HOMO SAPIENS Homo sapiens Chi siamo è chi eravamo 40000 anni fa. L’uomo contemporaneo è a livello biologico e genetico lo stesso homo sapiens del pleistocene.. Conoscerne i caratteri fondamentali ci permette di non tradire una storia evolutiva di qualche milione di anni che ha modellato il genere homo adattandolo lentamente e progressivamente all’ambiente e rendendolo sempre più capace e in grado di sopravvivere e in cui il sistema ecologico ha determinato a livello genetico la nostra struttura fisica e mentale. Tale evoluzione si è generata stabilendo un’equazione tra mindscape e landscape, tra mente e paesaggio: quella che Kenneth White chiama geopoetica. Ciò non significa che la nostra eredità biologica e genetica prescriva il nostro futuro. Conoscere questa eredità ci permette però di inserirci in una dimensione temporale molto ampia rispetto ai nostri parametri consueti e di predisporci all’evoluzione della nostra specie in termini di maggiore stabilità, cioè maggiore diversità, complessità e quindi adattabilità facendo leva su facoltà biologiche e neurofisiologiche connaturate geneticamente all’uomo: l’intelligenza sociale, tecnica, ecologica, linguistica, le competenze spaziali (wayfinding, mapping, pensiero topologico, geometria intuitiva), le facoltà tassonomiche (attitudine a classificare) analogiche (leggere il noto nell’ignoto), induttive, il pensiero spaziale costituiscono un patrimonio genetico che consentiva all’uomo di attivare una memoria operativa abituata a leggere tracce per sopravvivere in presenza di un contesto naturale in cui si doveva inserire. Il paesaggio costituiva un catalizzatore di significati piuttosto che essere portatore di senso. L’evoluzione non è lineare come invece pretende di essere il progresso. Il genere homo sapiens è l’ultimo dei rami di un cespuglio evolutivo di cui fanno parte tanti altri rami che si sono estinti. Non siamo necessariamente il meglio possibile quindi. Solo quello attualmente esistente. Dipende da noi il nostro futuro e la possibilità di sopravvivenza. 24 Homo sapiens EVOLUZIONE E PROGRESSO Che cos'è l'evoluzione? Evoluzione non significa "miglioramento". L’evoluzione è definita come il processo di trasformazione e differenziazione delle specie viventi. Evoluzione significa prima di tutto differenziazione e trasformazione, quindi aumento della varietà disponibile. Sulle mutazioni agisce il filtro della selezione naturale: solo gli individui "adatti" all’ambiente in cui vivono riescono a sopravvivere e a trasmettere i propri geni alla discendenza. È un processo automatico e inevitabile, che garantisce la sopravvivenza delle specie. Evoluzione quindi è continua, perché la mutazione, che genera nuove varianti, c’è sempre, per cui la selezione naturale degli organismi che meglio sopravvivono e si riproducono è automatica, e la trasformazione degli esseri viventi è inevitabile. Nel gioco fra il caso (la mutazione, la deriva genetica) e la necessità (la selezione naturale), ogni specie vivente tende a diversificarsi. Molte popolazioni si muovono, colonizzano ambienti diversi, e nel corso del tempo si differenziano fino a dare origine a nuove specie. Nel corso del tempo, questo tende a generare un aumento di complessità. È facile rendersene conto se osserviamo, in diverse specie animali, organi perfezionatissimi come l’occhio o l’orecchio, che sono divenuti straordinariamente elaborati nel corso della storia della vita. Evoluzione significa, infine, sviluppo di capacità di interazione con l’ambiente. È questo a decidere, in definitiva, il successo evolutivo delle singole specie. Da: http://www.progettogea.com/gea/evoluzione-umana/cont04_06.htm In ogni forma di vita la tendenza all’evoluzione non è casuale, ma privilegia i propri interessi, dirigendosi verso una maggiore stabilità, cioè una maggiore diversità, complessità e quindi adattabilità. Ciò non è affatto quello che noi chiamiamo progresso. Infatti la resistenza al cambiamento, per niente in conflitto con la tendenza all’evoluzione, è una forma indispensabile a salvaguardare la stabilità di qualunque sistema. Ciò che importa è comprendere il significato dell’evoluzione rispetto al cambiamento (non evolutivo). Essi sono diametralmente opposti: per tutto ciò che l’evoluzione crea in termini di diversificazione, rispondendo sempre più precisamente alle nostre esigenze, il cambiamento distrugge. Il cambiamento non può far altro che sostituire un elemento del comportamento ben integrato con un altro che non lo è, rimpiazzando ciò che è complesso e adattato con qualcosa di semplificato. L’evoluzione crea stabilità, il cambiamento provoca vulnerabilità. Da: LIEDLOFF, J., Il concetto del continuum, Molfetta (BA), La Meridiana, 2007, pag. 26 Per circa due milioni di anni l’uomo ha raggiunto notevoli traguardi. È riuscito ad evolversi dalla condizione di primate a quella di uomo cacciando selvaggina e raccogliendo frutti con un efficiente stile di vita che, se avesse mantenuto più a lungo, gli avrebbe permesso di sopravvivere per altri milioni di anni. Molti ecologisti 25 [link pensiero complesso pag. 18] Homo sapiens concordano che, allo stato attuale, le sue possibilità di sopravvivenza per un altro secolo ancora si riducono ogni giorno che passa. Da: LIEDLOFF, J., Il concetto del continuum, Molfetta (BA), La Meridiana, 2007, pag. 23 La storia della vita non tende necessariamente al "progresso": la linea filetica che ha condotto alla specie umana è del tutto fortuita nel quadro complessivo dell'evoluzione. (…) Alcuni personaggi annunciano le loro invenzioni con grande clamore, altri invece compiono grandi scoperte in tono dimesso, come fece Charles Darwin nel 1859 quando definì il nuovo meccanismo della causalità evolutiva: "Ho chiamato questo principio, grazie al quale ogni lieve variazione, se utile, viene conservata, con il termine di Selezione naturale". (…) La teoria della selezione naturale è un enunciato dalle straordinarie implicazioni in una veste meravigliosamente semplice, che ha superato molto bene, per 135 anni, la prova di indagini e verifiche intense e inesorabili. Fondamentalmente, essa pone il meccanismo del