione, lo spazio delle differenze. L’antropologia moderna ha tentato, così, un riscatto dalla colpa delle origini, dalla doppia colpa “storica” e “logica”, la colpa della conquista e la colpa della incomprensione impostando anzitutto il problema, nel suo sforzo di costituirsi a scienza, del nesso tra gli strumenti culturali e soggettivi dell’interpretante e la necessità e tuttavia relativa alterità e autonomia del suo oggetto. Ora, questi due piani dell’atteggiamento antropologico, quello di tipo illuministico e quello di tipo moderno, sono presenti e intrecciati nel viaggio di Berkeley a Ischia e nel meridione d’Italia. La forza dell’idea si precisa come l’idea di utopia, il sogno e il progetto di uno stato di comunità perfetta. Anche in questo caso è necessaria una precisazione di carattere storico e biografico. Dopo il 1721, al ritorno a Londra dall’Italia, Berkeley elaborerà il progetto di una comunità ideale nelle Bermude fra gli Indiani d’America. Muovendo dalla proposta alle autorità di governo e della chiesa inglese di fondare un istituto educativo, il St. Paul College, l’idea dell’utopia che lo aveva già spinto in Italia orienterà la elaborazione di una pianta di città perfetta, The City of Bermuda, Metropolis of the Summer Islands. La configurazione spaziale del luogo di una comunità perfetta esprimeva e potenziava le sue forme di vita, di eticità e di cultura ispirate all’evangelismo filantropico: secondo il modello dell’utopia moderna la città ideale in America vagheggiata da Berkeley, esprimeva indubbiamente una forma di utopia sociale e un progetto costruttivo, l’idea della progettabilità e del controllo razionale della convivenza felice. Un modello che per tanti aspetti contraddiceva il criticismo della filosofia del percipi e che probabilmente per questo verrà abbandonato (Berkeley si recherà a Rhode Island, ma non realizzerà mai il suo programma di rinnovamento evangelico), un modello che aveva comunque contenuto e inglobato elementi dell’uLa Rassegna d’Ischia n. 2/2014 39 Da Life and Lettres of George Berkeley Oxford 1871 The people of this island in other respects good enough, but bloodthirsty and revengeful. Those of Foria and Moropane of worst fame for murdering, being said by the rest of the island to have no fear of God or man. The habit of the Ischiots: a blue skull-cap, woollen; a shirt and pair of drawers; in cold weather, doublet and breeches of wool. They wear each by his side a broad pruning-knife, crooked at the end, with which they frequently wound and kill one another. Piano now Pieio, Casa Nizzola now Casamici, Fiorio now Foria. A fine plain all round Pieio, planted with vines, corn, and fruit trees. The amphitheatre about a mile and half round the top, whence on all sides a shelving bank descends to the flat bottom, the which bank clothed with oaks. Oaks, elms, chesnuts, and cupe [?] in this island. East of the amphitheatre (which is called La Vataliera vulgarly) is a village called Cumana, and beneath a shady valley called II Vallone Cumana, between that village (seated on a mountain called II Monte di Borano) and a high mountain called La Montagna di Vezzi. Pleasant vineyards overlooking Ischia on the middle between the two towns. On the north side of the Cremate, about 2 mile long and 1 broad, fine hills covered with myrtle and ientiscus; vales too among them, and towards the sea fruitful with vines, &c Hereabouts Pontanus formerly had a villa. Onwards to the north-west you pass through roads planted with myrtle, &c. La gente di questa isola per altri aspetti è abbastanza buona, ma sanguinaria e vendicativa. Quelli di Foria e Moropane hanno la peggiore fama di assassini, e nell’isola si dice che essi non hanno paura di Dio e degli uomini. Il costume degli Ischioti: una berretta di lana; una camicia e un paio di mutande; nella stagione fredda, farsetto e calzoni di lana. Ciascuno porta al fianco un coltello a lama larga, a punta ricurva, con cui spesso si feriscono e s’uccidono l’un l’altro. Piano ora Pieio, Casa Nizzola ora Casamici, Fiorio ora Foria. Una bella pianura intorno a Pieio, coltivata a vigneto, mais e alberi da frutto. L’anfiteatro ha in cima circa un miglio e mezzo di perimetro, da tutti i lati una pendenza che digrada verso il fondo piatto, ricoperta di querce. Querce, olmi, castagni e cupe [?] in quest’isola. Ad est dell’anfiteatro (che si chiama comunemente La Vataliera) c’è un villaggio chiamato Cumana, e sotto una valle ombrosa chiamata II Vallone Cumano, tra quel villaggio (posto su una montagna chiamata iI Monte di Borano) e un alto monte chiamato la Montagna di Vezzi. Piacevoli vigneti dominano Ischia al centro tra le due città. Sul lato nord della Cremate, circa due miglia di lunghezza e un miglio di larghezza, belle colline ricoperte di mirto e hibiscus; valli tra di loro, e verso il mare fecondo di viti, ecc. Da queste parti Pontano anticamente aveva una villa. Poi a nord-ovest si passa attraverso percorsi coltivati a mirto, vigneti ecc. Inhabitants of Fontana keep flocks of sheep and goats. Lower parts of Mont S. Nicolo clothed with vines; upper part with barley, wheat, and Indian corn; top naked and white. Fontana situate among oak trees. Narrow, deep vales, like cracks in the earth cloven by an earthquake. Furia in a plain situate at a corner of the island, having a sort of mole and harbour; the country about it full of vines and fruit trees. Some rough land and ups and downs between that and Lo Lacco. This last town and Casamici situate among vines and fruit trees, after which hills covered with myrtles and len-ttecus, glens, groves of chesnuts. Gli abitanti di Fontana hanno greggi di pecore e capre. Nelle parti più basse del Monte S. Nicolo si coltivano le viti; nelle parti più alte orzo, frumento e mais; la cima è spoglia e bianca. Fontana è situata tra gli alberi di querce. Strette valli profonde, come fenditure del terreno prodotte da un terremoto. Furia in una pianura situata in un angolo dell’isola, con una sorta di molo e di porto; il paese allintorno è pieno di viti e di alberi da frutto. Lacco e Casamici tra vigneti e alberi da frutto, poi colline ricoperte di mirti e lentischi, piccole valli, boschi di castagni, ecc. topia arcadica nella scelta di una terra insulare, vergine, assolata e fertile, prodiga ed effusiva: sono le descrizioni, della bellezza delle Bermude in una lettera del 1723, tanto vicina alla bellezza d’Ischia e delle coste meridionali di Omero e Virgilio. L’utopia ischitana è senza dubbio, in realtà, la ripetizione dell’utopia antica: Ischia, più delle Bermude, è ingovernabile da un progetto di razionalizzazione geometrizzante come nella città ideale, è il simbolo dei Campi Elisi. Ischia non è uno spazio di rappresentazioni e determinatezze concettuali che si convogliano in un progetto capace di garantire la idealità di una convivenza civile. Ischia rimane semplicemente la natura prodiga della tradizione 40 La Rassegna d’Ischia n. 2/2014 classica, si offre come la terra dell’età d’oro, dai ruscelli di miele e dai fiumi di latte, la natura esuberante e felice del mito. In verità l’incrocio delle nozioni di mito e utopia poggia, in questo caso, su una delle accezioni attribuite al mito come quel racconto che narra le origini, che narra un evento originario: un evento, principio nel tempo e principio di spiegazione, origine antica ed essenza, storia remota e punto di perfezione. Ischia come mito utopico o utopia dell’antico è utopia nostalgica e non progetto costruttivo, è quella natura che si offre, quella natura donata, che non possiamo produrre e costruire, che viene a noi e che, come tale, è solo perduta o che si rischia sempre daccapo di perdere. L’utopia arcadica è The clergy of Ischia get each a Caroline a mass; the parish priest is not allowed to say above one mass a day; admits others into share of the profits arising from masses for the dead. The number of the clergy in Ischia accounted for by their lodging the goods of the family in the name and under the protection of the priest, who in case of murder or the like crimes secures them from forfeiture. The bishop admits none to orders who is not invested first with the sum of 700 ducats. Confraternity of 100 persons in Testaccio. When any one of these dies, a hundred masses are said for his soul at the expense of the society, it being a Caroline a mass. The like fraternities all over the island, as well as everywhere else in Italy. The parish priest’s fee is 7 carlines a death, a hen a birth, 15 carlines a marriage. On New Year’s day, Easter day, ‘Corpus Christi day, he dispenses indulgences, and all that are worth money bring it him on these occasions according to their ability. Women’s ornaments large gold earrings, and if married, many large gold rings set with false stones on their fingers j but the principal finery consists in the apron, particoloured and embroidered with tinsel, &c. j these worn only on holidays, no more than the rings. It is observable that Livy too distinguishes Aenaria from Pythecusse. The same passage (1. 