cambiamento evolutivo al centro di una "lotta" tra organismi per il successo riproduttivo, il che conduce a un maggiore adattamento delle popolazioni ad ambienti che via via si modificano. (Lotta è spesso un'espressione metaforica e non deve essere vista come un combattimento dichiarato e condotto ad armi spianate. Le strategie per il successo riproduttivo includono una vasta gamma di attività non bellicose, come un accoppiamento più precoce e più frequente o una migliore cooperazione tra i partner nell'allevamento della prole.) Pertanto la selezione naturale è un principio di adattamento locale, e non di progresso generale. Da: L'evoluzione della vita sulla Terra di Stephen Jay Gould, http://www.polesine.com/pagine/scienze/mfn/a009-1.htm Coloro che sostengono l'idea che il progresso economico e tecnologico faccia parte integrante del processo evolutivo di solito considerano istintivi i primi stadi dell'evoluzione, mentre gli ultimi stadi, che associamo al progresso tecnologico, sono considerati coscienti e intenzionali. Questa sembra essere la posizione standard degli scienziati ortodossi. L'evoluzione biologica ha portato allo sviluppo di forme di vita altamente complesse come l'uomo, e anche di ecosistemi più complessi. Essa ha anche fatto nascere una trentina di milioni di specie vegetali e animali diverse e innumerevoli varietà di queste specie. La complessità e la diversità crescenti che accompagnano l'evoluzione sono strettamente collegate con la crescente cooperazione tra le parti dell'ecosfera. In effetti, con l'evoluzione, la competizione cede il passo alla cooperazione, o a quello che gli ecologi chiamano "mutualismo". Viceversa, via via che il processo antievolutivo prende l'abbrivo e la complessità viene drasticamente ridotta, il mutualismo cede il passo alla competizione. Via via che l'evoluzione procede, c'è una riduzione della casualità e un corrispondente aumento dell'ordine. Con l'evoluzione, gli esseri viventi sono inoltre sempre più adattati biologicamente, socialmente, cognitivamente e psichicamente ai loro rispettivi ambienti, esattamente come le società e gli ecosistemi sono adattate ai 26 [link pensiero deterministico pag. 17] Homo sapiens loro. Da: EDWARD GOLDSMITH, Il Tao dell'Ecologia, Muzzio, Padova, 1997 http://www.estovest.net/ecosofia/progresso.html Per i popoli cacciatori-raccoglitori l’ambiente naturale è solido. La struttura di parentela è stabile perché l’individuo è nato o viene iniziato all’interno di un gruppo durevole come la specie della pianta o dell’animale che ha assunto a emblema totemico. Da: MESCHIARI, M., Terra sapiens. Per una preistoria del paesaggio, in «Quaderni di Semantica», LVII (1/2008), in stampa. 27 Homo sapiens Circa 70 milioni di anni fa, all’inizio dell’era cenozoica o terziaria, un piccolo mammifero cominciò a salire sugli alberi per sottrarsi ai predatori e trovare più cibo. Nel corso del tempo questi mammiferi, detti primati, oltre a cambiare genere di vita, subirono modifiche anche nell’aspetto risultando più adatti al nuovo ambiente. (…) È durante il Pleistocene che compare il genere homo. Il Pleistocene, detto anche Glaciale o Diluviale, deriva dal greco "il più recente". Va da 1,8 milioni di anni fa fino a undicimila anni fa. Coincide con le grandi glaciazioni, il clima fu caratterizzato dalla diminuzione intermittente della temperatura, che causò notevoli mutamenti soprattutto nell’emisfero settentrionale. Si alternarono cinque vastissime espansioni glaciali separate da quattro lunghi intervalli durante i quali i ghiacciai diminuirono di volume. (…) I ghiacciai arrivarono a coprire un terzo dei continenti e si spinsero fin quasi al 39° parallelo nell’America Settentrionale (più a Sud di New York) e al 52° in Europa (Berlino e Paesi Bassi), lasciando tracce nelle zone delle Alpi e Prealpi, dove scavarono per esempio il lago Maggiore, il lago di Como, il lago d'Iseo e il lago di Garda, solo per citare i più vasti. Nelle regioni orientali dell'Africa equatoriale (Etiopia, Kenya), circa due milioni d’anni fa comparve l’Homo habilis ("uomo che sa usare le mani"). L'Homo habilis aveva un cervello di 700-800 cm3 (il cranio ritrovato sul lago Turkana, noto come cranio 1470, ha una capacità di 775 cm3), raggiungeva un'altezza di 125-135 cm ed il peso di 40 chili. (…) Circa un milione e 250 mila anni fa, forse per la prima volta ancora nella regione del Turkana, comparve l'Homo erectus, con una capacità cranica di 1300 cm3 e un'altezza di poco inferiore a 170 cm. (…) Circa 500 mila anni fa, l'Homo erectus cominciò ad utilizzare il fuoco per uso domestico e per difesa, fissando una tappa fondamentale nell'evoluzione della specie umana. (…) L’uomo di Neanderthal visse in Europa durante l’ultima glaciazione, iniziata circa 70 mila anni fa. Era alto non più di 160 cm, ma molto muscoloso; il collo era tozzo ed il suo cranio era largo, basso e rientrante, con arcate sopraccigliari ancora piuttosto sviluppate e con bozze frontali molto accentuate e sporgenti; la struttura tarchiata era progettata apposta per resistere ai rigori delle glaciazioni pleistoceniche. La capacità cranica raggiungeva i 1350 cm3; viveva nelle caverne, era nomade, usava il fuoco per riscaldarsi, cacciava grossi animali come mammut e rinoceronti, sapeva fabbricare raschietti, asce di pietra e arpioni di legno ed acquisì una notevole tecnica nella lavorazione della pietra scheggiata. (…) Circa 40.000 anni fa, durante il Paleolitico, comparve il primo rappresentante di una nuova specie, detta Homo sapiens o Uomo di Cro-Magnon. Siamo negli ultimi cin­ que minuti dell'Anno della Terra. Quest'uomo, di cui noi siamo diretti discendenti basa la propria economia sulla caccia e sulla raccolta di vegetali. L'uomo vive in ac­ 28 Homo sapiens campamenti o in grotte ed è nomade: si sposta continuamente per poter trovare il cibo e si organizza in piccoli gruppi per cacciare. Il clima è molto freddo, perché si al­ ternano periodi di glaciazione a periodi di interglaciazione. Il senso magico-religioso della vita si fa sempre più marcato e nasce inoltre la pittura rupestre. In numerose ca­ verne troviamo grandiose raffigurazioni di mandrie di animali, di scene di caccia e di riti. Oggi il modello dell'evoluzione lineare non è più condiviso da nessuno. Si parla piut­ tosto di "evoluzione a cespuglio": come si vede nello schema sottostante, da una specie ne derivano molte altre, che spesso si estinguono a causa di lotte fratricide tra le varie popolazioni Tutto ciò comporta un cambiamento deciso di prospettiva. Infatti il modello lineare prevede che sulla Terra esista una specie di ominidi alla volta, perchè le risorse del pianeta non basterebbero a mantenerne più di una. In questo modo, noi apparirem­ mo come dei predestinati, giacché fin dall'inizio sembrava scritto che la linea evoluti­ va dovesse culminare in noi. Il modello a cespuglio traccia invece un quadro molto simile a quello di altre diffuse famiglie di animali, caratterizzato da una grande varietà di sviluppi evolutivi, non tutti però coronati da successo. Noi siamo semplicemente quelli che sono riusciti a prevaricare su tutti gli altri e, alla fine, ad averla vinta. Per quali motivi, ancora non si sa con certezza. Certo è che, in questo contesto, la nostra storia evolutiva va descritta come una serie interminabile di lotte per la sopravvivenza. Da: http://www.fmboschetto.it/didattica/Anno_della_Terra/Neozoico.htm#PLEISTOCENE 29 Homo sapiens BIOLOGIA E HOMO SAPIENS “L’uomo è la forma biologica del paesaggio” Da: MESCHIARI, M., Dal golfo all’arcipelago. Per un’antropologia del paesaggio ligure Ricostruire la nostra preistoria ecologica significa comprendere che l’uomo contemporaneo, di fronte a una veduta di terre, non è soltanto un Homo aestheticus dalle raffinate opzioni intellettuali, ma è l’erede inconsapevole di un patrimonio cognitivo innato che rimonta al Pleistocene, e che reca tracce vitali delle peculiarità neurofisiologiche e simboliche dei cacciatori-raccoglitori arcaici. Da: MESCHIARI, M., Terra sapiens. Per una preistoria del paesaggio I processi cognitivi sono “innati”, cioè predeterminati biologicamente, e “acquisiti”, cioè elaborati culturalmente, ma i due aspetti, biologico e culturale, agiscono assieme. Il nostro sistema cognitivo si è formato durante milioni di anni di evoluzione come risposta a un ambiente esterno e a condizioni di vita oggi scomparse. Il primatologo Paul Shepard (1998) sosteneva che il nesso tra un uomo di 40.000 anni fa e l’uomo contemporaneo è la biologia che hanno in comune, e questa connessione biologica non è solo anatomica e fisiologica, ma neurofisiologica e comportamentale. Chi siamo è chi eravamo 40000 fa. È infatti nel Pleistocene che le principali caratteristiche fisiche umane (taglia, anatomia, metabolismo, dimorfismo e comportamento sessuale, volume del cervello, fetalizzazione esterna ecc.) si sono sviluppate in connessione a fattori sociali, ecologici e tecnologici: il nostro corpo e la nostra mente sono stati modellati in un mondo di cacciatori-raccoglitori. Da: MESCHIARI, M., Processi cognitivi L’Europa allora era in epoca glaciale, i mari erano 100 m più bassi, il Nord Europa era sotto una distesa di ghiaccio, la vegetazione era costituita prevalentemente da conifere, l’uomo viveva in modo simile agli eschimesi di oggi. Eravamo cacciatoriraccoglitori in un contesto subartico. Lì non si poteva coltivare, l’unico sostentamento erano la caccia e la raccolta, l’organizzazione sociale era ridotta al minimo intorno ad un numero massimo di circa 24 e rispondeva ad un’esigenza di sopravvivenza. La curva demografica era stabile. Non si immagazzinava niente e quindi non c’era crescita demografica. Le ovulazioni nelle donne erano minori di un terzo rispetto al successivo neolitico dove si avevano 6/12 figli. La neotenia e la sinaptogenesi caratterizzano i primi 3/4 anni di vita del bambino. Alla nascita infatti il cervello del bambino è il 25% del cervello di uomo adulto. Il bambino continua lo stadio fetale in una fase extrauterina per circa 3/4 anni. Da: MESCHIARI, M., Seminario Etnologia, Palermo, aprile 2008 30 paesaggio pag. 51, gioco, segreto biologico evoluzione pag. 140] Homo sapiens Di fronte a poche decine di secoli di storia “ufficiale” dobbiamo contrapporre più di un milione di anni in cui Homo ha vissuto cacciando e raccogliendo, un milione di anni in cui il sistema ecologico ha determinato a livello genetico la nostra struttura fisica e mentale e, attraverso pressioni selettive, ha rafforzato e specializzato i nostri comportamenti innati. Da: MESCHIARI, M., Terra sapiens. Per una preistoria del paesaggio Secondo Steven Mithen (1996) Australopithecus (a partire da 4,5 milioni di anni fa), Homo habilis (2 milioni di anni fa) e Homo erectus (1,8 milioni di anni fa) possedevano già un’intelligenza sociale, cioè dei processi cognitivi specializzati nel comportamento di gruppo e potevano contare su moduli cognitivi finalizzati alla ricerca complessa del cibo e alla memorizzazione della distribuzione spaziale delle risorse alimentari (intelligenza ecologica). Nel caso di Homo poi, attraverso le prime evidenze di manufatti litici, si può parlare a pieno titolo di intelligenza tecnica, perché era in grado di riconoscere selettivamente gli angoli acuti nel nodulo di selce da scheggiare, perché aveva una perfetta coordinazione occhio-mano, e perché sapeva calibrare esattamente la forza e la direzione nel colpire. Da: MESCHIARI, M., Processi cognitivi Le radici culturali sono anche biologiche. La cultura si adatta al sistema ecologico, ha radici biologiche. Esiste una materialità della cultura. 