8. d. 1) of Livy makes the Euboeans to have inhabited Ischia before Cuma, which Strabo says was the oldest city in Italy or Sicily. Hence Ischia the most anciently inhabited. Aloes and Indian figs grow wild in several parts of the island; likewise dates, almonds, walnuts. The vista irom S. Nicolo. South: Caprea, and mountains beyond the Bay of Salerno. South-east: Promontory of Minerva, and beyond that the Cape of Palinurus, vulg. Capo di Palinuro, Massa, Vico, Surrento, Castelmore, all on the side of a chain of mountains. East - Vivaro, Procita, Miseno, Baiar, Pozzuolo, Pausilypo, top of Naples or S. Elmo, Vesuvius. North-east : Cuma. North Campania Felice, being to the sea, a large plain on the other side bounded by mountains. North-west: Monte Massici (as I suppose), Mola, Caieta, a small isle, &c, as far as the promontory of Retium. West: Ponsa, and two smaller isles more. Southwest: the sea. sempre alle nostre spalle o è soltanto un sogno, vive nella dimensione del passato, mai nella prospettiva del futuro. Nelle descrizioni del diario ischitano e in particolare nelle lettere a Percival e Pope, dove molto più che nell’appunto rapido e spezzato del diario personale, si concentrano memorie classiche e sentimenti arcadici nella forma composta dell’idillio, Ischia è, dunque, la natura dell’età d’oro e dei Campi Elisi, la natura senza penuria e senza “rarità” (per usare un termine di Sartre), che non impone all’uomo il venire a patti, lo sforzo di governarla, il problema di capirla e dominarla, della sua “disponibilità” e dell’accumulo, della produzione divisa, delle ricchezze diseguali, della proprietà, tutte le fasi, cioè, del Il clero di Ischia prende ciascuno una carolina a messa; al parroco non è permesso di dire più di una messa al giorno; fa partecipare altri ai profitti derivanti dalle messe per i defunti. Il numero del clero a Ischia si giustifica col fatto che i beni della famiglia sono al sicuro sotto il nome e la protezione del sacerdote, che in caso di omicidi o altri reati li preserva dalla confisca. Il vescovo non ammette nessuno agli ordini se non possegga prima la somma di 700 ducati. Confraternita di 100 persone a Testaccio. Quando muore uno di loro, si dicono un centinaio di messe a suffragio della sua anima, a spese della comunità, a prezzo di una carolina a messa. Confraternite sono presenti in tutta l’isola, così come ovunque in Italia. Il parroco riceve sette caroline per una morte, una gallina per una nascita, 15 caroline per un matrimonio. Il giorno di Capodanno, a Pasqua, nel giorno del Corpus Christi egli dispensa indulgenze, e riceve offerte da quelli che hanno denaro secondo la loro capacità. Ornamenti delle donne: grandi orecchini d’oro, e se sposate, grandi anelli d’oro con pietre false alle dita; ma il principale segno di raffinatezza consiste nel grembiule coloratissimo e ricamato con orpelli. Il tutto indossato solo nei giorni festivi. Si può osservare che Livio distingue Aenaria da Pythecusse. Lo stesso passaggio (l. 8. d.1) di Tito Livio dice che gli Euboici occuparono Ischia prima di Cuma, che Strabone ritiene la città più antica d’Italia o di Sicilia. Quindi Ischia è la più anticamente abitata. Aloe e fichi d’India crescono spontaneamente in varie parti dell’isola; allo stesso modo mandorle, noci. La vista da S. Nicolo. A Sud Capri e le montagne al di là del Golfo di Salerno. A Sud-est il Promontorio di Minerva, e al di là del Capo di Palinuro (detto Capo di Palinuro) Massa, Vico, Sorrento, Castellamare, tutti lungo una catena di montagne. A Est Vivara, Procida, Miseno, Baia, Pozzuoli, Posillipo, Napoli alta, S. Elmo, il Vesuvio. A Nord-est Cuma. A Nord la Campania felice. A Nord-ovest i monti Massici (come penso), Mola, Gaeta, una piccola isola, ecc. fino al promontorio di Anzio. A Ovest Ponza, e due isole più piccole. A Sud-ovest il mare. passaggio dall’età felice della festa all’età della guerra si pensi alla ricostruzione del Discorso sull’ineguaglianza di Rousseau. In questa natura profusa l’uomo semplicemente gode dei frutti della terra, non c’è ragione di rivalità, divisione e dominio tra i membri di una comunità. In questo scenario edenico, che è l’isola d’Ischia, nell’Eden dell’arcadia classica, Berkeley immette un elemento interno all’utopia moderna o comunque presente nel dibattito sulla natura umana dopo la scoperta del Nuovo Mondo, la presenza del selvaggio o del primitivo in una comunità felice. L’Ischitano, nel diario di Berkeley, è in realtà