31 Homo sapiens Il primo schema rappresenta una società di cacciatori-raccoglitori arcaici: il sistema culturale è completa­ mente immerso nel sistema ecologico e il sistema genetico è il risultato di una risposta coerente e diretta alla pressione ambientale. In campo etnologico si parla di “ecologia sacra”, nel senso che le sovrastrutture rituali e mitiche sono funzionali a uno sfruttamento sostenibile delle risorse ambientali. Il secondo schema rappresenta la società occidentale contemporanea: il sistema culturale è inglobante perché da un lato mo­ difica il sistema ecologico subendone l’influsso solo in minima parte, dall’altro comincia a ipotizzare inter­ venti sullo stesso sistema genetico. Va notato che il sistema genetico, rimasto immutato dal Paleolitico su­ periore, è sempre meno connesso al sistema ecologico da cui è dipeso per milioni di anni, ma in ogni caso, attraverso strutture cognitive innate, continua a esercitare un influsso sostanziale sul sistema cultura­ le. Da: MESCHIARI, M., Processi cognitivi 32 Homo sapiens MINDSCAPE E LANDSCAPE Kenneth White sostiene che è possibile stabilire un’equazione tra mindscape e landscape, tra mente e paesaggio. La topografia di un luogo può aiutare a costruire una topografia mentale, può attivare il cervello in una direzione anziché in un’altra, può propiziare e dare forma a una visione generale delle cose. Da: MESCHIARI, M., Sistemi selvaggi: antropologia del paesaggio scritto, Palermo, Sellerio,2008, pag. 48 Questa, in essenza, è ciò che White chiama “geopoetica”, una via di pensiero che si pone a metà strada tra scienza e poesia. Da: MESCHIARI, M., La nuova poesia della terra La struttura del paesaggio (fisico, rituale, sacro, mitico...) è alla base della concettualità del gruppo umano che lo abita. Questo non implica un rapporto diretto, necessario, di causa-effetto, più modestamente significa che il pensiero e le sue manifestazioni, dal linguaggio allo stile, dalla cosmologia all’organizzazione del sapere e della memoria avevano una struttura ‘paesaggistica’, cioè erano omogenee alla percezione e alla rappresentazione del territorio. Da: MESCHIARI, M., Lineamenti di archeologia dello spazio: Per un’analisi dell’arte rupestre, «Archivio Antropologico Mediterraneo»,6-7,pp.61-86., 2002-2004. Il paesaggio era il terreno principale delle esperienze spaziali dell’uomo, era il luogo dove si sviluppavano e si esercitavano facoltà cognitive basilari per la sopravvivenza, e questa stretta connessione tra sopravvivenza e territorio chiamava a una memorizzazione e a un affinamento di conoscenze operative che hanno impregnato la concettualità dell’uomo preistorico. Da: MESCHIARI, M., Lineamenti di archeologia dello spazio: Per un’analisi dell’arte rupestre, «Archivio Antropologico Mediterraneo»,6-7,pp.61-86., 2002-2004. Numerosi studi sui Saami della Lapponia hanno messo in rilievo la forte tenuta strutturale del loro sistema ideologico in rapporto al paesaggio: esistono precise corrispondenze tra elementi primari (Aria, Terra, Acqua), geografia fisica (Foresta, Tundra, Mare), geografia sacra (Cielo, Mondo degli Uomini, Inferi), esseri superiori (Dei, Uomini, Donne), fauna (Uccelli, Renne, Pesci), attività di sussistenza (Caccia, Pastorizia, Pesca), momenti dell’anno (Transizione stagionale, Estate, Inverno). Ad esempio: le donne pescano sul bordo del mare in inverno, il loro elemento è l’acqua e sono strettamente connesse al mondo dei morti. Da: MESCHIARI, M., Lineamenti di archeologia dello spazio: Per un’analisi dell’arte rupestre, «Archivio Antropologico Mediterraneo»,6-7,pp.61-86., 2002-2004 33 [link pensiero complesso pag. 18] Homo sapiens La “cattedrale della mente” secondo Mithen. Lo schema rappresenta tre ipotetiche tappe nell’evoluzione dei processi cognitivi. La prima tappa corrisponde allo stadio delle protoscimmie e forse degli australopitechi più arcaici: la porta indica il passaggio di informazioni attraverso canali percettivi, ma non esiste una vera intelligenza specia­ lizzata. La seconda fase, corrispondente a circa 2 milioni di anni fa, concerne Homo habilis : dotato di intelligenza ecologica, sociale, tecnica e forse linguistica, non conosce però delle connessioni cognitive tra le singole “cappelle” e tra queste e la “navata centrale”. La terza fase è infine rappresentata da Homo sapiens sapiens : la fluidità cognitiva tra intelligenze specia­ lizzate e tra queste e l’intelligenza generale è massima. Nascono di qui moduli conoscitivi complessi. Da: MESCHIARI, M., Processi cognitivi 34 Homo sapiens La teoria della mente paesaggistica. Il termine folkecology , usato per definire “il modo in cui un popolo comprende e utilizza le interazioni tra piante, animali e umani” (Atranet alii 1999, p. 7598), può essere utilizzato in senso “totale” per definire quella che abbiamo chiamato “intelligenza ecologica”, cioè un intreccio dinamico tra svariate competenze naturalistiche (folkbiology, folkgeology, way-finding, mapping , strategie di caccia ecc.).Nello schema le macchie rappresentano queste competenze, organizzate attorno a poli semantici e collegate tra loro da “piste” analogiche,causali, simboliche ecc.. Ognuna di queste aree di competenza ha molto probabilmen­ te un sostrato innato (per le forme del paesaggio,per esempio, è la tendenza a riconoscere tipologie geo­ morfologiche ricorrenti: “questo paesaggio che vedo per la prima voltami è familiare, somiglia a un pae­ saggio che ho già visto”). Il cervello dell’uomo può contare geneticamente su facoltà tassonomiche,analo­ giche, induttive, ma anche su un’attitudine al pensiero spaziale che è il medium di numerosi processi co­ gnitivi. La mente umana è naturalmente spaziale e possiamo pensarla organizzata su una matrice paesag­ gistica: le varie intelligenze funzionano e interagiscono come volumi compositi, complessi, collegati da pi­ ste antiche come la specie o nuove come l’esperienza dell’individuo. Da: MESCHIARI, M., Processi cognitivi 35 Homo sapiens LO SPAZIO E L’ANTROPOLOGIA DEL PAESAGGIO Il paesaggio era il terreno principale delle esperienze spaziali dell’uomo, era il luogo dove si sviluppavano e si esercitavano facoltà cognitive basilari per la sopravvivenza, e questa stretta connessione tra sopravvivenza e territorio chiamava a una memorizzazione e a un affinamento di conoscenze operative che hanno impregnato la concettualità dell’uomo preistorico Da: MESCHIARI, M., Lineamenti di archeologia dello spazio: Per un’analisi dell’arte rupestre, «Archivio Antropologico Mediterraneo»,6-7,pp.61-86., 2002-2004 Per avvalorare l’ipotesi che la cognizione umana si sia modellata sullo spazio concreto, dobbiamo rintracciare i caratteri della visione primitiva dello spazio, basata su Da: MESCHIARI, M., Sistemi selvaggi: antropologia del paesaggio scritto, Palermo, Sellerio,2008, pag. 192 due bisogni antropologici primordiali: il Wayfinding, la necessità di orientamento, e il God’s Eye View, il panopticon come nostalgia di un mondo autotrasparente. Da: MESCHIARI, M., Sistemi selvaggi: antropologia del paesaggio scritto, Palermo, Sellerio,2008, pag. 69 Si possono mettere a confronto esperienze geograficamente lontane: i !Kung del Sud Africa, gli Aborigeni australiani…. Presso i !Kung del Sud Africa il paesaggio è visto come un intreccio di emergenze naturali e di luoghi ricchi di risorse per la sopravvivenza (SMITH 1994). Le emergenze naturali funzionano come punto di riferimento per definire i confini di un’area, mentre l’area è caratterizzata internamente dalla sua ricchezza in cibo e acqua. Un uomo ! Kung, su richiesta di un etnologo, disegnò una mappa di un luogo comunemente praticato dal suo gruppo. Era formata da tre punti che indicavano tre punti d’acqua, e da linee che partivano a raggera dai punti. Queste non indicavano sentieri, ma le direzioni per le spedizioni giornaliere di caccia e raccolta. Non collegavano i punti, dunque, ma indicavano l’estensione dell’area da sfruttare. Da: MESCHIARI, M., Sistemi selvaggi: antropologia del paesaggio scritto, Palermo, Sellerio,2008, pag. 192. MESCHIARI, M., Lineamenti di archeologia dello spazio: Per un’analisi dell’arte rupestre, «Archivio Antropologico Mediterraneo»,6-7,pp.61-86., 2002-2004 Nel paesaggio australiano pericolo e ignoto coincidono, e una conoscenza palmare del territorio può fare la differenza tra la vita e la morte. Sovrapporre al paesaggio una mappa sacra è un modo per allacciare i bisogni di sussistenza al mito, ma a un grado più basico, come per i !Kung, lo spazio concreto continua a essere percepito secondo due coordinate vitali: punti notevoli e assi di spostamento. Da: Da: MESCHIARI, M., Sistemi selvaggi: antropologia del paesaggio scritto, Palermo, Sellerio,2008, pag. 193 I luoghi notevoli agiscono come poli fissi, sono come paletti di riferimento a partire 36 [link trail running pag. 151] Homo sapiens dai quali si organizza lo spazio conosciuto. Questi possono coincidere con svariate realtà: il campo, il lago pescoso, il nascondiglio per la carne, la trappola per la volpe, l’emergenza naturale caratteristica, il sito di un evento storico.(…) Tali punti sono connessi tra loro da linee di spostamento più o meno note a tutti. I bisogni della caccia però introducono in questa mappa un elemento dinamico: si tratti dei movimenti stagionali dietro i branchi di animali o dei movimenti quotidiani dietro la preda, il territorio risulta organizzato secondo una rete di percorsi che collegano tra loro delle aree di caccia. Tali percorsi tendono a coincidere con quelli degli animali, che raramente cambiano abitudini migratorie da un anno all’altro. La percezione dello spazio è dunque di tipo lineare, centrata su assi di spostamento che uniscono e/o attraversano punti notevoli. I luoghi di caccia invece sono superfici, considerate più o meno importanti a seconda della loro ricchezza in selvaggina. Le parti prive di selvaggina non vengono considerate, letteralmente non esistono. Il paesaggio è dunque un sistema di macchie territoriali ‘piene’ e ‘vuote’, caratterizzate da itinerari che uniscono e attraversano tali macchie, e da punti notevoli che funzionano come riferimento durante gli spostamenti. [link caccia primitiva pag. 146] Da: MESCHIARI, M., Sistemi selvaggi: antropologia del paesaggio scritto, Palermo, Sellerio,2008, pag. 194-195 Le songslines rese famose da Chatwin, oltre a essere mappe verbali sono racconti mitici (BLAKEMORE 1981; LEWIS 1976), che introducono nel paesaggio, un elemento ‘verticale’, sacro, che collega macchie ed itinerari alla memoria collettiva. Da: MESCHIARI, M., Lineamenti di archeologia dello spazio: Per un’analisi dell’arte rupestre, «Archivio Antropologico Mediterraneo»,6-7,pp.61-86., 2002-2004 Gli aborigeni raccontavano di uomini del canto che in stato di trance sfrecciavano con un sibilo su e giù per la via. (…) A quanto pare è l'andamento melodico, indipendentemente dalle parole, a descrivere il tipo di terreno su cui passa il canto. (…) Una frase musicale è un riferimento geografico, e la musica una banca dati per trovare la strada quando si è in giro per il mondo. (…) Da: MESCHIARI, M., Poetica del terreno, Anemone Vernalis, 1999, pag. 117 Orientarsi è un problema di triangolazione, assieme al paesaggio concreto e al passo ci vuole un terzo fattore, il linguaggio, quel linguaggio fondamentalmente poetico che guidava nei luoghi gli aborigeni australiani e che, come ricorda Chatwin, era una macchina di orientamento per viaggiare in mare. Le shamanka siberiane per sapere dov'erano durante la navigazione dovevano soltanto conoscere il canto. Da: MESCHIARI, M., Poetica del terreno, Anemone Vernalis, 1999, pag. 119 Ci troviamo cioè con alcune ‘invarianti’ che accomunano i popoli cacciatoriraccoglitori: emergenze geomorfologiche, nomadismo, caccia, riserve alimentari e idriche, luoghi pericolosi o ripari, assi di spostamento, orientamento nel territorio.(…) 37 [link orientamento pag. 61, poesia della terra pag. 83] Homo sapiens Queste invarianti però si possono ridurre a un’unica osservazione utile, e cioè che, al di là di ragioni e funzioni, l’organizzazione concettuale dello spazio comincia da punti notevoli, o landmarks. Il landmark, cioè, proprio perché incarna una transizione dinamica, ha implicito quel principio di liminalità che è alla base della concettualità primitiva, segnala dunque un mutamento di spazio e di tempo, una variazione e assieme un ritorno. Non siamo in presenza di un punto fermo, ma di uno snodo, a partire dal quale lo spazio viene organizzato in modo gerarchico. L’osservazione ha ancora più rilievo per quelle culture in cui lo spostamento a piedi è un mezzo centrale nell’organizzazione delle conoscenze spaziali, cinegetiche, sociali ecc. Il camminare è l’elemento che conferisce dinamismo a tutto il sistema, perché al landscape, al paesaggio statico, si aggiunge un walkscape. Da: MESCHIARI, M., Lineamenti di archeologia dello spazio: Per un’analisi dell’arte rupestre, «Archivio