assimilato al selvaggio, esprime quella condizione primitiva che ispirerà, per gli Indiani d’America, l’utopia nelle Bermude. La Rassegna d’Ischia n. 2/2014 41 L’Ischitano è il prototipo di una umanità innocente e crudele. È innocente perché sottratto alle condizioni devianti del mondo civile: “ricchezze ed onori qui non attecchiscono” - si legge nel diario del 1 settembre 1717 - “la gente allora non conosce i vizi che li accompagnano”. L’abitante dell’isola d’Ischia è al di qua del bene e del male, in una condizione anomica, senza leggi, tanto da sottrarsi alla sanzione quando non è attaccato il potere costituito. “Gli Ischitani - dice Berkeley - si possono anche scannare tra loro senza rischiare la pena; li ricercano solo per la morte di uno sbirro”. Selvaggi innocenti, dunque, ma assetati di sangue e vendicativi: gli Ischitani hanno infatti “una turpe inclinazione, quella di ammazzarsi per un nonnulla”. Un tipo di umanità, questo del popolo meridionale, non del tutto felice ma certamente molto vicino alla perfezione. Una immagine tipica del primitivo come lo delineava il filantropismo evangelico; il selvaggio, fuori dei peccati civili, vicino all’innocenza della creazione, è il più educabile alla felicità secondo i principi evangelici, è l’innocente che sconta la colpa della ca- duta adamitica, del peccato originale, è un tipo di umanità turbolenta, dalle passioni accese e dall’incostanza affettiva, che pone la necessità che siano i principi della vera religione e della vera morale, quella cristiana, a guidare alla felicità la condizione dell’ignavia primitiva. L’Ischitano, dunque, risponde allo stereotipo del buon selvaggio nei termini richiesti dall’evangelismo berkeleiano, ma ripete anche le descrizioni riduttive che tanta letteratura di viaggio sette-ottocentesca ha restituito dell’abitante del Sud d’Italia, che già i gesuiti ritenevano bestie simili alle bestie e che alimenterà il primitivismo per le “Indie di quaggiù”. Il tipo meridionale è indolente, è rissoso, certamente innocente, un groviglio di passioni e di istintualità, tante volte esaltato e tante volte denigrato, il luogo letterario, appunto, di quella che è stata giustamente chiamata, per il popolo meridionale, la “dorata menzogna”: una menzogna che sottrae la comprensione dell’abitante del Sud al contesto storico e ai problemi effettivi e concreti del suo patrimonio culturale. La proiezione utopica dell’isola d’Ischia non esaurisce evidentemente il diario ischitano. All’atteggiamento illuministico si accompagna sempre, nel viaggio di Berkeley, si è detto, l’atteggiamento moderno dell’antropologia. Ed è quanto ci fa leggere nelle pagine berkeleiane tutta una serie di elementi e di materiali di osservazione che sono effettivamente un ricco repertorio etnografico: un cumulo di frammenti, di pezzi, di frasi interrotte, come appunto può offrire un diario privato, che costituisce tuttavia una dettagliata e singolare analisi delle condizioni materiali, economiche, istituzionali, culturali e rituali, soprattutto dei costumi della religiosità meridionale, del popolo ischitano. Osservazioni preziose che avviano indubbiamente un metodo comparato delle religioni, un’esperienza intellettuale e critica che aveva già consentito a Berkeley, durante il giro nel Sud, di comprendere, ad esempio, attraverso altre mediazioni e al di fuori degli schemi della cultura europea illuministica, un fenomeno di religiosità minore tanto complesso come quello del tarantismo Mariapaola Fimiani Testaccio e il suo sudatorio «Nel Casale detto Testaccio trove- rete una fossa aperta, non profonda, la quale riguarda a mezzodì: e se alcuno vi entrerà sentirà subito tutto il corpo risolversi in sudore. Ha questo sudatorio un soave e moderato calore. Da certe aperture della terra vien fuori un fumo non molto grande, il quale gli ammalati possono patire e sopportare facilmente lungo tempo, né però cascano in tramortimento o in deliquio d’animo, solito accadere negli altri sudatori di gagliardissimo calore» (descrizione di Giulio Iasolino nel De’ Rimedi dell’isola d’Ischia). Questo territorio, un tempo anch’esso istituzionalizzato come ente comunale dal 1786 al 1873, ospitò grazie alle sue risorse George Berkeley, il cui soggiorno è descritto nel suo diario di viaggio; vi fu inoltre il viceré di Palermo Giorgio Corafà per motivi di salute, il quale qui scelse poi di fermarsi per gli ultimi anni della sua vita. Veduta di Testaccio con la Chiesa di San Giorgio (1956) 42 La Rassegna d’Ischia n. 2/2014 *