Antropologico Mediterraneo»,6-7,pp.61-86., 2002-2004 Il luogo è un marcatore di memoria collettiva, e proprio per questo, attraverso uno slittamento semiotico (cioè attraverso una riconfigurazione di senso), la collettività attribuisce al luogo il carattere di segno. L’antropologia del paesaggio parla appunto in questo senso di landmark, cioè di un luogo notevole del territorio che diventa crocevia, snodo strutturante, paletto percettivo attorno al quale si organizzano spazio reale e spazio mentale. Alla geografia fisica si sovrapponeva una geografia sacra. Da: MESCHIARI, M., Dal golfo all’arcipelago. Per un’antropologia del paesaggio ligure 38 [link sacro pag. 86] Homo sapiens Il sapere geografico degli Inuit. Le due mappe rappresentano il Cumberland Sound nell’Artico canadese. La prima è stata ottenuta con mezzi cartografici scientifici, la seconda è stata disegnata a memoria da un Inuit che non aveva mai visto una mappa occidentale di quel luogo. Nonostante le evidenti alterazioni di scala, la complessità del dise­ gno inuit dimostra una conoscenza palmare del territorio. Questo sapere geografico nasce dal concorso di più elementi: “All’incrocio tra esperienza cinegetica e tradizione orale, la sua esistenza non dipende dallo sviluppo di conoscenze particolari ma da una struttura d’organizzazione delle conoscenze che gli è pro­ prio. Gli oggetti geografici sono colti attraverso categorie operative che formano una griglia di lettura che impregna la percezione dello spazio geografico nel suo insieme, e che esprime, al di là di un sapere geo­ grafico, una ‘saggezza del territorio’” (Collignon 1996, p. 149). Da: MESCHIARI, M., Processi cognitivi 39 Homo sapiens PREPERCEZIONI E DINAMICA DELLA RICETTIVITÀ Le protoscimmie arboricole da cui discendiamo dovevano poter riconoscere un predatore mimetizzato tra le macchie di chiaroscuro del fogliame, e dovevano poterlo “vedere” prima di essere certe della sua presenza (Shepard 1998). In neurofisiologia si parla di “pre-percezioni” e “pre-rappresentazioni”: di fronte a forme ignote o ambigue il cervello tende a proiettare forme conosciute in base a processi di assimilazione analogica. Da: MESCHIARI, M., Processi cognitivi Kaufmann individua nella «dinamica della ricettività» la genesi del comportamento semiotico di fronte al paesaggio concreto. Si tratta di un processo di “agnizione” del significato all’interno di una realtà spaziale non-linguistica, attraverso l’associazione analogica di un’immagine nota a un’immagine ignota, in un contesto che per il soggetto è già rappresentazione. E proprio questo aspetto è il più rilevante: l’osservatore non è di fronte a uno scenario ottico neutro a cui sovrappone in modo libero un significato altro, ma da subito riconosce un senso che il paesaggio, come un catalizzatore, chiama a emersione. Da: MESCHIARI, M., Sistemi selvaggi: antropologia del paesaggio scritto, Palermo, Sellerio,2008, pag. 213 Si è soliti trattare percezione e rappresentazione come momenti cognitivi distinti, ma una percezione “pura” non esiste, o in ogni caso non produce senso: i dati percepiti dai sensi vengono immediatamente filtrati e rielaborati dal cervello in base a schemi, abitudini, modelli, credenze, ideologie. La percezione è già rappresentazione. Da: MESCHIARI, M., Processi cognitivi Se si osserva la risonanza magnetica del cervello di una persona a cui si chiede di leggere, si vede un’area, la regione visiva ventrale sinistra, che si attiva durante il riconoscimento della parola scritta. Ovviamente quest’area non si è sviluppata assieme alla scrittura, ma esisteva da molto prima, ed è stata riusata per la lettura dei segni. Di fatto è la stessa zona che prima di ogni scrittura serviva, e serve, al riconoscimento di volti, oggetti, luoghi, rispondendo a un principio di invarianza che fa astrazione da elementi accidentali e superflui. Da: MESCHIARI, M., Dal golfo all’arcipelago. Per un’antropologia del paesaggio ligure Visage/paysage, visagéité/paysagéité: guardando qualcuno negli occhi non vediamo un mosaico di tratti fisionomici ma un volto unitario, la sua «espressione», come dice Merleau-Ponty; guardando un luogo non vediamo una somma di tratti topografici ma un paesaggio. (…) Di qui l’idea che il paesaggio si può “leggere”. Eppure la lettura è arrivata per ultima, mentre prima c’era il riconoscere volti, tracce di animali, luoghi (…). 40 [link pensiero complesso pag. 18] Homo sapiens In presenza di un paesaggio si attiva in noi una specie di memoria operativa abituata a leggere tracce (biosemiotica, geosemiotica) per sopravvivere. Nel paesaggio aleggia come una nostalgia di selvaggina che chiede di essere cercata. Da: MESCHIARI, M., Sistemi selvaggi: antropologia del paesaggio scritto, Palermo, Sellerio,2008, pag. 215 La lettura dello spazio è immediatamente scrittura dello spazio. Il punto è della massima importanza, perché ci riporta al problema del paesaggio inteso non come portatore di senso ma come catalizzatore di significati. Da: MESCHIARI, M., Sistemi selvaggi: antropologia del paesaggio scritto, Palermo, Sellerio,2008, pag. 221 Come nelle macchie di Leonardo, nelle forme del disegno Mbuti, tanto l’esecutore quanto l’osservatore possono “vedere” o “riconoscere” delle forme della realtà esterna, ma sempre in modo vago, insufficiente, perché il disegno non rappresenta la realtà ma semplicemente, come alcune donne mbuti hanno detto, vi fa riferimento («potrebbe essere»): i segni sono cioè abbastanza indeterminati perché il senso possa scaturire in modo imprevisto e plurale. Da: MESCHIARI, M., Sistemi selvaggi: antropologia del paesaggio scritto, Palermo, Sellerio,2008, pag. 198 Non c’è allora da stupirsi che per gli Inuit, come per i Mbuti, il dinamismo fisico e mentale sia il principio che organizza a ogni livello le attività cognitive. Da: MESCHIARI, M., Sistemi selvaggi: antropologia del paesaggio scritto, Palermo, Sellerio,2008, pag. 200 Il paesaggio non è uno spazio globale geograficamente inteso, ma è un fascio di fenomeni con cui si interagisce. Da: MESCHIARI, M., Sistemi selvaggi: antropologia del paesaggio scritto, Palermo, Sellerio,2008, pag. 201 41 Homo sapiens Schemi cognitivi dei disegni mbuti. In queste decorazioni rituali è il principio di “mobilità” a determinare la piena riuscita del disegno: linee, intrecci, motivi-base, motivi complessi, rapporto tra pieni e vuoti rispondono a regole impreviste di accumulazione, di complicazione progressiva, di variabilità, di asimmetria, di sincope, fino a sfociare nel disequilibrio e nella rottura ricercata della composizione. Quello che sembra emergere è una forte propensione al dinamismo, che trova riscontro, come notato in vari studi, non solo nella struttura sociale dei gruppi mbuti, ma anche nel canto polifonico in cui eccellono le loro donne. Inoltre, la lettura reversibile del disegno da positivo a negativo e viceversa, da pieno a vuoto e viceversa, e la confusione nel rapporto figura-sfondo, periferia-centro, alto-basso, immagine-campo, sono fattori in grado di creare una ambiguità dinamica tra pieno e vuoto, dentro e fuori, spesso e sottile, solido e aereo: un modo per dinamizzare i dualismi troppo stabili e per ribadire nel disegno la necessaria saggezza della mobilità della vita nella foresta. Da: MESCHIARI, M., Processi cognitivi 42 Homo sapiens ARTE RUPESTRE: Il bisogno di esplorazione dell’'homo sapiens lo portò ai limiti delle terre che aveva percorso, e proprio dove non poteva andare oltre produsse pensiero più che altrove. La massima concentrazione di arte rupestre sembra infatti collocarsi, nei vari paesi (area franco cantabrica, sud della spagna, estremo sud australia, patagonia, africa meridionale), a un vicolo cieco di una migrazione. Homo qui ha dovuto interrompere il suo cammino fisico, ma attraverso l'arte ha potuto proseguire il viaggio. Da: MESCHIARI, M., Poetica del terreno, Anemone Vernalis, 1999, pag. 72 In questo senso, il primo grande potenziale antropologico di un paesaggio è proprio quello di stimolare l’immaginario, come d’altronde è sempre accaduto nella storia culturale dell’Homo sapiens. [link wilderness, una via personale pag. 158] Da: MESCHIARI, M., Dal golfo all’arcipelago. Per un’antropologia del paesaggio ligure Il “riconoscimento” di un’immagine nota, generalmente un animale, è seguito dal gesto artistico vero e proprio come ritocco e completamento delle forme rocciose. La figura dipinta o graffita era dunque “vista” nella roccia prima di essere tracciata, e mentre questo processo cognitivo di pre-percezione si attiva in noi in modo per lo più casuale e sporadico, nel Paleolitico franco-cantabrico era deliberatamente coltivato, e sorreggeva una pratica mantico-rituale che rifletteva una grande consapevolezza artistica. Da: MESCHIARI, M., Processi cognitivi Nel caso delle immagini dell’arte rupestre, il nostro cervello proietta delle prerappresentazioni. Conoscendo la dinamica motoria dell’animale, ad esempio, intuisce quale sarebbe il movimento successivo del soggetto, sa, per così dire, quale sarà la prima zampa ‘a spostarsi’, un po’ come il cacciatore esperto sa prevedere la prossima mossa dell’animale in corsa. Se si accetta il principio neurofisiologico per cui la percezione è un’azione simulata, nel caso della conformazione della grotta, ad esempio, il nostro cervello produce simulazioni di movimento. In altri termini, è stimolato a pensare a come muoversi in quell’ambiente, esattamente come un cacciatore, valutando il terreno, formula previsioni di spostamenti. Tutto questo si traduce in una serie di sensazioni muscolari che, senza sfociare necessariamente nell’azione, sono però percepite come tracce fisico-emotive. Registrare queste sensazioni, che hanno una matrice neurofisiologica prima che soggettiva, significa tentare di ricostruire un milieux emozionale. Da: MESCHIARI, M., Lineamenti di archeologia dello spazio: Per un’analisi dell’arte rupestre, «Archivio Antropologico Mediterraneo»,6-7,pp.61-86., 2002-2004 Altra tendenza neurofisiologica, oltre alla pre-percezione che porta la mente a trattare 43 [link neuroni specchio pag. 59, merleau ponty, corpo e paesaggio pag. 51] Homo sapiens lo spazio vuoto (precedente all’immagine, circostante all’immagine, tra un’immagine e l’altra) è il principio di reversibilità in base al quale la visione passa dal positivo al negativo alla luce del principio, detto di rivalità di contorno. Un fenomeno di sincretismo che doveva avere un preciso valore semantico. Il principio di reversibilità, rilevabile in modo sistematico nell’arte paleolitica, ha delle implicazioni profonde. Da mero effetto ottico diventa un enunciato estetico vero e proprio: quella che è una semplice possibilità neurofisiologica si traduce in principio operativo, che regola, o comunque influenza, la composizione dei gruppi di immagini. Questa tendenza suggerisce l’esistenza di un’idea di spazio reversibile che è alla base del pensiero magico dello spazio. Suggerisce inoltre una visione delle cose omogenea all’ambiente della grotta: dinamica, fluttuante, plurale, polisemica, metamorfica. [link macchie di crescita pag. 20] Da: MESCHIARI, M., Lineamenti di archeologia dello spazio: Per un’analisi dell’arte rupestre, «Archivio Antropologico Mediterraneo»,6-7,pp.61-86., 2002-2004 L'arte del cacciatore arcaico non è né simbolica né astratta: la traccia dell'animale per lui era l'animale. La differenza rispetto al nostro modo di vedere le cose è tutta in questo credere in un legame diretto e necessario tra segno e significato, e insomma in una concezione metonimica del linguaggio.(…) L'arte di oggi tende a conferire una dimensione simbolica al proprio soggetto. (…) Cosa significa questo paesaggio? La domanda è mal posta, perchè estende alla realtà naturale la nostra visione metaforica delle cose. (…) Non riusciamo ad accettare che la natura significhi solo ed esattamente sé stessa. Da: MESCHIARI, M., Poetica del terreno, Anemone Vernalis, 1999, pag. 78 Il supporto dell'arte rupestre è un elemento irrinunciabile per la comprensione dell'opera. Il desiderio profondo era quello di dare evidenza a una realtà preesistente al gesto artistico, in modo da allacciarsi e adeguarsi al mondo circostante, all'ambiente. Da: MESCHIARI, M., Poetica del terreno, Anemone Vernalis, 1999, pag. 79 44 [link pensiero deterministico pag. 17] Homo sapiens Niaux, Francia. Due classici esempi di figure ambigue ci mostrano un indecidibile neurofisiologico: coniglio o papero? Un volto frontale o due volti di profilo? La conflittualità delle linee di contorno obbliga a una lettura selettiva. Nel primo caso è l’orientamento destra-sinistra che permette di scivolare da un’immagine all’altra. Nel secondo caso, più complesso, abbiamo tre letture possibili: quella del volto frontale, quella del profilo di destra, quella del profilo di sinistra. Nel caso dei due volti di profilo esiste poi un’ambiguità supplementare, perché, come nel caso del papero-coniglio, dobbiamo operare una scelta di lettura che escluda l’altra. Infatti il profilo dei due volti è condiviso, ne consegue che per vederne uno dobbiamo ignorare l’altro, o almeno considerarlo ‘vuoto’ per poter leggere come ‘pieno’ quello su cui ci concentriamo. L’esempio paleolitico della Grotta di Niaux sembra giocare su tutte queste letture possibili: se fissiamo il cavallo, le zampe di sinistra sono le sue zampe anteriori e quelle di destra le posteriori, se invece ci concentriamo sul cervo, le zampe appartengono logicamente al cervide, e il loro ordine si inverte. Ma è possibile anche leggere l’animale come un essere fantastico a due teste. Il conflitto di contorni può significare dunque sincretismo, e l’immagine, attraverso un paradosso grafico, potrebbe indicare concettualmente un principio di unità degli opposti (da ARNHEIM 1954 e rilievo selettivo dell’autore da fotografia). 45 Homo sapiens Les Combarelles, Francia. Altri due esempi di figure ambigue: denti bianchi o montagne nere? Croce nera o fiore bianco? Qui l’ambiguità si gioca tra pieno e vuoto: per leggere un elemento come pieno occorre vedere il suo contiguo come vuoto. Il principio, detto di reversibilità, sembra funzionare anche per l’immagine paleolitica a Les Combarelles. Concentrando l’attenzione sul muso dell’animale più piccolo (un equide?) ci si rende conto che esso occupa quasi perfettamente lo spazio vuoto tra il collo e le corna del cervide. Secondo le tendenze formali del Paleolitico è probabile che l’animale più grande, in base anche al principio del cadrage massimo, sia stato disegnato per primo. La tappa successiva consisteva allora nel cercare un sincretismo complesso con un altro animale, e si può ipotizzare che l’artista abbia ‘visto’ nello spazio vuoto tra collo e corna del cervide una forma simile a un muso animale. Ecco una lettura reversibile di un vuoto che diventa pieno. La cosa interessante è che il gioco non si ferma qui. Infatti abbiamo anche una conflittualità di contorni multipla, dove il collo del cervide diventa il ventre dell’equide, e dove le zampe anteriori del primo diventano quelle posteriori del secondo (da ARNHEIM 1954 e BREUIL 1952). 46 Homo sapiens Sincretismo anatomico: Les Trois Frères e Grotta Chauvet, Francia. Due esempi di sincretismo di immagini che illustrano l’intenzionalità del conflitto di contorni. Nel primo esempio il bisonte, verosimilmente disegnato in ultima istanza, cerca di inscriversi nel complesso di immagini in modo armonico. Vanno osservati ad esempio il muso della renna che coincide con il garretto del bisonte, la coda di questo che coincide con lo zoccolo esterno della renna in alto, mentre lo zoccolo interno di questa occupa perfettamente lo spazio anatomico del quarto posteriore del bisonte. Altro incontro non casuale è quello delle corna dei cervidi inferiori con gli zoccoli del bisonte. Nel secondo esempio, apparentemente meno complesso, vediamo l’incorporazione di una stalagmite nella scena. Oltre a notare un sincretismo tra gamba sinistra del bisonte in piedi e gamba sinistra della Venere, la Venere è a sua volta inscritta in una stalattite che ricorda le gambe senza piedi delle statuette paleolitiche femminili. Il grande felino, invece, ha la linea delle zampe anteriori che continua lungo il profilo esterno della stalattite, mentre la linea del dorso si confonde con quella del dorso del bisonte umanizzato o, a seconda della lettura, coincide con la linea che nel bisonte sembra indicare un abbozzo di braccio. Infatti lungo il profilo della coscia è stata osservata dagli specialisti una mano stilizzata, dunque la linea a 45 gradi dentro il contorno potrebbe indicare in modo schematico il tricipite. È evidente che queste coincidenze di contorni e volumi apportano nuovi elementi nella difficile fase dell’interpretazione (da BREUIL 1952 e CLOTTES 2001). 47 Homo sapiens Les Combrelles e Teyjat, Francia. Conflitto di contorni, reversibilità, sincretismo anatomico, sembrano offrire alcune coordinate per individuare alcuni principi compositivi dell’arte paleolitica. Nel primo esempio da Les Combarelles notiamo che i due cavalli più piccoli ripetono il modello compositivo di quelli più grandi, che si fronteggiano, ma mentre quello di destra è stato inscritto nel ventre dell’animale più grande, cercando un sincretismo ‘interno’ lungo la linea del ventre, quello di sinistra occupa al meglio lo spazio vuoto tra le due teste. Anche qui è da notare un sincretismo, ma di tipo ‘esterno’, con il cavallo ‘maggiore’. C’è infatti coincidenza di contorni tra una parte del collo del cavallo grande e una parte del quarto posteriore di quello piccolo. L’artista ha voluto evitare in tutti modi una semplice sovrapposizione. L’anatomia del cavallo piccolo è infatti deformata e rimpicciolita opportunamente nella parte posteriore, proprio per farla coincidere con il contorno del cavallo grande: rispettando le proporzioni corrette il cavallo piccolo si sarebbe invece sovrapposto a quello grande. Ci troviamo allora di fronte a un sistema complesso, dove due cavalli si fronteggiano, e dove due cavalli minori ripetono la loro postura, partecipando alla loro natura ma in modo antitetico, in base a un’opposizione dentro/fuori. Per l’esempio di Teyjat, ancora più complesso, è da notare l’orientamento dei musi dei quattro animali maggiori, che seguono le linee di fuga di una svastica ideale. Tutti i principi studiati vengono sfruttati qui sistematicamente (da BREUIL 1952). 48